Sul contraddittorio possibile, dopo la riforma del D.lgs n.149 del 2022. Le proposte di revisione.

Di Dante Grossi -

Sommario: 1. La riforma introdotta dal D.Lgs. n. 149 del 2022: il contraddittorio minore. l’apparente scelta per l’efficienza. La preferenza per la scrittura. L’empatia tra il processo scritto e l’intelligenza artificiale. 2. L’oscillazione del rapporto tra oralità e scrittura. 3. L’art. 127-ter c.p.c.  Prima attuazione della normativa. – 4. I dubbi di incostituzionalità. Proposte di riforma della riforma.

1.La riforma introdotta dal D.Lgs. n. 149 del 2022: il contraddittorio minore. l’apparente scelta per l’efficienza. La preferenza per la scrittura. L’empatia tra il processo scritto e l’intelligenza artificiale.

1.1.Non vi è riforma del processo dall’inizio dello scorso secolo ad oggi[1] che non si sia proposta di accelerare i tempi di durata dei processi giurisdizionali civili[2], di ridurli e di semplificare il rito[3]. Anche l’ultima di queste, introdotta dal D.Lgs. n.149 del 2022, ha coltivato tale aspettativa, ma frettolosamente, con il miraggio dell’efficienza senza costi, così che è oggetto di ampia discussione uno schema di decreto legislativo proposto dal ministero della Giustizia che si pone l’obiettivo di risolvere le difficoltà applicative e i contrasti interpretativi sorti nella fase di prima attuazione della riforma nonché disposizioni di coordinamento alla (e della) legislazione vigente. Questo schema è già oggetto di valutazioni, suggerimenti e proposte di modifica da parte del Consiglio Nazionale Forense con un intervento presentato al Senato della Repubblica il 4 aprile 2024. Tale traccia offerta dal Consiglio non esamina minutamente le modifiche proposte nello schema di decreto modificativo, molte di carattere lessicale, chiarificatorio, o rivolte alla uniformazione della procedura ai nuovi strumenti di accesso informatico[4] (notifiche, deposito di atti e memorie ecc..), ma si concentra su alcune proposte più significative che incidono sui vari gradi del processo e sui riti speciali (il processo di famiglia e quello di lavoro). In generale occorre premettere che nella proposta ministeriale di revisione del D.lgs n. 149 emerge la consapevolezza, che è una confessione, della approssimazione della riforma “Cartabia” e ci si pone l’obiettivo di attualizzare e configurare il processo civile con l’ausilio i nuovi strumenti consentiti dalla digitalizzazione informatica ma non quello di porre rimedio al contraddittorio minore che si è realizzato con la riforma del 2022.

1.2. Il focus della presente riflessione riguarda in particolare la salvaguardia possibile del contraddittorio tra le parti, il ruolo sempre più angusto dell’attività forense, le maggiori difficoltà per gli avvocati e complessità della gestione del contenzioso civile in parallelo con l’ampliamento dei poteri del giudice, che vanno ben oltre le colonne d’Ercole fissate dall’art. 175 c.p.c., rispetto alle quali la bozza di nuovo decreto delegato non incide affatto.

1.3. La riflessione teorica sulla maggiore o minore presenza dell’attività scritta rispetto al contraddittorio orale garantito dall’udienza,[5] non può più essere condotta ragionando sulla maggiore o minore efficacia dei due strumenti o sulla loro attitudine alla valorizzazione del processo, ma sulla prospettiva che queste modalità di relazione delle parti con il giudice aprono in rapporto alla rivoluzione tecnologica in atto. Vi è una empatia istintiva tra l’informatica e il processo scritto, più agevolmente assimilabile dalle previsioni algoritmiche. Come d’altro canto le formule, gli schemi, i campi di possibilità, le opzioni previste e quelle prevedibili, le casistiche elaborate, i casi sintetizzati in massima ecc. inclinano verso la calcolabilità degli esiti e la rapidità della conclusione del processo. In definitiva favoriscono, per quello che interessa nel nostro discorso, la gestione “amministrativa” della lite giudiziaria, che si rivela più agevole perché sono limitate le incognite, costretta nella realtà programmata, distante dalla complessità della vita reale, mai completamente prevedibile perchè al centro si pone la natura dell’uomo e non la rappresentazione a cui ogni rito impone. Tuttavia l’automazione del processo e l’utilizzazione dell’Intelligenza Artificiale, nello sviluppo cercato anche per la decisione della causa, si prospetta come un evidente pericolo per le garanzie processuali, soprattutto per la dimensione umana che queste sorreggono, e per l’attività del giudicare che poggia sulla figura del giudice, sulla sua neutralità, autonomia ed equilibrio, sulla capacità di discernimento delle vicende sottese alla lite, incomprimibili in algoritmi costruiti su memorie di dati e criteri di valore difficilmente decifrabili una volta dettati[6], dei quali è assai complesso il governo[7].

1.4. Si può introdurre il discorso svolgendo gli argomenti con l’esame di due piani: quello, appena accennato, che riguarda alcune riforme introdotte dalla “Cartabia”, e quello degli effetti prodotti sull’attività degli avvocati, dei giudici e degli uffici giudiziari. Si vuole porre rimedio ad alcune delle palesi incongruenze, e in molti casi di significativi errori della riforma di cui al D. Lgs. n. 149 del 2022 che riguardano, tra l’altro, gli artt. 38,127-ter,128,171-bis e ter, 183, 281-decies, 281-duodecies, 281-terdecies, 293, 318, 319, 321, 330, 342, 343, 347, 348, 350, 351, 371, 14, 420, 434, 473-bis e seguenti commi, 480, 488, 489, 492, 499, 518, 521, 521-bis, 543, 557, 618, 634, 638, 645, 648, 660, ecc., del codice di rito. Seguono numerose modifiche alle disposizioni di attuazione della normativa e alcune norme transitorie tra cui quella che stabilisce che esse si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Le importanti proposte di riforma del processo civile, novellato nel 2022, interessano quindi tutto l’assetto del D. Lgs. n. 149. Però, ad una prima analisi, non appaiono particolarmente incisive, come la stessa relazione illustrativa della bozza di riforma riconosce, quando dichiara che si riserva “ad un secondo momento una più compiuta valutazione sul merito delle scelte effettuate in sede di attuazione della delega. Al riguardo, si evidenzia che la legge di delega 26/11/2021 n. 206 consente l’adozione, entro la data del 10/10/2024, di più decreti legislativi correttivi”.

Per sviluppare il tema, sembra utile premettere alcune note sulla struttura della riforma “Cartabia”, ponendo attenzione alle modifiche di carattere generale che riguardano il processo civile in ogni sua fase: in particolare sulla revisione dell’art. 101 del codice e sull’introduzione dell’art. 127 ter cpc[8]. La novella amplia i poteri del giudice di direzione del procedimento e nella configurazione del modulo scritto od orale della fase istruttoria e delinea un processo ordinario ed uno semplificato di cui è difficile apprezzare le differenze e prevedere le sorti della parallela applicazione[9].

Il D.lgs n 149 del 2022, in sintesi estrema, a) modifica l’art. 101, norma cardine a presidio del principio del contraddittorio, nella quale il suo rispetto è assicurato dal giudice che “quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”. La revisione attribuisce nuovi compiti al giudice, che diviene “arbitro”del diritto di difesa di cui accerta l’eventuale violazione e nella direzione del processo; b) accresce il suo ruolo di disciplina ed organizzazione, che prospetta un cambiamento di ottica, per cui l’“amministrazione” del procedimento da parte del giudice da premessa dello jus dicere ne diviene condizione essenziale[10]; c) accentua la scrittura degli atti nelle fasi che precedono la chiusura del processo, disponendo nel contempo che essi siano chiari e sintetici; d) cambia radicalmente la fase introduttiva del processo di primo grado invertendo i termini e quella decisoria.

Di queste modifiche la più rilevante pare proprio quella apparentemente secondaria, concernente il rispetto del principio del contraddittorio, che da regola assoluta e prevalente nel processo civile, viene coerenziata (e limitata) alla (sola) violazione del diritto di difesa, sottomessa alla insindacabile valutazione del giudice. è stato colto in questa riforma l’affermazione del “pregiudizio effettivo” i cui confini non sono determinati a priori ma in relazione agli effetti prodotti. Giustamente Roberta Tiscini rileva che si intende riscrivere il contraddittorio “non avendo il coraggio di riconoscere, come spesso nelle scelte concrete anche quest’ultimo è destinato a cedere nel nome di valori più “elevati”(si veda la ragionevole durata), si conferma apparentemente la sua centralità,ma al contempo se ne descrivono nuovi contenuti, o meglio se ne definiscono diversi (e più limitati confini), in quanto destinato a valere solo al cospetto di una “effettiva” violazione del diritto di difesa.

Si fa così spazio ad un altro principio, anche esso di recente affermazione, ma quanto mai attuale nel contesto eurounitario, “la effettività”; principio la cui presenza e la cui capacità di imporsi finiscono per dominare al punto da prevalere rispetto a qualsiasi valore della regola processuale[11].

La tendenza è nel senso dell’”umiliazione del contraddittorio”[12].

2.L’oscillazione del rapporto tra oralità e scrittura.

 Per inquadrare la riforma introdotta con l’art. 127-ter c.p.c., può essere utile ricordare che nel processo civile italiano, il rapporto tra oralità e scrittura è sempre stato oscillante[13]. Il processo formale nel codice del 1865 costituisce l’archetipo del processo scritto[14]. Nel codice del Regno d’Italia l’art. 162 stabiliva che “qualunque istanza, risposta o atto relativo all’istruzione della causa, sempre che non sia stabilita una forma diversa, si fa per comparsa”. Tutte le questioni, anche di rito, dovevano essere risolte con sentenza ed ogni sentenza poteva essere immediatamente impugnata, dando vita ad un meccanismo in cui le decisioni interlocutorie erano la regola.

In quel codice conviveva con il processo scritto quello sommario, previsto per le controversie a svolgimento rapido, che si condensava in una udienza collegiale. Tuttavia nella prima disciplina di questo processo, l’art. 392 richiamava le regole del processo formale, con la conseguenza che, nato come sommario il processo, tornava ad essere prevalentemente scritto.In questo rito, però, il ruolo degli avvocati era prevalente. I giudici delegavano la raccolta delle prove e risolvevano le questioni con sentenze per ogni vicenda interlocutoria.

Nel 1901, con le riforme introdotte dalle leggi n.107 e n. 230 e i successivi regi decreti emanati nell’anno il processo sommario/formale diviene obbligatorio e così permane, fino al codice vigente, approvato nel 1940.

Ma la prassi in quel periodo ha ridotto il rito ad un meccanismo di istanze e memorie che ne hanno prodotto la farraginosità. Si inserisce proprio in questo quadro la riflessione di Chiovenda, che, già nel 1906 e poi nel 1909, propugna l’introduzione della oralità: “La discussione orale intesa non come declamazione accademica, ma come conciso opporre di ragioni a ragioni, può condurre ad una definizione certamente più pronta e probabilmente migliore di quella maturata nella mente del giudice con la sola scorta delle scritture”[15]. Sulla scorta di questo suggestiva prospettiva si comprende perché a partire dagli inizi del secolo scorso, il canone del processo orale abbia individuato il perno essenziale nell’udienza o, meglio, nel dibattimento che si svolge in quest’ultima.

Si giunge nel 1940 al codice “Grandi”, in cui viene definito un sistema misto, nel quale il procedimento si muove, essenzialmente, tra una udienza e l’altra, con notevole spazio al contraddittorio orale delle parti con il giudice. In questa riforma si delinea un nuovo ruolo: che crea il libro di “disposizioni generali”, assente nel precedente codice, “ come ricordqa Verde[16], “tese a stabilire il potere del giudice nella conduzione del processo e i suoi limiti, essendogli stato affidato “il governo del nuovo processo, l’altissimo ufficio di ausero assertore di una più forte e più piena legalità” ( pgf 11).

Al giudice istruttore il rito affida la raccolta della prova.

Nel 1950, il codice viene modificato dopo che, come è ampiamente noto, la prassi forense aveva mal accettato la struttura prevalentemente orale del procedimento codificata nel 1940.

La legge n 581 del 1950 ha mantenuto la figura del giudice istruttore, reintroducendo la possibilità di impugnazione immediata della sentenza parziale e il reclamo contro le ordinanze istruttorie riguardanti le prove con l’introduzione dell’art. 178 c.p.c. ancora in vigore.

Le successive riforme, del 1999 con la legge n. 353, e del 2009 con la legge n. 69, hanno descritto una parabola verso il modello scritto che si è, al momento, chiusa con la riforma del processo introdotta con il   D. Lgs. n. 149 del 2022.

Se si riflette sul rapporto tra oralità e scrittura[17] emerge nuovamente la prevalenza del secondo modello, cioè dell’orientamento nel quale il rapporto diretto con il giudice viene posto ai margini, privilegiando quello mediato dalla scrittura, guidato da una logica meno ispirata ai principi teorici, sospinta dall’esigenza di accelerazione della procedura e di riduzione dei suoi tempi.

Entrando nell’analisi dei due modelli, in senso generale, è possibile considerare l’oralità come uno strumento in cui lo svolgimento del processo in presenza delle parti e dei loro procuratori davanti al giudice, mediante udienza, risponde ad una funzione di chiarificazione, controllo e guida del magistrato in cui è indispensabile il contatto diretto, perché mediante il contraddittorio realizzato in questa forma si esplica con maggiore efficacia la funzione giurisdizionale. L’oralità viene, per queste ragioni, indicata nel pensiero di Chiovenda, come uno strumento indispensabile per l’incontro, il colloquio e la cooperazione tra le parti e il giudice. Per quanto, nel processo orale sono coessenziali elementi l’immediatezza, intesa come istantaneità, e la concentrazione, come sincopaticità delle varie fasi del processo.

Il modello orale presuppone il contatto fisico tra il giudice e le parti, i testimoni ecc. che tanto più è efficace quanto è garantito dalla presenza dello stesso giudice, vale a dire dalla sua identità fisica. Solo in questo modo l’apprensione a viva voce mantiene nel giudicante una eco significativa non rappresentabile nella scrittura.

Il valore del rapporto immediato, cognitivo e visivo, tra giudice e parti consiste nella vicinanza personale, diretta, fisica del giudice nelle vicende umane sottese alla controversia. Questo tipo di rapporto, tra chi deve rendere il giudizio e coloro che, dialetticamente, intendono orientarlo, è più efficace, perchè cognitivamente adeguato, rispetto ad un rapporto a distanza, mediato dalla scrittura degli atti.

D’altro canto un elemento che consente di propendere per il processo scritto rispetto a quello orale è la caratteristica della durevolezza e della sostituibilità del giudice al quale è inizialmente affidata la controversia.

E’ interessante sottolineare che in entrambi questi elementi è sottesa la questione del tempo, così che il processo orale in cui siano garantite l’immediatezza e la concentrazione consentirebbe, come era l’auspicio di Chiovenda, una minore durata del processo. Per paradosso questa rappresentazione è ora ribaltata, perché la riforma Cartabia, prospettando la eliminazione di un significativo numero di udienze sostituite dal deposito di note scritte, poggia sulla presunzione che, in questo modo, i tempi processuali saranno più brevi di quelli consentiti da un processo in presenza di parti e giudice.

 E’ evidente altresì che nella scelta tra il canone orale e quello scritto va ad incidere la tipologia dei diritti coinvolti, come nei casi in cui il giudice sia tenuto a decidere questioni concernenti lo status, la famiglia, il lavoro ecc.. Non è secondario che l’art. 127 ter non abbia scalzato le udienze nelle quali le controversie su questa tipologia di diritti entra in gioco.                       

3.L’art. 127 ter c.p.c. Prima attuazione della normativa.

Nel contesto della significativa ristrutturazione del processo operata con la riforma, assieme allo stravolgimento della fase introduttiva del processo e di quella decisoria del giudizio di primo grado, la previsione introdotta con l’art. 127-ter ha inciso profondamente sulle prassi giudiziarie e sulle scelte dell’avvocato. La norma autorizza il giudice a sostituire l’udienza, anche se precedentemente fissata, con il deposito di note scritte delle parti.  Il D. Lgs. del 2022, come è noto, ha aggiunto nell’art. 127 c.p.c., a quanto stabilisce l’art. 175 del codice (che conferisce al giudice “tutti i poteri intesi ad un più sollecito e leale svolgimento del contraddittorio”) che “il giudice può disporre, nei casi e secondo le disposizioni di cui agli artt. 127 bis e 127 ter, che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte”. Il giudice così può intervenire direttamente sul meccanismo che assicura il contraddittorio limitando la presenza diretta delle parti, surrogata dalla scrittura per atti, di cui il legislatore ha anche irrigidito i confini, avendo prescritto nell’art. 121 c.p.c. che “tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico[18].  L’art. 46 delle disposizioni attuative, per elidere il rischio di declaratorie di nullità connesse alla violazione di questi elastici criteri, precisa che il mancato rispetto delle specifiche tecniche e dei criteri e limiti nella redazione degli atti “non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo”. La norma fronteggia con l’esclusione esplicita la prospettiva della invalidità dell’atto conseguente alla violazione della norma. La disciplina è stata completata dal Regolamento del Ministro della Giustizia, introdotto con il decreto del 7 agosto 2023 n. 110, che ha fissato i criteri di redazione, i limiti e gli schemi informatici degli atti giudiziari[19].

La novità della integrazione dell’art. 127 c.p.c.[20] si è subito constatato, non si coglie nella disciplina per lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi ex art. 127 bis c.p.c. in cui il rapporto diretto tra giudice e parti del processo presente nell’udienza pubblica permane, seppure con il diaframma costituito dal collegamento in remoto con strumenti audiovisivi, ma sulla sostituzione delle udienze con note scritte delle parti[21].

La previsione è di importanza pratica e sistematica evidente, perché le norme introdotte, in quanto collocate tra le disposizioni generali del codice di rito, si applicano in tutti i gradi di giudizio come pure nel procedimento cautelare uniforme[22]. Occorre riconoscere che alcune pratiche considerazioni hanno ispirato la riforma come la constatazione che in molte udienze con il vecchio rito non si svolgeva alcuna attività significativa[23], ad esempio quando le parti si limitavano a proporre istanze e conclusioni agevolmente riassumibili con lo scritto[24]. Di conseguenza, nell’intenzione del legislatore l’abolizione dell’udienza consente un alleggerimento del carico di lavoro del giudice e lo snellimento della procedura. Questi propositi si sono condensati in due essenziali scelte: affidare al giudice la possibilità di decidere insindacabilmente le modalità di esplicazione del contraddittorio nella fase successiva alla prima udienza fino all’udienza di rimessione al collegio (art. 189 o 275-bis c.p.c); escludere ogni incisivo rimedio per contestare le sue scelte come si ricava dal fatto che contro il decreto che decide sulla opposizione alla adozione delle note scritte in sostituzione dell’udienza non è previsto alcuno strumento di contestazione.

La riforma con superficialità omette di precisare quali siano le udienze che sopravvivono alle note scritte sostitutive, che si devono ricercare per via di interpretazione tra quelle in cui devono necessariamente essere presenti le parti o i testimoni[25]. Nella bozza di modifica proposta nel 2024 la rigida previsione della norma viene mitigata dalla previsione che “l’udienza non può essere sostituita quando la presenza personale delle parti è prescritta dalla legge o disposta dal giudice”. Interpretando, il riferimento può essere rivolto ai casi di cui agli art. 117, 183, 185, 185-bis c.p.c. (benchè nella relazione illustrativa ci si riferisca ai soli art. 117, 185 e 185-bis). Al secondo comma dell’art. in questione si aggiungerebbe “Nel caso previsto dall’art 128 se una delle parti si oppone il giudice revoca il provvedimento e fissa l’udienza pubblica”. Si sta parlando quindi del solo caso in cui il giudice avesse disposto la trattazione scritta in sostituzione dell’udienza pubblica di discussione. Infine, stabilita la trattazione scritta di quest’ultima udienza, si precisa che “il provvedimento depositato entro il giorno successivo alla scadenza del termine si considera letto in udienza”.  Ci si avvede facilmente della modestia delle modifiche alla norma in esame che mantiene intatta l’opzione discrezionale del giudice per la sostituzione dell’udienza pubblica con la trattazione scritta, in contrasto con le garanzie dell’equo processo e con le indicazioni della giurisprudenza dell’alta Corte europea[26].

Si son immediatamente posti dei problemi per la difesa delle parti e sulle scelte dell’avvocato per adattare la linea di difesa nei margini consentiti dalla scrittura degli atti in vece dell’udienza, in un contesto in cui egli non è più protagonista, come sotto il codice di rito del 1865, della conduzione della controversia.

Per vero l’art. 127 c.p.c., benchè integrato dal riferimento ai nuovi articoli 127 bis e ter, mantiene il principio della priorità dell’udienza rispetto alla trattazione a mezzo di scrittura[27]. Il secondo comma aggiunto all’art. 127 utilizza “può disporre”, anziché “deve”, per la sostituzione dell’udienza. Le note scritte dovrebbero allora costituire una eventualità; un criterio alternativo di contenuta utilizzazione, di svolgere il contraddittorio mediante la trattazione scritta.

Il giudice che decide per le note scritte non è tenuto a giustificare la scelta in questo senso e neppure a motivare il rigetto dell’eventuale opposizione proposta dalle parti. Si realizza una corrispondenza tra la data dell’udienza e quella del provvedimento con cui il giudice fissa il deposito delle note scritte, per collegare il termine concesso per questo deposito con gli effetti conseguenti alla data di udienza, come, ad esempio, il calcolo dei termini stabiliti a ritroso a decorrere dall’udienza. E’oltretutto palese nella nuova disciplina l’intento di emulare l’udienza, come nella previsione del meccanismo di deposito di atti e note e di termini perentori serrati, che richiama assai da vicino il codice del 1865 in cui l’incedere del procedimento era per intero affidato al collegamento dei termini tra un atto e l’altro. E’d’altronde evidente la minore efficacia del meccanismo basato sulle udienze, che soffre di una analoga farraginosità quando le udienze si susseguono senza che in esse venga svolta alcuna attività processualmente rilevante o utile[28].

La prima attuazione della riforma si muove in altro modo, con la repentina sostituzione di molte udienze fissate spesso da lungo tempo con le note scritte; con provvedimenti di trattazione scritta adottati dalle corti di appello che stabiliscono, con un unico provvedimento, quali siano le udienze per molteplici processi da sostituire; la moltiplicazione di provvedimenti ex art. 127-ter nei quali si aggiunge assai sovente alla  indicazione delle note scritte sostitutive il richiamo intimorente alla chiarezza e sinteticità delle stesse fissando i limiti dimensionali di scrittura (pagine, caratteri, ecc…). L’implicito richiamo evocato da questi provvedimenti al rispetto dei canoni di cui all’art. 46 delle disposizioni di attuazione del codice di rito con il memento della sanzione delle spese legali poste a carico, se il difensore sia irrispettoso.

4. I dubbi di incostituzionalità. Proposte di riforma della riforma.

4.1. Sulla incostituzionalità. L’art. 24 Cost. stabilisce: “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Qui la costituzione, non solo per retaggio storico ma per enfatizzare la dimensione del principio, adotta il termine più ampio di “procedimento” rispetto a quello di “processo” o di “giudizio”. Rafforza il precetto l’art. 111 cost. per cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo ed imparziale”. Emerge dai parametri costituzionali che tutte le sequenze interne di ogni stato del processo giurisdizionale devono assicurare la difesa della parte, che implica, ma quasi impone il diritto alla assistenza e alla procura tecnica, che nel diritto contemporaneo delle società civili rappresenta la massima garanzia del diritto di azione e della corretta esplicazione del contraddittorio (art. 82 c.p.c). Per l’avvocato tuttavia non si pone quasi mai, nella prassi operativa, un problema di rappresentanza sul piano soggettivo della parte, ma la questione  dell’adeguatezza degli strumenti processuali a sua disposizione per espletare con efficacia, accuratezza, diligenza e correttezza l’incarico di difesa, utilizzando, nella massima estensione, ogni mezzo previsto dall’ordinamento processuale a garanzia del contraddittorio e della difesa.

In questa prospettiva vale la pena di sottolineare che in relazione all’art. 171 bis c.p.c. la Corte costituzionale è già stata investita della questione di compatibilità con i canoni costituzionali, per i parametri che fissano il rispetto del contraddittorio, considerando che la norma non li rispetta su questioni idonee a determinare la definizione del giudizio, e si è riservata la decisione all’udienza tenutasi il 16/4/2024.

E’ fortemente auspicabile il vaglio della Corte costituzionale anche sulla questione della legittimità dell’art. 127 ter c.p.c., per l’eccessiva limitazione del diritto di difesa e l’ingiustificata compressione del contraddittorio perchè: a) per effetto del provvedimento che sostituisce all’udienza le note scritte, senza che sia consentito, inserire in queste note tutte le difese necessarie che sarebbero state esplicabili qualora si fosse svolta l’udienza davanti al giudice, b) con le note scritte si perde l’immediatezza del rapporto con il giudice e la possibilità di articolare le difese tenendo conto di quanto emerge davanti a lui, in sua presenza, adottando come consente soltanto la forma orale criteri argomentativi, retorici, di convincimento deduttivo, che mal si conciliano con la forma scritta; c) altri dubbi riguardanti la compatibilità costituzionale si potrebbero trarre dall’assenza di motivazione del decreto con il quale il giudice può rigettare l’opposizione al suo provvedimento di opzione per le note scritte.

4.2. La riforma della riforma. A) La riforma legislativa, la cui strada è già intrapresa dal Legislatore con le proposte della sua revisione nello schema del decreto legislativo esaminato salva le disposizioni verso il processo scritto introdotte dalla “Cartabia” su cui si sono concentrate le critiche maggiori del ceto forense. Il CNF, nell’audizione presso il Senato del 4 aprile 2024, pur esprimendo il suo apprezzamento sullo schema in discussione, “poiché meglio coordina le innovazioni disposte dal d. lgs. n. 149/2022 con il tessuto normativo previgente”, sottolinea “che l’opera, non sempre condivisibile nei contenuti, non appare oltretutto completa con conseguente necessità di rimediare alle lacune che si evidenzieranno nel prosieguo prima dell’approvazione definitiva del testo. Immaginare interventi futuri, infatti, finirebbe col determinare un’ulteriore complicazione della legge processuale che – prima che tutte le altre – deve essere caratterizzata da certezza e qualità dei testi, atteso che l’affastellarsi di più discipline intertemporali e le certezze interpretative si traducono seccamente in un processo più lungo e per ciò solo meno equo”.

B) Poiché non è immaginabile, nel presente contesto, l’integrale abrogazione dell’art. 127 terp.c., è auspicabile l’introduzione di una più incisiva forma di controllo e di censura della decisione del giudice che abbia senza motivo esercitato l’opzione per le note scritte in sostituzione dell’udienza. E comunque potrebbe essere chiarito che l’eventuale violazione da parte del giudice del precetto che impone l’udienza quando le parti congiuntamente la chiedono produrrà la nullità dell’intero procedimento.

Nel primo schema legislativo di risoluzione delle criticità della riforma Cartabia, è già previsto di stabilire che la prima udienza di comparizione delle parti non si può svolgere per iscritto, in coerenza con quanto prevede l’art. 183, che fissa l’obbligo di comparizione personale delle parti, consentendo al giudice di conoscere “direttamente” dalle parti le “ragioni” della loro lite ma le modifiche non recepiscono i suggerimenti suggeriti dall’OCF già all’indomani dell’introduzione della novella[29].

C) L’ultima, concreta ma residuale strada è quella dell’interpretazione adeguatrice.

Si tratta di suggerire una interpretazione antiformalistica delle norme introdotte, per favorire sempre il maggiore contraddittorio tra le parti, di consentire che le “istanze e conclusioni” da inserire nelle note scritte di cui all’art. 127 ter non limitino rigidamente il contenuto delle difese che l’avvocato avrebbe potuto svolgere ed articolare qualora si fosse tenuta l’udienza. La norma, cioè, dovrebbe essere interpretata nel senso che le note scritte possano accogliere gli stessi contenuti che sarebbero ospitati da una udienza. In particolare, proprio dall’udienza in concreto sostituita. Se, pertanto, le note scritte, che devono oltretutto rispettare i criteri di sinteticità e chiarezza introdotti dalla riforma come canone generale nell’art 121 cpc, non possono essere ritenute come equivalenti di atti difensivi come le memorie autorizzate, nondimeno devono avere la latitudine del contraddittorio che si svolge in udienza, vale a dire che devono consentire i contenuti difensivi dell’udienza surrogata per iscritto.

Si tratta di contrastare una inevitabile deriva da parte del giudice, di ritenere le istanze e conclusioni di cui all’art. 127-ter come un sintetico e condensato scritto, in cui è assente la motivazione giuridica e la descrizione di fatti rilevanti per la decisione che il giudice dovrà adottare a seguito delle note scritte.

D) Valorizzare il residuo potere delle parti di richiedere, con il consenso di tutte, al giudice l’udienza al posto delle note scritte e di esercitare i più ampi spazi di contraddittorio.

Si tratta di favorire in ogni occasione lo spirito di collegamento tra avvocati, difensori delle parti, per fare in modo che, quando ritengano utile ai fini della difesa il colloquio e l’intervento diretto del giudice, lo svolgimento di un’udienza garantisce, si proponga l’istanza congiunta di trattazione orale, che consente il diritto di replica e di eccezione.

Sotto questo aspetto, il nodo problematico che pongono le norme introdotte è nell’assenza di mezzi di censura effettiva nella decisione del giudice che dispone delle note scritte, perché il meccanismo fissato nella norma di opposizione entro 5 giorni, cui dopo altri 5 giorni segue il decreto del giudice che decide sull’opposizione, non offre alcuno sbocco nel caso in cui questi, peraltro senza alcuna motivazione, rigetti l’opposizione. In questa evenienza l’unico intervento concepibile è quello di incidere sulla normativa mediante la sua abrogazione o modifica, non essendo configurabile una interpretazione che consenta ai difensori delle parti di superare il reticolo fissato dalla norma, attesa la sua specialità.

E) Stimolare i Tribunali e le Corti d’appello ad individuare delle linee guida per i giudici e le sezioni, quantomeno per cercare di uniformare il loro orientamento evitando palesi difformità di decisione in casi del tutto analoghi. Il rischio da scongiurare è che ogni ufficio giudiziario e le relative sezioni, o ciascun giudice adottino criteri non uniformi, confliggenti tra loro, riguardanti l’opportunità delle note scritte al posto delle udienze, con grave danno per l’esercizio del diritto di difesa e la salvaguardia del contraddittorio.

In queste linee guida, gli uffici giudiziari potrebbero indicare con esattezza riguardo ai giudici quali siano le udienze che non possono essere oggetto di sostituzione con le note scritte e così, esemplificando, inserire tra queste l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. nella quale si prevede la comparizione personale delle parti, l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione. Collegata con questa è l’udienza di cui all’art. 185 c.p.c.

Dovrebbero rimanere anche le udienze in cui il giudice è tenuto a verificare la possibilità di un bonario componimento della lite (ex art. 420 c.p.c.) e quella per raccogliere l’interrogatorio formale della parte finalizzato alla sua confessione e, come è ovvio, quella per il giuramento decisorio. Anche le udienze per l’escussione dei testi dovrebbero essere escluse. Nel novero dovrebbe anche essere inclusa quella in cui il consulente tecnico nominato dal giudice accetta l’incarico.

In conclusione, un processo che accorda prevalenza allo scritto, a discrezione del magistrato, nel generale sentire degli avvocati, non soddisfa l’esigenza, cui danno voce le sagge parole di Elio Fazzalari, lontane dalla rigidità formale che l’incombente processo telematico sembra proporre, che vale la pena di rammentare: “Occorre rendere possibile l’incontro, il colloquio, la cooperazione fra le parti e il giudice, durante tutto il corso della causa”. “Tale cooperazione (che non incide di certo sul principio dispositivo) non si può attuare se non attraverso l’impiego dell’oralità. La quale è dunque necessaria nella misura in cui serve al contatto diretto con il magistrato: oralità quindi non come forma prevalente nel processo, ma come strumento per l’esercizio del compito di chiarificazione, controllo e guida da assegnarsi al magistrato[30].

Occorre essere consapevoli dell’obiettivo essenziale per ogni riforma del rito: la struttura del processo civile deve essere adattata alle novità sociali, economiche e tecnologiche mantenendo la natura dialettica del processo e la funzione garantistica associata alla neutralità del giudice ed al pieno esercizio del diritto di difesa. Vale a dire che occorre difendere l’umanità del giudizio e rivendicare gli spazi ineliminabili mantenendo l’indispensabile, ragionevole e proficua collaborazione tra i giudici e i difensori.[31]

[1] Nell’amplissima bibliografia che precede, accompagna e segue le riforme che si sono succedute nel secolo scorso, nel sintetico quadro di queste note, è almeno necessario riferirsi a Fazzalari, “Cento anni di legislazione sul processo civile (1865-1965)”, In Riv. dir. proc. 1965, p.491 ss., e Denti, “Oralità, I) principio dell’oralità – Dir.Proc.Civ.”, in Enc. Giur. It. 1981, p.1 ss.. Sulle riforme del secolo presente v. Costantino, Introduzione al volume La riforma della giustizia civile, 2022, Bari, p.19-37. Sugli 80 anni del codice v. Chizzini, “Il codice italiano di procedura civile negli ottanta anni dalla sua entrata in vigore”, in Judicium 2023, p. 7, sss.

[2] In questa sommaria sintesi è sufficiente ricordare che la Commissione presieduta da Francesco Luiso, nominata dal il Ministero della giustizia per la riforma poi introdotta è stata istituita per la elaborazione di proposte di interventi in materia di processi civili e di strumenti alternativi, allo scopo essenziale di “ridurre i tempi dei processi e ottenere una miglior efficienza dell’amministrazione della giustizia”. La legge delega n. 206 del 2021 all’art. 1, comma 17 ha indicato che il decreto o i decreti legislativi devono introdurre “disposizioni dirette a rendere i procedimenti civili più celeri ed efficienti…” che la relazione illustrativa del D.Lgs. del 10/10/2022 n. 149 ritiene siano state elaborate. Achille Saletti, nella “Prefazione” al volume curato da Antonio Didone e Francesco De Santis “Il processo civile dopo la riforma Cartabia”, Vicenza, 2023, p. XXV e XXVI, enumera, partendo dalla l. n. 353 del 1990, con sconsolata consapevolezza, le riforme che “con ciclica periodicità” si abbattono sul codice di rito. All’esigenza, “strategica” e fondata, della riduzione della durata dei tempi del processo civile per aumentare la competitività economica e così lo sviluppo, l’Autore prende atto della difficoltà palese di “conseguire tale risultato con mere modifiche del modus procedendi”, perché “sono gli interventi strutturali sulla organizzazione giudiziaria quelli che possono essere determinanti per la riduzione dei tempi processuali”. Sono considerazioni che, per il loro evidente fondamento, accompagnano, con costante ripetitività, le riflessioni della grande parte dei giuristi processualisti che osservano con occhi franchi la crisi della giustizia civile italiana. Ricordo le sconsolate note di Giovanni Verde, in Riv. Dir. Proc., 2022, alle quali si associa Cavallone in Riv. Dir. Proc., 2023. Se la celerità e l’efficienza sono gli obiettivi che hanno guidato il legislatore nella scelta di consentire la sostituzione della gran parte delle udienze con le note scritte, il buon esito della riforma, che incide in modo sensibile sullo svolgimento del processo e sulle modalità di difesa, dipende, come ogni altra, dalla sua pratica applicazione di cui si colgono già perplessi esiti.

[3] Costantino, nella “Introduzione”, cit. p.19 – 36, offre un preciso quadro dell’iter formativo e dei contenuti essenziali della l. 26 novembre 2021 n. 206, che ha introdotto i principi e i criteri direttivi della riforma del processo civile attuati dal D.Lgs. n.149 del 10 ottobre 2022. Si offre anche un prezioso memento del contesto in cui si inserisce la riforma. Costantino espone che “nel testo del codice, convivono norme del 1940-1942, del 1950, del 1973, del 1984, del 1990, del 1995, del 1998, del 2001, del 2005, del 2006, del 2008, del 2009, del 2010, del 2011, del 2012, del 2014, del 2015, del 2016, del 2017, del 2019, del 2020, e del 2021, che quindi, attualmente, il codice è l’insieme di tessere di un mosaico”.  L’esigenza della pulizia del sistema e della eliminazione delle contraddizioni frutto dei ripetuti, frammentari ed incoerenti interventi legislativi è esattamente il compito che si è assunto in legislatore delegato con il D.Lgs. n.149.

Efficaci analisi della novella sono svolte da F. De Santis, “Declinazioni e chiaroscuri della riforma Cartabia”, in Il processo civile dopo la riforma Cartabia a cura di A. Didone e F. De Santis, 2023, Milano, p. 3-44 e da Menchini ( in S.Menchini,E. Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, in Riv. Dir. proc.,2023, p.579, ss. L’anticipazione dei temi della riforma è svolta, con originali prospettive, da Tedoldi, Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia. Pisa, 2021.

[4] Su cui Piccininni, Le nuove norme in tema di giustizia digitale, in Riv. dir. proc. 2023, p.1146 ss.

[5]  Su cui ampiamente (con corredo di approfonditi riferimenti) Verde, “Il metodo delle riforme nella giustizia civile. Passato e presente”, pubblicato in Riv. Trim.dir. proc. civ.,2023 ed ora nella raccolta di saggi Sul potere giudiziale e sull’inganno dei concetti,Torino, 2023,p. 3 ss.;Tiscini, “Il ruolo del giudice e degli avvocati nella gestione delle controversie”. Sono interventi svolti al XXXIV convegno nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile,tenutosi a Napoli il 22 e 23 settembre 2023 sul tema: “La riforma della giustizia tra regole della giurisdizione e organizzazione”.

[6] Su cui Lipari, “Diritto,algoritmo,predittività”, In Riv. trim. dir. proc. civ. 2023, p.721, ss.

[7][7] Sul tema A. Panzarola, “Il processo civile e la rivoluzione tecnologica all’alba dell’era dell’Intelligenza Artificiale (considerazioni generali)”, p.799 ss. spec .p. 810-814, Il diritto nell’era digitale, a cura di Rosaria Giordano, Andrea Panzarola, Aristide Police, Stefano Preziosi, Massimo Proto, Milano, 2022.  , Nella raccolta di saggi sono preziose le indicazioni di F. Santagada,“Intelligenza artificiale e processo civile”, p.815-850.

[8] Nella novella vi è solo remota traccia delle soluzioni proposte nel dibattito che si è svolto nel convegno della Associazione dei processualisti italiani del 2017 sul tema “La tutela dei diritti e le regole del processo”, prima della pandemia e del piano di riforma europeo. In quel contesto la discussione si era concentrata sulle prospettive della introduzione di un modello processuale più vicino a quello del rito del lavoro e si orientava sui binari della oralità, da attuare e ricercare con la fase dibattimentale concentrata in una o al massimo due udienze. Si seguiva la prospettiva che era stata recepita nel 1973 dal legislatore dopo un dibattito complesso, acceso e sovente ideologico, articolato sulla attuazione dei classici canoni di concentrazione, immediatezza e oralità nell’intento di ridurre i tempi morti dovuti ad udienze inutili ed a scritture ripetitive. Il percorso non è stato seguito nella riforma Cartabia guidata, come rileva Verde, in “Il metodo…”cit., p.15, dall’“imperativo categorico di rendere possibile un massiccio smaltimento dell’arretrato, la drastica riduzione dei tempi processuali e la disincentivazione del ricorso al giudice per la composizione delle controversie”.

[9] Verde “Riforma Cartabia: tutte le ipocrisie che rischiano di far fallire la novella”, in La Riforma del Processo Civile: l’attuazione, 2023, Milano, p.16-19, che coglie la differenza tra procedimento ordinario di cognizione e quello semplificato nel solo caso che la domanda richieda una istruzione non complessa.

[10] Si sposta il baricentro segnato dall’art.101 cost. per cui la giustizia è “amministrata” in nome del popolo ed è soggetta solo alla legge, verso l’art. 111 cost. che ne esplicita il canone attuativo: il giusto processo regolato dalla legge. Il compito affidato al giudice di accertare e decidere si innerva ora in quello, apparentemente vicario, di direzione del processo.

[11] R.Tiscini,“Ulteriori brevi riflessioni intorno a un discorso interrotto…tra processo, procedimento e judicium…..”, in Judicium, f. 4/2022, p.493 e ss.

Sul rapporto tra effettività della tutela e l’efficienza del processo civile utili riflessioni in Pagni, “Principio di proporzionalità e regole minime, tra rito ordinario, rito del lavoro e tutela sommaria”, in atti del XXXI  convegno nazionale della Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Padova, 2019, p. 123 ss, spec. p.125, ove osserva:“ogni legge processuale deve rappresentare il punto di equilibrio fa l’esigenza di far presto e di fare bene, due esigenze che in ogni campo dell’attività umana assai spesso si trovano in conflitto. La qualità della pronuncia e la durata del processo sono due obiettivi che debbono essere perseguiti entrambi, ma con una certa dose di pragmatismo, occorre fare i conti con la consapevolezza che a qualcosa, inevitabilmente, si deve rinunciare, in una direzione o nell’altra”. Se non che il punto di equilibrio nella riforma Cartabia, come anche nelle modeste modifiche di sostanza in discussione, è inclinato verso la prospettiva dell’efficienza e riduzione dei tempi sacrificando la qualità del giudicare, cioè del giusto processo cui richiama l’art. 111 cost., che poggia sul cardine del contraddittorio pieno e garantito in ogni fase di ciascun rito, ordinario o speciale.

[12] Come incisivamente rileva Sassani in, “La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici” in Riv. Dir. Proc.,I, 2019 ed in Judicium, 2019 par 4. che “consegue alla rigida esclusione degli avvocati da quello che ormai è il procedimento fisiologico della fase decisoria del ricorso” per cassazione, da quando è divenuta nettamente prevalente con la l. 25 ottobre 2016, n. 197 la forma della camera di consiglio senza la partecipazione di avvocato.

[13] Nicola Picardi: “Riflessioni critiche in tema di oralità e scrittura”, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1973, p. 1 ss. Vocino, “Oralità nel processo, Diritto processuale civile”, in Enc. Dir. XXX, 1980, p. 592 ss. Cipriani, “I problemi del processo di cognizione tra passato e presente”, in Riv. Trim Dir. Proc. Civ., 1997, 39 ss.

Sulla oralità è fondamentale il saggio di  Calamandrei, voce Oralità nel processo, in Nuovo Dig. It., IX, Torino, 1940, ora in Opere giuridiche, I, Problemi generali del diritto e del processo, Roma, 2019, 452.

[14] Fazzalari, “Cento anni di legislazione sul processo civile (1865-1965)”,op.cit.,1965, p.491 ss.

[15] Chiovenda, nelle conferenze del 1906 e del 1909 (cui si riferisce la citazione) la prima al Circolo giuridico di Napoli, la seconda al Circolo giuridico di Roma, in “Lo stato attuale del processo civile in Italia e il progetto Orlando di riforme processuali, (1910), Saggi, I, che, “La maggiore rapidità, la maggior facilità d’intendersi reciprocamente, la selezione, che la difesa parlata opera naturalmente nelle ragioni e argomentazioni, facendo sentire l’efficacia delle buone e l’inanità delle cattive, la genuinità dell’impressione di chi ascolta, spiegano l’importanza che il dibattito orale ha nei rapporti pubblici e privati della vita moderna”.

Una analitica ricostruzione storica del dibattito giuridico e dei rapporti tra i processualisti nel periodo 1866-1936 è svolta da Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano, 1991.

[16] Verde “Il metodo..”, cit. p. 4, con l’addentellato che il carattere pubblico del processo dava per sottinteso il monopolio statale della giurisdizione ormai frantumato, come ha chiarito con limpide considerazioni Picardi nel saggio La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, 2007, pag. 105 ss. cui segue la relazione su “La crisi sul monopolio statuale della giurisdizione”, in Atti del XXVI convegno nazionale dell’AISPIC, Bologna, 2011.

[17] Su cui vale la ricordata essenziale ricostruzione di Nicola Picardi: “Riflessioni ..” cit. in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1973, p. 1 ss. Il tema è ripreso e sviluppato da R. Martino in “Il processo civile di fronte all’emergenza: “accelerazione” del rito e tramonto del principio di oralità”, in Il Processo, p 1 ss. spec. P. 10-13. Martino compara in riferimento al principio il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva (art. 24 e 111) cost. garantita dal pieno contraddittorio a tutela dell’interesse individuale e il principio di efficienza del sistema giustizia che opera sul piano dell’interesse generale.

Verde, in “ L’evoluzione del ruolo della magistratura e le ricadute sul nostro sistema di giustizia”, in “Sul potere giudiziale…” cit., p. 52 – 54, ritiene che: “esaltare l’oralità come valore appare impossibile perché i presupposti, già in origine assai problematici, sono venuti meno del tutto. Oggi, abbiamo strumenti che ci permettono di lavorare a distanza anche nell’ambito del processo, come abbiamo potuto constatare in questi tempi di pandemia…”. “Ci sono operazioni che le intelligenze artificiali possono fare senza errori e in tempi più brevi di quelli che ci sarebbero necessari. L’uso di questi strumenti paga tuttavia un prezzo. La rarefazione del rapporto umano e personale tra il giudice, le parti, i difensori e gli altri protagonisti del processo, rischia di trasformare l’attività del giudice in un routinario disbrigo di pratiche senza una, sia pur minima, dose di umana partecipazione alla vicenda giudiziaria. L’uso delle intelligenze artificiali rende seriale la controversia omologando tutto, sulla base di criteri precostituiti, facendo eguale ciò che nel caso concreto può contenere elementi di diversità. E’, pertanto, necessario un accorto dosaggio tra ciò che è bene ed è utile fare, servendosi degli attuali strumenti di collegamento a distanza delle intelligenze artificiali, e ciò che invece va conservato all’imprescindibile rapporto personale tra le persone che partecipano al ‘dramma processuale’”.

[18] Un richiamo che viene ripetuto negli artt. 167,163, 342, 366, 473 bis 12 c.p.c. e nell’art. 46 delle disposizioni di attuazione del codice. Nel regolamento attuativo introdotto con il D. Min. Giustizia del 7 agosto 2023 n. 110 in relazione alle note scritte in sostituzione dell’udienza di cui all’art. 127 ter c.p.c., ha fissato l’esposizione, delle parti private e del pubblico ministero, in “4.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a due pagine”. Mentre le dimensioni degli atti e dei provvedimenti del giudice non hanno limiti definiti ma “sono correlate alla complessità della controversia, anche in ragione della tipologia, del valore del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti”.

[19] Su cui v. Pagni “Chiarezza e sinteticità degli atti e dei provvedimenti nel decreto ministeriale scritto in attuazione dell’art. 46 disp.att. c.p.c.” in Judicium, 2023. L’Organismo Congressuale forense, ribadita la critica all’introduzione del quarto comma dell’art. 46, con cui il legislatore a svelato di reputare casualmente connessa la lentezza dei processi alla lunghezza degli atti difensivi, nel comunicato alla stampa del 30 agosto 2023 sottolinea che la codificazione delle modalità di redazione degli atti processuali, sia con riferimento alla loro dimensione e consistenza che alla scelta dei caratteri, all’interlinea ed ai margini di scrittura, limita il diritto di difesa ed instituisce inaccettabili profili di responsabilità professionale.

[20] Il riferimento, quasi integrale, alla normativa fissata per la situazione emergenziale pandemica (art. 83 d.l. n. 18 del 2020) venuta meno l’esigenza di sicurezza sanitaria, trova adesso giustificazione nella esigenza di porre le condizioni per la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNNR), in cui figura la riforma del processo civile tra gi obiettivi concordati con l’Unione europea per accedere alle risorse economiche messe a disposizione anche per questo fine. La soluzione individuata dalla novella del codice di rito ha esaltato il ruolo del giudice come organizzatore e disciplinatore del processo. La trattazione scritta è stata ritenuta una modalità più rapida ed efficiente di organizzazione per fini di utilità economica. L’applicazione della nuova normativa pone, tra tante, la questione dell’organizzazione degli uffici giudiziari per i provvedimenti che devono concludersi con la lettura della sentenza in udienza, come è nel caso del rito del lavoro.

[21] L’art. 127 ter c.p.c. rimette al giudice di stabilire che l’udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Questa scelta tra udienza e note è interdetta solo se tutte le parti costituite ne facciano richiesta congiuntamente, o quando, pur avendo il giudice sostituito l’udienza con il deposito di note scritte, le stesse parti congiuntamente chiedano che venga fissata l’udienza nel fulmineo termine di 5 giorni dalla comunicazione della sostituzione decisa dal giudice.

[22] Su cui occorre esprimere perplessità circa una conduzione del procedimento cautelare uniforme    esclusivamente per iscritto, nella fase disciplinata dall’art. 669 sexies nel quale il giudice agisce “sentite le parti” e in caso di pronuncia del provvedimento con decreto “fissa l’udienza per la comparizione delle parti dinanzi a sè”.

[23] Luiso, Il nuovo processo civile, Milano, 2023, p. 100.

[24] Nella riforma “Cartabia” si colloca su un piano privilegiato l’esigenza di offrire agli organismi europei che hanno approvato il piano di ripresa e resilienza dell’Italia, l’immagine (o più una suggestione) che il legislatore italiano è incisivamente intervenuto per ottenere la riduzione dei tempi del processo, modificando ed integrando in più parti il codice di rito civile allo scopo di ottenere rapide decisioni, funzionali allo sviluppo economico e alla circolazione dei diritti.

[25] Delle Donne, “Udienze ex art. 127-127 ter c.p.c. p 72  ss., in La riforma Cartabia del processo civile, a cura di Roberta Tiscini, 2023.  Sul tema anche Rusciano, “Modalità alternative di svolgimento dell’udienza: l’udienza da remoto e l’udienza fantasma”, in Dalfino ( a cura di), La riforma del processo civile, p. 57 ss.

[26] Il CSM ha già correttamente esposto nell’audizione al Senato intervenuta il 4 aprile scorso questi rilievi aggiungendo che in tal modo si priva di valore concreto i modelli decisori in cui la pronuncia del provvedimento debba seguire nell’immediatezza della discussione.

[27] Delle Donne, in proposito e per una più ampia esposizione, Delle Donne, “Udienze ex art. 127-127 ter c.p.c. cit. p. 83-85; Mancuso,” Atti processuali, udienze, notifiche” in Il processo civile dopo la riforma Cartabia, a cura di Antonio Didone e Francesco De Santis, Milano 2023, p. 85.

Nell’art. 127 ter la sua sostituzione può essere effettuata solo “se l’udienza non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal PM e dagli ausiliari del giudice”. Si tratta, cioè delle udienze nelle quali non sia ipotizzabile la partecipazione di soggetti diversi da quelli nei cui confronti si esplicano direttamente gli effetti della domanda o che, come per il PM o gli ausiliari, svolgano una funzione pubblica.

[28] Luiso, Il nuovo processo civile, Milano, 2023, p. 37, vede nella riforma introdotta con l’art. 127 ter un rimedio alla preferenza per la decisione a seguito di trattazione orale, che “pone un contrappeso alla scelta,del tutto immotivata, di alcuni magistrati volta a non utilizzare per principio l’udienza a trattazione scritta, costringendo a lunghe e defatiganti attese nei corridoi solo per precisare le conclusioni, oppure chiedere l’ammissione delle prove,oppure ancora chiedere i termini per depositare difese scritte”.

[29] L’OCF ha suggerito, anche modificando in questo senso l’art. 127 ter c.p.c., di inserire la previsione della fissazione di due diversi termini, uno per le note scritte ed un altro per le repliche ai fini dell’equilibrio del contraddittorio. Sempre l’OCF propone di riprendere il testo dell’art. 22 del d.l. n. 34 del 2020, secondo cui le parti possono chiedere loro la trattazione orale (anziché opporvisi) e il giudice debba fissarla anche se la richiesta provenga da una sola delle parti. In definitiva, la tipologia dei diritti coinvolti nella controversia consente di scegliere il modello (scritto o orale) più adatto per la cognizione del giudice. Gli osservatori della Giustizia Civile hanno formulato nell’Assemblea Nazionale del 16-18 giugno 2023 alcune assennate proposte di riforma legislativa o di interpretazione orientata della legislazione introdotta con il D.Lgs. n.149 del 2022 che riprendono quanto suggerito anche dall’Organismo Congressuale Forense, tra cui di emendare l’art. 127 ter al fine di garantire in senso più pieno il contraddittorio, prevedendo la fissazione di un doppio termine per note scritte e per replicare, quella di stabilire che la trattazione orale anche se l’istanza proviene da una sola parte, quella di individuare specificamente le udienze per le quali sia possibile la trattazione scritta. Parrebbe quantomeno tile precisare da parte del legislatore quali siano con certezza le udienze che non possono essere sostituite con le note scritte anche se appare già chiaro che tra queste vi siano quella in cui le parti devono comparire personalmente ( art. 183,185 bis,420 c.p.c.) le udienze per l’espletamento dell’interrogatorio formale e quelle per l’escussione dei testimoni, quella in cui ad esito dell’udienza di discussione il giudice deve dare lettura del dispositivo o esporre le ragioni di fatto o di diritto della decisione. In proposito e per una più ampia esposizione, Delle Donne, “Udienze ex art. 127-127 ter c.p.c. cit.  p. 83-85; Mancuso, “ Atti processuali, udienze, notifiche” in Il processo civile dopo la riforma Cartabia, a cura di Antonio Didone e Francesco De Santis, Milano 2023, p. 85.

[30] Fazzalari, “Cento anni di legislazione. cit., p. 495. Vi è l’eco in queste parole dell’insegnamento, di Salvatore Satta, in Commentario del codice di procedura civile, Napoli, rist. 1966, p.488, per il quale l’udienza costituisce il momento privilegiato tra  le parti e con il giudice, fisicamente e spiritualmente presente, uditore e decisore.

[31] Come ci rammenta Verde, “il metodo…” cit., pagg. 33 e 35.