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Ultimissime sulla estinzione delle esecuzioni immobiliari pendenti all’8 settembre 1998
Di Mario Pio Fuiano -
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso. – 3. Osservazioni e rilievi. – 4. Conclusioni.
1.Premessa.
Nell’ultimo scorcio del 2019 licenziai per le stampe un lavoro, destinato a una raccolta di studi in memoria del prof. Franco Cipriani[1], mio compianto e indimenticato Maestro, ove ribadivo i rischi, già segnalati da autorevole dottrina, correlati a un uso poco accorto dell’art. 360-bis c.p.c. Ed osservavo che, siccome detta norma era stata varata allo scopo di «aiutare la Cassazione a liberarsi dei ricorsi infondati»[2] e non già dei ricorsi tout court, era assolutamente indispensabile che l’istituto de quo non si trasformasse in una formidabile trappola.
Le mie riflessioni traevano spunto da Cass., ord., 22 febbraio 2018, 4366[3], avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 1-bis d.l. 64/1999 (recante la «Disciplina transitoria per i termini di deposito della documentazione prescritta dal secondo comma dell’art. 567 c.p.c.»), introdotto in sede di conversione ad opera della l. 34/1999, che così dispone: «per i procedimenti esecutivi pendenti alla data dell’8 settembre 1998, anche se dichiarati estinti per effetto dell’art. 1 della l. 3 agosto 1998, 302, in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell’art. 2945 c.c., l’effetto interruttivo della prescrizione rimane fermo fino alla dichiarazione di estinzione e il nuovo periodo di prescrizione inizia a decorrere dalla data di tale dichiarazione».
Con quell’ordinanza, la sesta sezione della Suprema corte, dopo aver richiamato Cass. 11 ottobre 2006, 21733[4] (unico precedente edito in materia) – che aveva statuito come l’effetto interruttivo di cui all’art. 1-bis cit. operasse con riguardo a tutti i pignoramenti immobiliari pendenti all’8 settembre 1998, a prescindere dal motivo posto a base della mors litis –, si era limitata ad appurare che il pignoramento immobiliare della cui estinzione si discuteva era pendente all’8 settembre 1998. Di qui la deduzione che, nel caso di specie, trovasse senz’altro applicazione l’art. 1-bis cit. e che quindi il ricorso andava dichiarato, ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., inammissibile.
In quelle mie pagine, nel manifestare forti e motivate perplessità in ordine alla circostanza che una sola pronuncia potesse integrare, come invece sostenuto dalla S.C., gli estremi dell’orientamento di cui discorre l’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., sottolineavo che il corretto governo della logica del precedente sottesa alla norma testé richiamata impone che la sezione «filtro», vuoi per evitare pericolosi disorientamenti giurisprudenziali, vuoi perché la propria decisione non è suscettibile di gravame (se non ex art. 395, n. 4, c.p.c.)[5], in ogni caso debba: i) entrare nel merito della questione, accertando incidentalmente e ai limitati fini dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., lo svolgimento dei fatti; ii) verificare che il precedente richiamato si attagli alla fattispecie concreta dedotta in giudizio; iii) e, soprattutto, dare conto di questa attività di accertamento e comparazione nella motivazione che, seppur succinta, dev’esser chiara e comprensibile, allo scopo di dimostrare che il provvedimento reso non sia frutto di arbitrio.
Cass. 4366/2018 si prestava in modo eccellente a sostenere le mie idee in ragione del significativo ed inspiegabile contrasto fra la disarmante essenzialità dell’iter logico ivi seguìto (nonché delle ragioni addotte) dalla S.C. e la complessità della norma da applicare. Una complessità che discendeva non già dal tenore letterale dell’art. 1-bis cit., invero assai piano e univoco, bensì dall’insidioso susseguirsi e sovrapporsi di novelle (tutte prive di disciplina transitoria) che, ruotando attorno alla prima riforma dell’art. 567 c.p.c., avevano inciso sul campo di azione dell’art. 1-bis cit.
Sta di fatto che, in oltre vent’anni di vita di questa tormentata disposizione, sino a poco tempo fa si aveva notizia di sole tre pronunce, tutte di legittimità (Cass. 4366/2018 e Cass. 21733/2006, in precedenza richiamate; e Cass., ord., 9 maggio 2019, 12239[6]) e prive di indicazioni rispetto ai confini operativi della norma in esame.
Del tutto inaspettatamente, pochi giorni or sono mi è stata cortesemente recapitata Trib. Foggia 10 settembre 2020, n. 1133 che, affrontando funditus e con un accurato impianto motivazionale il tema dell’applicabilità dell’art. 1-bis cit., si pone come un prezioso punto di riferimento, vuoi per verificare lo stato dell’arte in subiecta materia, vuoi perché, ad oggi, costituisce l’unico provvedimento di merito edito sull’argomento.
2. Il caso.
Nel caso di specie, il titolo esecutivo era costituito da una sentenza, resa dal Tribunale di Lucera l’1.2.1993, che vedeva i convenuti solidalmente condannati a pagare in favore degli attori una certa somma.
Dalla pronuncia del Tribunale di Foggia si evince che il titolo esecutivo de quo e l’atto di precetto erano stati già notificati il 27.2.1996 agli obbligati, in confronto dei quali l’11.6.1996 era stato pure promosso un pignoramento immobiliare. Sennonché, in quell’occasione, l’espropriazione veniva cancellata e dichiarata estinta «con ordinanza non reclamata resa il 6.10.2008 dal g.e. (ai sensi del vigente art. 631 c.p.c.), senza che fosse stata ordinata la vendita».
In data 30.7-7.8.2014, i creditori, azionando in executivis la medesima sentenza del Tribunale di Lucera, notificavano un nuovo atto di precetto ai debitori. Questi ultimi proponevano opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c. con cui eccepivano la prescrizione del diritto azionato, stante il decorso del termine decennale (ex art. 2953 c.c.) correlato al venir meno dell’effetto sospensivo della prescrizione (di cui all’art. 2945, comma 2, c.c.) a séguito dalla estinzione della precedente procedura esecutiva immobiliare.
Si costituivano in giudizio gli opposti deducendo come l’espropriazione immobiliare avviata nel 1996 fosse, a tutto l’8.9.1998, pacificamente pendente. Pertanto, in ossequio all’art. 1-bis d.l. 64/1999, la prescrizione del diritto di credito, interrotta e sospesa sino alla declaratoria di estinzione, e cioè al 6.10.2008, era cominciata a decorrere nuovamente e per intero da quella data. Ergo, il termine decennale di cui all’art. 2953 c.c. non era ancora spirato.
Il tribunale dauno, con la sentenza in commento, ha affermato che:
i)«con l’art. 2, comma 3, lett. e), 25, d.l. 35/2005, come conv. dalla l. 80/2005, entrata in vigore il 15.5.2005, fu integralmente sostituito l’art. 567 c.p.c., poi immediatamente novellato dall’art. 1, comma 3, lett. l), l. 263/2005, assumendo il contenuto oggi vigente»;
ii)«il nuovo testo dell’art. 567 c.p.c., per espressa previsione di legge (art. 1, comma 6, l. 263/2005 e art. 39-quater, comma 1, d.l. 273/2005, conv., con modificazioni, dalla l. 51/2006), entrò in vigore il 1° marzo 2006 e trovò applicazione anche con riferimento alle procedure esecutive pendenti a tale data; quando tuttavia fosse già stata ordinata la vendita, la stessa avrebbe avuto luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore»;
iii)«nei procedimenti ai quali risultava applicabile il testo attualmente vigente dell’art. 567 c.p.c., non trovava operatività l’art. 1-bisl. 64/1999, legato alla formulazione dell’art. 567 c.p.c. come modificato dall’art. 302/1998» (rectius, dall’art. 1, l. 302/1998);
iv)nel caso di specie, «il pignoramento immobiliare iscritto al n. 128/96 R.G. Es. Imm. Trib. Lucera era stato cancellato e dichiarato estinto con ordinanza non reclamata resa il 6.10.2008 dal g.e. (ai sensi del vigente art. 631 c.p.c.), senza che fosse stata ordinata la vendita»;
v)dal momento che la procedura de qua «risultava retta dall’art. 567 c.p.c. del testo attualmente vigente», l’art. 1-bis non poteva trovare applicazione;
vi)considerato allora che l’ultimo atto interruttivo della prescrizione del diritto di credito portato dal titolo messo in esecuzione doveva «necessariamente farsi risalire al 27.2.1996, data di notificazione dell’atto di precetto prodromico rispetto al pignoramento iscritto al n. 128/96 R.G. Es. Imm. Trib. Lucera (dichiarato estinto il 6.10.2008), ovvero, tutt’al più, all’11.6.1996, data di perfezionamento del predetto pignoramento, in mancanza di atti di costituzione in mora intermedi e/o ulteriori», il diritto azionato con la procedura esecutiva avverso la quale era stata proposta opposizione si era prescritto.
3.Osservazioni e rilievi.
La decisione del Tribunale di Foggia, sorretta da un solido impianto argomentativo, merita incondizionata approvazione e si segnala perché getta finalmente un raggio di vivida luce su una delicata e complessa questione in ordine alla quale la Corte di cassazione aveva, con imperdonabile leggerezza, gettato lunghe ombre col rischio di pericolosi fraintendimenti.
L’art. 1-bis d.l. 64/1999 s’inserisce in un dedalo di norme e novelle che ruota attorno alla prima riforma dell’art. 567 c.p.c. che, nella stesura originaria, stabiliva quanto segue: «decorso il termine di cui all’art. 501, il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la vendita dell’immobile pignorato. // Al ricorso si debbono unire l’estratto del catasto e delle mappe censuarie, i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato e il certificato del tributo diretto verso lo Stato».
In mancanza di un termine perentorio entro cui produrre detta documentazione, i tempi delle espropriazioni immobiliari tendevano inesorabilmente a dilatarsi. Pertanto, allo scopo di porre rimedio a questo inconveniente imputabile ai ritardi delle conservatorie[7], il legislatore modificò l’art. 567 c.p.c., sostituendo il comma 2 con altri tre e ivi stabilendo che il creditore pignorante (o l’intervenuto munito di titolo esecutivo) dovesse depositare la documentazione ipocatastale – a pena di estinzione (ex art. 630, comma 2, c.p.c.) della procedura, rilevabile anche d’ufficio – entro sessanta giorni dal deposito dell’istanza di vendita dell’immobile pignorato (art. 1, l. 302/1998).
La norma, così riformata, entrò in vigore l’8 settembre 1998.
Come correttamente statuito da Cass. 3 aprile 2013, n. 8105 (in Foro it., Rep. 2013, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 59)[8], a mente dell’art. 11 preleggi, il nuovo art. 567 c.p.c. poteva disciplinare esclusivamente le situazioni verificatesi a far tempo dalla sua entrata in vigore e, in mancanza di una disciplina transitoria, le procedure esecutive pendenti, purché l’istanza di vendita fosse stata presentata dall’8 settembre 1998 in poi, con esclusione, perciò, di quelle depositate anteriormente, «anche se non evase, (…), determinandosi per esse l’ultrattività della disciplina previgente, pur quando il giudice dell’esecuzione avesse provveduto vigente il nuovo testo dell’art. 567 c.p.c.».
Il legislatore, resosi conto delle difficoltà applicative della novella, poche settimane più tardi promulgò il d.l. 328/1998, col quale previde quanto segue: «per i procedimenti esecutivi nei quali sia già stata presentata istanza di vendita alla data di entrata in vigore della l. 3 agosto 1998, n. 302, il termine per l’allegazione della documentazione prevista dal secondo comma dell’art. 567 c.p.c. è di giorni centottanta e decorre dalla data di entrata in vigore della predetta legge» (art. 4).
Mi sembra del tutto inutile e ridondante, in questa brevi note, ripercorrere (come ho fatto nel mio scritto richiamato in apertura) le numerose tappe che hanno segnato l’introduzione dell’art. 1-bis cit. e portato all’attuale formulazione dell’art. 567 c.p.c.[9].
Ritengo, invece, che sia più produttivo ribadire quel che dalla mia ricostruzione, ancorché con non poche difficoltà, è emerso, ossia che:
1.l’art. 567 c.p.c., come modificato ex 1 l. 302/1998, disciplinava esclusivamente le situazioni verificatesi a far tempo dalla sua entrata in vigore e, in difetto di una disciplina transitoria, le procedure esecutive pendenti, purché l’istanza di vendita fosse stata presentata dall’8 settembre 1998 in poi (con esclusione di quelle depositate anteriormente, anche se non evase, per le quali si verificava l’ultrattività della disciplina previgente, anche se il giudice dell’esecuzione avesse provveduto sotto il regime del nuovo testo dell’art. 567 c.p.c.);
2.dal 23 settembre 1998, giorno di entrata in vigore dell’art. 4 d.l. 328/1998, il novellato art. 567, comma 2, c.p.c. divenne applicabile a tutte le procedure esecutive immobiliari pendenti all’8 settembre 1998, e dunque anche a quelle nelle quali l’istanza di vendita fosse stata presentata anteriormente, a condizione che su queste ultime non si fosse ancora provveduto;
3.le proroghe dei termini di deposito della documentazione ipocatastale, fissate dall’art. 13-bis 302/1998, introdotto dall’art. 4 d.l. 328/1998 (entrato in vigore il 22 novembre 1998), furono estese a tutti i procedimenti esecutivi immobiliari nei quali l’istanza di vendita fosse già stata presentata all’8 settembre 1998, purché su queste ultime il g.e. non avesse ancora provveduto;
4. a séguito del d.l. 64/1999, fu ritoccato l’art. 13-bis 302/1998, ampliando i termini originariamente previsti e disciplinando i termini di deposito della documentazione ipocatastale nelle procedure con istanza di vendita presentata sino al 31 dicembre 1998 e 31 dicembre 1999. In virtù della infelice formulazione della norma, nei casi in cui, depositata l’istanza di vendita dopo l’8 settembre 1998, il creditore non avesse prodotto la documentazione ipocatastale nei sessanta giorni successivi e tale termine fosse interamente decorso anteriormente al 18 marzo 1999 (data di entrata in vigore del d.l. 64/1999), l’espropriazione era ormai estinta, fatto salvo l’accoglimento di un eventuale reclamo avverso la relativa ordinanza;
5.con l’entrata in vigore dell’art. 1-bisl. 64/1999, l’effetto sospensivo della prescrizione fu fatto salvo, in caso di perenzione, con riferimento a tutte le espropriazioni immobiliari pendenti all’8 settembre 1998, ad eccezione delle procedure già dichiarate estinte al 18 maggio 1999 e di quelle regolate dal testo originario dell’art. 567 c.p.c.;
6.in virtù dell’ultima novella dell’art. 13-bis 302/1998, il termine perentorio di sessanta giorni stabilito dall’art. 567, comma 2, c.p.c. fu esteso a tutte le procedure esecutive con istanza di vendita presentata dopo il 30 aprile 2001;
7.l’art. 567 c.p.c., introdotto col d.l. 35/2005 e succ. modif., entrò in vigore il 1° marzo 2006 e trovò applicazione con riferimento anche alle procedure esecutive pendenti a tale data. Tuttavia, nel caso in cui fosse stata già ordinata la vendita, quest’ultima doveva aver luogo con l’osservanza delle norme anteriori[10];
8.dal 1° marzo 2006, l’art. 1-bisl. 64/1999 operò in via residuale, soltanto in relazione alle espropriazioni immobiliari nelle quali, a quella data, fosse già stata disposta la vendita.
4.Conclusioni.
Rebus sic stantibus, il Tribunale di Foggia mi pare abbia perfettamente colto nel segno laddove ha affermato che, siccome «il pignoramento immobiliare iscritto al n. 128/96 R.G. Es. Imm. Trib. Lucera fu cancellato e dichiarato estinto con ordinanza non reclamata resa il 6.10.2008 dal G.E. (ai sensi del vigente art. 631 c.p.c.), senza che fosse stata ordinata la vendita», quella procedura «risultava retta dall’art. 567 c.p.c. del testo attualmente vigente». Con l’ovvia conseguenza che, in relazione a quella espropriazione, «non (poteva) trovare applicazione l’art. 1-bis d.l. n. 64/1999».
[1] Fuiano, La sezione «filtro» tra esigenze di deflazione, discrezionalità e (dis)orientamenti giurisprudenziali. (La Suprema corte e l’estinzione delle esecuzioni immobiliari pendenti all’8 settembre 1998), in Balena, Trisorio Liuzzi e Impagnatiello (a cura di), Tutela giurisdizionale e giusto processo.Scritti in memoria di Franco Cipriani, Napoli, 2020, II, 849.
[2] Così Cipriani, Un’altra riforma «pubblicistica», in Giusto proc. civ., 2009, 640.
[3] In Giusto proc. civ., 2018, 795, con nota di Pillot, La Cassazione precisa il concetto di «orientamento della giurisprudenza della Corte».
[4] In Foro it., Rep. 2006, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 76.
[5] L’esperibilità del rimedio de quo è stata sancita da Corte cost. 9 luglio 2009, n. 207, in Foro it., 2009, I, 3281, con osserv. di Costantino; in Giur. it., 2010, 627, con nota di Carratta, La Corte costituzionale e il ricorso per cassazione quale «nucleo essenziale» del «giusto processo regolato dalla legge»: un monito per il legislatore ordinario; in Giusto proc. civ., 2009, 1139, con nota di Impagnatiello, Inammissibilità del ricorso in cassazione e revocazione per errore di fatto; e in Riv. dir. proc., 2010, 951, con nota di Romano, L’ordinanza che dichiara l’inammissibilità del ricorso per cassazione è soggetta a revocazione per errore di fatto.
Sulla ricorribilità per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., dell’ordinanza filtro resa in appello ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., v. Cass., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 1914, in Giur. it., 2016, 1371, con nota di Carratta, Le Sezioni Unite e i limiti di ricorribilità in Cassazione dell’ordinanza sul «filtro» in appello, e in Corriere giur., 2016, 1125, con nota di Tiscini, Impugnabilità dell’ordinanza filtro per vizi propri. L’apertura delle Sezioni Unite al ricorso straordinario.
[6] Reperibile per esteso sul portale della Suprema corte in SentenzeWeb. Nella decisione de qua si legge che l’art. 1-bis cit. fu dettato «specificatamente in relazione all’introduzione dell’estinzione per mancato deposito della documentazione ipocatastale, e risulta eccezionalmente derogatoria della disciplina codicistica rispetto a essa generale (Cass. 4366/2018), e come tale non applicabile fuori dello specifico caso cui si riferisce. Si trattò, in effetti, di norma introdotta per bilanciare le esigenze di buona amministrazione della giustizia con quelle riferibili alla tutela del credito, così da bilanciare gli effetti della rilevante novità normativa (Cass. 21733/2006)».
[7] In proposito, v., per tutti, Miccolis, in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani e G. Monteleone, Padova, 2007, 329 ss.
[8] Nella citata pronuncia, il Supremo collegio ha tenuto a segnalare che «il testo dell’art. 567 novellato dalla l. 302/1998, divenne applicabile alle procedure esecutive pendenti alla data di entrata in vigore di detta legge, cioè all’8 settembre 1998, soltanto a far tempo dall’entrata in vigore della disciplina transitoria introdotta dall’art. 4 d.l. 328/1998, conv. con modif. dalla l. 399/1998, e, quindi, ai sensi del suo art. 5, dal 23 settembre 1998, giorno successivo alla pubblicazione del detto d.l. nella Gazzetta Ufficiale. Tale applicabilità rimase confermata anche in sede di conversione del d.l. per effetto della modifica del detto art. 4 e dell’introduzione dell’art. 13-bis l. 302/1998, nonché per effetto delle successive sostituzioni del testo di quest’ultimo da parte di altri dd.ll. fino al d.l. 291/2000, conv. con modif. nella l. 372/2000. Ne deriva che nelle dette procedure le ordinanze di vendita emesse fra l’8 settembre 1998 e il 22 settembre 1998 sulla base di istanze di vendita presentate prima dell’8 settembre 1998, furono legittimamente emesse sulla base del testo previgente dell’art. 567, comma 2, c.p.c.».
[9] Per approfondimenti, sia consentito rinviare a Fuiano, La sezione «filtro», cit., 858 s. e 867 ss.
[10] L’art. 567 c.p.c., come riformato dalla l. 302/1998, fu integralmente sostituito dall’art. 2, comma 3, lett. e), n. 25, d.l. 35/2005, conv. con modif. dalla l. 80/2005, che sarebbe dovuto entrare in vigore centoventi giorni dopo la pubblicazione della legge di conversione (termine poi prorogato al 1° gennaio 2006 dal d.l. 115/2005, conv. con modif. dalla l. 168/2005). A distanza di pochi mesi, la neonata norma fu ritoccata dall’art. 1, comma 3, lett. l), l. 263/2005 che, nel confermarne l’entrata in vigore al 1° gennaio 2006 (poi posticipata al 1° marzo 2006 in virtù dell’art. 39-quater, comma 1, d.l. 273/2005, conv. con modif. dalla l. 51/2006), ne estese l’applicabilità «anche alle procedure esecutive pendenti a tale data», aggiungendo che, tuttavia, nel caso in cui fosse stata «già stata ordinata la vendita, la stessa (aveva) luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore» (art. 2, comma 3-sexies, d.l. 35/2005, introdotto dall’art. 1, comma 6, l. 263/2005).
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