Presunto colpevole

Di Francesco P. Luiso -

1.C’è una corrente di pensiero nella nostra giurisprudenza e nella nostra dottrina, secondo la quale chi si rivolge al giudice è colpevole per definizione, e quindi va scoraggiato. Si tratta ovviamente di una fallacia naturalistica, perché non tiene conto delle ragioni per le quali si chiede la tutela giurisdizionale, e quindi non prende in considerazione il comportamento di chi rende necessario, per l’altra parte, rivolgersi al giudice.

Emblematico, a questo proposito, è quanto prevede l’art. 13 del D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, in tema di mediazione civile e commerciale, secondo il quale <<Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto>>.

Ipotizziamo, dunque, che Tizio proponga un’istanza di mediazione relativamente ad una controversia avente ad oggetto il risarcimento di un danno da quantificare. Il mediatore avanza una proposta: pagamento di 500. Tizio rifiuta, e il giudice gli riconosce 500: Tizio paga le spese processuali sue, quelle di Caio ed è costretto pure a pagare due volte il contributo unificato. Se, invece, è Caio a rifiutare la proposta, ed il giudice riconosce a Tizio 500, quali sono le conseguenze negative per Caio? Praticamente nessuna: egli paga le spese sue e quelle di Tizio come se il mediatore non avesse formulato alcuna proposta.

Dunque una penalizzazione  per chi infondatamente persiste nella sua domanda; nessuna conseguenza negativa, invece, per chi infondatamente persiste nel suo rifiuto di adempiere.

2.Il legislatore, invero, con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 ha integrato l’art. 1284 c.c., stabilendo che dal momento della proposizione della domanda giudiziale (o della domanda di arbitrato) gli interessi legali corrano ad un saggio maggiore rispetto a quelli per così dire ordinari, al fine di evitare che il debitore possa lucrare, per il tempo in cui dura il processo, della differenza fra il saggio di interessi legale e quello richiesto dal sistema bancario per un mutuo.

Si consideri, infatti, che il saggio degli interessi legali, di cui al primo comma dell’art. 1284 c.c.,  varia di anno in anno in maniera anche rilevante (per l’anno 2024 2,50%; per l’anno 2023 5%; per l’anno 2022 1,25 %; per l’anno 2021 0,01%) in base a criteri di politica economica del tutto avulsi dal mercato, ed è di solito ben inferiore agli interessi di un mutuo bancario. Sicché il debitore ha tutto da guadagnare nel finanziarsi a spese del creditore.

Tuttavia, questa disposizione non è piaciuta alla nostra Corte di Cassazione la quale, com’è noto, ha cercato di sterilizzarne la portata con le sezioni unite 7 maggio 2024 n. 12449.

3.Anche alla sezione lavoro della S.C. (Cass. 30 aprile 2025, n. 11343) il quarto comma dell’art. 1284 c.c. non piace.

Nel caso di specie, la richiesta degli interessi al saggio di cui a questa norma era stata richiesta fin dall’atto introduttivo, ma era stata rigettata sia in primo che in secondo grado. La Corte procede ad un’accurata analisi storica dell’art. 429, comma terzo, c.p.c. che – come noto – introduce una speciale disciplina di diritto sostanziale dei crediti dei “lavoratori”, per tali intendendosi i soggetti indicati nell’art. 409 c.p.c. Quindi non soltanto a favore dei lavoratori subordinati, ma anche dei mezzadri, affittuari coltivatori diretti, lavoratori autonomi parasubordinati, etc.

Si noti che la natura sostanziale di tale disposizione emerge chiaramente dalla assolutamente maggioritaria interpretazione del termine “condanna”, di cui a tale norma. Si ritiene, infatti, del tutto correttamente che, se anche il datore di lavoro paga il capitale prima della pronuncia della sentenza, spettino ugualmente gli interessi maturati dal momento in cui la somma era dovuta fino all’adempimento.

Si chiede, dunque, la Corte come si possano coordinare l’art. 409, terzo comma, c.p.c. e l’art. 1284, quarto comma, c.c. E la risposta che dà è, a nostro avviso, assolutamente corretta: gli interessi legali si calcolano al saggio di cui al comma primo dal momento in cui inizia la mora del debitore al momento in cui viene proposta la domanda giudiziale; al saggio di cui al quarto comma dal momento della proposizione della domanda fino al pagamento.

Ma tale coordinamento – tutt’altro che difficoltoso, al contrario di quanto afferma invece la pronuncia nel § 25 – è disatteso per <<considerazioni ordine sistematico>> (§ 26), e cioè sostanzialmente perché la previsione dell’art. 429, comma terzo, c.p.c. sarebbe già penalizzante per il debitore, e perché tale <<macchinoso disposto integrerebbe uno sproporzionato cumulo  di c.d. pene private, e per questo sospettabile d’illegittimità costituzionale per irrazionalità manifesta ex art. 3 Cost.>>.

4. Ma veramente quanto previsto dall’art. 429, comma terzo, c.p.c. sarebbe penalizzante per il debitore? Ovviamente dovremmo precisare: infondatamente penalizzante?

E tuttavia la stessa pronuncia chiarisce (§ 28) che questa norma fa fronte a quanto derivante dall’inadempimento della controparte, garantendo al lavoratore tutto quello e proprio quello che avrebbe avuto se tale inadempimento non vi fosse stato: che poi non è altro che il compito della giustizia civile, secondo il ben noto postulato di Chiovenda.

E ancora: ma siamo sicuri che, applicando l’art. 1284 quarto, comma c.c., al periodo di tempo intercorrente fra la proposizione della domanda e l’adempimento, si avrebbe uno sproporzionato cumulo di pene private, addirittura incostituzionale? E come dovremmo definire allora il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., laddove la sanzione non ha né una fattispecie né una quantificazione stabilite dal legislatore, ed è rimessa quindi all’arbitrio del giudice, come in una grida manzoniana? E come dovremmo definire quanto prevede la normativa sul ritardo dei pagamenti, che lo stesso art. 1284, quarto comma, c.c. richiama?

Evidentemente ci sono debitori e debitori: per quelli di cui al D. Lgs. 9 dicembre 2002, n. 231, il cumulo di pene private va bene, anche prima e al di fuori del processo; per quelli che resistono infondatamente alla domanda altrui, con ciò incrementando la richiesta di intervento del giudice, invece, è sproporzionato ed in odore di incostituzionalità.

Sarà anche: a me sembra un po’ forte.