Sì al cumulo delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Di Giorgia Alemanno -

1.Il nuovo strumento previsto dall’art 363bis c.p.c. – 2. La vicenda. – 3. La sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione. – 4. Il nodo del divieto dei patti prematrimoniali. – 5. Conclusioni.

 

1.Il nuovo strumento previsto dall’art 363bis c.p.c.

La sentenza in commento rappresenta una delle prime applicazioni dello strumento del rinvio pregiudiziale, introdotto nell’ordinamento dalla riforma Cartabia mediante l’art. 363bis c.p.c[1].  Il novello istituto è volto a fornire al giudice di merito la possibilità, al ricorrere di determinati presupposti, di adire incidentalmente la Suprema Corte al fine di ottenere la risoluzione di una questione “esclusivamente” di diritto, sostanziale o processuale. L’istituto è stato, quindi, immaginato dal legislatore in una prospettiva deflattiva e acceleratoria e, infatti, la ratio dello stesso può essere rilevata nella volontà dell’ordinamento di fornire all’interprete, in tempi relativamente brevi, la chiave per la risoluzione del giudizio di merito, id est, la precisa soluzione della questione di diritto, che permetta di sciogliere i nodi ermeneutici formatisi innanzi giudice a quo, superando così ogni impasse interpretativo senza attendere gli anni necessari per giungere in Cassazione attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione.

Affinché possa essere utilizzato lo strumento in esame occorre che la risoluzione del dubbio interpretativo sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio, che la questione presenti gravi difficoltà interpretative e non sia stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione, e che la stessa sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi. È proprio in ragione di tali stringenti prerogative che, una volta pronunciato il principio di diritto, questo diviene vincolante per il giudice rimettente.

L’eventuale pronuncia del principio di diritto da parte della Cassazione diventa, allora, una species del genus rappresentato dalla generale funzione nomofilattica esercitata dalla Corte, poiché rappresenta uno dei modi attraverso cui questa può assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge”[2].

Il legislatore, nell’introduzione del nuovo istituto nel codice di rito, si è ispirato a simili figure, operanti, da un lato, nel diritto francese, nel diritto dell’Unione Europea e nell’ambito della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, dall’altro, internamente, nel ricorso alla Corte Costituzionale per i giudizi di legittimità costituzionale.

In primo luogo, la relazione della Commissione Luiso[3] si è apertamente ricollegata all’istituto di diritto francese del saisine pour avis à la Cour de cassation nel quale, tuttavia, la Cour de cassation pronuncia il principio di diritto senza alcuna vincolatività per il giudice rimettente[4]. L’istituto nostrano si ispira anche al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia previsto dall’art. 267 TFUE, attraverso cui i giudici nazionali possono – o, talvolta, devono – adire la Corte Europea al fine di ottenere una pronuncia sulla interpretazione dei trattati o sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. Lo stesso meccanismo è previsto nel protocollo numero 16 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, che permette ai giudici nazionali di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per ottenere pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli[5].

 Sul piano nazionale, invece, il rinvio alla Corte Costituzionale appare molto simile al novello istituto in analisi in virtù della possibilità per il giudice a quo, nel rispetto del principio di rilevanza e di non manifesta infondatezza, di chiedere incidentalmente alla Corte Costituzionale una pronuncia sulla legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, sospendendo il processo a quo.

Tutti questi strumenti, evidentemente differenti rispetto alla figura del rinvio pregiudiziale ex art. 363bis c.p.c., quanto a presupposti, struttura o effetti, hanno senz’altro in comune con lo stesso la ratio che li ispira: l’ottenimento celere ed efficiente di un principio di diritto, più o meno vincolante, da parte delle corti supreme nazionali e delle corti internazionali, volto a fornire ai giudici rimettenti una linea interpretativa univoca mediante cui gli stessi possono risolvere il giudizio innanzi a loro pendente. Tale proposito è indubbiamente stato immaginato in ossequio al principio di economia processuale, proprio per evitare l’errata applicazione di una norma da parte del giudice e quindi la pronuncia di una decisione viziata in punto di diritto, che porterebbe le parti ad affrontare un lungo iter processuale, con i relativi tempi e costi, sino ad ottenere la pronuncia dei giudici di legittimità. È in questa prospettiva, allora, che viene in rilievo l’art 363bis c.p.c.

Come è noto, il rovescio della medaglia è rappresentato dal rischio di deresposnabilizzazione del giudice. L’attività giudiziaria, infatti, è naturalmente caratterizzata dal dovere di decidere quale tra più interpretazioni possibili sia preferibile nelle specifiche fattispecie. Sebbene il meccanismo dell’art 363bis c.p.c. possa essere attivato solo laddove i suoi presupposti siano integrati, l’istituto rischia che il giudice si spogli della sua principale funzione ogniqualvolta, in caso di dubbio, egli lasci che sia la Cassazione a decidere, generando così una sorta di effetto boomerang, aggravando e allungando i tempi della giustizia.

Oggi è ancora troppo presto per stabilire se l’istituto abbia avuto l’esito sperato dal legislatore o se sia prevalso l’abuso della figura, tuttavia, nel caso di specie, la Corte di Cassazione, a soli 5 mesi dall’ordinanza di rinvio del Tribunale di Treviso, ha preso posizione su un tema assai dibattuto, così guidando il giudice a quo nella soluzione del caso. A prescindere, dunque, dalla condivisibilità o meno dell’interpretazione fornita dalla Cassazione per il caso di specie che ci si appresta a commentare, si deve rilevare che l’obiettivo di celerità e di speditezza ambìto dal legislatore è stato, per il momento, pienamente raggiunto.

 

2.La vicenda.

La vicenda sottoposta all’attenzione della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione prende le mosse dal ricorso congiunto di due coniugi, i quali avevano adito il Tribunale di Treviso affinché pronunciasse la loro separazione personale e lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio alle medesime condizioni richieste per la separazione[6], ai sensi dell’art. 473-bis.49 c.p.c.

Tale norma, infatti, ha introdotto nel codice di rito uno strumento che prevede la possibilità per il ricorrente, in sede contenziosa, di proporre contemporaneamente alla domanda di separazione personale dal coniuge anche quella di divorzio, procedibile previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione e previo decorso del periodo di tempo previsto dall’art. 3 l. n. 898/1970. Tale formula normativa è stata interpretata con grandi difficoltà dai giudici di merito chiamati ad applicarla, specialmente con riferimento alla possibilità di ampliare il campo applicativo della stessa anche ai procedimenti su istanza congiunta, stante il mancato richiamo dell’art. 473-bis.49 c.p.c. nell’art. 473-bis.51 c.p.c., dedicato espressamente ai procedimenti su domanda congiunta.

Da un lato, infatti, vi era chi guardava con favore la possibilità di cumulare le domande di separazione e divorzio in procedimenti non contenziosi, in ragione di argomenti teleologici, letterali, sistematici e tecnici[7].

Tale filone interpretativo riteneva che la ratio deflattiva alla base del nuovo istituto del cumulo e l’esigenza di economia processuale non avrebbero giustificato una disparità di trattamento tra il cumulo di domande contenziose e non contenziose[8] e ciò anche in ragione del tenore letterale dell’art. 473-bis.51 c.p.c. La norma, infatti, stabilendo che la domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473-bis.47 si debba proporre con ricorso, lascia trasparire l’intenzione del legislatore di ammettere, anche nei procedimenti a istanza congiunta, il cumulo delle domande di separazione e di divorzio[9], ciò perché, qualora il legislatore avesse voluto impedire l’ampliamento dell’art. 473-bis.49 c.p.c. al cumulo di domande congiunte, non avrebbe dovuto esprimersi al plurale riferendosi “ai procedimenti” , ma avrebbe “dovuto utilizzare la locuzione «relativo ad uno dei procedimenti di cui all’art. 473 bis.47»”[10].

Dall’altro lato, invece, si poneva un orientamento più diffidente verso l’applicazione analogica dell’art. 473-bis.49 c.p.c. ai procedimenti su domanda congiunta e ciò anche in ragione di argomenti metodologici-letterali, teleologici, sistematici e tecnici[11]. Oltre alle predette osservazioni, deve rilevarsi che la maggiore critica avanzata da tale indirizzo sfavorevole era rappresentata dalla asserita violazione del divieto, vigente nel nostro ordinamento per mezzo dell’art 160 c.c., di stipulare patti prematrimoniali, nulli per illiceità della causa. Il cumulo delle domande consensuali di separazione e divorzio, come si vedrà meglio infra, porterebbe le parti a disporre di un diritto non ancora venuto ad esistenza prima che si siano avverate le condizioni di procedibilità richieste dall’art 473-bis.49 c.p.c.

Ciò, secondo l’orientamento sfavorevole, avrebbe avuto come diretto effetto quello di lasciare che le parti, ancora sposate al momento della proposizione del ricorso innanzi al Tribunale, disponessero sostanzialmente della loro crisi coniugale, non chiedendo queste ultime soltanto la trattazione congiunta della separazione e del divorzio come avviene in caso di cumulo contenzioso, ma disciplinando loro stesse le condizioni sostanziali dell’uno e dell’altro procedimento, portati innanzi al giudice per ottenere una mera omologazione[12].

Esaminato, dunque, il ricorso e rilevata la sussistenza di tutti i requisiti richiamati dall’art 363-bis c.p.c., con ordinanza del 31 maggio 2023, il Tribunale di Treviso, ha disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Cassazione, al fine di risolvere la questione di diritto relativa all’ammissibilità della domanda congiunta e cumulata di separazione e divorzio[13], in ragione del frammentato e controverso quadro dottrinale e giurisprudenziale in materia.  

Giunta presso la Suprema Corte, la questione è stata esaminata dalla Prima Presidente, la quale, con ordinanza del 14 giugno 2023, ha riconosciuto l’esistenza di gravi difficoltà interpretative sul punto, nonché la rilevanza della questione e la sua suscettibilità di porsi in numerosi giudizi[14], assegnandola alla Prima Sezione Civile per un intervento nomofilattico, vincolante per il giudice a quo.

La Procura Generale, con requisitoria scritta depositata ai sensi dell’art 363-bis co. 4 c.p.c., ha aderito all’orientamento favorevole al cumulo congiunto mediante un motivo letterale e un motivo sistematico.

Quanto al primo, la Procura ha reiterato le osservazioni relative al termine “procedimenti” scelto dal legislatore nell’art. 473-bis.51 c.p.c., che lascerebbe intendere l’applicabilità dell’art. 473-bis.49 cod. proc. civ. sia ai procedimenti contenziosi che ai procedimenti congiunti. Quanto al secondo, invece, l’applicazione estensiva dell’istituto ai procedimenti congiunti è stata ritenuta perfettamente compatibile con la ratio alla base dell’introduzione del cumulo nell’ordinamento. Il risparmio di energie processuali, infatti, ben si coordina con l’accordo delle parti di concentrare e concludere in un’unica sede e con un unico ricorso la negoziazione delle modalità di gestione complessiva della crisi e la definizione, benché progressiva, della stessa[15].

3.La sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione.

Alla luce di tale quadro normativo e interpretativo, il 6 ottobre 2023 la Prima Sezione Civile della Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “[…] è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”[16]. La soluzione è stata adottata in seguito ad una attenta analisi, puntualmente riportata nella sentenza, dei vari profili critici sollevati da dottrina e giurisprudenza.

La Cassazione si è innanzitutto occupata dei profili teleologici, osservando che la ratio dell’art. 473-bis.49 c.p.c., desumibile, come evidenziato anche dal giudice a quo, dalla relazione illustrativa al decreto legislativo n. 149 del 2022, sia da individuare nella volontà di garantire il principio di economia processuale mediante il simultaneus processus, ossia mediante la comune trattazione di cause relative a pretese identiche o implicanti accertamenti di fatto comuni o, comunque, almeno in parte rilevanti per entrambi[17]In effetti, la stessa riforma Cartabia è stata immaginata proprio per esigenze di deflazione, di celerità e di speditezza, come dimostra anche l’unificazione del rito in materia di famiglia. La volontà di perseguire la tanto agognata economia processuale porta l’orientamento favorevole, ormai consolidatosi, a ritenere impossibile la disparità di trattamento tra il cumulo di domande contenziose e non contenziose. La tesi contraria aveva invece sostenuto che, in realtà, il “risparmio di energie processuali” avuto di mira dal legislatore con l’introduzione dell’art. 473-bis.49 c.p.c. non sarebbe riuscito a raggiungere il medesimo risultato in caso di cumulo non contenzioso, stante la diversa natura e funzione del procedimento, ontologicamente più celere in virtù dell’accordo tra le parti[18]. Interpretazione, quest’ultima, non accolta dalla Suprema Corte.

Quanto agli aspetti sistematici, invece, la Corte, nella sua dissertazione, ha sancito l’applicabilità dell’art 104 c.p.c. al caso di specie. È stato rilevato, infatti, che nel cumulo di istanze congiunte di separazione e divorzio sia ravvisabile una connessione soggettiva tra le parti, che consente loro, salvi i limiti di valore previsti dall’art 10 c.p.c., di proporre le diverse domande innanzi al medesimo giudice anche se queste non sono connesse oggettivamente[19] e ciò proprio allo scopo di incentivare il simultaneus processus, in ossequio al principio di economia processuale[20].

Qualcuno ha osservato che se i procedimenti contenziosi sono basati sulla netta distinzione tra attore e convenuto, essendo così più agevole l’individuazione delle parti in causa, ciò non è altrettanto vero nei procedimenti congiunti, ontologicamente sforniti della predetta bipartizione. La Cassazione, tuttavia, ha affermato che tale rilievo non impedisce ai procedimenti congiunti di separazione e divorzio di essere proposti cumulativamente, poiché l’art. 104 c.p.c. tratta di più domande proposte contro “la stessa parte”, non potendosi rilevare ostacoli alla proponibilità in cumulo[21] dei predetti giudizi.

I giudici di legittimità hanno osservato come l’art. 473-bis.49 c.p.c. abbia “normativizzato, in subiecta materia, il cumulo condizionale cd. successivo”, ossia una figura di cumulo “condizionato ex lege”, ove all’attore non sarà dunque richiesto, come normalmente avviene, di condizionare volontariamente ed esplicitamente, la trattazione al passaggio in giudicato della sentenza sulla domanda di separazione e al decorso del periodo di separazione minimo previsto dalla legge[22], essendo questa condizione sottintesa ex lege.

Per di più, la Cassazione ha ravvisato anche la connessione delle domande di separazione e divorzio in punto di causa petendi, poiché entrambe tese a regolare, in successione, la crisi matrimoniale[23]. In ragione della connessione e della unificazione del rito, secondo la Suprema Corte, risulta ancor più agevole immaginare (e disporre) il simultaneus processus (vedasi, in tema di riunione dei procedimenti, art. 40 c.p.c. e artt. 273 e 274 c.p.c.)[24]. Specifica, inoltre, la Corte che il passaggio dalla fase della decisione della domanda congiunta di separazione a quella della trattazione della domanda congiunta di divorzio trova poi disciplina nell’art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c.[25], nella norma, cioè, che permette al collegio, valendosi del potere di separazione di cause precedentemente riunite per ragioni oggettive o soggettive, di pronunciare sentenza solo in relazione ad una delle cause riunite, disponendo, invece, la separazione delle cause ancora pendenti e la loro eventuale ulteriore istruzione.

Per quanto riguarda gli argomenti letterali sollevati, nell’aderire all’orientamento favorevole, i giudici di piazza Cavour, hanno dato atto del dibattito inerente al silenzio serbato dal legislatore all’interno dell’art. 473-bis.51 c.p.c sulla possibilità di cumulare le istanze congiunte di separazione e divorzio. Tale silenzio era stato interpretato da taluni nel senso che “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, e ciò, da un lato, perché nonostante l’unificazione del rito[26], il legislatore aveva tenuto ben distinte le discipline degli artt. 473-bis.49 e 51 c.p.c., dovendosi da ciò dedurre la chiara intenzione dello stesso di escludere il cumulo dei procedimenti congiunti, e, dall’altro, perché il tenore della delega legislativa risalente al 2021 non sembrerebbe favorevole al cumulo ma anzi conterrebbe differenti indicazioni per i ricorsi congiunti[27] e per il cumulo delle domande contenziose[28], quasi rimarcando la differenza di disciplina tra le due tipologie di procedimenti. La Cassazione ritiene, tuttavia, che tale argomento sia troppo debole, al punto da poter essere confutato, con argomenti contrari, parimenti plausibili (quali l’uso del plurale nel disposto dell’art. 473-bis.51 c.p.c.,«…relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47»)[29].

4.Il nodo del divieto dei patti prematrimoniali.

Il serrato dibattito sui caratteri sistematici delle norme in esame e sul loro tenore letterale conduce a risultati differenti, parimenti accettabili, a seconda dell’interpretazione che si accoglie. Il punto che davvero ha acceso la discussione in dottrina e in giurisprudenza e che ha portato i giudici di legittimità a spostare l’ago della bilancia sull’ammissibilità del cumulo delle istanze congiunte di separazione e divorzio ha, in realtà, carattere sostanziale ed è rappresentato dal vigente divieto di patti prematrimoniali, i quali, secondo granitica giurisprudenza, devono essere considerati nulli per illiceità della causa, poiché producono come effetto la coartazione della volontà delle parti in ordine alle decisioni che riguardano lo status familiare, rischiando di trasformare l’intesa tra le parti in una forma di sua commercializzazione[30].

L’articolo 160 del codice civile, infatti, stabilisce che i coniugi non possano derogare ai diritti o ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, nulla disponendo, invece, sulle conseguenze alla violazione di tale divieto, sancite in via interpretativa dalla giurisprudenza[31]. Occorre precisare che per patti prematrimoniali devono essere intesi sia quegli accordi precedenti al matrimonio con cui due soggetti, ancora non coniugati, predeterminino le conseguenze della loro eventuale separazione e del loro eventuale divorzio, sia quelle medesime intese concluse prima che la crisi sorga, da due soggetti già coniugati.

Il predetto divieto si scontra, quindi, con l’autonomia negoziale riservata alle parti in materia di famiglia, riconosciuta attraverso lo strumento della negoziazione assistita, dell’accordo innanzi all’Ufficiale di stato civile e dei procedimenti congiunti[32]. Appare evidente, infatti, come il problema dei patti riguardi soltanto quegli accordi intervenuti prima dell’insorgere della crisi coniugale, non riguardando invece anche le intese a cui le parti tentino di giungere successivamente, come visto incoraggiate dall’ordinamento.

Se, infatti, prima delle recenti riforme, il rapporto tra l’art 160 c.c. e l’autonomia negoziale delle parti era un rapporto di regola-eccezione, oggi il legislatore concede alla seconda uno spazio amplissimo, sia in un’ottica di deflazione del contenzioso innanzi ai tribunali, sia per gli interessi in campo che necessitano spesso di una tutela rapida[33].

Prima della recente pronuncia della Cassazione, due erano gli orientamenti prevalenti sul punto: da un lato vi era chi riteneva che il cumulo delle istanze congiunte di separazione e divorzio avrebbe rappresentato una violazione dell’art. 160 c.c., dall’altro chi, invece, ammetteva il cumulo rilevando nel passaggio in giudicato della sentenza di separazione e nell’obbligatorio decorso del tempo previsto dall’art 3 l. 898/1970 la garanzia al rispetto del dettato dell’art. 160 c.c.

La tesi contraria al cumulo, infatti, aveva rilevato che qualora i coniugi avessero chiesto congiuntamente al giudice di pronunciare il divorzio, a determinate condizioni, con il medesimo atto con cui avevano adito l’autorità per la separazione personale, gli stessi sarebbero stati ancora sposati e la condizione di procedibilità prevista dall’art 3 l. divorzio, non avrebbe potuto considerarsi avverata. Pertanto, le parti si sarebbero ritrovate a disporre di diritti derivanti dal matrimonio, pur essendo ancora sposate[34].

Tale orientamento teneva ben distinta questa ipotesi da quella, ammessa dall’art. 473bis.49 c.p.c., del cumulo contenzioso, ove si osservava invece una totale rimessione al Tribunale quanto allo svolgimento dei due procedimenti, di cui le parti avrebbero chiesto soltanto la trattazione congiunta, null’altro pretendendo da un punto di vista sostanziale. Questo, quindi, sarebbe il discrimen tra i procedimenti contenziosi e i procedimenti congiunti: le parti non chiederebbero soltanto la trattazione congiunta delle cause, ma anche l’omologazione di condizioni sostanziali tra loro pattuite. Non solo, quindi, un accordo sulla forma, ma anche sulla sostanza.

I giudici di legittimità, nella sentenza che si annota, hanno tuttavia aderito alla tesi più permissiva e hanno escluso la violazione del divieto di patti prematrimoniali in caso di cumulo di istanze congiunte di separazione e divorzio.

L’orientamento favorevole a cui ha aderito la Suprema Corte ha rilevato che le parti non disporrebbero contemporaneamente degli status ma chiederebbero al giudice, non diversamente da quanto avviene nel procedimento contenzioso, di pronunciarsi su entrambe le domande, pur avendo sulle stesse già trovato un accordo, lasciando, comunque al tribunale la verifica del rispetto dei tempi previsti dalla legge sul divorzio, dei presupposti processuali e delle condizioni richieste dalla legge.

La Cassazione ha infatti rilevato che sia nei procedimenti contenziosi, di separazione e divorzio, che in quelli congiunti, le parti propongono le proprie domande all’organo giudiziario e formulano le relative conclusioni, non disponendo anticipatamente degli status. L’accordo con cui le parti chiedono congiuntamente al tribunale di divorziare non ha natura negoziale ma meramente ricognitiva, dunque non si porrebbe in contrasto con il divieto di cui al 160 c.c., ma anzi sarebbe compatibile con l’ordinamento. Il giudice, cioè, essendo dotato di poteri decisionali pieni sul punto, non è condizionato dall’intesa raggiunta dai coniugi, ma deve comunque verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio[35]. I giudici di legittimità hanno, dunque, ribadito che l’accordo dei coniugi, in sede divorzile, ha rilevanza negoziale solo per quanto concerne le condizioni inerenti alla prole e i rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, salva l’ipotesi di contrasto delle condizioni stabilite rispetto all’interesse dei figli o rispetto a norme inderogabili[36]. Il fatto, dunque, che le domande dei coniugi siano proposte prima che la sentenza di separazione sia passata in giudicato e che sia decorso il termine previsto dall’art 3 l. 898/1970, non comporta che le stesse abbiano ad oggetto diritti indisponibili. Secondo la Corte si tratterebbe di accordi dei coniugi “sull’intero assetto delle condizioni che regolamenteranno, oltre alla crisi, anche la loro vita futura”, in quanto tali ammessi e sottoposti, comunque, al vaglio del giudice[37].  Tale espressione utilizzata, tuttavia, non appare priva di ambiguità.

Le condizioni del divorzio sono ontologicamente destinate a regolare sia il momento attuale della crisi che la sua evoluzione nel tempo e, dunque, anche quella che la Corte definisce la “vita futura” dei coniugi, a maggior ragione se si tiene conto del regime previsto dalla legge in materia di modificabilità delle condizioni di divorzio in caso di sopravvenienze[38]. L’ordinamento, cioè, ambisce ad una pronuncia di divorzio che sia stabile nel tempo e che permetta alle parti di farvi affidamento senza dover continuamente adire l’autorità giudiziaria. La regolamentazione della “vita futura” non sembrerebbe, dunque, elemento di discernimento tra la tesi che ammette il cumulo e la tesi che lo ritiene contrario al divieto dei patti prematrimoniali.

Un’osservazione però coglie nel segno: se si aderisse alla tesi sfavorevole al cumulo si creerebbe un paradosso difficilmente superabile. Se i coniugi fossero ab origine d’accordo sulle condizioni di separazione e di divorzio non potrebbero chiederne al giudice la trattazione congiunta per via del 473-bis.49, come visto ritenuto applicabile da una parte di giurisprudenza soltanto ai procedimenti contenziosi. D’altra parte, se i coniugi chiedessero al tribunale di cumulare le predette domande nell’ambito di un procedimento contenzioso e trovassero poi nelle more del giudizio un accordo, non vi sarebbero preclusioni alla sua omologazione. Un paradosso evidentemente inaccettabile secondo la Cassazione, che ha dunque parificato le due circostanze, aderendo alla tesi favorevole.

Ulteriore elemento di contrasto tra i vari orientamenti è rappresentato dalla gestione delle sopravvenienze nel caso del cumulo di domande contenziose e congiunte. Se da un lato il legislatore ha introdotto gli artt. 473-bis.19[39] e 473-bis.29[40] c.p.c., dall’altro, ove nulla è stato previsto, la problematica è emersa in ragione del maggiore lasso di tempo intercorrente tra il momento dell’accordo delle parti e la sentenza definitiva[41].

Sul punto, sino alla recente pronuncia della Cassazione, si erano sviluppati due orientamenti.

Da un lato vi era chi riteneva che l’accordo, e dunque il consenso, una volta prestato fosse irrevocabile e dunque vincolante per le parti sino alla sentenza di divorzio[42], dall’altro, invece, si poneva chi riteneva possibile la revoca unilaterale del consenso al divorzio[43].

I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, non si sono discostati dalla linea prevalente, negando, da un lato, la revoca del consenso da parte di uno soltanto dei coniugi in virtù di granitici precedenti giurisprudenziali[44] e ribadendo, dall’altro, il principio rebus sic stantibus quanto alle sopravvenienze. Nella crisi familiare, infatti, ogni decisione deve essere adottata dal giudice tenendo conto dello stato di fatto esistente al momento della decisione, ciò implicando che al mutare delle circostanze che hanno fondato il provvedimento del giudice, le parti hanno il diritto di chiedere modifiche, proprio per preservare l’equilibrio precedentemente raggiunto con l’accordo[45]. In definitiva, dunque, nell’enunciare il principio di diritto secondo cui è possibile il cumulo di istanze congiunte di separazione e divorzio, i giudici di legittimità hanno riconosciuto la stabilità dell’accordo ed hanno escluso la revocabilità del consenso alla base dello stesso, ammettendo, invece, la modificabilità delle condizioni dell’accordo precedentemente raggiunto, in caso di mutamento delle circostanze fattuali che incidano sugli interessi delle parti[46].

5. Conclusioni.

La Suprema Corte ha, quindi, composto il dibattito enunciando un principio di diritto destinato ad avere importanti ripercussioni sulla prassi giudiziaria. L’apertura dei giudici verso l’applicazione del cumulo delle domande di separazione e divorzio anche ai procedimenti congiunti, come osservato da una parte di dottrina[47], oltre che un punto d’arrivo, costituisce anche un punto di partenza.

Il nuovo approccio, come visto, è dettato da esigenze di economia processuale e di deflazione, essendo ormai pacifica la preferenza dell’ordinamento verso pratiche più celeri e snelle, anche a costo di sacrificare taluni diritti, ritenuti soccombenti nel bilanciamento svolto a monte dal legislatore o ex post, come nel caso di specie, dai giudici di legittimità. Come si è già avuto modo di evidenziare[48], tale favore verso una dinamica risoluzione delle controversie si scontra con la ratio alla base dell’istituto della separazione, immaginato proprio per affrontare crisi coniugali temporanee, nell’ottica di riprendere la vita coniugale una volta composti i contrasti.

Oggi, invece, mediante i nuovi strumenti di risoluzione delle controversie e attraverso la possibilità di cumulare alla domanda di separazione anche quella di divorzio, sia nei procedimenti congiunti che nei procedimenti contenziosi, sembrerebbe essersi cristallizzato il superamento dell’originario significato alla base della separazione. L’obiettivo che guida l’ordinamento, oggi, non sembrerebbe più quello di componimento della crisi al fine della ripresa pacifica della vita coniugale, ma piuttosto sembrerebbe quello volto ad una chiusura definitiva e celere del rapporto.

Questa è la ragione per cui molti hanno affrontato il tema dell’abrogazione della separazione personale[49], ormai sostanzialmente priva della sua innata funzione riparativa. A prescindere, tuttavia, dalle riflessioni sull’argomento, di cui eventualmente si occuperà il legislatore, la pronuncia in esame si inserisce in un quadro in continua evoluzione, che si adegua al mutare del tempo e alle nuove esigenze delle parti, trasformatesi negli anni.

[1] Introdotto dal d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 in attuazione dell’art 1 co. 9 lett. g della l. delega n. 206 del 26 novembre 2021.

[2] Art. 65 TU Ord. Giud. Taluni la definiscono come “nomofilachia preventiva”, così E. Scoditti, brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, Quest. Giust., 2021;  sul punto v. Anche A. Briguglio, esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c.,  prima–quinta puntata, in judicium, 22 dicembre 2023.

[3] F. P. Luiso, Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumento alternativi, proposte normative e note illustrative, maggio 2021, pag. 73, par 4.2.

[4] Art 1031-1 du code de procédure civile e L. 441-1 du code de l’organisation judiciaire.

[5] Art 1 co. 1 prot. 16 CEDU.

[6] Ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31/05/2023 con R.G. 2915/2023 – Tribunale di Treviso, pag 3.

[7] Tribunale di Milano, con sentenza del 5 maggio 2023 n. 3542: “Giacché, con il ricorso introduttivo, secondo quanto prevede l’art. 473-bis.49 c.p.c., le parti hanno chiesto anche la cessazione degli effetti civili del matrimonio e l1anno formulato le condizioni connesse a tale pronuncia, non essendo tale domanda ancora procedibile prima che sia decorso il termine indicato all’art. 3, n. 2, lett. b), della legge n. 898/70 e successive modificazioni, la causa deve essere rimessa sul molo del Giudice Relatore affinché questi-trascorsi sei mesi dalla data della comparizione dei coniugi e, quindi, ai sensi dell’art. 127 ter, 5° comma, c.p.c., dalla data di scadenza del termine assegnato per il deposito dì note scritte – provveda ad acquisire, sempre con la modalità dello scambio di note scritte, la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare secondo quanto prevede l’art. 2 della legge n. 898/70. Con le medesime note scritte, le parti dovranno anche confermare le condizioni già formulate con riferimento alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. A tale proposito il Collegio sin da ora ritiene opportuno precisare che la modifica unilaterale di tali condizioni sarà ritenuta ammissibile solo in presenza della allegazione di fatti nuovi ai sensi dell’art. 473-bis.19, 2°comma, c.p.c. In tale ipotesi, se le parti non raggiungessero un nuovo accordo che consenta loro di depositare nuove condizioni congiunte, il Tribunale rigetterà la domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio difettando il requisito della indicazione congiunta delle condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici di cui all’art. 473-bis.51, 2° comma, c.p.c.”; così anche Tribunale di Lamezia Terme, ord. 13 maggio 2023; Tribunale di Genova, verbale della riunione ex art. 47-quater ord. giud. dell’8 marzo 2023; Tribunale di Vercelli, protocollo n. 73/2023 del 15 marzo 2023.

[8] A sostegno di tale orientamento e della centralità del concetto di economia processuale è risultata utile la Relazione illustrativa, la quale prevede che “la possibilità, sia per il ricorrente sia per il convenuto, di proporre contemporaneamente domanda di separazione e di divorzio nel medesimo giudizio, garantirà economie processuali, considerata la perfetta sovrapponibilità di molte delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole) e, pur nella diversità della domanda, la analogia degli accertamenti istruttori da compiere ad altri fini (si pensi alle domande di contributo economico in favore del coniuge e di assegno divorzile per l’ex coniuge), con considerevole risparmio di tempo e di energie processuali”.

[9] F. Danovi, Per l’ammissibilità della domanda congiunta (cumulata) di separazione divorzio (prime riflessioni nell’era della Riforma Cartabia), famiglia e diritto, n. 5/2023, pagg. 489 ss.

[10] S. Occhipinti, Si può presentare domanda di separazione divorzio consensuali in un unico atto? Le prime interpretazioni giurisprudenziali sulla possibilità di cumulo delle domande in caso di ricorso congiunto, in altalex.com, 1 settembre 2023: “il richiamo plurale ai “procedimenti”, lascerebbe intendere l’intenzione del legislatore di ammettere anche nel procedimento consensuale e non solo in quello contenzioso, il cumulo delle domande di separazione e divorzio, qualora infatti il legislatore avesse inteso escludere questa possibilità avrebbe dovuto utilizzare la locuzione “relativo ad uno dei procedimenti di cui all’art. 473bis.47”; sul punto anche R. Donzelli il problema del cumulo delle domande di separazione e divorzio nel procedimento su ricorso congiunto, in Judicium, 29 maggio 2023;

[11] Tribunale di Firenze n. 4458 del 15 maggio 2023: “Ritiene il Tribunale che non vi siano argomenti che autorizzino l’interprete a ritenere che il legislatore abbia voluto superare il principio di indisponibilità succitato e di conseguenza estendere la regola (o comunque la possibilità) del cumulo anche ai congiunti.”; Nota del Presidente del Tribunale di Padova ai Magistrati del settore civile, ai Direttori Amministrativi, alle Cancellerie del settore civile e al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova, in data 7 aprile 2023: “non si reputa ammissibile, in caso di domanda congiunta, il cumulo di domande di separazione e divorzio e quindi l’estensione della disciplina dettata dall’art 473-bis.49 c.p.c. ai procedimenti disciplinati dall’art. 473-bis.51 c.p.c.. Tale conclusione si ritiene sia desumibile sia dalla formulazione letterale dell’art. 473-bis.49 c.p., sia dal principio consolidato in giurisprudenza inerente la pacifica nullità degli accordi divorzili stipulati dai coniugi in sede di separazione personale, invalidità quindi del negozio da tener ben distinta dall’improcedibilità della domanda di divorzio fino al passaggio in giudicato della sentenza di separazione”; Nota del Presidente della I Sezione Civile del Tribunale di Bari, in data 6 aprile 2023 “ad avviso del sottoscritto, confortato dal parere unanime di tutti i colleghi della sezione, espresso nel corso dell’ultima riunione ex art. 47 Ord. Giud., il cumulo è inammissibile perché l’art. 473-bis.51 c.p.c. non prevede una siffatta possibilità, dato che la norma richiama l’art. 473-bis.47 c.p.c. e non l’art. 473-bis.49 c.p.c., che disciplina il cumulo di domande contenziose”; Tribunale di Ferrara, sentenza del 31 maggio 2023, n. 406: “Il fatto che il legislatore delegante abbia utilizzato i termini “ricorrente” e “convenuto” ed abbia posto il criterio di prevedere l’autonomia dei diversi capi della sentenza e di specificare la decorrenza dei relativi effetti (fra cui, maxime, quelli relativi all’assegno di separazione e a quello di divorzio), chiaro indice della volontà di circoscrivere l’istituto del cumolo fra i due giudizi solo a quelli di natura contenziosa. Il legislatore delegato, nel momento in cui ha previsto che la domanda di divorzio possa essere proposta “negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale”, intendendosi per tali il ricorso introduttivo e la comparsa di risposta di cui agli artt. 473- bis.12 e 473-bis.16, ha “ribadito” la scelta per il solo rito contenzioso. Ciò trova ulteriore conferma nel fatto l’art. 473-bis.51, pur mutuando dalla disciplina contenziosa quanto al contenuto del ricorso congiunto e alla documentazione che deve esservi allegata, non contiene alcun richiamo all’art. 473.bis 49. Nessun elemento in favore del cumulo delle domande congiunte di separazione e divorzio può essere, del resto, ricavato dalla relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo ove, nella parte dedicata al commento dell’art. 473-bis. 49, si è precisato che la domanda di divorzio potrà essere decisa dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione e il decorso di un anno (e non anche di sei mesi che è la tempistica del procedimento consensuale) dalla comparizione delle parti di fronte al giudice della separazione.” … “il diritto al mantenimento del coniuge debole viene quindi ritenuto “relativamente” indisponibile nel senso che di esso può disporsi solo nel momento in cui può essere fatto valere, ma non in via preventiva; con la conseguenza che ciascun coniuge può legittimamente rinunciare all’assegno di divorzio al momento della introduzione del relativo giudizio mentre una rinuncia preventiva è ritenuta in contrasto con il divieto di patti prematrimoniali. Orbene, nei procedimenti contenziosi con cumulo della domanda di separazione e di quella di divorzio le parti si limitano a chiedere al giudice di decidere su entrambe previo passaggio in giudicato della prima ed il decorso del termine minimo di legge. Per contro nei procedimenti congiunti le parti dispongono (rectius: disporrebbero) già all’atto del deposito del ricorso, di entrambi gli status e dei connessi diritti con la conseguente loro rinuncia preventiva”.

[12] G. Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, Riv. dir. civ., I, 1996; R. Sacco, Il contratto, Torino, 1975. V. anche Cass., 11 giugno 1981, n. 3777; Cass., 5 dicembre 1981, n. 6461; Cass., 11 dicembre 1990, n. 11788; Cass., 2 luglio 1990, n. 6773; Cass., 1 marzo 1991, n. 2180; Cass., 6 dicembre 1991, n. 13128; Cass., 4 giugno 1992, n. 6857; Cass., 11 agosto 1992, n. 9494; Cass., 28 ottobre 1994, n. 8912; Cass., 7 settembre 1995, n. 9416; Cass., 20 dicembre 1995, n. 13017; Cass., 20 febbraio 1996, n. 1315; Cass., 11 giugno 1997, n. 5244; Cass., 20 marzo 1998, n. 2955; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1810; Cass., 9 maggio 2000, n. 5866; Cass., 12 febbraio 2003, n. 2076; Cass., 9 ottobre 2003, n. 15064; Cass., 25 gennaio 2012, n. 1084; Cass. civ., ord. 28 giugno 2022, n. 20745:  “Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe influenzare il consenso al successivo divorzio”; così anche Cass. civ. 26 aprile 2021 n. 11012 e Cass. civ. 30 gennaio 2017 n. 2224; In favore dei contratti prematrimoniali v. Tribunale di Torino ord. 20 aprile 2012 sez. VII, Pres. Est. Tamagnone: “Ed invero detta norma, secondo cui “gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio” da un lato appare più afferente alla fase per così dire “fisiologica” del rapporto coniugale, dall’altro prova troppo, giacché come è noto a seguito della separazione, nella fase c.d. “patologica” del rapporto coniugale, cessano la maggior parte dei diritti-doveri discendenti dal matrimonio (come il dovere di fedeltà, di coabitazione..) onde non si ravvisano ragioni per ritenere che, al contrario, il diritto-dovere di contribuzione al mantenimento debba invece, necessariamente , permanere intatto e nulla, in relazione ad esso, possa essere convenuto tra le parti”; Per una ricostruzione di tutti i motivi alla base degli orientamenti favorevoli e sfavorevoli al cumulo delle domande consensuali di separazione e divorzio sia permesso il rinvio a G. Alemanno, Rinvio pregiudiziale ex art 363-bis c.p.c. sul cumulo consensuale delle domande di separazione e divorzio, in Judicium, settembre 2023;

[13] Ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31/05/2023 con R.G. 2915/2023 – Tribunale di Treviso, pag 22.

[14] Provvedimento del Primo Presidente del 14 giugno 2023 su ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31 maggio 2023 con R.G. 2915/2023.

[15] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 15.

[16] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 27.

[17] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 16.

[18] Ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31/05/2023 con R.G. 2915/2023 – Tribunale di Treviso, pag. 15; Cfr. C. Cecchella, La babele delle lingue sulla domanda condivisa di separazione e scioglimento del matrimonio formulate in un unico procedimento; sul punto v. R. Donzelli, Il problema del cumulo delle domande di separazione e divorzio nel procedimento su ricorso congiunto, in Judicium, maggio 2023; v. anche A. Neri, Sub art. 473-bis.51, in Provvedimenti relativi alle persone, ai minorenni e alle famiglie, a cura di R. Donzelli e coordinato da G. Savi, Milano, 2023, cap. 4, pp. 387 ss.;

[19] Anche, cioè, se non hanno in comune il titolo, l’oggetto o non sono in rapporto di pregiudizialità-dipendenza. L’art 104 c.p.c., infatti, recita: “Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell’articolo 10 secondo comma”.

[20] In questo senso anche lo Schema di decreto legislativo in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, Relazione illustrativa, pagg. 85 ss.: “la possibilità, sia per il ricorrente sia per il convenuto, di proporre contemporaneamente domanda di separazione e di divorzio nel medesimo giudizio, garantirà economie processuali, considerata la perfetta sovrapponibilità di molte delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole) e, pur nella diversità della domanda, la analogia degli accertamenti istruttori da compiere ad altri fini (si pensi alle domande di contributo economico in favore del coniuge e di assegno divorzile per l’ex coniuge), con considerevole risparmio di tempo e di energie processuali”.

[21] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 19.

[22] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 18; Cfr. Art 3 n. 2) lett. b  l. 898/1970: “b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell’udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la domanda di separazione personale e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta; nella separazione di fatto iniziatasi ai sensi del comma precedente, i cinque anni decorrono dalla cessazione effettiva della convivenza”.

[23] Cfr. F. Danovi, La Cassazione conferma l’ammissibilità del cumulo di separazione e divorzio su domanda congiunta, in Famiglia e diritto, 1/2024, pag. 16: “Giova ricordare, invero, che il codice di rito consente il cumulo delle domande proposte tra le stesse parti anche laddove non vi sia alcun ulteriore elemento di connessione oggettiva (così l’art. 104 c.p.c.). Nel caso di specie, oltre tutto, si può ravvisare finanche una connessione oggettiva tra la separazione e il divorzio, posto che entrambi gli istituti si fondano su una medesima causa petendi, rappresentata dalla crisi familiare che induce i coniugi a richiedere l’allentamento e quindi la definitiva elisione del vincolo matrimoniale”.

[24] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 22.

[25] Id.

[26] Definita dalla Cassazione nella sentenza che si annota come “unico contenitore processuale”.

[27] L. 2016/2021 art. 1 co. 17 lett. o): “prevedere che nei procedimenti di separazione consensuale, di istanza congiunta di scioglimento o cessazione degli  effetti  civili  del  matrimonio le  parti  possono formulare rinuncia alla partecipazione all’udienza, confermando nelle conclusioni del ricorso la volontà di non volersi riconciliare  con  l’altra  parte  purché offrano una descrizione riassuntiva delle disponibilità reddituali e patrimoniali  relative  al triennio  antecedente  e  depositino   la relativa documentazione” e l. 2016/2021 art. 1 co. 23 lett. hh): “introdurre un  unico  rito  per  i  procedimenti  su  domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, modellato sul procedimento previsto  dall’articolo  711 del codice di procedura civile,  disponendo  che  nel  ricorso   debba  essere  contenuta l’indicazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e degli oneri a carico delle parti, prevedendo la possibilità che l’udienza per il tentativo di conciliazione delle parti si  svolga  con modalità di scambio di note scritte e che le parti possano a tal fine rilasciare dichiarazione contenente la volontà di non volersi riconciliare; introdurre un unico rito per i procedimenti  relativi  alla  modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell’articolo 711 del codice di procedura civile, alla revisione delle condizioni di  divorzio ai sensi dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n.  898, e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati, strutturato mediante presentazione di istanza congiunta e successiva decisione da parte del tribunale, prevedendo la fissazione dell’udienza di comparizione personale delle parti nei soli  casi  di richiesta congiunta delle  parti  ovvero  nelle  ipotesi  in  cui  il tribunale ravvisi la necessità di approfondimenti  in  merito  alle condizioni proposte dalle parti”.

[28] L. 2016/2021 art. 1 co. 23 lett. bb): “prevedere che nel processo di separazione tanto il ricorrente quanto il convenuto  abbiano  facoltà di  proporre  domanda  di scioglimento  o  cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio, disponendo che  quest’ultima  sia  procedibile  solo  all’esito  del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia  pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine previsto dall’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto  queste  domande  qualora pendenti  tra  le  stesse  parti  dinanzi  al  medesimo  tribunale, assicurando in entrambi i casi l’autonomia  dei  diversi  capi  della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti”.

[29] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 20.

[30] V. nota n. 7.

[31] Cass. civ., ord. 28 giugno 2022, n. 20745:  “Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe influenzare il consenso al successivo divorzio”; così anche Cass. civ. 26 aprile 2021 n. 11012, Cass. civ. 30 gennaio 2017 n. 2224; Cass. civ., sez. II , 12 gennaio 2016 , n. 298; Cass. 10 marzo 2006, n. 5302; Cass., 18 febbraio 2000, n. 1810.

[32] La Cassazione, nella sentenza in commento, infatti, ribadisce che: “Si è, invero, già evidenziato, in dottrina, come gli interventi in materia di negoziazione assistita (D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) e di «divorzio breve» (L. 6 maggio 2015, n. 55), e oggi l’attuale intervento di Riforma (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), abbiano via via incrementato il ruolo dell’autonomia dei coniugi nella definizione delle conseguenze economiche della crisi coniugale e, nel costante processo di privatizzazione del regime matrimoniale, già avviato dall’introduzione del divorzio (1970) e dalla separazione per cause oggettive (1975), ha inciso in maniera significativa sulla «caduta» del dogma dell’indisponibilità degli status”.

[33]  Così C. Rimini nella prefazione del libro i contratti nella famiglia, regolamentazione patrimoniale precedente, durante e dopo il matrimonio, l’unione civile e la convivenza, di A. Busani, gennaio 2020, Cedam.

[34] E. Al Mureden, La domanda congiunta di separazione e divorzio tra privatizzazione del matrimonio e tutela inderogabile della parte debole, in Famiglia e diritto, 2023, pagg. 662 ss.; C. Cecchella, Cumulo di separazione e divorzio: condivisibile la scelta della Cassazione?, in altalex.com, gennaio 2024, scrive: “Il processo non può modificare il diritto sostanziale. I diritti che nascono dalla genitorialità e che fanno (non si dimentichi) anche capo al minore, sono indisponibili, sono disponibili solo in contesti e ipotesi tipizzate dal legislatore (sempre recepiti da un attento provvedimento giurisdizionale), altrimenti sono nulli. Ugualmente i diritti economici (l’assegno divorzile) tra i componenti delle relazioni familiari sono disponibili solo quando sono sorti e non in via preventiva. Non si può per ragioni di pragmatismo processuale rinnegare un istituto e la sua interpretazione, sul piano del diritto sostanziale”.

[35] Sentenza n. 28727 del 6 ottobre 2023, pubblicata in data 16 ottobre 2023, pag. 23.

[36] Id., pag. 24.

[37] Id.

[38] Istituto modificato dalla riforma Cartabia e inserito nell’art 473bis.29 c.p.c.

[39] 473-bis.19 c.p.c.: “Nuove domande e nuovi mezzi di prova. Le decadenze previste dagli articoli 473 bis 14 e 473 bis 17 operano solo in riferimento alle domande aventi a oggetto diritti disponibili. Le parti possono sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. Possono altresì proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori”.

[40] 473-bis.29 c.p.c.: “Modificabilità dei provvedimenti. Qualora sopravvengano giustificati motivi, le parti possono in ogni tempo chiedere, con le forme previste nella presente sezione, la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici”.

[41] Ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31/05/2023 con R.G. 2915/2023 – Tribunale di Treviso, pag. 18: “Ammettere l’applicabilità dell’art. 473-bis.19 cod. proc. civ. nei procedimenti consensuali significherebbe consentire una revoca unilaterale del consenso ad nutum, possibilità esclusa dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza del 7 luglio 2021, n. 19348, che ha ritenuto inammissibile la revoca del consenso da parte di uno soltanto dei coniugi, posto che la domanda di separazione – o divorzio – proviene in modo comune e simmetrico da entrambi)”; F. Danovi, La Cassazione conferma l’ammissibilità del cumulo di separazione e divorzio su domanda congiunta, in Famiglia e diritto, 1/2024, pag. 18: “La maggiore tempistica rende più sensibile il problema dell’eventuale revoca del consenso ad opera di una delle parti e dell’eventuale verificarsi di sopravvenienze in fatto tali da alterare le condizioni nel loro complesso concordate tra le parti, ma tuttavia non è certamente il cumulo in sé l’elemento che genera tali problemi, dei quali, è bene intendersi subito, non altera la sostanza”.

[42] La tesi si fondava su un’interpretazione giurisprudenziale così orientata, ribadita, da ultimo, in Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord., 7 luglio 2021, n. 19348; M. A. Lupoi, Cumulo di separazione e divorzio: condivisibile la scelta della Cassazione?, in altalex.com, gennaio 2024: “Le parti, in altre parole, nel negoziare un accordo cumulato, dovranno essere consapevoli che quell’accordo le vincolerà (anche se il Tribunale si pronuncerà inizialmente solo su una parte dello stesso), senza potere avere quei “retropensieri””.

[43] Poiché nei procedimenti congiunti manca (o, comunque, è ridotta al minimo) la fase istruttoria, il giudice non avrebbe spazio per verificare l’effettiva esistenza delle sopravvenienze. Dunque, ammettere l’applicabilità dell’art. 473-bis.19 c.p.c. ai procedimenti congiunti consentirebbe, di fatto, una revoca unilaterale ad nutum del consenso, esclusa, come noto, dalla giurisprudenza di legittimità. Cfr. Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord., 7 luglio 2021, n. 19348, con nota di A. Frassinetti, sulla revoca unilaterale del consenso al divorzio congiunto.

[44] Cass. civ. del 2 maggio 2018 n. 10463 e in Cass. civ. del 24 luglio 2018 n. 19540, in ordine all’inefficacia della revoca unilaterale del consenso alla domanda di divorzio “in senso stretto”.

[45] Sul punto F. Danovi, Il processo di separazione e divorzio, Milano, 2015, pagg. 582 ss; F. Danovi, Per l’ammissibilità della domanda congiunta (cumulata) di separazione divorzio (prime riflessioni nell’era della Riforma Cartabia), famiglia e diritto, n. 5/2023, pp. 487 ss; F. Tommaseo, Separazione divorzio: domande cumulate anche nel ricorso congiunto?, in altalex.com; G. Piersanti, ammissibilità del cumulo delle domande di separazione consensuale divorzio congiunto, in giustiziacivile.com, 3 agosto 2023; R. Donzelli, il problema del cumulo delle domande di separazione e divorzio nel procedimento su ricorso congiunto, in Judicium, 29 maggio 2023, sulla fisiologicità delle sopravvenienze nel corso del tempo.

[46] Cfr. Commento di A. Morace Pinelli, la corte di cassazione ammette il cumulo delle domande di separazione e di divorzio anche nel procedimento su domanda congiunta (art. 473 bis. 51 c.p.c.), in giustiziainsieme.com, 20 novembre 2023.

[47] F. Danovi, La Cassazione conferma l’ammissibilità del cumulo di separazione e divorzio su domanda congiunta, in Famiglia e diritto, 1/2024, pagg. 18 e 19.

[48] Sia concesso, senza pretese di completezza, il rinvio a G. Alemanno, Rinvio pregiudiziale ex art 363-bis c.p.c. sul cumulo consensuale delle domande di separazione e divorzio, in Judicium, settembre 2023.

[49] F. Cipriani, Abrogazione della separazione coniugale?,  in Dir. Fam. Pers., 1997, p. 1103; più recentemente, A. Morace Pinelli, É tempo di abrogare la separazione giudiziale, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2020, vol. 36, fasc. 4, pagg. 891 ss.; Dà atto del dibattito anche F. Danovi, La Cassazione conferma l’ammissibilità del cumulo di separazione e divorzio su domanda congiunta, in Famiglia e diritto, 1/2024, pag. 19.