Un dubbio sul regime transitorio della riforma degli artt. 475, 476, 478 e 479 c.p.c.

Di Bruno Capponi -

La legge 29 dicembre 2022, n. 197, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025, in G.U., Serie Generale n. 303 del 29-12-2022 – Suppl. Ordinario n. 43, all’art. 1, comma 380, ha sostituito l’art. 35, Disciplina transitoria, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, in G.U., Serie Generale n. 243 del 17-10-2022 – Suppl. Ordinario n. 38, il cui comma 8, nel testo novellato, prevede che: «Le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 34, lettere b), c), d) ed e), si applicano agli atti di precetto notificati successivamente al 28 febbraio 2023».

Le lettere richiamate si riferiscono, rispettivamente, agli artt. 475, 476, 478 e 479 c.p.c., modificati dal d.lgs. n. 149/2022 con l’effetto di sopprimere la necessità della formula; l’atto di precetto è invece disciplinato dall’art. 480 c.p.c., norma che non è stata interessata da alcuna riforma.

Sorge così il dubbio sull’oggetto di questa particolare disciplina transitoria, che dovrebbe derogare alla norma generale posta dal comma 1 dello stesso art. 35 (v. infra): posto che le norme sulla confezione del titolo esecutivo e sull’apposizione della formula nulla hanno a che vedere con la compilazione dell’atto di precetto. Tra l’altro, non è detto che la notificazione di titolo e precetto sia contestuale, e anzi nel caso della P.A. la notificazione del titolo deve precedere di mesi quella dell’atto di precetto.

L’impressione è che una disciplina transitoria che avrebbe dovuto essere riferita alle soppresse norme che regolavano l’apposizione della formula sia stata invece riferita a un atto che a quella stessa formula è del tutto estraneo; ciò perseguendo l’obiettivo di collocare la novella in epoca successiva al 28 febbraio 2023.

Questa possibile conclusione, tuttavia, pone un altro problema: la regola generale della disciplina transitoria (art. 35, comma 1, d.lgs. n. 149/2022, sempre nel testo novellato dalla legge n. 197/2022) è nel senso che «le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data». Quindi la previsione particolare del comma 8 dello stesso art. 35 non aggiunge nulla né deroga alla regola generale, e d’altra parte la notificazione dell’atto di precetto non coincide con la “instaurazione” di un procedimento esecutivo, posto che l’espropriazione forzata inizia col pignoramento (art. 491 c.p.c.); l’esecuzione in forma specifica per consegna di beni mobili con l’accesso dell’ufficiale giudiziario (art. 606 c.p.c.); l’esecuzione in forma specifica per rilascio di beni immobili col perfezionarsi della notifica dell’avviso di sloggio (art. 608, comma 1, c.p.c.); l’esecuzione in forma specifica per obblighi di fare e di non fare col ricorso al giudice dell’esecuzione per determinarne le modalità (art. 612 c.p.c.).

Una volta preso atto che la norma transitoria particolare del comma 8 rischia di non avere oggetto, perché assorbita dalla regola generale del comma 1, possiamo porci una semplice domanda: quale sarebbe stata la disciplina transitoria utile, a fronte della riforma degli artt. 475, 476, 478 e 479 c.p.c.?

La risposta è semplice: si tratta di capire se l’abolizione della formula esecutiva riguardi i soli titoli formati (provvedimenti pubblicati) dopo il 28 febbraio 2023 (data di “efficacia” delle norme portate dal d.lgs. n. 149/2022), ovvero se le nuove norme debbano trovare applicazione anche con riferimento a titoli formati prima di quella data. La necessità di una disciplina transitoria ad hoc deriva dal fatto che si potrebbe ritenere che il titolo venuto ad esistenza prima del 28 febbraio trascini con sé, anche dopo quella data, il regime al quale era soggetto in base alla fondamentale regola tempus regit actum, così come potrebbe ritenersi, sulla base del diverso principio dell’applicazione immediata delle norme processuali (salvo un diverso regime transitorio), che l’avvenuta abrogazione, a far data dal 28 febbraio 2023, dell’istituto dell’apposizione della formula rende quello stesso istituto, che più non esiste, inapplicabile anche ai titoli formati prima di quella fatidica data.

Il problema ricorda da vicino quello che si pose, dopo il 1990, a seguito della modifica dell’art. 282 c.p.c. col riconoscimento dell’efficacia provvisoriamente esecutiva per tutte le sentenze di primo grado («la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti»). Di fronte a tale novità, la prevalente dottrina si era orientata nel senso di ritenere che tutte le sentenze di primo grado, appellabili o appellate, fossero interessate dalla riforma: anche quelle alle quali la clausola di esecutorietà fosse stata negata dal giudice di primo grado o sospesa dal giudice d’appello, in applicazione del vecchio testo dell’art. 282 c.p.c. Le cancellerie dei tribunali vennero prese d’assalto. Fu necessaria un’apposita norma transitoria (art. 4 del d.l. 571/1994, convertito dalla legge n. 673/1994, modificativo dell’art. 90 della legge n. 353/1990 recante, appunto, la disciplina transitoria), per richiamare, relativamente alle sentenze pubblicate prima del 30 aprile 1995 (data di entrata in vigore della riforma), l’applicazione degli artt. 282, 283 e 337 c.p.c. nel testo anteriormente vigente: la cosa curiosa è che la norma transitoria del 1994 non ha fatto che confermare la regola generale sulla successione delle leggi nel tempo, che la prevalente dottrina aveva deformato sovrapponendo i concetti di applicazione immediata e applicazione retroattiva della legge processuale.

Più di recente, il legislatore processuale (leggi n. 80/2005 e n. 263/2005) ha dovuto affrontare un problema simile nel momento in cui, ampliando il catalogo dei titoli esecutivi, ha riconosciuto la relativa natura agli “atti” di formazione giudiziale, intendendo per tali i verbali di conciliazione [art. 474, 2° comma n. 1) c.p.c.], nonché alla scrittura privata autenticata, relativamente alle sole obbligazioni di denaro [art. 474, 2° comma, n. 2) c.p.c.]. Il novellato art. 474 c.p.c. è stato oggetto di una disciplina peculiare sull’entrata in vigore, dettata dall’art. 2 del d.l. 35/2005 (convertito con modificazioni dalla legge n. 80/2005, nel testo poi ancora modificato dalla legge n. 263/2005): il comma 3-quater (riferito appunto all’art. 474 c.p.c.) si limita a indicare la sola data di entrata in vigore (alfine prorogata al 1° marzo 2006 dal d.l. 271/2005, decaduto ma con testo riproposto dal d.l. 273/2005, convertito dalla legge n. 51/2006), senza ripetere l’inciso, che il comma 3-sexies riferisce invece a tutte le altre novelle incidenti sul processo esecutivo, secondo cui le nuove norme «si applicano anche alle procedure esecutive pendenti a tale data di entrata in vigore».

Non è chiaro, né risulta dai lavori preparatori, per quale ragione il legislatore abbia pensato a una disciplina ad hoc per la novella dell’art. 474 c.p.c., ellittica rispetto ad ogni altra norma sull’esecuzione forzata. Verosimilmente, si è ragionato sul riflesso per cui, in carenza di titolo esecutivo, non potevano darsi “procedure esecutive pendenti”, e pertanto sarebbe stato inutile affermare, in rapporto a queste ultime, la qualità di titolo esecutivo di un atto – la scrittura privata autenticata quanto all’espropriazione forzata, il titolo di formazione amministrativa quanto a consegna e rilascio forzati – che di tale qualità era certamente privo sub Julio e che pertanto non avrebbe potuto esser posto a base di alcuna esecuzione forzata pendente.

Se questa è la spiegazione, si è trattato di un ragionamento sbagliato, perché l’efficacia immediata della novella nelle procedure esecutive in corso avrebbe potuto riferirsi al caso del creditore che avesse spiegato intervento sine titulo sulla base di scrittura privata autenticata e che avrebbe acquisito, dopo il 1° marzo 2006, il ben diverso (anche sul riflesso della vecchia disciplina) status di creditore titolato.

Possiamo quindi affermare che gli interventi del legislatore che incidono sul titolo esecutivo hanno sempre posto problemi, per la scarsa chiarezza di idee sulle nozioni di diritto intertemporale (volto a identificare la disciplina applicabile nel “conflitto di leggi”) e diritto transitorio (volto a dettare regole particolari per facilitare il passaggio dal vecchio al nuovo regime). Ma, certo, è la prima volta che una disciplina transitoria propria di un certo atto (il titolo esecutivo) viene impropriamente riferita a un altro atto (il precetto) lasciando la modifica del primo atto priva di disciplina transitoria ad hoc o, meglio, privo di una disciplina transitoria derogativa di quella in generale posta dal comma 1 dell’art. 35 d. lgs. n. 279/2022, di per sé inidonea a risolvere il problema che abbiamo segnalato in queste brevi note.