Riflessioni intorno alla conciliazione del sostituto processuale

Di Piergiuseppe Lai -

Sommario: 1. Rilievi introduttivi e posizione del tema. – 2. Legittimazione straordinaria e poteri del sostituto processuale: la conciliazione giudiziale. – 3. La natura della conciliazione giudiziale e i suoi rapporti con la sentenza. – 4. Un recente arresto del Bundesgerichtshof: nella successione a titolo particolare nel diritto controverso, il sostituto processuale può conciliare la lite con effetti vincolanti (anche) per il sostituito. – 5. L’azione di responsabilità promossa dalla minoranza e la sua transazione (art. 2393-bis c.c.). – 6. Gli argomenti per sostenere l’efficacia della conciliazione verso il sostituito. – 7. … e i loro limiti. – 8. La sostituzione processuale del garante al garantito. – 9. Considerazioni conclusive.

 

1. Rilievi introduttivi e posizione del tema.

La sostituzione processuale, secondo la nozione accolta nel nostro ordinamento, definisce l’agire in giudizio in nome proprio per un diritto altrui, nei soli casi espressamente previsti dalla legge[1].

La dottrina prevalente riconosce nella legittimazione straordinaria il fondamento della sostituzione processuale, poiché di regola la legittimazione della parte consiste nell’affermazione – svolta negli atti introduttivi – della titolarità del diritto o del rapporto azionato[2]; sostituzione e legittimazione si propongono, insomma, come fenomeni in apparenza antitetici che è possibile conciliare solo a patto di riconoscere nella sostituzione una speciale forma di legittimazione perciò detta straordinaria.

Quest’ultima categoria, riguardata alla luce delle singole disposizioni che prevedono più o meno esplicite forme di sostituzione processuale, si è presto rivelata un contenitore per fattispecie assai eterogenee quanto a presupposti sostanziali e corrispondenti poteri processuali dei soggetti del rapporto sostitutorio. Così, l’avere riconosciuto la legittimazione straordinaria del creditore che agisce in surrogatoria (art. 2900 c.c.)[3], quella della parte che trasferisce la res litigiosa nel corso del processo (art. 111 c.p.c.)[4], quella del terzo che agisce per far valere la simulazione tra le parti quando pregiudica un suo interesse (art. 1415, secondo comma, c.c.)[5] ovvero, ancora, del terzo intervenuto adesivamente (art. 105, secondo comma, c.p.c.)[6], se ha consentito d’isolare un tratto comune alle diverse figure, non permette tuttavia di costruire in modo omogeneo la posizione processuale del sostituto e del sostituito, poiché la specificità delle esigenze sostanziali sottese a ciascun caso regolato si reverbera, inevitabilmente, sulla conformazione e la latitudine dei loro poteri processuali[7].

Si vuole dire, insomma, che nell’ambito dei poteri spendibili dal sostituto processuale possono emergere significative differenze fra la posizione del creditore che agisce in surrogatoria, dell’attore che ha trasferito la res litigiosa ovvero, ancora, del terzo creditore che ha chiesto l’accertamento della simulazione tra le parti; non è un caso che uno dei nostri massimi giuristi, quando ancora in Italia la figura della sostituzione processuale non aveva assunto i contorni – anche positivi – che oggi le sono propri, dubitasse della sua utilità scientifica osservando che «i casi di cosiddetta sostituzione processuale sono pochi, disparati e non omogenei, onde non pare che se ne possa formare una categoria generale»[8].

Nella celebre monografia di Enrico Redenti è tuttavia colto e valorizzato un tratto distintivo della sostituzione processuale rispetto alla legittimazione straordinaria, per cui nella prima «il sostituto o sostitutore opera ed agisce in luogo del sostituito, senza la presenza né la contraddizione di costui»[9].

2.Legittimazione straordinaria e poteri del sostituto processuale: la conciliazione giudiziale.

La legittimazione straordinaria, intesa come potere (processuale) di sollecitare la tutela giurisdizionale di un rapporto altrui[10], può dunque assumere in concreto due forme d’esercizio: nella prima l’azione è promossa e coltivata assicurando la partecipazione al processo dei soggetti (affermati) titolari del rapporto controverso, mentre nella seconda questa necessità non sussiste[11]. Il primo modello rappresenta – sia consentito il bisticcio di parole – la forma ordinaria di svolgimento della legittimazione straordinaria e si spiega con le conseguenze della decisione giurisdizionale nella sfera giuridica dei titolari del diritto o del rapporto controverso, i quali debbono partecipare al processo in osservanza al principio del contraddittorio[12]: pertanto, quando la legge, nel prevedere l’esercizio di un’azione riferita a un diritto o rapporto altrui, omette di precisare la necessità della loro partecipazione al giudizio, quest’ultima discende senz’altro dai principi generali del processo civile[13].

Il secondo modello di esercizio della legittimazione straordinaria resta perciò confinato ad ipotesi affatto particolari e opportunamente designate come sostituzione processuale in senso stretto, nelle quali l’azione del sostituto non presuppone l’estensione del contraddittorio alla parte (o alle parti) del rapporto controverso, perché sostituita dal legittimato straordinario e con effetti (specialmente materiali) anche contro di lei[14]. Le occasioni in cui questa singolare condizione processuale può realizzarsi sono assai limitate e, a mio avviso, per lo più coordinate all’istituto dell’estromissione di una parte dal processo[15]: così per il garantito estromesso dopo l’assunzione della causa in capo al garante, così per il conduttore estromesso dopo l’assunzione della causa da parte del locatore e così anche, ma la fattispecie è assai più discussa, per il successore a titolo particolare intervenuto in giudizio dopo l’estromissione dell’antecessore[16].

La latitudine dei poteri processuali del sostituto, anche in tali ipotesi, è influenzata dai contorni sostanziali della vicenda che consente al terzo di esercitare l’azione altrui[17]. Nondimeno la nostra dottrina, chiamata a definire la posizione del sostituto, gli riconosce un potere generale di compiere tutti gli atti del processo e, tra questi, specialmente quelli d’impulso utili a impedire l’estinzione per inattività delle parti[18].

Ma una volta superata questa condivisibile base comune, la quale non è altro che un precipitato dello status di parte assegnato al sostituto[19], s’incontrano maggiori incertezze nel delineare – sempre avendo riguardo all’esercizio dei poteri processuali – i reciproci rapporti tra sostituto e sostituito, specie quando entrambi partecipano attivamente al giudizio[20].

In tale prospettiva occorre però distinguere, nel variopinto affresco delle posizioni dottrinali, tra coloro i quali ammettono che la legittimazione straordinaria (intesa in senso ampio) implichi anche la deduzione in giudizio del diritto del terzo (legittimato straordinario) e, dunque, la conseguente estensione dell’oggetto del giudizio e del giudicato[21] e chi, invece, e sono i più, ritiene che il diritto del sostituto (id est: il rapporto sostanziale che lo lega al sostituito) rilevi al limitato fine di fondare la sua legittimazione (straordinaria), mentre l’oggetto del processo e del giudicato restano polarizzati sul diritto o sul rapporto del sostituito[22].

Ora, se s’intende l’oggetto del giudizio esteso (anche) al diritto del sostituto riesce più agevole definire le relazioni tra le parti del rapporto sostitutorio sulla base delle regole della legittimazione ordinaria in un processo litisconsortile[23], mentre nella seconda prospettiva la posizione del sostituto genera, comprensibilmente, maggiori difficoltà.

Vi è chi muove, in proposito, dall’idea di una tendenziale parità tra sostituto e sostituito, ammettendo l’esercizio dei rispettivi poteri anche in concorso o in contrasto l’un l’altro, ma precisando che al sostituto sarebbero comunque precluse le iniziative che presuppongono la disponibilità sul piano sostanziale del rapporto o del diritto controverso[24]: si è così ammesso il sostituto alla rinuncia agli atti del giudizio[25], mentre è prevalentemente esclusa la possibilità di rendere la confessione e deferire o riferire il giuramento[26]. Quanto alla conciliazione giudiziale, nella sostituzione processuale in senso lato (legittimazione straordinaria), dove il sostituito è sempre parte necessaria del giudizio, il problema della sua ammissibilità ed efficacia quando sottoscritta dal solo legittimato straordinario assume pratica rilevanza nel solo caso di contumacia (volontaria) del sostituito e non sembra avere ricevuto particolare attenzione nella letteratura, così come nella prassi applicativa. A non diverse conclusioni – per il profilo che qui più direttamente interessa – giunge anche chi riconosce al sostituto una posizione di preminenza (nascente dalla legittimazione straordinaria) sul sostituito, accostando quest’ultima figura a quella dell’interveniente adesivo dipendente (art. 105, secondo comma, c.p.c.)[27].

Quando, invece, al processo partecipa il solo sostituto processuale nella prospettiva di giungere a una decisione vincolante sul rapporto del sostituito (sostituzione processuale in senso stretto), la dottrina prevalente esclude che egli possa conciliare la lite del sostituito con effetti vincolanti di diritto materiale[28].

Ma anche in questo più limitato contesto le soluzioni divergono e conducono alle seguenti alternative: a) alcuni ammettono il sostituto processuale a conciliare la lite del sostituito, ma senza effetti sostanziali; b) altri negano l’esistenza di un siffatto potere in capo al sostituto; c) altri, infine, ammettono la conciliazione giudiziale con efficacia per il sostituito.

Al primo gruppo appartiene senz’altro l’autore che presso di noi ha per primo e meritoriamente indagato la sostituzione processuale sotto l’attuale codice, Edoardo Garbagnati, il quale, interrogandosi sulla possibilità per il sostituto di concludere una conciliazione giudiziale, rispondeva affermativamente ma riteneva un siffatto negozio processuale privo di conseguenze materiali per il sostituito[29], nella sostanza attribuendogli il limitato effetto di chiudere il giudizio, senza – come direbbe Carnelutti – contestualmente definire la lite[30].

Altri, invece, convinti dell’irrinunciabile funzione solutoria della conciliazione giudiziale, tale cioè da dover sempre definire anche la controversia sul rapporto sostanziale tra le parti[31], esclude ogni potere conciliativo del sostituto – così dentro come fuori dal processo – accomunando sotto tale profilo la disciplina della conciliazione giudiziale a quella della transazione stragiudiziale[32].

Una parte minoritaria della dottrina sostiene infine la tesi opposta e riconosce al sostituto il potere di sottoscrivere la conciliazione giudiziale sul diritto del sostituito con pienezza di effetti sostanziali e processuali: in tal caso, il sostituito potrà mitigare le eventuali conseguenze pregiudizievoli della conciliazione promuovendo un’azione risarcitoria contro il sostituto, imputandogli la mala gestio del processo[33].

Con queste prime notazioni introduttive al tema è possibile avviare l’analisi che, corre l’obbligo di chiarirlo, sarà incentrata esclusivamente sulle fattispecie di sostituzione processuale regolate dal codice di rito nelle quali il sostituito non è litisconsorte necessario.

3.La natura della conciliazione giudiziale e i suoi rapporti con la sentenza.

Tra le ragioni ostative alla conciliazione del sostituto processuale – sebbene non sempre esplicitata nelle motivazioni del dissenso – assume centrale importanza la questione della natura giuridica di tale istituto, in quanto esso, ad un primo e sommario esame, assomma in sé i caratteri del negozio dispositivo sostanziale e dell’atto processuale suscettibile di definire il giudizio in luogo della sentenza del giudice[34]. Appare fin troppo evidente, infatti, che quanto più si valorizza il profilo negoziale/materiale della conciliazione tanto meno quest’ultima risulterà compatibile con la dimensione schiettamente processuale nella quale si svolge (e dispiega i suoi effetti) il rapporto sostitutorio[35].

A riprova di quanto appena osservato, risulta decisivo il richiamo agli studi che, ritenendo la conciliazione un negozio sostanziale incidentalmente compiuto nel processo[36] con l’assistenza – qui, peraltro, passiva e di mera documentazione della volontà delle parti[37] – del giudice, la escludono con risolutezza dai poteri del sostituto processuale[38].

Occorre inoltre precisare, anche al fine di misurare l’utilità del riferimento – non infrequente – all’esperienza tedesca (principalmente, ma non esclusivamente, riferita ai §§ 265, 325 e 794 ss. Z.P.O.), che la gran parte degli studiosi ha affrontato e risolto il nostro problema avendo presente, anzitutto, la posizione dell’alienante della res litigiosa (art. 111 c.p.c.), sul presupposto che si tratti di un’ipotesi di sostituzione processuale riconducibile all’art. 81 c.p.c.[39], per ricavarne una regola generale ascrivibile o estensibile alle altre ipotesi di sostituzione processuale in senso stretto (prima fra tutte, da noi, l’estromissione del garantito).

Riferendosi alla posizione dell’alienante/sostituto processuale è così maturata l’idea che l’indole sostanziale del componimento debba prevalere nettamente su quella processuale, onde il sostituto – che per essere tale non può affermarsi titolare del diritto o del bene controverso di cui dispone – non potrebbe mai validamente concludere il negozio che, invece, quella titolarità presuppone (arg. ex art. 1966 c.c.)[40].

Altro profilo rilevante per la soluzione del nostro problema – decisivo anche per stabilire la natura della conciliazione giudiziale – concerne il ruolo del giudice nel procedimento o nella fattispecie conciliativa[41], specialmente riguardo alla sua più o meno agevole riconduzione nell’alveo della giurisdizione contenziosa o della giurisdizione civile tout court[42].

Se, infatti, si riconosce al giudice – nel corso del procedimento di conciliazione – un ruolo attivo consistente nel convincere le parti a un equo componimento della controversia[43], come del resto suggerisce anche il legislatore quando, ad esempio, ammette il giudice del lavoro a formulare «alle parti una proposta transattiva o conciliativa» (art. 420 c.p.c.)[44] e poi, recentemente, estende analogo potere al giudice nel rito ordinario (art. 185-bis c.p.c.)[45], il negozio sostanziale si arricchisce di contenuti di matrice processuale tali da giustificarne un seppur cauto – e non a tutti gli effetti – accostamento alla sentenza conclusiva del giudizio.

Da questo diverso punto di osservazione, la risoluzione della conciliazione (giudiziale) nella giurisdizione si propone oggi assai meno problematica rispetto al passato e ciò sia per l’evoluzione del diritto positivo, sia per l’affinamento della riflessione dottrinale intorno a questi temi[46]: è indubitabile, insomma, che l’attuale disciplina della conciliazione giudiziale esibisce alcuni tratti comuni alla tutela giurisdizionale contenziosa.

Ciò accade senz’altro per i rapporti con la tutela esecutiva, considerato il suo inserimento tra i titoli idonei a fondare l’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 474, secondo comma, n. 1, c.p.c.[47]; del pari, anche sul versante della qualità degli effetti sostanziali, è stata autorevolmente segnalata l’assenza di particolari differenze tra i due atti (la sentenza e la conciliazione), poiché entrambi hanno forza di legge tra le parti[48]; altri ancora, non ha esitato a rimarcare l’omogeneità, sul piano funzionale, tra la sentenza e la conciliazione giudiziale, pur nella consapevolezza delle differenze che riaffiorano immediatamente «quando si tratta di definire la reazione dei vizii e delle vicende sugli effetti processuali»[49].

L’ulteriore nodo da sciogliere può essere, allora, così formulato: l’accostamento della conciliazione giudiziale alla sentenza, del quale si è detto, si può spingere al punto da considerare tollerabile l’estensione alla prima delle norme processuali (prima fra tutte quella rinvenibile nell’art. 108 c.p.c.[50]) che investono il sostituito processuale degli effetti materiali della sentenza?

È necessario, insomma, stabilire se il sostituto processuale possa – in generale – sottoscrivere una conciliazione giudiziale e, in caso di risposta affermativa, se l’eventuale accostamento di questo atto/negozio processuale alla sentenza possa fondare un potere del sostituto di vincolare, anche sul piano sostanziale, il diritto del sostituito estromesso dalla lite ai sensi dell’art. 108 c.p.c., sul rilievo che «la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l’estromesso».

Per giungere alla soluzione del problema appena accennato ho ritenuto opportuno spostare l’attenzione dalla prospettiva astratta finora tratteggiata, indispensabile per fissare i termini generali della questione, per esaminare due situazioni concrete nelle quali si è posto il tema del potere conciliativo del sostituto processuale, la prima offerta dall’esperienza tedesca del Prozessvergleich mentre la seconda dal nostro diritto positivo, l’azione di responsabilità esercitata dai soci di minoranza (art. 2393-bis c.c.), dalle quali è possibile trarre indicazioni interessanti nella prospettiva della presente indagine.

4. Un recente arresto del Bundesgerichtshof: nella successione a titolo particolare nel diritto controverso, il sostituto processuale può conciliare la lite con effetti vincolanti (anche) per il sostituito.

Un’interessante, recente, decisione della Corte Suprema tedesca ha affrontato e risolto l’interrogativo posto al termine del precedente paragrafo in un caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso con alienazione della res litigiosa da parte del convenuto[51]. Per quel che rileva ai nostri fini – premessa la riconduzione della posizione dell’alienante al modello della sostituzione processuale ex lege (Geseztliche Prozessstandschaft)[52] – il collegio ha riconosciuto il potere dell’alienante e sostituto processuale di conciliare la causa con effetti vincolanti, anche di natura esecutiva, per il successore a titolo particolare[53]. La principale condizione richiesta affinché si produca tale effetto riguarda l’oggetto della conciliazione, che deve coincidere con l’oggetto del processo e inserirsi così, idealmente, nel perimetro coperto dal potenziale giudicato sulla controversia in atto tra sostituto e avversario[54].

Gli argomenti spesi dalla Corte Suprema tedesca per dimostrare questo singolare potere del sostituto processuale sono diversi.

In primo luogo, quanto alla successione a titolo particolare, è bene segnalare che nel caso di specie trovava applicazione il § 266 Z.P.O. in forza del quale, secondo la Corte, in caso di alienazione del bene controverso il processo è proseguito da o contro l’alienante in qualità di sostituto processuale, fatto salvo il potere del sostituito di intervenire (o essere chiamato) e assumere la qualità di parte principale[55]; la sentenza resa contro il sostituto è poi vincolante ed esecutiva anche contro il sostituito in virtù del § 325 Z.P.O., il quale – peraltro – si riferisce al successore a titolo particolare nel diritto controverso.

I giudici insistono in modo particolare sulla completezza e vastità dei poteri processuali del sostituto, tali da consentirgli di compiere tutti gli atti del processo e, tra questi, anche sottoscrivere una conciliazione giudiziale con l’avversario[56]: di quest’ultima, peraltro, è confermata l’adesione alla teoria della duplice natura, insieme sostanziale e processuale[57].

Il motivo portante della decisione è quindi costruito sulla disciplina della successione a titolo particolare e sul singolare trattamento riservato all’avente causa nell’ordinanza processuale tedesca (§ 265 Z.P.O.): egli, infatti, secondo quelle regole non può intervenire e assumere – senza il consenso del sostituto e dell’avversario – la qualità di parte (principale) del processo e ciononostante è in linea di principio vincolato agli effetti, anche esecutivi, della sentenza che lo definisce. Da queste caratteristiche della legge discenderebbe – secondo la Corte Suprema – il carattere subordinato della posizione del sostituito[58], il quale non ha il potere di elidere le conseguenze del rapporto sostitutorio, ma solo quello di agire in separato giudizio contro il suo dante causa per ottenere il risarcimento del danno[59].

La descritta posizione di soggezione dell’avente causa, alla quale corrisponde specularmente l’esigenza di tutelare l’interesse dell’avversario estraneo alla vicenda successoria – specie quando sia ignoto, come nel caso di specie, il trasferimento – induce la Corte a vincolare il successore al contenuto precettivo della conciliazione che si mantenga entro i confini (ipotetici) della sentenza definitoria della lite[60]. In tal modo, poiché il sostituto potrebbe sottoscrivere la conciliazione giudiziale senza informare l’avversario dell’avvenuto trasferimento, quest’ultimo è protetto da un’improvvida definizione del processo cui non corrisponda alcun effetto sostanziale satisfattivo del suo interesse, una lesione suscettibile di dar seguito a una nuova (e identica nel contenuto) domanda e dunque a un nuovo processo contro il successore a titolo particolare.

L’operazione ermeneutica, nei suoi tratti essenziali, consiste dunque nell’estendere a un istituto dalla natura incerta (o per lo meno anfibia) come la conciliazione giudiziale alcune regole stabilite dalla legge processuale esclusivamente per la sentenza, vale a dire il più importante atto processuale non delle parti ma, piuttosto, del giudice. Il vincolo al giudicato del successore a titolo particolare lite pendente (stabilito dal § 325 Z.P.O.) è così ricostruito in termini più ampi come vincolo ad un qualsiasi esito del processo, purché maturato nel perimetro delle domande originarie delle parti: solo così la posizione dell’avversario (estraneo alla successione) riuscirebbe sufficientemente tutelata[61].

Il recente pronunciamento della Corte Suprema tedesca è stato vivacemente criticato da alcuni commentatori – preoccupati anche per la portata generale del principio affermato[62] – in quanto incoerente con la confermata natura (anche) sostanziale della conciliazione giudiziale: da questa discenderebbe, per logica e diversamente da quanto riconosciuto dalla sentenza, che i suoi effetti materiali debbano prodursi secondo le regole del diritto sostanziale, laddove il prodursi degli effetti vincolanti di un negozio verso un terzo presuppone una sua esplicita accettazione[63]. Se, dunque, non è possibile negare al sostituto il potere di sottoscrivere la conciliazione – in quanto (anche) atto del processo – non per questo devono attribuirsi a quel negozio anche gli effetti verso un soggetto diverso dai paciscenti quando, secondo la disciplina sostanziale, questi ultimi non potrebbero mai prodursi[64]: una cosa è la sottoscrizione della conciliazione – è stato osservato – altro è il prodursi di effetti vincolanti per il sostituito[65].

Da questi rilievi emerge la necessità di valorizzare le due anime della conciliazione senza che l’una debba necessariamente prevaricare l’altra, affinché la complessità dell’atto si rifletta nella complessità delle discipline sostanziale e processuale che concorrono a delimitarne gli effetti in ciascun ambito.

Non meno importante, poi, è tenere distinte le due figure della sentenza e della conciliazione quanto alle rispettive funzioni ed effetti, senza trascurare che il legislatore, quando ha esteso l’efficacia ultra partes dell’atto conclusivo del processo, aveva presente senz’altro la sentenza di merito, in quanto mezzo per la definizione (fisiologica) della lite fondato sopra un accertamento giurisdizionale suscettibile di dar luogo al giudicato materiale (§ 325 Z.P.O.)[66].

5.L’azione di responsabilità promossa dalla minoranza e la sua transazione (art. 2393-bis c.c.).

Un secondo profilo utile alla nostra indagine è tratto dal diritto interno e dalla sua interpretazione ad opera della dottrina.

La riforma del diritto societario (D.lgs. n. 6/2003) ha inserito nel codice civile, tra le altre, una previsione – che riproduce per buona parte il vecchio art. 129 T.U.I.F. – che sembra attribuire al sostituto processuale il potere di transigere la controversia con effetti per il sostituito.

Secondo l’art. 2393-bis c.c., infatti, i soci di minoranza di una società per azioni che rappresentano almeno un quinto del capitale sociale (salva diversa indicazione dello statuto) possono promuovere l’azione sociale di responsabilità[67]: in tal caso dovranno estendere il contraddittorio alla società e notificare l’atto introduttivo del giudizio «anche in persona del presidente del collegio sindacale». Più interessante, ai nostri fini, è il sesto comma della disposizione, secondo cui: «i soci che hanno agito possono rinunciare all’azione o transigerla: ogni corrispettivo per la rinuncia o la transazione deve andare a vantaggio della società».

È ben ferma, in dottrina e giurisprudenza, l’opinione secondo cui i soci di minoranza esercitano un’azione di accertamento e condanna riferita a un credito della società e assumono perciò, nel giudizio, la qualità di sostituti processuali/legittimati straordinari[68] in litisconsorzio necessario con la società (sostituita) che sarà dunque sempre parte del processo[69]; non mi sembra possibile ricavare una contraria indicazione negli autori che inquadrano l’istituto nell’azione surrogatoria[70], poiché quest’ultima costituisce una species del genus legittimazione straordinaria/sostituzione processuale, la quale si limita a dettare speciali condizioni per il suo esercizio (come l’inerzia del titolare) la cui ricorrenza nel caso dell’azione della minoranza è discussa.

La legge regola così – in modo espresso – un potere del sostituto avente per contenuto la rinuncia e/o la transazione dell’azione già esercitata, limitandosi a prescrivere l’attribuzione al patrimonio della società – e non dei singoli soci – dei conseguenti (eventuali) vantaggi economici[71].

Si tratta di una fattispecie affatto singolare, come testimonia la difficoltà degli interpreti nella ricerca di un suo coerente inquadramento sistematico, nella quale la sostituzione processuale presuppone il contraddittorio con il sostituito e, contestualmente, almeno in apparenza, un potere dispositivo sull’oggetto sostanziale della lite in capo al sostituto[72].

Per giungere a una corretta interpretazione – e così verificare l’utilità di questa disposizione per la soluzione del problema che ci occupa – è indispensabile chiarire la nozione di rinuncia e/o transazione (riferita al diritto di azione) alla quale i redattori della norma hanno inteso riferirsi. Infatti, se con quell’espressione si indica anche la disposizione del diritto sostanziale di credito e quindi la genesi di un nuovo regolamento tra le parti riferito ai fatti contestati e con efficacia vincolante anche per la società, potremmo dire di essere al cospetto di un’ipotesi significativa – in quanto riconosciuta dal legislatore – dalla quale ricavare (quantomeno in linea di principio) la compatibilità tra sostituzione processuale e potere del sostituto di conciliare la lite con effetti materiali vincolanti per il sostituito[73]. Ed in questo senso si è infatti pronunciato chi ha ravvisato un siffatto potere (non solo processuale, ma anche) dispositivo dei soci di minoranza «titolari di un autonomo potere di disporre del diritto in contesa, poiché diversamente non potrebbero transigere»[74], ipotizzando un’eventuale responsabilità per danni nei confronti della società[75].

È pur vero che le parole del legislatore meritano di essere attentamente pesate, per cui il riferimento alla transazione, negozio schiettamente sostanziale ma dispositivo di un diritto controverso (non necessariamente litispendente), è senza dubbio più impegnativo della conciliazione giudiziale di cui ci siamo fino ad ora occupati e indirizza verso un fondamento negoziale per il potere della minoranza, come tale eccedente le ordinarie prerogative ascritte al sostituto ex art. 81 c.p.c.[76].

Tuttavia, pur senza trascurare il valore di un’interpretazione testuale, l’opinione di gran lunga prevalente si discosta in modo significativo da quest’ultima grave conclusione e – nel conservare i tratti caratteristici della sostituzione processuale – segue percorsi differenti, riconducibili a due opzioni ricostruttive: per la prima, il potere sostanziale dispositivo del sostituto processuale presuppone (a valle) una deliberazione della società che, con le prescritte maggioranze, aderisca al negozio processuale concluso della minoranza legittimata straordinaria[77]; per la seconda, la rinuncia o la transazione investono esclusivamente gli effetti processuali della domanda e la straordinaria legittimazione di cui si avvale la minoranza e, per conseguenza, sono preordinate – generalmente – solo all’estinzione del processo[78].

La prima soluzione, peraltro difesa in una recente monografia dedicata all’argomento[79], muove dal presupposto che transazione e rinuncia implichino sempre (anche) la disposizione del credito risarcitorio, per cui è costretta a condizionarne l’efficacia sostanziale alla formale partecipazione al negozio (processuale) della società con apposita deliberazione: in tal modo si realizzerà non solo l’anticipata conclusione del giudizio ma anche la definitiva preclusione pro futuro di analoghe iniziative giudiziali da parte della società  o di altri soci di minoranza, riferite agli stessi fatti oggetto dell’azione rinunciata o transata[80].

Questa lettura, senz’altro aderente al testo della legge, si scontra tuttavia con altre disposizioni nelle quali il legislatore sancisce l’autonomia e l’indipendenza della rinuncia/transazione della società rispetto alla legittimazione straordinaria dei soci di minoranza come quando, nell’art. 2409-decies, quinto comma, c.c., dispone che «La rinuncia all’azione da parte della società o del consiglio di sorveglianza non impedisce l’esercizio delle azioni previste dagli articoli 2393 bis, 2394 e 2394 bis»: la previsione, pur riferita alle società con sistema di gestione c.d. dualistico fondato sull’attribuzione ad organi diversi, rispettivamente, della funzione amministrativa e di controllo, è considerata estensibile all’azione di responsabilità in genere, a prescindere dall’organizzazione interna della società[81].

La singolare condizione, per cui la transazione conclusa dalla società non preclude il successivo esercizio dell’azione – in via di legittimazione straordinaria – da parte dei soci di minoranza può realizzarsi allora solo ammettendo che rinuncia e transazione esauriscano i loro effetti sul piano strettamente processuale.

Se si accoglie questa diversa prospettiva, è evidente anzitutto che la rinuncia o la transazione dell’azione da parte dei soci di minoranza, in qualità di sostituti processuali, non possa risolversi in una rinuncia agli atti tout court (art. 306 c.p.c.): in tal caso la previsione riuscirebbe superflua[82], salvo per colori quali – ma sono pochi – escludono un tale potere del sostituto[83].

Peraltro, ancora una volta, il testo della legge riferisce inequivocabilmente la rinuncia o la transazione all’azione esercitata dai soci, la quale si fonda sopra una legittimazione straordinaria e concorrente con quella ordinaria riferibile alla società: costituisce espressione dell’autonomia di questa legittimazione, allora, il potere riconosciuto alla minoranza di rinunciare all’azione o transigerla. La rinuncia o transazione, dunque, in quanto riferite all’azione della minoranza, non determineranno – sul versante del diritto sostanziale – l’assetto definitivo del rapporto di credito né precluderanno, per il futuro, l’azione di responsabilità che la società o altri soci di minoranza intendano esercitare, anche fondandosi sui medesimi fatti oggetto dell’azione rinunciata o transata dalla minoranza[84].

In proposito, senza pretesa di affrontare il delicato – ma collaterale – tema della natura e limiti degli atti dispositivi del diritto di azione, occorre ricordare come spesso la rinuncia all’azione proveniente dal titolare del diritto – pur potendosi distinguere concettualmente dalla rinuncia al diritto – si risolve nella sua abdicazione da parte del disponente[85]; quando, però, la rinuncia – come nel caso di specie – proviene invece da un soggetto eccezionalmente investito del potere di agire per un diritto altrui (legittimato straordinario), questa non solo è ammissibile ma anche scevra di conseguenze per la posizione sostanziale e processuale del legittimato ordinario, il cui diritto «rimarrà nella medesima condizione in cui si trovava precedentemente alla domanda»[86].

Alla minoranza, insomma, la legge riconosce un potere dispositivo della propria legittimazione straordinaria tale che, una volta esercitato, ella perde la possibilità di avviare un futuro giudizio avente il medesimo oggetto che, invece, può ben essere promosso e coltivato dalla società[87].

Nel nostro caso, è bene precisare, l’art. 2393-bis c.c. accanto alla rinuncia a un’azione già esercitata contempla anche la sua transazione: quest’ultima, in quanto fondata su reciproche concessioni, potrà avere senz’altro conseguenze sostanziali, anzi, è la stessa legge a prevederlo quando dispone che le eventuali somme conseguite in esecuzione della transazione entreranno nel patrimonio della società e potranno essere imputate a (parziale) risarcimento del danno, escludendo di fatto che in una successiva azione di responsabilità promossa dalla società, come detto senz’altro ammissibile, quest’ultima possa negare di avere percepito parte del diritto di credito azionato[88].

L’effetto dell’accordo processuale è dunque – in questa prospettiva – parziale in quanto non determina un assetto definitivo dei rapporti tra la società e gli amministratori (ovvero sindaci o direttori generali) e, inoltre, opera solo in quanto favorevole alla società, realizzando un incremento del suo patrimonio, mentre un’eventuale transazione che importasse obblighi o spese in capo agli attori non potrebbe mai vincolare la società che ne sia rimasta estranea.

6.Gli argomenti per sostenere l’efficacia della conciliazione verso il sostituito.

Le indicazioni raccolte nei precedenti paragrafi stimolano la riflessione intorno all’ammissibilità e, eventualmente, agli effetti della conciliazione conclusa dal sostituto processuale nei giudizi, regolati dal codice di rito, che non richiedono la partecipazione necessaria del sostituito.

Argomenti a sostegno di una soluzione positiva possono rinvenirsi, su un piano generale, anzitutto nella recente e vigorosa promozione delle istanze conciliative in seno al processo, al dichiarato scopo di ridurre i numeri del contenzioso civile[89]: ammettere dapprima la conciliazione e, quindi, il suo effetto vincolante avrebbe l’indubbio vantaggio di generare economie dei giudizi, limitando le autonome iniziative del sostituito, al prezzo di una compressione del suo diritto di difesa[90]. La proposta di assimilare – sotto il profilo in esame – la conciliazione giudiziale alla sentenza e, in definitiva, la riconduzione della prima nell’alveo della giurisdizione offrirebbe, poi, un valido sostegno dogmatico per quella conclusione[91], purché si riesca nell’arduo compito di costruire in termini giurisdizionali l’attività svolta dal giudice nella formazione dell’accordo tra le parti.

Anche l’idea – ampiamente condivisa – di una funzione autonomamente solutoria del giudizio riconosciuta alla conciliazione giudiziale, tale da non richiedere alcun successivo provvedimento del giudice (come, ad esempio, una dichiarazione di cessazione della materia del contendere) [92], riuscirebbe coerente alla tesi in discussione e così anche quella che, valorizzando la qualità del contributo del giudice alla formazione dell’accordo, lo considera estensibile anche a diritti indisponibili[93].

Quanto, poi, alla duplice veste processuale e sostanziale della conciliazione, per poter dare una risposta positiva all’interrogativo posto occorre sostenere la sicura prevalenza della prima e, dunque, che una volta soddisfatte le condizioni processuali per la sua formazione essa sarebbe idonea a spiegare i suoi effetti tipici[94]; resta da capire, e lo vedremo tra poco, se tra questi “effetti” del componimento processuale vi sia anche quello di definire il rapporto materiale controverso con effetti per il sostituito.

Si coordina invece in modo più deciso ai caratteri della sostituzione processuale il tema della tutela della controparte estranea al rapporto sostitutorio, la quale, se si negasse il potere di conciliare del sostituto, vedrebbe in qualche modo limitate le proprie prerogative processuali, in quanto privata del fondamentale potere di conciliare la lite. L’argomento è svolto nella ricordata sentenza del Bundesgerichtshof e, da noi, dagli studiosi che sostengono la pienezza dei poteri processuali del sostituto i quali, se non fossero integralmente riconosciuti, renderebbero la sostituzione inadeguata allo scopo[95].

In questa prospettiva, dalla norma che prevede espressamente un vincolo al giudicato formatosi contro il sostituto (da noi specialmente l’art. 108 c.p.c.) potrebbe ricavarsi una condizione di strutturale subordinazione del sostituito al sostituto[96], tale da giustificare – in via generale – l’estensione nei suoi confronti degli effetti (anche sostanziali) della conciliazione conclusa dal primo, seguendo le suggestioni che hanno convinto la Corte Suprema tedesca ad ammettere analogo effetto nel caso della successione a titolo particolare nel diritto controverso[97]; del resto, già Micheli, studiando gli effetti della rinuncia agli atti del sostituto sul diritto del sostitutito, così concludeva «Se cioè la sentenza esplica i suoi effetti rispetto a quest’ultimo, non è dato vedere perché non potrebbe il sostituto rinunciare al processo iniziato, anche se tale recesso dovesse causare un pregiudizio alla situazione di diritto materiale del sostituito»[98].

Sempre nell’ambito della sostituzione processuale è stato possibile individuare un caso, certo singolare, nel quale la legge consente al sostituto di concludere una transazione, sia pure riferita all’azione esercitata per un diritto altrui (art. 81 c.p.c.), i cui effetti materiali favorevoli si producono direttamente nella sfera giuridica del sostituito: l’indicazione se per un verso può valere per affermare la compatibilità giuridica tra sostituzione e conciliazione/transazione giudiziale, per altro introduce una singolare limitazione dei suoi effetti sostanziali, i quali non potranno mai arrecare un pregiudizio al sostituito

7…. e i loro limiti.

            Una proposta di soluzione in merito alla giuridica possibilità e, poi, agli (eventuali) effetti di una conciliazione giudiziale sottoscritta dal sostituto processuale – come ha dimostrato il sintetico esame compiuto nelle pagine precedenti – deve essere necessariamente articolata.

Conviene anzitutto prendere posizione sulla natura della conciliazione giudiziale per chiarire quale relazione possa (o debba) correre tra le sue componenti sostanziale e processuale. La soluzione di questa preliminare questione, difatti, può da sola valere a risolvere l’interrogativo iniziale quando si riesca a dimostrare la natura esclusivamente processuale della conciliazione, la quale sarebbe perciò a tutti gli effetti – come veduto – un atto ordinariamente riconducibile alle prerogative del sostituto processuale.

L’esame della letteratura formatasi sull’argomento non offre tuttavia alcun appiglio decisivo per una soluzione in chiave pan-processuale del nostro istituto, tale che i suoi effetti (anche materiali?) si producano sempre alla stregua delle sole regole formali degli atti processuali. E del resto anche in Germania, dove è stata inizialmente elaborata questa teoria, l’idea della conciliazione giudiziale come “mero” atto processuale è da tempo definitivamente abbandonata.

Analoga sorte spetta a mio avviso alla tesi che, all’opposto, le riconosce natura prettamente negoziale, con l’effetto di allinearla ad una transazione, quanto a presupposti, contenuto ed effetti. È ben evidente infatti come, rispetto alla transazione, la conciliazione anzitutto s’inserisca necessariamente all’interno di un procedimento giurisdizionale preordinato a definire (con la forza del giudicato) il medesimo rapporto controverso e, inoltre, richieda il coinvolgimento di un terzo soggetto, il giudice, al quale – come si vedrà – potrà essere riconosciuto un ruolo più o meno significativo ma non certo eludibile nella ricostruzione dell’istituto.

Occorre pertanto privilegiare l’idea – del resto ampiamente diffusa da noi come anche in Germania – della coesistenza nella conciliazione giudiziale di elementi riconducibili al diritto processuale e al diritto materiale.

Ma questa prima notazione non è ancora sufficiente per attingere un risultato spendibile anche nel campo della sostituzione processuale, poiché è necessario ulteriormente precisare se la conciliazione possiede una struttura tale che le sue due componenti materiale e processuale possano essere scisse, ovvero se invece debbano essere considerate saldamente unite, talché non sia possibile concepire – e sarebbe di conseguenza inammissibile – una conciliazione avente quale unico contenuto quello di rimuovere la litispendenza sul rapporto controverso.

Alla prima alternativa s’ispira la dottrina tedesca della doppia fattispecie (Doppeltatbestand), perché riconosce nel componimento processuale la compresenza di due fattispecie differenti e scindibili, la prima funzionale a definire un nuovo regolamento dei rapporti materiali tra le parti mentre l’altra destinata a rimuovere la litispendenza senza un provvedimento sul merito[99].

A questa lettura, ad oggi minoritaria ma che riscuote sempre maggiori consensi, si contrappone quella che considera inscindibili gli effetti sostanziali e materiali della conciliazione (Doppelnatur) poiché la funzione del negozio processuale consisterebbe nel procurare una definizione anticipata del processo solo quando le parti abbiano raggiunto un accordo definitorio dei loro rapporti[100]. In questa prospettiva un atto concordato tra le parti e avente quale unico effetto la rimozione della litispendenza non potrebbe essere qualificato conciliazione giudiziale se non generando incongruenze e difficoltà interpretative[101].

Aderire all’una o l’altra soluzione significa ampliare o restringere le prerogative del sostituto che, nel primo caso potrebbe senz’altro sottoscrivere una conciliazione limitata agli effetti processuali del giudizio nel quale si radica il rapporto sostitutorio mentre nel secondo potrebbe sottoscrivere solo una conciliazione dal contenuto complesso, purché si dimostri che egli può esercitare un tale potere con riflessi immediati e vincolanti sul piano materiale.

A mio giudizio questa seconda prospettiva merita di essere preferita.

Nel nostro ordinamento processuale, infatti, esiste un istituto – la rinuncia agli atti del giudizio – che si basa sull’accordo tra le parti e ha quale unico effetto il venir meno della litispendenza, senza conseguenze per il diritto di azione delle parti. Così, le esigenze pratiche avanzate dai sostenitori della teoria della doppia fattispecie, quelle cioè di consentire una conciliazione limitata ai soli effetti processuali del giudizio (detta anche conciliazione astratta)[102], può essere soddisfatta in concreto con una rinuncia agli atti del giudizio accettata dall’avversario[103].

La conciliazione è pertanto un atto processuale complesso nel quale non è possibile scindere concettualmente la funzione processuale da quella sostanziale, poiché la prima si pone in rapporto di stretta dipendenza con la seconda[104]. Per tale ragione, i presupposti della conciliazione andranno ricercati nel diritto sostanziale quanto al suo atteggiarsi come negozio transattivo tra le parti e nel diritto processuale, invece, per la sua forma di atto processuale complesso risolutivo della litispendenza.

Riprendendo le fila del discorso, dunque, occorre valutare se il sostituto possa sottoscrivere un tale atto processuale che sarà sempre preordinato – come detto – a definire in modo vincolante anche i rapporti tra l’avversario e il sostituito.

A tal proposito si può senz’altro escludere che il sostituto processuale abbia titolo a  sottoscrivere un accordo conciliativo eccedente il perimetro dell’azione concretamente esercitata: infatti, anche coloro i quali sostengono un cauto accostamento della conciliazione giudiziale alla giurisdizione (perciò definita conciliativa) negano fermamente un tale risultato riferendosi al legittimato ordinario[105] e così anche la veduta giurisprudenza della Corte Suprema tedesca riferendosi, invece, al sostituto processuale[106].

Il diritto positivo, nel disciplinare l’azione di responsabilità della minoranza, ha senz’altro avvalorato l’idea che la conciliazione giudiziale possa riguardare l’azione esercitata dal sostituto: l’ulteriore conclusione, invece, che l’accordo possa estendersi in malam partem sul diritto (della società) al risarcimento del danno spettante alla società non ha incontrato particolare favore e gli argomenti spesi per contrastarla si dimostrano ancora oggi persuasivi.

Dalla tesi accolta intorno alla natura dell’istituto è possibile, pertanto, ricavare una prima e ancora precaria conclusione: la conciliazione giudiziale può dispiegare effetti fuori dal processo solo se, nel caso concreto, sono soddisfatte le regole stabilite dal diritto materiale perché si producano gli effetti di un negozio dispositivo[107]; tra queste figura senz’altro la titolarità del diritto o del rapporto controverso, una condizione di cui il sostituto processuale è privo[108].

Questa prima indicazione non mi pare possa essere superata, con riferimento alla sostituzione processuale dell’antecessore, riproponendo “a cuor leggero” nell’ordinamento italiano la soluzione raggiunta dal Bundesgerichtshof con la decisione del 14 settembre 2018.

Il sintetico richiamo alle questioni decise e alle reazioni suscitate dalla sentenza della Corte Suprema tedesca è servito come spunto per la soluzione della questione nel nostro ordinamento dove però, è bene precisarlo, la condizione processuale dell’antecessore assume contorni in parte diversi da quelli tracciati nella Z.P.O.

Intanto, la pratica diffusione della sostituzione processuale volontaria ha consentito in Germania lo sviluppo di un ampio e fecondo dibattito che non trova riscontro immediato in Italia[109], sebbene l’ammissibilità della figura sia stata anche da noi autorevolmente sostenuta[110]; occorre peraltro rimarcare come, nella prassi, assai spesso la stessa sostituzione processuale volontaria trae fondamento da un negozio che attribuisce al terzo anche il potere dispositivo sostanziale sul diritto o sul rapporto controverso, per cui il potere di conciliare con efficacia vincolante è bensì ammesso ma non rientra tra i caratteri essenziali e qualificanti del rapporto sostitutorio[111].

In secondo luogo, l’archetipo della sostituzione processuale regolata dalla legge, individuato nella posizione dell’alienante della res litigiosa, è ammessa da noi solo da una parte della dottrina[112] e spesso distinguendo la posizione dell’attore e del convenuto[113], mentre la decisione del Bundesgerichtshof riferisce la sostituzione processuale – e così anche il principio enunciato – a entrambe le situazioni e senza preoccuparsi delle sue implicazioni per la diversa posizione delle parti[114].

Ben diversa è altresì la condizione del successore a titolo particolare in Italia quanto alla possibilità di un suo intervento o chiamata e persino di estromissione dell’avente causa, quest’ultima neppure espressamente regolata dal § 265 Z.P.O.: il successore a titolo particolare ha infatti il potere di intervenire e assumere la qualità di parte senza il consenso dell’antecessore (il quale anzi potrà anche ottenere di essere estromesso dal processo), nonché il potere di impugnare la sentenza resa contro il sostituto. Riesce pertanto assai più arduo costruire una condizione di soggezione o subordinazione del sostituito al sostituto nel caso regolato dall’art. 111 c.p.c.[115].

Insomma, l’efficacia vincolante ultra partes della conciliazione sostenuta in quella decisione è frutto della combinazione di alcune proposizioni normative che non trovano puntuale riscontro nel nostro ordinamento, in particolare quanto alla disciplina dell’intervento e chiamata in causa del terzo; alla successione a titolo particolare nel diritto controverso (§§ 265 e 266 Z.P.O.), non esattamente sovrapponibile a quella dettata dall’art. 111 c.p.c.; e, infine, ai limiti soggettivi del giudicato in caso di trasferimento della res litigiosa in corso di causa (§ 325 Z.P.O.).

D’altra parte, anche la condizione processuale dell’avversario non si ripropone da noi con la stessa incalzante esigenza di tutela a patto di condividere l’idea che l’istituto regolato dall’art. 111 c.p.c. vada interpretato secondo i canoni dell’irrilevanza, per cui non potrebbe mai dare origine a una sostituzione processuale dalla quale, invece, prende spunto la Suprema Corte tedesca per giustificare l’opponibilità della conciliazione al sostituito[116].

In ogni caso, ad analogo risultato, di ovviare al problema della tutela dell’avversario, si giunge anche secondo la diversa prospettiva della “rilevanza”, allorché si ammetta che la sostituzione processuale presuppone sempre l’adeguamento delle domande iniziali al mutato assetto sostanziale: in tal modo l’avversario avrà sempre contezza di avere dinanzi a sé un sostituto processuale e potrà di conseguenza adeguare i suoi propositi conciliativi all’effettiva dimensione soggettiva della controversia (ad esempio chiamando in causa il successore a titolo particolare).

Per quanto appena detto, la sostituzione processuale dell’antecessore all’avente causa, già discutibile nella sua stessa concreta ricorrenza, non può essere utilmente impiegata come modello sul quale studiare l’ammissibilità – in termini generali – di una conciliazione sottoscritta dal sostituto.

L’esame, dunque, pur sempre centrato sulla sostituzione processuale che Francesco Carnelutti definiva assoluta, nella quale il giudizio si svolge senza la necessaria partecipazione del sostituito perché la tutela dell’interesse del sostituto esaurisce anche quella del sostituito, deve proseguire rivolgendo l’attenzione all’altra situazione processuale regolata dal codice di rito dove è disciplinato un siffatto rapporto sostitutorio: quella del garante successivamente all’estromissione dal giudizio del garantito.

8.La sostituzione processuale del garante al garantito.

Lo studio della sostituzione processuale coordinata alla successione a titolo particolare nel diritto controverso ha consentito di mettere a fuoco un profilo che può risultare decisivo per la soluzione dell’interrogativo principale della nostra ricerca, quando ha richiamato l’attenzione sugli effetti del giudicato formatosi nel giudizio condotto dal sostituto; da questa caratteristica, ad esempio, ha tratto argomenti – solo in apparenza decisivi – la stessa Corte Suprema tedesca per sostenere l’efficacia extraprocessuale della conciliazione sottoscritta dal (solo) sostituto.

Elemento caratteristico della sostituzione processuale, in quella nozione ristretta considerata rilevante nel presente studio, è senza dubbio il vincolo nascente per il sostituito dalla sentenza resa contro il sostituto e ciò principalmente quanto al suo contenuto materiale, poiché il diritto controverso nel processo è, prima di tutto, un diritto del sostituito[117].

A questo riguardo, l’art. 108 c.p.c., dopo aver descritto il procedimento di estromissione del garantito, sancisce che «la sentenza di merito pronunciata nel giudizio spiega i suoi effetti anche contro l’estromesso». Il garantito estromesso (sostituito) subisce perciò gli effetti della decisione pronunciata contro il garante-sostituto; l’interrogativo può essere formulato allora nei seguenti termini: il legislatore, nel riferire gli effetti della sentenza al garantito, ha inteso assoggettare il sostituito a qualsiasi esito del giudizio che investa il merito della controversia oppure ha considerato rilevante solo la conclusione fisiologica della lite con la sentenza di merito?

Certo, il dato testuale depone inequivocabilmente a favore del secondo capo dell’alternativa, del resto anche più rispettoso del diritto di difesa del garantito, il quale, se è vero che ha affidato la lite al garante (dapprima con la chiamata in garanzia e, poi, con la richiesta di estromissione), nondimeno lo ha fatto per vedere respinte le pretese del molestante nella prospettiva di conservare il risultato sostanziale del negozio di trasferimento; ciò almeno per chi, come chi scrive, ammette l’estromissione solo nel quadro della c.d. garanzia formale correlata al trasferimento di un diritto, organizzata secondo il modello sostanziale della garanzia per evizione (art. 1485 c.c.)[118].

È innegabile, tuttavia, che a una conclusione diversa possano indirizzare almeno due argomenti ai quali si è accennato in precedenza: il primo investe la consistenza (anche) sostanziale del rapporto sostitutorio, mentre l’altro considera il ruolo del giudice nella conciliazione essenziale alla qualificazione dell’istituto al punto da farne un vero e proprio surrogato della sentenza.

Quanto al primo punto, la dissociazione tra la titolarità del diritto controverso e il potere di disporne per mezzo un atto (anche) processuale, autorevolmente sostenuta[119], potrebbe rappresentare una chiave di lettura soddisfacente per motivare la conciliazione del sostituto, a patto di riconoscere come attributo (implicito) della sua legittimazione straordinaria anche il potere di disporre dell’oggetto o del rapporto controverso.

E in effetti una parte autorevole della dottrina tedesca, nella sostanza, giunge a questa conclusione riferendosi all’antecessore nel caso di alienazione della res litigiosa osservando gli effetti che verso il sostituito è destinata a produrre la sentenza resa contro il sostituto[120]; si tratta di una condizione analoga a quella in cui si trova – nel diritto italiano – anche il garantito estromesso e che, dunque, potrebbe in thesi legittimare, in questa sede, l’adozione di analoga soluzione.

L’argomento si può sintetizzare nelle seguenti proposizioni: a) il sostituto processuale ha senz’altro il potere di compiere tutti gli atti del processo; b) tra questi rientrano anche la rinuncia o il riconoscimento della pretesa; c) questi ultimi (ma non sono i soli: v. ad esempio la confessione) hanno l’effetto di determinare indirettamente il contenuto della sentenza e in ragione dei suoi effetti anche la situazione materiale del sostituito; d) non sarebbe allora giustificato distinguere tra atti che direttamente (la conciliazione) o indirettamente (rinuncia, riconoscimento) incidono sul diritto o rapporto controverso; e) deve pertanto ammettersi anche il potere del sostituto di concludere una conciliazione direttamente vincolante per il sostituito[121].

A questi rilievi, nel caso del § 265 Z.P.O., fa da sfondo l’esigenza di tutela dell’avversario estraneo alla successione e che il legislatore avrebbe inteso proteggere dopo avere consentito l’alienazione della res litigiosa[122]; di quest’ultima, tuttavia, ho dato conto nelle pagine precedenti dimostrando che nel nostro ordinamento una tale esigenza si ripropone identica solo quando non sia stato allegato il trasferimento e, in ogni caso, nell’ipotesi dell’art. 108 c.p.c. l’avversario ha sempre consapevolezza della qualità di sostituto processuale del garante.

Vi sono a mio giudizio ben fondate ragioni per conservare un approccio restrittivo intorno ai poteri del sostituto anche nel caso del garante successivamente all’estromissione del garantito.

Un primo motivo è rappresentato dall’assenza nel nostro ordinamento processuale di figure esattamente sovrapponibili alla rinuncia o riconoscimento della pretesa, concetto quest’ultimo peraltro giustamente criticato dalla nostra dottrina in quanto superfluo per l’inquadramento dei rapporti tra diritto materiale e processo. L’istituto più prossimo, la rinuncia agli atti del giudizio, opera e travolge le sole situazioni processuali sorte con la domanda giudiziale e non spiega quindi, almeno di regola[123], alcun effetto diretto sui rapporti sostanziali tra le parti[124].

Non solo, se pure si ammettesse la rinuncia all’azione da parte del sostituto processuale[125], le conclusioni raggiunte per l’azione di responsabilità della minoranza ritornerebbero utili per dimostrare che – in questo caso – l’effetto dell’atto dispositivo si risolverebbe – al più – nell’abdicazione alla legittimazione straordinaria riconosciutagli dalla legge, la quale non esclude una futura azione del legittimato ordinario (sostituito) e potrà avere efficacia materiale verso di lui solo quando sia di segno favorevole[126].

A questo argomento vorrei aggiungere una notazione più generale, la quale mi sembra giustificare – nel vasto panorama degli atti processuali cui è legittimato il sostituto – uno speciale trattamento per la conciliazione giudiziale proprio in relazione alle caratteristiche del rapporto sostitutorio.

In proposito, quando, nel costruire la relativa fattispecie, si definiscono le prerogative del sostituto processuale si evidenzia costantemente la rilevanza esclusivamente processuale della sua legittimazione (appunto straordinaria), la quale consente il compimento di tutti gli atti del processo, non senza rimarcare che questo potere trova il suo naturale contrappeso nella responsabilità processuale cui egli soggiace e, in particolare, l’onere di sopportare le spese del giudizio. Ebbene la responsabilità processuale intesa quale necessario complemento della legittimazione straordinaria appare concretamente sacrificata, laddove si riconosca al sostituto il potere di conciliare la lite con efficacia vincolante (sul piano materiale) per il sostituito.

Per concludere su questo primo punto, per sostenere l’esistenza di un potere dispositivo del garante-sostituto non resta altra strada se non dimostrare che l’istaurazione del rapporto sostitutorio, nella singola fattispecie, implichi anche l’attribuzione del potere sostanziale di disporre del diritto controverso[127]. Si tratta di uno svolgimento che, tuttavia, non può essere ragionevolmente dimostrato con il solo argomento che, altrimenti, la funzionalità della sostituzione processuale ne riuscirebbe gravemente mortificata[128]. Il garante, infatti, si limita ad assumere la causa del garantito in conseguenza della sua chiamata in causa e il garantito, a sua volta, a chiedere al giudice di essere estromesso dal giudizio: nessuna di queste attività schiettamente processuali investe il diritto materiale controverso in modo che ne possa discendere l’attribuzione del potere di disporre sul rapporto controverso a favore del sostituto; né, a monte della vicenda processuale relativa all’estromissione, è possibile riallacciare un tale effetto alla chiamata in garanzia, la quale anch’essa esaurisce pacificamente i suoi effetti sul versante processuale[129].

Il secondo argomento a favore della conciliabilità della lite del sostituto processuale s’incentra, come detto, sul parallelo tra la sentenza e la conciliazione quali istituti (fungibili?) preposti alla risoluzione della controversia, in specie valorizzando alcune tendenze interpretative favorevoli alla riconduzione della conciliazione – sia pure con particolari cautele – nell’alveo giurisdizione.

Non è tuttavia possibile, nell’economia del presente lavoro, sviluppare appieno tutte le potenzialità e conseguenze applicative ascrivibili all’inquadramento della conciliazione tra le attività giurisdizionali, mentre è necessario valutare se da una tale equiparazione possano discendere conseguenze decisive e compatibili con la disciplina positiva dell’estromissione del garantito e, specificamente, con la posizione di sostituto processuale assunta dal garante.

Sotto quest’ultimo punto di vista il testo della legge, se correttamente inteso, frappone un ostacolo insormontabile per chi intenda sostenere l’omogeneità di trattamento tra la sentenza e la conciliazione, per farne discende un vincolo per il sostituito alla conciliazione sottoscritta dal sostituto. Quando, infatti, l’art. 108 c.p.c. si riferisce – per definire le sorti del garantito estromesso – agli «effetti della sentenza», l’indicazione deve condurre l’interprete a risalire all’origine di quegli effetti e perciò anche all’art. 2909 c.c. dove è enunciato un principio essenziale in tema di conseguenze sostanziali della decisione giurisdizionale.

E in quell’occasione il legislatore non ha fatto dipendere il prodursi degli effetti materiali della sentenza dal suo essere formalmente un atto o un provvedimento del giudice, la qual cosa potrebbe rimettere senz’altro in gioco la figura della conciliazione giudiziale[130], quanto piuttosto che questo abbia per contenuto «un accertamento» suscettibile di acquistare la stabilità e immutabilità tipica della cosa giudicata[131]. Su quell’accertamento (a lui favorevole) confida il garantito quando abbandona il processo affidandosi al garante e ancora su quell’accertamento (sfavorevole al garantito) si fonda il vincolo per l’estromesso alla sentenza resa nel contradditorio del solo garante. È agevole a questo punto osservare come la conciliazione rappresenti, sotto questo profilo, un atto processuale che pur impedendo la decisione sul merito al contempo non reca alcun accertamento[132], rendendo privo di fondamento positivo il dispiegarsi di qualsiasi effetto sostanziale pregiudizievole nella sfera giuridica del garantito.

La fondatezza di quest’ultimo rilievo è peraltro indirettamente avallata anche dalle tesi di coloro che più di altri hanno sostenuto la riconduzione della conciliazione alla tutela giurisdizionale, nell’occasione definita giurisdizione conciliativa[133] o giurisdizione di convenienza[134], i quali hanno ravvisato proprio nel contenuto di accertamento tipico della sentenza un profilo decisivo che impedisce l’equivalenza tra questa e l’accordo raggiunto nel processo con l’assistenza del giudice[135].

La conciliazione giudiziale sottoscritta dal sostituto, dunque, difetta del presupposto che l’art. 108 c.p.c. pone a fondamento del vincolo per il sostituito, che cioè l’atto contenga un accertamento giurisdizionale di un diritto o uno status suscettibile di assumere la stabilità della cosa giudicata materiale[136].

Per giungere a una conclusione diversa è necessario, de iure condendo, un preciso intervento del legislatore che disponga la suddetta equiparazione. Così, infatti, accade in ordinamenti processuali vicini al nostro: l’ordinanza processuale svizzera, ad esempio, stabilisce espressamente che – sul piano degli effetti – la conciliazione giudiziale è identica alla sentenza passata in giudicato[137]; ma proprio l’esigenza di dettare una disciplina espressa – avvertita in altri Paesi – giustifica il contrario approccio tutt’ora prevalente nei nostri studi e che, pur alla luce delle suggestioni emerse negli ultimi tempi e di cui si è inteso dare conto in queste pagine, merita in definitiva di essere mantenuto.

9.Considerazioni conclusive.

L’esame svolto nelle precedenti pagine ha inteso sottoporre a verifica la tesi, prevalente nella nostra dottrina, secondo cui il sostituto processuale non ha il potere di conciliare la controversia con effetti sostanziali vincolanti per il sostituito. A tal fine si è scelto di affrontare la questione – suscettibile di essere studiata sotto vari punti di osservazione – nella prospettiva della sostituzione processuale in senso stretto, dove il sostituito non è litisconsorte necessario del sostituto.

In tale contesto, osservata la condizione dell’alienante dopo il trasferimento a titolo particolare della res litigiosa (art. 111 c.p.c.) e quella del garante assuntore della lite dopo l’estromissione del garantito (art. 108 c.p.c.), si è tentato di ricavare nuovi argomenti per sostenere, in ipotesi, una possibile revisione del tradizionale e negativo atteggiamento della letteratura sia rivolgendo l’attenzione al vivace dibattito attualmente in corso in Germania sull’analogo problema sorto con riferimento ai §§ 265, 325 e 794 ss. Z.P.O., sia considerando la disciplina dell’azione di responsabilità esercitata dalla minoranza introdotta nel 2003 dalla riforma del diritto societario (art. 2393-bis c.c.).

Verso un (sempre ipotetico) ripensamento del tradizionale assunto ha indirizzato anche la recente valorizzazione delle istanze conciliative in seno al processo civile, nonché l’accostamento sempre più marcato della conciliazione giudiziale alla sentenza, quale strumento anch’esso preposto alla realizzazione della tutela giurisdizionale, dalle quali si potrebbe trarre argomento – con la comparazione – per giustificare la soggezione del sostituito alla conciliazione così come è soggetto agli effetti della sentenza.

Tuttavia, pur a fronte di una tale mole di argomenti, ho ritenuto, in conclusione, di confermare l’opinione prevalente sia pure con alcune non trascurabili precisazioni: il sostituto processuale è da considerare senza dubbio privo del potere di sottoscrivere una conciliazione con effetti sostanziali vincolanti per il sostituto ma, ancor prima, egli non ha il potere di sottoscrivere una conciliazione giudiziale sul diritto o rapporto controverso, poiché i due effetti – materiale e processuale – non sono scindibili.

È però doveroso ricordare come ogni ricerca, anche quella appena terminata, si regga su alcune premesse teoriche rapidamente enunciate nelle premesse iniziali: così, ad esempio, sulla discussa nozione di legittimazione ad agire, dalla quale dipende la costruzione della sostituzione processuale, su quella di tutela giurisdizionale e dei suoi rapporti con l’accertamento giudiziale, per la garanzia rilevante ai fini dell’estromissione dalla lite e, in particolare, sulla natura e contenuto della conciliazione giudiziale[138]; da ciò consegue la possibilità di giungere a conclusioni diverse muovendo da premesse (a loro volta) diverse.

Queste pagine intendono, pertanto, essere solo un modesto contributo a un tema, quello della conciliazione del sostituto processuale che, al pari di molti altri, si colloca sul crinale tra diritto sostanziale e processo.

 

[1] L’art. 81 c.p.c. ha recepito nel nostro ordinamento la figura della sostituzione processuale (così, infatti, si esprime la rubrica dell’art. 81 c.p.c.) ma ne ha limitato, almeno in apparenza, il campo applicativo alle sole ipotesi espressamente regolate dalla legge. L’istituto, com’è noto, è stato inizialmente elaborato dai giuristi tedeschi (la formulazione del termine tedesco Processstandschaft e la prima elaborazione del concetto – necessaria a spiegare i singolari poteri riconosciuti all’usufruttuario – si deve a Josef Kohler (Der Dispositionsniessbrauch, in Jherings Jahrbücher, 1886, XXIV, p. 187 ss.; Id., Recht und Process, in Gesammelte Beiträge zum Civilprozess, Berlin, 1894, p. 37 s.; Id., Ueber die Succession in das Processverhältniss, ivi, p. 296 ss.; Id., Weiterer Beitrag zur Processstandschaft und zur processualischen Succession, ivi, p. 346 ss.) ed è stato ampiamente recepito e perfezionato dalla dottrina successiva, soprattutto con il contributo di Hellwig, System des Deutschen Zivilprozeβrechts, I, Leipzig, 1912, p. 166; Id., Lehrbuch des Deutschen Civilprozebrechts, I, Leipzig, 1903, p. 316 ss.; Id., Wesen und subjektive Begrenzung der Rechtskraft, Leipzig, 1901, p. 155 ss.) e diffuso in Italia grazie all’opera di Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3° ed., Napoli, 1923, p. 596, al quale si deve il conio del termine italiano sostituzione processuale, v. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1926, p. 238 ss., ma operando un deciso accostamento al fenomeno della rappresentanza processuale; Betti, Diritto processuale civile, 2° ed., Roma, 1936, p. 97; Allorio, Assicurazione e sostituzione processuale volontaria, in Riv. dir. comm., 1935, I, p. 415 ss. Con l’introduzione dell’attuale codice di rito l’accoglimento della figura nella nostra letteratura (con autorevoli eccezioni, cfr. Segni, voce Intervento in causa, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 945 s.; Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, p. 272 ss.; De Marini, La successione nel diritto controverso, Roma, 1953, p. 147 ss.; Tomei, voce Legittimazione ad agire, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 75 ss.; Monteleone, Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria, Milano, 1975, p. 195 ss.) può dirsi definitivamente compiuto anche per merito della fondamentale monografia di Garbagnati, La sostituzione processuale, Milano, 1942 (sulla quale, da ultimo, v. Marinelli, Rileggendo Edoardo Garbagnati “la sostituzione processuale nel nuovo c.p.c.”, Milano, 1942, in Jus, 2015, p. 81 ss.): v., tra i tanti, Zanzucchi-Vocino, Diritto processuale civile, 6° ed., I, Milano, 1964, p. 343 ss.; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., I, Napoli, 1957, p. 228 ss.; Mandrioli, Delle parti, nel Commentario al codice di procedura civile diretto da E. Allorio, II, Torino, 1973, p. 925 ss.; Cecchella, voce Sostituzione processuale, in Dig., disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 638 ss.; nonché, da ultimo, l’ampio riesame di Corsini, Parti (artt. 75-81), in Commentario del codice di procedura civile a cura di S. Chiarloni, Torino, 2016, p. 294 ss.

[2] Per tutti, cfr. Attardi, voce Legittimazione ad agire, in Dig., disc. priv., sez. civ., Torino, X, Torino, 1993, p. 525; Monacciani, Azione e legittimazione, Milano, 1951, p. 256 ss.; Menchini, Diritto processuale civile, I, Torino, 2023, p. 65 ss.; nonché Buoncristiani, Legittimazione ad agire, in Diritto processuale civile diretto da L. Dittrich, I, Milano, 2019, p. 920 ss., ad esito di un ragionato vaglio critico delle soluzioni alternative prospettate nella letteratura.

[3] Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, Milano, 1975, p. 99 ss.; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 13° ed., I, Torino, 2023, p. 623 ss.

[4] Anche in questo caso si tratta di un’indicazione non pacifica nella nostra dottrina, ma ad oggi prevalente, cfr. Betti, Sostituzione processuale del cessionario e retratto litigioso, in Riv. dir. proc. civ., 1926, II, p. 321; Id., Diritto processuale civile, 2° ed., cit., p. 483; Pavanini, Appunti sugli effetti della successione nella pretesa per atto tra vivi durante il processo, in Riv. dir. proc. civ., 1932, II, p. 150 ss.; Nencioni, Sostituzione processuale e legittimazione, in Foro it., 1935, IV, c. 385 ss.; Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1944, p. 227; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 9° ed., Milano, 2021, p. 83 s.; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., I, cit., p. 318; Id., Lezioni di diritto processuale civile, 2° ed., I, Napoli, 1961, p. 317; Carnelutti, Successione nella lite e intervento del successore nel processo, in Riv. dir. proc., 1957, II, p. 121; Id., Appello del cessionario del credito, in Riv. dir. proc., 1961, II, p. 509; Redenti, Sui trasferimenti delle azioni civili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, p. 90; Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione, Torino, 1989, p. 98 s.; Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 207; Luiso, L’esecuzione «ultra partes», Milano, 1984, p. 279 s., questi ultimi due autori la subordinano, però, all’adeguamento della domanda originaria.

[5] Cass. civ., 26 settembre 2022, n. 27996.

[6] Per questa lettura v. Attardi, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 527; Chizzini, L’intervento adesivo, II, Padova, 1992, p. 924, nt. 268; Fabbrini, Contributo alla dottrina dell’intervento adesivo, Milano, 1964, p. 255 ss., il quale considera l’interveniente adesivo un «legittimato straordinario successivo all’esercizio dell’azione della parte cui aderisce»; altri autori preferiscono definire secondaria la legittimazione dell’interveniente adesivo, salvo il caso in cui egli intervenga in un processo che avrebbe potuto proporre (come nel caso dell’azione surrogatoria), cfr. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, 6° ed., I, Bari, 2023, p. 230.

[7] Come esattamente osserva Attardi, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 529.

[8] Redenti, Il giudizio civile con pluralità di parti, rist., Milano, 1960, p. 95, quando Enrico Redenti scriveva la sua celebre monografia (1911), Giuseppe Chiovenda aveva però già deciso le sorti della figura nella nostra letteratura scientifica, offrendone una compiuta sistemazione nei Principii di diritto processuale civile (Redenti nel suo lavoro cita infatti la seconda edizione della fondamentale opera di Chiovenda).

[9] Redenti, op. loc. ult. cit.; così anche Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3° ed., cit., p. 599 ss., elenca le ipotesi di sostituzione processuale dove il sostituito non è parte del processo e sembra ritenere che quando il sostituito divenga parte del rapporto processuale la sostituzione venga meno.

[10] Dalla nozione accolta nel testo occorre tenere distinte quelle fattispecie, anch’esse espressamente regolate dalla legge, nelle quali ad un soggetto è attribuito il potere (di azione costitutiva) di modificare un rapporto giuridico altrui, a patto di riconoscere nell’azione costitutiva l’essenza di questo potere, sebbene all’atto pratico, specie con riferimento alla posizione processuale assunta per effetto dell’esercizio dell’azione, sovente non sussistano differenze di rilievo con i casi di legittimazione straordinaria ad agire (v. Attardi, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 529). In queste situazioni, insomma, non si realizza alcuna sostituzione, perché chi agisce esercita una propria legittimazione che ha però la singolare caratteristica d’essere destinata a incidere sopra un rapporto altrui, come accade nell’azione di annullamento del matrimonio contratto in violazione degli artt. 84, 86, 87, e 88 c.c. proponibile anche dal terzo titolare di «un interesse legittimo e attuale» ( ai sensi dell’art. 117 c.c.): così già Tomei, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 76, secondo cui i coniugi «vengono in considerazione non quali titolari di un diritto sostituito, ma quali soggetti passivi dell’azione, quali contraddittori necessari dell’azione degli ascendenti».

[11] Non costituisce a mio giudizio espressione di legittimazione straordinaria nemmeno il potere di azione strumentale alla tutela delle gestioni patrimoniali autonome (secondo l’espressione coniata da Redenti, Diritto processuale civile, I, Milano, 1952, p. 175 ss.), poiché in tal caso il soggetto non agisce in nome proprio ma in esecuzione di un particolare ufficio o incarico, avente per contenuto la tutela dei beni facenti parti del patrimonio autonomo, cfr. Tomei, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 77, testo e nt. 33; Redenti, Diritto processuale civile, I, cit., p. 176 s., secondo cui la dissociazione tra titolarità e interesse in questi casi finisce per delineare una categoria autonoma di soggetti che non agiscono né in nome proprio né in nome altrui; Verde, Diritto processuale civile, 6° ed., I, Torino, 2023, p. 178; conf., da ultimo e con ampio svolgimento del tema, Galanti, Processo e patrimoni, in La nuova giur., 2022, p. 93; Id., Processo senza soggetti. Contributo allo studio delle «gestioni patrimoniali autonome» nel processo, Milano, 2021, p. 318 ss.

Giova inoltre osservare che in queste ipotesi – tra le quali si segnalano in particolare la condizione del curatore nella liquidazione giudiziale, quello dell’eredità giacente, dell’esecutore testamentario e del custode dei beni sequestrati o pignorati – non è possibile parlare di sostituzione processuale se non in senso improprio poiché si tratta di situazioni nelle quali il titolare (o, più spesso, i titolari) del rapporto non possiede una legittimazione ordinaria concorrente con quella straordinaria che si vorrebbe riconoscere in capo a chi propone la domanda giudiziale o vi resiste; in senso contrario e favorevole a ricondurre anche queste ipotesi all’agire sostitutorio, cfr. Nicolò, Dell’azione surrogatoria, in Aa. Vv., La tutela dei diritti, nel Commentario al codice civile diretto da V. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1953, p. 35.

[12] La partecipazione necessaria del sostituito avrà anche la funzione di assicurare a quest’ultimo e tempestivamente la possibilità di contestare i presupposti della straordinaria legittimazione del sostituto, cfr. le limpide osservazioni di Nicolò, Dell’azione surrogatoria, cit., p. 20.

[13] Attardi, voce Legittimazione ad agire, cit., pp. 526, 529; Proto Pisani, Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, 1965, p. 102; Menchini, Il giudicato civile, 2° ed., Torino, 2002, p. 190; Merlin, Elementi di diritto processuale civile, Torino, 2022, p. 49; rilievi divergenti in Chizzini, L’intervento adesivo, II, cit., p. 943, nt. 294. In tal modo, a ben vedere, uno dei tratti definitori della figura della sostituzione processuale, nella nozione comunemente ricevuta dalla nostra dottrina, come potere di invocare la tutela di un rapporto giuridico altrui con effetti per il sostituito, riesce decisivamente confinato alla sola fase d’instaurazione del giudizio mentre l’estensione del giudicato al sostituito trova la sua naturale spiegazione nell’assunzione della qualità di parte e nella conseguente lineare applicazione dell’art. 2909 c.c. Tale considerazione giustifica, almeno sotto questo non trascurabile profilo, la distinzione accolta nel testo tra sostituzione processuale in senso lato (la quale per molti tratti non è distinguibile dalla legittimazione straordinaria ad agire) e sostituzione processuale in senso stretto, nella quale il sostituito non è litisconsorte necessario.

[14] Per questa distinzione, a mio avviso essenziale alla corretta ricostruzione di molti istituti che ruotano attorno all’art. 81 c.p.c., cfr. specialmente Fazzalari, Il processo ordinario di cognizione, cit., p. 93 ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, 8° ed., Padova, 1996, p. 336 s.; Tomei, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 75 ss.; Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, Milano, 2024, p. 230; Cecchella, voce Sostituzione processuale, cit., p. 638 s.; Chizzini, L’intervento adesivo, II, cit., p. 947; Buoncristiani, Legittimazione ad agire, cit., p. 927 ss.; Menchini, Diritto processuale civile, I, cit., p. 68; altri distingue in proposito tra sostituzione processuale forte e sostituzione processuale debole, cfr. Verde, Diritto processuale civile, 6° ed., I, Torino, 2023, p. 179; Ruffini, Le parti, in Bertoldi-Gradi-Ruffini, Diritto processuale civile, I, Bologna, 2023, p. 295 ss.

[15] Per la dimostrazione di questa tesi, sia consentito rinviare a Lai, L’estromissione della parte nel processo di cognizione, Napoli, 2024, p. 345 ss.; in senso conforme, con riferimento però alla sola estromissione del garantito, cfr. Redenti, Diritto processuale civile, I, cit., p. 179.

[16] Attardi, Diritto processuale civile, 3° ed., Padova, 1999, p. 339; la dottrina prevalente, come detto, considera un’ipotesi di sostituzione processuale anche quella dell’alienante dopo il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso (art. 111, primo comma, c.p.c.): cfr. gli autori citati supra alla nt. 4.

[17] Fazzalari, Istituzioni di diritto processuale civile, I, cit., p. 338, osserva in proposito «Poiché si tratta di casi eterogenei, espressamente voluti dalla legge, non è possibile teorizzare intorno ad un metro comune della legittimazione straordinaria, ed è solo consentito [..] analizzare i singoli casi»; conf. Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, cit., p. 97 ss.; Balena, Contributo allo studio delle azioni dirette, Bari, 1990, p. 126.

[18] Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 236; De Marini, La successione nel diritto controverso, cit., p. 84 s.; Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, nel Commentario al codice di procedura civile diretto da E. Allorio, II, Torino, 1973, p. 1233; Cecchella, voce Sostituzione processuale, cit., p. 641; Widmann, La successione a titolo particolare nel diritto controverso, Napoli, 2015, p. 111 s., riferendosi all’alienante ex art. 111 c.p.c. sul presupposto della rilevanza per il processo del trasferimento.

[19] Non vi è dubbio, infatti, che il sostituto sia parte del processo, quantomeno in senso formale, cfr. per tutti Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 208 ss.; Menchini, Diritto processuale civile, I, cit., p. 69.

[20] Sotto questo profilo si dimostra ancora utilissimo lo studio di Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, cit., p. 101 ss., per dimostrare come la necessaria partecipazione del sostituito al processo non implichi di per sé il riconoscimento in suo favore di una piena legittimazione processuale concorrente con quella spesa dal sostituito, anche avendo riguardo alle modalità con le quali la legge prevede la realizzazione del litisconsorzio (domanda promossa contro una pluralità di soggetti oppure onere di chiamata in causa di uno di essi), per giungere ad equiparare la posizione del sostituito nel processo condotto dal sostituto alla stregua di un intervento adesivo dipendente (p. 131).

[21] Tra questi vi è, come anticipato, chi contesta l’utilità stessa del concetto: Segni, L’intervento adesivo, Roma, 1919, p. 132 ss.; Id., voce Parti, in Enc. it., 1935, ora in www.treccani.it; U. Rocco, Legittimazione ad agire, Roma, 1929, p. 60 ss., giudizio peraltro ribadito dall’autore anche dopo l’introduzione dell’art. 81 c.p.c., cfr. Id., Trattato di diritto processuale civile, I, Torino, 1957, p. 343 ss.; Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, cit., p. 273 ss.; Tomei, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 75 ss.; Monteleone, Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria, cit., p. 215 ss., il quale – riferendosi alla posizione del creditore in surrogatoria – ritiene che egli eserciti un potere scaturente dal rapporto sostanziale con il debitore sostituito; altri, pur muovendo nell’ambito della legittimazione straordinaria, estende l’oggetto dell’accertamento al diritto del sostituto, cfr. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, 2° ed., Torino, 1994, p. 111; Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, Padova, 2001, p. 516 s.

[22] Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 211 ss.; Id., Azione ed interesse, in Scritti scelti, Milano, 1989, p. 114; Nicolò, Dell’azione surrogatoria, cit., p. 163; Balena, Contributo allo studio delle azioni dirette, cit., p. 124 ss.; Bove, Elementi di diritto processuale civile, 7° ed., Torino, 2023, p. 145.

[23] Cecchella, voce Sostituzione processuale, cit., p. 641.

[24] Attardi, voce Legittimazione ad agire, cit., p. 529; Nicolò, Dell’azione surrogatoria, pp. 39, 175 ss.; Corsini, Parti, cit., p. 333; Ruffini, Delle parti, cit., p. 296; Menchini, Diritto processuale civile, I, cit., p. 69.

[25] Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 240 s.; Micheli, La rinuncia agli atti del giudizio, Padova, 1937, p. 33; Nicolò, Dell’azione surrogatoria, cit., p. 178, ma non senza sottolineare come, nelle ipotesi di legittimazione straordinaria, «questa potestà dispositiva del creditore che sul piano processuale gli spetta rispetto al procedimento in corso può essere quasi sempre neutralizzata dal titolare […]»; Corsini, Parti, cit., p. 333, ma sul rilievo che gli effetti dell’estinzione non investano la posizione sostanziale del sostituito e, in ogni caso, il sostituito non possa opporsi alla rinuncia, sulla scia di Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, cit., p. 131 ss., il quale pone anzi il problema, risolvendolo negativamente, della necessaria accettazione del sostituito; Cecchella, voce Sostituzione processuale, cit., p. 642.

[26] Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, cit., p. 230; Nicolò, Dell’azione surrogatoria, cit., p. 180; Merlin, Elementi di diritto processuale civile, cit., p. 47; Balena, Contributo allo studio delle azioni dirette, cit., p. 254 ss., il quale, peraltro ammette il sostituto a prestare la confessione e il giuramento, ma con effetti limitati ai sensi degli artt. 2733, terzo comma e 2738, terzo comma, c.c., in quanto resi da uno soltanto dei litisconsorti necessari; in senso contrario e quindi per riconoscere al sostituto il potere di confessare o deferire giuramento, sia consentito rinviare a Lai, L’estromissione della parte nel processo ci cognizione, cit., p. 413 ss.

[27] In questo senso, v. Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, cit., p. 98 ss., spec. p. 130 ss., il quale prende a modello l’azione surrogatoria e propone di sganciare la posizione di litisconsorte necessario del sostituito dalla «misura» della sua legittimazione (p. 100), per giungere a caratterizzarla come passiva (e recessiva) rispetto a quella esercitata dal sostituto attore; soluzione alla quale aderisce, di recente, anche Corsini, Parti, cit., p. 335.

[28] Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3° ed., cit., p. 598; Betti, Sostituzione processuale del cessionario e retratto litigioso, cit., p. 325; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., I, cit., p. 230; Zanzucchi-Vocino, Diritto processuale civile, cit., p. 345; Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 228, nt. 179; Rossi, voce Conciliazione I) diritto processuale civile, in Enc. giur., Roma, 1988, p. 15; Attardi, Diritto processuale civile, 3° ed., cit., p. 323; Gambineri, Garanzia e processo, II, Milano, 2002, p. 580; Corsini, Parti, cit., p. 336; De Marini, La successione nel diritto controverso, cit., p. 95 ss., riferendosi alla posizione dell’antecessore nel caso di trasferimento del diritto controverso ma escludendone la riconducibilità alla sostituzione processuale; De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, Milano, 1959, p. 128, ma precisando che il sostituto potrà invece conciliare quando l’oggetto del componimento riguardi esclusivamente il processo e non il diritto sostanziale, poiché muove da una concezione prettamente materiale della conciliazione; Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, cit., p. 1233, riferendosi alla posizione dell’alienante in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, ma ammettendo un’eccezione quando si tratti di cessione di un credito e questa non sia ancora perfezionata nei confronti del debitore ceduto, ovvero di conciliazione su diritto reale trascritta prima dell’acquisto del terzo.

[29] Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 239, ma la tesi, come si cercherà di dimostrare, non può essere condivisa.

[30] A questa soluzione accede anche, in tempi più recenti, Santagada, La conciliazione delle controversie civili, Bari, 2008, p. 256, sostenendo che quando il sostituito non sia parte della conciliazione giudiziale, questa «produrrà ugualmente gli effetti processuali che le sono propri, mentre gli effetti sostanziali non saranno vincolanti nei suoi confronti», ma la formulazione non chiarisce se questi effetti almeno precariamente possano dispiegarsi nella sua sfera giuridica e il sostituito, per rimuoverli, debba attivare un nuovo giudizio nei confronti delle parti che hanno sottoscritto la conciliazione.

[31] Sulle orme di Liebman, Risoluzione convenzionale del processo, in Riv. dir. proc. civ., 1932, I, p. 260 ss.

[32] De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, cit., p. 126 ss.; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., I, cit., p. 230, in quanto esclude che il sostituto possa compiere atti processuali «collegati alla titolarità del diritto sostanziale»; Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, cit., p. 1233; Corsini, Parti, cit. p. 333; Merlin, Elementi di diritto processuale civile, cit., p. 47; più in generale Bove, Lineamenti di diritto processuale civile, 7° ed., cit., p. 146, osserva come il difetto di titolarità del rapporto o diritto controverso implichi «delle conseguenze sul piano dei poteri processuali spendibili, che saranno per il legittimato straordinario inferiori ai poteri normalmente spendibili da parte del legittimato ordinario».

[33] Cecchella, voce Sostituzione processuale, cit., p. 642; nonché Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, cit., pp. 359 s., 391 ss., il quale riconosce al sostituto processuale il potere di disporre del diritto controverso. Anche Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, cit., p. 422 s., nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, riconosce all’alienante il potere di conciliare la lite con effetti vincolanti per il successore sull’argomento che «In definitiva, vi è qui lo stesso fondamento che giustifica l’opponibilità all’acquirente della sentenza emanata contro l’alienante, e anzi tutte le soluzioni per le singole posizioni processuali sono dei corollari della fondamentale soluzione stabilita dalla legge per la sentenza»: si tratta di un giudizio sul quale torneremo ripetutamente, ma che nel pensiero del giurista nuorese è tuttavia slegato dalla condizione di sostituto processuale dell’alienante, che Satta nega tenacemente.

[34] Questa caratteristica è spesso resa dalla letteratura con le figure della «dicotomia», della «chimera» e, persino, dell’immaginifico «Giano Bifronte», cfr. da ultimo, tra gli autori tedeschi, Rapp, Die Bindung Dritter beim Prozessvergleich, in Zeitschrift für Zivilprozess, 2019, p. 496 s.; nonché U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile, III, Torino, 1957, p. 82. In Germania, la dottrina distingue la «doppia natura» dell’atto processuale, la quale attiene alla individuazione della fonte di disciplina della singola fattispecie, dalla «doppia fattispecie», quest’ultima si riscontra quando l’effetto risolutivo della litispendenza correlato alla conciliazione può essere scisso da quello di costituire una nuova fonte di disciplina dei rapporti sostanziali tra le parti, cfr.  Baumgärtel, Wesen und Begriff der Prozeßhandlung einer Partei im Zivilprozeß, Berlin und Frankfurt, 1957, p. 195; più in generale sulla nozione di atto processuale “doppiamente funzionale”, cfr. Niese, Doppelfunktionelle Prozesshandlungen: Ein Beitrag zur allgemeinen Prozessrechtslehre, Göttingen, 1950, passim.

[35] Schilken, Zur Bindung des Rechtsnachfolgers an einen vom Rechtsvorgänger geschlossenen Prozessvergleich, in Festschrift für Herbert Roth zum 70. Geburstag, Tübingen, 2021, p. 517.

[36] Redenti, Diritto processuale civile, 2° ed., II, Milano, 1953, p. 191, la definiva «un negozio dispositivo di diritto sostanziale (transazione, rinuncia pura e semplice, rinuncia negoziata contro corrispettivo), che solo per occasionem trova luogo nel corso di una procedura giudiziaria».

[37] Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, 2° ed., cit., p. 40 s.; Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, 2, Padova, 2001, p. 1109; Frische, Verfahrenswirkungen und Rechtskraft gerichtlicher Vergleiche, Heidelberg, 2006, p. 8 ss.; Chizzini, La tutela giurisdizionale dei diritti, Milano, 2018, p. 300, nt. 296.

[38] De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, cit., p. 126 ss., con esclusivi richiami – a conforto della soluzione proposta – alla letteratura tedesca; l’autore, coerente alla sua impostazione, così conclude: «solo una concezione strettamente processuale del componimento, che configuri questo atto come mero atto processuale, potrebbe senza contraddizione sostenere che alla sua valida stipulazione sia sufficiente un potere la cui portata non oltrepassa l’ambito del processo» (p. 128).

[39] Cfr. gli autori citati supra alla nt. 4; ritengo, invece, limitatamente al profilo in esame, vada privilegiata la soluzione – più aderente al testo della legge – che esclude ogni rilevanza processuale al trasferimento della res litigiosa, pertanto inidoneo ad elidere la legittimazione delle parti originarie del giudizio, cfr. Lai, L’estromissione della parte nel processo di cognizione, cit., 155 ss.

[40] De Marini, La successione nel diritto controverso, cit., p. 189, utilizzando però lo schema della parte complessa, in forza del quale solo quando il soggetto degli atti processuali è anche il soggetto degli effetti della sentenza sorge il potere di componimento amichevole della lite; De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, cit., p. 134; Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, cit., p. 1233, che inquadra la conciliazione, accomunandola alla transazione, tra i «negozi sostanziali di disposizione del diritto controverso»; Rapp, Die Bindung Dritter beim Prozessvergleich, cit., p. 507 s.; a questa impostazione si è da ultimo autorevolmente opposto l’argomento che distingue la titolarità del diritto dal potere di disporne validamente attraverso l’atto processuale: Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, cit., p. 392, soluzione contrastata – presso gli autori tedeschi – da Braun, Lehrbuch des Zivilprozeßrechts, Tübingen, 2014, p. 342 s.

[41] Morgese, Oltre la contesa: la conciliazione giudiziale come esercizio virtuoso della giurisdizione. Radici e valori di una antica tradizione giuridica, in www.judicium.it, p. 7 ss.

[42] Denti, Profili dell’intervento del giudice nella conciliazione, in Dall’azione al giudicato, Padova, 1983, p. 19 ss., ravvisa nell’intervento del giudice una funzione omologativa «che rientra indubbiamente nel quadro della giurisdizione volontaria» e poi a p. 34 «è possibile così individuare, al di là della generica attività di cooperazione al componimento, l’esercizio di un potere giurisdizionale volontario che sfocia in un provvedimento (omologazione) integrativo dell’accordo negoziale, e produttivo di effetti giuridici di varia intensità e natura»; in senso favorevole alla riconduzione dell’attività conciliatoria del giudice entro i confini della giurisdizione volontaria v. anche Attardi, Diritto processuale civile, 3° ed., cit., p. 44; il tema della qualificazione dell’attività del giudice per farne dipendere la natura giudiziale o meno della conciliazione è particolarmente avvertito anche per la sua esatta collocazione tra i titoli esecutivi, cfr. specialmente Vaccarella, Diffusione e controllo dei titoli esecutivi non giudiziali, in Riv. dir. proc., 1992, p. 47 ss.; Grasso, voce Titolo esecutivo, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, p. 693 ss.; Bove, in Balena-Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Napoli, 2006, p. 122 ss.

[43] Nel senso indicato da Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, 5° ed., I, Roma, 1951, p. 63; Pavanini, Conciliazione e limite della procura alle liti nelle controversie di lavoro, in Studi in memoria di Piero Calamandrei, III, Padova, 1958, p. 543 ss.; Pajardi, Della trattazione della causa, in Commentario al codice di procedura civile diretto da E. Allorio, III, Torino, 1980, p. 576.

[44] Sul quale cfr. Vullo, Il nuovo processo del lavoro, Bologna, 2015, p. 241 ss.; nonché Trisorio Liuzzi-Dalfino, Manuale del processo del lavoro, Bari, 2021, p. 74 ss.

[45] Cfr. Tedoldi, Iudex statutor et iudex mediator: proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., precognizione e ricusazione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, p. 983 ss.

[46] V., tra i contributi più recenti, Morgese, Oltre la contesa: la conciliazione giudiziale come esercizio virtuoso della giurisdizione. Radici e valori di una antica tradizione giuridica, cit, p. 2 ss., il quale non esita a ricondurre la conciliazione giudiziale nel corpo della giurisdizione contenziosa.

[47] Lo sottolinea anche Niese Doppelfunktionelle Prozesshandlungen, cit., p. 87, proponendo un accostamento – sotto il profilo della duplice funzione dell’istituto – tra la sentenza e la conciliazione giudiziale, in quanto ambedue preordinate a risolvere il rapporto processuale e contestualmente dettare una nuova disciplina vincolante del rapporto materiale tra le parti.

[48] Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, p. 1202; Bove, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, p. 1069, nt. 8.

[49] Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., II, Napoli, 1957, p. 90; nonché ancora Luiso, La conciliazione giudiziale, in I contratti di composizione delle liti a cura di E. Gabrielli e F.P. Luiso, I, nel Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Milano, 2005, p. 334 ss.

[50] Sul presupposto che il garante sia sostituto processuale del garantito estromesso e la sentenza conclusiva del giudizio sia pertanto vincolante anche per quest’ultimo, cfr., per tutti, Fabbrini, L’estromissione di una parte dal giudizio, in Scritti giuridici, I, Milano, 1989, p. 98 ss.; Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, cit., p. 168 ss.

[51] BGH 14 settembre 2018, in JuristenZeitung, 2019, p. 310 ss.; la decisione è approvata da Roth, in Zeitschrift für Immobilienrecht, 2019, p. 66 ss., e da Würdinger, in Neue Juristische Wochenschrift, 2019, p. 313 ss.

[52] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 7; Roth, op. cit., p. 66.

[53] Si tratta, peraltro, di un orientamento ben presente, e da tempo, nella dottrina tedesca, cfr. Rosenberg, Lehrbuch des Deutschen Zivilprozeßrechts, 9° ed., München und Berlin, 1961, p. 629; G. Lüke, § 265, in Münchener Kommentar ZPO, München, 1992, Rdnr. 75; Reichold, § 265, in Thomas-Putzo, Zivilprozessordnung, 27 ° ed., München, 2005, Rdnr. 12, ma senza particolare svolgimento delle ragioni a sostegno della conclusione accolta; Anders, § 265, in Anders-Gehle, Zivilprozessordnung, 80° ed., München, 2022, Rdnr. 19.

[54] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 17; conf. G. Luke, § 265, in Münchener Kommentar Z.P.O., München, 1992, Rdnr. 75; v., altresì, la lucida analisi di Berger, Zur Bindung del Rechtsnachfolgers ad einen vom Veräußerer in Rahmen des § 265 Abs. 2 Satz 1 ZPO geschlossenen Prozessvergleich, in Festschrift für Herbert Roth zum 70. Geburstag, cit., p. 179, il quale sottolinea la necessità di coordinare l’oggetto della successione a titolo particolare a quello della conciliazione giudiziale quale fondamentale presupposto per spiegare l’estensione al successore degli effetti dell’accordo concluso nel processo.

[55]  BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 7; poiché tuttavia il successore – pur potendo – non è intervenuto come parte principale assumendo la controversia, la Corte Suprema ritiene di dover applicare le regole stabilite dal § 265 Z.P.O.

[56] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 11 e 20, dove è richiamato il precedente (che tuttavia non aveva affrontato e risolto l’ulteriore questione degli effetti della conciliazione verso il sostituito) di BGH 16 maggio 1986, in Neue Juristische Wochenschrift, 1987, p. 307 ss.

[57] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 18.

[58] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 22: «Das Zivilprozessrecht weist ihm bewusst eine untergeordnete Rolle zu». A questa considerazione si aggiunge, sempre nell’ambito della successione a titolo particolare, l’argomento tratto dal secondo comma del § 325 Z.P.O. per cui il terzo si può sottrarre agli effetti della sentenza, invocando la disciplina sostanziale, solo quando il trasferimento sia avvenuto sine titulo: quindi l’eventuale trasferimento compiuto senza informare il cessionario della litispendenza, non vale a sottrarre quest’ultimo agli effetti della decisione, cfr. BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 32; Rapp, Die Bindung Dritter beim Prozessvergleich, cit., p. 504 s. Il tema è ben presente anche da noi, come testimonia il fondamentale studio di Tommaseo, L’estromissione di una parte dal processo, cit., p. 101 ss., il quale tuttavia ricava la subordinazione del sostituito da altri indici positivi, a mio avviso non altrettanto decisivi.

[59] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 22, conclude infatti: «Infolgedessen können ihm lediglich Schadensersatzansprüche gegen den Veräußerer zustehen»; conf. Anders, § 265, in Anders-Gehle, Zivilprozessordnung, 80° ed., cit., Rdnr. 19.

[60] BGH 14 settembre 2018, Rdnr. 12; peraltro, aggiunge la Corte, riconoscere al sostituto il potere di conciliare la controversia ma senza effetti (materiali) per il sostituito sarebbe un’attribuzione priva di significato.

[61] Così, infatti, si esprime la Corte Suprema riferendosi all’avversario estraneo alla successione «Deshalb ist er darauf angewiesen, das in dem laufenden Prozess erzielte Ergebnis – sei es ein Urteil oder ein Vergleich – trotz der Veräußerung verwerten zu können». In senso conforme all’argomento speso dal Bundesgerichtshof, cfr. le osservazioni alla sentenza di Würdinger, op. cit., p. 313 ss.; Roth, op. cit., p. 67; per ulteriori e complete indicazioni bibliografiche, cfr. Fervers, Die Bindung Dritter an Prozessergebnisse, Tübingen, 2022, p. 187, nt. 112.

[62] Althammer, Bindung an den vom Rechtsvorgänger abgeschlossenen Prozessvergleich, in Juristen Zeitung, 2019, p. 287.

[63] Althammer, Bindung an den vom Rechtsvorgänger abgeschlossenen Prozessvergleich, cit., p. 288; Schilken, Zur Bindung des Rechtsnachfolgers an einen vom Rechtsvorgänger geschlossenen Prozessvergleich, cit., p. 519 s.

[64] Rapp, Die Bindung Dritter beim Prozessvergleich, cit., p. 498; nello stesso senso v. già Schumann, § 265, in Stein-Jonas, Z.P.O., 21° ed., III, Tübingen, 1997, Rdnr. 40, il quale riconosce all’antecessore il potere di conciliare ma al contempo nega che questo possa comportare attività dispositiva con effetti di diritto materiale.

[65] Althammer, Bindung an den vom Rechtsvorgänger abgeschlossenen Prozessvergleich, cit., p. 289; Rapp, Die Bindung Dritter beim Prozessvergleich, cit., p. 502; Schilken, Zur Bindung des Rechtsnachfolgers an einen vom Rechtsvorgänger geschlossenen Prozessvergleich, cit., p. 519.

[66] Rapp, Die Bindung Dritter beim Prozessvergleich, cit., p. 506 ss.; Schilken, Zur Bindung des Rechtsnachfolgers an einen vom Rechtsvorgänger geschlossenen Prozessvergleich, cit., p. 519.

[67] Nel caso di società quotata, l’azione può essere promossa dai soci che rappresentano almeno un quarantesimo del capitale sociale o la minore misura prevista dallo statuto; per una cauta estensione dell’istituto della rinuncia o transazione anche all’azione di responsabilità esercitata dal singolo socio nella società a responsabilità limitata, cfr. G. Scognamiglio, La responsabilità gestoria: le azioni, in Aa. Vv., Le società a responsabilità limitata, a cura di C. Ibba e G. Marasà, II, Milano, 2020, p. 1917 ss.

[68] Poiché la legge richiede espressamente l’estensione del giudizio alla società titolare del diritto (credito) azionato dai soci di minoranza, la fattispecie in esame dovrebbe essere correttamente qualificata, sulla base del criterio discretivo accolto nel presente studio, quale legittimazione straordinaria: tuttavia, in questo specifico caso la dottrina spesso ricorre in modo promiscuo alle due figure (sostituzione processuale o legittimazione straordinaria), ma ciò non incide sul problema che stiamo affrontando. Per la sostituzione processuale, cfr. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale ciivle, 13° ed., I, cit., p. 608; Auletta, Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci, in Aa. Vv., La riforma delle società a cura di M. Sandulli e V. Santoro, 2, I, Torino, 2003, p. 488; Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 200; Rossi, Azione sociale esercitata dai soci, in Aa.Vv., Il nuovo diritto delle società diretto da A. Maffei Alberti, I, Padova, 2005, p. 821; Giudici, L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dai soci di minoranza: i problemi di un legal transplant, in Nuova giur. civ. comm., 2005, p. 475 s.; Enriques-Mucciarelli, L’azione sociale di responsabilità da parte delle minoranze, in Aa. Vv., Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, II, Torino, 2006, p. 869 ss.; G. Ferri, Diritto commerciale, 13° ed., Torino, 2010, p. 430; Ambrosini, La responsabilità degli amministratori, in Aa. Vv., Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, IV, Padova, 2010, p. 673; Dell’Atti, La rinunzia all’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.p.a., Milano, 2012, p. 25; De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva, Napoli, 2013, p. 132 s.; M. Fabiani, L’azione di responsabilità dei soci di minoranza e la sostituzione processuale, in Riv. dir. proc., 2015, p. 701 s.; Id., L’azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, Milano, 2015, p. 181 ss.; Iacumin, I profili processuali dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 bis c.c. tra tutela delle minoranze, sostituzione e rappresentanza, in Dial. dir. econ., 2017, p. 4 ss.; Calandra Buonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, in Trattato di diritto commerciale fondato da V. Buonocore e diretto da R. Costi, IV, 6, Torino, 2019, p. 368 ss.; Montanari, Sostituzione processuale ex art. 2393-bis c.c. ed esecuzione del sequestro conservativo, in Le società, 2021, p. 1147 ss.; Dalla Bontà, Azione sociale di responsabilità ex art. 2393 bis c.c. e trascrizione di sequestro conservativo, in Riv. dir. proc., 2021, p. 1049 s.; di legittimazione straordinaria discorre, invece, Latella, L’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza, Torino, 2007, p. 265. Ha avuto minore fortuna la soluzione della gestione d’affari processuale sostenuta (inizialmente elaborata con riferimento all’art. 129 T.U.I.F.) da Oppo, L’azione «sociale» di responsabilità promossa dalla minoranza nelle società quotate, in Riv. dir. civ., 1998, II, p. 408, dove peraltro l’acuto rilievo opposto alla tesi della sostituzione processuale secondo cui i soci di minoranza non fanno valere un diritto altrui ma un diritto che in quanto “sociale” è almeno in parte riconducibile alla loro sfera giuridica; conf., con ampio svolgimento e riferendosi all’art. 2393-bis c.c., Sambucci, Danno da mala gestio e tutela della minoranza, in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 103 ss.

[69] Latella, L’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza, cit., p. 241 s., il quale – a mio avviso coerentemente alla sua impostazione di fondo – ricava da questa regola la natura di legittimazione straordinaria e non sostituzione processuale del potere esercitato dalla minoranza (p. 261).

[70] Così, ad esempio, Galgano-Genghini, Il nuovo diritto societario, 3° ed., I, Padova, 2006, p. 484.

[71] Resta inteso, in conformità allo schema della sostituzione processuale, che dell’eventuale soccombenza in giudizio risponderanno i soci che hanno agito, salvo che la società abbia partecipato attivamente al giudizio costituendosi e aderendo integralmente alla domanda promossa dalla minoranza. Autorevole dottrina ha inoltre chiarito che eventuali obblighi o oneri derivanti dalla sentenza conclusiva del giudizio di responsabilità potranno ricadere solo sui soci di minoranza che hanno agito e mai gravare sul patrimonio della società, cfr. Oppo, L’azione «sociale» di responsabilità promossa dalla minoranza nelle società quotate, cit., p. 408; alla stessa soluzione, a me pare, dovrebbe pervenirsi anche nel caso in cui tali obblighi od oneri discendano dalla conciliazione giudiziale sottoscritta dai (soli) soci di minoranza.

[72] Secondo Giudici, L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dai soci di minoranza: i problemi di un legal transplant, cit., p. 485, la previsione del potere transattivo o conciliativo della minoranza rafforza lo schema della sostituzione processuale, poiché «anche l’anticipata conclusione della causa è interamente rimessa nelle mani dell’attore»: in tal modo l’A. esprime implicitamente l’avviso che la necessarietà del litisconsorzio sia recessiva rispetto al proposito solutorio della minoranza. Altri, avverte la contrarietà almeno apparente dell’istituto con i principi della sostituzione processuale quando osserva che questo «introduce nel campo della sostituzione processuale un potere che, di norma, non può riconoscersi al sostituto, al quale in astratto non potrebbe riconoscersi il potere di rinunciare ad un diritto, di cui non è titolare, o di transigere la relativa controversia», così Salafia, Amministrazione e controllo delle società di capitali nella recente riforma societaria, in Società, 2002, p. 1470.

[73] Ipotizzo, infatti, che la transazione conclusa nel giudizio di responsabilità promosso dalla minoranza possa assumere la forma della conciliazione giudiziale.

[74] Cfr. Rufini, Art. 2409-decies: azione sociale di responsabilità, in Aa. Vv., Il nuovo diritto delle società a cura di A. Maffei Alberti, II, Padova, 2005, p. 1151; anche Mucciarelli, in Mucciarelli-Pomelli, Sistemi dualistico e monistico di amministrazione e controllo nelle società per azioni, in Trattato di diritto commerciale fondato da V. Buonocore e diretto da R. Costi, IV, 4.VII, Torino, 2024, p. 60, osserva che «chi dispone della facoltà di rinunciare o transigere dispone anche dell’azione stessa e del diritto al risarcimento del danno»; nonché Sambucci, Danno da mala gestio e tutela della minoranza, cit., p. 101, nt. 4, il quale ritiene la rinuncia e la transazione concluse dalla minoranza siano opponibili alla società, nel senso di porre gli amministratori convenuti «al riparo da future azioni di responsabilità», sebbene l’A. distingua il caso in cui la società sia rimasta inerte rispetto nel giudizio promosso dalla minoranza ovvero vi abbia preso parte attivamente sostenendone l’iniziativa, per farne discende conseguenze immediate sulla consistenza del potere transattivo della minoranza attrice.

[75] Sambucci, Danno da mala gestio e tutela della minoranza, cit., p. 120.

[76] O meglio, tale da giustificare ancora una volta l’idea che una ricostruzione unitaria della posizione del sostituto, riproducibile e verificabile in tutte le fattispecie di legittimazione straordinaria, sia impedita dalle caratteristiche delle singole vicende sostanziali che la contemplano.

[77] Picciau, Azione sociale di responsabilità, in Aa. Vv., Commentario alla riforma delle società diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M. Notari, Amministratori, Milano, 2005, p. 642; Dell’Atti, La rinunzia all’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.p.a., cit., p. 33; si discosta solo in parte da questa soluzione Dalmotto, Artt. 2393-2393 bis, in Aa. Vv., Il nuovo diritto societario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso e P. Montalenti, I, Torino, 2004, p. 824, secondo cui la rinuncia o la transazione conclusa dalla minoranza non vincola la società a meno che quest’ultima non la riconosca espressamente. La soluzione in parola riuscirebbe anche coerente al carattere litisconsortile (necessario) del giudizio, in quanto impedirebbe che un accordo processuale sottoscritto dalla minoranza attrice con gli amministratori convenuti possa mortificare il ruolo di parte (necessaria) assunto dalla società sostituita.

[78] Enriques-Mucciarelli, L’azione sociale di responsabilità da parte delle minoranze, cit., p. 882 s.

[79] Dell’Atti, op. loc. ult. cit.

[80] Dell’Atti, La rinunzia all’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.p.a., cit., p. 35.

[81] Per questa soluzione, condivisibile ma non pacifica, Latella, L’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza, cit., p. 341, nt. 323; M. Fabiani, L’azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, cit., p. 215; secondo Auletta, Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci, cit., p. 491 s., la rinuncia della maggioranza – alla quale si riferisce l’art. 2409-decies c.c. – deve intendersi come rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 c.p.c. la quale, per essere deliberata dalla società non richiede particolari maggioranze, e, dal punto di vista delle conseguenze, consente un successivo esercizio della medesima azione di responsabilità su iniziativa della maggioranza o della minoranza ai sensi dell’art. 310, primo comma, c.p.c.

[82] Enriques-Mucciarelli, L’azione sociale di responsabilità da parte delle minoranze, cit., p. 882; M. Fabiani, L’azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, cit., p. 212.

[83] Quantomeno nell’ipotesi in cui la rinuncia agli atti dispieghi conseguenze indirette sul diritto sostanziale, correlate alla particolare disciplina degli effetti dell’estinzione del processo, sulla quale cfr. Vaccarella, Inattività delle parti ed estinzione del processo di cognizione, Napoli, 1975, p. 295 ss.

[84] Enriques-Mucciarelli, L’azione sociale di responsabilità da parte delle minoranze, cit., p. 882; M. Fabiani, L’azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, cit., p. 213 s.; Calandra Buonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, cit., p. 370.

[85] Su questo argomento Picciau, Azione sociale di responsabilità, cit., p. 595 s., costruisce la necessaria rilevanza anche sostanziale della rinuncia o transazione della minoranza come «potere di disposizione del diritto sostanziale al risarcimento del danni» (p. 596).

[86] Così Sassani, Sull’oggetto della rinuncia all’azione, in Riv. dir. proc., 1977, p. 538.

[87] Auletta, Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci, cit., p. 491; Enriques-Mucciarelli, L’azione sociale di responsabilità da parte delle minoranze, cit., p. 882; Latella, L’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza, cit., p. 352 ss.; Conforti, La responsabilità civile degli amministratori di società per azioni, Milano, 2012, p. 921; M. Fabiani, L’azione di responsabilità dei creditori sociali e le altre azioni sostitutive, cit., p. 213 s.

[88] Conf. Calandra Buonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, cit., p. 387 s.; in tal caso si ritiene che per effetto della transazione sorga in capo alla società un diritto di credito verso i soci di minoranza, cfr. Briolini, Art. 2393-bis c.c., in Aa. Vv., Le società per azioni diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, I, Milano, 2016, p. 1431 s.

[89] Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, cit., p. 1201 ss.; Bove, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, cit., p. 1065 ss.; Licci, La centralità della giustizia consensuale nelle controversie di lavoro, in Giust. cons., 2024, p. 31 ss.

[90] Un cenno in tal senso, per lo più in chiave critica, si trova in Schack, Rechtskrafterstreckung auf den Einzelrechtsnachfolger nach §§ 265 II, 325 ZPO, in Festschrift für Herbert Roth zum 70. Geburstag, cit., p. 503 s., il quale sottolinea però la necessità di bilanciare gli interessi in conflitto: da una parte quello dell’avversario estraneo alla successione sommato all’interesse pubblico di evitare ulteriori e futuri giudizi e, dall’altra, il fondamentale diritto al contraddittorio del successore a titolo particolare quale sostituito processuale; la palese violazione del principio di difesa del successore insita nella conclusione cui troppo sbrigativamente giunge il Bundesgerichtshof è messa in luce anche da Leitmeier, Die schwache Position des Rechtsnachfolgers nach Veräußerung der streitbefangenen Sache durch den Rechtsvorgänger, in Zeitschrift für Zivilprozess, 2020, p. 369 ss.

[91] Come proponeva molti anni fa, seppure dal suo personale punto di osservazione del fenomeno processuale, Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1959, p. 85: «la funzione che il giudice esplica nella conciliazione, sollecitando le parti e quasi mettendo allo scoperto la loro nascosta volontà, è funzione schiettamente giurisdizionale».

[92] Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., II, cit., p. 89; Denti, Concetto e classificazione degli atti processuali, in Dall’azione al giudicato, Padova, 1983, p. 151; Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., p. 235; Baumgärtel, Wesen und Begriff der Prozeßhandlung einer Partei im Zivilprozeß, cit., p. 194.

[93] Per una cauta apertura in questo senso, v. ancora Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., p. 227.

[94] La teoria processuale è sostenuta, con ampiezza di argomenti e in contrapposizione con la prevalente dottrina della doppia natura della conciliazione giudiziale, da Baumgärtel, Wesen und Begriff der Prozeßhandlung einer Partei im Zivilprozeß, cit., p. 197 ss.

[95] Per questo rilievo, cfr. Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, cit., p. 393.

[96] Secondo una prospettiva attentamente studiata da Tommaseo, L’estromissione di una parte dal processo, cit., p. 130 ss., ma avendo riguardo ai casi di sostituzione processuale con partecipazione necessaria del sostituito al processo.

[97] V. supra par. 4, ntt. 58 e 61; nonché Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, cit., p. 422 s., ma negando la qualità di sostituto processuale in capo all’antecessore.

[98] Micheli, La rinuncia agli atti del giudizio, cit., p. 33.

[99] La prospettiva è sviluppata, con speciale riferimento alla conciliazione giudiziale, da Baumgärtel, Wesen und Begriff der Prozeßhandlung einer Partei im Zivilprozeß, cit., p. 192 ss.; Schönke-Schröder-Niese, Lehrbuch des Zivilprozessrechts, Karlsruhe, 1956, p. 155; Holzhammer, Der Prozessvergleich, in Aa. Vv., Festschrift für Schima, Wien, 1969, p. 222 ss.; Wagner, Prozessverträge, Tübingen, 1998, pp. 43 ss., 514 ss.; Heiß, Anerkenntnis und Anerkenntnisurteil im Zivilprozess, Tübingen, 2012, p. 12, nt. 24.

[100] Schilken, Zivilprozessrecht, 6° ed., München, 2010, p. 310; W. Lüke, Zivilprozessrecht, 9° ed., München, 2006, p. 262. Dalla teorica in esame discende che l’eventuale caducazione del negozio sostanziale si reverbera necessariamente anche sul versante processuale, rendendo possibile la prosecuzione del processo originario, cfr. ancora Schilken, op. ult. cit., p. 311.

[101] Häsemeyer, Beteiligtenverhalten im Zivilrechtsstreit, in Zeitschrift für Zivilprozess, 2005, p. 301 ss.; lo stesso Baumgärtel, in uno scritto più recente (Neue Tendenzen der Prozeßhandlungslehre, in Zeitschrift für Zivilprozess, 1974, p. 133) riconosce il pregio della teoria prevalente, in quanto in caso di venir meno della conciliazione sul piano materiale consente la prosecuzione del giudizio originario e così «Die Ergebnisse die bisherigen Verfahrens in vollen Umfange zu erhalten»; conf. Schilken, op. ult. cit., p. 313.

[102] Baumgärtel, Wesen und Begriff der Prozeßhandlung einer Partei im Zivilprozeß, cit., p. 195 s., spiega che in questi casi le parti sono stanche del processo oppure intendono far decidere la controversia (ancora vitale) a un arbitro ovvero, ancora, hanno già definito i reciproci rapporti (sostanziali) al tempo della conciliazione giudiziale.

[103] Esclude l’ammissibilità nel nostro ordinamento di una conciliazione giudiziale che si riduca alla concorde dichiarazione delle parti di voler chiudere il processo senza una decisione di merito, anche De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, cit., pp. 33 s., spec. p. 40; Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., p. 207 testo e nt. 20; conf., sotto i vecchi codici, Micheli, La rinuncia agli atti del giudizio, Padova, 1937, p. 118, il quale nega la qualifica di componimento amichevole agli accordi che «non determinano una nuova disciplina di uno stato o di un rapporto litigioso, ma che configurano solo situazioni processuali»; così anche, con molta chiarezza, Liebman, Risoluzione convenzionale del processo, cit., p. 266.

[104] De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, cit., p. 49; Rossi, voce Conciliazione, cit., p. 12; quella descritta nel testo è considerata la caratteristica principale degli atti processuali che la dottrina tedesca ha definito doppiamente funzionali, cfr. Merlin, Compensazione e processo, I, Milano, 1991, p. 174, nt. 318. L’impostazione, con preciso riguardo alla conciliazione giudiziale, è indirettamente confermata dall’art. 88 disp. att. c.p.c., laddove definisce una successione diacronica tra il momento della formazione dell’accordo «davanti al giudice» e quello della sua «raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere». In senso diverso, capovolgendo la successione dei due effetti, Denti, Concetto e classificazione degli atti processuali, cit., p. 150 s., afferma che «il negozio conciliativo ha la sua necessaria premessa nella definizione del processo» e ricava da questa premessa l’autonomia dell’effetto processuale rispetto alle sorti del negozio sostanziale, accostandosi in tal modo seppur indirettamente ai medesimi risultati cui perviene la teorica del Doppeltatbestand.

[105] Con l’effetto di escludere l’estensione dell’accordo a rapporti ulteriori e diversi rispetto a quelli sui quali è radicata la controversia giudiziale, cfr. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, cit., p. 88; Nicoletti, La conciliazione nel processo civile, cit., p. 224 s., ma con alcuni temperamenti; Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., p. 247; in senso diverso, v. però Luiso, La conciliazione giudiziale, cit., p. 331, il quale anzi ravvisa un limite della teoria giurisdizionale della conciliazione nel fatto che questa implichi la perimetrazione dell’accordo entro l’oggetto del giudizio; così anche, pur muovendo dalla prospettiva giurisdizionale della conciliazione, Pajardi, Della trattazione della causa, cit., p. 584.

[106] V. supra nt. 54.

[107] De Stefano, Contributo alla dottrina del componimento processuale, cit., p. 125.

[108] Conf. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., I, cit., p. 230.

[109] Sulla sostituzione processuale volontaria (gewillkürte Prozessstandschaft) v., oltre alle opere di Kohler e K. Hellwig citate supra alla nt. 1, in particolare H. Hellwig, Ermächtigung zur Prozeßführung über fremde Rechte in eigenem Namen, in Beiträge zur Erläuterung des deutschen Rechts, 1911, p. 607 ss.; Kisch, Die gewillkürte Prozessstandschaft, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, II, Padova, 1950, p. 403 ss.; Henckel, Parteilehre und Streitgegenstand, Heidelberg, 1961, p. 108 ss.; G. Lüke, Die Prozessführungsbefugnis, in Zeitschrift für Zivilprozess, 1963, p. 27 ss.; Koch, Über die Entbehrlichkeit der „gewillkürten Prozeßstandschaft“, in Juristen Zeitung, 1984, p. 809 ss.; Stamm, Zur Frage der Existenzberechtigung der Prozessführungsbefugnis – Ihre Rückführung auf das materielle Recht, in Zeitschrift für Zivilprozess, 2018, p. 411 ss.

[110] In particolare da Allorio, Assicurazione e sostituzione processuale volontaria, cit., p. 419; Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 231; Tommaseo, L’estromissione di una parte dal processo, cit., p. 319 ss., ma limitatamente alla sostituzione processuale riferita ad un giudizio pendente e, quindi, sotto la diversa prospettiva del mutamento volontario delle parti del processo; l’opinione prevalente esclude, invece, l’ammissibilità dell’istituto nel nostro ordinamento, trovando un valido argomento nel tenore letterale degli artt. 77 e 81 c.p.c., cfr., tra i tanti, Andrioli, Commento al codice di procedura civile, 3° ed., I, cit., p. 229 ss.; Monacciani, Azione e legittimazione, cit., p. 259, nt. 28; Mandrioli, Delle parti, in Commentario del codice di procedura civile diretto da E. Allorio, I, 2, Torino, 1973, p. 927; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 13° ed., II, Torino, 2023, p. 608 s.; Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, Milano, 2024, p. 227 ss.; Corsini, Parti, cit., 296 s.

[111] Althammer, Bindung an den vom Rechtsvorgänger abgeschlossenen Prozessvergleich, cit., p. 287.

[112] In senso contrario si esprimono, infatti, Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 205 ss.; Attardi, Diritto processuale civile, 3° ed., cit., pp. 324, 329 ss.; Lorenzetto Peserico, La successione nel processo esecutivo, Padova, 1983, p. 254 ss.; Montesano-Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, 1, cit.01, p. 568 s.; da ultimo, pur in un contesto ricostruttivo necessariamente eclettico del complesso istituto regolato dall’art. 111 c.p.c., cfr. Widmann, La successione a titolo particolare nel diritto controverso, cit., p. 304 ss., De Propris, Successione nel diritto controverso, cit., p. 391 ss.

[113] Verde, Diritto processuale civile, 6° ed., I, cit., p. 199 ss.; Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, cit., p. 387 ss.

[114] E ciò nonostante la prevalente dottrina tedesca applichi la teoria della rilevanza, la quale rappresenta il pendant per la sostituzione processuale, al solo caso della successione a titolo particolare dal lato attore: v. infatti Fervers, Die Bindung Dritter an Prozessergebnisse, cit., p. 189, nt. 120, il quale osserva «Der Entscheidung des BGH lag zwar ein Fall der Veräußerung durch den Beklagten zugrunde (s. BGH, Urt. v. 14.9.2018 – V ZR 267/17, BGHZ 219, 314, NJW 2019, 310 Rn. 1), in dem die ganz h. M. die Irrelevanztheorie anwendet. Der Ausführungen des BGH lassen allerdings erkennen, dass die getätigten Ausführungen bei Veräußerung der streitbefangenen Sache durch den Kläger ebenfalls gelten sollen».

[115] Conf., di recente, De Propris, La successione nel diritto controverso, cit., p. 433. È bene segnalare che il caso concreto posto all’attenzione della Corte tedesca rientrava nell’ambito del § 266 Z.P.O., laddove il successore a titolo particolare – a dispetto della generale e sfavorevole disciplina dettata dal paragrafo precedente – ha il potere di intervenire in causa e assumere la qualità di parte principale (Hauptpartei) anche senza consenso delle altre parti: insomma, nella fattispecie dalla quale la Corte ha tratto ispirazione per enunciare il principio della soggezione del successore al suo sostituto processuale sembra davvero che quest’ultima sia esclusa, a monte, dal legislatore.

[116] Cfr. gli autori citati supra alla nt. 112.

[117] Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, rist., Milano, 1992, pp. 249, 261.

[118] Per lo svolgimento di questa tesi sia consentito rinviare a Lai, L’estromissione della parte nel processo di cognizione, cit., p. 197 ss.

[119] Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, cit., p. 392.

[120] Riconosce espressamente il potere di conciliare la lite al sostituto processuale già Kohler, Prozesshandlungen mit Civilrechtswirkung, in Zeitschrift für Deutschen Civilprozess, 1901, p. 40; Lehmann, Der Prozeßvergleich, München, 1911, p. 171 ss., spec. p. 174; in senso contrario, ritiene che l’alienazione della res litigiosa privi il sostituto del potere di disporre sulla cosa o sulla pretesa, cfr. Assmann, § 265, in Wieczorek-Schütze, ZPO, 5° ed., IV, Berlin, 2022, Rdnr. 62.

[121] Il ragionamento è sviluppato in modo particolare da Lehmann, op. loc. ult. cit.; conf. Rosenberg-Schwab, Zivilprozeßrecht, 12° ed., München, 1977, p. 727. Una soluzione mediana – non accettabile in ragione della soluzione che ho accolto circa la natura della conciliazione – è formulata da Hellwig, Lehrbuch des Deutschen Civilprozeßrechts, I, cit., p. 346, ntt. 35, 36, 37; nonché Id., System des Deutsches Zivilprozeßrechts, I, cit., p. 368, il quale riferisce il potere conciliativo al solo oggetto processuale del giudizio, salvo che la legge non attribuisca espressamente al sostituto uno speciale potere dispositivo di matrice sostanziale (l’A. richiama il caso del creditore che – dopo avere ceduto il credito litigioso ma senza informare il debitore – conclude con lui una conciliazione giudiziale: § 407 B.G.B.). Ammette invece il sostituto a compiere il riconoscimento o la rinuncia alla pretesa ma esclude la conciliazione, sul rilievo che quest’ultima ha effetto anche sul diritto materiale, Lent, Zivilprozessrecht, 9° ed., München und Berlin, 1959, p. 238 s.

[122] V. supra par. 4.

[123] Mi riferisco in particolare: a) alla rinuncia agli atti perfezionata nel giudizio di primo grado e alle conseguenze dell’estinzione del processo che, ai sensi dell’art. 2945, terzo comma,  c.c., fa venir meno – retroattivamente – l’effetto interruttivo permanente del corso della prescrizione e può in tal modo pregiudicare, in concreto, la fondatezza della domanda (identica) proposta in un giudizio successivo (Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, cit., p. 1233; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 13° ed., II, cit., p. 271 ss.; Verde, Profili del processo civile, 3° ed., Napoli, 1991, p. 240); b) alla rinuncia compiuta in fase di gravame, la quale implica il passaggio in giudicato della decisione di primo grado (Verde, Diritto processuale civile, 6° ed., I, cit., p. 179).

[124] Ancora attuale sotto questo profilo appare l’insegnamento – pur maturato sotto i vecchi codici – di Micheli, La rinuncia agli atti del giudizio, cit., p. 146 «Quale atto processuale tuttavia la rinuncia alla domanda non esercita alcuna diretta efficacia sul rapporto sostanziale, dedotto in giudizio, sul quale però può agire indirettamente, sia conferendo efficacia alla prescrizione interrotta dalla comanda rinunciata (art. 2128 c. civ.), sia rendendo intrasmissibile l’azione per reclamare lo stato di figlio legittimo (art. 178 c. civ.)»; conf. Fornaciari, Lineamenti di una teoria generale dell’accertamento giuridico, Torino, 2002, p. 309 s.

[125] La titolarità in capo del sostituto di un siffatto potere dispositivo è assai controversa, v. ad esempio De Propris, La successione nel diritto controverso, cit., p. 433, che infatti la esclude.

[126] V. supra par. 5.

[127] In senso conforme, sul rilievo che la titolarità del diritto controverso costituisce presupposto indefettibile affinché si producano, verso il sostituito, gli effetti materiali del componimento, cfr. Santagada, La conciliazione delle controversie civili, cit., p. 255 ss.; più in generale, sulla necessaria correlazione tra titolarità del diritto soggettivo e potere di disporne, cfr. Garbagnati, La sostituzione processuale, cit., p. 93 ss.; Rescigno, voce Legittimazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., X, Torino, 1993, p. 520.

[128] Così Luiso, Diritto processuale civile, 15° ed., I, cit., p. 359 s., e Cecchella, voce Sostituzione processuale, cit., p. 641 s.

[129] Fatto salvo quello l’effetto preclusivo riconducibile all’art. 1485 c.c. nella garanzia per evizione, sul quale v. Gambineri, Garanzia e processo, I, Milano, 2002, p. 270 ss.

[130] Basti in proposito ricordare la lezione di Denti, Sui profili dell’intervento del giudice nella conciliazione, cit., p. 34, secondo cui la sottoscrizione del giudice nel verbale di conciliazione avrebbe il valore di un «provvedimento giudiziale omologativo» dell’accordo raggiunto tra parti, una lettura cui aderisce anche Lancellotti, Vicende e natura della conciliazione giudiziaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, p. 852, ma senza condividere la conclusione cui giunge Denti, di ricondurre la conciliazione alla volontaria giurisdizione.

[131] Sui rapporti tra la tutela giurisdizionale dei diritti e l’accertamento contenuto nella sentenza, cfr. Attardi, Diritto processuale civile, 3° ed., cit., p. 2 ss.; E.F. Ricci, voce Accertamento giudiziale, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 17 ss.; ben diversa ispirazione muove lo studio di Satta, Dalla conciliazione alla giurisdizione, in Riv. dir. proc. civ., 1939, p. 216, il quale escludeva che l’accertamento potesse essere elevato a tratto fondamentale della giurisdizione, dovendosi invece quest’ultimo ritrovare nell’attuazione della sanzione intesa quale «reintegrazione della posizione giuridica violata» (p. 217). Per la negazione di ogni efficacia di accertamento prima e giudicato poi alla conciliazione giudiziale, v. già Niese, Doppelfunktionelle Prozesshandlungen, cit., p. 87.

[132] Braun, Lehrbuch des Zivilprozeßrechts, Tübingen, 2014, p. 680.

[133] Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., p. 219; v. anche l’opinione – che qui si condivide senza riserve poiché intende distinguere la qualità degli effetti della sentenza come accertamento rispetto alla conciliazione – di Bove, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, cit., p. 1070, il quale osserva «Così, quando in riferimento alla sentenza l’art. 2909 c.c. dice che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, con ciò la norma descrive il concetto di cosa giudicata in senso sostanziale che si riferisce propriamente all’accertamento (il giudizio) e non al comando. Perché è in quello, il giudizio appunto, che sta la stabilità del bene della vita attribuito e non nella conseguente regola di condotta che, proprio in coerenza con l’accertamento, viene posta nella sentenza».

[134] Lancellotti, Vicende e natura della conciliazione giudiziaria, cit., p. 854.

[135] Briguglio, voce Conciliazione giudiziale, cit., p.  245, così si esprime a proposito dell’opportunità di ricondurre gli effetti della conciliazione a quelli della sentenza enunciati nell’art. 2909 c.c.: «Poiché, comunque, nella conciliazione indubitabilmente non risiede un accertamento in senso tecnico, partito preferibile sarebbe non riconnettere ad essa niente di identico o analogo alla efficacia riflessa del giudicato, fra le parti o – se pur sia possibile – ultra partes»; conf. Chizzini, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., p. 303.

[136] A ben diverse conclusioni deve necessariamente pervenire chi estende la nozione di sostituzione processuale anche alle situazioni di legittimazione straordinaria esclusiva, derivanti dall’esercizio di un ufficio (Partei kraft Amtes): in queste ipotesi, poiché difetta una legittimazione ordinaria del titolare o dei titolari del diritto, il legittimato straordinario potrà non solo di agire in giudizio ma altresì concludere una conciliazione giudiziale che investe l’oggetto materiale del giudizio.

[137] L’art. 241, secondo comma, della Z.P.O. svizzera, dispone infatti «Ein Vergleich, eine Klageanerkennung oder ein Klagerückzug hat die Wirkung eines rechtskräftigen Entscheides»; sul tema, di recente, cfr. Peter, Zivilprozessuale Gruppenvergleichsverfahren, Tübingen, 2018, p. 10 ss.; Ebneter, Der Prozessbetrug im Zivilprozess, Zürich, 2016, p. 106 ss., al quale si rinvia anche per le essenziali indicazioni bibliografiche.

[138] A questo proposito, in recenti e stimolanti ricerche è stata avanzata una proposta di revisione della nozione di accertamento giuridico con importanti ricadute per l’ammissibilità – nel nostro ordinamento – di un negozio di accertamento, peraltro con chiari riferimenti a una sua declinazione all’interno della conciliazione giudiziale, cfr. Fornaciari, Il negozio di accertamento, in I contratti di composizione delle liti a cura di E. Gabrielli e F.P. Luiso, I, nel Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Milano, 2005, p. 60 ss.; Id., Lineamenti di una teoria generale dell’accertamento giuridico, cit., p. 330 ss.; Gradi, Teoria dell’accertamento consensuale: storia di un’incomprensione, in Giust. cons., 2021, p. 335 ss., quest’ultimo largamente ispirato dalla riflessione carneluttiana (Carnelutti, Note sull’accertamento negoziale, in Riv. dir. proc. civ., 1940, I, p. 3 ss.; Id., La transazione è un contratto?, in Riv. dir. proc., 1953, I, p. 185 ss.; Id., Teoria generale del diritto, 3° ed., Roma, 1951, p. 370 ss.). Riprendendo una riflessione di Liebman (Risoluzione convenzionale del processo, cit., p. 274) allora riferita al componimento processuale, infatti, ove si riuscisse a includere la conciliazione giudiziale nella categoria dei negozi di accertamento si dovrebbe allora riscontrare un’analogia di effetti – con i limiti da verificare – con la cosa giudicata con chiare implicazioni per la soluzione del problema trattato in questo scritto.