Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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Il sistema sanzionatorio del mancato rispetto delle misure di contenimento COVID-19 nel decreto legge 25 marzo 2020, n. 19
Il contributo esamina il nuovo sistema sanzionatorio disegnato dal decreto legge n. 19 del 2020 che ha inteso depenalizzare le violazioni delle regole di contenimento (con l’eccezione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus) mettendo in luce come la normativa si presta ad una lettura per cui sarebbe ancora possibile contestare il reato previsto dall’art. 260 del testo unico di legge sanitarie. L’analisi dà conto anche del procedimento di accertamento e di irrogazione delle sanzioni e della disciplina della successione di leggi nel tempo. Un cenno anche alle violazioni commesse da minorenni
Sulla Gazzetta Ufficiale del 25 marzo 2020, n. 79 (edita on line poco prima dello scoccare nella mezzanotte) è stato pubblicato il decreto legge 25 marzo 2020, n. 19 recante Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 che contiene la previsione di un nuovo sistema sanzionatorio del mancato rispetto delle misure di contenimento COVID-19.
L’importanza dell’argomento e l’immediata applicazione della nuova normativa suggerisce l’opportunità di alcune note a prima lettura salvo un successivo approfondimento delle molte questioni che la nuova normativa (e, ancor più, la successione di norme sul tema) solleva.
L’articolo 4 d.l. 19/2020 – Orbene, il nuovo sistema sanzionatorio è previsto dall’articolo 4 del decreto dedicato, per l’appunto, al tema delle sanzioni e dei controlli[1] relativi al rispetto delle norme di contenimento: si tratta della fattispecie che era già regolata dall’art 3, comma 4 del decreto-legge 3 febbraio 2020, n. 6 secondo cui “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale”[2].
La fattispecie sanzionatoria – Iniziamo, quindi, l’esame dal primo comma secondo cui “Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3, e’ punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo”.
L’obiettivo che il legislatore d’urgenza si è prefisso emerge chiaramente: depenalizzare il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3[3].
Al posto della sanzione penale applicabile prima del d.l. 19/2020 (ma sulla corretta individuazione della quale tornerò tra poco) il legislatore ha voluto introdurre la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000.
La scelta di fondo di politica criminale del legislatore d’urgenza è assolutamente condivisibile ed è in linea con i principi che presiedono (o, meglio, dovrebbero presiedere) la scelta del legislatore tra una sanzione amministrativa ed una penale.
Peraltro, come il dibattito che si è sviluppato subito prima del d.l. 19/2020 ha dimostrato, non è detto che la sanzione penale dell’art. 650 c.p. (ovvero quella dell’art. 260 TU Sanitario) fosse una scelta capace di dissuadere maggiormente da quanto avrebbe potuto fare una sanzione amministrativa.
Inoltre – e non può essere sottovalutato – il passaggio dalla sanzione penale a quella amministrativa determina (come vedremo infra) complessivamente un minor carico sull’organizzazione della giustizia (ma anche sull’amministrazione in generale perché per ogni denuncia c’è un flusso informativo di dati e documenti che deve essere assicurato)[4].
Ed infatti, mentre a seguito della contestazione del reato si apriva un procedimento penale che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere definito in qualche modo da parte delle Procure, a seguito della contestazione amministrativa l’onere di attivare un processo si sposta in capo al (presunto) trasgressore secondo il modello del processo di opposizione a sanzione amministrativa[5].
Senonché, la formulazione della norma fa sorgere immediatamente il dubbio che l’obiettivo che il legislatore si è prefisso possa non essere stato raggiunto completamente: il quadro normativo che regola il sistema sanzionatorio si è, in realtà, complicato.
Salvo che il fatto costituisca reato – Ed infatti, la norma inizia con una clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”: ma quale reato potrebbe integrare la condotta consistente nel “mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3”?
… esclusione dell’art. 650 c.p. … – Vediamo prima quali reati “non” potrà integrare sicuramente. Ebbene, quella condotta non potrà integrare la fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 650 cod. pen. dal momento che a ciò osta l’inciso finale del primo periodo del comma 1: “non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale”.
Messo fuori gioco l’art. 650 cod. pen., secondo quello stesso inciso non si applica neppure “ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3”.
… e l’art. 260 TU Leggi sanitarie? …– Tra le norme che possono venire il rilievo troviamo, senz’altro, l’art. 260 regio decreto 27 luglio 1934,n. 1265 (c.d. TU Leggi sanitarie) la cui applicazione, prima dell’entrata in vigore del d.l. 19/2020, era stata da più parti sostenuta come norma da applicare in luogo dell’art. 650 c.p. in forza della clausola di riserva[6].
Peraltro, il comma 7 dell’art. 4 d.l. 19/2020 modifica proprio l’art. 260, comma 1 del TU Leggi sanitarie inasprendo il suo trattamento sanzionatorio passando dall’arresto fino a sei mesi all’arresto da 3 a 18 mesi e ad un’ammenda da euro 500 ad euro 5.000.
Il testo dell’articolo 260 comma 1 del regio decreto 27 luglio 1934,n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie risulta, quindi, alla luce delle modifiche intervenute il seguente: “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto da 3 mesi a 18 mesie con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000”[7].
La questione che si pone allora è quella di sapere se l’art. 260 TU Sanitarie può trovare applicazione e se, sì, a quali fattispecie.
(segue)… per la violazione del divieto dell’art. 1 c. 2 lett. e) – Innanzitutto, l’art. 260 TU Sanitarie sarà senz’altro applicabile alla violazione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus” previsto dall’art. 1 comma 2 lett. e).
In questo senso depone chiaramente il comma 6 dell’art. 4 del d.l. 19/2020 secondo cui “Salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, come modificato dal comma 7”.
(segue)… e per le violazioni delle misure di contenimento? – Oltre alla fattispecie appena esaminata, l’art. 260 TU Sanitarie potrà essere applicato anche all’ipotesi di violazione delle norme di contenimento diversa da quella di cui alla lettera e) del secondo comma dell’art. 1?
A tal fine è necessario partire dall’interpretare l’inciso del primo comma dell’art. 4 secondo cui (oltre alla contravvenzione dell’art. 650 c.p.) non si applica “ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3” .
Ebbene, il primo comma dell’art. 3 individua quale sia il confine di intervento urgente delle Regioni, il secondo riguarda il potere di ordinanza contingibile e urgente dirette a fronteggiare l’emergenza dei Sindaci (che non possono essere adottate “in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1).
Il terzo comma – che qui interessa – prevede che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”
Ecco allora che il comma 3 risolve un’ actio finium regundorum : ogni autorità diversa dallo Stato non può intervenire in materia d’emergenza sanitaria se non nei limiti di cui al comma 1 indipendentemente dalla fonte normativa (qualunque essa sia dice il comma 3) che attribuisca (alla Regione, al Sindaco o a qualunque altra autorità) “il potere per ragioni di sanità”.
Il senso dell’inciso finale del primo comma dell’art. 4 potrebbe, quindi, essere interpretato in questo modo: non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale (e su questo nulla quaestio) ovvero quelle sanzioni che potrebbero essere applicate per la violazione di un ordine dato “per ragione di sanità” di cui all’articolo 3, comma 3 e cioè per qualsiasi ordine dato da Regione, Sindaco o qualunque altra autorità (onde per cui per una violazione di una norma regionale potrebbe scattare solo una sanzione amministrativa).
Ne deriva che nel momento in cui la condotta che viene in rilievo è quella del mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1 la clausola di riserva iniziale dell’art. 4 determina l’applicabilità dell’art. 260 Regio Decreto 27-7-1934 (c.d. TU leggi sanitarie).
Per escludere quest’interpretazione occorrerebbe che il legislatore (magari in sede di conversione) adotti un’interpretazione autentica dell’art. 260 TU Sanitarie secondo la quale quella norma sarebbe applicabile soltanto quando l’ordine legalmente dato si rivolge ad un soggetto determinato[8] e non vengono in rilievo ordini di carattere generale ed astratto come quelli delle misure di contenimento diverse dalla lettera e) del comma 2 dell’art. 1 d.l. 19/2020[9].
… e chi dichiara il falso? – Detto questo La seconda precisazione è che la condotta di chi non rispetta le misure di contenimento è soggetta alla sanzione di cui all’art. 4 comma 1 (quale che sia) anche quando, in sede di controllo, il soggetto abbia prodotto un modulo di autocertificazione[10] dichiarando falsamente ex art. 495[11] cod. pen. di non essere soggetto a nessuna misura o di non essere risultato positivo al test del COVID-19.
In base al modello attualmente in uso (e consultato il 26 marzo 2020 ore 12), infatti, la persona controllata deve dichiarare se è, o no, “sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al COVID-19 di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2020”
In questo caso, in caso di falsa dichiarazione, l’illecito del primo comma dell’art. 4 concorre con il reato essendo l’illecito volto a sanzionare la condotta di aver violato le misure di contenimento ed il reato ex art. 495 cod. pen. essendo volto a sanzionare la diversa condotta di aver dichiarato il falso al pubblico ufficiale.
Il procedimento di irrogazione della sanzione – Una volta chiarito l’ambito di applicazione della nuova sanzione amministrativa dobbiamo esaminare quale sia il procedimento di irrogazione della sanzione previsto dal decreto legge n. 19 del 2020.
Orbene, in base al terzo comma dell’art. 4 “Le violazioni sono accertate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689”: ne deriva che, in assenza di norme derogatorie il procedimento è quello dell’ordinanza-ingiunzione.
La competenza per l’irrogazione spetta al Prefetto per le violazioni delle misure di cui all’articolo 2, comma 1, e, per le sanzioni per le violazioni delle misure di cui all’articolo 3 alle autorità che le hanno disposte.
Una deroga al procedimento della legge n. 689 del 1981 è questa: il decreto prevede che si applicano i commi 1, 2 e 2.1 dell’articolo 202 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di pagamento in misura ridotta anziché l’art. 16 l. 689/1981.
Il richiamo al comma 2.1 consente quindi anche di effettuare il pagamento immediatamente: “qualora l’agente accertatore sia munito di idonea apparecchiatura il conducente [qui il trasgressore, nda], in deroga a quanto previsto dal comma 2, è ammesso ad effettuare immediatamente, nelle mani dell’agente accertatore medesimo, il pagamento mediante strumenti di pagamento elettronico, nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 1. L’agente trasmette il verbale al proprio comando o ufficio e rilascia al trasgressore una ricevuta della somma riscossa, facendo menzione del pagamento nella copia del verbale che consegna al trasgressore medesimo”.
Peraltro, anche a questi procedimenti amministrativi si applica l’articolo 103 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 sulla sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza[12].
Orbene, in assenza di ulteriori norme speciali segue che, diversamente da quanto avviene per le violazioni al codice della strada, chi è incaricato dei controlli effettuerà un accertamento della violazione indicando anche la sanzione rispetto alla quale poter effettuare il pagamento in forma ridotta[13].
Nel caso in cui non vi sia il pagamento in forma ridotta, dopo l’accertamento e la contestazione della violazione – salvo che ex art. 24 legge n. 689/1981 vi sia connessione obiettiva con un reato – gli atti verranno trasmessi al Prefetto.
Entro il termine di trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati potranno far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell’articolo 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità (così il primo comma dell’art. 18 legge 689/1981): è in questa fase, ad esempio, che il presunto trasgressore potrà allegare prove a suo favore che non sia stato possibile mostrare in fase di accertamento.
All’esito del procedimento il Prefetto potrà emettere, se non ritiene fondate eventuali contestazioni degli interessati e, comunque, sussistenti gli estremi della violazione, l’ordinanza- ingiunzione[14] esecutiva che andrà notificata agli interessati.
Quest’ultimi potranno proporre opposizione all’ordinanza ingiunzione in base al combinato disposto degli art. 22 legge 689/1981 e dell’art. 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.
Misure cautelari – In base al comma 4 è possibile che all’atto dell’accertamento delle violazioni ci cui al comma 2, ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l’autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni. Il periodo di chiusura provvisoria e’ scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione”.
In quest’ipotesi ritengo che debba essere applicata analogicamente la possibilità di immediata opposizione che l’art. 19 della legge n. 689 del 1981 prevede per l’ipotesi di sequestro.
Successione di leggi nel tempo – Infine, il comma 8 regola la successione di leggi nel tempo disciplinando gli effetti della depenalizzazione con riferimento ai fatti commessi fino al 25 marzo 2020.
In base a quel comma “Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”[15].
Il decreto prevede anche l’applicazione degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 che regolano, rispettivamente, i procedimenti definiti con sentenza irrevocabile e la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa per il caso in cui gli atti relativi alle violazioni precedenti siano, per così dire, “già alla Procura” in base alla previgente disposizione.
In questi casi (e, cioè, quando l’avvio del procedimento amministrativo origina dalla trasmissione degli atti dalla Procura ex art. 102 d.lgs. 507/1999) il procedimento amministrativo di irrogazione della sanzione amministrativa dovrà prevedere la notifica dell’accertamento al trasgressore, la possibilità dello stesso di depositare memorie nei trenta giorni e di richiedere di essere sentito e, infine, se sussistono tutti i presupposti, l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione[16].
Da ultimo resta da segnalare un caso specifico: quid juris nel caso in cui, prima del decreto legge 19/2020 il procedimento penale riguardava un minorenne oppure sia un minorenne a violare le norme sanzionate in via amministrativa? Ebbene, in questo caso occorre ricordare che ai sensi dell’art. 2 della legge 24 novembre 1981, n. 689, “non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni”.
In questi casi – fermo l’accertamento – “della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”.
[1] Il comma 9 prevede anche 9 che “il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell’interno, assicura l’esecuzione delle misure avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali. Al personale delle Forze armate impiegato, previo provvedimento del Prefetto competente, per assicurare l’esecuzione delle misure di contenimento di cui agli articoli 1 e 2 e’ attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”.
[2] Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 recante Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 all’art. 4 comma 2 aveva quindi previsto che “”.
[3] Conferma l’obiettivo di depenalizzazione il comma 8 dell’art. 4 che regola la successione di leggi nel tempo proprio con riferimento alla parte in cui vengono sostituite sanzioni penali con sanzioni amministrative
[4] Si tenga conto che, secondo i dati del monitoraggio diffusi dal Ministero dell’Interno (e consultabili alla pagina https://www.interno.gov.it/it/coronavirus-i-dati-dei-servizi-controllo), nella giornata del 24 marzo 2020 su 228.057 persone controllate, 8.310 sono state denunciate ai sensi dell’art. 650 c.p.
[5] Inoltre, la sanzione amministrativa consente allo Stato di incamerare più velocemente possibile le somme derivanti dalla violazione delle misure di contenimento: a tal riguardo, se non mi inganno, nulla è detto nel decreto legge sulla destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative (come, viceversa, avrebbe potuto essere sul modello delle sanzioni amministrative per la violazione del codice della strada).
[6] In questo senso, nel vigore della precedente disciplina, e sul presupposto che l’art. 260 TU Sanità fosse più grave dell’art. 650 c.p. ritenevano di dover contestare proprio la contravvenzione di cui all’art. 260 TU Sanità la Procura di Livorno e la Procura di Genova (quest’ultima dopo che, in un primo momento, aveva ritenuto di applicare l’art. 650 c.p. e dopo aver – correttamente – precisato in una propria nota che non si sarebbe potuto procedere al sequestro del veicolo).
[7] Il secondo comma è rimasto invariato prevedendo un’ipotesi di aggravante: “Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria la pena è aumentata”.
[8] In questo senso sembra deporre proprio il contenuto dell’art. 4 comma 6 prima esaminato.
[9] In fondo il dubbio sorge anche perché, tra la poca giurisprudenza che si è formata sull’art. 260 TU Leggi Sanitarie troviamo la sentenza Cassazione penale sez. VI, 22 gennaio 1982, in Dejure secondo cui “Ai fini della applicabilità dell’art. 260 r.d. 27 luglio 1934 n. 1252, per stabilire se un determinato provvedimento possa essere qualificato come ordine occorre riferirsi al suo contenuto intrinseco e al suo aspetto formale, tenendo presente che costituiscono ordini i provvedimenti con i quali la p.a. impone obblighi di dare, di fare o di non fare. (In applicazione di detto principio la Cassazione ha ritenuto che le disposizioni di cui al d.m. 14 novembre 1973 sulla vendita dei molluschi e concernenti i comportamenti da osservare per impedire il sorgere o il propagarsi del colera vadano inquadrati nella categoria degli ordini)”
[10] L’autocertificazione nell’ambito della nostra materia è stata prevista dalla Direttiva ai prefetti per l’attuazione dei controlli nelle “aree a contenimento rafforzato” del 8 marzo 2020: chi scrive rimane perplesso della doverosità di sottoscrivere un’autocertificazione in caso di controllo (con l’eccezione dell’ipotesi – prevista soltanto in un momento successivo – della dichiarazione di non trovarsi nella situazione di divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus) poiché chi procede al controllo è dotato della qualifica di pubblico ufficiale e, quindi, verbalizzerà (oggi nell’atto di accertamento se la violazione dà luogo a sanzione amministrativa) quanto dichiarato. La richiesta di formare un’autocertificazione (fuori dai casi prima ricordati) è semplicemente una forma di semplificazione della verbalizzazione o dell’accertamento (che potrà, quindi, fare riferimento a quanto allegato per relationem) ma non ne può mutare il significato sostanziale e le regole applicabili (sulle quali vedi infra per l’esclusione dei reati di falso circa le affermazioni, ad esempio, di trovarsi in stato di necessità et similia).
[11] A mio avviso l’unica norma sanzionatoria penale applicabile per le false dichiarazioni è l’art. 495 c.p. che, però, punendo “chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona” può astrattamente venire in considerazione soltanto nell’ipotesi di falsa dichiarazione di non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al COVID-19 di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2020 (e, quindi, soltanto dopo che il modulo per l’autocertificazione ha iniziato a contenere questa dichiarazione). In altri e più chiari termini, non può dirsi integrata la fattispecie dell’art. 495 c.p. (e neppure quella di cui all’art. 483 c.p.) nel caso in cui il soggetto dichiari di essere in circolare in stato di necessità per andare a fare la spesa senza essere vero: in questo caso scatta l’illecito (amministrativo o penale poco importa). Quanto detto valeva anche prima della modifica apportata dal decreto legge n. 19/2020.In questo senso mi sembra deponga anche una massima del Tribunale di Napoli secondo cui “Non è integrato il dolo nel reato di falso in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà affermare da parte di un soggetto in semilibertà al direttore del carcere di avervi fatto rientro in ritardo perché trattenuto all’ingresso del penitenziario da un ispettore per i controlli non essendovi la prova della coscienza è volontà dell’imputato di dichiarare certamente una notizia falsa”.
[12] Il testo dell’art. 107 d.l. 18/2020 è il seguente: “1. Ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endo-procedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d’ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, non si tiene conto del periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 aprile 2020. Le pubbliche amministrazioni adottano ogni misura organizzativa idonea ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei procedimenti, con priorità per quelli da considerare urgenti, anche sulla base di motivate istanze degli interessati. Sono prorogati o differiti, per il tempo corrispondente, i termini di formazione della volontà conclusiva dell’amministrazione nelle forme del silenzio significativo previste dall’ordinamento […] 3. Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai termini stabiliti da specifiche disposizioni del presente decreto e dei decreti-legge 23 febbraio 2020, n. 6, 2 marzo 2020, n. 9 e 8 marzo 2020, n. 11, nonche’ dei relativi decreti di attuazione […]”.
[13] Non si sa perché, forse in base ad una valutazione di maggiore pericolosità (nel senso che il veicolo potrebbe essere così inteso perché consente di raggiungere posti più lontani) In base al comma 1 “Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo” (ma nella nozione di veicolo rientra anche, ad esempio, il passeggero dell’autobus).
[14] Si ricordi che in base al comma 5 dell’art. 4 “In caso di reiterata violazione della medesima disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima”.
[15] La normativa sembra conforme agli orientamenti della giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di disciplina transitoria nei casi di depenalizzazione (sul tema si veda C. Cost. n. 68 del 2017).
[16] Differentemente dall’ipotesi base in questo caso “le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”.