Prescrizione e decadenza nell’esercizio del potere sanzionatorio. Profili di responsabilità erariale

Di Laura Maccarrone -

Sommario: 1. Premessa. –  2. La prescrizione. –  3. L’interruzione della prescrizione. – 4. La decadenza: il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio e la notifica del verbale di contestazione. – 5. Sanzioni amministrative pecuniarie e responsabilità erariale quale fattispecie atipica di danno diretto. – 6. Responsabilità erariale per prescrizione del diritto ad escutere la sanzione. –  7. Profili problematici del sindacato del giudice contabile sul mancato esercizio del potere sanzionatorio. –  8. Una buona amministrazione eroga le sanzioni nei tempi stabiliti. –  9. Considerazioni finali.

 

1.Premessa

La sanzione amministrativa, per le sue peculiarità, primariamente per essere espressione dell’autorità della pubblica amministrazione e per incidere negativamente e in modo afflittivo nella sfera giuridica dei terzi, è permeata da una accezione sostanziale di legalità. Essa ricomprende, non soltanto la disciplina del farsi dell’attività, con una puntuale definizione del procedimento amministrativo nelle diverse fasi, non soltanto un insieme di garanzie a tutela della posizione dell’incolpato, ma implica altresì la scansione dell’azione amministrativa dal punto di vista temporale[1].

La rilevanza del tempo nei procedimenti sanzionatori ha indotto il legislatore, sin dal 1981 con la l. n. 689, a definire le “tappe” del procedimento amministrativo.  Inoltre l’art. 28 della stessa legge prevede un termine quinquennale di prescrizione decorrente dal giorno della commessa violazione. Manca, invece, nella l. n. 689/1981 il termine di conclusione del procedimento amministrativo, ovvero il termine entro cui deve essere emanata l’ordinanza ingiunzione.

La Corte di Cassazione ha interpretato tale assenza come espressione della volontà del legislatore di non fissare un termine finale, che di fatto coincide con quello quinquennale di prescrizione. Tale orientamento è stato di recente messo in discussione dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza amministrativa, concordi nel ritenere che anche i procedimenti sanzionatori, al pari degli altri procedimenti amministrativi, debbano essere sottoposti ad un termine di conclusione[2]. Quest’ultimo, inoltre, sembra dover assumere carattere perentorio, in quanto, secondo il recente indirizzo giurisprudenziale, nell’ambito dell’attività sanzionatoria, particolari esigenze di certezza impongono di considerare consumato il potere dell’amministrazione una volta scaduti i termini previsti[3].

Il presente lavoro, il cui ambito è circoscritto alle sanzioni amministrative pecuniarie[4], partendo dalla scansione temporale che definisce l’esercizio del potere, affronta il tema delle possibili conseguenze, in termini di responsabilità, laddove lo spirare del termine, consumando il potere, causi un danno all’erario pubblico. L’accertamento della responsabilità erariale coinvolge il rinnovato ruolo della Corte dei Conti e si inscrive, pertanto, nel solco dell’ampliamento delle funzioni ad essa affidate in un contesto che, oltre ad attenzionare sempre più le risorse finanziarie, è volto a sanzionare, in ossequio al principio costituzionale di buon andamento, l’inerzia dell’amministrazione.

2.La prescrizione

Nella considerazione del tempo occorre prendere le mosse dalla prescrizione.

Anche con riguardo alle sanzioni amministrative vale il principio, sancito dall’art. 2934 c.c., secondo cui «Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge».

La dottrina, che si è occupata delle sanzioni amministrative pecuniarie, ha affrontato il tema con particolare riguardo al suo oggetto[5]. Ci si è chiesto se si prescrive l’illecito o il diritto ad escutere la sanzione e, dunque, se il termine quinquennale origini dal momento in cui si verifica la violazione, oppure dal momento in cui nasce l’obbligazione.

La l. n. 689/1981 ha in parte dato risposta al problema, sebbene la formulazione contenuta nell’art. 28 non appaia chiarissima, laddove stabilisce che il diritto a riscuotere le somme dovute si prescrive nel termine di cinque anni «dal giorno in cui è stata commessa la violazione»[6].

La Corte di Cassazione ha chiarito che la prescrizione opera con riguardo, sia alla violazione che alla sanzione pecuniaria, funzionando come causa estintiva dell’illecito, oltre che del diritto a riscuotere la somma. Anche se l’articolo 28 l. n. 689/1981 riferisce la prescrizione al “diritto a riscuotere le somme dovute”, tale formulazione deve essere interpretata alla luce del sistema complessivo che tale legge disegna. In particolare, secondo la Corte, il diritto di credito dell’amministrazione sorge direttamente dalla violazione, che si pone come fonte dell’obbligazione, mentre l’ordinanza ingiunzione di pagamento ha l’effetto di “determinare la somma dovuta” come vuole l’art. 18, c. 2, l. 689/1981[7].

A sostegno di questa interpretazione, la sentenza richiama l’articolo 14, ultimo comma, della legge 689/1981, secondo il quale la mancata o tardiva notifica della violazione determina l’estinzione dell’”obbligazione” di pagare la somma dovuta, affermazione dalla quale si evincerebbe che l’obbligazione esiste già prima che venga emessa l’ordinanza ingiunzione. In definitiva la prescrizione quinquennale prevista dall’articolo 28 si riferisce, non solo al diritto di riscuotere la sanzione pecuniaria in forza dell’emanazione dell’ordinanza, ma anche allo stesso potere dell’amministrazione di applicare la sanzione prevista dalla legge per la violazione commessa.

La soluzione data dalla Corte di Cassazione dà conto di entrambe le prospettive della prescrizione, quella del diritto penale e quella del diritto civile.

La prima si riconduce alla funzione repressiva del diritto penale, funzione che si affievolisce, fino a diventare inutile, a mano a mano che il momento della punizione si allontana dalla commissione dell’illecito, facendo venir meno la ragione della pena[8]. Come accade nel diritto penale, nel quale il decorso del tempo comporta l’estinzione del reato, anche nell’ambito delle sanzioni amministrative si è ritenuto di poter configurare una estinzione dell’illecito in relazione al decorso del tempo. Da questa prospettiva, deve escludersi che l’amministrazione mantenga un interesse ad aprire un procedimento sanzionatorio dopo un lungo lasso di tempo dalla commissione dell’illecito.

Nella prospettiva del diritto civile, che prende consistenza solo dopo l’emanazione del provvedimento sanzionatorio, la prescrizione fa venir meno il diritto di credito. Ciò vuol dire che il potere è stato esercitato, manifestandosi con l’adozione della sanzione amministrativa, ma il tempo è intervenuto a far venir meno il diritto dell’amministrazione ad escutere la sanzione.

La questione è di particolare importanza con riguardo al profilo che il presente contributo intende esaminare, ossia quello della responsabilità erariale che origina dalla consumazione del potere sanzionatorio. Infatti, l’opzione della imprescrittibilità dell’illecito avrebbe concesso all’amministrazione un tempo illimitato per il suo accertamento, sposando la teoria della inesauribilità del potere.

Se dunque appare pacifico che la prescrizione abbia ad oggetto anche l’illecito, è pur vero che il dies a quo dal quale decorre il termine quinquennale può protrarsi nel tempo[9]. La Corte di cassazione ha, infatti, precisato che «nel silenzio della legge per commissione della violazione si deve intendere il suo esaurimento, utilizzando il cosiddetto criterio dell’evento invece di quello della condotta, con la conseguenza che in caso di violazione con carattere permanente il dies a quo coincide con quello della cessazione della permanenza»[10]. La prescrizione dell’illecito, dunque, può significativamente allungarsi.

Invero, come meglio si chiarirà più avanti, il mancato accertamento dell’illecito, è solo una delle ipotesi dalle quali può originare il danno erariale. Si tratta di quella particolare situazione nella quale l’amministrazione non si attiva, sicché la consumazione del potere avviene in astratto, essendo il suo esercizio previsto dalla norma, che lo individua e ne attribuisce la relativa competenza. In concreto, tuttavia, esso non è stato esercitato e solo in modo improprio può parlarsi di una sua consumazione. In altre parole la legge ne prevede l’esercizio, ma in quanto non esercitato resta “indifferenziato potere”[11].

Una diversa considerazione occorre fare in ordine a quelle situazioni nelle quali l’amministrazione, accertato l’illecito, avvia un procedimento, dando il via a quel momento del “farsi dell’atto” preordinato alla manifestazione del potere e alla sua concretizzazione.  Questo momento, che trova una puntuale regolazione nella legge n. 689/1981 e, in via generale, nella legge n. 241/1990, viene ad essere scandito, in modo sempre più vincolante, da un punto di vista temporale, con la conseguenza che l’azione amministrativa verrà sottoposta ai più brevi termini di decadenza piuttosto che a quelli di prescrizione.

3. L’interruzione della prescrizione

L’art. 28 della l. n. 689/1981 rinvia alle disposizioni del codice civile, ossia agli artt. 2943 e 2945 c.c., la disciplina degli eventi interruttivi della prescrizione.

Sul tema vengono in rilievo una serie di problematiche, anche per il necessario adattamento alla funzione amministrativa della disciplina civilistica, rispetto alle quali la giurisprudenza ha fornito soluzioni non sempre univoche.

L’art. 2943 c.c. stabilisce che «la prescrizione è … interrotta da ogni … atto che valga a costituire in mora il debitore» (comma 4), venendo così in rilievo, in quanto idonei ad interrompere la prescrizione, il verbale di contestazione, con il quale si dà atto immediatamente che è stata rilevata l’infrazione del precetto, l’atto di notificazione del verbale di accertamento della violazione, infine la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione. Se con riferimento a quest’ultima non sembrano esserci dubbi, non altrettanto pacifica è apparsa l’interruzione ad opera dell’atto di contestazione o della notificazione del verbale di accertamento recante gli estremi della violazione.

Sul punto la Corte di Cassazione ha chiarito che il verbale di accertamento, ritualmente notificato, non persegue solo lo scopo di rendere il trasgressore edotto della violazione, ma anche quello di richiedergli il pagamento della sanzione, e vale perciò a costituirlo in mora; né costituisce un ostacolo la circostanza che essa non possegga le caratteristiche di contenuto e di forma richieste dall’art. 1219 c.c.[12].

Posto che la contestazione della violazione o la sua notificazione costituiscono atti interruttivi della prescrizione ex art. 28 l. n. 689/1981, rileva valutare se, in virtù della disciplina civilistica richiamata dal medesimo articolo 28, e dunque ai sensi dell’art. 2943, c. 4, cod. civ., l’effetto interruttivo è istantaneo, con la conseguenza che il termine ricomincia a decorrere una volta avvenuta la notifica, oppure se l’interruzione si allunga fino all’emissione dell’ordinanza ingiunzione da parte dell’organo al fine deputato.

Secondo la Cassazione l’effetto interruttivo dell’atto di contestazione ha carattere istantaneo e non continuativo, pertanto dalla notifica inizia a decorrere un nuovo termine quinquennale[13]. Ritiene la Corte che riconoscere effetto duraturo all’interruzione che segue all’atto di contestazione risulta in contrasto con la lettera dell’articolo 28. Infatti, per effetto della contestazione, e del supposto effetto interruttivo duraturo ad essa ricollegabile, la decorrenza della prescrizione avverrebbe sempre e comunque dalla definitività dell’ingiunzione dell’autorità cui è conferita la potestà decisionale, laddove l’articolo 28 è chiaro nel determinare il decorso della prescrizione dal giorno in cui è stata commessa la violazione, il che significa che da quel giorno possono verificarsi situazione di ritardo utili all’estinzione prescrizionale.

Il nodo della natura, istantanea o permanente della interruzione si è posto anche con riguardo alla eventuale opposizione all’ingiunzione dell’autorità amministrativa. In dottrina la soluzione è stata rinvenuta nella corretta interpretazione degli art. 2943 e 2945 del cod. civ., in quanto adattati all’esercizio della funzione sanzionatoria della pubblica amministrazione[14].

Il tema è stato affrontato partendo dalla considerazione della natura stragiudiziale ed amministrativa della ingiunzione di pagamento derivante dalla sanzione amministrativa, sicchè, sebbene l’opposizione alla ingiunzione dell’autorità amministrativa possa ricordare l’opposizione contemplata nel giudizio monitorio, la soluzione prospettabile, in punto di prescrizione, appare diversa[15]. Più precisamente si deve propendere nel senso che l’opposizione rappresenti una iniziativa giudiziale in grado di integrare la fattispecie interruttiva della prescrizione di tipo istantaneo e non anche di quella permanente.

Si sottolinea altresì che l’opposta soluzione, valevole, ai sensi dell’art. 20, c. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, nel campo delle sanzioni tributarie, secondo la quale «l’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento», si riferisca unicamente alle sanzioni amministrative irrogate per violazioni di norme tributarie ed è espressione del potere di supremazia della amministrazione tributaria nei confronti dei consociati, ragione per cui occorre assegnarle una portata eccezionale[16].

Se il carattere istantaneo della interruzione vale a limitare il tempo a disposizione dell’amministrazione, al contrario l’interruzione si dilata con riferimento agli atti che sono idonei a causarla. La Corte di Cassazione ha precisato che l’effetto di interrompere la prescrizione non possa essere assegnato ad atti atipici di intimazione, non contemplati dalla disciplina legale del procedimento sanzionatorio, e che l’efficacia interruttiva della prescrizione possa trovare fondamento unicamente negli atti tipici del procedimento sanzionatorio[17]. Ha ritenuto, tuttavia, che l’idoneità a produrre gli effetti interruttivi è propria, non soltanto di quegli atti della sequenza procedimentale specificamente contenenti la “intimazione ad adempiere”, ma di qualsiasi atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione[18].

A garanzia dell’incolpato, la Cassazione ha altresì precisato che gli atti interruttivi della prescrizione devono avere natura ricettizia. L’interruzione si verifica validamente solo se gli atti sono stati notificati, non anche se sono stati semplicemente adottati. Pertanto non costituiscono eventi interruttivi l’iscrizione in ruolo o la consegna dello stesso all’esattore, che restano confinati nell’ambito dell’attività interna della pubblica amministrazione[19].

Quanto ai requisiti, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere: l’indicazione chiara del soggetto obbligato (elemento soggettivo); l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, da cui si evince inequivocabilmente la volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Quest’ultimo requisito non è soggetto a particolare rigore formale, non richiede l’uso di formule solenni nè l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto[20].

 

4. La decadenza: il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio e la notifica del verbale di contestazione

Con la sentenza n. 151 del 2021 la Corte Costituzionale ha affrontato il tema dell’assenza, nella disciplina generale sulle sanzioni amministrative, di un termine di conclusione del procedimento sanzionatorio, questione sulla quale si era pronunciata la Corte di Cassazione a sezioni unite nel 2006[21].  Quest’ultima si era trovata a comporre il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine all’applicabilità o meno del termine di trenta giorni, di cui all’art. 2 della l. n. 241/1990, ai procedimenti sanzionatori.

La conclusione a cui giunge la Corte è che la mancanza, nella l. n. 689/1981, di un termine di conclusione del procedimento, non va integrata dalla legge generale sul procedimento, essendo espressione della volontà del legislatore di non prevedere alcun termine di conclusione. Pertanto, conclude la Cassazione, il termine massimo per l’adozione dell’ordinanza-ingiunzione coincide con quello quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 28 della stessa l. n. 689/1981, decorrente dal giorno in cui la violazione è stata commessa.

A fronte di tale orientamento, il Tribunale di Venezia, rilevato che erano trascorsi oltre 4 anni tra il momento dell’accertamento dell’infrazione e quello della notificazione del provvedimento sanzionatorio, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della l. n. 689/1981 nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio.

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, ma ha formulato alcune interessanti osservazioni, dando al legislatore precisi suggerimenti in ordine alla disciplina delle sanzioni amministrative, con particolare riguardo al termine di conclusione del procedimento.

Gli aspetti più interessanti della decisione della Consulta si possono sintetizzare in quattro punti fondamentali: 1) in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità impone di modellare anche la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo, con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere; 2) la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per soddisfare l’esigenza di certezza giuridica, «in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione; 3) la fissazione di un termine per la conclusione del procedimento, non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, consentendo all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio, garantisce un esercizio effettivo del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. ed è coerente con il principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.; 4) la sola previsione del termine di prescrizione quinquennale non risulta adeguata, in quanto la sua ampiezza lo rende inidoneo a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione.

Infine, secondo la Corte, risulta coessenziale ad un sistema sanzionatorio coerente con i parametri costituzionali sopra richiamati la predefinizione legislativa di un limite temporale, per la emissione della ordinanza-ingiunzione, il cui inutile decorso produca la consumazione del potere. La soluzione, dunque, non può essere rappresentata dalla estensione del termine previsto dall’art. 2 l. n. 241/1990, in quanto è noto che il suo superamento non incide sul potere e non inficia il provvedimento amministrativo tardivo.

In definitiva, la Corte invita il legislatore a disciplinare la materia in tempi brevi, poiché non è tollerabile, nel rinnovato quadro dei rapporti tra amministrazione e cittadino, che l’autorità competente possa emettere il provvedimento sanzionatorio anche a notevole distanza di tempo dall’accertamento dell’illecito e dalle deduzioni difensive dell’incolpato, contravvenendo ai principi d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, di certezza giuridica e di tutela del legittimo affidamento.

In assenza di un intervento legislativo, il Consiglio di Stato[22], sulle base delle coordinate ermeneutiche fornite dalla Corte, ha dichiarato illegittima l’ordinanza ingiunzione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, emanata, immotivatamente, dopo due anni dalla chiusura dell’istruttoria.

L’orientamento giurisprudenziale, che vede concordi la Corte costituzionale e il Consiglio di Stato, appare di particolare importanza e carico di conseguenze. Anzitutto perché, anche per l’ordinanza ingiunzione, al pari di ogni provvedimento amministrativo, vale il principio secondo cui occorre provvedere entro un termine prefissato. Inoltre, seguendo le indicazioni della Corte costituzionale, il termine dovrà avere natura perentoria, sicché lo spirare del termine, senza che l’amministrazione si sia espressa, consumerà il potere, con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale provvedimento tardivo risulterà illegittimo[23]. Infine, l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato impone una riflessione sui tempi del procedimento sanzionatorio, con particolare riguardo al rapporto tra prescrizione e decadenza[24].

Accanto al termine di conclusione si colloca, all’interno della prima fase del procedimento sanzionatorio, il termine di novanta giorni, per la notifica, a pena di decadenza, del verbale di contestazione[25]. L’art. 14, c. 2, l. n. 689/1981 dispone che «gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni», mentre ai sensi dell’ultimo comma «l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto».

L’effettività della disposizione, con particolare riguardo alla sua idoneità a dare all’incolpato maggiore certezza sui tempi e a sollecitare l’amministrazione ad una maggiore celerità, appare tuttavia compromessa per due ordini di ragioni.

Occorre ricordare, in primo luogo, che se il legislatore si è preoccupato di fissare il termine perentorio di novanta giorni, non si è ugualmente preoccupato di fornire una chiara indicazione del dies a quo di decorrenza di detto termine. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l’attività di accertamento dell’illecito, in relazione al quale collocare il dies a quo del termine di novanta giorni per la notifica degli estremi della violazione, deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti gli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione. Il tempo necessario andrà rapportato alla complessità delle indagini tese a riscontrare, nel caso di specie, la sussistenza dell’infrazione e la piena conoscenza dell’illecito, in relazione al quale si valuterà, a sua volta, la corretta formulazione della contestazione[26]. Spetta al giudice del merito determinare quale sia, caso per caso, il tempo ragionevolmente necessario all’amministrazione.

A ciò si aggiunga che, ai sensi del comma 1 dell’art. 14, “quando è possibile”, la violazione deve essere contestata immediatamente al trasgressore. L’elasticità della formula utilizzata fa sì che i rapporti tra contestazione immediata e notificazione non siano chiariti in modo univoco, con la conseguenza che è rimessa all’organo accertatore, il quale gode con tutta evidenza di ampia discrezionalità, la valutazione in ordine all’opportunità di fare ricorso alla contestazione immediata o scegliere la via della successiva notificazione[27].

In definitiva, seppure nella prima fase del procedimento sanzionatorio, in relazione alla presenza di atti infraprocedimentali per i quali siano previsti termini perentori, è possibile che il potere si consumi, ciò appare in concreto assai improbabile.

5. Sanzioni amministrative pecuniarie e responsabilità erariale quale fattispecie atipica di danno diretto

La individuazione di limiti temporali, nell’ambito dell’attività sanzionatoria della pubblica amministrazione, e la consumazione del potere che ne deriva, può dar luogo, in presenza dei presupposti[28], a responsabilità erariale[29], dal momento che l’amministrazione, a causa del comportamento doloso o colposo del dipendente, perde di incassare quanto dovuto a titolo di sanzione pecuniaria[30].

Si tratta di un’ipotesi di danno erariale diretto, posto che la condotta del funzionario o del dipendente pubblico[31] è in grado di cagionare nocumento direttamente al patrimonio dell’ente pubblico (altra cosa è il danno erariale indiretto, allorquando il pregiudizio patrimoniale viene arrecato ad un terzo che l’amministrazione è tenuta a risarcire, sopportandone il relativo onere). Inoltre, la responsabilità che nasce dalla perdita delle entrate, in ragione del mancato esercizio del potere sanzionatorio, costituisce una fattispecie atipica di illecito erariale che non trova una specifica menzione da parte del legislatore ed è perciò riconducibile alla disciplina generale[32].

In particolare sembra si possano distinguere tre diverse ipotesi. La prima è riconducibile alla mancata riscossione della sanzione erogata: nonostante ci sia un provvedimento che commini la sanzione, l’amministrazione non si adopera per ottenere quanto le spetta. La seconda ipotesi ricomprende quelle situazioni nelle quali, rilevata l’infrazione e avviato il procedimento, l’inerzia dell’amministrazione non consente di giungere ad un provvedimento sanzionatorio, o consente di arrivarci oltre i termini previsti. Infine la responsabilità erariale può nascere allorché l’amministrazione non accerti l’illecito, dunque non avvia il procedimento, rinunciando ab origine ad utilizzare il potere sanzionatorio che la legge le attribuisce e che, se esercitato, potrebbe consentirle di incassare l’importo della sanzione.

Assumendo quale criterio distintivo il decorso del tempo, si rileva che nel primo e nel terzo caso la responsabilità nasce a seguito dell’avvenuta prescrizione, mentre la seconda ipotesi è legata alla scadenza del termine per la notifica del verbale di contestazione o, ove fissato, per la conclusione del procedimento.

Invero, la fissazione di un termine di decadenza, entro cui emanare il provvedimento sanzionatorio, avrebbe l’effetto di rendere inefficace il termine prescrizionale. La presenza dei più brevi termini di decadenza, il cui superamento consuma il potere, non potrà non incidere sul decorso della prescrizione. Infatti, una volta esaurito il potere, la prescrizione interverrà ex se. Rileva sul punto la Corte dei conti che, una volta superato il termine decadenziale per la notifica dell’infrazione, venuto meno l’obbligo di pagare, anche la prescrizione finisce il suo decorso, non potendo sussistere il diritto di credito dell’amministrazione a fronte del venir meno dell’obbligo di pagare del contravventore[33]. Pertanto, avviato il procedimento, sarà al più breve termine di decadenza che dovremmo fare riferimento e non a quello di prescrizione, soluzione che non manca di offrire vantaggi pratici, consentendo di superare le interferenze tra prescrizione e decadenza, nonché le problematiche in ordine alle ipotesi di interruzione della prescrizione.

In tal senso è auspicabile che il dies a quo per la decorrenza di detto termine, venga fissato, come per tutti i procedimenti amministrativi, dal suo avvio, e non dall’invio degli atti all’autorità chiamata a decidere. In questa direzione sembra andare anche la Corte costituzionale che, nell’affermare la necessità di fissare un termine di conclusione del procedimento sanzionatorio, sottolinea che ciò deve avvenire in modo da non distanziare nel tempo la sanzione dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, anche al fine di consentire all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio.  Tale vicinanza non sarebbe, infatti, garantita qualora la prima fase del procedimento continuasse ad essere sottoposta al termine di prescrizione (salva l’ipotesi di decadenza per la tardiva notifica dell’atto di contestazione).

I termini di decadenza sono, dunque, destinati a regolare i tempi della funzione amministrativa, dell’esercizio del potere, che cessa di essere “indifferenziato”[34], e si inscrivono all’interno di quella fase nella quale, rilevata l’infrazione, non è ancora sorta l’obbligazione, che invero non può che nascere con il provvedimento amministrativo, non essendo ancora definita nei suoi contenuti[35]. Prima e dopo opererà il termine prescrizionale, che sarà, perciò, da ricondurre, o al mancato accertamento dell’illecito, assumendo la funzione che ha nel diritto penale, o alla sanzione, ossia all’obbligazione, già definita anche con riguardo al quantum debeatur[36].

6.Responsabilità erariale per prescrizione del diritto ad escutere la sanzione

Si consideri, quale prima ipotesi di responsabilità erariale, quella nascente dalla prescrizione della sanzione già erogata, ossia del diritto dell’amministrazione a riscuotere la somma dovuta. La configurazione della responsabilità in capo al funzionario inadempiente appare piuttosto lineare. La sua inerzia, protrattasi per cinque anni, ha sottratto all’amministrazione il diritto di pretendere l’importo della sanzione. L’amministrazione, infatti, a fronte dell’inadempimento dell’incolpato, è vincolata a portare ad esecuzione la sanzione, ha il titolo per esigere la somma di denaro ed è altresì obbligata ad utilizzare gli strumenti che ha a propria disposizione per ottenerla. L’inerzia del responsabile e l’opposizione della prescrizione, da parte dell’incolpato, configura, in presenza dei presupposti, una responsabilità erariale.

Così, la Corte dei Conti[37], ha condannato il comandante della polizia locale e il segretario comunale al pagamento delle somme, rispettivamente quantificate in circa 90.000 euro e in 22.500 euro, per la mancata riscossione delle sanzioni, elevate per infrazioni al codice della strada, dovuta all’omessa predisposizione degli appositi ruoli da trasmettere al concessionario della riscossione, con la conseguente prescrizione dei sottesi diritti di credito a favore dello stesso Comune. Con riguardo al nesso di causalità tra il comportamento dell’agente e il danno, la Corte ritiene risieda nella condotta antidoverosa del funzionario, responsabile dell’area finanziaria di un comune, che «con totale non curanza delle regole di buona amministrazione e di contabilità pubblica in modo del tutto inescusabile, tenuto anche conto dei chiari disposti normativi cui si sarebbe dovuto conformare, indebitamente archiviava un titolo di credito certo ed esigibile di cui si doveva prontamente avviare la riscossione nell’interesse dell’Ente e della collettività»[38]. In tal modo egli violava non solo gli obblighi dovuti al suo incarico di responsabile dell’area finanziaria, ma più in generale quelli legati alla sua qualifica di dipendente dell’amministrazione quali discendenti dall’art. 97 Cost., in quanto impediva la riscossione della sanzione amministrativa pecuniaria per il superamento del termine quinquennale.

Nell’ipotesi considerata l’accertamento della responsabilità appare, come si cercherà di chiarire più avanti, meno problematica rispetto a fattispecie nelle quali non si giunge ad un provvedimento sanzionatorio, almeno per due ragioni.

In primo luogo perché il potere dell’amministrazione ha trovato espressione nell’ordinanza ingiunzione, rispetto alla quale il complesso delle attività, volte ad ottenere la somma dovuta a titolo di sanzione, ha natura meramente esecutiva. Una volta emanato il provvedimento sanzionatorio la volontà dell’amministrazione si è cristallizzata.

In secondo luogo i funzionari addetti alla riscossione sono di norma qualificati come agenti contabili[39], tenuti alla resa di conto giudiziale e sottoposti a regolare controllo. La responsabilità erariale si configura perlopiù come responsabilità contabile[40].

7.Profili problematici del sindacato del giudice contabile sul mancato esercizio del potere sanzionatorio

La scansione temporale del procedimento sanzionatorio, così come il termine quinquennale di prescrizione, appaiono necessari da diversi punti di vista: per i soggetti interessati, ponendosi a garanzia della certezza delle loro posizioni giuridiche; per l’amministrazione, portata ad incanalare l’azione sui binari dell’efficienza, garantendo le entrate dovute nei giusti tempi, ma garantendo altresì quella finalità dissuasiva che si realizza specialmente laddove la sanzione arrivi in un tempo ragionevole, non troppo distante dal momento in cui si verifica il fatto illecito.

In premessa occorre precisare che per “mancato esercizio del potere sanzionatorio”, ci si riferisce a tre diverse circostanze: il mancato accertamento dell’illecito nel termine quinquennale di prescrizione; l’abbandono del procedimento sanzionatorio, che, pur avviato, non si conclude con l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, senza che ne sia avvenuta l’archiviazione; l’emanazione del provvedimento sanzionatorio oltre il termine di decadenza, ove previsto.

Il sindacato, volto ad accertare la responsabilità erariale nelle diverse ipotesi sopra considerate, può essere graduato in relazione al livello di difficoltà che incontra il giudice contabile, essendo assai più problematico in assenza dell’accertamento dell’illecito, meno complesso in caso di abbandono del procedimento, più agevole in presenza di un provvedimento che, pur tardivamente, ha definito la volontà dell’amministrazione.

L’art. 1 l. n. 20/1994 delimita i confini dell’azione di responsabilità ed espressamente stabilisce “l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”. La Corte di cassazione ha ritenuto di non escludere un sindacato contabile su quelle scelte che, pur formalmente legittime, siano state assunte in spregio ai principi di buon andamento, economicità ed efficienza dell’azione amministrativa[41]. Come è stato affermato, i criteri di economicità ed efficacia, intesi come “precetti” che devono informare di sé l’azione amministrativa discrezionale, hanno rappresentato il cavallo di Troia per abbattere gli argini al sindacato sulla discrezionalità da parte del giudice contabile[42]. L’orientamento trova un fondamento nell’art. 1, l. n. 241/1990, che ascrive alla sfera della legittimità i parametri della economicità, della efficacia e della efficienza, cui deve essere improntata l’azione amministrativa. Fuori da tale controllo un sindacato sulle scelte discrezionali è da escludere[43].

Sulla natura del potere sanzionatorio[44], se non è in discussione la sua doverosità[45], escludendosi una discrezionalità nell’an, più incerto è, con riguardo al suo esercizio, stabilire se esso implichi o meno valutazioni di tipo discrezionale.

In particolare, con riguardo alla commisurazione della sanzione, l’art. 11 della l. n. 689/1981 dispone che «nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria … si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche». Si è parlato, a tal proposito, di carattere riservato della commisurazione della sanzione e della sua inerenza al merito[46].

Come è stato osservato[47], la sanzione pecuniaria può presentarsi come “dosabile”, proporzionale o fissa. Nel primo caso la legge affida all’amministrazione il compito di definire, tra un minimo e un massimo, l’ammontare della sanzione, offrendogli, come accade con l’art. 11 l. n. 689/1981, i criteri per un apprezzamento che sia calato sulla fattispecie concreta. Nel secondo e terzo caso non residuano margini di apprezzamento per l’amministrazione. Anche laddove il quantum della sanzione non è fisso, ma proporzionale, è la legge che ha predefinito “fasce di colpevolezza”, obbligando l’amministrazione, in presenza dei requisiti previsti, a comminare la sanzione della corrispondente fascia. Dunque nella prima ipotesi l’entità della sanzione non è predefinita dalla legge, ma sarà determinata dall’amministrazione attraverso un’attività di natura discrezionale che, in quanto si sostanzia in una valutazione di interessi, è stata distinta dalla discrezionalità giudiziale[48].

Ora, nell’ipotesi in cui l’amministrazione non arrivi ad un provvedimento sanzionatorio, e perciò non definisca l’entità della sanzione[49], la Corte dovrà procedere a calcoli forfettari, considerando approssimativamente quanto l’amministrazione avrebbe incassato comminando la sanzione, e ciò, con tutta evidenza, non è esente da sconfinamenti in un’area riservata all’amministrazione.

Di contro, se il mancato esercizio del potere sanzionatorio deriva da un provvedimento giunto ormai troppo tardi, la Corte potrà contare sull’esistenza del provvedimento. In altre parole, l’eventuale responsabilità erariale potrà assumere quale dato certo l’importo della sanzione come previsto dal provvedimento amministrativo, in quanto non incassato a causa della sua tardività.

Con riguardo al superamento del termine perentorio, tuttavia, è bene precisare che, allo stato, appare essenziale un intervento del legislatore che, come sollecitato dalla Corte costituzionale, definisca con chiarezza la natura del termine per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione. Non sembra infatti che, in assenza di una espressa definizione legislativa, si possa configurare il presupposto della colpa grave per l’eventuale decorso del termine[50].

Nel caso di mancato accertamento dell’illecito, anche qualora la determinazione della sanzione non fosse dosabile, il giudice contabile si scontra con due distinte problematiche. La prima è che la configurazione della responsabilità erariale non potrà prescindere da un apprezzamento, da parte del giudice contabile, dei presupposti dell’illecito, apprezzamento al quale non sono estranei momenti di discrezionalità, perlopiù valutazioni di tipo tecnico, volte a verificare se, nel caso di specie, ci sia stata una infrazione. Inoltre, nell’ipotesi in cui il procedimento sanzionatorio non sia stato avviato, l’individuazione della responsabilità presuppone la previa individuazione delle competenze, non sempre scontata per via di “ritagli” e sovrapposizioni tra amministrazioni diverse, o a causa di una non chiara distribuzione tra gli organi dello stesso ente[51].

8.Una buona amministrazione eroga le sanzioni nei tempi stabiliti

Dalle decisioni nelle quali il giudice contabile si è trovato a sindacare il mancato esercizio del potere sanzionatorio, si evince che l’assenza di un provvedimento, e perciò della quantificazione della sanzione, non costituisce un ostacolo ai fini della configurazione della responsabilità. La Corte ha rilevato che, anche laddove manchi un procedimento amministrativo, e i crediti non sono stati accertati, né sono esigibili, il pregiudizio patrimoniale erariale prende corpo nella mancata acquisizione del credito al patrimonio dell’amministrazione[52] e origina dall’omessa attività di accertamento delle violazioni che, ove fosse stata compiuta, sarebbe culminata con la contestazione della violazione e, quindi, con la verificazione delle condizioni di esistenza della pretesa creditoria dell’amministrazione. Da questa prospettiva, a giudizio della Corte, non può invocarsi la mancanza dei requisiti della concretezza e della certezza del danno[53]. Quanto poi alla quantificazione, il pregiudizio subito dall’amministrazione può essere quantificato attraverso «un ragionamento di tipo induttivo e probabilistico», quale, ad esempio, quello relativo al fenomeno dell’abusivismo, «stimabile statisticamente nel suo volume per l’intero periodo in questione»[54].

Risolto così il problema del danno e della sua quantificazione, le decisioni della Corte si incentrano perlopiù sulla dimostrazione dell’elemento soggettivo della gravità della colpa, attraverso un’indagine volta a verificare il complesso dell’attività svolta dal funzionario, ma anche il contesto organizzativo in cui opera e, in definitiva, se l’omissione sostanzi violazione del principio di buon andamento[55].

In questo contesto, e al fine di aggiungere un importante tassello in ordine al ruolo assunto dal giudice contabile, non si può sottacere della recente, nonché discussa forma di responsabilità c.d. sanzionatoria[56]. Quest’ultima si è via via affermata attraverso l’introduzione legislativa di nuove fattispecie, rispetto alle quali il giudizio di potenziale lesività della condotta è già stato espresso dal legislatore. Si tratta, come è stato affermato, di una risposta a tutte quelle situazioni nelle quali il comportamento del funzionario pubblico, pur non essendo perseguibile penalmente, sostanzia un episodio di maladministration, che notoriamente l’amministrazione è incapace di rilevare e sanzionare[57]. Naturalmente non si esclude che la responsabilità sanzionatoria, oltre ad una funzione afflittiva, possa avere una finalità risarcitoria, qualora la fattispecie tipizzata sia causa di un effettivo danno all’erario.  Tuttavia ciò che rileva è la non necessaria corrispondenza tra le due finalità: il comportamento dell’amministrazione verrà sanzionato a prescindere dall’esistenza del danno.

La scissione tra responsabilità e danno subito, conferma l’estensione del perimetro della giurisdizione contabile e del ruolo che ha assunto nel nostro sistema, ruolo che inevitabilmente coinvolge anche la tradizionale responsabilità amministrativa atipica. Le fattispecie tipizzate di responsabilità erariale sanzionatoria e quelle ordinarie di responsabilità risarcitoria convergono nella direzione di una gestione sana della cosa pubblica, dei principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’attività dei poteri pubblici, e, in definitiva, nella direzione dell’effettività del principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione pubblica.

La forbice tra il danno realmente prodotto e quello da risarcire in concreto, secondo le determinazioni della Corte, dà la misura di quanto rilevi la finalità ripristinatoria, rispetto a quella sanzionatoria. Interessante, sotto questo aspetto, l’uso che il giudice contabile fa del potere riduttivo, considerando non soltanto gli eventuali errori scusabili, la disorganizzazione dell’amministrazione, il particolare contesto organizzativo, i rischi dell’attività, ma altresì il “contegno del danneggiante”, andando oltre la logica rigorosamente riparatoria e compensativa[58].

Se il fine risarcitorio permane, e il danno resta un presupposto necessario per l’esercizio dell’azione erariale, questo costituisce sempre più occasione per perseguire quella funzione sanzionatoria e di deterrenza che è connessa alla violazione di regole e precetti di buon andamento, il cui mancato rispetto reca offesa in termini di funzionalità ben al di là del mero riflesso strettamente patrimoniale[59].

Generalmente la Corte individua in capo al personale con funzione dirigenziale la responsabilità per la cattiva gestione, per l’inadeguatezza organizzativa, spesso causa di arretrati, che poi, inevitabilmente, impediscono di definire il procedimento sanzionatorio o di procedere con la riscossione della sanzione[60].

Dovendo accertare la sussistenza del danno erariale derivante dalla mancata riscossione di contravvenzioni per violazione del Codice della Strada, la Corte[61] condanna il segretario del comune per aver omesso di svolgere qualsiasi attività di indirizzo e controllo sul regolare svolgimento dell’attività di riscossione dei crediti.

Ancora, la Corte[62] rileva che la condotta antigiuridica delle interessate, risulterebbe connotata da colpa grave: la dipendente per aver omesso doverosi adempimenti preordinati alla riscossione dei relativi proventi; la comandante per aver trascurato di vigilare sull’operato degli uffici, non assumendo le iniziative necessarie a garantire il buon andamento dell’azione amministrativa, nonché per aver omesso, pur consapevole della situazione di criticità del settore, di intraprendere utili iniziative per ovviare alle riscontrate inefficienze pregiudizievoli all’erario. La situazione, a giudizio della Corte, risultava contraddistinta da gravi disfunzioni organizzative, problematiche irrisolte concernenti il personale addetto al servizio, evidente e colpevole incapacità organizzativa, tutti aspetti che avrebbero condotto ai risultati fallimentari oggetto di causa. Per il Collegio, il giudizio di colpevolezza nei confronti della Comandante della Polizia locale nasce dalla rilevazione della inadeguatezza dei rimedi approntati e dalla piena consapevolezza della condizione di arretrato in cui si trovava il settore. Al riguardo, assumono rilievo, a giudizio della Corte, la duratura permanenza in carica, il ritardo nel dare riscontro alle richieste del personale subordinato, le insufficienti soluzioni approntate ed, infine, l’assenza di interventi sostanziali volti a compulsare efficacemente l’attività amministrativa e lo stesso dipendente subordinato. Anche la condotta omissiva della dipendente nella sua funzione di addetta al servizio amministrativo e polizia annonaria appare censurabile, seppur in misura ridotta, avendo assunto una posizione preminente, nell’ambito della lavorazione delle pratiche, sotto il profilo informatico.

In altra decisione si evidenzia il «livello assolutamente indecente oltre che inaccettabile» di incuria dell’amministrazione protrattasi nel tempo[63], in particolare della dirigente che non si era adoperata, e ciò a prescindere dal fatto che detta doverosa azione di contrasto le fosse stata espressamente assegnata come obiettivo dirigenziale, al fine di programmare un seppur minimo piano di controlli sull’abusivismo pubblicitario selvaggio, dilagante sulle strade di competenza. Quanto agli organi politici coinvolti, il sindaco e due assessori, i giudici contabili si chiedono, a rimarcare la condizione di grave colpevolezza, come sia stato possibile rinunciare ad entrate proprie di importi rilevanti in considerazione del notorio fabbisogno finanziario degli enti locali. In questo passaggio della decisione la Corte assume chiaramente un ruolo a tutto tondo, non solo quello di giudice della responsabilità erariale, ma anche quello dell’organo di controllo[64] e, si potrebbe aggiungere, di giudice della responsabilità sanzionatoria.

9.Considerazioni finali

La finalità sanzionatoria della responsabilità erariale appare sorretta, nel caso che ci occupa, da due diverse circostanze.

In primo luogo occorre tener conto che l’attività sanzionatoria della pubblica amministrazione è posta a presidio del rispetto delle regole da parte dei cittadini. L’inefficienza nell’esercizio del potere sanzionatorio avvalora l’idea che le regole possano non essere rispettate, che la lentezza dell’amministrazione (lentezza che avvantaggia il contravventore) porterà a prescrizione o decadenza, e che, in definitiva, l’illecito resterà impunito. Le conseguenze del mancato esercizio del potere sanzionatorio, dunque, non si risolvono in un deficit di entrate nelle casse pubbliche; il danno che ne deriva all’amministrazione e alla collettività è assai più grave, ed è quello di contribuire ad alimentare una illegalità diffusa poiché, a conti fatti, è assai più probabile non essere sanzionati, con il risultato paradossale che risulta essere più “conveniente”, violare le regole piuttosto che rispettarle. Ciò, peraltro, non può che valere anche nel caso in cui la responsabilità erariale derivi dalla mancata riscossione della sanzione erogata. Che senso avrebbe, infatti, essere destinatario di una sanzione amministrativa, quando l’incolpato ha buone ragioni per credere che l’amministrazione non si adopererà in tempo utile per la sua riscossione?

In questa prospettiva, la Corte dei conti ha chiaramente affermato che il mancato o scorretto esercizio del potere sanzionatorio viene in rilievo non soltanto per la mancata entrata, e dunque al fine di ristorare l’amministrazione danneggiata, ma ha anche una finalità di deterrenza per il funzionario ed è strumentale alla garanzia del rispetto delle regole da parte dei cittadini e utenti di un servizio. Secondo la Corte «l’arbitrio, o anche solo la grave superficialità, nel disattendere le puntuali procedure espressamente previste e poste a tutela del corretto ed effettivo uso del potere sanzionatorio configura un grave pregiudizio non solo delle pubbliche risorse, per le minori entrate che determinano, ma anche della finalità di deterrenza che, sia la disposizione sanzionatoria, che la puntuale applicazione delle relative procedure sono volte, comunque, a realizzare per garantire il rispetto delle regole di tutti gli utilizzatori di un bene comune e destinatari del servizio pubblico»[65].

In secondo luogo assume rilievo la circostanza che la responsabilità erariale origini da un comportamento omissivo. Nell’ottica del buon andamento, il danno erariale che ne deriva ha un’ulteriore connotazione negativa, quella di derivare dall’inazione, dall’indolenza, dall’inerzia.

Negli ultimi anni, e particolarmente a partire dall’emergenza pandemica, l’esigenza di provvedere si è imposta, non soltanto nella direzione di ridurre i tempi, ma anche attraverso l’approvazione di misure finalizzate a liberare i funzionari pubblici dal timore di sbagliare, timori che sono causa di lentezza, se non di paralisi dell’azione amministrativa. Le condotte passive, l’omissione di atti e comportamenti, sono entrati nel mirino del legislatore, che ha ritenuto di disincentivarle, a favore delle condotte attive, diversificando i presupposti soggettivi della responsabilità erariale[66]. In altre parole, il rapporto tra rischio decisionale e responsabilità erariale va nettamente a favore del primo: di fronte al dubbio, spesso fonte di paralisi, se agire o meno, risulta meno dannoso per il funzionario decidere di agire[67].

Il contrasto all’inerzia, condotto su più fronti, coinvolge pienamente il ruolo, ampiamente riconosciuto alla Corte del conti, di tutore del buon andamento della pubblica amministrazione. Sembra anzi che tale azione di contrasto possa rappresentare un’area nella quale la funzione della Corte possa trovare ampio spazio[68]. Ciò sia per quanto previsto dal d.l. n. 76/2020, e dunque per la possibilità di sindacare l’operato del funzionario o dipendente (anche) per colpa grave, sia perché il legislatore, delimitando sempre più la discrezionalità dell’amministrazione, impone precisi adempimenti[69], il cui mancato rispetto può sostanziare il presupposto della colpa omissiva.

L’orientamento giurisprudenziale che ritiene necessario e perentorio il termine per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, unitamente all’attenzione che l’ordinamento riserva alle finanze pubbliche e al rispetto dei tempi dell’azione amministrativa, può farci ragionevolmente attendere una estensione delle fattispecie di danno erariale nascente dal mancato esercizio del potere sanzionatorio.

Si consideri, a tal proposito, che trattandosi di un termine di decadenza, si presenterà ragionevolmente assai più ridotto rispetto al termine quinquennale di prescrizione. Inoltre, esso soggiace alle logiche della funzione amministrativa e alle sue regole, sicché la mancata emanazione della sanzione, o la sua emanazione oltre i termini previsti, si rileverebbe con più facilità rispetto alle ipotesi di prescrizione. Le disposizioni sul rispetto dei tempi, contenute nella legge generale sul procedimento n. 241/1990, infatti, sono corredate da misure volte a far emergere gli eventuali scostamenti tra termini effettivi e termini previsti[70], mettendo la Corte dei conti nelle condizioni di conoscere possibili fattispecie di responsabilità erariale.

L’art. 2, c. 9, l. n. 241/1990 paventa[71], quale conseguenza della mancata o tardiva emanazione del provvedimento, una responsabilità amministrativo contabile[72], precisando, al successivo comma 9-quater, che la comunicazione relativa ai casi di mancato rispetto dei termini debba avvenire nei confronti dell’organo di governo, sicchè graverà su quest’ultimo, come del resto prevede l’art. 52 del d.lgs 174/2016 (Codice del processo contabile), l’onere di denuncia alla procura della Corte dei conti, qualora si ravvisino gli estremi del danno erariale[73].

In questo contesto, una disciplina di specie che, nel rispetto delle indicazioni della Corte costituzionale, introducesse termini decadenziali per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, si ritiene debba prevedere, in linea con quanto stabilito in via generale dalle l. n. 241/1990, meccanismi idonei a mettere a conoscenza la Corte dei conti dell’avvenuto esaurimento del potere sanzionatorio.

C’è, infine, un ultimo aspetto del quale non si può sottacere. La determinazione di un termine di conclusione del procedimento sanzionatorio, in considerazioni delle importanti conseguenze che comporta il suo superamento, non può essere fissato senza una realistica valutazione delle capacità dell’amministrazione di sostenerlo. Anche qui viene in aiuto quanto disposto dall’art. 2, c. 4, l. n. 241/1990, che suggerisce di definire i termini di conclusione dei procedimenti «tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento».

In tal senso sarebbe più che plausibile un termine lungo (si potrebbe considerare il termine massimo di 180 giorni previsto dalla legge generale sul procedimento), se non una discrezionalità dell’amministrazione, caso per caso, come previsto dal regolamento di alcune Autorità indipendenti che, «in considerazione della eterogeneità delle violazioni, della diversità degli elementi di volta in volta raccolti in fase preistruttoria a fondamento delle contestazioni e della conseguente diversa complessità dei procedimenti sanzionatori» stabilisce che il termine vada fissato nella delibera di avvio del procedimento[74].

Se l’estensione del ruolo del giudice contabile, anche nell’ambito oggetto del presente contributo, di tutore delle finanze pubbliche e del buon andamento dell’amministrazione[75], può considerarsi positivo, non c’è dubbio che il successo di tale rinnovato ruolo dipende, sia dalla capacità di interferire armonicamente con i diversi attori presenti e investiti dei medesimi obiettivi, evitando distorsioni e sovrapposizioni, sia anche dalla sensibilità di calarsi nel sistema reale “pubblica amministrazione”,  una pubblica amministrazione spesso sguarnita delle risorse necessarie per essere efficiente e dare risposte nei tempi previsti.

 

 

[1] Tra i contributi di carattere generale G. Zanobini, Le sanzioni amministrative, F.lli Bocca, Torino, 1924; A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Cedam, Padova, 1983; M. A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Jovene, Napoli, 1983; A. Vigneri, La sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1984; G. Pagliari, Profili teorici della sanzione amministrativa, Cedam, Padova, 1988; C. E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa, Giuffrè, Milano, 1988; E. Casetta, Sanzione amministrativa, in Dig. pubbl., vol. XII, Utet, Torino, 1997, 599 ss; P. Cerbo, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1999; G. Colla, G. Manzo, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 2001; R. G­iovagnoli, M. Fratini, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 2009; A. Cagnazzo, S.  Toschei, a cura di, La sanzione amministrativa. Principi generali, Giappichelli, Torino, 2012.

[2] Si tratta di Corte cost. n. 151/2021, su cui v. infra il paragrafo 4. La mancanza di un termine di conclusione, oltre ad essere in contrasto con la legge generale sul procedimento amministrativo, la n. 241 del 1990, che impone alle amministrazioni di stabilire i tempi entro i quali emanare i procedimenti di competenza, contrasta con alcuni principi generali che si sono oramai largamente affermati nell’ambito dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, primo fra tutti quello di certezza delle posizioni giuridiche e di tutela del legittimo affidamento.

[3] Si tratta di una presa di posizione particolarmente innovativa in materia di procedimenti sanzionatori, che rivede quanto finora affermato dalla Corte di Cassazione (da ultimo Cass. civ., n. 31239/2021).  Il Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VII, n. 1081/2022), dando seguito alla sentenza della Corte Costituzionale, si è espresso nel senso della decadenza del potere dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli che aveva emanato il provvedimento sanzionatorio dopo oltre 2 anni dalla chiusura dell’attività istruttoria, peraltro senza aver motivato le ragioni del ritardo. Ugualmente, con riguardo ai procedimenti delle autorità indipendenti, laddove le stesse Autorità avevano fissato, all’interno di propri regolamenti, i termini di conclusione dei procedimenti sanzionatori, il Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 3 ottobre 2018 n. 5695; Cons. Stato, sez. V, n. 2874/2019; Cons. Stato, sez. VI, n. 3919/2019; Cons. Stato, sez. VI, n. 584/2021 e n. 2309/2021) a fronte della loro tardività, ha dichiarato decaduto il potere.

[4] P. Cerbo, Le ragioni di una questione definitoria: la controversa nozione di sanzione amministrativa, Nota a C.d.S., sez. VI, ord. 9 luglio 2014, n. 3496, in Giur. cost., 2014, 3609 ss., per il quale dopo la legge 689/1981, e le garanzie ivi previste, il problema della definizione della nozione ha ceduto il posto a quello relativo all’ambito di applicazione della legge.

[5] A partire da G. Zanobini, cit., S. Romano, Corso di Diritto Amministrativo, Padova, 1937; V. Ottaviano, Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune sue applicazioni, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1958; C. E. Paliero, A. Travi, cit., pag. 236, che riconducono il tema dell’oggetto della prescrizione al dualismo fra principi sull’illecito e principi sulla sanzione ovvero tra principi penalistici e principi civilistici. Per un quadro della riflessione dottrinaria in materia di sanzioni amministrative G. Pagliari, Profili teorici … cit.

[6] Dispone l’art. 28 l. n. 689/81: «Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate nella presente legge si prescrive nel termine di 5 anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione. L’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del Codice Civile». Come è stato autorevolmente affermato, manca, nell’ambito delle sanzioni amministrative pecuniarie, la previsione chiara di una prescrizione estintiva che incida direttamente sul potere di accertamento, facendo venir meno la potestà di punire (A. M. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Jovene, Napoli, 1994, 226). L’interpretazione dell’art. 28 della l. n. 689/1981 nel senso di contenere anche una prescrizione dell’illecito nasce da una configurazione in senso penalistico delle sanzioni amministrative: così come si estingue il reato, ugualmente si verifica l’estinzione dell’illecito. In quest’ottica il rinvio, con riguardo all’interruzione, alle norme codicistiche è considerato una vera e propria anomalia nel sistema delle sanzioni amministrative, dal momento che la legge, nel suo complesso, ha una chiara impronta penalistica (G. Colla, G. Manzo, Le sanzioni …, cit., 229 ss.). Occorre tuttavia ricordare che le disposizioni della l. n. 689/1981 posseggono una vocazione applicativa generale. Stando infatti all’art. 12 della legge le disposizioni del Capo I «si osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale. Non si applicano alle violazioni disciplinari». Da una opposta prospettiva, l’art. 28 si riferisce chiaramente all’obbligazione che nasce con la sanzione ed ha una chiara impronta civilistica, essendo ispirato allo schema, ex art. 2947 cod. civ., della prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante dal illecito civile (A. M. Sandulli, Manuale, cit., 230).

[7] Secondo la Corte di Cassazione, nonostante la laconicità della formula contenuta nell’art. 28 l. n. 689/1981, la prescrizione è riferibile sia alla violazione che autonomamente alla sanzione pecuniaria, funzionando come causa estintiva dell’illecito, nel primo caso, e della sanzione nel secondo (cfr. Cass. civ. n. 9310/1992; Cass. civ., n. 9211/1992) e precisa che «Il termine iniziale va individuato con riferimento alla data di commissione della violazione e non del suo accertamento, che può anche essere successivo» (Cass. civ., n. 5896/2007). Secondo l’interpretazione della Cassazione, dunque, il diritto di credito dell’amministrazione sorge direttamente per effetto della violazione. Da ciò deriva che: la fonte dell’obbligazione è la violazione; la prescrizione inizia a decorrere dal giorno della violazione; l’ordinanza ingiunzione di pagamento ha il solo effetto di determinare la somma dovuta (Cass. civ., n. 5896/2007). Come è stato rilevato (C. E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa, cit., 238), la soluzione che la Cassazione fornisce del problema costituisce il riflesso di una “lettura” della sanzione amministrativa in senso penalistico, in base alla quale l’obbligazione non nasce con il provvedimento sanzionatorio, ma sorgerebbe già prima dell’applicazione della sanzione, cioè già all’atto dell’illecito. Di diverso avviso, nonostante l’art. 28, i due Autori ritengono che il provvedimento sanzionatorio è atto “genetico” dell’obbligazione e che appare «fallace cercare un’interpretazione delle norme sulla prescrizione attraverso la riduzione del ruolo della funzione sanzionatoria dell’amministrazione» (240 ss.). Affermare che l’obbligazione nasca prima dell’applicazione della sanzione, cioè all’atto dell’illecito, rischia di svalutare il passaggio amministrativo, che sostanzierebbe un mero atto di constatazione dell’illecito, mentre la commisurazione della sanzione altro non è se non la determinazione quantitativa di effetti già sorti (C. E. Paliero, A. Travi, cit., 238). Invero, il passaggio amministrativo appare determinante perché possa nascere in concreto l’obbligazione. Già nella prima fase si pongono i presupposti affinchè essa si configuri, essendo avviato il procedimento che, salva l’archiviazione, sfocerà nell’emanazione dell’ordinanza ingiunzione. In particolare, attraverso la decisione finale, posto che la determinazione del quantum non scaturisce sempre da un meccanismo automatico, l’obbligazione viene anche definita in termini quantitativi, perciò sotto questo profilo, l’obbligazione, nella sua concreta entità, non può che nascere per effetto del provvedimento amministrativo.

[8] Così G. Zanobini, cit., p. 160.

[9] Con riferimento al dies a quo della prescrizione, rileva la distinzione tra illecito istantaneo e illecito permanente. Nel primo caso, l’illecito si esaurisce in un unico atto e non si traduce in un’attività perdurante nel tempo. Di conseguenza i 5 anni della prescrizione decorrono dal giorno in cui si è verificata la violazione. L’illecito è permanente, invece, quando la violazione non si esaurisce in un unico atto, ma si traduce in un’attività che perdura nel tempo (come accade con gli illeciti urbanistici), tale da comportare una violazione ininterrotta della norma, con la conseguenza che la prescrizione quinquennale inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza. Secondo Corte dei conti, sez. II d’appello, n. 106/2000, «In tema di illeciti amministrativi omissivi connessi alla mancata attuazione di una condotta entro un termine prefissato, al fine di stabilire se si tratta di illecito amministrativo istantaneo o permanente, è necessario considerare quanto segue. Se, trascorso il termine sanzionato in via amministrativa, la condotta prescritta non può essere più utilmente tenuta, l’illecito ha natura istantanea, perchè l’inosservanza del dovere ha cagionato in modo irreparabile e definitivo la lesione dell’interesse perseguito dalla legge. Se, invece, l’azione prescritta può essere utilmente compiuta anche in tempo successivo alla scadenza del termine, l’illecito ha natura permanente».

[10] Cass. civ., sez. III, n. 4094/2000.

[11] F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1952, 118 ss.

[12] Cass. civ., n. 4201/1999; Cass. civ., n. 7650/1996; Cass. civ., n. 617/1998; Cass. civ., n. 5230/1995; Cass. civ., n. 4238/1994.

[13] Cass. civ., sez. I, n. 7600/1993.

[14] A. Panzarola, L’interruzione della prescrizione nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa irrogata da autorità amministrative indipendenti, in Giustizia Civile, 2014, 589 ss.

[15] A. Panzarola, cit., 594 ss., per il quale è dirimente la circostanza che l’opposizione a decreto ingiuntivo, diversamente dall’opposizione all’ingiunzione dell’autorità amministrativa, si coordina ad una lite già pendente; solo quando l’opposizione sia esperita dal debitore ingiunto, si pongono le premesse per la realizzazione dell’effetto interruttivo permanente ex art. 2945, c. 2, c.c., con la conseguenza che la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio. Di contro, la ingiunzione dell’amministrazione non apre alcun processo, sicchè «la successiva opposizione del (supposto) debitore non può in alcun modo postergare la pendenza di una lite già avviata, come nel caso della opposizione a decreto ingiuntivo».

[16] A. Panzarola, cit., 593.

[17] Cass. civ.,  n. 5063/2006; Cass. civ., n. 5798/2005, che esclude abbiano efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto atti estranei al procedimento sanzionatorio, l’invito al pagamento e la richiesta di audizione da parte dell’interessato. Fuori dall’esercizio della funzione amministrativa, la Corte di cassazione ha assunto un orientamento più elastico, affermando, anche di recente, che, ai fini dell’interruzione della prescrizione, è sufficiente la comunicazione del fatto costitutivo della pretesa, non soggetto a formule sacramentali, che assolva allo scopo di portare a conoscenza del debitore la volontà del creditore, chiaramente manifestata, di far valere il proprio diritto (Cass. civ., ord. n. 7835/2022).

[18] Cass. civ., Sez. II, n. 28238/2008; Cass. civ., Sez. V, n. 14886/2016; Cass. civ., sez. II, ord. n. 787/2022, secondo cui «In tema di sanzioni amministrative, ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione – compreso quello con cui l’Amministrazione abbia rideterminato la sanzione, riducendola, in conformità ai rilievi difensivi del trasgressore – ha la funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione stessa alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., con conseguente effetto interruttivo della prescrizione»

[19] La Corte di Cassazione, n. 8941/2010, ha precisato che la consegna del verbale di accertamento all’ufficiale giudiziario per la notifica non è idonea ad interrompere il decorso del termine di prescrizione quinquennale del diritto alla riscossione previsto dall’art. 28 l. n. 689/1981. Precisa altresì che il principio generale, affermato da Corte cost. n. 477/2002, secondo cui, quale che sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, non si estenda all’ipotesi di estinzione del diritto per prescrizione. Invero, affinché l’atto, giudiziale o stragiudiziale, produca l’effetto interruttivo del termine, è necessario che lo stesso sia giunto alla conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) del destinatario.

[20] Tra le tante Cass. civ., n. 24116/2016. In tema di sanzioni amministrative la Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. III, ord. n. 1550/2018) ha anche stabilito che «l’atto interruttivo della prescrizione nei confronti di uno dei coobbligati in solido, nelle ipotesi previste dall’articolo 6 l. n. 689 del 1981, produce effetti anche nei confronti dei coobbligati, ai sensi dell’articolo 1310 codice civile, stante il richiamo contenuto nell’art. 28 della citata legge alla disciplina del codice civile per quanto riguarda l’interruzione della prescrizione. A tali fini non assume importanza se il soggetto nei cui confronti è stata interrotta la prescrizione è quello che ha materialmente commesso la violazione o colui al quale la legge estende la corresponsabilità nel pagamento della relativa sanzione, non potendosi distinguere, ai fini di cui all’articolo 1310 codice civile, fra coobbligati solidali. L’estensione degli effetti degli atti interruttivi della prescrizione non si verifica, invece, nella diversa ipotesi del concorso di più persone nella commissione della violazione prevista dall’art. 5 l. n. 689 del 1981, poiché in tal caso difetta il vincolo della solidarietà fra i coobbligati, ciascuno dei quali è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa per intero».

[21] Cass., SS.UU. civili n. 9591/2006.

[22] C.d.S., sez. VII, n.1081/2022, con nota di L. Maccarrone, Sanzioni amministrative pecuniarie e tempestività dell’azione amministrativa, nota a Consiglio di Stato, Sez. VII, 14 febbraio 2022, n. 1081, in Giur. It. n. 10/2022, 2198 ss.; Cons. Stato, sez. VI, n. 2309/2021, con nota di G. Delle Cave, Sui termini del procedimento sanzionatorio dell’ARERA: perentori o ordinatori, questo è il dilemma, in Rivista interdisciplinare dir. pubbl. amm., n. 1/2022.

[23] Sul punto occorre richiamare quella giurisprudenza (C.d.S., sez. VI, n. 584/2021, su cui A. Scognamiglio, I termini del procedimento (sanzionatorio) presi sul serio (nota a Cons Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2021 n. 584, in giustiziainsieme.it, giugno 2021) secondo la quale la violazione della regola, che fissa il termine finale di decadenza entro cui adottare il provvedimento sanzionatorio pecuniario, si presenta come regola di validità, sicché la lesione è rimediabile solo attraverso la caducazione dell’atto. V. anche Cass. civ., ord. n. 14562/2013, secondo cui «in materia di sanzioni amministrative, l’art. 204, secondo comma, del codice della strada , come modificato dal d.l. 27 giugno 2003, n. 151, convertito nella legge 1 agosto 2003, n. 214, stabilendo che l’ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria deve essere notificata entro centocinquanta giorni dalla sua adozione, grava il prefetto del rispetto di un termine che, seppur non dichiarato espressamente perentorio dalla legge, riveste carattere sollecitatorio, ponendo un requisito di legittimità dell’attività sanzionatoria in materia di violazioni del codice della strada». Su obbligo di provvedere e consumazione del potere A. Colavecchio, Sui fondamenti giuridico-costituzionali dell’obbligo di provvedere, in Nuove autonomie, 2011, 245 ss.; G. De Giorgi Cezzi, Sulla ‘‘inesauribilita`’’ del potere amministrativo (Nota a Tar Puglia, Lecce, sez. I, 7 febbraio 2002, n. 842, in Urbanistica e Appalti, n. 6/2002; M. Trimarchi, L’inesauribiltà del potere amministrativo, Editoriale scientifica, Napoli, 2018; M. D’Angelosante, Discorrendo su inesauribilità e consumazione del potere amministrativo a partire da un recente studio, in Diritto pubblico, 3/2019, 831 ss.

[24] Con riguardo alla distinzione tra prescrizione e decadenza, ricorda C. Ruperto, Prescrizione e decadenza, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Utet, Torino, 1985, che il legislatore del 1865 aveva consapevolmente omesso di stabilire se, in relazione ai singoli termini, si trattasse di prescrizione o decadenza, lasciando all’interprete il compito di stabilirlo. Al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice, la giurisprudenza e la dottrina prevalente avevano elaborato diverse analisi volte a mettere in evidenza i caratteri differenziali dell’una e dell’altra, anche se la teoria dell’unità fondamentale dei due istituti non è mai venuta meno (cfr. B. Grasso, Sulla distinzione tra prescrizione e decadenza, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1970, 892 ss.). Invero il tratto comune è individuato nella causa (il mancato esercizio di un diritto o di una potestà entro un dato termine) e nell’effetto (la perdita del diritto o della potestà), ma, seguendo l’insegnamento di Santi Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, 46 ss., la prescrizione consiste nell’estinzione di un diritto che si presume abbandonato o rinunciato da parte del suo titolare per l’inerzia prolungata nel tempo, mentre la decadenza determina, non l’estinzione di un potere, ma l’impossibilità di esercitarlo, in un singolo caso, a causa del mancato compimento di atti che ne costituiscono il modo di esercizio in un termine perentorio prefissato (in tal senso si esprime anche la giurisprudenza della Suprema Corte a partire da Cass. civ., n. 327/1942; v. anche Cass. SS.UU. civili, n. 352/1949 e n. 2690/1972, in cui si sottolinea come, a differenza della prescrizione, la decadenza, anche per i più brevi termini, sia funzionalizzata ad assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici).

[25] Nello studio delle sanzioni amministrative si distinguono due fasi: una amministrativa che inizia con l’accertamento della violazione da parte dell’autorità amministrativa e si conclude con l’ordinanza di archiviazione o con l’ordinanza ingiunzione, cui fanno riferimento gli articoli 13 – 21 della l. n. 689/1981;  l’altra di tipo processuale che inizia con l’opposizione avanti il pretore contro l’ordinanza ingiunzione e termina con la sentenza di accoglimento o di reiezione del ricorso (art. 22-25) (A. Rossi Vannini, Illecito depenalizzato amministrativo. Ambito di applicazione, Giuffrè, Milano 1990, 75). Nell’ambito della fase amministrativa, il procedimento indicato nella l. n. 689/1981 si articola in due fasi distinte.  La prima riguarda l’attività degli organi di vigilanza e consiste nell’acquisizione delle prove e nel sequestro cautelare o confisca amministrativa nei modi e nei limiti consentiti dal Codice di Procedura Penale per il sequestro di polizia giudiziaria (art. 13) nonché nella contestazione immediata o mediante notifica della violazione al trasgressore (art. 14). È un momento centrale e determinante poiché l’autorità competente ad applicare la sanzione, pur avendo ampi poteri in termini di qualificazione del fatto e di acquisizione di ulteriori elementi di prova, non potrà applicare la sanzione per un fatto diverso da quello accertato e contestato. Ciò in ragione della contestazione e del contraddittorio che caratterizza la prima fase e che implica, per l’autorità cui spetta l’applicazione della sanzione, la preclusione ad introdurre d’ufficio fatti nuovi rispetto a quelli contestati. La seconda fase, svolta dalle autorità titolari del potere sanzionatorio, consiste in un’attività di ordine contenzioso nella quale avviene la ricezione degli scritti difensivi e dei documenti prodotti dagli interessati ed eventualmente dalla loro audizione, per concludersi con un’attività di ordine decisorio che sfocia nell’emissione di un’ordinanza motivata di irrogazione della sanzione amministrativa o di archiviazione (art. 18).

[26] Cass. civ., sez. I, n. 17534/2003; Cass. civ., sez. IV,  n. 3254//2003 secondo cui in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l’accertamento al cui termine collocare, ai sensi dell’art. 14, c. 2, della l. n. 689/1981, il dies a quo per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, non può essere fatto coincidere con la mera notizia del fatto materiale, bensì con l’epoca in cui la piena conoscenza dell’illecito è idonea a giustificare la redazione del rapporto previsto dall’art. 17 della legge citata. In tema di sanzioni amministrative, ricorda la Suprema Corte qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, il termine di novanta giorni, di cui alla l. n. 689/1981 per la notifica dei relativi estremi, decorre «dal compimento dell’attività di verifica di tutti gli elementi dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per effettuare le relative valutazioni (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 novembre 2018 – 25 marzo 2019, n. 8284)».

[27] Cfr. Cass. civ., sez. II, n. 19664/2005; Cass. civ., sez. I, n. 6097/2001.

[28] Affinché possa configurarsi una responsabilità amministrativa è necessario: un danno patrimoniale, economicamente valutabile, attuale e concreto, sofferto dall’amministrazione pubblica; il nesso di causalità fra la condotta dell’agente e l’evento dannoso; l’elemento psicologico del dolo o della colpa grave che connota il comportamento omissivo o commissivo del soggetto a cui il danno è ricollegabile; la sussistenza di un rapporto di servizio fra l’agente, che ha cagionato il danno, e l’ente pubblico che lo ha sofferto, ovvero, che sia ravvisabile la natura oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie in relazione alle quali il danno patrimoniale alle finanze pubbliche viene individuato.  Sull’interpretazione estensiva del “rapporto di servizio” cfr. Cass. SS. UU. civili, n. 24858/2019. Sul tema F.G. Scoca, Società private e giurisdizione contabile (nota a S.U., ord., 5 dicembre 2016, n. 24737), in Giur. It., 2017, 934 ss.

[29] La riflessione generale sulla responsabilità amministrativa e sulle sue funzioni è molto ricca; in giurisprudenza Corte conti, sez. giur. Sicilia, n. 152/2012; in dottrina, tra i molti contributi A. Corpaci, Su alcuni aspetti problematici della responsabilità civile e della responsabilità amministrativa di funzionari e dipendenti pubblici, in AA.VV. Le responsabilità pubbliche, a cura di D. Sorace, Cedam, Padova, 1998, 239 ss.; ivi M. Franzoni, La responsabilità degli amministratori e dei dipendenti nei confronti della p.a. tra diritto comune e diritto speciale: le riflessioni di un civilista, 251 ss.; ivi A. Romano Tassone, La valenza sanzionatoria e quella risarcitoria della responsabilità amministrativa, 281 ss.; N. Longo, Natura giuridica e orizzonti politico-culturali della responsabilità amministrativa, in Riv. Corte conti, 2001, 365 ss.; L. Mercati, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Giappichelli, Torino, 2002; D. Gasparrini Pianesi, La responsabilità amministrativa per danno all’erario. Profili strutturali e funzionali della responsabilità, Giuffrè, Milano, 2004; AA.VV., Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile (ad un decennio dalle riforme), Atti del LI Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, Villa Monastero, 15-17 Settembre 2005, Giuffrè, Milano, 2006; P. Maddalena, Danno alla collettività e finalità della responsabilità amministrativa, in Giust. civ., 2008, 483 ss.; F. Tigano, Corte dei conti e responsabilità amministrativa, Giappichelli, Torino, 2008; F. Fracchia, Corte dei conti e tutela della finanza pubblica: problemi e prospettive, in Dir. proc. amm., 2008, 669 ss.; V. Raeli, La natura della responsabilità amministrativa tra modello risarcitorio e sanzionatorio, in federalismi.it, n. 1/2010; AA.VV. La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, a cura di V. Tenore, Giuffrè, Milano, 2013; AA.VV., La Corte dei conti tra tradizione e novità, a cura di D. Crocco, Jovene, Napoli, 2014; AA.VV., Le linee evolutive della responsabilità amministrativa e del suo processo, a cura di F. G. Scoca, A. F. Di Sciascio, Editoriale scientifica, Napoli, 2014; A. Azzena, Aspetti evolutivi della giurisdizione della Corte dei conti, in Riv. Corte conti, n. 3-4/2016, 476 ss.; AA.VV., Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa, a cura di M. Andreis, R. Morzenti Pellegrini, Giappichelli, Torino, 2016; M. Clarich, F. Luiso, A. Travi, Prime osservazioni sul recente codice del processo avanti alla Corte dei Conti, in Dir. Proc. Amm., 2016, 1271 ss.; AA.VV., Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti. Commento sistematico al codice della giustizia contabile (D.Lgs. n. 174/2016), a cura di A. Canale, F. Freni, M. Smiroldo, Giuffrè, Milano, 2017; G. Bottino, Responsabilità amministrativa per danno all’erario, in Enc. dir., Giuffrè, Milano, vol. X, 2017, 771 ss.; L. Torchia, La responsabilità amministrativa, in Giorn. Dir. Amm., n. 6/2020, 763 ss.

[30] Non ci si soffermerà, pertanto, sui casi di ingiustificata archiviazione (su cui si veda Corte conti, sez. giur. Trentino Alto Adige, n. 78/2021; sez. giur. Umbria n. 37/2022 in cui l’amministrazione, nell’esercizio del potere di autotutela, adducendo l’incertezza normativa e burocratica, ha disposto l’annullamento generalizzato di tutte le sanzioni amministrative irrogate e l’archiviazione di tutti i procedimenti amministrativi in relazione ai quali non era ancora stata irrogata alcuna sanzione, in tal modo determinando un consistente danno alla finanza pubblica), esulando dal tema, oggetto delle presenti riflessioni, dei tempi e della consumazione del potere sanzionatorio.

[31] Sulla distribuzione della responsabilità tra il funzionario e il responsabile del procedimento F. Fracchia, S. Vernile, Una rilettura della figura del responsabile del procedimento dal punto di vista dell’illecito erariale, in PA Persona e Amministrazione, 2020, 83 ss.

[32] Di recente una evoluzione della responsabilità amministrativa dalla concezione ragionieristica del danno erariale, alla ricostruzione del danno erariale atipico «inteso come lesione di una norma attributiva di protezione ad un interesse pubblico di carattere generale o fine dello Stato economicamente valutabile», in C. Pinotti, La funzione della responsabilità amministrativa e la nozione di danno erariale nel dialogo tra giudice e legislatore, Relazione al Convegno celebrativo dei 160 anni dalla istituzione della Corte dei conti Il ruolo della Corte dei conti al servizio della collettività nell’evoluzione delle sue funzioni, Torino 11 e 12 ottobre 2022, in Riv. Corte conti, n.2/2022.

[33] Cfr. Corte dei conti, sez. III, centrale d’appello, n. 103/2019, secondo la quale il diritto di riscuotere le somme derivanti dall’accertamento di violazioni al Codice della strada è soggetto ad un doppio termine estintivo; il primo decadenziale ex art. 201 C.S. si compie con l’omessa notifica del verbale nel termine previsto (150 giorni); il secondo, prescrizionale, ex art. 28 legge n. 681/81, è quinquennale e decorre dall’accertamento della violazione. L’omessa notifica estingue l’obbligo di pagamento. Sulla sanatoria della notificazione del verbale di accertamento si segnala di recente Cass. SS. UU. civili, n. 11550/2022.

[34] V. supra alla nota 11.

[35] V. supra alla nota 7.

[36] Riferire al potere il termine di decadenza, piuttosto che la prescrizione, sembra anche coerente con autorevole dottrina (E. Casetta, Manuale di Diritto Amministrativo, a cura di F. Fracchia, Giuffrè, Milano, 2014, 357), secondo cui la prescrizione è normalmente collegata a un diritto. È il diritto soggettivo ad essere soggetto a prescrizione se non esercitato per un certo periodo di tempo.

[37] Corte conti, sez. giur. Sardegna, n. 218/2021.

[38] Corte conti, sez. giur. Abruzzo n. 72/2019.

[39] Ai sensi dell’art. 138 («Anagrafe degli agenti contabili») del Codice di giustizia contabile (d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174): «Le amministrazioni comunicano alla sezione giurisdizionale territorialmente competente i dati identificativi relativi ai soggetti nominati agenti contabili e tenuti alla resa di conto giudiziale. Presso la Corte dei conti è istituita e tenuta in apposito sistema informativo una anagrafe degli agenti contabili, nella quale confluiscono i dati costantemente comunicati dalle amministrazioni e le variazioni che intervengono con riferimento a ciascun agente e a ciascuna gestione».

[40] L’art. 139, c. 1, del codice di giustizia contabile stabilisce che «Gli agenti che vi sono tenuti, entro il termine di sessanta giorni, salvo il diverso termine previsto dalla legge, dalla chiusura dell’esercizio finanziario, o comunque dalla cessazione della gestione, presentano il conto giudiziale all’amministrazione di appartenenza».

[41] Corte cass. SS.UU. civili n. 14488/2003, ha sul punto evidenziato che «la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può, quindi, prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti» (cfr. anche Corte cass., SS.UU. civili, nn. 1378/2006 e 1379/2006; più di recente Corte cass., SS.UU. civili, n. 33365/2018). In particolare, la Cassazione ha chiarito che il controllo giurisdizionale, fondato sui canoni di razionalità, efficienza ed efficacia, corollari del principio costituzionale del buon andamento, integrano una verifica della legittimità e non dell’opportunità dell’azione amministrativa. Pertanto, nel giudizio di responsabilità amministrativa la Corte dei conti può valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire.

[42] C. Pinotti, cit.

[43] Nel solco dell’orientamento della Cassazione, la Corte dei conti ha affermato la sindacabilità delle scelte discrezionali degli amministratori pubblici statuendo che «l’insindacabilità, nel merito, delle scelte discrezionali, non priva il giudice contabile della possibilità di accertare, in astratto, la conformità alla legge dell’attività amministrativa, verificandola anche sotto l’aspetto funzionale, ovvero in merito alla congruità dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore» (Corte dei conti,  sez. I centrale n. 27/2019; Corte dei conti, sez. III centrale, n. 98/2019, n. 105/2019, n. 132/2019). È stato altresì affermato che «anche le spese c.d. discrezionali possono essere parimenti sottoposte al vaglio del giudice contabile sotto il profilo della responsabilità amministrativa tutte le volte che necessiti valutare se le relative scelte si pongano…in palese contrasto, prima ancora che con specifiche norme di legge, con il principio fondamentale della loro inerenza a finalità pubbliche, oltre che per vagliarne l’eventuale irragionevolezza non compatibile con il buon andamento dell’azione amministrativa» (Corte dei conti, sez. I centrale, n. 127/2019). Ancora la Corte ha ritenuto palesemente irragionevole la decisione di corrispondere al Presidente e ai singoli consiglieri di amministrazione di una società pubblica compensi del tutto esorbitanti (Corte conti, sez. giur. app. Sicilia, n. 297/2014), nonché la decisione dei dirigenti di Poste Italiane s.p.a. di acquistare a fini speculativi, quindi con deviazione dai fini istituzionali dell’ente, prodotti finanziari derivati rivelatisi altamente diseconomici (Corte conti, Sez. giur. Lazio, n. 1044/2011).

[44] La questione del carattere discrezionale o vincolato del potere sanzionatorio è stata affrontata dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato nell’ottica della giurisdizione. La Cassazione ha sottolineato la natura vincolata dell’attività sanzionatoria, con conseguente radicamento della giurisdizione ordinaria. In particolare, Cass., SS.UU. civili, n. 1786/2010, ha rimarcato il carattere vincolato del potere sanzionatorio e conseguentemente la natura di diritto soggettivo della situazione giuridica soggettiva del soggetto nei cui confronti viene irrogata la sanzione. La dottrina ha così ricondotto la sanzione amministrativa pecuniaria alla categoria delle obbligazioni pubbliche ex lege, che, escludendo valutazioni di tipo discrezionale, si inseriscono nello schema norma fatto effetto giuridico (M. Clarich, Manuale di Diritto Amministrativo, Bologna, 2022, 264). Di diverso avviso, il Consiglio di Stato ha rilevato l’esistenza di un’attività di valutazione degli interessi in gioco, che si esprime nella determinazione della sanzione amministrativa, così legittimando la giurisdizione del giudice amministrativo, con particolare riguardo al potere sanzionatorio delle autorità indipendenti. Tuttavia, riferire la natura discrezionale esclusivamente a quest’ultimo, laddove, all’opposto, il potere sanzionatorio affidato alle altre pubbliche amministrazioni si assume di tipo vincolato, è apparsa (F. Goisis, Discrezionalità e autoritatività nelle sanzioni amministrative pecuniarie, tra tradizionali preoccupazioni di sistema e nuove prospettive di diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2013, 79 ss.), una svista o un tentativo, più o meno riuscito, di legittimazione ex post della scelta legislativa circa la giurisdizione. Non senza forzature, come è accaduto per la Consob, rispetto alla quale, al fine di legittimare la giurisdizione del giudice ordinario, si è affermato che l’attività sanzionatoria avesse natura vincolata, pur avendo l’autorità poteri di controllo e regolatori. Non sembra, dunque, possibile individuare nella giurisdizione una vera e propria scriminante in grado di distinguere il potere sanzionatorio di tipo discrezionale da quello vincolato, il primo affidato alle autorità indipendenti, il secondo alle altre pubbliche amministrazioni. Sul potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti AA.VV., I garanti delle regole, a cura di S. Cassese e C. Franchini, Il Mulino, Bologna, 1996; S. Licciardello, Le sanzioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Riv. trim. dir. pubbl., n. 2/1997, 349 ss.; E. Bani, Il potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti, Giappichelli, Torino, 2000; R. Titomanlio, Funzione di regolazione e potestà sanzionatoria, Giuffrè, Milano, 2007; M.A. Sandulli, I criteri per l’applicazione e la determinazione delle sanzioni antitrust, in federalismi.it, n. 21/2010;  AA.VV., Le sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, a cura di M. Fratini, Cedam, Padova, 2011; W. Troise Mangoni, Il potere sanzionatorio della Consob: profili procedimentali e strumentalità rispetto alla funzione regolatoria, Giuffrè, Milano, 2012; AA.VV., Il potere sanzionatorio delle Autorità amministrative indipendenti, a cura di M. Allena e Salvatore Cimini, in Rules Research Unit Law and Economics Studies, Università commerciale Bocconi, 2013.

[45] C. E. Paliero, A.  Travi, cit., 250 ss.; M.A. Sandulli, Le sanzioni amministrative, cit., 199. Dal punto di vista normativo rilevano gli artt. 17 e 18 l. n. 689/1981 che prevedono, il primo, l’obbligatorietà del rapporto da parte dei pubblici ufficiali, rendendo doverosa l’instaurazione del procedimento sanzionatorio, il secondo, che l’autorità competente, sentiti gli interessati ed esaminata la documentazione, deciderà, con ordinanza motivata, se archiviare o fissare la somma dovuta per la violazione, ingiungendone il pagamento. Sul punto F. Goisis, Discrezionalità e autoritatività, cit., 133, il quale, tuttavia, ritiene arduo ipotizzare una incompatibilità ontologica tra potestà sanzionatoria e discrezionalità nell’an della sanzione.

[46] C. E. Paliero, A.  Travi, cit., 254. Secondo gli Autori, la commisurazione della sanzione, in ragione della sua “elasticità vincolata” consente di escludere dai suoi contenuti finalistici esigenze meramente risarcitorie. La sua adattabilità al caso concreto in termini di disvalore del fatto e rimproverabilità della persona, ci deve orientare verso una finalità di prevenzione, generale e speciale. Secondo la Corte costituzionale (sent. n. 183 del 2007) la Corte dei Conti, mediante l’esercizio del potere riduttivo, determina «quanta parte del danno subito dall’amministrazione debba essere addossato al convenuto, e debba pertanto essere considerato risarcibile», a seguito di «una valutazione discrezionale ed equitativa», fondata sulla intensità della colpevolezza e su tutte le circostanze del caso. Il Consiglio di Stato ha inoltre affermato, con riferimento alle sanzioni antitrust che esse non hanno la «natura di misura patrimoniale civilistica (…) bensì di sanzione amministrativa con connotati punitivi affini a quelli della sanzione penale» (C.d.S., sez. VI, n. 1671/2001). Le sanzioni hanno quindi l’obiettivo di reprime la condotta scorretta, ma al contempo mirano a dissuadere le altre imprese ad assumere comportamenti contrari a quanto stabilito dalla legge, sia interna che comunitaria. In materia di sanzioni antitrust anche C.d.S., sez. VI, n. 1159/2023 nella quale si afferma che la quantificazione della pena pecuniaria deve avvenire sulla base di un equo bilanciamento tra l’interesse perseguito con l’applicazione della misura sanzionatoria e l’oppressione della sfera soggettiva e personale del destinatario della stessa. Di conseguenza, secondo il Consiglio di Stato il criterio di calcolo della sanzione basato sul c.d. cumulo materiale, connotato da un certo automatismo, se generalmente adottabile, non risulta conforme al principio di proporzionalità.

[47] R. Giovagnoli, M. Fratini, cit., 176 ss.

[48] Sulla commisurazione della sanzione quale espressione della discrezionalità amministrativa, F. Goisis, Discrezionalità e autoritatività, cit., 80 ss., il quale ne evidenzia la differenza con la “mera” discrezionalità giudiziale.

[49] Sulla responsabilità erariale nascente dalla mancata notifica del verbale Corte dei conti, sez. III, centrale d’appello, n. 103/2019.

[50] Sui limiti alla cogenza della regola non certa e sul dovere giuridico di porre regole certe in materia sanzionatoria A. Travi, Incertezza delle regole e sanzioni amministrative, in Dir. amm., 2014, 627 ss. L’A. invero si riferisce alle condotte che possono dar luogo ad un illecito, ma si ritiene che la stessa esigenza di certezza debba investire il procedimento sanzionatorio; G. Greco, Discrezionalità tecnica, margini di opinabilità delle valutazioni e sanzioni amministrative, in forum aipda.it, 28 ottobre 2022, secondo cui «una fattispecie normativa che consenta, per la sua applicazione al caso concreto, anche il ricorso a valutazioni opinabili, non è per tale segmento predeterminata, perché sarebbe assolutamente incerto il perimetro del relativo precetto. E impedirebbe al cittadino, al pubblico dipendente o all’operatore economico, di conoscere «cosa gli è lecito e cosa gli è vietato» indipendentemente e prima dell’intervento dell’Autorità vigilante».

[51] In Corte dei conti, sez. II, centrale d’appello, n. 106/2020, ad esempio, si contesta la competenza esclusiva della polizia locale, l’unica chiamata a risarcire il danno all’erario, in materia di repressione dell’abusiva installazione di impianti pubblicitari. La competenza, peraltro, aveva subito delle modifiche nell’arco del periodo considerato di produzione del danno. Naturalmente la questione della competenza può emergere anche una volta avviato il procedimento (cfr. Corte conti, sez. giur. Sardegna, n. 118/2021, in cui il segretario comunale contesta la riconducibilità del danno, derivante dalla mancata consegna dei ruoli all’agente della riscossione, alla condotta da lui tenuta, in quanto, pur essendogli state attribuite le funzioni dirigenziali del Corpo della Polizia Municipale, l’intera vicenda si è svolta nell’ambito di un servizio del tutto avulso dall’esercizio di poteri gestionali/direttivi riconducibili al segretario).

[52] Corte dei conti, sez. giur. Abruzzo n. 50/2017.

[53] In carenza di definizione normativa, è stato lo stesso giudice contabile a mettere a punto i requisiti della attualità, concretezza e della certezza del danno erariale. La lesione è “attuale” quando sussiste nel momento dell’introduzione del giudizio di responsabilità e in quello della sentenza di condanna; è “concreta” quando è obiettivamente attinente alla realtà e non a mere ipotesi o supposizioni. Infine per danno “certo” si deve intendere un nocumento effettivo, sicuro, non dubbio. Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti (sentenza n. 14/2011) hanno precisato che “un soggetto deve essere sottoposto a processo, per quanto riguarda la giurisdizione di responsabilità amministrativa, solo quando si siano realizzate tutte le condizioni di certezza, concretezza e attualità del danno, che sono gli elementi alla cui tutela è posto il presidio della giustizia contabile”.  Tuttavia, i caratteri del danno, nella interpretazione della Corte dei conti, hanno assunto via via connotazioni più sfumate, basti pensare al danno da disservizio in cui si misurano valori di difficile espressione economica quali, ad esempio, la diminuzione di rendimento dell’azione amministrativa, la minore produttività dell’apparato pubblico, fattispecie nelle quali la quantificazione del danno è frutto di una ricostruzione del giudice contabile (v. Corte conti, sez. giur. Lazio, nn. 80/2015 e 484/2019; in particolare Corte conti, sez. II, centrale d’appello, nn. 301/2018 e 43/2020, in cui il danno è stato quantificato sulla base delle ore lavorative necessarie per interloquire con gli inquirenti e per porre riparo alle conseguenze delle condotte illecite). In argomento M. Interlandi, Danno da disservizio e tutela della persona, ESI, 2013; M. Nunziata, Azione amministrativa e danno da disservizio. Un’analisi della giurisprudenza, Torino, Giappichelli, 2018.

[54] Corte dei conti, sez. giur. Abruzzo n. 50/2017; sez. giur. Sardegna, n. 118/2021.

[55] Sulla Corte dei conti quale interprete preferenziale del principio del buon andamento L. Mercati, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Giappichelli, Torino, 2002; G. Bottino, Responsabilità amministrativa per danno all’erario, in Enc. dir., Giuffrè, Milano, 2017, vol. X, 771 ss.; S. Pilato, La responsabilità amministrativa dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, Giappichelli, Torino, 2019; F. Tigano, Efficienza amministrativa, principio di buon andamento e ruolo della Corte dei conti, in Dir. e proc. amm., n. 1/2021, 127 ss.

[56] M. Occhiena, La fuga dall’atipicità della responsabilità amministrativa: profili sostanziali e processuali, in Il diritto dell’economia, 2017, 919 ss.; V. Raeli, La natura della responsabilità amministrativa tra modello risarcitorio e sanzionatorio, in federalismi.it, n. 1/2010; P. Santoro, La responsabilità amministrativa sanzionatoria tra clausola generale e tipizzazione dell’illecito (nota a Corte dei Conti, sez. riunite, 27 dicembre 2007, n. 12), in Foro amm. CDS, 2007, 3565 ss.; S. Cimini, Tipizzazione dell’illecito erariale e limiti all’attribuzione del potere sanzionatorio al giudice contabile, in federalismi.it, n. 23/2014; N. Ruggiero, Le fattispecie tipizzate e la responsabilità sanzionatoria, in Trattato sulla nuova configurazione della giustizia contabile, a cura di E. Schlitzer e C. Mirabelli, Editoriale scientifica, Napoli, 2018, 387 ss. L’art. 133 del codice di giustizia contabile (d. lgs. n. 174/2016) apre il Tit. III “Rito relativo a fattispecie di responsabilità sanzionatoria pecuniaria”, disponendo che «Ferma restando la responsabilità di cui all’ articolo 1  della legge 14 gennaio 1994 n. 20, e successive  modificazioni,  quando  la legge prevede che la Corte di conti  irroga,  ai  responsabili  della violazione  di  specifiche  disposizioni  normative,   una   sanzione pecuniaria, stabilita tra  un  minimo  ed  un  massimo  edittale,  il pubblico  ministero  d’ufficio,  o  su   segnalazione   della   Corte nell’esercizio delle sue attribuzioni  contenziose  o  di  controllo, promuove il giudizio per l’applicazione della sanzione pecuniaria». Da un’altra prospettiva (C. Pinotti, cit.) si evidenzia, come «le responsabilità tipizzate aggiungono in definitiva un ulteriore strumento di tutela ma non dovrebbero depotenziare la clausola generale (mai abrogata) del danno erariale atipico, quale strumento più adatto per regolare una realtà amministrativa in crescente e continuo dinamismo».

[57] R. Morzenti Pellegrini, Cattiva amministrazione e responsabilità amministrativa, cit.

[58] Così L. Balestra, Responsabilità per danno erariale e prerogative della Corte dei conti, in Rivista Corte conti, n. 4/2019, 24.

[59] La tesi dottrinaria della natura pubblicistica della responsabilità amministrativa ha avuto un riconoscimento da parte della Corte Costituzionale con le sentenze nn. 371 e 453 del 1998, nelle quali si chiarisce che la funzione propria della responsabilità amministrativa per danno erariale non è esclusivamente di tipo restitutorio, ma anche sanzionatorio e di prevenzione, mirando ad impedire il ripetersi di azioni pregiudizievoli per la pubblica amministrazione. Per la dottrina in argomento si rinvia alla nota 29.

[60] Corte dei conti, sez. giur. Campania, n. 805/2005; Corte dei conti, sez. giur Abruzzo, n. 176/2006; Corte dei conti, sez. giur. Sicilia, n. 591/2006.

[61] Corte dei conti, sez. giur. Sardegna, n. 218/2021.

[62] Corte dei conti, sez. giur. Umbria, n. 66/2020. Nel caso di specie, era emerso, a seguito di una denunzia e dagli accertamenti conseguenti, che l’ente pubblico, nel corso dell’anno 2018, non aveva proceduto all’elaborazione, alla notifica e alla contestazione dei numerosi verbali per infrazioni al Codice della Strada, con conseguente inesigibilità delle relative sanzioni, per un importo complessivo di € 26.480,00.

[63] Corte dei conti, sez. giur. Abruzzo n. 50/2017 confermata da Corte dei conti, sez. II, centrale d’appello, n. 106/2020. Accertato che l’illecito ha natura istantanea, e che è decorso il termine quinquennale di prescrizione, la Corte condanna gli amministratori del comune che non avevano assunto i provvedimenti necessari a contrastare la collocazione abusiva di cartelli ed altri mezzi di pubblicità sulla viabilità del territorio comunale.

[64] Sulla reciproca influenza tra attività giurisdizionale e di controllo A. Azzena, Aspetti evolutivi della giurisdizione della Corte dei conti, in Riv. Corte conti, n. 3-4/2016, 476 ss. G. D’Auria, Le mutazioni dei controlli amministrativi e la Corte dei conti: a un quarto di secolo da una storica riforma, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, 705.

[65] Corte dei Conti, sez. giur. Sicilia, n. 426/2020.

[66]   Il decreto legge 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “decreto semplificazioni”) ha disposto all’articolo 21, in via temporanea (la norma prevedeva il termine del 31 dicembre 2021, poi prorogato al 30 giugno 2023; attualmente è in discussione una ulteriore proroga, fortemente contrastata dalla Corte dei conti, al 31 dicembre 2025), che la responsabilità erariale è limitata ai casi in cui “la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta”. Pertanto, il presupposto richiesto, ai fini della configurazione della responsabilità erariale, è limitato al dolo; il funzionario non sarà responsabile se il danno è causato da un comportamento gravemente colposo. Questo ridimensionamento dei presupposti soggettivi della responsabilità erariale è circoscritto alle sole condotte commissive, con l’evidente obiettivo di incoraggiare l’amministrazione ad agire, scoraggiando di contro i comportamenti ostruzionistici e difensivi; non si applica quindi alle omissioni, per le quali si continuerà a rispondere per colpa grave. Tra i numerosi commenti alla riforma, perlopiù in senso critico, L. Carbone, Una responsabilità erariale transitoriamente “spuntata”. Riflessioni a prima lettura dopo il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “decreto semplificazioni”), in federalismi.it, 2020; G. Bottino, Le azioni e le omissioni nella responsabilità erariale, in Bilancio, comunità, persona, n.1/2021.

[67]  G. Bottino, Rischio e responsabilità amministrativa, Editoriale scientifica, Napoli, 2017.

[68] Si evidenzia, a tal proposito (L. Balestra, cit., 20) come in epoca recente si è assistito al proliferare di fattispecie di responsabilità amministrativa omissiva, quale conseguenza dei sempre più numerosi obblighi di vigilanza e di controllo, che vedono come destinatari i pubblici amministratori, e di una stringente procedimentalizzazione, anche sotto il profilo delle tempistiche, dell’azione amministrativa.

[69] Da ultimo S. Cassese, La nuova discrezionalità, relazione al convegno Aipda, Bologna, 6-7 ottobre 2022, in aipda.it

[70] L’art. 2, c. 4-bis, dispone che «Le pubbliche amministrazioni misurano e pubblicano nel proprio sito internet istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente”, i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente».

[71] Che obiettivo prevalente della responsabilità amministrativa sia la deterrenza sembra confermato dalla circostanza che il legislatore è d’uso ricordare, con evidente ridondanza, le conseguenze che dalla violazione di questa o di quell’altra disposizione derivano in termini di responsabilità erariale.

[72] Recita la disposizione: «La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonchè di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente». Un’ipotesi di danno diretto si rinviene anche nel d.lgs. n. 198/2009 in tema di class action pubblica, proponibile, tra l’altro, anche per violazione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi, laddove è previsto che la sentenza di accoglimento della domanda, nei confronti di una pubblica amministrazione, è comunicata, dopo il passaggio in giudicato (anche) alla procura regionale della Corte dei conti per i casi in cui emergano profili di responsabilità erariale. Com’è noto, infatti, l’azione di classe non è finalizzata al risarcimento del danno, sicché l’eventuale danno erariale avrebbe natura di danno diretto.

[73] Dispone l’art. 52:  «Ferme restando le disposizioni delle singole leggi di settore in materia di denuncia di danno erariale, i responsabili delle strutture burocratiche di vertice delle amministrazioni, comunque denominate, ovvero i dirigenti o responsabili di servizi, in relazione al settore cui sono preposti, che nell’esercizio delle loro funzioni vengono a conoscenza, direttamente o a seguito di segnalazione di soggetti dipendenti, di fatti che possono dare luogo a responsabilità erariali, devono presentarne tempestiva denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente competente». La disposizione sostanzia un’ipotesi di responsabilità omissiva, in quanto grava sui soggetti al vertice delle articolazioni amministrative e sugli organi di revisione e controllo, segnalare prontamente alla competente procura della Corte dei conti i fatti che possano dare luogo a responsabilità erariale e di cui abbiano preso notizia nell’esercizio delle proprie funzioni. Sul ruolo, sui compiti istruttori e sulle valutazioni del dirigente, J. Bercelli, L’obbligo di denuncia di danno erariale dopo il d.l. semplicazione del 2020, in Dir. e proc. amm., n. 2/2021, 335 ss., il quale sottolinea il ruolo non di mero “passacarte” dell’organo di vertice.

[74] Delibera n. 243/2012 dell’ARERA; v. anche delibera n. 401/10 dell’AGCOM. Su questi temi, in particolare sui procedimenti delle Autorità, Il potere sanzionatorio delle Autorità amministrative indipendenti, a cura di M. Allena e S. Cimini, in Il diritto dell’economia (approfondimenti), n. 3/2013.

[75] Ruolo che, in ossequio ai parametri costituzionali ed europei, cresce a partire dagli anni ’90 e che la Corte di Cassazione le ha riconosciuto affermando che «la giurisdizione della Corte dei conti ha natura tendenzialmente generale, dotata di forza espansiva ogniqualvolta è in gioco il maneggio di denaro pubblico e manchino espresse limitazioni legislative in materia di contabilità pubblica» (Corte cass., SS.UU. civili, n. 5595/2020 e n. 6/2021). In tal senso, l’approvazione della legge n. 20 del 1994 si inscrive all’interno di un decennio di riforme che, a partire dai principi espressi nell’art. 1 della l. n. 241/1990, offre un nuovo modello di amministrazione pubblica (A. Pubusa, L’attività amministrativa in trasformazione, Giappichelli, Torino, 1993; F. Tigano, Recenti profili evolutivi della pubblica amministrazione, Giappichelli, Torino, 2008; T. Miele, Corte dei conti e rinnovamento della pubblica amministrazione: un percorso parallelo, in Riv. Corte conti, n. 6/2021).