Questioni di giurisdizione e diritto dell’Unione Europea

Di Hadrian Simonetti -

Sommario: 1. Due prospettive. – 2.Le questioni di giurisdizione tra passato e presente. –  3.Questioni di giurisdizione e diritto dell’Unione europea. – 4. Rimedi alla sentenza “anticomunitaria”. Il rinvio pregiudiziale. – 5. Considerazioni finali

1.Due prospettive.

Due prospettive: una più stretta e una più larga. La prima ruota attorno al tema della sentenza in contrasto con il diritto dell’Unione europea, ipotesi che, secondo una tesi sulla quale tornerò, giustificherebbe una rilettura, in chiave evolutiva, dell’art. 111, u.c., Cost. Ed è la via seguita dalla Corte di Cassazione quando ha deciso di portare all’attenzione della Corte di giustizia dell’Unione europea, nel caso Ranstad, il problema, tutto italiano, del rapporto tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria nelle controversie tra privato e pubblica amministrazione. Lo ha fatto utilizzando l’argomento della mancata o cattiva applicazione del diritto UE, vuoi in via di applicazione diretta, vuoi nel caso dell’omesso rinvio pregiudiziale alla medesima Corte di giustizia.

La seconda prospettiva analizza l’incidenza che il diritto UE ha nell’esercizio della giurisdizione, in particolare di quella amministrativa. Un’influenza che si è “costruita” certamente per via legislativa, attraverso i Trattati, i regolamenti e le direttive, ma anche attraverso le sentenze della Corte di giustizia, di frequente attivata attraverso il rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale. Di qui, seppure nella costante riaffermazione del principio dell’autonomia processuale degli stati membri, un’intensa attività di scavo, della CGUE, su istituti e categorie del processo, reso possibile richiamandosi ai due principi dell’equivalenza e dell’effettività[1].

Si possono fare gli esempi – nel nostro diritto processuale amministrativo – del termine di impugnazione, della legittimazione e dell’interesse al ricorso, della tutela cautelare, della tutela risarcitoria, dell’intensità del sindacato giurisdizionale, della tenuta del giudicato. Ambiti ed istituti processuali certamente differenti ma legati dal costante richiamo al principio dell’effettività della tutela di cui all’art. 19 del TUE e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali.

Principio di effettività inteso in chiave sia disapplicativa che additiva-conformativa, a seconda che il risultato finale sia la disapplicazione, sul piano interno, di una norma contestata (potrebbe essere il caso della norma che prevede il termine di impugnazione ove, nel singolo caso, ritenuto troppo breve) oppure la sua modifica accrescitiva (è stato il caso della tutela cautelare arricchita, da una certa data in poi, di misure anche positive, in aggiunta alla tradizionale sospensiva dell’atto).

L’incidenza del diritto UE si coglie anche con riguardo alla collocazione stessa del giudice. Vale per il giudice amministrativo come anche per quello ordinario o contabile. Ma per il giudice amministrativo vale probabilmente un po’ di più, per la ragione che la sua giurisdizione abbraccia vasti settori del diritto UE e dove dunque le intersezioni – gli incontri e scontri – sono assai più frequenti.

Il tema è ancora più generale ed è stato affrontato muovendo dal nesso, un tempo molto forte, che lega, o legava tra loro sovranità, territorio e giurisdizione e che si traduceva nel monopolio statale sulla legislazione processuale[2]. Questo dato è stato incrinato dalla comparsa sulla scena di giudici – è il caso dei giudici europei – i cui poteri non sono riconducibili alla sovranità di uno stato e la cui giurisdizione presenta elementi spiccati di extrastatualità. Giudici senza stato, che applicano un diritto senza stato, senza che le formule “comunità di diritto” e “ordinamento giuridico di nuovo genere” [3], impiegate nel tempo per definire l’Unione e, prima ancora, la Comunità (economica) europea, valgano a supplire a questa riconosciuta (e perdurante) mancanza di statualità[4].

Di qui, muovendo da questo dato, nella giurisdizione, anche in quella interna, si è andato registrando il progressivo allontanamento dalla logica del potere, appunto statuale, per abbracciare quella del servizio[5]: la giurisdizione e la giustizia intese come servizio reso alla collettività, all’operatore, al consumatore, risparmiatore, utente. Tutto questo avrebbe riflessi ed implicazioni anche sull’art. 111, u.c., Cost., potendo servire a giustificare il sindacato della Cassazione sulla “qualità” del “servizio”[6].

E’ un dato che il giudice amministrativo aveva un tempo sopra di sé solo la Cassazione e solo con riguardo alle questioni di giurisdizione intese in senso classico, ma da qualche decennio ha sopra di sé anche e prima di tutto la Corte di giustizia, che in molti casi ha l’ultima voce in capitolo sulle vicende del suo giudizio (valga, per tutti, l’esempio del ricorso incidentale[7]).

Questo dato di novità, insieme ad altri, finisce per incrinare l’immagine tradizionale del Consiglio di Stato quale signore del (suo) processo[8].

Dibattuto è il rapporto che si sarebbe venuto così a creare, in questo scenario, tra la Corte di giustizia e le Corti supreme nazionali, se di gerarchia o equiordinazione, e se sia meglio inquadrabile in una logica monista o pluralista. Si indugia, specie nella dottrina e nella giurisprudenza nazionali, sulla figura forse eccessivamente irenica del “dialogo tra le Corti”. In alternativa si evoca la figura, ibrida già di suo e comunque – si direbbe – latentemente conflittuale, del condominio.

Tra le due prospettive, quella stretta e quella larga, cui accennavo all’inizio, vi è un rapporto di continenza: la prima è parte della seconda, vi è ricompresa. Per essere compresa, quella ha bisogno di questa.

La vicenda Ranstad ha tratto origine da una controversia in materia di contratti pubblici. Quella che Bernardo Sordi definisce la “decostruzione teorica” della grande dicotomia pubblico/privato[9], cui ha certamente molto contribuito anche il diritto europeo, opera alla sua periferia, in un settore speciale che in origine era molto trascurato dalla dottrina. Quasi cinquanta anni di direttive europee, interventi di vario genere della Commissione europea, una nutrita giurisprudenza della Corte di giustizia lo hanno reso “centrale” e “popolare”, anche nel dibattito pubblico, nella discussione politica. Ma resta un settore piuttosto speciale, nel quale il confronto, prima in sede amministrativa, e poi la lite, in sede processuale, è al fondo tra soggetti privati che si contendono il medesimo bene “pubblico”. Con la domanda ricorrente, tornata d’attualità in occasione dell’ultimo codice dei contratti pubblici, se la procedura di gara serva più agli operatori privati o alle stazioni appaltanti, se debba privilegiarsi la concorrenza o la convenienza amministrativa, se tra questi due principi o criteri vi sia un rapporto antagonista o di complementarietà [10].

Un certo mutato atteggiamento verso le corti europee è stato l’effetto anche dell’evoluzione e del ricambio generazionale. La via della rimessione pregiudiziale è stata percorsa inizialmente un po’ ovunque dalle corti di prima istanza piuttosto che dalla corti superiori; così è avvenuto anche in Italia, per quanto riguarda la giustizia amministrativa, con le prime remissioni da parte dei tribunali amministrativi regionali e solo in seguito, con un certo ritardo, dal Consiglio di Stato[11]. Con l’ampliamento della giurisdizione amministrativa, nella sua veste di “giudice dell’economia”, il Consiglio di Stato ha poi intensificato i suoi rinvii, quasi proustianamente alla ricerca del tempo perduto, e forse finendo anche per fiaccare la capacità di risposta del Giudice europeo[12]. Oltre alle cause di questa tendenza, tra le quali è destinata probabilmente a rafforzarsi quella legata alla responsabilità civile del giudice di ultima istanza secondo la legge italiana n. 117 del 1988, è importante ricordare sempre anche le conseguenze che essa può determinare, attraverso la sospensione temporanea di interi pezzi di regolazione di derivazione europea, in attesa che la Corte si pronunci, e il rischio non infrequente che alla fine le risposte siano evasive, e che complichino piuttosto che chiarire.

2. Questioni di giurisdizione tra passato e presente

L’influenza del diritto UE interseca il tema delle questioni di giurisdizione, e quindi del ricorso per Cassazione, prima e dopo il codice del processo amministrativo: servizi pubblici, risarcimento del danno, contratti pubblici, diritti fondamentali sono i settori elettivi di queste “intersezioni”, i casi sui quali ci si è esercitati in letture e riletture, “visioni e revisioni”, dell’art. 111, u.c., Cost. anche nel suo rapporto con il comma sette.

Nell’approccio più tradizionale si distingue, da tempo[13], tra limiti esterni e limiti interni alla giurisdizione, sottoponendo al controllo della Cassazione i primi ma non i secondi.

Limiti esterni, per così dire, “sicuri”, mai messi in discussione, sono quelli che attengono al difetto assoluto di giurisdizione (laddove si agisce a tutela di un interesse che l’ordinamento non riconosce come meritevole di tutela e per cui esclude che vi sia un giudice, in presenza di un interesse di mero fatto), al difetto relativo di giurisdizione (quando un giudice c’è ma non è quello al quale ci si è rivolti), all’eccesso di potere giurisdizionale (quando il giudice amministrativo invade gli spazi del Parlamento o dell’Amministrazione).

Limiti esterni, per così dire, “rivisitati”, sono quelli che attengono alla irregolare composizione dell’organo giudicante[14], quelli che sarebbero comunque superati nei casi di rifiuto di giurisdizione (ossia il rifiuto di accordare tutela, come nella vicenda della pregiudiziale risarcitoria nei primi anni duemila), o configurabili al cospetto di decisioni anomale ovvero abnormi[15].

Sul piano storico va sempre ricordato come l’affermazione della ricorribilità per Cassazione, avvenuta dapprima per via giurisprudenziale e poi recepita con la legge n. 62 del 1907, sia valsa a riconoscere la natura giurisdizionale del (rimedio del) ricorso al Consiglio di Stato. Come a dire che il Consiglio di Stato diventa un giudice, per quanto “speciale”, grazie al ricorso in cassazione, quel ricorso dal quale, da allora in poi, ha però dovuto guardarsi, per così dire, le spalle, attraverso i vari passaggi della sua complessa vicenda storica.

Passaggi che hanno origine nella legge 31 marzo 1877, n. 3, quando le questioni di giurisdizione furono sottratte proprio al Consiglio di Stato, che le aveva ereditate dal re, per essere affidate per la prima volta alla cura delle Sezioni Unite della Corte di cassazione romana, da poco istituita[16][17]. I passaggi successivi si snodarono attraverso gli interventi legislativi del 1907 (con la creazione della V sezione del Consiglio di Stato e la formalizzazione del ricorso per cassazione avverso le sue decisioni), 1924 (con l’approvazione del testo unico del Consiglio di Stato), 1940 (con il codice di procedura civile), 1948 (con la Costituzione e l’art. 111), 1971 (con l’art. 36 della legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali), 2010 (con l’art. 110 del codice del processo amministrativo).

Se nei testi del 1907 e del 1924 si parlava di difetto assoluto di attribuzione ovvero di giurisdizione, la formula, apparentemente più ampia, dei “motivi inerenti alla giurisdizione” comparve per la prima volta nel 1940 con l’art. 362 c.p.c.[18] e da lì approdò in Costituzione. Interpretazioni estensive delle ipotesi di ricorribilità per cassazione, specie sotto l’etichetta dell’eccesso di potere giudiziario[19], si registrarono peraltro già nel corso degli anni venti del Novecento. Il famoso concordato D’Amelio-Romano servì anche a ritornare, in quel frangente, ad una interpretazione più circoscritta e condivisa.

Nel dibattito svoltosi alla Costituente la formulazione dell’art. 111, u.c. (in origine il comma terzo, divenuto dopo la riforma del 1999 l’attuale comma ottavo,) fu il risultato del prevalere del “partito” favorevole al Consiglio di Stato, di cui si fecero portatori Costituenti del calibro di Leone, Mortati e Ruini, nei lavori all’interno della Commissione dei 75 e poi in Assemblea[20] e, prima ancora della Costituente, già in seno alla Commissione presieduta da Ugo Forti incardinata presso il Ministero per la Costituente. Indirizzo che, come noto, prevalse sulla proposta di Calamandrei di tornare alla giurisdizione unica o comunque di prevedere che il ricorso per Cassazione non fosse limitato ai soli motivi di giurisdizione[21].

Per giustificare la ricorribilità in Cassazione limitata ai soli motivi inerenti alla giurisdizione si fece leva, in quel momento, soprattutto sul carattere speciale del giudizio amministrativo, sulla sua matrice di giudizio di annullamento sull’atto a tutela di interessi legittimi, tale da richiedere una competenza appunto speciale, che la Cassazione non avrebbe avuto[22]; tacendo o comunque trascurando il versante della giurisdizione esclusiva, che era già allora presente (lo era dal 1924), e il fatto che il comma 3 derogasse al comma 2, alla regola del ricorso straordinario a presidio dei diritti[23].

Il ricorso per Cassazione, per motivi inerenti alla giurisdizione, rimase quindi demandato alle Sezioni Unite della Cassazione, la cui competenza venne in tal modo costituzionalizzata. Sulla natura delle Sezioni unite si deve dare conto di un dibattito svoltosi in dottrina, con interventi di Andrioli, Torrente[24] e Stancanelli[25]. Nel quale riaffiora a tratti l’idea delle Sezioni unite quale organo di vertice dell’intero ordinamento giurisdizionale, in posizione di autonomia rispetto alla stessa Corte di cassazione. Un organo speciale piuttosto che una speciale composizione.

E’ questa anche la tesi di Nigro, esposta nel suo manuale di Giustizia amministrativa, per cui l’art. 111, u.c. troverebbe la sua origine in un tempo nel quale – nel 1877 – c’erano i diritti soggettivi e c’erano “gli altri affari”; c’era il giudice dei diritti e c’erano per gli altri affari giudici minori o nessun giudice. Quando però questi altri affari acquistano la dimensione dell’interesse legittimo, quando nasce il giudice amministrativo, “il titolo di attribuzione alla Cassazione di quel potere – osserva Nigro – non può più essere lo stesso”[26]. Di qui la tesi che le Sezioni unite siano un organo a rilevanza costituzionale, il che pone allora la questione della loro composizione, se si giustifichi che resti com’è o non debba divenire mista o neutra.

E’ una tesi che riecheggia ancora in taluni orientamenti sviluppatisi negli ultimi venticinque anni[27]. Tesi che ritroviamo in nuce nella proposta contenuta nel Memorandum tra le magistrature del 2017 di una composizione integrata, mista sebbene non necessariamente paritetica, delle Sezioni unite, almeno in taluni casi[28].

L’attuale composizione delle Sezioni unite è il risultato della designazione su proposta del Primo Presidente, a sua volta nominato dal CSM secondo criteri anche lato sensu “politici”, come rilevava Cannada Bartoli, già nel 1970. Questo autore criticava la tesi secondo cui le Sezioni unite fossero da considerarsi come un organo speciale. Potevano esserlo state in origine, quando era ancora presente un sistema di corti di cassazione territoriali, ma più non lo erano dopo l’unificazione avvenuta negli anni venti del Novecento. Erano divenute una speciale composizione dell’organo giudicante[29].

Ai giorni nostri, la tesi che vorrebbe rinvenire nelle Sezioni unite di cui all’art. 111, u.c. un organo speciale, per così dire “fuori” e, al tempo stesso, “dentro” la stessa Corte di cassazione, appare contraddetta anche dall’assenza, nel procedimento che si segue dinanzi ad esse, di tratti di vera specialità.

Rimanendo ai giorni nostri, nel periodo immediatamente prima e dopo il codice del processo amministrativo del 2010 si sono registrate una serie di pronunce delle Sezioni unite della Corte di cassazione che hanno ravvisato ora casi di eccesso di giurisdizione per sconfinamento[30], ora più spesso casi di diniego o rifiuto di giurisdizione, per arretramento[31], in fattispecie dove più fondatamente potevano rinvenirsi, semmai, ipotesi di violazione di legge. Ipotesi nelle quali si è così finito, attraverso un uso espansivo dei “motivi inerenti alla giurisdizione”, per imputare al Consiglio di Stato alle volte di fare troppo e altre volte, invece, troppo poco.

Nell’insieme questa giurisprudenza realizza – o vorrebbe realizzare – uno slittamento ovvero uno scivolamento dal piano della giurisdizione a quello della violazione di legge, giustificato a detta della Suprema Corte in nome dell’aumento dei casi di giurisdizione esclusiva sui diritti, circostanza che avrebbe reso la soluzione a suo tempo segnata dall’art. 111, u.c., non più soddisfacente o non più coerente[32]. Si potrebbe richiamare il precedente dello TSAP , quale esempio di giudice speciale “non garantito” (dalla copertura costituzionale), per il quale le norme processuali del 1933 erano ricalcate sul testo unico del Consiglio di Stato del 1924, e dunque limitavano la ricorribilità per Cassazione al profilo della giurisdizione, norme che, nel secondo dopoguerra, le Sezioni unite ritennero essere state tacitamente abrogate, dal momento che lo TSAP non riceve menzione nell’art. 111, u.c., neppure nella sua veste, peraltro discussa, di giudice amministrativo speciale in unico grado. Lo TSAP non volle o non riuscì ad opporsi a quell’orientamento assai opinabile[33].

In questo quadro – di limiti interni alla giurisdizione interpretati estensivamente sino a farne dei limiti esterni – già sufficientemente incerto, si inserisce la figura della sentenza abnorme, tale considerandosi la sentenza che sia incorsa in una violazione di legge particolarmente grave, al punto da non essere più una sentenza degna di questo nome[34].

La nozione di sentenza abnorme è stata elaborata inizialmente nell’ambito del processo penale, per ovviare a situazioni nelle quali non erano dati rimedi impugnatori a fronte di violazioni evidenti, se non clamorose. Per il processo civile i primi studi risalgono a Vittorio Denti, negli anni cinquanta, e sono stati condotti approfondendo il tema nel quadro delle invalidità più gravi della sentenza e dei possibili rimedi esperibili, tra actio nullitatis e ricorso per Cassazione[35].

Il richiamo alla sentenza abnorme, o gravemente anomala, quale variante più grave della sentenza (semplicemente) erronea, costituisce il precedente probabilmente più prossimo a quello della sentenza anticomunitaria, a condizione però di intendere l’anticomunitarietà, anch’essa, come un’invalidità rafforzata; una condizione, tuttavia, revocabile in dubbio.

In una ipotetica costruzione a gradi, alla decisione abnorme si contrappone, si direbbe nel punto più lontano da essa, la sentenza “giusta”, che è un’altra figura non meno evanescente della sentenza abnorme. Come ancora di recente è stato sottolineato, l’aggettivo “giusta” si presta ad una accezione “valoriale”, giusnaturalistica, inevitabilmente soggettiva; potenzialmente in rapporto dialettico con la sentenza “legale” o formalmente corretta[36].

L’aspirazione alla sentenza “giusta” potrebbe ricevere nuova linfa all’indomani della costituzionalizzazione dei principi del giusto processo. Sebbene, a distanza oramai di un quarto di secolo dalle modifiche apportate all’art. 111 Cost., si possa osservare – e forse persino con qualche sorpresa – come il discorso sul giusto processo abbia interessato e ancora interessi per lo più le regole del processo, il suo divenire, e meno il suo approdo, il prodotto finale. Nel senso quindi che è giusto il processo condotto giustamente, anche a prescindere da quanto sia giusto, infine, il suo risultato[37].

Il tema è tra i più impervi e scivolosi perché chiama in causa la distinzione tra legalità e legittimità e il rapporto tra diritto e morale.

3.Questioni di giurisdizione e diritto dell’Unione europea

Anche il Consiglio di Stato, almeno in un precedente, in una vicenda peraltro molto “singolare”, è sembrato far propria la categoria, di incerta configurabilità, della sentenza abnorme[38]. In un caso dove abnormità faceva rima, o meglio coincideva, con anticomunitarietà. E dove si è valorizzata la teoria del giudicato a formazione progressiva, una teoria per cui il giudicato amministrativo molto spesso si va componendo per successivi gradi, dopo la cognizione e lungo la fase dell’esecuzione, a causa della natura del potere e degli avvenimenti legati al suo riesercizio. Ad una vecchia teoria processuale[39], che si credeva superata con il codice del 2010, è stato dato un vestito nuovo ed è servita per riorientare il giudicato (amministrativo) nazionale alla luce, in quel caso, del sopravvenire di una sentenza della Corte di giustizia UE, sino a determinare la dissolvenza del primo. Più che di giudicato a formazione progressiva qui sarebbe il caso di parlare di giudicato a formazione regressiva o di giudicato cedevole.

Come noto, l’autorità del giudicato nazionale, la sua intangibilità, laddove in contrasto con il diritto UE, è al centro di un vasto dibattito, in buona parte alimentato da una giurisprudenza della Corte di giustizia che a più di un commentatore è apparsa fluttuante. Dopo le “storiche” sentenze Lucchini del 2007 e Fallimento Olimpiclub del 2009, che per prime avevano aperto la “crisi”, si sono alternate posizioni nel segno di una riaffermata intangibilità del giudicato ad altre che ne hanno superato gli effetti preclusivi[40], a seconda che a prevalere sia il principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri o quello dell’effettività del diritto UE; secondo un approccio definito come “pragmatico-casistico”[41].

Le ipotesi di sentenze contrastanti con il diritto UE si verificano in particolare nelle controversie in materia di contratti pubblici, dove le occasioni di confronto e di scontro con il diritto europeo sono maggiori. Diverse sentenze della Corte di cassazione hanno annullato con rinvio sentenze del Consiglio di Stato in materia di appalti[42]. Sul piano strettamente processuale l’annullamento con rinvio è il segno della rivisitazione dei limiti esterni. Nell’impostazione tradizionale, sopra ricordata, spazio per annullare con rinvio le decisioni del Consiglio di Stato praticamente non ve n’era. L’annullamento era pressoché sempre senza rinvio.

Corte di cassazione e Consiglio di Stato sembravano a questo punto convergere sull’esistenza di una figura di sentenza abnorme laddove (e in quanto) in palese contrasto con il diritto UE, pur divergendo in ordine ai rimedi per rimuovere o correggere tale contrasto. Per la Cassazione il rimedio era il ricorso per cassazione nella nuova lettura, “dinamica”, del 111, u.c.; per il Consiglio di Stato poteva bastare il rimedio dell’ottemperanza, riletto in chiave correttiva, e non strettamente esecutiva o attuativa, di un giudicato in progress.

L’anticomunitarietà intesa come (variante della) abnormità, ovvero come invalidità rafforzata della sentenza e quindi dell’atto processuale, contraddice peraltro l’idea – sicuramente maggioritaria, per quanto non unanime – secondo cui sul piano invece del diritto sostanziale, l’atto amministrativo anticomunitario rimarrebbe pur sempre un atto annullabile e non nullo, men che meno inesistente[43]. Con tutto ciò che ne consegue quanto all’onere e al termine di impugnazione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018[44], giungendo abbastanza inaspettata, ha interrotto l’indirizzo espansivo sopra ricordato, ribadendo come i motivi inerenti alla giurisdizione coincidono con i limiti esterni alla giurisdizione e non sono ammesse letture evolutive, neppure se giustificate in ragione della rilevanza della violazione commessa. Per la Corte, infatti: “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”. La stessa Cassazione, con la sentenza 13243 del 2019 era sembrata in un primo tempo prendere atto di questo intervento, così forte e netto, fin quando non è arrivato il caso Ranstad, Come ampiamento noto, con ricorso per Cassazione si è dedotto il contrasto di una sentenza del Consiglio di Stato, della III sezione, con il diritto UE in materia di contratti pubblici, in particolare con la giurisprudenza della CGUE sull’ordine di esame dei ricorsi reciprocamente escludenti presentati da diversi concorrenti nella medesima gara. La Cassazione reputava che il giudice amministrativo non avesse fatto buon governo dei principi affermati dalla Corte europea ma, ritenendo che dopo Corte cost. 6/2018 non possa più annullare (con rinvio) la sentenza del Consiglio di Stato, ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione del contrasto tra l’art. 111, u.c., nella lettura datane da Corte cost., (e gli artt. 360 e 362 c.p.c.), e il diritto UE[45].

Alla rimessione della Cassazione, che tanto interesse e tante discussioni ha sollevato, è seguita la sentenza della Corte di giustizia, Grande camera, del 21 dicembre 2021, che ha risposto – come era forse prevedibile – riconoscendo l’errore (di diritto) commesso dal Consiglio di Stato ma senza che ciò si traduca nel contrasto con il diritto UE della regola per cui in questi casi, per ovviare ad un simile errore, non è dato il rimedio del ricorso per Cassazione avverso la sentenza anticomunitaria.

Vale, per la Corte europea, l’autonomia processuale e vale sapere (e ricordare) che ci possono essere comunque altri rimedi quali la responsabilità dello Stato con l’azione di danni promuovibile dalla parte lesa nonché, laddove l’anticomunitarierà sia reiterata, la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea.

La Cassazione ne prende, o sembra prenderne, atto[46], ma poi sopraggiunge Cass. S.U. 23 novembre 2023, n. 32599 che cassa, con rinvio, la sentenza dell’Adunanza plenaria sulle concessioni balneari (una delle due sentenze gemelle, la n. 18 del 2022, l’altra, la n. 17, è passata in giudicato)[47].

In questo caso la Cassazione torna ad applicare lo schema del rifiuto di giurisdizione, che rinviene nel fatto che il Consiglio di Stato abbia negato l’intervento in giudizio di una parte. Ma, così facendo, non solo riveste da questione di giurisdizione un (presunto) errore in procedendo, ma in più rimuove una decisione che aveva accertato l’anticomunitarietà della normativa interna (di diritto sostanziale) affermandone la doverosa disapplicazione. Se dunque la Cassazione si era data la missione di scongiurare e prevenire violazioni del diritto UE, in questo caso, la missione non sembra affatto realizzata o è, quanto meno, rinviata nel tempo.

Per inciso, la sentenza della Plenaria sui “balneari” poteva, sarebbe potuta, essere “attaccata” deducendo la violazione di un limite esterno classico, si direbbe dei più classici, con riferimento al potere del Parlamento. Nel punto in cui la Plenaria differisce gli effetti della disapplicazione della proroga di due anni, dal 2021 al 2023, (si è detto[48]) è come se introducesse una mini proroga giurisprudenziale al posto di una maxi proroga legislativa. Alla proroga lunga anticomunitaria sostituisce una proroga corta di cui è dubbio il fondamento legale[49]. Di sicuro “i balneari” non avevano troppo interesse a sollevare questo profilo che, se accolto, avrebbe potuto condurre la Cassazione ad annullare, in parte, e in questo caso probabilmente senza neppure (bisogno del) rinvio, semplicemente amputando quel capo di sentenza, così determinando l’immediata disapplicazione in coerenza con la natura dichiarativa della decisione presa.

4. Rimedi alla sentenza “anticomunitaria”. Il rinvio pregiudiziale

Al di là del ricorso per Cassazione quali rimedi rimangono, a parte quelli richiamati dalla Corte di giustizia, ancora con la sentenza Ranstad, dell’azione danni per responsabilità dello Stato[50] e, nei casi più gravi, della procedura d’infrazione?

In passato si era indicato il ricorso per revocazione, suggerendo l’introduzione di una nuova ipotesi di tale impugnazione straordinaria, per rimuovere la sentenza anticomunitaria[51]. Un rimedio di questo tipo è tornato ad essere invocato di recente, anche per far fronte alle ipotesi nelle quali si sia al cospetto di una giurisprudenza europea sopravvenuta al giudicato amministrativo di cognizione[52]. Il legislatore interno continua tuttavia a non prevedere un rimedio del genere, senza che tale mancanza sia considerata dalla stessa Corte di giustizia come in contrasto con il diritto dei Trattati e la Carta di Nizza[53]. Con la precisazione che la sua recente introduzione nel codice di procedura civile, ma in relazione al contrasto delle pronunce del giudice civile con le sentenze EDU, e comunque secondo limiti molto stringenti[54], parrebbe avere allontanato, piuttosto che avvicinato, una simile prospettiva anche de iure condendo.

In alternativa, si potrebbero valorizzare – a legislazione invariata – i rimedi dell’ottemperanza “correttiva”, di cui si è già detto qualcosa in precedenza, e dell’autotutela sull’atto interno erroneamente non annullato dal giudice nazionale, benché in contrasto con l’ordinamento europeo. Se il primo rimedio appare legato a casi limite, con riguardo al secondo ossia all’autotutela[55] va verificato se questa in funzione della primazia del diritto europeo assuma contorni nuovi, in particolare un carattere doveroso che di regola non ha, sino al punto da comportare una qualche deroga alla disciplina interna dettata dall’art. 21 nonies della l. 241 del 1990, in chiave come noto sempre più restrittiva. Lo stesso orientamento della Corte di giustizia sul punto non appare univoco, probabilmente perché consapevole, la CGUE, di come la cd. funzionalizzazione dell’autotutela deve fare i conti, oltre che con l’autorità del giudicato, anche con il principio del legittimo affidamento, che è uno dei principi fondamentali del diritto europeo[56].

Più di un commentatore della vicenda Ranstad – tra i processual-civilisti – parrebbe suggerire una via più semplice e più spiccia, rimproverando alla Cassazione semmai l’errore di avere portato in Europa una questione di diritto interno che si poteva trattare diversamente. Si suggerisce alla Suprema Corte di “tirare diritto” per la sua strada. Si sottolinea come a rigore la sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018, essendo una pronuncia di inammissibilità, non abbia efficacia vincolante al di fuori del giudizio a quo che l’ha originata. Insomma la Cassazione potrebbe fare da sé[57].

Alla linea “muscolare” appena ricordata si contrappone, tra gli amministrativisti, la tesi, non meno netta, che, per il caso in cui la Cassazione davvero andasse avanti, arriva ad evocare la via del conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale[58]. La questione di giurisdizione diventerebbe una questione di costituzione.

Un altro rimedio, questo essenzialmente di tipo preventivo, è dato dal rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, disciplinato a norma dell’art. 267 del TFUE e previsto come un vero e proprio obbligo per i giudici nazionali di ultima istanza. Rinvio la cui omissione può costituire, a sua volta, violazione del diritto europeo e condurre a delle conseguenze rilevanti.

Il rinvio pregiudiziale è uno degli istituti sui quali si fonda la primazia del diritto UE; grazie alla presenza stabile della Corte di giustizia ha contribuito a fare dell’Unione una comunità di diritto differente dalle altre organizzazioni internazionali[59]. Pensata inizialmente soprattutto in funzione dell’uniformità dell’interpretazione del diritto comunitario nei diversi Stati membri, per evitarne la “nazionalizzazione”, la competenza pregiudiziale ha finito per svolgere un’importantissima opera di sistematizzazione ed elaborazione dei principi dell’ordinamento europeo, nonché di tutela dei diritti da esso garantiti[60].

La natura del rinvio pregiudiziale e del relativo procedimento rimane peraltro discussa[61]. Vi è sufficiente concordia sul dato di partenza per cui il rinvio pregiudiziale è visto quale limite o deroga al principio per cui jura novit curia: in via di principio l’individuazione e l’interpretazione del diritto è attività rimessa al giudice, ma quando è in gioco il diritto UE l’attività interpretativa dei giudici nazionali incontra dei limiti, in funzione sempre del primato e dell’uniforme applicazione del diritto UE.

Le opinioni divergono però sulla natura del procedimento, tra la tesi che vi scorge un’ipotesi di giurisdizione contenziosa e quella, prevalente, che tende a configurarlo invece come una parentesi di giurisdizione oggettiva, da giudice a giudice, rispetto al quale le parti della causa sottostante avrebbero un ruolo solamente sollecitatorio[62]. I dubbi sulla natura del procedimento sono destinati a riflettersi sulle conseguenze che possono determinarsi in caso di mancato rinvio.

Nell’ipotesi dell’omesso rinvio da parte del giudice di ultima istanza che come tale vi sia obbligato[63], il primo dubbio è se, sul piano delle conseguenze, rilevino solo gli omessi rinvii immotivati e se le omissioni motivate vadano invece esenti da responsabilità. Sono di sicuro due ipotesi diverse: nel primo caso ci si avvicina ad un errore di fatto, all’abbaglio dei sensi di chi non vede la questione sollevata dalle difese, magari nell’ultima pagina dell’ultima memoria; nel secondo caso, quando il mancato rinvio è motivato, l’errore può essere semmai di diritto.

Il Consiglio di Stato è peraltro giudice di ultima istanza finché rimane l’art. 111, u.c., Cost., nella lettura originaria; ma se si accedesse ad un’interpretazione evolutiva del tipo di quella proposta dalla Cassazione, tale potrebbe più non essere, tutte le volte in cui viene in gioco il rispetto del diritto UE. E non essendo giudice di ultima istanza, per esserlo al suo posto la Cassazione, cadrebbe il suo dovere di rimessione e la conseguente responsabilità quando non lo fa.

Sul piano dei possibili rimedi a tutela delle parti che lamentino di essere state lese dal mancato rinvio pregiudiziale, si discute se la tutela esperibile sia solo per equivalente, consistendo anche in questo caso nella responsabilità dello Stato nei confronti della parte danneggiata; o possa configurarsi anche una tutela in forma specifica, di tipo caducatorio della sentenza viziata dal mancato rinvio.

La questione del possibile ricorso per revocazione, “allargato” fino a ricomprendere un’ipotesi di omesso rinvio pregiudiziale vanamente sollecitato dalle difese di parte[64], era stata portata all’esame della Plenaria con l’ordinanza della V sezione del Consiglio di Stato n. 8436 del 2022, dopo avere registrato un contrasto tra le sezioni semplici[65]. La Plenaria ha restituito gli atti alla sezione remittente senza pronunciarsi sul punto, avendo ritenuto che gli altri motivi di revocazione dedotti fossero da scrutinare prioritariamente[66].

Nella vicenda Ranstad la Cassazione proponeva, anche sotto questo aspetto, la via diversa (del rimedio) del ricorso per cassazione, in un caso di omesso rinvio immotivato. Anni prima, la Cassazione aveva peraltro escluso che la sentenza pronunciata omettendo il rinvio pregiudiziale integrasse un’ipotesi di superamento dei limiti esterni[67].

5. Considerazioni finali

Sulle incertezze e le complicanze del sistema (o del “parasistema”[68]) italiano di giustizia amministrativa si sono venute innestando le peculiarità del processo di integrazione europea, il suo essersi appoggiato, in mancanza di una vera statualità e di taluni elementi ad essa connaturati (la difesa comune, per citarne uno), soprattutto sulla forza del suo diritto, sul ruolo egemonico della Corte di giustizia nell’interpretarlo e sulla autorità delle corti nazionali nel darvi attuazione in veste di giudici dell’Unione; secondo modalità per molti aspetti sorprendenti, che noi alle volte diamo per scontate ma che non erano certamente prevedibili all’origine di questa vicenda così complessa e originale.

L’immagine dell’Europa “forza gentile”[69] non deve nascondere l’impatto e le conseguenze – anche le tensioni e le resistenze – che si sono andati determinando nel rapporto tra gli ordinamenti e i loro giudici, con ricadute su una serie di istituti e di categorie consolidati, anche di diritto processuale, come si è cercato qui di sottolineare.

Di questa grande avventura, ancora incompiuta, le questioni di giurisdizione sono un aspetto in fondo marginale, nel quale riemergono più che altro le complicazioni dell’irrisolto dualismo italiano.

Si invocano sempre nuovi concordati, nel ricordo e rimpianto di quello, di quasi un secolo fa, tra Mariano D’Amelio e Santi Romano[70]. Ma i tempi sono molto cambiati, e direi anche per fortuna (che sono cambiati). La magistratura era allora un’istituzione gerarchica al cui interno i giudici non si distinguevano, tra loro, soltanto per diversità di funzioni. E dove, quindi, gli accordi di vertice più facilmente potevano trovare seguito, per non dire ricevere obbedienza, da parte dell’una e dell’altra “intendenza”. Una qualche visione gerarchica è sembrata riemergere nella vicenda del Memorandum del 2017 e forse ha contribuito a sancirne l’insuccesso. Se ai giorni nostri si vuole provare a riprendere quell’idea, che al fondo andava nella giusta direzione[71], e a ricercare delle soluzioni condivise, vi è la necessità di partire dalla base, coinvolgendo i magistrati delle due giurisdizioni superiori in un confronto che dovrebbe avvenire, prima di tutto, sul terreno culturale e del comune impegno nel rendere giustizia, e svolgersi con senso di responsabilità e in coerenza con il dato costituzionale.

* Lo scritto riprende e sviluppa la relazione svolta al convegno “I confini della giurisdizione amministrativa” tenutosi a Venezia il 12 aprile 2024, organizzato dalla Fondazione Feliciano Benvenuti.

[1] Su questa seconda prospettiva, per un inquadramento generale, v. i contributi di A.Pajno, Il giudice amministrativo italiano come giudice europeo, e G. Montedoro, Corte di giustizia UE e giustizia amministrativa, entrambi in AA.VV., Liber amicorum Antonio Tizzano, Torino, 2018.

[2]  A.Panzarola, Il controllo della Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 2018, 587 ss., spec. 597-601.

[3] Espressione che troviamo già nella sentenza della Corte di giustizia 5 febbraio 1963, Van Gend & Loos, C-26/62: “la Comunità [europea] costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani”.

[4] Sulla natura non statuale dell’UE vale richiamare il parere della CGUE 2/2013, in particolare il punto 156.  Su cosa sia “giuridicamente” oggi l’UE cfr. L.Daniele, Diritto dell’Unione europea, Milano, 2022, 58-62 e, in precedenza, L.Torchia, Una costituzione senza Stato, in Diritto pubblico, 2001, 405, in un saggio che si apriva con un lungo elenco di (ben diciotto) definizioni offerte, da giuristi e politici, a proposito dell’Unione europea.

[5] Cfr. G.D.Comporti, Dalla giustizia amministrativa come potere alla giustizia amministrativa come servizio, in La giustizia amministrativa come servizio (tra effettività ed efficienza), a cura di G.D.Comporti, Firenze, 2016, 7 ss.

[6] A.Panzarola, Il controllo della Corte di Cassazione, cit., 600.

[7] E l’indirizzo inaugurato a partire da Corte di giustizia UE, 4 luglio 2013, C-100/12 Fastweb, sollecitata dal Tar Piemonte, in controversie in materia di contratti pubblici nelle quali l’aggiudicatario della procedura attraverso un ricorso incidentale di tipo “escludente” contesta l’ammissione in gara del ricorrente principale con l’obiettivo di provocarne retroattivamente l’esclusione il che, secondo l’impostazione in quel momento seguita dal Consiglio di Stato, avrebbe comportato a quel punto l’inammissibilità (o l’improcedibilità) della sua impugnazione. Il Giudice europeo ha ribaltato questa prospettiva, imponendo ai giudici nazionali di esaminare comunque anche il ricorso principale, riconoscendo in capo al suo proponente quanto meno un interesse strumentale alla ripetizione della gara.

[8]  A.Travi, Il Consiglio di Stato tra legislazione ed amministrazione (2011), ora in Scritti scelti, Napoli, 2022, 383 ss, spec. 393 dove si afferma che “il Consiglio di Stato si considera solo in parte vincolato alla legge. E ciò vale sia per le norme che dettano regole sostanziali, che per quelle che dettano regole processuali”.

[9] B.Sordi, Verso la grande dicotomia: il percorso italiano, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 45, 2016, 208.

[10] V., prima dell’ultimo codice, M. Clarich, Considerazioni sui rapporti tra appalti pubblici e concorrenza nel diritto europeo e nazionale, in Dir. amm., 1, 2016, 71 ss. e, alla luce del nuovo codice, volendo, S.Fantini, H.Simonetti, Le basi dei contratti pubblici, ult. ed., Milano, 2024, spec. 40-44.

[11] Per una ricostruzione della vicenda, sottolineando come l’avvio fosse stato piuttosto lento, M.Gnes, Giudice amministrativo e diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, 331 ss. Per gli sviluppi più recenti, S.Spuntarelli, Il ruolo del rinvio pregiudiziale alla CGUE nella giurisdizione amministrativa, in Riv.trim.dir.pubbl., 2018, 985. Per una interessante ricerca di diritto comparato, nella quale si evidenziano le dinamiche sviluppatesi all’interno dei vari Stati membri tra le corti inferiori e quelle superiori, in parte alimentate anche dalla stessa Corte di giustizia, che in una prima fase aveva incoraggiato le prime per poi, in tempi più recenti, mutare atteggiamento con l’allargamento dell’Unione europea (e il conseguente moltiplicarsi del numero dei giudici nazionali potenzialmente in grado di attivare il rinvio pregiudiziale) man mano che le seconde riguadagnavano la scena, si v. T.Pavone, R.D.Kelemen, The evolving judicial politics of European integration: The European court of justice and National Courts Revisited., in European Law Journal, 2019; 352–373.

[12] Sulla base dei dati disponibili il numero delle remissioni effettuate dal Consiglio di Stato, nel decennio che va dal 2012 al 2022, sarebbe pari a 300, a fronte delle 100 remissioni dell’omologa Corte tedesca, delle 90 in Francia e della 70 in Spagna.

[13] Tra i primi a tracciare la differenza L.Mortara, Ancora sui limiti rispettivi delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria e delle autorità amministrative, in Giur. it., 1897, 1034. Di recente, tra i numerosi scritti su questo tema, si segnala quello di A.Cassatella, L’eccesso di potere giurisdizionale e la sua rilevanza nel sistema di giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2018, 635 ss., dove alla fine si avanza la proposta di novellare l’art. 110 c.p.a. per precisare i vizi-motivi (che sono davvero) inerenti alla giurisdizione.

[14] A partire da Cass. S.U. 11 ottobre 1952, n. 3008, criticata da E.Guicciardi, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: composizione del giudice e difetto di giurisdizione, in Giur. it., 1953, I, 1, 13 ss.

[15] Cfr. Cass. S.U. 8 aprile 2016, n. 6891; 24 marzo 2014, n. 6824.

[16] Quella romana era la quinta Corte di cassazione, istituita con legge 12 dicembre 1875, n. 2837 e subito collocata in una posizione di supremazia rispetto alle cassazioni regionali, essendole riconosciute competenze esclusive su tutto il territorio nazionale per alcune materie, in particolare quella dei procedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati, come sottolineato nella sua ampia ricostruzione storica da A.Panzarola, La Cassazione civile giudice del merito, tomo I, Torino, 2005, 20. Nel 1923 quella romana sarebbe rimasta l’unica Cassazione del Regno.

[17] In precedenza arbitro dei conflitti (di attribuzione) era stato il Re, nel sistema della legge Rattazzi del 1859, e poi, dopo l’Unità d’Italia, dal 1865 il Consiglio di Stato, quasi un retaggio della sua veste originaria di consigliere del Re, a testimonianza dell’origine e della natura politica dell’istituto dei conflitti, pensato in funzione di controllo sul potere giudiziario a garanzia dell’amministrazione. Tale era rimasto anche nel 1877. Nel senso che le questioni di giurisdizione furono attribuite alla Cassazione romana e alle Sezioni unite proprio per la loro importanza sul piano istituzionale e dell’equilibrio dei poteri, ben prima che l’uniformità giurisprudenziale e la nomofilachia divenissero il principale compito delle Sezioni unite, il che sarebbe avvenuto più tardi, con l’Ordinamento giudiziario del 1941 e il suo art. 65, A.Briguglio, Appunti sulle Sezioni unite civili, in Riv. dir. proc., 2015, 20.

[18] Se ne accorsero i primi commentatori del nuovo codice di procedura civile e tra loro G. Azzariti in un saggio del 1941, I limiti della giurisdizione nel nuovo codice di procedura civile, pubblicato su Il foro italiano, IV, 33 ss.

[19] Distinguendo l’eccesso di potere per sconfinamento dall’eccesso di potere in negativo o per arretramento, si direbbe il diniego o rifiuto di giurisdizione: v. Cass. S.U. 28 aprile 1928 in Giur. it., 1928, I, 972 ss. Favorevoli a queste interpretazioni estensive si mostrarono, nella dottrina di allora, E.Redenti, Intorno al concetto di eccesso di potere (1908), ora in Scritti e discorsi giuridici di un mezzo secolo, Milano, 1962, 222 e F.Carnelutti, Eccesso di potere, in Riv. dir.civ., 1924, 48.

[20] Si possono vedere le sedute del 21 novembre 1947 (interventi di Leone e Ruini) e del 27 novembre 1947 (intervento di Mortati).

[21] In Calamandrei giocava un ruolo non solo il processual-civilista massimo studioso della Cassazione civile (la monografia che dedica ad essa è del 1920) ma anche, probabilmente, l’adesione al Partito d’Azione tra le cui fila non mancavano voci critiche verso il Consiglio di Stato: ne era stata un esempio quella di Leone Ginsburg, già nel corso degli anni trenta: v. Chiarimenti sul nostro federalismo (1933), ora in Scritti, Torino, 1964, 23.

[22] Specialità duplice: di un giudice che si affianca al giudice ordinario per colmare una lacuna determinata dalla legge del 1865 in chiave di “giustizia nell’amministrazione”, ma anche di un giudice più in sintonia con l’amministrazione e che con essa aveva, almeno in origini, saldi legami di vicinanza. L’argomento della specialità serviva chiaramente ad occultare la ragione più vera legata alla difesa dell’autonomia del Consiglio di Stato.

[23] R.Tiscini, Il ricorso straordinario per Cassazione, Torino, 2006.

[24] A.Torrente, Il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato per motivi attinenti alla giurisdizione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1954, 252 ss.

[25] G.Stancanelli, L’impugnazione delle decisioni del giudice amministrativo nel sistema giurisdizionale italiano, Milano, 1971.

[26] A p. 166 nell’edizione del 1994. Vedi anche E.Cannada Bartoli nella voce Giurisdizione (conflitti di), in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 295 ss.

[27] Specie da parte di autorevoli esponenti della Corte suprema, per puntellare interpretazioni favorevoli ad una nozione di giurisdizione in senso dinamico.

[28] Proposta ripresa successivamente da G. Montedoro-E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa e da R.Rordorf, Il ragno e la tela: a margine di uno scritto di Scoditti e Montedoro sulla pluralità delle giurisdizioni, entrambi pubblicati su Questione giustizia, 1/2021.

[29] Nel senso che le Sezioni unite non costituiscono un organo giudiziario distinto dalla Corte v. peraltro Cass. Sez. un., 22 agosto 2007, n. 17822. Di autonomia dell’organo, quando agisce come giudice sulla giurisdizione, rispetto a quando esercita le sue ordinarie funzioni di giudice dell’impugnazione, parlava S.Satta, nella voce Corte di cassazione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., X, Milano, 1962, 806.

[30] Cass. S.U., 17 febbraio 2012, n. 2312.

[31] Cass. S.U., 13 giugno 2006, n. 13660; 23 dicembre 2008, n. 30254.

[32] Da ricordare come ai tempi della Commissione bicamerale cd. D’Alema, nella seconda metà degli anni novanta del Novecento, i limiti alla ricorribilità per Cassazione erano stati confermati, seppure in un disegno di riforma complessivo certamente non favorevole per il Consiglio di Stato.

[33] Cass., sez. un., 14 agosto 1951, n. 2518, con nota critica di G.Azzariti, in Foro it., 1951, I, 450; 8 novembre 1976, n. 4076 e 29 ottobre 2002, n. 15251, sul presupposto che l’art. 201 del r.d. 1775/1933, che testualmente ne limita(va) la ricorribilità ai soli motivi di giurisdizione, sarebbe stato superato (implicitamente, peraltro, o comunque a contrario) dall’art. 111, u.c., Cost. nel fare menzione solo del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Per una critica, anche da ultimo, S.S.Scoca, Il Tribunale superiore delle acque pubbliche quale giudice amministrativo, Napoli, 2021, 412. La questione di legittimità costituzionale sollevata dal TSAP nel 1993, in un giudizio di rinvio dopo che la Cassazione ne aveva annullato una sentenza per violazione di legge, è stata dichiarata inammissibile da Corte cost. 16 giugno 1995, n. 247, in Giur. cost., con note di A.D’Atena e L.Montanari.

[34] Sull’atto abnorme, quale parte del discorso sui motivi inerenti alla giurisdizione, v. R.Rordorf, Le giurisdizioni superiori, in AA.VV., La nomofilachia nelle tre giurisdizioni, Bologna, 2018, 102-103.

[35] Per un possibile fondamento normativo, ricordato da Rordorf nello scritto citato alla nota precedente, v. l’art. 2, comma 1, lett. ff) del d.lgs. 109/2006, sugli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari, con particolare riferimento ai provvedimenti presi “al di fuori di ogni previsione processuale o frutto di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza”.

[36] M.Luciani, Il “giusto” processo amministrativo e la sentenza amministrativa “giusta”, in www.giustizia-amministrativa.it.

[37] M.Luciani, cit.

[38] Cons. St., Ad. plen. 9 giugno 2016, n. 11. Un secondo caso, di dissolvenza per così dire del giudicato, dissolvenza accertata ad corrigendum in sede di ottemperanza, si potrebbe forse rinvenire nella non meno “singolare” vicenda Mediolanum (la lite tra Berlusconi e la Banca d’Italia originata dal diniego di autorizzazione opposta dalla seconda a motivo della condanna per il reato di frode fiscale sofferta dal primo), dove al giudicato di cognizione di cui alla sentenza del Cons. St., VI, 3 marzo 2016, n. 882 ha fatto seguito l’ottemperanza di inammissibilità di cui alla sentenza del Cons. St., VI, 3 maggio 2019, n. 2890, in quanto – “nel mezzo” – c’era stata la pronuncia della Corte di giustizia UE 19 dicembre 2018, in causa C- 219/17, che aveva escluso la giurisdizione del giudice nazionale in favore di quello dell’Unione europea, sul rilievo che la competenza finale in materia fosse della BCE e che Banca d’Italia intervenisse solo con atti endoprocedimentali.

[39] Il cui riferimento – si è osservato – “appare più un richiamo frutto di una eccedenza semantica che una vera e propria autonoma nozione”: così S.Valaguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, 2016, 187. Sui tradizionali limiti del giudicato amministrativo si rinvia al contributo fondamentale di M.Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989.

[40] Ne è un esempio la sentenza, meno nota di altre, 11 novembre 2015, in C- 505/14, pronunciata in materia di aiuti di Stato, materia che così si conferma un laboratorio; sulla disciplina e le implicazioni degli aiuti di Stato si richiama il lavoro di G.Fonderico, L’amministrazione razionalizzata. Disciplina degli aiuti di Stato e attività amministrativa, Torino, 2022.

[41] Per questa definizione, ripercorrendo le pronunce della CGUE e sottolineando le peculiarità del giudicato amministrativo nazionale, v. G.Gruner, Giudicato amministrativo nazionale e diritto dell’UE, in Riv. dir. pubbl. comun. It., 2022, 441 ss. Sempre in argomento, auspicando una giurisprudenza della Corte di giustizia meno invasiva, magari bilanciata da una tutela risarcitoria invece più effettiva, G.Greco, Intangibilità o meno del giudicato nazionale nella giurisprudenza della Corte di giustizia, iv, 2023, 397 ss.

[42] V. Cass. S.U. 6 febbraio 2015, n. 2242; 29 dicembre 2017, n. 31226.

[43] Come ricordato, ancora recentemente, da G.Greco, L’eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, in Riv.it.dir.pubbl.com., 2023, 275.

[44] Tra i molti commenti si v. quello di P.Tomaiuoli, L’”altolà”della Corte costituzionale alla giurisdizione dinamica (a margine della sentenza n. 6 del 2018), in Consultaonline, 2018.

[45] Questo il primo dei tre quesiti posti con l’ord. 18 settembre 2020, n. 19598 alla Corte di giustizia: se “l’art. 4, par. 3, art.19, par. 1 TUE e art. 2, parr. 1 e 2, e art 267 TFUE letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli artt. 111 Cost., comma 8, art. 360, comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1 e art. 110 codice del processo amministrativo (… ) che, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto “difetto di potere giurisdizionale”, non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea (…)”.

[46] Cass. S.U.,18 gennaio 2022, n. 1454 e 30 agosto 2022, n. 25503 (che chiude la vicenda Ranstad), 6 giugno 2023, n. 15934 e 7 agosto 2023, n. 24008.

[47] Con essa la Suprema Corte rivede il suo precedente (30 ottobre 2019, n. 27842) con il quale aveva escluso la ricorribilità per Cassazione delle sentenze della Plenaria recanti solo l’affermazione del principio di diritto ma senza decidere la causa. L’art. 111, u.c. Cost. parla, infatti, di “decisione”, sebbene sia stato scritto in un tempo nel quale, come noto, quelle del Consiglio di Stato si chiamavano decisioni e non sentenze. Dopo la cassazione con rinvio, il giudizio è proseguito dinanzi alla settima sezione del Consiglio di Stato che lo ha definito con la sentenza 20 maggio 2024, n. 4479, ribadendo la contrarietà al diritto UE delle proroghe legislative, richiamando ad ulteriore fondamento anche Corte di giustizia UE 20 aprile 2023, Comune di Ginosa, in C- 348/22.

[48] Tra gli altri, da G. Tropea, L’effettività “equitativa” della decisione del giudice amministrativo: il caso della modulazione nel tempo degli effetti della sentenza, in Dir. proc. amm., 2023, 664, spec. 696 ss e M.P.Chiti, Juger l’administration c’est aussi légiférer? L’Adunanza plenaria sulle concessioni demaniali marittime, in Riv.it. dir. pubbl. com., 2021, 869 ss.

[49] Il richiamo ai precedenti, peraltro molto discussi in dottrina, offerti dalla sentenza della Plenaria 13 del 2017 e, prima ancora, dalla sentenza della VI sezione 2755 del 2011, non appaiono pertinenti in un caso, quello all’esame della Plenaria del 2021, dove la tutela accordata era di natura dichiarativa, e non costitutiva: una tutela dichiarativa che, per riprendere l’insegnamento di Chiovenda, fotografa una situazione preesistente, accertando effetti che per definizione si sono già prodotti e che il giudice può (e deve) solamente “dichiarare”.

[50] Di cui conosce il giudice ordinario, in questo modo finendo per ripetere, potenzialmente per intero, il giudizio svolto dal giudice amministrativo, anche alla luce delle modiche apportate nel 2015 al regime della responsabilità, di cui alla legge 117 del 1988, secondo uno scenario che chiaramente nel 1948 non si poteva prevedere e che, dinamismo per dinamismo, pure imporrebbe qualche riflessione.

[51] In particolare da parte di C.Consolo, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?, in Riv. dir. proc., 2008, pp. 235 e N. Picardi, Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superiorità del diritto comunitario, in Giust. civ., 2008, I, p. 561. Più di recente si v., anche, A.Police, Giudicato amministrativo nazionale e sentenze di Corti sovranazionali. Il rimedio della revocazione in un’analisi costi benefici, in Dir. proc. amm., 2018, 646 ss, dove si coglie un forte invito alla cautela.

[52] A.Carbone, Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e rapporti tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, in Riv. it. dir. pubbl.com., 2021, 76 ss. Talvolta la giurisprudenza europea sopravvenuta è sollecitata attraverso rinvii pregiudiziali “svuotanti” (per riprendere la felice espressione di G.Montedoro, Il rinvio pregiudiziale, cit.) il giudicato amministrativo promossi dallo stesso giudice amministrativo in sede di ottemperanza, come è avvenuto nelle vicende ricordate alla nota 37.

[53] Cfr. Corte di giustizia UE 7 luglio 2022, in C-261/21, in un caso nel quale l’ipotesi era che il giudice nazionale, dopo avere rimesso alla Corte una questione pregiudiziale, non si fosse conformato alla risposta ricevuta, ossia all’interpretazione offerta, dalla stessa.

[54] V. l’art. 391-quater c.p.c., introdotto con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in vigore dal 28 febbraio 2023.

[55] Che ho sviluppato, in passato, con riferimento al diritto EDU; si veda, volendo, H.Simonetti, Esecuzione delle pronunce CEDU e “riapertura” del procedimento e del processo amministrativo, in I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie, 2017, 513-526, spec. 520.

[56] Per queste considerazioni si rinvia all’attenta ricostruzione di C.Napolitano, L’autotutela amministrativa. Nuovi paradigmi e modelli europei, Napoli, 2018, spec. 108 ss.

[57] Si vedano A.Briguglio, Fra Sezioni Unite e Consiglio di Stato la Corte di Giustizia pronuncia “nell’interesse della legge”, in Riv. dir. proc., 2022, 694, spec. 700 e 714; R.Vaccarella,  Violazioni del diritto europeo e ‘motivi inerenti alla giurisdizione’: novità in vista?, ivi, 2022, 207; e G.Verde, Il riparto delle giurisdizioni fondato sulla contrapposizione diritti soggettivi-interesse legittimi (storia di concetti a cui è data la sostanza di ‘cose’), ivi, 2023, 358.

[58] M.Mazzamuto, Il dopo Ranstad: se la Cassazione insiste, può sollevarsi un conflitto? In www.giustiziainsieme.it, 16 marzo 2022.

[59] V. da ultimo, G.Montedoro, Il rinvio pregiudiziale nel dialogo tra le corti, in www.giustizia-amministrativa.it, 2024.

[60] V. R.Adam, A.Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione europea, III ed., Torino, 2020, 337 ss.

[61] Fondamentali gli studi di A. Briguglio, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996 e di E.D’Alessandro, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di Giustizia, Torino, 2012.

[62] V. l’ordinanza 21 marzo 2024, n. 2789 della IV sezione del Consiglio di Stato, che sposa la seconda prospettiva.

[63] Le ipotesi che possono dispensare il giudice di ultima istanza dall’obbligo di remissione della questione pregiudiziale sono state individuate dalla CGUE sin dalla pronuncia Cilfit del 6 ottobre 1982, C-282/81 e di recente ribadite con la sentenza 6 ottobre 2021, C-561/10.

[64] Il caso era quello di un rinvio omesso in conseguenza del travisamento in ordine alla questione effettivamente posta dalle parti all’attenzione del giudice. Giova ricordare, per meglio comprendere la questione specifica, come in generale, e a determinate condizioni, l’omessa pronuncia su una domanda, un motivo di ricorso o un’eccezione di parte può essere il risultato di un errore di fatto, e dunque rimediabile attraverso il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c., secondo l’indirizzo a suo tempo inaugurato con la fondamentale sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 1997, modificando l’orientamento pregresso che sino ad allora era stato prevalentemente nel senso di rinvenire in tali ipotesi un errore di diritto.

[65] In particolare tra, da un lato, la IV sezione (sentenza n. 8436 del 2018) favorevole ad allargare il perimetro dell’errore revocatorio e, dall’altro, la V e la VI sezione (sentenze n. 838 del 2021 e 1088 del 2022) ferme su una linea di chiusura che muove dal presupposto di fondo che l’istanza di rinvio pregiudiziale non sia una domanda in senso proprio.

[66] Ord, 19 aprile 2023, n. 13. Dopodiché la sezione V, nel decidere la causa con la sentenza 5 aprile 2024, n. 3164, ha ribadito l’indirizzo favorevole della sezione e ha qualificato come errore revocatorio l’errore sull’esistenza della “domanda” di rinvio pregiudiziale.

[67] Cass. S.U., 25 giugno 1984, n. 3223.

[68] L’espressione, come noto, si deve a M.S.Giannini, A.Piras, Giurisdizione amministrativa, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 294.

[69] Per riprendere il titolo di un libro di T.Padoa-Schioppa, Europa, forza gentile, Bologna, 2001, dove nelle pagine iniziali (p. 9) nel sottolineare che l’opera non è compiuta si osservava, con parole ancora attuali, che “è tanto avanzata da far sperare che i pericoli siano passati, non lo è abbastanza da averli fugati davvero: una condizione intermedia insidiosa, perché fa mancare il senso di urgenza, di necessità imperiosa che spinse i padri fondatori ad agire”.

[70] Sui frequenti richiami al concordato di allora e sugli ostacoli alla reale praticabilità di nuove soluzioni di quel tipo v., per alcuni spunti, G.Tulumello, Affidamento, buona fede e fiducia nel nuovo codice dei contratti pubblici: la verifica delle categorie e la disciplina dei rimedi (verso un diritto amministrativo praticato), in www.giustizia-amministrativa.it, alla nota 69.

[71] Nella giusta direzione della circolazione delle esperienze anche attraverso la circolazione dei magistrati, in particolare aprendo alla possibilità che, per determinati ambiti e soprattutto per le questioni di giurisdizione, magistrati del Consiglio di Stato integrino la composizione delle Sezioni Unite e che, all’inverso, magistrati della Corte di cassazione integrino la composizione dell’Adunanza plenaria.