Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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Un caso di “vizio radicale di motivazione apparente e intrinsecamente contraddittoria” secondo la Corte di Cassazione, nella scia delle pronunce gemelle a Sezioni Unite del 2014.
Di Andrea Mengali -
Con la sentenza che si segnala la Corte di cassazione torna a pronunciarsi sull’estensione del vizio di motivazione della sentenza, in particolare per quanto riconducibile alla violazione dell’obbligo di motivare la pronuncia ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., qualificato quale “vizio radicale di motivazione apparente” e – per la verità per uno dei profili di censura esaminati – anche “intrinsecamente contraddittoria”.
Il caso riguarda una pretesa risarcitoria rivolta ad un istituto scolastico e ad un ente comunale, conseguente alla morte di una bambina, invalida al 100% e deceduta per asfissia durante l’orario scolastico, a causa, secondo gli attori, del comportamento negligente, imperito e imprudente tenuto dal personale scolastico e dall’assistente sociale dipendente del Comune, domanda respinta dai giudici di merito in particolare con la conferma da parte del giudice di appello della sentenza di prime cure che aveva, tra le altre cose ed in particolare, ritenuto che non vi fosse stato colpevole ritardo da parte del personale addetto alla vigilanza nella chiamata dei soccorsi e inoltre che, in ogni caso, seppure il personale medico del 118 fosse arrivato prima, non sarebbe riuscito a salvare la vita della bambina a causa dello stato già avanzato del processo asfittico.
Più che per i principi espressi, che ricalcano quanto già affermato dalle Sezioni Unite, all’indomani dell’ultima novella dell’art. 360 cod. proc. civ., con le pronunce gemelle del 2014 (Cass. 11 marzo 2014 nn. 8053 e 8054) la pronuncia è degna di nota per le ampie argomentazioni spese dalla Suprema Corte nell’applicare gli stessi al caso specifico, rinvenendosi una dettagliata ricostruzione del difetto di motivazione in cui è incorso il giudice di merito, apparendo in definitiva la pronuncia segnalata utile in funzione esemplificativa.
Senza poter indugiare, nello spazio di un breve commento alla predetta sentenza, sulla dimensione del vizio di motivazione denunciabile in cassazione dopo la riforma del 2012 (per cui sia consentito rinviare, anche per riferimenti, a A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, Torino, 2020), ricordiamo che la prospettiva di cui alle predette pronunce è quella di riconoscere il vizio motivatorio allorché riconducibile al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. (quale nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4), e ciò non solo nei casi in cui la pronuncia è totalmente omessa (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”), ma anche laddove manchino gli elementi utili ad individuare la ratio decidendi della stessa (nelle varie declinazioni di “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”).
Sia consentito solo ricordare come ciò non implichi necessariamente l’esclusione della sindacabilità del c.d. vizio logico (già riconducibile al “vecchio” art. 360 n. 5 cod. proc. ed in particolare nel “difetto di sufficienza” della motivazione richiamato dalle stesse sezioni unite), che può ritenersi comunque sindacabile quale violazione di legge in particolare con riferimento alle norme sul metodo del giudizio di fatto – e le stesse Sezioni Unite del 2014 affermavano come “la peculiare conformazione del controllo sulla motivazione non elimina, sebbene riduca (ma sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo sulla sussistenza degli estremi cui l’art. 2729 c.c., comma 1, subordina l’ammissione della presunzione semplice” (in tema, e per l’estensione del rilievo anche per le altre norme metodologiche tra cui l’art. 116 cod. proc. civ., nonché per ulteriori riferimenti cfr. M. Bove, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in judicium.it; L. Lombardo, Il sindacato di legittimità della Corte di cassazione, Torino, 2015, spec. 163; R. Poli, Logica del giudizio di fatto, standard di prova e controllo del giudice, ora in AA.VV. , Lo statuto del giudice e l’accertamento dei fatti – Atti del XXXII convegno nazionale, Bologna, 2020, 373; se si vuole A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, cit., spec. 139 ss.; 194 ss.).
E però altro è il vizio evocato dal giudice di legittimità con la pronuncia annotata quale “implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, che integra un error in procedendo” (il chiaro riferimento è ancora ai citati precedenti, richiamati, unitamente ad altri successivi, tra cui Cass. sez. un. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., ord. 7 aprile 2017, n. 9105, dalla stessa pronuncia in commento), trattandosi in questo caso della violazione dell’obbligo formale di motivare la pronuncia, sindacabile, per violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., quale, come detto, vizio di attività (sia consentito ancora rinviare a A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, cit.).
E allora, e venendo al caso di cui alla pronuncia segnalata, appare perfettamente corrispondente al predetto paradigma il rilievo secondo cui vi sarebbe intrinseca contraddizione nella motivazione della sentenza di appello allorché questa ha ritenuto che la sentenza di prime cure fosse esente dalle proposte censure in relazione, tra le altre cose, alla ricostruzione del tempo impiegato per la chiamata del 118, affermando al contempo che “il tempo massimo trascorso tra la verifica da parte della M. del malore di G. e la chiamata del 118 è… di otto minuti”, e questo nonostante il Tribunale avesse, invece, ritenuto che i soccorsi erano stati chiamati dopo tre minuti.
Nel caso di specie non è quindi dato comprendere (per contraddittorietà tra proposizioni della stessa motivazione) le ragioni di fatto poste a base della pronuncia, in particolare se il giudice di merito abbia posto a base della decisione il fatto che i soccorsi erano stati chiamati dopo 3 minuti ovvero dopo 8 minuti. Ciò rappresenta un vizio estrinseco della motivazione cui consegue la nullità della pronuncia, poiché rende impossibile controllare la correttezza della stessa: in particolare rende impossibile la verifica di logicità della stessa motivazione (che, secondo la ricostruzione che riteniamo più corretta, deve ritenersi a sua volta ammissibile sotto forma di controllo sull’osservanza delle norme sul metodo del giudizio di fatto). In particolare, e tornando al caso di cui alla pronuncia segnalata, si può ritenere che il tempo trascorso tra il malore e la chiamata dei soccorso sia un fatto secondario da cui sia possibile risalire, unitamente all’ulteriore circostanza di fatto del tempo necessario all’arrivo dei soccorsi e poggiando sulle regole della scienza, al fatto principale consistente nel collegamento eziologico tra lo stesso lasso di tempo trascorso prima della chiamata dei soccorsi e l’evento morte: non essendo comprensibile su quale fatto secondario si sia basato il procedimento inferenziale del giudicante, non è neanche controllabile la corretta applicazione dell’art. 2729 cod. civ.
Per gli altri profili di difetto di motivazione rilevati dalla pronuncia segnalata il discorso è diverso, poiché tanto nel richiamare la consolidata giurisprudenza secondo la quale è viziata per difetto di motivazione la pronuncia che non dà atto delle ragioni dello scostamento dalle conclusioni del consulente tecnico (su cui cfr. A. Mengali, op. cit., 192), quanto con riferimento all’ipotesi che anche un intervento dei soccorsi dopo un minuto non avrebbe salvato la bambina, assunto basato su rilievi (ritenuti per l’appunto non “sufficienti” dal giudice di legittimità) come quello che “il processo di asfissia si era già completato”, la censura della Suprema Corte parrebbe più correttamente da ricondursi ad un controllo intrinseco – più che estrinseco – della motivazione, ossia ad un controllo di logicità.
In definitiva si continua ad assistere, tanto in alcune enunciazioni astratte quanto (come in questo caso) nell’applicazione concreta alle fattispecie che vengono in rilievo, allo sconfinamento del profilo formale della violazione dell’obbligo di motivare (con relativo vizio di attività) nel (tradizionale) vizio logico, con la conseguenza (di cui si è detto ampiamente in altra sede, cfr. ancora A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, cit., spec. 169 ss.; 194 ss.) di una (ingiustificata) limitazione del secondo ad un controllo testuale della pronuncia, oltre che ad una (altrettanto criticabile) limitazione ai casi di “illogicità” più manifesta.
In definitiva si continua a ritenere, come più ampiamente ho motivato in altra sede (cfr. ancora, se si vuole, A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, loc. cit. e 213 ss.), che separare correttamente il profilo del vizio motivatorio quale vizio di natura formale dal vizio logico che si può ritenere sempre e comunque denunciabile quale violazione di legge, contribuirebbe a collocare ciascuno nel proprio corretto ambito (il primo quale imprenscindibile elemento per il controllo della pronuncia, limitato al testo della stessa a garanzia del relativo diritto processuale della parte impugnante – nel senso che l’eventuale possibilità di comprendere le ragioni della decisione da un esame extratestuale della stessa non può escludere la nullità della pronuncia per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. – e non quale compressione degli spazi di censura; il secondo quale irrinunciabile strumento di controllo indiretto sul giudizio di fatto, in particolare sul metodo del giudizio di fatto), e a consentire per ciascuno la corretta ampiezza del relativo sindacato, aprendo nel secondo caso anche ad un controllo extratestuale, come per qualsiasi violazione di legge.