Revoca del provvedimento di demolizione e attività vincolata in materia urbanistica: osservazioni in ordine a una recente decisione del Consiglio di Stato.

Di Mario Palma -

Sommario: 1.- La decisione del Consiglio di Stato, sez. VII, 29 gennaio 2025 n. 711; 2.- Legittimazione ad agire e interesse a ricorrere nelle controversie in materia urbanistica; 3.- Il potere di revoca e i suoi presupposti; 4. – Conclusioni.

 

Consiglio di Stato, sez. VII, 29 gennaio 2025, n. 711

Nel caso di impugnazione del provvedimento di revoca dell’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva, sussistono la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere da parte del privato che, non lamentando il pregiudizio derivante dalla vicinitas, solleva invece i danni correlati al deprezzamento del valore del proprio immobile, in quanto contiguo all’insediamento abusivo, nonché all’inquinamento acustico provocato dalle attività svolte nel sito in questione.

 

È illegittimo il provvedimento di revoca delle ordinanze di demolizione di opere abusive, motivato dalla sopravvenuta valutazione di un prevalente interesse pubblico alla conservazione dei manufatti. In caso di ordinanza di demolizione, l’amministrazione non gode dell’’ampia discrezionalità tipica del potere di revoca, poiché si tratta di un atto vincolato. Il carattere vincolato del provvedimento e l’abusività degli interventi edilizi rendono irrilevanti eventuali elementi sopravvenuti.

1.- La decisione del Consiglio di Stato, sez. VII, 29 gennaio 2025 n. 711.

La decisione della settima sezione del Consiglio di Stato del 29 gennaio 2025 n. 711 qui in commento ha riformato la decisione, assunta dal Tar Emilia-Romagna, n. 628 del 2020 che aveva respinto il ricorso proposto da un privato cittadino per l’annullamento del provvedimento adottato dall’amministrazione comunale di Santarcangelo di Romagna, attinente alla revoca del provvedimento di demolizione delle opere abusive collocate nelle vicinanze della proprietà del ricorrente.

Con il medesimo ricorso venivano anche impugnate la delibera di consiglio comunale di approvazione del piano operativo comunale (POC) e, a seguito di motivi aggiunti, la deliberazione di approvazione della convenzione per l’utilizzo di area demaniale.

Con i provvedimenti oggetto di impugnazione, l’amministrazione comunale ha assentito al mantenimento di una serie di opere abusive, poste in zona demaniale sottoposta a vincolo paesaggistico, ove è stato realizzato un Parco Artistico di proprietà dei controinteressati.

Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, ha parzialmente confermato  le argomentazioni contenute nella decisione di primo grado del Tar Emilia-Romagna n. 628 del 2020 in ordine alla  sussistenza in capo al ricorrente in primo grado dell’interesse a ricorrere, ritenendo infondata l’eccezione di carenza di interesse avanzata dal controinteressato in primo grado e riproposta in appello, in quanto la lesione subita per l’effetto dei provvedimenti amministrativi originariamente impugnati sarebbe configurabile in ragione della natura abusiva delle opere oggetto del provvedimento di revoca che determinerebbe una diminuzione del valore della proprietà dell’appellante.

Inoltre, a parere del giudice amministrativo, un ulteriore elemento a prova della lesività del provvedimento deriverebbe dai problemi legati alla natura delle opere a seguito della loro riqualificazione e all’ inquinamento sonoro da esse derivante.

Nel merito,  in riforma della decisione di primo grado, il Consiglio di Stato ha, invece, ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca dell’ordinanza di demolizione delle opere abusive realizzate sulle aree di proprietà dell’appellante in quanto la revoca, presuppone che il provvedimento revocando sia il frutto di un procedimento discrezionale, che consente all’amministrazione una valutazione in ordine al superiore interesse pubblico sopravvenuto che giustifichi la adozione di un provvedimento di secondo grado.

Nel caso di specie, secondo quanto argomentato nella decisione del giudice amministrativo in commento, il provvedimento sanzionatorio di demolizione sarebbe dovuto, e non avrebbe carattere discrezionale a fronte dell’accertamento della natura abusiva delle opere realizzate.

La decisione in commento, inoltre, sancisce la illegittimità del POC, nella parte in cui viola quanto disposto dalla disciplina pianificatoria di rango superiore (PSC e PTPC) e l’art. 19 delle N.T.A. del Piano delle attività estrattive del Comune, sanando il carattere abusivo delle opere di proprietà dell’appellante in guisa di “rinaturalizzazione” e valorizzazione delle aree.

Secondo il giudice di appello, il vizio che affligge il piano operativo comunale consiste proprio nel ritenere superabile l’accertata situazione di illiceità dei manufatti di proprietà dell’appellante mediante uno strumento di programmazione che ingloba le opere illegittime, in modo da legittimarle.

Il Consiglio di Stato ritiene che il corretto esercizio del potere di programmazione attribuito all’amministrazione comunale mirato a perseguire gli obiettivi di recupero e di valorizzazione dell’area dove sorgono i manufatti abusivi avrebbe quale presupposto il ripristino di una condizione di legalità.

Con riguardo alla convenzione firmata dalla società appellante e il Comune per dare esecuzione alla riqualificazione delle aree, il giudice di appello ha ritenuto che l’accoglimento delle censure rivolte contro la revoca della demolizione e contro il POC ne abbia determinato la caducazione, in quanto tale atto rinviene il suo presupposto proprio nel POC.

La decisione del Consiglio di Stato presenta alcuni aspetti di interesse, in particolare con riguardo alla problematica della distinzione tra legittimazione a ricorrere e l’interesse ad agire nell’abito delle controversie sui provvedimenti in materia urbanistica, e all’esercizio del potere di revoca nel caso di provvedimento vincolato, quale è il provvedimento di demolizione di opere abusive.

2.- Legittimazione ad agire e interesse a ricorrere nelle controversie in materia urbanistica.

Una prima questione che merita attenzione nella decisione in commento è relativa alla valutazione che il giudice amministrativo, sia in primo grado che in sede di appello, ha fatto in ordine alla sussistenza della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere in capo all’appellante,

Il controinteressato ha, nell’atto di costituzione in appello, riproposto l’eccezione di difetto di legittimazione e interesse ad agire dell’appellante.

Nella sentenza di primo grado il Tar Emilia-Romagna aveva  ritenuto sussistente  la legittimazione ad agire e l’interesse a ricorrere  in capo ai ricorrenti in ragione della diminuzione di valore dell’immobile di proprietà del ricorrente determinatasi per l’effetto della presenza nelle sue vicinanze di opere abusive; inoltre, un ulteriore elemento lesivo sarebbe stato determinato dall’inquinamento acustico causato dalle attività poste in essere nelle opere abusive di proprietà del controinteressato, per effetto della loro riqualificazione come parco artistico.

La decisione del Consiglio di Stato in commento fa proprie le argomentazioni della decisione del Tar Emilia-Romagna in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire confermando sotto questo specifico profilo, la sentenza di primo grado.

Tuttavia, la decisione del giudice di appello presenta alcuni spunti di riflessione; in primo luogo, va precisato come il Consiglio di Stato tenga distinti i profili della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere, soffermandosi in ragione del tenore delle eccezioni di parte, in particolare sulla sussistenza del secondo senza, tuttavia, mancare di verificare anche il primo profilo.

Va posto in rilievo come la giurisprudenza amministrativa ha in passato applicato il criterio dello stabile collegamento con l’area oggetto degli interventi autorizzati per determinare la sussistenza della legittimazione ad agire nel caso dell’impugnazione dei titoli edilizi[1]; tale requisito è stato applicato in modo ampio, determinando una estensione delle ipotesi legittimanti al ricorso e, parimenti, una estensione delle posizioni tutelabili in sede giurisdizionale[2].

Nell’applicazione del criterio della vicinitas, tuttavia, il giudice amministrativo ha per lungo tempo, per orientamento maggioritario, adottato pronunce che tendevano a riconoscere nello stabile collegamento con l’area su cui incide il provvedimento oggetto di impugnazione il fondamento non solo della legittimazione ad agire, ma anche dell’interesse a ricorrere[3].

Occorre precisare che l’applicazione dei criteri suddetti alla controversia decisa dalla sentenza in commento, che attiene all’annullamento di un provvedimento di secondo grado di revoca di un’ordinanza di demolizione, e non concerne l’impugnazione di un titolo edilizio autorizzatorio, deriva da una valutazione degli effetti dell’atto impugnato, che secondo il giudice amministrativo, sono assimilabili a quelli di un titolo edilizio ampliativo della sfera giuridica del destinatario.

La necessità di distinzione tra le due condizioni, in caso di impugnazione di provvedimenti autorizzatori in materia edilizia in base al criterio della vicinitas, è stata tuttavia sostenuta da una parte della giurisprudenza[4].

Con la nota decisione del 27 luglio 2021, n. 759, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione Sicilia, prendendo atto dei due orientamenti esistenti in materia, ha rimesso la questione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato al fine di ottenere una pronuncia dirimente sul punto.

Il C.g.a. nel rimettere la questione al Consiglio di Stato, nella decisione n. 759 del 2021, dopo avere esposto i due orientamenti emersi in giurisprudenza, aveva ritenuto di aderire a quello maggioritario che come accennato, radica sia la legittimazione ad agire sia l’interesse a ricorrere in capo al soggetto agente in base al criterio della vicinitas.

Il Consiglio di giustizia amministrativa, tuttavia, ritiene di dover precisare come vi siano casi in cui il criterio della vicinitas non è in grado di radicare da solo in capo alla parte attrice oltre alla legittimazione anche l’interesse a ricorrere.

In tali ipotesi, non si si doveva configurare in capo al ricorrente l’onere di fornire la dimostrazione dell’interesse a ricorrere quando, “è apprezzabile il risultato ottenibile a seguito dell’accertamento della violazione”; di conseguenza, “non si pone un problema di carenza di interesse a ricorrere tutte le volta in cui il risultato concreto cui aspira l’iniziativa giudiziaria è comunque vantaggioso per il ricorrente”.

L’adunanza plenaria si è, infine, espressa con la nota pronuncia 9 dicembre 2021 n. 22; tale decisione ha ribadito la distinzione e l’autonomia tra legittimazione e interesse al ricorso, stabilendo che il criterio della vicinitas, quale elemento di differenziazione, non possa valere, da solo ed in automatico, a soddisfare anche l’interesse al ricorso.

Orbene, dalla lettura della decisione in commento, sembra desumersi che il profilo della sussistenza o meno della legittimazione ad agire non appare particolarmente problematico nel caso in esame, in quanto, il giudice di appello, ritiene applicabile il criterio dello stabile collegamento con l’area oggetto dell’intervento costruttivo ai fini della prova della sua sussistenza.

Il giudice amministrativo invece, si sofferma più ampiamente sul profilo della sussistenza dell’interesse ad agire, che in ragione del citato orientamento dell’Adunanza plenaria del 2021, richiede un autonomo e specifico accertamento.

Nella decisione in commento, infatti, l’interesse ad agire dell’appellante viene ritenuto sussistente non tanto in ragione del suo stabile collegamento all’area di proprietà del controinteressato, ma in ragione della legittimità del provvedimento di demolizione oggetto di revoca e della diminuzione di valore delle opere di proprietà del ricorrente, determinatasi per la presenza nelle vicinanze di opere abusive, e dell’inquinamento acustico derivante dalle attività realizzate in tali strutture.

Il Consiglio di Stato afferma, nella decisione in commento, che: “il profilo dell’interesse e della legittimazione va scrutinato avendo riguardo all’esistenza dei presupposti per contestare in giudizio la legittimità di un provvedimento, con riferimento all’idoneità degli effetti di tale provvedimento ad incidere sulla posizione d’interesse del ricorrente, indipendentemente dall’accertamento in concreto della natura sfavorevole o meno di tali effetti”.

Il giudice di appello valuta il profilo della sussistenza dell’interesse ad agire in termini di idoneità del provvedimento a causare un pregiudizio, senza ritenere necessario, agli specifici fini della verifica delle condizioni per la proposizione dell’azione, un accertamento relativo alla concreta lesività degli effetti dell’atto.

Una posizione di tale natura sembra coerente con l’orientamento della giurisprudenza ordinaria e amministrativa, che ritiene sufficiente, ai fini dell’accertamento dell’interesse a ricorrere, “la prospettazione, di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”[5].

In tal senso sembrano andare anche le argomentazioni contenute nella decisione in commento relative all’apprezzamento degli argomenti avanzati dal controinteressato a sostegno dell’eccezione di difetto di legittimazione e di interesse a ricorrere in capo all’appellante; il giudice di appello in merito ritiene che: “simili argomenti hanno in realtà riguardo al merito della vicenda, vale a dire all’affermata e ritenuta assenza, in concreto, dei profili di pregiudizio lamentati dal ricorrente in primo grado, in relazione all’impatto dell’intervento contestato”.

Secondo il Consiglio di Stato, simili argomenti, “possono – ove fondati – condurre al rigetto del gravame nel merito, ma non già alla declaratoria d’inammissibilità dello stesso per difetto d’interesse”.

Tali argomentazioni del giudice di appello fanno eco a  quanto affermato nella citata decisione dell’Adunanza plenaria n. 22 del 2021 che ha precisato come: “lo specifico pregiudizio derivante dall’intervento edilizio che si assume illegittimo, e che è necessario sussista, può comunque ricavarsi, in termini di prospettazione, dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso, suscettibili di essere precisate e comprovate laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o dai rilievi del giudicante”.

In merito, occorre sottolineare come l’interesse a ricorrere, qualificato dalla giurisprudenza in rapporto di species con l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c[6], si concretizza nel vantaggio che il soggetto agente può ottenere per l’effetto della decisione giudiziale, e consiste nella concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto[7].

Ove il soggetto che propone l’azione sia in grado di allegare l’esistenza di una lesione e il vantaggio che la decisione del giudice sarebbe in grado di attribuirgli, ciò appare sufficiente a fondare l’interesse a ricorrere.

Nel caso di specie, secondo il giudice di appello, la prospettazione offerta dall’appellante appare in grado di fondare la legittimazione e l’interesse ad agire, in quanto parte appellante ha fornito un principio di prova in ordine al pregiudizio patrimoniale subito per l’effetto della vicinanza del proprio immobile a opere abusive; in merito va osservato che la giurisprudenza amministrativa tende a considerare in re ipsa il danno determinatosi in capo a un soggetto per l’effetto della realizzazione di opere abusive in aree confinanti con le propriedato che ogni edificazione abusiva incide sull’equilibrio urbanistico e sull’ordinato sviluppo del territorio[8].

Inoltre, come accennato in precedenza, l’appellante ha allegato anche il pregiudizio causato dall’inquinamento acustico dovuto all’attività del controinteressato a seguito della illegittima riqualificazione delle opere abusive.

Questa ultima circostanza, sembra ricondursi nel citato filone giurisprudenziale, che nel definire la posizione di interesse tutelabile dinanzi al giudice amministrativo a seguito di impugnazione di provvedimenti autorizzatori in materia edilizia, ha riconosciuto la sussistenza di un interesse a ricorrere quando sia allegato un pregiudizio alla qualità della vita o alla salute[9].

3.- Il potere di revoca e i suoi presupposti.

Una ulteriore problematica che emerge dalla lettura della decisione in commento è connessa all’esercizio del potere di revoca[10] da parte dell’amministrazione comunale nei confronti di un provvedimento di demolizione di opere abusive; con l’esercizio del potere di revoca l’amministrazione elemina ex nunc un provvedimento amministrativo valido ed efficace.

A differenza del potere di annullamento d’ufficio, tuttavia, che trova la giustificazione per il proprio esercizio nell’illegittimità dell’atto originario, l’esercizio del potere di revoca presuppone una valutazione di opportunità, seppur nel rispetto delle condizioni oggi dettate dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.

Fino al 2005 non si rinveniva una disciplina legislativa del potere di revoca e la definizione dei suoi elementi costitutivi era stata affidata all’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale[11].

La disposizione di cui al citato art. 21 quinquies[12] della legge sul procedimento amministrativo, introdotta, come accennato, con l’art. 14 della legge 11 febbraio 2005 n. 15, consente l’esercizio del potere di revoca in una serie ben definita di ipotesi.

Tra i diversi profili entro i quali l’amministrazione può esercitare il potere di revoca nell’attuale formulazione dell’articolo 21 quinquies, come risultante, in ultimo, dalle modificazioni introdotte dal D. L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito nella  legge  11 novembre 2014 n. 164[13], va menzionato in primo luogo, il caso della sopravvenienza di interessi, che non presenta particolari limiti, e  trova il proprio fondamento nel principio di buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 della Costituzione.

La disposizione di cui alla legge sul procedimento amministrativo del 1990 prevede, poi, l’ipotesi della revoca per sopravvenienza di fatti, che dal 2014, è ammessa solo in caso di imprevedibilità del mutamento della situazione fattuale sussistente al momento di adozione del provvedimento.

La legge, infine, prevede l’ipotesi della c.d. revoca penitenziale, esclusa per i provvedimenti di matrice autorizzatoria e per quelli attributivi di vantaggi economici, che consiste nella rivalutazione dell’interesse pubblico originario, sotteso all’adozione del provvedimento amministrativo oggetto di successiva revoca.

In giurisprudenza   viene poi individuata l’ipotesi di revoca per sopravvenienza di norme, che non è stata codificata nell’articolo 21 quinquies citato, ma appare implicitamente desumibile dalla clausola rebus sic stantibus[14].

In merito, va posto in rilievo come le scelte della p.a.  siano sempre soggette all’implicita clausola rebus sic stantibus in quanto non appare possibile precludere all’amministrazione di rivedere le proprie decisioni, anche a fronte di impegni giuridicamente vincolanti, stante il carattere dinamico del potere pubblico, necessario per il governo delle sopravvenienze[15].

In giurisprudenza si è posto in rilievo come, tenendo in disparte l’ipotesi della revoca penitenziale, non ogni sopravvenienza, nei termini previsti dalla legge, può legittimare il ricorso al potere di revoca, in quanto ciò è ammissibile solo ove sussista una modificazione del quadro normativo dei presupposti fattuali dell’azione amministrativa che incida in grado apprezzabile sull’interesse pubblico[16].

Nel tempo la dottrina[17], ha proposto tesi volte a delimitare l’esercizio del potere di revoca, mirate a garantire la certezza dei rapporti giuridici, anche alla luce della normativa dell’Unione Europea.

In particolare, nella vigenza delle disposizioni introdotte nel 2005, come successivamente modificate dalla legge n. 164 del 2014 e dalla legge. n. 124 nel 2015, si è sostenuta in dottrina la necessità di un esercizio dei poteri di secondo grado (annullamento d’ufficio e revoca) che tenga in considerazione la tutela dell’affidamento dei privati[18], al fine di garantire certezza e stabilità delle decisioni, anche in chiave di garanzie degli investimenti posti in essere[19].

Con specifico riferimento alla fattispecie della revoca, è stata proposta in dottrina una ricostruzione, non accolta dal legislatore nel 2005, che vede quale presupposto per l’esercizio del potere, l’esistenza di fatti e circostanze che, pur essendo già rilevabili al momento della decisione, non erano stati conosciuti dall’amministrazione[20].

Proprio la tutela dell’affidamento[21] e della certezza dei rapporti giuridici, sembra essere alla base della novella legislativa di cui alla legge n. 164 del 2014.

Ancora, la novella legislativa ha disposto che non è possibile esercitare il potere di revoca per mutamento della situazione di fatto nell’ipotesi che tale mutamento fosse prevedibile dall’amministrazione al momento della decisione originaria[22].

La disposizione citata sembra volta a rafforzare la certezza dei rapporti giuridici e l’affidamento del privato; una simile posizione pare trovare conferma nella giurisprudenza amministrativa, che riconosce ormai ampia tutela all’affidamento.

Va posto in rilievo che, oltre all’ipotesi di provvedimento di revoca illegittimo, con conseguente sorgere di responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c.; anche con riferimento alla revoca legittima del provvedimento ampliativo, la giurisprudenza amministrativa ritiene che la tutela dell’affidamento non potrà escludersi ove il privato dimostri che la revoca deriva da comportamenti negligenti o scorretti della p.a., con conseguente configurazione di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.[23]

Inoltre, va posto in rilievo come il comma 1 dell’art. 21 quinquies della legge sul procedimento amministrativo, preveda l’obbligo di indennizzo ove la revoca, legittimamente adottata, comporti pregiudizi in danno dei soggetti interessati.

In base alla legge, infatti, l’indennizzo è dovuto ai soggetti a cui la revoca di un provvedimento amministrativo sottragga, pur legittimamente, un’utilità ovvero un bene della vita già acquisito al patrimonio[24].

Va osservato che disciplina di cui all’art. 21 quinquies va tenuta distinta dai provvedimenti di decadenza, che pure a volte sono qualificati come provvedimenti di revoca.

I provvedimenti di decadenza, infatti, sono previsti dalla legge in casi ben diversi da quelli indicati nella disciplina di cui al citato art. 21 quinquies per l’esercizio del potere di  revoca, quali l’inadempimento degli obblighi previsti da un provvedimento ampliativo (la c.d. decadenza sanzionatoria) oppure il  venir meno dei requisiti previsti per la costituzione e la continuazione del rapporto oggetto del provvedimento ampliativo, o il mancato esercizio dell’attività ivi prevista per un determinato periodo (la c.d. decadenza accertativa) [25].

I citati provvedimenti di decadenza, sono caratterizzati dal fatto che determinano il venir meno, con efficacia ex nunc, di un provvedimento ampliativo e non ne comportano un riesame sotto il profilo della legittimità o dell’opportunità, richiedendo solamente una valutazione della condotta tenuta dal destinatario dell’atto durante lo svolgimento del rapporto o un nuovo accertamento dei requisiti di idoneità per la titolarità del provvedimento ampliativo.

Nel caso di specie, i presupposti per un esercizio del potere di revoca ex art. 21 quinquies non sono direttamente rilevanti, sia ove  si intenda motivare il provvedimento sulla base di una rivalutazione dell’interesse pubblico originario sia ove si voglia fare riferimento alla sopravvenienza di un interesse pubblico al mantenimento delle opere abusive oggetto di demolizione; ciò in quanto, come sottolineato dal giudice amministrativo, non è in radice possibile per l’amministrazione valutare nuovamente gli interessi pubblici e privati in gioco.

È vero che la giurisprudenza amministrativa ha più volte precisato come il provvedimento di revoca, nelle diverse ipotesi previste dalla norma, si caratterizzi per la sua ampia discrezionalità[26], circostanza  che limita il  sindacato sulla conformità all’interesse pubblico delle scelte dell’Amministrazione che non è sindacabile dal Giudice amministrativo, che è tenuto ad attenersi ad aspetti che evidenziano irragionevolezza, difetti logici, violazione dell’imparzialità e travisamento istruttorio[27].

Occorre porre in evidenza, tuttavia, che nel caso di specie, la natura vincolata del provvedimento sanzionatorio di demolizione di opere abusivamente realizzate appare pacifico alla luce del tenore della normativa di riferimento e della giurisprudenza.

Il Consiglio di Stato ha chiarito che l’ordine di demolizione è atto vincolato, per la cui adozione non è necessaria la valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né la comparazione di questi con gli interessi privati coinvolti; non solo, ma in ragione della natura del provvedimento sanzionatorio, il giudice amministrativo ritiene che non sia in alcun modo ammissibile l’esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva[28].

Nel caso di un’ordinanza di demolizione, la giurisprudenza identifica l’interesse pubblico oggetto di tutela nella “necessità di ripristinare la legalità violata” senza necessità di comparazione dell’interesse pubblico con gli interessi privati[29].

Per il vero, nel caso oggetto della decisione in commento l’amministrazione comunale non ha motivato il provvedimento di revoca dell’ordinanza comunale di demolizione in chiave di tutela dell’affidamento del proprietario delle opere; ciò, infatti, non sarebbe possibile in ragione del carattere abusivo delle strutture.

L’amministrazione ritiene tuttavia che sussista un interesse pubblico al mantenimento delle strutture; per il vero, come lo stesso giudice amministrativo pone in evidenza, tali argomentazioni sembrano rappresentare una motivazione dell’esercizio del potere che potrebbe qualificarsi sia come esercizio di revoca a seguito di rivalutazione in ordine all’interesse pubblico preesistente  sia come esercizio del potere a seguito di una nuova valutazione di opportunità dovuta all’interesse pubblico sopravvenuto.

Il giudice amministrativo, tuttavia, nella decisione in commento sottolinea in argomento che “la “nuova” valutazione dell’interesse pubblico presuppone un originario, analogo potere valutativo: laddove gli interessi pubblici implicati nella vicenda dedotta sono sottratti ex se alla valutazione discrezionale dell’amministrazione circa la rimessione in pristino già in sede di originaria decisione circa la sorte dei manufatti (trattasi di area demaniale soggetta a vincolo paesaggistico), e dunque a fortiori lo sono in caso di revoca”.

In mancanza di un potere discrezionale in capo all’amministrazione non appare possibile una nuova valutazione di opportunità dell’atto amministrativo adottato.

4.- Conclusioni

La decisione in commento si presta ad alcune considerazioni finali, con particolare riferimento all’esercizio del potere di revoca nei confronti di un provvedimento di demolizione di potere abusive.

La decisione in commento ritiene sussistente l’interesse ad agire sulla base della prospettazione offerta nel ricorso in appello da cui emerge la lesione per gli interessi dell’appellante individuata sulla base di criteri molto ampi, quali il danno patrimoniale subito per l’effetto della presenza di opere abusive nelle vicinanze della sua proprietà e dell’inquinamento acustico subito per via delle opere illegittime realizzate.

L’orientamento seguito da un lato è coerente con quanto indicato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in ordine alla distinzione tra legittimazione ed interesse ad agire; va tuttavia osservato che, con particolare riferimento alla materia dell’urbanistica, il giudice amministrativo valuta i presupposti per la sussistenza dell’interesse ad agire con una certa ampiezza rispetto alla prospettazione del fatto da parte dell’appellante, seppure in coerenza con gli orientamenti in materia.

Ancora, sembra potersi condividere la posizione del Consiglio di Stato che ritiene illegittimo un provvedimento di revoca, che ha quale suo presupposto una valutazione discrezionale sull’opportunità al mantenimento di un atto a carattere vincolato, in particolare in quanto motivato con riferimento sia alla rivalutazione dell’interesse pubblico originario sia alla sopravvenienza di un diverso interesse pubblico.

Si osserva, inoltre, che, a prescindere dalle ipotesi di revoca legata alla valutazione di interessi pubblici sopravvenuti   o alla rivalutazione dell’interesse pubblico originario che sono oggetto della decisione in commento, anche le ipotesi di revoca per sopravvenienze fattuali o normative appaiono di difficile configurazione in relazione ai provvedimenti di demolizione di opere abusive.

In particolare, per quanto attiene alle sopravvenienze fattuali, la revoca di un provvedimento di demolizione non sembra configurabile in ragione del carattere vincolato dell’atto, che presuppone, per l’esercizio del potere sanzionatorio, solo l’accertamento dell’attività contra legem del privato precedente alla decisione della p.a.

Il fatto sopravvenuto non sembra poter incidere sull’interesse al ripristino della legalità violata; le ipotesi che possono condurre al ritiro del provvedimento sono tendenzialmente riconducibili alla erronea valutazione degli elementi di fatto rilevati nel corso dell’istruttoria procedimentale.

In tali casi, l’amministrazione potrebbe assumere un provvedimento sproporzionato o tale da pregiudicare, se eseguito, anche opere regolarmente realizzate.

Nelle due ipotesi indicate, che possono risolversi nell’erroneità dell’accertamento posto in essere dall’amministrazione con riferimento alla consistenza delle strutture abusive o alla loro stessa conformità alle norme, l’eventuale provvedimento di secondo grado da assumere sarebbe l’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, mancando i presupposti di legge per l’adozione dell’ordine di demolizione.

A tali ipotesi si aggiunge la possibile sopravvenienza normativa che potrebbe rendere compatibili, di regola ex nunc, le opere realizzate con le disposizioni urbanistiche sopravvenute; anche una simile circostanza, tuttavia, non appare determinante per una eventuale valutazione di opportunità circa l’esercizio del potere discrezionale di revoca, stante la natura vincolata del provvedimento sanzionatorio di demolizione[30].

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[1] La necessità di individuare un criterio qualificante per determinare la legittimazione ad agire e interesse a ricorrere nei giudizi di impugnazione avverso titoli edilizi dinanzi al giudice amministrativo trova il suo fondamento nell’interpretazione delle disposizioni di cui alla legge  n. 765 del 1967, ora abrogata, che all’art. 10 comma 9 novellando l’articolo 31 della legge n. 1150 del 1942, aveva previsto che: “chiunque potesse ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”.

In merito, va rilevato come l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 30 giugno 1977 n. 23 avesse chiarito che tale disposizione non aveva introdotto una forma di azione popolare per l’impugnazione dei titoli edilizi; in ragione di tale interpretazione, fu necessario individuare un criterio, quello della vicinitas, in grado di radicare legittimazione ad agire e interesse a ricorrere in capo ai soggetti che possedessero i necessari requisiti.

[2] Secondo la giurisprudenza, in base al criterio della vicinitas va riconosciuta la legittimazione ad agire avversi provvedimenti in materia urbanistica a coloro che siano titolari di immobili nella zona in cui è stata assentita l’edificazione e a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento con la stessa; sul punto si rinvia a Consiglio di Stato, sez. IV, 31 agosto 2021, n.6130.

[3] Ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 8 giugno 2021, n. 4387; id., sez. II, 10 marzo 2021, n. 2056; id. 23 maggio 2019, n. 3386.

[4] Cfr.  Consiglio di Stato, sez. II, 8 giugno 2021, n. 4375; sez. V, 16 giugno 2021, n. 4650; sez. II, 1° giugno 2020, n. 3440; sez. IV, 13 marzo 2019, n. 1656.

[5] Consiglio di Stato, Ad. Plen. 26 aprile 2018 n. 4, più di recente, cfr. Consiglio di Stato sez. III, 2 novembre 2021, n. 7304: “il fondamento dell’interesse ad agire è contraddistinto dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”.

[6] Consiglio di Stato sez. V, 1 luglio 2021, n. 5022: “nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere, che deve persistere per tutto il corso del giudizio, è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che caratterizzano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire la prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e l’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”.

[7] Consiglio di Stato sez. VI, 26 ottobre 2020, n. 6489.

[8]  Ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 29 marzo 2019 n. 2100.

[9] Consiglio di Stato, Ad. Plen n. 22 del 2021, punto 6 del cons. in diritto; nello stesso senso cfr.  Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2020, n. 8313.

[10] Sul Potere di revoca si rinvia a: M. Immordino, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino, 1999; E. Ferrari, Revoca nel diritto amministrativo, in Digesto delle. discipline pubblicistiche, vol. XIII, Torino, 1997, 333 ss.; M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2015, 333 ss.; A. Gualdani, Verso una nuova unitarietà della revoca e dell’annullamento d’ufficio, Torino, 2016; C. Napolitano, La revoca: profili di un potere di amministrazione attiva, in Nuove autonomie, 2021, 721 ss.

[11] Per una ricostruzione degli orientamenti sul fondamento del potere di revoca si rinvia a M. Immordino, Il potere amministrativo di revoca, in Federalismi.it, 2017, 4 ss.

[12] Sulla disposizione in materia di revoca introdotta dall’art. 21 quinques, si rinvia a M. Immordino, Articolo 21-quinquies: revoca del provvedimento, in N. Paolantonio – A. Police – A. Zito (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, 2005, 485 ss.; S. Puddu, La revoca: profili problematici alla luce del nuovo art. 21 – quinquies, comma 1 – bis, l. n. 241 del ’90, in Diritto e processo. amministrativo, 2008, 566; S. Fantini, Art. 21quinquies, l. n. 241/1990 in A. Bartolini-S. Fantini-G. Ferrari (a cura di), Codice dell’azione amministrativa e delle responsabilità, Roma, 2010, 558 ss.

[13] Sulla novella legislativa del 2014 si rinvia a M. Interlandi, La revoca. Prime riflessioni sulle novità introdotte dalla legge 15/2005, in G. Clemente di San Luca (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa, cit., 318 ss.

[14] Consiglio di Stato, sez. V,19 febbraio 2018, n. 1036.

[15] In merito cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16 maggio 2024 n. 4349: “la revoca in autotutela degli atti di gara deve ritenersi legittima qualora la p.a. indichi le ragioni di interesse pubblico sottese all’atto di ritiro della gara: tali ragioni, ove plausibili e non affette da macroscopici vizi logici, sono infatti sottratte al sindacato giurisdizionale”.

[16] T.A.R. Campania sez. I, Salerno, 9 febbraio 2024, n. 407.

[17] Sul punto, si rinvia a  A. Gualdani, Verso una nuova unitarietà, cit., 55 ss.

[18] Sulla tutela dell’affidamento si rinvia a F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970; F. Manganaro, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995; L. Giani, Funzione amministrativa ed obblighi di correttezza. Profili di tutela del privato, Napoli, 2005; F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l’amministrazione, in Diritto processuale amministrativo, 2018, 823 ss.

[19] In merito si rinvia a A. Police, La cooperazione pubblico-privato nel governo dell’economia e l’instabilità delle decisioni pubbliche, in Nuove autonomie, 2016, 230.

[20] In merito si rinvia a A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo, in G. Clemente di San Luca (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la legge sul procedimento amministrativo, Torino, 2005, 216.

[21] Sul punto si rinvia a L. Giani, Funzione amministrativa ed obblighi di correttezza, cit., 122; Il legittimo affidamento si configura, come: “l’aspettativa fondata su una situazione di apparenza che incide sui rapporti giuridici che intercorrono tra i soggetti dell’ordinamento riconducibile, dunque, al risultato cioè ad un determinato assetto di interessi che verrebbe a crearsi (o che il privato di attende) a seguito di un determinato esercizio di potere”.

[22]  Sul punto si rinvia a A. Gualdani, Verso una nuova unitarietà della revoca, cit., 51 ss.

[23] Con riguardo all’ipotesi della revoca si rinvia a Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 25 maggio 2023, n.361: “in caso di revoca di un precedente provvedimento amministrativo, la responsabilità da comportamento scorretto sussiste nonostante la legittimità del provvedimento stesso ed è responsabilità precontrattuale nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”; in merito alla tutela dell’affidamento, in caso di annullamento del provvedimento ampliativo, in ultimo cfr., Consiglio di Stato, Ad. Plen, 29 novembre 2021 n. 19, 20 e 21. Su tali decisioni in dottrina si rinvia a C. Napolitano, Legittimo affidamento e risarcimento del danno: la Plenaria si pronuncia (nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 20), in giustiziainsieme.it, 2021.

[24] Consiglio di Stato, sez. V, 10 aprile 2020, n. 2358.

[25] In merito si rinvia a M. Immordino, Il potere amministrativo di revoca, cit., 6, nonché a M. Immordino – M.C. Cavallaro, Revoca del provvedimento amministrativo, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano 2006, 5202 ss.

[26] Consiglio di Stato, sez. V, 1° marzo 2021, n. 1700.

[27] Consiglio di Stato sez. V, 20 dicembre 2024, n. 10265.

[28] Consiglio di Stato, sez. III, 4 novembre 2024, n. 8765; Consiglio di Stato, sez. II, 8 aprile 2024, n. 3212; Consiglio di Stato, sez. VI, 30 novembre 2023, n. 10337.

[29] Consiglio di Stato, sez. VI, 2 luglio 2024, n. 5816.

[30] La disciplina sopravvenuta potrebbe, tuttavia, avere incidenza con riguardo all’eventuale sanatoria delle opere abusive oggetto dell’ordine di demolizione ai sensi degli artt. 36 e 36 bis del DPR n. 380 del 2001, sul punto si rinvia a Consiglio di Stato, Ad. Plen., 11 ottobre 2023 n. 16: “entro il termine perentorio di 90 giorni, il destinatario dell’ordine di demolizione può formulare l’istanza di accertamento di conformità prevista dall’art. 36, comma 1, del testo unico n. 380 del 2001. L’art. 36, comma 1, infatti, consente la presentazione di tale istanza “fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative” e dunque prima della scadenza del termine indicato per demolire o ridurre in pristino ovvero — nel caso in cui ciò non sia possibile — prima dell’irrogazione delle sanzioni previste in alternativa dagli articoli 33 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001; “la situazione del proprietario, che lascia trascorrere inutilmente il termine per demolire, è quella del soggetto non più legittimato a presentare l’istanza di accertamento di conformità, avendo perduto ogni titolo di legittimazione rispetto al bene”; “Alla scadenza del termine di 90 giorni, l’Amministrazione è dunque ipso iure proprietaria del bene abusivo ed il responsabile non è più legittimato a proporre l’istanza di accertamento di conformità”.  Ed ancora, la Plenaria chiarisce che: “la sanzione disposta con l’ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, per cui l’individuazione del suo destinatario comporta l’accertamento di chi sia obbligato propter rem a demolire e prescinde da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene. Invece, l’acquisizione gratuita, quale conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e della relativa omissione, ha natura afflittiva (così come la correlata sanzione pecuniaria)”.