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Sulle relazioni dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione
Di Giuliano Scarselli -
Sommario: 1. Le relazioni dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione. 2. L’art. 68 della legge di ordinamento giudiziario. 3. La nomofilachia e l’indipendenza interna della magistratura. 4. La Magna carta dei giudici e la RaccomandazioneCM/ – Rec 2010 del Consiglio d’Europa. 5. Sulla necessità di approfondire il rapporto tra le relazioni dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione e indipendenza interna dei giudici.
1.L’Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte di Cassazione, ormai da un po’ di tempo, è solito redigere delle relazioni sulle novità normative.
Come esce una nuova legge o un nuovo atto avente forza di legge, attinente anche solo indirettamente al diritto civile o al diritto penale, il Massimario si premura di darne un commento.
Queste relazioni, se non vado errato, sono molto aumentate nel numero in questi anni, e, sempre se non vado errato, direi che l’Ufficio del Massimario ha, nell’anno appena terminato, redatto ben 113 relazioni, l’ultima infatti essendo la relazione n. 113 del 15 dicembre 2022 in tema di novità sul processo di famiglia.
Si tratta, pertanto, di oltre 10 relazioni al mese, se si esclude il mese di agosto, una ogni tre giorni.
Solo con riguardo alla recente riforma del processo civile ricordo, oltre alla relazione menzionata, la relazione n. 96 del 6 ottobre 2022 sul giudizio di Cassazione, la relazione n. 87 del 15 settembre 2022 sul Codice della crisi di impresa, e infine la relazione n. 110 del 1 dicembre 2022 specificamente dedicata alla riforma civile c.d. Cartabia.
Queste relazioni vengono inviate a tutti i magistrati d’Italia, e sono comunque pubbliche, consultabili da tutti, poiché pubblicate nello stesso sito della Corte di Cassazione.
Chi vada infatti su www.cortedicassazione.it, può poi accedere a Recentissime dalla Corte, e lì trova un sotto/settore Relazioni e documenti.
Le relazioni, inoltre, non si limitano ad una esposizione asettica del testo normativo, bensì si cimentano nell’offrire, ove necessario, anche una valutazione interpretativa delle norme.
Credo che il dato non sia controvertibile, e a conferma di ciò mi sia consentito riportare, solo a titolo di esempio, alcuni passi proprio dell’ultima relazione del 2022 sopra richiamata.
Si legge infatti in detta relazione, ad esempio:
– “Si tratta di previsione opportuna, consentendo al tribunale di modulare al meglio l’esercizio della responsabilità genitoriale nella peculiare fattispecie in esame”;
– “Nessuna vis attrattiva potrà, invece, operare in relazione al quinto comma della norma in questione”;
– “Appare quindi corretto ritenere che il procedimento trasferito e il procedimento recipiente mantengano comunque una loro reciproca autonomia processuale, quantomeno relativamente a decadenze e preclusioni già maturate, pur venendo decise dal medesimo giudice.”;
– ”La soluzione prospettata offre altresì un vantaggio di carattere sistematico/organizzativo”, ecc…
Dunque, direi, le relazioni non si limitano ad una esposizione ordinata delle scelte del legislatore, ma danno invece a chi le legga, e più significativamente, la soluzione tra più dubbi interpretativi.
Peraltro, non sono mancati casi nei quali le valutazioni sono cadute non solo su aspetti tecnici, bensì su punti da considerare sensibili, ovvero su questioni nelle quali la interpretazione della legge si fonde con l’ideologia.
In questo ambito, sempre a titolo di esempio, e sempre con riferimento alla relazione n. 113 del 2022, mi riferisco (prendo un caso, ma non è l’unico) al contraddittorio nei giudizi di allontanamento dei minori.
Si trattava di stabilire se in quei procedimenti i genitori sono sempre necessariamente parti del giudizio oppure no, e la relazione ha escluso che i genitori siano sempre e comunque litisconsorti necessari nei procedimenti di allontanamento dei figli.
Si legge nella relazione: “Un altro punto rilevante riguarda le parti da convocare. Richiamato il testo del secondo comma, sembra che il riferimento sia agli esercenti la responsabilità genitoriale dai quali il minore è stato allontanato, e pertanto non necessariamente i genitori (si pensi, a titolo di esempio, ad un allontanamento dagli zii nominati tutori, o dagli adottivi ex art. 44 l. n. 184 del 1983)”. (Relazione n. 113/22, pag. 27).
Dunque, se qualcuno aveva dei dubbi al riguardo, ora invece sa che il contraddittorio si dà con gli esercenti la responsabilità genitoriale, non necessariamente con i genitori.
In buona sostanza, i giudici (e gli avvocati) che leggano le relazioni trovano lì, assai spesso, la risoluzione dei crucci che li preoccupano, senza avere così il peso e la responsabilità di farlo da sé.
Io stesso chiedevo ad un mio collaboratore di scaricarmi qualche commento sulla riforma del processo civile, ed egli mi ha risposto: “le scarico quello della cassazione, è senz’altro il più attendibile”.
Chiesto a qualche amico (anche magistrato) cosa pensasse di queste relazioni, la risposta è stata: “Sono utili”.
2.In verità, però, redigere pareri sulle novità normative non sembra ricomprendersi tra i compiti dell’Ufficio del massimario della Cassazione.
L’ufficio del massimario e del ruolo trova la propria disciplina nell’art. 68 della legge di ordinamento giudiziario; in base a tale norma le attribuzioni dell’Ufficio “sono stabilite dal Primo Presidente della Corte sentito il Procuratore generale” (art. 68, 3° comma r.d. 12/41)[1].
In base al regolamento del Primo Presidente compito del massimario, come peraltro risulta dallo stesso sito della Corte di Cassazione: “è l’analisi sistematica della giurisprudenza di legittimità, condotta allo scopo di creare un’utile e diffusa informazione (interna ed esterna alla Corte di Cassazione) necessaria per il miglior esercizio della funzione nomofilattica della stessa Corte”.
Questa attività si articola, poi, in lettura, selezione e massimazione dei provvedimenti, coincise notizie di decisione, segnalazione dei contrasti, redazione delle relazioni per le sezioni unite, redazione di schede e relazioni informative su richiesta dei presidenti titolari, relazioni periodiche sulle decisioni relative ai principali orientamenti della Corte di Cassazione[2].
Dunque, appunto, si tratta di attribuzioni interne, che l’ufficio del Massimario svolge in ausilio al lavoro dei giudici della Corte di Cassazione, e non in ausilio di tutti i giudici, se non addirittura in soccorso degli avvocati.
Da nessuna parte risulta che l’Ufficio del Massimario possa svolgere attività di interpretazioni della legge, ovvero svolgere compiti che sono propri della funzione giurisdizionale, e quindi propri di ogni singolo giudice.
E, par evidente, una cosa è porre in essere le attribuzioni sopra richiamate in ausilio al lavoro della Corte di Cassazione, altra cosa è redigere relazioni in ausilio a tutti gli operatori del diritto.
3.Ora, la questione che voglio porre è fin troppo evidente: queste Relazioni come si giustificano? Non vi sono dei rischi sull’indipendenza del giudice?
Poiché, par evidente, se l’opinione sulla legge è data dalla dottrina, quella opinione non è mai in grado di limitare l’indipendenza del giudice, visto che nessun giudice è tenuto a seguire il pensiero (peraltro normalmente nemmeno uniforme) della dottrina.
Ma se la Corte di Cassazione, attraverso l’Ufficio del Massimario, si rende essa stessa dottrina, allora lì, a mio parere, il problema si pone, perché quell’orientamento può invece condizionare la libertà dei giudici.
Lo stesso Ufficio del Massimario, il 23 giugno 2022, dettando i criteri generali delle relazioni, ha affermato che esse, di carattere scientifico, hanno il fine di incrementare la nomofilachia e segnalare le criticità.
Ma per incrementare la nomofilachia ci si può spingere fino a questo punto?
Rientra nel concetto di nomofilachia quello di indicare ai giudici (e agli avvocati) i modi con i quali questi devono interpretare la legge?
Può la nomofilachia trasformarsi, poco a poco, nell’idea che tutti devono adeguarsi ai dettati della Cassazione?
In un importante contributo di Giovanni Amoroso, Nomofilachia e Massimario, frutto di un incontro della SSM organizzato il 12 aprile 2017, l’autorevole autore, nel trattare il rapporto tra nomofilachia e stare decisis, sottolineava come, nel nostro sistema, la nomofilachia non possa spingersi fino al vincolo del precedente, poiché, tutto a voler concedere, lo stare decisis ha una forma debole nel nostro ordinamento, ovvero: “debole nel senso che non si arriva ad un vero e proprio sistema di binding precedent” (anche se, aggiungeva l’autore: “il precedente, pur sempre non vincolante, viene presidiato con misure processuali dirette a favorire l’attività nomofilattica della Corte di Cassazione”).
4.Il Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) adottava il 17 novembre 2010 quella che viene denominata la Magna Carta dei Giudici, e in pari data il Consiglio d’Europa approvava la Raccomandazione CM/ – Rec 2010[3].
Il Capitolo III della Raccomandazione è dedicato alla indipendenza interna, e soprattutto per noi rilevano gli artt. 22 e 23.
Si legge nell’art. 22: “Il principio di indipendenza della magistratura presuppone l’indipendenza del singolo giudice nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali. I giudici devono assumere le loro decisioni in modo indipendente ed imparziale e devono poter agire senza alcuna restrizione, influenza indebita, pressione, minaccia o interferenza, dirette o indirette, da parte di qualsiasi autorità, comprese le stesse autorità interne alla magistratura. L’organizzazione gerarchica dei tribunali non deve compromettere l’indipendenza del singolo giudice”; e poi l’art. 23: “I tribunali superiori non devono emanare istruzioni nei confronti dei giudici sul modo in cui questi ultimi devono decidere un determinato affare, tranne che nel quadro di un rinvio pregiudiziale o nella statuizione sulle impugnazioni, nelle condizioni previste dalla legge”.
Orbene, v’è da dubitare che le relazioni dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione rispettino questi principi:
a) se i giudici infatti devono poter agire senza alcuna interferenza, diretta o indiretta, da parte di qualsiasi autorità comprese le stesse autorità interne alla magistratura, par chiaro, al contrario, che se un ufficio dell’organo Supremo di giustizia, ovvero della Corte di Cassazione, indica i modi con i quali le nuove leggi devono essere interpretate e applicate, lì il principio di indipendenza interna rischia di essere minato, poiché i giudici possono ritenere di doversi adeguare alle indicazioni ricevute, e non più provvedere all’interpretazione delle norme secondo scienza e coscienza in forza dell’art. 101, 2° comma Cost.
b) Se, ancora, L’organizzazione gerarchica dei tribunali non deve compromettere l’indipendenza del singolo giudice, allora ne dovrebbe seguire che la funzione di nomofilachia non può spingersi fino al punto di suggerire, fuori da ogni funzione strettamente giurisdizionale, l’interpretazione delle leggi, poiché il rischio, altrimenti, è quello di porsi in contrasto con l’art 107, 3° comma Cost, per il quale “I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzione”.
c) E soprattutto se I tribunali superiori non devono emanare istruzioni nei confronti dei giudici sul modo in cui questi ultimi devono decidere un determinato affare, va da sé allora che la Corte di Cassazione non può comporre relazioni che altro non sono se non indicazioni (e/o se si vuole istruzioni) con le quali, appunto, preferibilmente i giudici devono decidere gli affari che vengono loro affidati.
Ovviamente nessun giudice di merito (e, direi, nessun giudice della cassazione), è tenuto ad adeguarsi alle indicazioni contenute nelle relazioni predisposte dall’Ufficio del Massimario; tuttavia è evidente che per alcuni porsi in contrasto con dette indicazioni potrebbe apparire difficile, per altri sconveniente, e per altri ancora, colti da pigrizia, scomodo.
d) Si aggiunga, poi, che la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui alla legge delega 17 giugno 2022 n. 71 nell’art. 3, 1 comma, lettera h) 1, dispone di: “Prevedere l’istituzione del fascicolo per la valutazione del magistrato (circa) la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle successive fasi o nei gradi del procedimento o del giudizio”.
Così, magari, se a qualche giudice di merito venisse la paura che a non seguire le indicazioni del massimario della cassazione potrebbe essere additato di grave anomalia nella valutazione della sua professionalità, questi subito si vedrebbe costretto a rinunciare alle proprie idee e ad adeguarsi alle indicazioni esistenti.
e) Questi argomenti, sia consentito, mi ricordano Ludovico Mortara, ultimo presidente della Corte di Cassazione di Roma.
Nel 1906 Lodovico Mortara presiedeva la Corte di Appello di Ancona.
Una grande intellettuale di quel periodo, Maria Montessori, con una pubblicazione sul giornale La vita del 1906, invitava le donne ad iscriversi alle liste elettorali poiché la legge non ne faceva divieto, e dieci maestre elementari di Senigallia raccoglievano l’invito.
Sorta controversia, la causa veniva decisa da Lodovico Mortara, il quale, interpretando la legge elettorale di allora e l’art. 4 dello Statuto albertino, riconosceva anche alle donne il diritto di voto.
Chissà che indicazioni interpretative di quelle norme avrebbe dato un ipotetico Ufficio del Massimario; fatto sta che la Cassazione di Roma, adita dalla Procura del Re, l’8 maggio 1907, annullava detta decisione e ordinava la cancellazione dalle liste elettorali delle dieci maestre di Senigallia.
5.Mi permetto infine di ricordare, senza che la cosa possa apparire provocatoria, che l’inserimento del principio di nomofilachia in Costituzione veniva proposto da Piero Calamandrei in seconda sottocommissione con un ipotetico art. 12, 2° comma, per il quale: “al vertice dell’ordinamento giudiziario, unica su tutto il territorio nazionale, siede la Corte di Cassazione, istituita per mantenere l’unità del diritto nazionale attraverso l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale”; ma il progetto trovava opposizione da parte di quasi tutti gli altri componenti della sottocommissione, e tra questi Targetti, Bozzi, Ambrosini, Di Giovanni, Castiglia e altri, tanto che lo stesso Calamandrei, nella seduta pomeridiana del 20 dicembre 1946, a verbale “dichiara di aderire alla proposta di Targetti e di ritirare il capoverso in esame”.
Con discutibile comportamento, però, Piero Calamandrei riproponeva l’idea di costituzionalizzare il principio di nomofilachia all’Assemblea in data 27 novembre 1947, ma Targetti si opponeva di nuovo, ricordava la discussione in sottocommissione, ed esclamava irritato: “L’onorevole Calamandrei si contraddice”.
Calamandrei non insisteva oltre, e l’idea di costituzionalizzare il principio di nomofilachia terminava lì[4].
Ora, è possibile che tutto questo non abbia oggi rilevanza, e penso anch’io, al contrario, che il principio di nomofilachia costituisca invece un valore cardine del sistema giustizia, nel rispetto dell’art. 3 Cost.
Tuttavia, poiché pari valore della giurisdizione è costituito dall’indipendenza del giudice, e considerato che oggi si afferma che nessun diritto è tiranno e tutto deve essere bilanciato, mi chiedo come si bilanci il valore costituzionale della nomofilachia per come esteso fino alle relazioni dell’Ufficio del Massimario, con il valore dell’indipendenza del giudice che è consacrato negli artt. 101, 104, 107 Cost.
Io credo che una discussione su questi temi sia necessaria.
E, sottolineo, credo che questa discussione non riguardi solo i giudici, bensì anche gli avvocati, poiché se i giudici perdono la libertà di determinarsi, l’esercizio della professione forense non ha più senso e non serve più a nulla.
[1] DI IASI, La fata ignorante (a proposito di Ufficio del Massimario e funzione di nomofilachia), in www.questionegiustizia.it
[2] v. infatti il punto n. 60 del Regolamento del Primo Presidente dr. Ernesto Lupo del 7 Maggio 2013.
[3] V. SABATO, Due importanti testi in tema di indipendenza della magistratura adottati dal Consiglio d’Europa, in La Magistratura, 2010, 60 e ss.
[4] V. i verbali dei lavori costituenti, anche in SCARSELLI, Sulla distinzione tra ius constitutionis e ius litigatoris, in wwwquestionegiustizia.it, e in Riv. dir. proc., 2017, 355 e ss.