Preparazione della causa, verifiche preliminari e contraddittorio fra rito ordinario e semplificato dopo il c.d. correttivo Cartabia

Di Filippo Noceto -

Sommario: 1. Cardini dell’attuale fase di preparazione della causa. – 2. Ineludibili interventi della Consulta sul meccanismo delle verifiche preliminari. – 3. Quer pasticciaccio brutto… Mancata ricezione delle prescrizioni della Consulta nel c.d. correttivo Cartabia. – 4. Possibili modalità di esercizio del contraddittorio sulle questioni oggetto delle verifiche preliminari. – 4.1. Contraddittorio differito. – 4.2. Contraddittorio preventivo. – 4.3. Contraddittorio preventivo in via differita. – 5. Anticipazione del momento per la conversione del rito ordinario in semplificato. – 6. Regime delle preclusioni nel rito semplificato. – 7. Minime considerazioni conclusive.

1.Cardini dell’attuale fase di preparazione della causa

Con l’emanazione del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, il legislatore ha introdotto una serie di interventi correttivi espressamente intesi a «garantire la piena efficacia» del disegno riformatore delineato dalla l. 26 novembre 2021, n. 206 e in seguito attuato mediante il relativo d.lgs. 31 ottobre 2022, n. 149[1]. Tale decreto correttivo si configura come una sorta di completamento della cosiddetta riforma Cartabia del processo civile, della quale risulta interamente confermato l’impianto generale, in coerenza con gli impegni assunti a livello europeo nell’ambito del PNRR-Giustizia[2]. L’ottica di perfezionamento delle disposizioni adottate con il precedente d.lgs. n. 149/2022 ha inoltre condotto a rinviare «a un secondo momento una più compiuta valutazione sul merito delle scelte effettuate in sede di attuazione della delega», confidando in un fisiologico assestamento dello status quo[3]. Sembra tuttavia sin d’ora possibile anticipare come la presente indagine induca a ritenere che il momento di riconsiderare le soluzioni legislative prescelte sia probabilmente già sopraggiunto, quantomeno con riguardo ai cardini della nuova disciplina della fase di preparazione della causa[4].

Come ampiamente noto, la riforma Cartabia ha inteso perseguire l’ambizioso obiettivo di un «riassetto formale e sostanziale del processo civile» di primo grado attraverso due rilevanti innovazioni[5]. Per un verso, lungo una direttrice ormai consueta dell’elaborazione riformatrice, ha preso forma una profonda ristrutturazione della fisionomia della fase preparatoria del rito ordinario[6]. Per altro verso, in una speculare logica di complemento rispetto alle novità suddette, è stato introdotto un nuovo procedimento semplificato di cognizione, che si distingue dal previgente rito sommario proprio in relazione all’assetto delle attività di preparazione e istruzione della controversia[7].

In linea generale, i modelli procedimentali in discorso presentano analogie e differenze che dovrebbero concorrere alla definizione delle rispettive connotazioni funzionali, all’interno di un quadro d’insieme coerente con i propositi di «semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile» enunciati dalla l. n. 206/2021 (art. 1, comma 1, l. n. 206/2021)[8].

Limitando l’attenzione ai profili concernenti la fase di preparazione della causa, pare innanzitutto possibile evidenziare come la disciplina del contenuto degli atti introduttivi risulti pressoché identica fra i due riti, in particolare con riferimento all’articolazione delle barriere preclusive inziali (artt. 163, 167 e 281-undecies c.p.c.)[9]. A tale dato normativo sembra poi doversi collegare la previsione di reciproci momenti di raccordo fra l’uno e l’altro procedimento, ora collocati in posizione simmetrica a seguito dello scambio degli atti introduttivi. E ciò, segnatamente, per effetto dell’anticipazione – in sede di verifiche preliminari (art. 171-bis, comma 4, c.p.c.) – dell’eventuale pronuncia del provvedimento di conversione del rito ordinario, disposta dal d.lgs. n. 164/2024 (v., infra, § 5). Simili riscontri potrebbero persino indurre a ritenere che non si sia in presenza di autonomi modelli procedimentali, quanto piuttosto di distinti percorsi di trattazione della controversia orientati a un’allocazione proporzionale ed efficiente delle risorse processuali[10]. Si intravedrebbero così, almeno in parte, presupposti sintomatici di un progressivo allineamento del nostro sistema alle tendenze evolutive da tempo affermatesi in ordinamenti più o meno affini, come quello francese e quello inglese[11]. Al di là di suggestivi parallelismi, con riguardo alle differenze che intercorrono fra l’uno e l’altro modello, pare effettivamente possibile rilevare come la strutturazione delle attività trattatorie risulti diversamente modulata in ragione della presumibile semplicità o complessità della controversia[12]. Sulla base di tale dicotomia selettiva, il processo ordinario di cognizione risulterebbe riservato alle cause complesse, offrendo una scansione rigida e prevedibile dell’intera fase preparatoria. Per converso, il rito semplificato sarebbe destinato alle cause di più agevole soluzione, delineando un percorso trattatorio maggiormente flessibile e articolabile dal giudice entro opzioni predeterminate[13].

La sintetica ricostruzione dei tratti apparentemente qualificanti l’approccio seguito dal legislatore nella riforma della disciplina della fase preparatoria sembra tuttavia trovare solo parziale riscontro nelle soluzioni normative concretamente adottate. E può anzi cogliersi una certa ambiguità dell’agire legislativo, verosimilmente riconducibile alla peculiare genesi del moto riformatore culminato nell’approvazione della l. n. 206/2021 e, in particolar modo, alla predominante esigenza di tradurre in norme la vaga filosofia economicista sottesa al PNRR-Giustizia[14].

In questa chiave pare doversi leggere la scelta propriamente caratterizzante il riassetto della consolidata architettura del processo ordinario di cognizione, ossia l’integrale anticipazione della trattazione della causa rispetto all’udienza di prima comparizione delle parti. È ben noto come un siffatto meccanismo sia già stato sperimentato, con esiti prevalentemente infruttuosi, nella storia del nostro processo civile. Basti qui ricordare come la parabola del cosiddetto rito societario rappresenti soltanto la più recente trasposizione di un paradigma procedimentale variamente recepito dalle codificazioni liberali italiane del XIX secolo in virtù di una tradizione assai risalente[15]. Tuttavia, a fronte dell’obiettivo indicato nel PNRR-Giustizia di «concentrare maggiormente le attività tipiche della fase preparatoria», la prospettiva di uno svolgimento anticipato della trattazione rispetto alla prima udienza deve essere parsa una soluzione appropriata, considerati anche i tempi ristretti previsti per l’approvazione della l. n. 206/2021[16]. Sembra del resto opportuno evidenziare come l’idea di anticipare, in tutto o in parte, lo sviluppo delle attività trattatorie rispetto all’udienza avesse già trovato progressivo accoglimento nei progetti di riforma del processo civile succedutisi nell’arco di circa un quindicennio. Pare invero possibile ravvisare, a questo riguardo, una certa continuità di elaborazione almeno a partire dalle proposte formulate nel progetto Vaccarella del 2013, favorevoli all’introduzione del deposito pre-udienza della sola memoria di replica dell’attore[17]. Simili proposte si rinvengono ulteriormente implementate, sebbene in modo non organico, nel successivo progetto Orlando del 2015, proprio nel segno di quell’integrale anticipazione della fase di trattazione che troverà compiuta forma nella l. n. 206/2021[18].

Questo breve excursus può risultare altresì utile per segnalare come le principali riserve espresse dalla dottrina in relazione al modello della trattazione anticipata configurato dalla l. n. 206/2021 fossero già emerse nel dibattito sviluppatosi a seguito della pubblicazione del progetto Orlando. Si osservava, ad esempio, come un siffatto sistema avrebbe «mostrato tutti i suoi inconvenienti in riferimento ai processi con più di due parti», accentuando il rischio di «regressioni del processo a fasi preliminari» qualora fossero successivamente riscontrati vizi afferenti all’instaurazione del contraddittorio[19]. Sulla medesima linea, si manifestavano inoltre condivisibili preoccupazioni legate tanto all’involuzione burocratica del ruolo del giudice, quanto al profondo snaturamento della connotazione intrinsecamente dialettica e dialogica della trattazione della controversia[20].

Simili rilievi non hanno tuttavia persuaso il legislatore della riforma Cartabia riguardo alla possibilità che un modello così congegnato potesse rivelarsi una «modifica dannosa», nonché plausibilmente inidonea a fronteggiare proprio quelle cause complesse cui si è invece inteso riservarne l’applicazione[21]. Per converso, si riteneva che le criticità segnalate in dottrina potessero essere superate anticipando, rispetto alla prima udienza, anche il compimento delle verifiche preliminari sulla regolare costituzione del rapporto processuale, effettivamente divenute nell’assetto delineato dal d.lgs. n. 149/2022 il vero cardine della fase preparatoria del rito ordinario.

A seguito dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo, ulteriori interrogativi si sono notoriamente posti in dottrina con riguardo alla disciplina e alle concrete chances di funzionamento dell’istituto delle verifiche preliminari[22]. Rinviando al prosieguo una più analitica disamina delle disposizioni dettate dall’art. 171-bis c.p.c., basti brevemente ricordare come uno dei difetti ricorrentemente imputati al previgente sistema di trattazione della controversia risiedesse nella difficoltà per il giudice di giungere adeguatamente preparato all’udienza di prima comparizione delle parti[23]. Un’udienza che, pertanto, si risolveva soventemente nella mera concessione alle parti dei termini per lo scambio delle memorie di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. Come altrettanto noto, gli ostacoli a una «reale e informata partecipazione all’udienza» venivano per lo più ricondotti all’eccessivo carico di lavoro gravante sui giudici, tale da precludere un attento esame degli atti introduttivi in vista dell’udienza di trattazione[24].

A fronte di un simile stato di cose, si è comprensibilmente dubitato della reale praticabilità dell’obbligo del giudice di rilevare e risolvere in maniera per così dire solipsistica un’articolata serie di questioni processuali attinenti alla regolarità del contraddittorio entro il ristretto termine di quindici giorni (art. 171-bis, commi 1-2, c.p.c.), specie in relazione a cause presumibilmente complesse[25]. Occorre indubbiamente dare atto, sotto tale profilo, dell’ingente investimento di risorse destinato all’implementazione dell’Ufficio per il processo (UPP), struttura espressamente concepita per supportare il magistrato anche nello svolgimento delle verifiche preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c. (art. 5, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 151)[26]. Tuttavia, oltre alle limitate prospettive di stabilizzazione del personale attualmente in servizio presso l’UPP, pare inevitabile constatare come la concreta applicazione dell’istituto in discorso si sia stabilmente orientata verso prassi tese a diluire la stringente scansione temporale prevista dall’art. 171-bis c.p.c.

L’evidente necessità di adeguare il meccanismo delle verifiche preliminari alle effettive possibilità operative delle strutture giudiziarie ha peraltro contribuito ad attenuare i molteplici rischi insiti nell’assenza di una preventiva interlocuzione fra parti e giudice in ordine alle possibili questioni concernenti la corretta costituzione del rapporto processuale. In effetti, come subito meglio si dirà, la soluzione affermatasi nella prassi, ossia quella di fissare un’apposita udienza anticipata per la discussione delle suddette questioni, ha di fatto scongiurato una declaratoria di incostituzionalità dell’art. 171-bis c.p.c. da parte della Consulta, rendendo possibile un’interpretazione della disposizione in commento conforme al principio del contraddittorio (v., infra, § 4). Nondimeno, anche su tale versante, l’approccio seguito dal legislatore della riforma pare discostarsi dalle indicazioni offerte dalla prassi e finanche dalle posizioni assunte dalla Corte costituzionale con la sentenza 3 giugno 2024, n. 96 (v., infra, § 3). Infatti, come diffusamente si vedrà dinanzi, il mancato allineamento del d.lgs. n. 164/2024 alle prescrizioni della Consulta determina rilevanti problemi di ordine pratico-applicativo dell’attuale disciplina delle verifiche preliminari, lasciando presumere un possibile nuovo scrutinio di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c. (v., infra, § 4.1-4.3.).

Considerazioni in parte analoghe possono estendersi alle disposizioni relative al procedimento semplificato di cognizione, la cui elaborazione affonda le radici nel d.d.l. A.S. n. 2284/XVII/2016 (risultante dalla revisione del già citato progetto Orlando) e, in particolare, nella «proposta B» formulata dalla commissione Luiso[27]. Come già anticipato, tale modello procedimentale dovrebbe differenziarsi dal rito ordinario per la presenza di termini più ridotti, ma ugualmente prevedibili, con riguardo allo svolgimento delle difese e al maturare delle preclusioni (art. 1, comma 5, lett. n), n. 4), l. n. 206/2021)[28]. E ciò, del resto, in conformità con l’obiettivo di assicurare una scansione delle attività allegatorie e probatorie delle parti effettivamente adeguata a controversie di minore complessità o di più agevole soluzione. Un’ulteriore conferma in tal senso sembrerebbe provenire dalla previsione di un ambito di applicazione obbligatoria del rito semplificato (art. 281-decies, comma 1, c.p.c.), virtualmente vincolante sia per l’attore, al momento dell’instaurazione del giudizio, sia per il giudice davanti al quale penda una causa impropriamente introdotta nelle forme del rito ordinario[29].

Riservando al seguito la disamina delle più articolate questioni poste dall’inclusione del provvedimento di conversione del rito nel novero delle decisioni che il giudice può assumere d’ufficio in sede di verifiche preliminari (art. 171-bis, comma 4, c.p.c.), qualche breve osservazione sul punto pare opportuna. Sembra innanzitutto possibile scorgere una certa aporia di sistema nella scelta di delimitare un perimetro di applicazione obbligatoria del rito semplificato esclusivamente concepito in funzione della presumibile superfluità o non complessità dell’istruttoria, senza tuttavia prevedere specifiche preclusioni probatorie collegate agli atti introduttivi[30]. Con ciò naturalmente non si intende sostenere o suggerire una revisione della disciplina degli scritti difensivi iniziali ispirata al peculiare modello lavoristico, ovvero alle «perversioni del principio di eventualità»[31]. Sembra piuttosto doversi evidenziare come tale circostanza finisca quantomeno per attenuare la portata dell’obbligo del giudice di valutare la sussistenza dei presupposti per il mutamento del rito ordinario in semplificato. Il relativo provvedimento di conversione andrebbe infatti pronunciato inaudita altera parte sulla base del solo esame degli atti introduttivi, ossia a fronte di un quadro possibilmente ancora incompleto delle istanze e delle concrete esigenze istruttorie della controversia, rendendo pertanto non improbabile un successivo ritorno al rito ordinario (v., infra, § 5).

Per altro verso, la configurazione di un percorso trattatorio specificamente strutturato per le cause di più agevole soluzione sembra difficilmente conciliabile con la previsione che consente all’attore di avvalersi del rito semplificato in tutte le ipotesi in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, anche in assenza dei presupposti di non-complessità della lite (art. 281-decies, comma 2, c.p.c.)[32]. Si è giustamente osservato in dottrina come ciò attribuisca all’attore un ampio potere discrezionale di scelta del rito, destinato inevitabilmente a riflettersi sull’estensione dei termini per la costituzione del convenuto[33]. Infatti, rispetto ai cinquanta giorni normalmente disponibili in caso di applicazione del rito ordinario (artt. 163-bis, comma 1, e 166 c.p.c.), il convenuto beneficerebbe di soli trenta giorni per costituirsi in giudizio nelle forme del rito semplificato (art. 281-undecies, comma 2, c.p.c.). Tale compressione del termine a difesa risulta inoltre non recuperabile neppure in caso di successiva conversione del rito semplificato in ordinario, rimanendo ferme le preclusioni e decadenze già maturate con il deposito della comparsa di risposta (art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c.)[34].

Un’ulteriore virtuale discrasia rinvenibile nella disciplina del procedimento semplificato sembra risiedere nella non chiara articolazione del regime delle preclusioni assertive e probatorie poste a carico delle parti nella fase di trattazione della causa. Pur senza scendere in un particolareggiato esame delle disposizioni di riferimento, pare significativo notare come l’intervento correttivo del d.lgs. n. 164/2024 si connoti, anche sotto tale profilo, per un recepimento solo parziale e non risolutivo delle criticità applicative già segnalate in dottrina. Basti anticipare come le preclusioni inerenti tanto all’esercizio dello ius poenitendi, quanto alle deduzioni e produzioni istruttorie, continuino a dover essere ricavate solo per implicito dal disposto dell’art. 281-duodecies c.p.c., in evidente distonia con i principi al riguardo enunciati dalla l. n. 206/2021 (v., infra, § 6). La medesima circostanza pare altresì rappresentare un serio ostacolo rispetto all’obiettivo di favorire un ampio ricorso alle forme del rito semplificato, anche al di fuori del suo ambito di applicazione obbligatoria e quasi in una prospettiva di «ribaltamento di ruoli» nei confronti del rito ordinario[35]. Sembra del resto pienamente condivisibile il rilievo secondo cui gli avvocati «seguitano a prediligere il rito in cui le risorse difensive possono essere modulate secondo i ritmi della gradualità […], piuttosto che ispirate al principio di eventualità»[36]. Pare, in effetti, che proprio questo aspetto della disciplina del rito semplificato debba costituire oggetto di attenta riconsiderazione ad opera del legislatore, specialmente qualora l’ormai oltremodo farraginoso assetto dell’istituto delle verifiche preliminari dovesse effettivamente condurre a una «fuga dal rito ordinario»[37].

2.Ineludibili interventi della Consulta sul meccanismo delle verifiche preliminari

Con la sentenza 3 giugno 2024, n. 96, la Consulta si è notoriamente pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c., prospettando un composito insieme di soluzioni ermeneutiche volte a preservare la conformità del meccanismo delle verifiche preliminari con il diritto di difesa e il principio del contraddittorio sanciti dall’art. 24 Cost[38].

L’intervento del Giudice delle leggi trae origine dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Verona del 22 settembre 2023, con la quale erano state invero sollevate tre distinte questioni di costituzionalità della norma nella sua formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 164/2024[39]. In ogni modo, avendo il legislatore confermato integralmente i profili dell’art. 171-bis c.p.c. ritenuti dalla Consulta non in linea con le garanzie difensive riconosciute dall’art. 24 Cost., le opzioni ermeneutiche sopra richiamate conservano piena rilevanza anche nel vigente assetto normativo; e ciò, del resto, in virtù della peculiare efficacia attribuita alle sentenze interpretative di rigetto pronunciate dalla Corte costituzionale[40] (v., infra, § 3).

Le medesime ragioni consentono di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure formulate dal giudice rimettente sulla presunta incostituzionalità dell’art. 171-bis c.p.c. in rapporto ai parametri dell’eccesso di delega (art. 76 Cost.) e dell’irragionevole disparità di trattamento fra le due tipologie di questioni rilevabili d’ufficio contemplate dalla disposizione in discorso (art. 3 Cost.). D’altronde, seppur attraverso un iter argomentativo forse «eccessivamente schematico» in ordine al possibile contrasto della norma con il principio della ragionevolezza, la Consulta ha dichiarato l’infondatezza delle suddette questioni senza ricorrere all’espediente dell’interpretazione adeguatrice[41]. Prima di esaminare la portata dei correttivi ermeneutici intesi a ricondurre il meccanismo delle verifiche preliminari entro uno schema compatibile con il disposto dell’art. 24 Cost., non pare superfluo porre in risalto lo spirito salvifico sotteso all’intervento del giudice costituzionale.

Costituisce una circostanza ampiamente rilevata in dottrina che la Consulta abbia in qualche misura ritenuto di dover prediligere una linea di pragmatica cautela, approntando soluzioni «ortopediche» che si auspicava potessero assicurare continuità alle sorti del processo ordinario di cognizione sino all’emanazione del decreto correttivo[42]. Emblematica appare al riguardo la chiosa finale del percorso argomentativo sviluppato dalla Corte, le cui conclusioni vengono esplicitamente poste in relazione anche all’apparente intenzione del legislatore «di voler intervenire per superare alcune criticità dell’art. 171-bis c.p.c.», mediante lo schema di decreto legislativo allora in fase di consolidamento[43].

Pare inoltre altrettanto agevole constatare come il proposito di scongiurare un’immediata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c. fosse motivato anche dall’esigenza di non compromettere gli sforzi compiuti dal legislatore per dare attuazione alle istanze di efficientamento della giustizia civile provenienti dalle istituzioni europee[44]. Un obiettivo, questo, cui non avrebbe certo giovato una pronuncia di incostituzionalità di una delle «norma quadro» del nuovo assetto del processo ordinario di cognizione[45].

Ulteriori conferme della sintonia di intenti volta a orientare l’esito dello scrutinio di legittimità della disposizione in parola si rinvengono poi nelle diverse argomentazioni svolte a supporto della percorribilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata. Basti qui anticipare come la principale soluzione prescelta dalla Consulta, consistente nella fissazione di un’udienza ad hoc per la decisione in contraddittorio delle questioni oggetto di verifiche preliminari, fosse stata sostenuta finanche dalla difesa dell’Avvocatura dello Stato, anche in ragione della sua già diffusa sperimentazione nella prassi giudiziaria[46]. Non meno sintomatica appare altresì la connotazione «residuale e verosimilmente eccezionale» a più riprese attribuita dalla Corte alle soluzioni interpretative previste per il caso in cui non trovasse applicazione la prima fra quelle individuate[47].

Non pare dunque azzardato osservare come l’impostazione seguita dalla Consulta mirasse a conciliare il tenore delle garanzie processuali sancite dall’art. 24 Cost. con pragmatiche esigenze di conservazione dell’impianto della riforma Cartabia, predisponendo provvisori rimedi ermeneutici idonei a colmare un vulnus costituzionale efficacemente emendabile dal solo legislatore. Tale pur manifesto auspicio di adeguamento legislativo non ha tuttavia trovato attuazione con gli interventi correttivi introdotti dal d.lgs. n. 164/2024, la cui portata sembra anzi in qualche misura accentuare i profili di criticità già emersi sul piano dell’effettività del diritto al contraddittorio.

3.Quer pasticciaccio brutto… Mancata ricezione delle prescrizioni della Consulta nel c.d. correttivo Cartabia

Come si è anticipato, con la sentenza n. 96/2024 la Consulta ha affrontato la questione della compatibilità del meccanismo delle verifiche preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c. con le garanzie costituzionali del diritto di difesa e del principio del contradittorio, risolvendola mediante una pronuncia interpretativa di rigetto[48].

È noto come tale tipologia di decisioni non sia assistita dall’efficacia vincolante erga omnes che l’ordinamento riserva espressamente alle sole sentenze di accoglimento della questione di legittimità costituzionale (artt. 136, comma 1, Cost. e 30, comma 3, l. 11 marzo 1953, n. 87). Secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, simili pronunce non risultano tuttavia prive di effetti vincolanti anche nei confronti di giudici diversi da quello remittente. In particolare, dall’interpretazione adeguatrice fornita dalla Consulta discende un vincolo di tipo negativo al successivo ius dicere, consistente nel divieto di applicare la disposizione censurata nel significato ritenuto non conforme al parametro costituzionale scrutinato dalla Corte[49].

Il fondamento di tale limitazione viene comunemente individuato nel generale dovere dei giudici di interpretare la legge secundum Constitutionem (art. 101, comma 2, Cost.), dal quale si ricava altresì un residuo margine di autonomia nell’attività ermeneutica del giudicante. Qualora non intenda aderire all’interpretazione indicata dalla Consulta, il giudice ordinario conserva, infatti, la facoltà di seguire una differente lettura costituzionalmente orientata, ovvero di sollevare nuovamente – in diverso grado del giudizio a quo o in altro processo – la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione[50].

Chiarito il grado di vincolatività generalmente riconosciuto alle decisioni interpretative di rigetto, occorre ora interrogarsi sulla specifica rilevanza che le soluzioni ermeneutiche prospettate dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024 continuano a rivestire nell’attuale assetto normativo.

È già stato osservato come il d.lgs. n. 164/2024 si sia consapevolmente discostato dalle indicazioni espresse dalla Corte costituzionale, disattendendo l’auspicio di un adeguamento del meccanismo delle verifiche preliminari alle esigenze di salvaguardia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. L’approccio seguito dal legislatore delegato sembra invero emergere con particolare nettezza dalle principali modifiche apportate all’art. 171-bis c.p.c., la cui portata appare complessivamente orientata a una rimodulazione formale e funzionale dell’istituto delle verifiche preliminari nel solco dell’impostazione previgente.

In tale prospettiva sembrano innanzitutto collocarsi gli interventi settoriali diretti a ridisegnare l’ossatura della disposizione in esame, nell’intento di chiarire in modo più puntuale sia la scansione temporale sia la natura cogente delle attività demandate al giudice istruttore. Emblematica appare al riguardo la nuova formulazione del primo comma dell’art. 171-bis c.p.c., espressamente intesa a porre in risalto il doveroso compimento delle verifiche preliminari sulla regolare costituzione del contraddittorio, entro i consueti quindici giorni successivi alla scadenza del termine di cui all’art. 166 c.p.c[51]. La scelta di isolare la previsione di tale incombente in un apposito capoverso non pare certo risolutiva dei dubbi sollevati in dottrina circa la configurabilità di un vero e proprio obbligo in capo al giudice[52]. Sembra in effetti rimanere decisiva in proposito l’assenza di specifiche sanzioni a carico del giudice, così come di conseguenze pregiudizievoli sul piano della validità dei successivi atti processuali[53].

Occorre tuttavia rilevare come l’esplicito riconoscimento del potere/dovere del giudice di risolvere d’ufficio le questioni oggetto delle verifiche preliminari si ponga in evidente contrasto con il corrispondente assetto delle garanzie difensive delle parti delineato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 96/2024. Basti qui anticipare come l’interpretazione adeguatrice fornita dalla Consulta abbia di fatto sancito l’immanenza costituzionale di un diritto delle parti al preventivo esercizio del contraddittorio sulla decisione di tali questioni (v., infra, § 4). In presenza di un così manifesto scarto rispetto al tenore letterale dell’art. 171-bis, comma 1, c.p.c., pare dunque agevole constatare come il giudice sia tenuto a disapplicare la norma in ossequio ai principi ermeneutici fissati dalla Corte. Un simile obbligo discende, come si è visto, dalla peculiare efficacia delle sentenze interpretative di rigetto, la cui vincolatività lascia al giudice soltanto l’alternativa fra aderire a una – pur diversa – lettura costituzionalmente conforme, oppure sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c.

Le medesime considerazioni sembrano a maggior ragione estendibili alle ulteriori innovazioni introdotte dal legislatore nell’ambito della disposizione in discorso. Un primo riferimento concerne la conversione del rito ordinario in semplificato, che si prevede debba essere disposta d’ufficio dal giudice inaudita altera parte (art. 171-bis, comma 4, c.p.c.), secondo un modello analogo a quello prescritto per il più ampio novero dei provvedimenti da adottare in sede di verifiche preliminari (art. 171-bis, comma 2, c.p.c.)[54]. Oltre ai già rilevati profili di contrasto con l’assetto delle garanzie difensive delineato dalla Consulta, la nuova disciplina del mutamento del rito ordinario non pare comunque esente da autonomi dubbi di legittimità costituzionale. Come si avrà modo di illustrare, tali perplessità paiono riconducibili alla non chiara individuazione del regime delle preclusioni gravanti sulle parti a seguito della pronuncia del decreto di conversione del rito, sin da subito oggetto di letture discordanti tanto in dottrina quanto in giurisprudenza (v., infra, § 5).

Un secondo, e ancor più problematico, snodo critico delle novità introdotte in materia dal d.lgs. n. 164/2024 pare rinvenirsi nella disciplina delle attività conseguenti all’adozione degli eventuali provvedimenti diretti alla sanatoria dei vizi processuali degli atti introduttivi, ovvero all’integrazione del contraddittorio. A seguito dell’emissione di tali provvedimenti e del consequenziale rinvio della data dell’udienza ex art. 183 c.p.c. indicata nell’atto di citazione, si prevede che il giudice debba rinnovare le verifiche preliminari almeno cinquantacinque giorni prima della nuova udienza di comparizione (art. 171-bis, comma 2, c.p.c.)[55].

Nel disegno del legislatore delegato, l’introduzione di un sistema di seconde verifiche preliminari risponde a una pluralità di obiettivi, accomunati dalla finalità di garantire la risoluzione delle questioni inerenti alla regolare costituzione del rapporto processuale prima dell’udienza di comparizione[56]. Mediante le nuove verifiche, il giudice dovrà innanzitutto accertare l’effettivo adempimento ad opera delle parti degli ordini di rinnovazione o di sanatoria impartiti all’esito delle prime verifiche preliminari. In caso positivo, seguirà la pronuncia del decreto di conferma (o di differimento ex art. 168-bis c.p.c.) dell’udienza di comparizione, con contestuale indicazione delle eventuali questioni relative alle condizioni di procedibilità della domanda, nonché delle ulteriori questioni rilevabili d’ufficio da trattarsi nelle memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c. (art. 171-bis, comma 3, c.p.c.). In tale sede, potrà altresì rendersi necessaria la sanatoria di vizi processuali, nuovi ovvero non precedentemente rilevati, così come l’integrazione del contraddittorio nei confronti di terzi (si pensi, ad esempio, alle fattispecie previste dagli artt. 102 e 271 c.p.c.). Per converso, nell’ipotesi di inottemperanza ai provvedimenti emanati in seguito alle prime verifiche preliminari, potrebbe ritenersi che il giudice sia tenuto a dichiarare l’estinzione del processo per inattività delle parti ai sensi dell’art. 307, comma 3, c.p.c. Una simile eventualità, pur non priva di qualche fondamento e in certa misura coerente con la funzione assegnata alle seconde verifiche, finirebbe tuttavia per porsi in insanabile contrasto con le posizioni assunte dalla Consulta in ordine alla tutela del diritto di difesa e al rispetto del principio del contraddittorio[57]. E ciò, come si avrà occasione di evidenziare, anche in ragione delle comunque gravose conseguenze discendenti dalla riforma della sentenza di estinzione del processo in grado d’appello (v., infra, § 4.1.).

Da questa pur sintetica disamina delle principali innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 164/2024 sembra dunque emergere una piena, se non accresciuta centralità delle soluzioni ermeneutiche individuate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 96/2024. La concreta trasposizione dei rimedi interpretativi posti a presidio dell’effettività del diritto di difesa e del principio del contraddittorio solleva risvolti problematici di evidente rilievo sia per il funzionamento del meccanismo delle verifiche preliminari sia, in ultima analisi, per l’intero assetto della fase preparatoria del rito ordinario. L’altrettanto ardua praticabilità di ricostruzioni esegetiche ugualmente idonee ad assicurare un’applicazione costituzionalmente conforme dell’art. 171-bis c.p.c. sembra invero rendere oggi ineludibile l’alternativa tra una declaratoria di incostituzionalità della norma e un ulteriore intervento correttivo del legislatore.

4.Possibili modalità di esercizio del contraddittorio sulle questioni oggetto delle verifiche preliminari

Nel tentativo di sondare i possibili spazi per un’applicazione costituzionalmente conforme del meccanismo delle verifiche preliminari, occorre innanzitutto riferirsi alle specifiche soluzioni interpretative delineate dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024, essendo proprio queste, come visto, a circoscrivere l’effettivo ambito applicativo dell’art. 171-bis c.p.c. (v., retro, § 3).

In linea di estrema sintesi, nella visione della Corte costituzionale l’istituto delle verifiche preliminari si pone in contrasto con l’art. 24 Cost. nella misura in cui consente al giudice di risolvere inaudita altera parte determinate questioni processuali, seppur attraverso provvedimenti sempre suscettibili di revoca o modifica su istanza di parte. Un simile assunto sembra fondarsi su un’ontologica differenziazione qualitativa fra il contraddittorio esercitato in via preventiva rispetto alla pronuncia di tali provvedimenti e quello attuato in via differita. Solo il primo sarebbe infatti idoneo a porre le parti «in condizione di esercitare in modo effettivo la facoltà di interloquire che è loro assicurata dall’art. 24 Cost.»[58].

Tuttavia, volendo evidentemente propendere per la via dell’interpretazione adeguatrice, la Consulta ha in qualche misura desistito dal portare alle estreme conseguenze il principio per cui il «contraddittorio ‘vero’ è solo quello preventivo», privilegiando invece articolate soluzioni «nomopoietiche»[59]. Esclusa l’opzione della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 171-bis c.p.c., il ricorso a un’interpretazione creativa rappresentava d’altronde un passaggio necessario per conferire un certo grado di effettività alla garanzia del contraddittorio preventivo nella decisione delle questioni oggetto delle verifiche preliminari. L’unica norma virtualmente idonea allo scopo, ossia l’art. 175 c.p.c., non poteva infatti «esser piegata fino a far ritenere un vero e proprio obbligo processuale del giudice» quello di fissare un’udienza ad hoc per risolvere tali questioni nel contraddittorio con le parti[60]. Di qui, dunque, l’esigenza di individuare correttivi ermeneutici alternativi alla pur ampiamente incoraggiata soluzione di far precedere la pronuncia del decreto sulle verifiche preliminari da un’apposita udienza – da tenersi eventualmente con le modalità di cui all’art. 127-bis c.p.c. – finalizzata a una preventiva interlocuzione con le parti (v., retro, § 2)[61].

I rimedi interpretativi individuati dalla Corte costituzionale appaiono essenzialmente intesi a consentire un recupero del contraddittorio preventivo, seppur in via formalmente differita rispetto all’emissione del decreto attualmente previsto dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. Nell’ipotesi in cui tale decreto venga adottato dal giudice non all’esito di una specifica udienza, ma direttamente d’ufficio, la decisione della Consulta riconosce alle parti la facoltà di richiedere la fissazione di un’udienza anticipata, rispetto a quella di prima comparizione, per illustrare le eventuali ragioni a sostegno della revoca o modifica del provvedimento.

La pur chiara configurazione di una siffatta prerogativa processuale non si accompagna tuttavia a una compiuta definizione dei relativi presupposti e corollari. Basti segnalare, per un verso, come non risulti indicato alcun termine per la proposizione dell’istanza di fissazione dell’udienza anticipata, derivando da ciò rilevanti questioni pratico-applicative sulle quali si tornerà diffusamente nel prosieguo. Per altro verso, in modo forse ancor più problematico sotto il profilo sistematico-argomentativo della pronuncia, non si rinvengono indicazioni neppure in ordine all’efficacia del decreto adottato inaudita altera parte, qualora il giudice lo confermi mediante ordinanza resa all’esito dell’udienza anticipata. A tale riguardo, sembra invero potersi cogliere una lacuna non priva di sostanziali risvolti per la complessiva tenuta della ricostruzione ermeneutica elaborata dalla Consulta. Infatti, ove si assuma che la conferma del decreto ne determini l’efficacia sin dal giorno della pronuncia, non solo si ricadrebbe in un normale schema di contraddittorio differito; ma si giungerebbe a equiparare il trattamento riservato a questa fattispecie alla distinta ipotesi in cui la parte non abbia richiesto la fissazione di un’udienza ad hoc per contestarne le risultanze.

Ciò posto, il recupero del contraddittorio preventivo in via differita, ossia a seguito della pronuncia del decreto sulle verifiche preliminari, si determina in modo evidente allorché il giudice non accolga l’istanza di fissazione di un’udienza anticipata rispetto a quella prevista dall’art. 183 c.p.c. In tale eventualità, la parte che non abbia ottemperato agli ordini di integrazione o di sanatoria impartiti con il decreto non incorre in alcuna conseguenza sanzionatoria, neppure qualora il provvedimento venga successivamente confermato con ordinanza emessa all’udienza di prima comparizione. Nel caso considerato si assiste quindi a un pieno recupero del contraddittorio preventivo: il decreto pronunciato inaudita altera parte resta infatti privo di efficacia cogente sin dalla sua adozione, e solo l’ordinanza resa all’udienza ex art. 183 c.p.c. risulta idonea a produrre effetti vincolanti per le parti.

Un distinto scenario si configura, invece, qualora la parte onerata dell’adempimento prescritto con il decreto di cui all’attuale art. 171-bis, comma 2, c.p.c. non abbia richiesto la fissazione di un’udienza ad hoc per ottenerne la revoca o la modifica. In tale ipotesi, si determinerebbe una sorta di sanatoria per acquiescenza (ex art. 157, comma 2, c.p.c.) del vizio derivante dal mancato esplicarsi di un contraddittorio preventivo sulle questioni processuali decise con il decreto, con conseguente riconduzione della fattispecie al modello del contraddittorio differito[62]. Infatti, se nonostante le obiezioni sollevate dalla parte all’udienza ex art. 183 c.p.c. il giudice conferma il provvedimento emesso inaudita altera parte, quest’ultimo conserva piena efficacia sin dal momento della sua pronuncia. Ne discende inoltre che, alla medesima udienza, la parte possa direttamente incorrere nelle conseguenze previste per l’inottemperanza agli ordini impartiti con il decreto.

Muovendo dunque dall’articolato ventaglio di soluzioni ermeneutiche prospettate dalla Consulta per assicurare un’interpretazione costituzionalmente conforme del meccanismo delle verifiche preliminari, si impone ora un esame più analitico del loro concreto impatto applicativo, anche al fine di vagliare la percorribilità di eventuali ricostruzioni alternative.

4.1. Contraddittorio differito

Come si è osservato, secondo i principi enunciati dalla Consulta, qualora la parte non solleciti la fissazione di un’udienza ad hoc a seguito della pronuncia del decreto di cui all’art. 171-bis, comma 2, c.p.c., il contraddittorio sulle questioni decise d’ufficio dal giudice si esplicherà in via differita all’udienza di prima comparizione. All’esito dell’interlocuzione con le parti potranno inoltre essere adottati i provvedimenti conseguenti all’eventuale inottemperanza degli ordini di sanatoria o di rinnovazione impartiti con il decreto.

Almeno due corollari paiono logicamente discendere dalla ricostruzione ermeneutica appena richiamata. Innanzitutto, la parte onerata degli incombenti disposti con il decreto conserva il diritto di contestarne i presupposti all’udienza di prima comparizione, anche avvalendosi delle argomentazioni eventualmente già svolte nelle memorie integrative previste dall’art. 171-ter c.p.c. Di conseguenza, in quella stessa sede, il giudice sarà tenuto a riesaminare le questioni processuali previamente decise inaudita altera parte, pronunciando un’ordinanza di conferma, revoca o modifica del decreto.

Appare evidente come la concreta applicazione di tali coordinate interpretative sia suscettibile di produrre rilevanti ripercussioni, tanto sul funzionamento del sistema di trattazione anticipata della causa delineato dagli artt. 171-bis e 171-ter c.p.c., quanto sullo svolgimento delle attività da compiersi all’udienza di comparizione delle parti.

Ferma restando la possibilità che nuove questioni processuali emergano a seguito dello scambio delle memorie integrative, ovvero direttamente all’udienza, anche su rilievo officioso del giudice, l’eventuale revoca di un decreto tempestivamente adempiuto sarebbe destinata a riverberarsi sugli scritti difensivi già depositati ai sensi dell’art. 171-ter c.p.c. Si pensi, emblematicamente, all’ipotesi di revoca di un ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte pretermesso (art. 102 c.p.c.). In una simile evenienza, appare inevitabile che, all’esito della cosiddetta estromissione impropria del terzo, il giudice debba disporre un nuovo scambio di memorie integrative fra le parti[63]. Un diverso epilogo potrebbe invece ritenersi plausibile nei casi in cui venga accertata l’erroneità del rilievo concernente un vizio della procura ex art. 182, comma 2, c.p.c., ovvero la superfluità della notificazione al contumace prevista dall’art. 292, comma 1, c.p.c. In simili ipotesi, non sembrerebbe imporsi un automatismo fra la revoca del decreto pronunciato a norma dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. e l’assegnazione di nuovi termini per il deposito delle memorie integrative[64].

La necessaria rivalutazione delle questioni processuali decise in sede di verifiche preliminari incide poi necessariamente sulle attività e sulla complessiva funzionalità dell’udienza di prima comparizione delle parti. È noto come la riforma Cartabia abbia inteso rivitalizzare l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., soprattutto mediante la reintroduzione dell’obbligo di comparizione personale delle parti, finalizzato allo svolgimento dell’interrogatorio libero e alla ricerca di una soluzione conciliativa della lite (art. 183, commi 1 e 3, c.p.c.)[65]. Tralasciando le pur condivisibili perplessità in ordine alla generalizzata obbligatorietà di tale previsione, non pare inverosimile che la doverosa riconsiderazione delle decisioni assunte all’esito delle verifiche preliminari possa compromettere il fisiologico espletamento degli incombenti previsti per la prima udienza. Anche a voler ipotizzare un ordine gradato fra le diverse questioni processuali da affrontare in quella sede, non appare agevole sostenere che il giudice debba innanzitutto procedere all’interrogatorio libero delle parti, anziché al riesame dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. I medesimi provvedimenti dovranno infatti essere necessariamente confermati, revocati o modificati, con tutte le conseguenze che l’eventuale inottemperanza della parte onerata è destinata a produrre sulla sorte del giudizio[66]. Non sembra, dunque, improbabile che il rilievo prioritario assunto dalle questioni processuali connesse al riesame del decreto pronunciato nell’ambito delle verifiche preliminari possa persino indurre le parti a comparire in udienza solo per il tramite dei rispettivi difensori muniti di procura speciale. Un’eventualità, questa, che finirebbe per riproporre una prassi consolidatasi fra il 1990 e il 2005, proprio al fine di eludere la formalità del tentativo obbligatorio di conciliazione, oggi ripristinato dal d.lgs. n. 149/2022[67].

Il denso quadro di complicazioni pratico-applicative sin qui delineato sembra peraltro destinato a ulteriori sviluppi di non trascurabile complessità, alla luce del già illustrato meccanismo delle seconde verifiche preliminari introdotto dal d.lgs. n. 164/2024 (v., retro, § 3). Potrebbe infatti ipotizzarsi che, nell’ambito di tale nuova fase, il giudice sia tenuto a pronunciare i provvedimenti conseguenti all’inottemperanza agli ordini di sanatoria o di rinnovazione impartiti con il decreto reso all’esito delle prime verifiche preliminari. Una simile prospettiva, pur non priva di un certo fondamento nella logica sottesa al meccanismo in esame, appare tuttavia difficilmente conciliabile tanto con fondamentali esigenze di giustizia, quanto con alcune inequivoche previsioni normative.

Muovendo dai principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 96/2024, pare anzitutto lecito dubitare della legittimità di una disciplina che consentisse al giudice di pronunciare d’ufficio la chiusura in rito del processo, sul presupposto dell’inottemperanza a un provvedimento parimenti adottato in assenza di contradditorio preventivo con le parti. Anche la possibilità di utilizzare gli ordinari rimedi impugnatori per contestare la legittimità o correttezza di una decisione così assunta non servirebbe a sanare pienamente il vulnus del sistema. Un siffatto scenario condurrebbe infatti a privare le parti di un grado di giudizio, giacché, per effetto del d.lgs. n. 149/2022, la riforma del provvedimento di estinzione non rientra più fra le ipotesi che comportano la rimessione della causa al primo giudice[68].

Sotto un distinto profilo, occorre osservare come le modalità con cui devono essere dichiarati gli effetti dell’inottemperanza agli ordini di sanatoria o di rinnovazione disposti dal giudice risultino difficilmente conciliabili con l’adozione di un (secondo) decreto reso inaudita altera parte in una fase preliminare del processo[69].

Infatti, qualora la mancata regolarizzazione di un vizio processuale comporti una declaratoria di inammissibilità – come nel caso del difetto di rappresentanza di cui all’art. 182 c.p.c. – appare evidente che la causa debba essere previamente rimessa in decisione ai sensi degli artt. 187, comma 3, e 189 c.p.c., e che tale rimessione debba necessariamente aver luogo all’udienza di prima comparizione a norma dell’art. 183, comma 2, c.p.c[70].

Per converso, ove la mancata ottemperanza al decreto previsto dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. configuri un’ipotesi di cosiddetta inattività qualificata della parte – come nei casi contemplati dagli artt. 101, 107, 164, commi 2 e 5, c.p.c. – occorrerà fare riferimento alla disciplina in tema di dichiarazione di estinzione del processo (art. 307, comma 3, c.p.c.)[71]. In particolare, qualora la causa sia devoluta alla competenza del tribunale in composizione monocratica, il provvedimento di estinzione assume «contenuto decisorio e natura sostanziale di sentenza», potendo essere adottato non prima dell’udienza di comparizione delle parti[72]. Nelle controversie riservate al tribunale in formazione collegiale (art. 50-bis c.p.c.), l’estinzione del processo deve invece essere pronunciata dal giudice istruttore con ordinanza suscettibile di reclamo immediato al collegio (art. 178, comma 2, c.p.c.), il quale provvede a sua volta con sentenza impugnabile in caso di rigetto del reclamo[73].

Sulla scorta delle considerazioni appena svolte, sembra dunque possibile formulare qualche rilievo conclusivo, sia pure in forma necessariamente parziale e sintetica. Pare innanzitutto potersi osservare come lo schema del contraddittorio differito sulle questioni processuali decise in sede di verifiche preliminari, delineato dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024, conservi piena validità anche nell’attuale assetto normativo. Segnatamente, sembra confermarsi il principio secondo cui il decreto pronunciato ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. debba comunque essere confermato, revocato o modificato all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., ove non sia stato preceduto da un’apposita interlocuzione con le parti. Allo stesso modo, nonostante le innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 164/2024, l’adozione dei provvedimenti conseguenti all’inottemperanza del suddetto decreto non sembra potersi collocare nell’ambito delle seconde verifiche preliminari, dovendo piuttosto attendere quantomeno l’udienza di prima comparizione. Discende infine da quanto precede che, anche in caso di inottemperanza agli ordini impartiti con il primo decreto, il giudice sia comunque tenuto a confermare l’udienza ex art. 183 c.p.c., con conseguente decorrenza dei termini per il deposito delle memorie previste dall’art. 171-ter c.p.c.

4.2. Contraddittorio preventivo

Fra le diverse soluzioni interpretative individuate dalla Consulta per garantire il rispetto del contraddittorio nella decisione delle questioni processuali oggetto delle verifiche preliminari, una in particolare veniva privilegiata in via del tutto prioritaria. Ci si riferisce alla possibilità del giudice di avvalersi dei poteri direttivi di cui agli artt. 127 e 175 c.p.c., allo scopo di fissare un’udienza specificamente finalizzata a consentire l’esercizio del contraddittorio sulle questioni da risolversi mediante il decreto previsto dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. (v., retro, § 2).

Sin dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022, il ricorso a tale udienza – talora denominata “anticipata” o “filtro” – ha trovato ampio riscontro nella prassi, con significative variazioni quanto alle modalità di svolgimento e alle attività processuali in essa concentrate[74]. Come anche riconosciuto dalla Corte costituzionale, l’udienza in discorso può essere tenuta mediante collegamenti audiovisivi a distanza ai sensi dell’art. 127-bis c.p.c.; e ciò persino laddove se ne intenda massimizzare l’utilità, anticipando l’interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione, come già sperimentato in alcuni tribunali[75]. Al di fuori di tale ultima evenienza, l’udienza “filtro” potrebbe altresì essere sostituita dal deposito di note scritte a norma dell’art. 127-ter c.p.c., specie ove le questioni da trattare presentino profili di particolare complessità o si verta in un giudizio plurisoggettivo[76].

Come ampiamente osservato in dottrina, la fissazione di un’udienza appositamente dedicata al compimento delle verifiche preliminari nel contraddittorio con le parti può rivelarsi opportuna sotto molteplici profili[77]. Un primo sintomatico esempio riguarda l’accertamento relativo alla sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.), non di rado implicante articolate valutazioni, anche in ragione della non tassatività delle relative fattispecie[78]. Analoghe considerazioni possono estendersi all’eventuale chiamata in causa di un terzo iussu iudicis (art. 107 c.p.c.), parimenti suscettibile di porre delicate questioni sulla ricorrenza del presupposto della comunanza della lite. Ulteriori aspetti meritevoli di confronto con le parti paiono infine ravvisabili pure nel rilievo della nullità della citazione per vizi inerenti all’edictio actionis (art. 164, comma 5, c.p.c.)[79]. Del resto, come già evidenziato, l’inottemperanza agli ordini di integrazione eventualmente emanati dal giudice nei casi appena considerati può condurre a una chiusura in rito del processo, destinata a poter essere sanata soltanto in sede di gravame, senza possibilità di rinvio a giudice di primo grado (v., retro, § 4.1.).

La potenziale utilità di un’udienza anticipata rispetto a quella prevista dall’art. 183 c.p.c. sembra invero potersi apprezzare anche alla luce delle recenti modifiche introdotte dal d.lgs. n. 164/2024, ancorché espressamente orientate a scongiurare possibili deviazioni dal percorso rigidamente delineato dagli artt. 171-bis e 171-ter c.p.c. Secondo la nuova disciplina delle verifiche preliminari, il giudice è tenuto a indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio, nonché eventuali difetti delle condizioni di procedibilità della domanda, soltanto con il decreto che conferma o differisce la data dell’udienza di prima comparizione (art. 171-bis, comma 3, c.p.c.). Ne discende che tale attività di segnalazione possa intervenire tanto nell’ipotesi in cui non emergano questioni processuali da decidere ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c., quanto all’esito delle seconde verifiche preliminari.

Come noto, la soluzione configurata dal d.lgs. n. 164/2024 si discosta da quella accolta nel regime previgente, in cui l’indicazione delle questioni rilevabili ex officio si accompagnava all’adozione dei provvedimenti relativi alle verifiche preliminari. L’innovazione ora introdotta risponde all’obiettivo di riservare l’enunciazione di tali questioni al momento in cui siano già stati disposti gli incombenti necessari a sanare eventuali vizi nella costituzione del rapporto processuale, ovvero a definire le ipotesi di chiamata in causa di terzi menzionate dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. (artt. 102, comma 2, 107, 269, comma 2 e 271 c.p.c.). Tutto ciò, com’è agevole intendere, al fine di garantire il pieno esplicarsi del contraddittorio sulle questioni oggetto di rilievo officioso, mediante le memorie integrative previste dall’art. 171-ter c.p.c.

Alcune osservazioni sembrano tuttavia imporsi con riguardo a tale specifica riconfigurazione delle attività funzionali alla preparazione della controversia. Giova innanzitutto ricordare che, nell’ipotesi in cui non si renda necessario adottare alcuno dei provvedimenti contemplati dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c., i termini per il deposito delle memorie integrative comincino a decorrere dalla pronuncia del decreto di conferma dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione (art. 171-bis, comma 5, c.p.c.). Ne consegue che le parti dispongano, in tal caso, di un termine massimo di quindici giorni per redigere la prima memoria ex art. 171-ter c.p.c., sempre che il suddetto decreto venga effettivamente pronunciato entro i quindici giorni successivi alla scadenza del termine per la costituzione del convenuto (art. 171-bis, comma 1, c.p.c.)[80]. Qualora il decreto rechi l’indicazione di questioni rilevabili d’ufficio, sembra allora potersi ritenere particolarmente opportuno un differimento della data dell’udienza di comparizione, così da assicurare alle parti un congruo intervallo di tempo per la predisposizione della prima memoria, in linea con quanto disposto dall’art. 101, comma 2, c.p.c. Un differimento che sarebbe auspicabile venisse modulato dal giudice in funzione delle concrete esigenze della controversia, giungendo in tal modo a un quantomeno tendenziale recupero di quell’«ottica di un processo flessibile» che avrebbe dovuto ispirare il riassetto delle forme della tutela dichiarativa in prima istanza[81].

Assunta l’opportunità di un rinvio della prima udienza nei casi in cui le verifiche preliminari si risolvano nell’indicazione alle parti di questioni rilevate d’ufficio, ci si può ora interrogare sull’utilità che un’udienza anticipata potrebbe assumere anche nell’ipotesi in cui si renda necessario adottare uno dei provvedimenti previsti dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. Oltre ai plausibili benefici derivanti da una discussione in contraddittorio delle diverse questioni che possono emergere dall’esame degli atti introduttivi, non sembrano trascurabili i vantaggi che un confronto preliminare con le parti potrebbe offrire ai fini dell’individuazione di ulteriori profili meritevoli di trattazione.

Non può certo escludersi che nuove questioni rilevabili d’ufficio emergano nel corso dell’udienza di prima comparizione, specialmente a seguito delle difese articolate nelle memorie integrative, ovvero in una successiva fase del processo. In tali evenienze, il giudice sarà naturalmente tenuto ad assicurare il rispetto del contraddittorio, mediante la concessione dei termini previsti dall’art. 101, comma 2, c.p.c. per il deposito di osservazioni scritte[82]. Nell’economia del meccanismo delineato dagli artt. 171-bis e 171-ter c.p.c., non appare tuttavia irragionevole ritenere che la fissazione di un’udienza appositamente dedicata al vaglio delle questioni processuali rilevabili ex officio possa, in taluni casi, rivelarsi preferibile; e ciò anche in coerenza con gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione della fase preparatoria perseguiti dalla riforma Cartabia[83].

Alcuni spunti in tal senso possono trarsi dall’ampia categoria delle questioni rilevabili d’ufficio non espressamente richiamate nell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. Particolarmente significative appaiono in proposito le ipotesi di chiamata in causa del terzo ai sensi dell’art. 106 c.p.c., nelle quali un’interlocuzione preliminare con le parti potrebbe rivelarsi utile proprio nell’ottica di accertare i nessi di connessione o di garanzia necessari a giustificare il simultaneus processus[84]. Ulteriori figure riconducibili alla medesima logica si rinvengono nell’ambito delle questioni processuali che, se fondate, renderebbero superfluo lo svolgimento delle verifiche preliminari previste dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. È il caso, ad esempio, del difetto di giurisdizione o della carenza di una condizione dell’azione, la cui trattazione potrebbe avvenire anche in forma scritta, ai sensi dell’art. 127-ter c.p.c., anteriormente all’udienza di comparizione. Ancor più emblematica appare, invero, l’ipotesi del difetto delle condizioni di procedibilità della domanda. Sembra infatti preferibile che il mancato esperimento della mediazione o della negoziazione assistita venga accertato in un’apposita udienza “filtro”, piuttosto che in quella di prima comparizione e solo all’esito dello scambio delle memorie integrative fra le parti. Un’eventualità, quest’ultima, che finirebbe per compromettere non soltanto basilari esigenze di economia processuale, ma anche le stesse chances di successo della conciliazione stragiudiziale[85].

I potenziali vantaggi connessi alla celebrazione di un’udienza anticipata, rispetto a quella prevista dall’art. 183 c.p.c., sembrano peraltro apprezzarsi anche alla luce delle imperfezioni della disciplina delle verifiche preliminari e delle criticità insite nell’applicazione delle soluzioni alternative indicate dalla Consulta per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio.

È stato osservato in dottrina come la possibilità di fissare tale udienza, espressamente riconosciuta e avallata dalla Corte costituzionale, configuri una sorta di «invito dilatorio ai giudici»; un invito plausibilmente destinato a essere recepito in modo standardizzato, anche in ragione dell’eccessiva ristrettezza del termine previsto per il compimento delle verifiche preliminari (art. 171-bis, comma 1, c.p.c.)[86]. Si è altresì rilevato, sulla medesima linea, come l’istituzionalizzazione di un’udienza non contemplata dal codice finisca per riproporre uno dei limiti tradizionalmente imputati alla prassi del processo ordinario di cognizione. E ciò, in particolare, nel segno di un sostanziale ritorno al ridondante sistema dello sdoppiamento della prima udienza sperimentato nel periodo compreso fra il 1995 e il 2006[87].

In effetti, guardando alla storia più recente del nostro processo civile, non mancano esempi in cui la prassi applicativa ha progressivamente introdotto e stabilizzato udienze aggiuntive rispetto a quelle testualmente previste dal legislatore. Né risulta meno noto come simili prassi integrative siano state sovente oggetto di successiva ratifica normativa. Emblematica appare al riguardo la prassi dell’udienza di precisazione delle conclusioni, notoriamente affermatasi sulla base di un’interpretazione creativa delle disposizioni in tema di costituzione del contumace, ma largamente impiegata quale strumento per una più ordinata e distesa transizione dalla fase istruttoria a quella decisoria[88]. Un espediente pratico, evidentemente volto a «razionalizzare il carico di lavoro dei giudici», che ha trovato conferma anche nella recente riforma Cartabia, attraverso l’introduzione dell’udienza di rimessione della causa in decisione (art. 189 c.p.c.)[89]. Il tutto in chiara distonia con l’obiettivo di «sopprimere le udienze potenzialmente superflue» indicato nel PNRR-Giustizia[90].

Considerazioni in parte analoghe possono invero estendersi anche alle vicende che accompagnarono la genesi e la successiva scomparsa dell’udienza deputata alle verifiche sulla regolare costituzione del contraddittorio. È noto come la riforma del 1990 (l. 26 novembre 1990, n. 353) mirasse a scandire il processo in una sequenza ordinata di fasi e udienze, ciascuna dotata di una propria autonomia funzionale[91]. In tale prospettiva, prendeva forma una nuova configurazione unitaria della prima udienza ex art. 183 c.p.c., destinata a ricomprendere tanto la comparizione delle parti, quanto l’avvio della trattazione della causa[92]. In connessione con le convulse dinamiche che contrassegnarono l’entrata in vigore della l. n. 353/1990, le prime letture interpretative emerse in dottrina tendevano a farsi carico delle istanze dell’avvocatura, favorevole a una gestione più diluita del nuovo regime delle preclusioni. In estrema sintesi, muovendo dalla particolare rilevanza attribuita alle verifiche «assolutamente preliminari» rispetto alle altre attività contemplate dall’art. 183 c.p.c. (quali, ad esempio, il tentativo di conciliazione), si giungeva a formalizzare uno sdoppiamento della prima udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa[93]. Segnatamente, dal combinato disposto degli artt. 170, 180 c.p.c. e 83-bis disp. att. c.p.c., si ricavava la possibilità per il giudice di circoscrivere la funzione della prima udienza al solo compimento delle verifiche sulla regolarità del contraddittorio, rinviando la trattazione della causa a un’udienza successiva (ex art. 180 c.p.c.), preceduta dallo scambio di memorie fra le parti (ex artt. 170 c.p.c. e 83-bis disp. att. c.p.c.)[94].

Com’è noto, tale assetto venne successivamente recepito in via normativa dal d.l. 21 giugno 1995, n. 238, che rese l’udienza di prima comparizione di cui all’art. 180 c.p.c. un momento necessario del processo, destinato alla risoluzione delle eventuali questioni inerenti alla regolare costituzione del contraddittorio. Nell’arco di circa un decennio, tanto l’orientamento della dottrina quanto quello del legislatore conoscevano tuttavia una radicale inversione di tendenza. Da indispensabile occasione di confronto per il corretto espletamento delle verifiche preliminari, l’udienza di prima comparizione delle parti veniva ormai sarcasticamente etichettata come «l’udienza per lo scambio dei cioccolatini», a segnalare la diffusamente percepita vacuità dei suoi contenuti[95]. Un mutamento di prospettiva che trovava puntuale riscontro nella riforma del 2005 (l. 14 maggio 2005, n. 80 e l. 28 dicembre 2005, n. 263), con cui si sanciva il definitivo superamento del modello introdotto nel 1995 e si ripristinava l’impianto originariamente delineato dalla l. n. 353/1990[96].

Sulla scorta del quadro evolutivo, pur così sommariamente tratteggiato, non pare del tutto inverosimile che la stabilizzazione nella prassi di un’udienza specificamente dedicata alle verifiche preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c. possa riportare «il nostro processo indietro nel tempo»[97]. Sembra tuttavia possibile rilevare come una simile e non certo auspicabile eventualità non sembri dipendere, come già in passato, da esigenze prevalentemente riconducibili all’interesse degli utenti tecnici del processo a una gestione più sostenibile dei rispettivi compiti. Non è del resto un caso che il plausibile rischio di una regressione evolutiva della disciplina del rito ordinario venga – sia pur comprensibilmente – posto in relazione a una rilettura critica dei principi affermati dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024. Si è, ad esempio, osservato, in questa prospettiva, come la fissazione di un’udienza anticipata volta discutere i possibili contenuti del decreto previsto dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. rappresenti «una soluzione eccessiva»[98]. Un rimedio la cui incidenza «sopravvaluta il problema del contraddittorio sulle questioni oggetto di decisione interlocutoria», finendo per travisare la portata delle garanzie di cui all’art. 24 Cost., sino ad assurgere «a baluardo anche contro la semplice scomodità processuale»[99].

Non può, in effetti, negarsi che le questioni processuali elencate dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. siano state qualificate dalla stessa Corte costituzionale come «spesso liquide», ovvero generalmente connotate da «un basso tasso di controvertibilità» fra le parti, tale da poterne giustificare la risoluzione in via officiosa[100]. Occorre altresì riconoscere che la decisione sull’istanza di chiamata in causa del terzo formulata dal convenuto – peraltro rimessa, per costante giurisprudenza, a una valutazione ampiamente discrezionale del giudice – venisse assunta inaudita altera parte anche nel regime ante Cartabia, senza che ciò avesse destato particolari obiezioni in punto di rispetto del contraddittorio[101].

In una diversa chiave interpretativa, si è tuttavia posto in rilievo come un’indistinta considerazione del grado di complessità delle questioni da risolvere in sede di verifiche preliminari rischi di tradursi in un «approccio eccessivamente schematico e non sempre rispondente alla realtà processuale»[102]. Una simile impostazione è stata invero rinvenuta in alcuni dei passaggi del percorso argomentativo che ha condotto il Giudice delle leggi a rigettare la censura di incostituzionalità dell’art. 171-bis c.p.c. per violazione dell’art. 3 Cost[103]. Non occorre qui ulteriormente dilungarsi sul ragionamento seguito dalla Corte costituzionale per escludere l’irragionevole disparità di trattamento fra le questioni processuali oggetto di decisione inaudita altera parte e quelle suscettibili di mera segnalazione alle parti. Pare, del resto, in sé emblematico il raffronto con le ben più articolate soluzioni interpretative ritenute necessarie a ricondurre il meccanismo delle verifiche preliminari entro un quadro compatibile con le garanzie difensive di cui all’art. 24 Cost. Non sembra in effetti improbabile che i possibili profili di contrasto con l’art. 3 Cost. siano stati considerati per così dire assorbiti dall’esito della decisione sulla compatibilità dell’art. 171-bis c.p.c. con il principio del contraddittorio. E ciò sino al punto da poter ipotizzare che la portata dei correttivi ermeneutici indicati a tale ultimo riguardo dalla Consulta finisca in qualche misura per contraddire le conclusioni assunte in ordine alla legittimità della disciplina sul piano dell’art. 3 Cost[104].

Sulla scorta delle considerazioni già svolte in relazione all’ipotesi in cui può ritenersi costituzionalmente legittimo il differimento alla prima udienza del contraddittorio sulle questioni processuali decise inaudita altera parte, la fissazione di un’udienza dedicata alle verifiche preliminari appare l’opzione più funzionale all’equilibrio del modello delineato dal legislatore. Pur potendo entrare in tensione con l’esigenza di contenimento dei tempi della fase preparatoria, non sembrano trascurabili i vantaggi connessi alla possibilità di discutere e far emergere in quella sede anche questioni ulteriori rispetto a quelle espressamente contemplate dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. Non secondari appaiono altresì i benefici derivanti dalla definizione in contraddittorio degli incombenti necessari a sanare eventuali vizi nella costituzione del rapporto processuale, potendosi ragionevolmente presumere che una simile dinamica favorisca tanto la qualità delle decisioni assunte quanto il diligente adempimento degli oneri gravanti sulle parti. Solo una convergenza di tali condizioni sembra, d’altronde, poter assicurare il fisiologico funzionamento sia del nuovo meccanismo delle doppie verifiche preliminari sia della successiva trattazione scritta della controversia.

Del resto, come subito si vedrà, gli inconvenienti pur insiti nella soluzione considerata appaiono sensibilmente inferiori rispetto alle conseguenze individuate dalla Corte costituzionale nell’ipotesi in cui il giudice disattenda l’istanza di fissazione di un’udienza ad hoc volta a consentire l’esercizio del contradditorio sull’oggetto del decreto emesso ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c.

 

4.3. Contraddittorio preventivo in via differita

L’ultima soluzione indicata dalla Consulta per l’interpretazione costituzionalmente orientata del meccanismo delle verifiche preliminari consiste nella facoltà delle parti di richiedere la fissazione di un’udienza appositamente dedicata al riesame delle questioni processuali decise dal giudice inaudita altera parte.

Come già evidenziato, nella ricostruzione della Corte il rigetto di tale istanza priva ab origine di efficacia vincolante il decreto pronunciato a norma dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c., rendendo possibile un pieno recupero del contraddittorio preventivo, seppur in via formalmente differita rispetto all’adozione del provvedimento. Si è altresì osservato come il medesimo regime di inefficacia del decreto emesso in solitaria dal giudice debba ritenersi esteso anche all’ipotesi in cui l’istanza di fissazione dell’udienza venga accolta. Diversamente, non si distinguerebbe infatti tale evenienza da quella in cui le parti si astengano dal formulare qualsiasi richiesta, con conseguente sanatoria per acquiescenza (ex art. 157, comma 2, c.p.c.) del vizio derivante dal mancato esplicarsi del contraddittorio preventivo sulla decisione delle questioni oggetto delle verifiche preliminari (v., retro, § 4).

Oltre al menzionato profilo relativo al regime di efficacia del decreto nell’ipotesi di accoglimento dell’istanza di fissazione di un’udienza anteriore a quella di prima comparizione, ulteriori incertezze riguardano i presupposti in diversa misura sottesi all’operatività del modello del contraddittorio preventivo in via differita delineato dalla Consulta.

Come rilevato sin dai primi commenti alla sentenza n. 96/2024, la Corte costituzionale non individua un termine entro cui l’istanza debba essere eventualmente proposta[105]. Secondo un primo orientamento ricostruttivo, tale lacuna potrebbe essere colmata mediante un’applicazione analogica dell’indirizzo elaborato dalla giurisprudenza in relazione alle disfunzioni del sistema di deposito telematico degli atti[106]. Il che imporrebbe alla parte l’onere di «attivarsi immediatamente» a seguito della pronuncia del decreto previsto dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c[107]. Una simile opzione ermeneutica, evidentemente implicante una valutazione discrezionale del giudice in ordine alla tempestività della reazione della parte, potrebbe nondimeno sollevare alcuni dubbi. E ciò, se non altro, ove si ritenga che la reazione della parte non possa esaurirsi nella mera presentazione dell’istanza di fissazione d’udienza, ma debba essere corroborata da un’argomentata illustrazione delle ragioni a sostegno della revoca o modifica del provvedimento. Su questa linea, parrebbe quindi maggiormente plausibile ipotizzare che il termine per la proposizione dell’istanza coincida con quello assegnato dal giudice per provvedere alla sanatoria del vizio, ovvero all’integrazione del contraddittorio[108]. Sembra pur vero che una siffatta ricostruzione interpretativa possa virtualmente condurre a tecniche dilatorie, se non proprio abusive, aprendo alla possibilità che la richiesta di fissazione dell’udienza venga presentata solo a ridosso della scadenza del termine – talora anche piuttosto esteso – per ottemperare al decreto. Occorre tuttavia considerare come non siano affatto residuali i casi in cui il destinatario di uno dei provvedimenti indicati all’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. sia l’attore (si pensi, ad esempio, ai vizi di cui agli artt. 164 e 291 c.p.c.), il quale difficilmente avrebbe interesse a dilatare i tempi del giudizio contestando una decisione che non reputi effettivamente erronea[109].

Dall’analisi delle ulteriori soluzioni ermeneutiche prospettate dalla Consulta sembra inoltre emergere, come già segnalato, che la mancata proposizione dell’istanza ad opera della parte comporti soltanto la rinuncia al contraddittorio preventivo sulla decisione delle questioni oggetto delle verifiche preliminari. In particolare, nell’ipotesi considerata, non si configura alcuna decadenza dalla facoltà di contestare, in sede di prima udienza, gli ordini impartiti dal giudice all’esito di dette verifiche. La loro eventuale conferma nell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. potrà invece determinare l’immediata applicazione delle conseguenze previste per l’inottemperanza, giacché solo in tal caso il decreto adottato ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. conserva efficacia sin dal momento della sua pronuncia (v., retro, § 4.1.). Per converso, poiché la presentazione dell’istanza di fissazione di un’udienza anticipata priva ab origine di efficacia vincolante il suddetto decreto, pare potersi logicamente desumere che la medesima istanza possa essere proposta sino alla scadenza del termine assegnato per il compimento degli incombenti disposti dal giudice. Solo una volta inutilmente decorso tale termine, resterà infatti unicamente salva la possibilità della parte di contestare il provvedimento alla prima udienza, con conseguente applicazione, in caso di conferma, delle sanzioni previste per l’inottemperanza.

Come si è osservato, la facoltà di richiedere la fissazione di un’udienza finalizzata al riesame delle questioni processuali previamente risolte inaudita altera parte potrebbe prestarsi a utilizzazioni distorte, suscettibili, nei casi più gravi, di integrare gli estremi della responsabilità aggravata di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c. In questa prospettiva è parso dunque preferibile ritenere che l’istanza debba essere corredata da un’adeguata esposizione delle ragioni idonee a giustificare la revoca o la modifica dei provvedimenti emanati dal giudice ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. Una simile opzione interpretativa sembra tuttavia logicamente presuppore una determinata conformazione del decreto emesso all’esito delle verifiche preliminari[110]. È infatti noto come, in forza del generale disposto dell’art. 135 c.p.c., il decreto debba essere motivato solo nei casi espressamente previsti, fra i quali non sembra rientrare quello qui considerato[111]. Nondimeno, appare evidente che basiche esigenze di tutela del diritto di difesa impongano una sia pur succinta motivazione del provvedimento con il quale vengano risolte inaudita altera parte questioni processuali di intrinseco rilievo pregiudiziale per la prosecuzione del giudizio[112]. Depongono del resto in tal senso gli stessi principi enunciati dalla Consulta, dovendosi ritenere che la presenza di una motivazione a supporto delle determinazioni assunte in solitaria dal giudice costituisca un presupposto necessario al successivo esplicarsi del contraddittorio.

In ogni caso, pur ipotizzando che, a fronte di un decreto congruamente motivato, incomba sulla parte l’onere di proporre, entro il termine assegnato per l’esecuzione degli incombenti disposti, un’istanza argomentata di riesame del provvedimento in apposita udienza, paiono residuare profili difficilmente risolvibili in via esclusivamente interpretativa. In particolare, risulta arduo stabilire entro quale termine il giudice sia tenuto a pronunciarsi sull’istanza, così come chiarire se, nel fissare l’udienza anticipata, debbano essere rispettati termini a difesa di ugualmente incerta determinazione.

In ragione delle molteplici criticità di ordine pratico-applicativo che affiorano tanto nella soluzione qui esaminata quanto nelle ulteriori opzioni ermeneutiche individuate dalla Corte costituzionale, pare dunque opportuno interrogarsi sulla possibilità di percorrere ricostruzioni alternative, parimenti rispettose delle garanzie sancite dall’art. 24 Cost.; e ciò anche in considerazione del fatto che una simile operazione non incontra ostacoli nell’ambito di vincolatività delle sentenze interpretative di rigetto nei confronti del giudice comune (v., retro, § 3).

In questa chiave, si sono invero già autorevolmente prospettate soluzioni differenziate, a seconda che il decreto emesso ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. imponga un onere processuale in capo a una sola delle parti, oppure a carico di entrambe in via formalmente simmetrica.

Nelle diverse ipotesi in cui l’incombente debba essere assolto da una sola parte (si pensi, ad esempio, alla sanatoria dei vizi attinenti agli atti introduttivi, alla legittimazione processuale, o alla rappresentanza tecnica), si è ritenuto che incomba sulla medesima anche l’onere di proporre, entro il termine assegnato per ottemperarvi, motivata istanza di revoca o di modifica del decreto. In tal caso, l’eventuale rigetto dell’istanza potrebbe direttamente condurre alla pronuncia di un’ordinanza di conferma del decreto, senza necessità di fissare un’udienza ad hoc né di attendere la celebrazione della prima udienza di comparizione delle parti. Con la medesima ordinanza, il giudice provvederebbe altresì ad assegnare un nuovo termine per l’adempimento dell’ordine impartito con il decreto. Qualora la parte onerata non vi ottemperi, all’udienza prevista dall’art. 183 c.p.c. il giudice potrà quindi adottare i provvedimenti conseguenti alla sua inerzia[113].

Una simile soluzione, pur divergente da quella indicata dalla Corte costituzionale, consentirebbe di escludere possibili profili di contrasto con l’art. 24 Cost., offrendo un’adeguata tutela alle esigenze difensive della sola parte potenzialmente pregiudicata dal provvedimento assunto in solitaria dal giudice. Resterebbe peraltro fermo il diritto della controparte di articolare le proprie difese, nell’ipotesi in cui l’istanza di revoca o di modifica fosse accolta, sia in sede di prima udienza sia nelle successive fasi del processo[114].

Sembra comunque potersi osservare come, in tal modo, il diritto al contraddittorio della parte non onerata risulterebbe in qualche misura doppiamente differito, poiché la possibilità di formulare osservazioni sarebbe posticipata non solo rispetto all’emissione del provvedimento, ma anche alla sua eventuale revoca o modifica. È d’altronde indubbio che, in alcuni dei casi considerati, la parte non abbia alcun interesse a contestare gli incombenti ex adverso disposti con il decreto adottato all’esito delle verifiche preliminari (si pensi, emblematicamente, alle ipotesi in cui venga ordinata la sanatoria dei vizi di cui agli artt. 164, commi 3 e 5, e 167, comma 2, c.p.c.). La medesima osservazione non pare tuttavia potersi estendere alla revoca o modifica del decreto pronunciata sulla base delle argomentazioni svolte dalla sola parte gravata dagli incombenti. La facoltà di contestare la revoca o la modifica del decreto direttamente in prima udienza lascerebbe inoltre aperta la possibilità di un’ulteriore revisione del provvedimento, con conseguente regresso del giudizio alla fase antecedente lo scambio delle memorie integrative. Sembra dunque che le ripercussioni insite nello schema del contraddittorio differito delineato dalla Consulta non vengano del tutto scongiurate e trovino anzi ulteriore rilievo nella posticipazione dell’esercizio dei diritti difensivi della parte non onerata a un momento successivo alla revoca o modifica del provvedimento. Il che potrebbe, per converso, indurre a ritenere comunque preferibile la soluzione che subordina l’adozione del decreto sulle verifiche preliminari allo svolgimento di un’apposita udienza celebrata nel pieno contraddittorio fra tutte le parti processuali.

Una diversa ricostruzione è stata invece prospettata con riguardo alle ipotesi –riconducibili, in particolare, a quelle contemplate dagli artt. 102 e 107 c.p.c. – in cui il decreto pronunciato a norma dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. imponga un onere processuale formalmente gravante su entrambe le parti. In tali casi, esclusa l’opportunità di fissare un’udienza ad hoc, il giudice potrebbe comunque adottare il provvedimento inaudita altera parte, pur con alcuni correttivi volti a garantire il successivo dispiegarsi del contraddittorio. In applicazione del principio sancito dall’art. 101, comma 2, c.p.c., dovrebbe infatti contestualmente assegnare alle parti un termine – anteriore alla scadenza di quello previsto per l’adempimento degli incombenti disposti – entro il quale presentare osservazioni scritte eventualmente finalizzate alla revoca o modifica del decreto. A fronte delle argomentazioni sviluppate dalle parti, il giudice sarebbe quindi tenuto a riesaminare le questioni previamente risolte, senza necessità di attendere l’udienza di prima comparizione. Il nuovo termine per il compimento degli incombenti prescritti decorrerebbe, in tal caso, dalla pronuncia dell’ordinanza di conferma del decreto[115].

Una simile scansione procedimentale sembra invero rivelarsi pienamente conforme ai principi che sorreggono il modello del recupero del contraddittorio preventivo in via differita, così come configurato dalla Corte costituzionale e diffusamente esaminato poc’anzi. Pare dunque potersi ritenere plausibile che tale ricostruzione ermeneutica rappresenti un’alternativa altrettanto valida rispetto a quella indicata dalla Consulta. Ciò, tuttavia, a condizione che esse trovi applicazione uniforme in tutte le ipotesi contemplate dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c., senza introdurre distinzioni fondate sul numero delle parti formalmente gravate dagli incombenti disposti in sede di verifiche preliminari.

Un’ulteriore variante dello schema appena illustrato potrebbe delinearsi alla luce di una lettura sistematica delle disposizioni relative alle modalità e ai termini per l’espletamento delle verifiche preliminari. Si tratterebbe, in particolare, di valorizzare in senso funzionale la facoltà del giudice di differire la data della prima udienza sino a un massimo di quarantacinque giorni (art. 171-bis, comma 3, c.p.c.), subordinandone l’esercizio a talune condizioni ricavabili in via interpretativa. Per un verso, il differimento dell’udienza dovrebbe essere disposto per l’intero arco temporale consentito, mediante decreto tempestivamente adottato entro i quindici giorni successivi alla scadenza del termine di costituzione del convenuto (art. 171-bis, comma 1, c.p.c.). Per altro verso, il medesimo decreto dovrebbe recare l’indicazione delle questioni processuali rilevate d’ufficio ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c., con contestuale assegnazione alle parti di un termine di venti giorni per il deposito di osservazioni scritte, in conformità a quanto stabilito dall’art. 101, comma 2, c.p.c. Il differimento dell’udienza così disposto comporterebbe, a sua volta, uno slittamento automatico del dies a quo del termine a ritroso previsto dall’art. 171-ter c.p.c. per il deposito della prima memoria integrativa. In tal modo, a fronte dei soli quindici giorni disponibili per l’avvio della trattazione scritta in caso di conferma della data indicata nell’atto di citazione, il differimento della prima udienza di quarantacinque giorni garantirebbe un termine utile di sessanta giorni. Un intervallo temporale, questo, sufficiente tanto per lo scambio di una memoria per parte nei termini minimi di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c., quanto per l’adozione dei relativi provvedimenti da parte del giudice. Il tutto con l’ulteriore vantaggio di rendere potenzialmente possibile, nel tempo residuo, il compimento di quelle attività sananti che non richiedono, di per sé, un nuovo differimento dell’udienza di prima comparizione, come nelle ipotesi di cui agli artt. 182 e 292, comma 1, c.p.c.

In ogni caso, anche seguendo ricostruzioni ermeneutiche alternative rispetto a quelle elaborate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 96/2024, resta evidente come l’esigenza di assicurare il contraddittorio sulla decisione delle questioni oggetto delle verifiche preliminari imponga comunque uno scostamento, più o meno marcato, dal modello procedimentale tracciato dal legislatore[116]. Persino laddove il decreto previsto dall’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. sia adottato o confermato all’esito di un’udienza ad hoc, l’eventuale inottemperanza agli ordini di sanatoria o di rinnovazione impartiti dal giudice non potrebbe trovare sanzione se non nella prima udienza, e solo dopo lo scambio delle memorie integrative. E ciò, come si è visto, per effetto della sostanziale incompatibilità del nuovo meccanismo delle seconde verifiche preliminari sia con la disciplina della dichiarazione di estinzione del processo, sia con quella della rimessione della causa in decisione (v., retro, § 4.1.).

A fronte delle molteplici discrasie applicative derivanti dall’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni concernenti il compimento delle verifiche preliminari, parrebbe dunque opportuno vagliare le ulteriori opzioni offerte dall’attuale assetto normativo. Potrebbe innanzitutto considerarsi preferibile l’immediata conversione del rito ordinario in rito semplificato, così da recuperare dinamiche procedimentali più razionali per la trattazione delle questioni processuali indicate all’art. 171-bis, comma 2, c.p.c.; oppure optare, sin dal principio, per l’instaurazione della controversia secondo le forme del nuovo rito. Tuttavia, come si passerà subito a illustrare, entrambe le soluzioni sembrano presentare profili critici, solo in parte emendati dal recente intervento correttivo del d.lgs. n. 164/2024.

5.Anticipazione del momento per la conversione del rito ordinario in semplificato

Sin dalla sua configurazione originaria ad opera del d.lgs. n. 149/2022, la disciplina della conversione del rito ordinario in rito semplificato è stata concepita dal legislatore come uno strumento diretto a promuovere una maggiore flessibilità ed efficienza delle forme della tutela dichiarativa in primo grado[117]. Nella medesima direzione si collocano anche i successivi interventi correttivi apportati dal d.lgs. n. 164/2024, con il precipuo fine di anticipare il mutamento del rito alla fase delle verifiche preliminari.

Si è già avuto modo di osservare come la previsione di un meccanismo di raccordo fra i due principali modelli del processo di cognizione esprima un chiaro favor legislativo per il nuovo rito (v., retro, § 1). Del tutto sintomatica appare in tal senso la scelta di attribuire al procedimento semplificato un ampio ambito di applicazione obbligatoria, parametrato non tanto sull’oggetto della controversia, quanto piuttosto sulla presumibile superfluità o non complessità dell’attività istruttoria (art. 281-decies, comma 1, c.p.c.)[118].

Com’è noto, la definizione di ipotesi di applicazione esclusiva del rito in questione dovrebbe formalmente vincolare sia l’attore, al momento dell’instaurazione del giudizio, sia il giudice adito in presenza di una causa impropriamente incardinata nelle forme del rito ordinario. In particolare, al ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 281-decies, comma 1, c.p.c., l’attore sarebbe tenuto a introdurre la controversia mediante il procedimento semplificato di cognizione, come lascia intendere l’impiego della formula «il giudizio è introdotto» contenuta nello stesso comma. Parimenti, incomberebbe sul giudice l’obbligo di disporre il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato, ai sensi del nuovo art. 171-bis, comma 4, c.p.c., qualora le condizioni di cui all’art. 281-decies, comma 1, c.p.c. ricorrano in relazione a tutte le domande proposte, stante anche qui l’uso della formula assertiva «dispone»[119].

Al di là del pur inequivoco tenore letterale, tali previsioni non sembrano tuttavia dotate di un’effettiva efficacia prescrittiva. Sulla scorta di quanto ampiamente rilevato in dottrina, appare infatti piuttosto arduo ravvisare un vero e proprio onere dell’attore, o un obbligo del giudice, di fare ricorso al rito semplificato in assenza di specifiche conseguenze sfavorevoli o sanzionatorie[120]. La stessa possibilità di ricollegare simili effetti a presupposti per loro natura suscettibili di apprezzamento discrezionale – quali la presumibile superfluità o non complessità dell’attività istruttoria cui fa riferimento l’art. 281-decies, comma 1, c.p.c. – rischierebbe di esporsi a censure di incostituzionalità, specie alla luce del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

Senza entrare nel merito dell’opportunità di delineare un ambito di applicazione obbligatoria del rito semplificato mediante una sorta di tipizzazione in astratto della non complessità processuale, non mancano ulteriori indizi del carattere solo pseudo-prescrittivo delle disposizioni in esame[121]. Una conferma di tale orientamento interpretativo si desume dalla portata delle valutazioni che il giudice è chiamato a compiere alla prima udienza ai fini dell’eventuale conversione del rito semplificato in rito ordinario. Segnatamente, ai sensi dell’art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c., la verifica della compatibilità della causa con il rito semplificato non può ridursi a un mero accertamento formale della ricorrenza dei presupposti indicati dall’art. 281-decies, comma 1, c.p.c., in relazione alle domande proposte dalle parti. Lo spettro dell’indagine sull’appropriatezza del rito dovrà piuttosto estendersi alla «complessità della lite e dell’istruzione probatoria» nel loro complesso, ricomprendendo anche profili ed esigenze del caso concreto non desumibili a priori dal contenuto degli atti introduttivi[122].

Occorre comunque riconoscere, per altro verso, che l’obbligatorietà della conversione del rito ordinario in rito semplificato, nei casi appena considerati, non era priva di una propria coerenza sistematica nel modello originariamente delineato dal d.lgs. n. 149/2022. Nel previgente assetto del processo ordinario di cognizione, l’eventuale passaggio al rito semplificato si iscriveva infatti in una fase successiva allo scambio delle memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c., mediante le quali le parti erano altresì chiamate a prendere posizione sulla questione[123]. Ne conseguiva, pertanto, che la necessaria valutazione del giudice in ordine alla sussistenza dei presupposti per il passaggio al rito semplificato si collocasse all’interno di quadro fattuale e probatorio ormai compiutamente cristallizzato, nonché all’esito del contraddittorio fra le parti. Il che giustificava, peraltro, il particolare regime dell’ordinanza di conversione del rito, non soggetta a impugnazione né altrimenti revocabile (art. 183-bis c.p.c.).

L’apparente razionalità di un sistema così congegnato risultava nondimeno compromessa dalla complessiva configurazione della disciplina applicabile a seguito della conversione del rito ordinario. Una disciplina che si mostrava sin da subito distante dal recepire le pur consolidate tendenze evolutive riscontrabili tanto a livello comparatistico, quanto nei progetti di riforma elaborati dalla dottrina italiana nell’ultimo ventennio[124].

Costituisce del resto un dato acquisito che la posticipazione del mutamento del rito rispetto alla più o meno definitiva delimitazione del quod decidendum et probandum presupponga la possibilità di un effettivo vantaggio, in termini di diversa articolazione del percorso trattatorio o istruttorio. E ciò, se non altro, in forza dell’ovvia constatazione che l’idea stessa di flessibilità processuale implica l’esistenza di concreti margini di modulazione dello schema procedimentale ordinario[125].

Ciononostante, la disciplina introdotta in materia dal d.lgs. n. 149/2022 appariva a dir poco lontana dal soddisfare simili condizioni di base. In quanto strutturalmente collocata in un momento successivo al maturare delle preclusioni assertive e istruttorie, l’eventuale conversione del rito ordinario non determinava alcun apprezzabile vantaggio sotto il profilo della modulabilità della trattazione. Inequivoco risultava, in tal senso, il rinvio operato dal previgente art. 183-bis c.p.c. all’art. 281-duodecies, comma 5, c.p.c., dal quale si desumeva come l’unica attività consentita, dopo il passaggio al rito semplificato, consistesse nell’ammissione delle prove già richieste dalle parti mediante gli atti introduttivi e le memorie integrative. Considerazioni di analogo tenore potevano, peraltro, estendersi anche alla successiva articolazione della fase istruttoria in senso stretto. L’intento del legislatore di delineare la fisionomia del rito semplificato in marcata discontinuità rispetto al modello del procedimento sommario di cognizione ha infatti condotto all’esclusione di qualsivoglia riproposizione dei suoi tratti distintivi. Il distacco dal paradigma della cosiddetta sommarietà formale del procedimento non si è unicamente realizzato attraverso l’integrale abrogazione delle controverse disposizioni che attribuivano al giudice il potere di derogare alle formalità dell’istruttoria non essenziali al contraddittorio[126]. La volontà di sancire l’idoneità del nuovo rito ad assicurare un pieno ed esaustivo accertamento dei fatti di causa ha piuttosto comportato la rinuncia a introdurre un’apposita disciplina semplificata per l’istruzione delle cause non complesse, con conseguente applicazione delle disposizioni ordinarie[127].

Ne derivava, nel complesso, un’aporia del meccanismo della conversione del rito ordinario, tale da precludere ogni possibile impiego del procedimento semplificato in prospettiva di effettivo adeguamento del percorso processuale alle esigenze della singola controversia, specie ove non complessa. La reale alternativa che si poneva al giudice consisteva difatti nel proseguire nelle forme del rito ordinario, con eventuale rimessione anticipata della causa in decisione per superfluità dell’istruttoria o per altra ragione ai sensi dell’art. 187 c.p.c.; oppure nel disporre il passaggio al rito semplificato, pur sempre applicando le disposizioni ordinarie concernenti l’istruzione probatoria e la trattazione finale[128].

Non sorprende, pertanto, che sin dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022 siano emersi molteplici – e talvolta opinabili – orientamenti giurisprudenziali intesi a legittimare la conversione del rito ordinario anche in una fase antecedente lo scambio delle memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c[129]. Al di là dei casi limite, in cui simili soluzioni sembravano riflettere anche una certa insofferenza da parte del giudice verso il nuovo assetto della fase preparatoria del processo ordinario di cognizione, non sono mancati esempi di buone prassi locali, talora sviluppate in raccordo con l’avvocatura[130]. Prassi, queste, accomunate da un virtuoso ricorso alla tecnica della cosiddetta udienza “filtro” (v., retro, §§ 2, 4.2), appositamente destinata a definire in contraddittorio sia le questioni processuali oggetto delle verifiche preliminari, sia l’eventuale passaggio al rito semplificato[131].

A fronte delle pressoché univoche indicazioni provenienti dalla dottrina e dalla pratica del processo, l’intervento correttivo del d.lgs. n. 164/2024 sembra essersi mosso lungo una linea di solo parziale adeguamento dell’impianto normativo configurato dal d.lgs. n. 149/2022. Senza entrare nel merito dei singoli ritocchi di mero perfezionamento dell’esistente, pare comunque possibile segnalare come abbia trovato piena conferma la scelta di individuare un ambito di applicazione obbligatoria del rito semplificato, virtualmente vincolante tanto per l’attore quanto per il giudice, nei termini già sopra precisati[132].

Accanto alle pur non trascurabili innovazioni relative alla fase di trattazione del procedimento semplificato (v., infra, § 6), la novità di maggior rilievo pare consistere nell’anticipazione del momento deputato alla conversione del rito ordinario, ora espressamente collocato in sede di verifiche preliminari. Una modifica, questa, tecnicamente attuata mediante l’abrogazione dell’art. 183-bis c.p.c. e il parziale trasferimento del suo contenuto nell’ambito dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c., ove si rinviene altresì regolata l’attività delle parti conseguente al mutamento del rito[133].

Come si evince dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 164/2024, la nuova collocazione procedimentale del meccanismo di conversione del rito muove dal riconoscimento delle discrasie insite nella precedente sistemazione normativa. In particolare, sebbene idoneo ad assicurare «la piena partecipazione delle parti nell’adozione del [relativo] provvedimento», il passaggio al rito semplificato non avrebbe comportato «alcun vantaggio in termini di durata del procedimento», finendo così per «rendere quest’ultimo sostanzialmente inutile»[134]. L’attuale impostazione consentirebbe invece di attivare il meccanismo di conversione del rito ogni qual volta «la causa appare di pronta soluzione» già sulla base dell’esame degli atti introduttivi[135]. In tal modo, verrebbe meno la necessità di dar corso al deposito delle memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c., con la conseguente possibilità di realizzare «una sensibile accelerazione dei tempi di definizione della controversia»[136].

Sempre dalla medesima relazione governativa si apprende come tale innovazione si ricolleghi all’introduzione di due ulteriori modifiche, apparentemente finalizzate a «salvaguardare il diritto di difesa delle parti e il contraddittorio»[137].

La prima di esse concerne il regime del provvedimento di conversione del rito, inserendosi organicamente nel contesto della complessiva revisione delle dinamiche operative dell’istituto. Diversamente da quanto previsto dall’abrogato art. 183-bis c.p.c., tale provvedimento non assume più la forma dell’ordinanza non impugnabile, bensì – stando almeno alla lettera dell’art. 171-bis, comma 5, c.p.c. – quella del semplice decreto[138]. Come meglio si dirà nel prosieguo, si tratta di una soluzione coerente con le modalità di adozione del decreto inaudita altera parte nell’ambito delle verifiche preliminari. Discende infatti dalla nuova conformazione del provvedimento che esso possa essere revocato qualora, all’udienza di cui all’art. 281-duodecies c.p.c. e all’esito del contraddittorio con le parti, emerga l’opportunità di reinstradare la controversia nei binari del rito ordinario[139].

La seconda modifica introdotta dal d.lgs. n. 164/2024 si rinviene nell’inciso finale dell’art. 171-bis, comma 4, che riproduce quasi testualmente l’ultima parte dell’art. 426, comma 1, c.p.c. disciplinante il passaggio dal processo ordinario di cognizione al rito del lavoro. In base a tale previsione, una volta disposta la conversione del rito e fissata l’udienza di cui all’art. 281-duodecies c.p.c., il giudice assegna alle parti un termine perentorio per l’integrazione degli atti introduttivi mediante il deposito di memorie e documenti.

Prima di passare a una più analitica disamina delle disposizioni appena richiamate, pare opportuna qualche ulteriore considerazione sulle linee di fondo che caratterizzano il riassetto della disciplina del mutamento del rito ordinario. Innanzitutto, proprio in contrapposizione al regime previgente, si può osservare come il provvedimento di mutamento del rito venga ora adottato in un momento in cui né il thema decidendum né il thema probandum risultano ancora definiti. E, come si è segnalato, di tale circostanza il legislatore sembra invero pienamente consapevole. Ne sono prova, per un verso, la previsione di un termine espressamente finalizzato a consentire alle parti di integrare i rispettivi atti introduttivi, sia sul piano assertivo sia su quello istruttorio (art. 171-bis, comma 4, c.p.c.); e, per altro verso, il particolare regime del decreto che dispone il passaggio al rito semplificato, reso necessariamente revocabile, sebbene in distonia con la (ormai soltanto) apparente obbligatorietà della conversione del procedimento (art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c.).

Non pare in effetti inverosimile che, nell’integrare le proprie difese iniziali, le parti possano ampliare l’ambito della controversia tanto sotto il profilo oggettivo – come nel caso di una reconventio reconventionis dell’attore – quanto, potenzialmente, sotto quello soggettivo, mediante un’istanza di chiamata in causa di un terzo, ai sensi dell’art. 269, comma 3, c.p.c. Non meno improbabile appare altresì l’evenienza che vengano formulate ulteriori e più articolate istanze istruttorie, virtualmente discordanti con i presupposti di non complessità dell’istruzione probatoria previsti per l’applicazione obbligatoria del rito semplificato (art. 281-decies, comma 1, c.p.c.)[140].

Simili eventualità sembrano invero sollevare un interrogativo del tutto centrale per le sorti della disciplina in discorso. Ossia, se non sia opportuno, o persino necessario, garantire un preventivo confronto fra parti e giudice in ordine alla possibile conversione del rito. Pare agevole intendere come la soluzione al quesito debba tener conto dall’intervento della Corte costituzionale volto a ricondurre il meccanismo delle verifiche preliminari entro un quadro compatibile con le garanzie sancite dall’art. 24 Cost.; e ciò, se non altro, in ragione del fatto che in tale medesimo meccanismo si inscrive ora anche la decisione sul mutamento del rito. Sembra peraltro evidente come il tentativo di sciogliere il nodo della questione imponga dapprima di soffermarsi sulle conseguenze che il provvedimento di conversione del rito può produrre sulla scansione delle attività difensive contemplate dall’art. 281-duodecies c.p.c.

Come si è anticipato, con il decreto con cui dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per integrare i rispettivi atti introduttivi mediante il deposito di memorie e documenti (art. 171-bis, comma 4, c.p.c.). Va subito segnalato come tale disposizione sembri apparentemente circoscrivere l’attività asseverativa delle parti alle sole produzioni documentali. L’assenza di un esplicito richiamo alle deduzioni istruttorie non pare tuttavia sufficiente a fondare letture restrittive, tali da escludere la possibilità di richiedere l’ammissione di prove costituende. Né sembra rivelarsi decisivo, in questa chiave, il rischio che simili richieste possano incidere sulla valutazione di appropriatezza del rito semplificato già effettuata dal giudice. Un orientamento ermeneutico così limitativo finirebbe infatti per privare le parti di facoltà difensive che avrebbero potuto liberamente esercitare nelle memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c., sollevando non trascurabili dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 24 Cost[141].

Secondo la relazione illustrativa, la previsione di un termine per il compimento di ulteriori attività allegatorie e probatorie troverebbe giustificazione nella circostanza che «il contenuto degli atti introduttivi varia a seconda che il processo si svolga nelle forme del rito ordinario o di quello semplificato»[142]. Sembra tuttavia trattarsi di un’affermazione priva di effettivo riscontro normativo. Dal raffronto degli artt. 163, 167 e 281-undecies, commi 1 e 3, c.p.c., non si rilevano in effetti differenze sostanziali quanto alla scansione delle preclusioni introduttive, dalle quali risultano peraltro esenti tanto le deduzioni istruttorie quanto le produzioni documentali. Pare nondimeno opportuno chiedersi se tale inciso contenuto nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 164/2024 possa in qualche misura avvalorare una delle varie ricostruzioni interpretative prospettabili in merito al regime delle preclusioni applicabile a seguito del passaggio dal rito ordinario a quello semplificato[143]. Ci si deve allora domandare se l’assegnazione alle parti di un termine perentorio per l’integrazione dei rispettivi atti introduttivi precluda o meno il successivo compimento delle attività difensive previste dall’art. 281-duodecies, commi 2, 3 e 4, c.p.c.

Secondo un primo orientamento, non privo di adesioni anche in giurisprudenza, le attività contemplate dall’art. 281-duodecies, commi 3 e 4, c.p.c. andrebbero svolte, a pena di decadenza, nel termine indicato nel decreto di conversione del rito, mediante gli scritti integrativi di cui all’art. 171-bis, comma 4, c.p.c. In estrema sintesi, le attività assertive e probatorie normalmente realizzabili all’udienza di comparizione o in una successiva fase del rito semplificato dovrebbero invece esaurirsi anteriormente alla prima udienza ex art. 281-duodecies c.p.c., nell’ipotesi di passaggio dal rito ordinario[144].

Occorre peraltro evidenziare sin da ora come, nelle pur diverse accezioni della ricostruzione in esame, tenda a restare in ombra la facoltà dell’attore di formulare istanza di chiamata in causa di un terzo ai sensi dell’art. 269, comma 3, c.p.c. Com’è noto, l’esercizio di tale facoltà risulta espressamente previsto sia nel processo ordinario di cognizione (art. 171-ter, n. 1), c.p.c.), sia nel rito semplificato (art. 281-duodecies, comma 2, c.p.c.). E non sembrano invero profilarsi argomenti idonei a precluderne l’ammissibilità in caso di transito da un rito all’atro, neppure laddove si ritenesse che l’oggetto della controversia debba essere già definito prima dell’udienza di comparizione celebrata secondo le forme del rito semplificato. Diversamente opinando, si aprirebbe infatti la via a un potenziale contrasto con l’art. 24 Cost., nella misura in cui verrebbe compressa una facoltà difensiva esplicitamente riconosciuta dall’ordinamento.

Ciò posto, alcuni elementi di ordine testuale e sistematico sembrerebbero porsi a sostegno dell’orientamento interpretativo in discorso. In primo luogo, assumerebbe rilievo il tenore letterale dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c., che qualifica come perentorio il termine assegnato dal giudice per l’integrazione degli atti introduttivi, in analogia con quanto disposto dall’art. 426 c.p.c. per il passaggio dal rito ordinario a quello del lavoro. La natura perentoria del termine dovrebbe infatti considerarsi diretta espressione delle esigenze di concentrazione e speditezza sottese al meccanismo del mutamento del rito, specie alla luce della sua attuale collocazione nell’ambito delle verifiche preliminari. Esigenze sistemiche, queste, che risulterebbero inevitabilmente vulnerate, qualora «si consentisse alle parti di compiere ulteriori attività integrative dopo il termine concesso ai sensi dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c.»[145]. Su un piano strettamente connesso, si è altresì evidenziato come il passaggio dal rito ordinario consenta alle parti di fruire «di tempi ben maggiori di quelli previsti nella fase introduttiva del rito semplificato»[146]. Una considerazione che trova conferma anche con riguardo all’intervallo temporale a disposizione dell’attore per predisporre la replica alla comparsa avversaria, significativamente più ampio rispetto a quello previsto per il deposito della prima memoria integrativa (art. 171-ter, n. 1), c.p.c.).

Sembra tuttavia lecito dubitare che il complesso di tali elementi sia effettivamente idoneo a consolidare la ricostruzione secondo cui, in caso di passaggio dal rito ordinario, tutte le preclusioni inerenti alla definizione del quod decidendum et probandum maturerebbero necessariamente prima dell’udienza di cui all’art. 281-duodecies c.p.c. D’altronde, neppure all’interno della dottrina favorevole al riconoscimento di preclusioni connesse agli scritti integrativi di cui all’art. 171-bis, comma 4 c.p.c., sembra emergere una piena convergenza di vedute.

Alcuni autori tendono infatti a circoscrivere il regime preclusivo anticipato alle sole ipotesi di esercizio dello ius poenitendi e di completamento delle richieste e produzioni istruttorie, ossia alle attività eventualmente realizzabili dalle parti nell’appendice di trattazione prevista dall’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c[147]. Per contro, valorizzando il nesso di consequenzialità rispetto alle precedenti difese avversarie – al quale i commi 3 e 4 dell’art. 281-duodecies c.p.c. subordinano il compimento di nuove attività assertive e probatorie – altri autori tendono a ritenere escluse dal regime delle preclusioni anticipate le sole attività «non consequenziali al contraddittorio»[148].

Per quanto condivisibile negli intenti di fondo, quest’ultima lettura sembra però fare affidamento su un criterio distintivo di non sempre agevole trasposizione concreta, come dimostra anche il dibattito sorto a seguito della recente sostituzione del presupposto del «giustificato motivo» per la concessione delle memorie di cui all’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c[149]. Non pare dunque azzardato osservare come una simile tesi ricostruttiva possa comportare tanto un sostanziale svuotamento delle preclusioni asseritamente ancorate agli scritti integrativi di cui all’art. 171-bis, comma 4, c.p.c., quanto ingenerare ulteriori dubbi interpretativi in ordine alla concreta individuazione delle attività difensive effettivamente precluse già in sede di prima udienza.

Nell’ipotizzare una così rigida scansione del regime delle preclusioni in conseguenza della trasformazione del rito ordinario in semplificato, un’annotazione preliminare pare invero opportuna. Pur volendo prescindere dai principi enunciati dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024, non sembra infatti irragionevole interrogarsi sulla legittimità di un sistema nel quale più gravose modalità di esercizio dei diritti difensivi – rispetto a quelle previste dall’art. 171-ter c.p.c. – conseguano a un provvedimento di conversione del rito adottato inaudita altera parte.

Basti considerare, del resto, come costituisca ormai un approdo granitico nella prassi che persino il passaggio dal rito ordinario al rito del lavoro, ai sensi dell’art. 426 c.p.c., debba essere disposto, con ordinanza, all’esito del contraddittorio con le parti costituite[150]. Per altro verso, un’importante indicazione si ricava dalla disciplina applicabile in caso di riconversione del rito da semplificato a ordinario. A norma dell’art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c., l’ordinanza che dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario reca la fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c., dalla quale decorreranno i termini per il deposito delle memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c.; con ciò lasciando chiaramente intendere che le uniche preclusioni già maturate siano quelle connesse agli atti introduttivi. Tale previsione sembra quindi configurare una sorta di eccezione rispetto alla regola, parimenti consolidata in relazione al già citato art. 426 c.p.c., secondo cui il mutamento del rito lascia ferme le preclusioni e decadenze già maturate (ossia, nel caso di specie, quelle astrattamente ricollegabili agli scritti integrativi di cui all’art. 171-bis, comma 4, c.p.c.)[151]. Appare tuttavia evidente come la regola invalsa nella prassi del processo del lavoro possa considerarsi costituzionalmente legittima proprio in quanto inserita in un meccanismo in cui la conversione del rito avviene sempre all’esito di un’udienza svolta nel contraddittorio fra le parti. Pare allora intuitivo che speculari ragioni di ordine costituzionale impongano un’eccezione alla medesima regola, nel senso della necessaria reintegrazione del potere dispositivo delle parti, qualora il mutamento del rito venga disposto inaudita altera parte.

La tesi dell’integrale anticipazione, rispetto all’udienza ex art. 281-duodecies c.p.c., delle preclusioni assertive e probatorie non sembra invero trovare risolutive conferme neppure nel disposto dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c. Nel disciplinare la conversione del rito ordinario, tale disposizione si limita infatti a individuare genericamente nell’udienza di cui all’art. 281-duodecies c.p.c. il momento di approdo della controversia nel nuovo rito semplificato[152]. Sembra pertanto potersi desumere che, mediante il rinvio generale all’art. 281-duodecies c.p.c., il legislatore non abbia inteso circoscrivere il possibile esito della prima udienza del rito semplificato alla sola ammissione e assunzione dei mezzi istruttori, ai sensi dell’ultimo comma della medesima norma. Un esito che, per converso, si sarebbe dovuto ritenere fisiologicamente consequenziale, qualora si fosse effettivamente voluto ancorare la definitiva determinazione del quod decidendum et probandum agli scritti integrativi di cui all’art. 171-bis, comma 4, c.p.c.

Il complesso di tali rilievi sembra dunque condurre a un sostanziale ridimensionamento delle barriere preclusive virtualmente poste a carico delle parti in conseguenza della pronuncia del decreto di conversione del rito ordinario in rito semplificato. Segnatamente, pare doversi considerare sempre ammissibile il compimento delle attività difensive espressamente previste per la prima udienza ai sensi dell’art. 281-duodecies, commi 2 e 3, c.p.c. E sembra potersi ritenere che analoga conclusione debba valere anche per quelle attività che, in difetto di apposita autorizzazione del giudice ex art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c., risulterebbero implicitamente precluse a seguito della medesima udienza (v., infra, § 6). Si è ben consapevoli che la ricostruzione qui proposta finisca quantomeno per attenuare le potenzialità acceleratorie insite nel meccanismo di conversione del rito delineato dal d.lgs. n. 164/2024. Tuttavia, come subito si passerà a illustrare, i suesposti argomenti di ordine tecnico-sistematico sembrano trovare ulteriore riscontro nelle soluzioni ermeneutiche elaborate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 96/2024. Soluzioni la cui già di per sé complessa trasposizione, sotto lo specifico aspetto in esame, non pare comunque idonea, de iure condito, a garantire la piena funzionalità di un sistema di conversione del rito incentrato sull’anticipazione delle barriere preclusive anteriormente all’udienza di cui all’art. 281-duodecies c.p.c.

Nel considerare il possibile impatto delle ricostruzioni interpretative tracciate dalla Consulta, sembra opportuno preliminarmente distinguere almeno due distinti scenari. Potrebbe innanzitutto ipotizzarsi che la questione del mutamento del rito ordinario in rito semplificato venga decisa dal giudice all’esito di un’apposita udienza “filtro” svolta nel contraddittorio con le parti. In un caso simile – non privo di precedenti nella giurisprudenza anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 164/2024 – non sembrerebbero sorgere ostacoli sul piano del contraddittorio, registrandosi anzi una puntuale corrispondenza con l’indirizzo ermeneutico privilegiato dalla Corte costituzionale. Nella complessiva economia del sistema potrebbe inoltre rivelarsi piuttosto utile la fissazione di un’udienza anticipata – anche secondo le modalità di cui all’art. 127-bis c.p.c. – per sottoporre alle parti l’opzione del mutamento del rito. Perlomeno nei casi in cui la presumibile semplicità della controversia risulti dubbia, una simile soluzione ridurrebbe sensibilmente il rischio di riconversione del rito in sede d’udienza ex art. 281-duodecies c.p.c., scongiurando al contempo eventuali remore da parte del giudice nel disporre il mutamento del rito in fase di verifiche preliminari[153].

Tuttavia, a dispetto delle indicazioni fornite dal legislatore sul punto, sembra persistere il problema delle modalità attraverso cui addivenire a una potenziale definizione del thema decidendum et probandum anteriormente alla prima udienza del rito semplificato. Si è in effetti già ricordato che, ai sensi dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c., il giudice debba assegnare alle parti un termine perentorio per integrare i propri atti introduttivi con nuove allegazioni, deduzioni e produzioni istruttorie. L’indicazione di un termine unico rischierebbe peraltro di generare un ingiustificato squilibrio dialettico fra le posizioni delle parti. Si pensi, ad esempio, all’esigenza di assicurare una corrispondente facoltà di replica del convenuto alla riconvenzionale o alle eccezioni dell’attore che siano conseguenza delle precedenti difese avversarie[154]. Sulla scorta di una prassi da tempo invalsa nell’applicazione dell’art. 426 c.p.c., dovrebbe allora ammettersi la possibilità per il giudice di fissare due termini consecutivi, così da consentire alle parti di introdurre nuove allegazioni e richieste istruttorie in replica alle difese svolte dalla controparte[155]. Una simile scansione temporale potrebbe conservare una propria utilità anche nei casi in cui la conversione del rito ordinario venga disposta dal giudice inaudita altera parte, specie nella prospettiva di agevolare la doverosa rivalutazione dei presupposti di applicazione del rito semplificato (ex art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c.). Appare, per converso, evidente come il sistema dell’assegnazione di un unico termine per l’integrazione degli atti introduttivi, ai sensi dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c., porti a dover ritenere sempre ammissibile un successivo perfezionamento delle difese secondo le modalità prescritte dall’art. 281-duodecies c.p.c.

Al di là della comunque non lineare ipotesi in cui la conversione del rito venga disposta dal giudice all’esito di un’apposita interlocuzione con le parti, ulteriori e rilevanti problemi emergono nel caso – pur fisiologico – in cui il mutamento del rito venga disposto inaudita altera parte ai sensi dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c. Proprio in tale circostanza, l’applicazione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale sembra sollevare serie e forse insuperabili perplessità circa il corretto funzionamento del meccanismo delineato dal legislatore.

Si è già ampiamente osservato come la Consulta abbia individuato specifiche conseguenze per l’eventualità in cui il giudice disattenda l’istanza di fissazione di un’udienza dedicata al riesame delle questioni processuali decise d’ufficio in sede di verifiche preliminari. In particolare, il provvedimento adottato in solitaria dal giudice non dispiegherebbe alcuna efficacia vincolante, se non a seguito della sua successiva conferma all’esito del contradditorio con le parti. Ove si ritenesse – come pare – di poter estendere tale principio anche al decreto di conversione del rito, parimenti emesso inaudita altera parte nella fase delle verifiche preliminari, tanto basterebbe per escludere l’operare di qualsivoglia preclusione prima della conferma del provvedimento nell’udienza di cui all’art. 281-duodecies c.p.c. Anche qualora si procedesse alla riconversione del rito, confermando il decreto pronunciato ai sensi dell’art. 171-bis, comma 4, c.p.c., si imporrebbe comunque necessaria l’assegnazione di un nuovo termine per l’integrazione degli atti introduttivi. Uno scenario del genere finirebbe per vanificare ogni proposito di concentrazione ed economia processuale, sino al punto da rendere preferibile l’immediata fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c., dalla quale far decorrere i termini per il deposito delle memorie di cui all’art. 171-ter c.p.c.

Potrebbe invero ipotizzarsi che la parte contraria alla prosecuzione del processo nelle forme del procedimento semplificato sia tenuta a contestare il decreto di conversione entro il termine assegnato per l’integrazione delle difese iniziali. Tuttavia, pur ammettendo che una simile soluzione sia predicabile de iure condito, resterebbe il problema che la conferma o la revoca del provvedimento dovrebbero comunque intervenire in udienza, con le conseguenze già evidenziate. In conclusione, pare dunque inevitabile chiedersi se il nuovo meccanismo di conversione del rito ordinario sia davvero in grado di assolvere l’obiettivo di instradare la controversia verso un rito “semplificato”.

6.Regime delle preclusioni nel rito semplificato

Come noto, il d.lgs. n. 164/2024 è intervenuto sul testo dell’art. 281-duodecies c.p.c. mediante due rilevanti modifiche, apparentemente «finalizzate a rimuovere possibili remore ad introdurre la causa con rito semplificato, nei casi in cui è facoltativo»[156]. Si tratta di innovazioni che, almeno formalmente, si pongono sulla linea di un’effettiva attuazione dei principi originariamente indicati nella legge-delega n. 206/2021 per la costruzione della disciplina del procedimento semplificato. Ci si riferisce, in particolare, al criterio che affidava al legislatore delegato il compito di stabilire «termini e tempi prevedibili […] per lo svolgimento delle difese e il maturare delle preclusioni nel rispetto del contraddittorio fra le parti» (art. 1, comma 5, lett. n), n. 4), l. n. 206/2021). Un compito, questo, indubbiamente cruciale sotto molteplici profili, a cominciare dal fatto che la facoltà dell’attore di optare per il rito semplificato in tutte le ipotesi di competenza del tribunale in composizione monocratica comporta, per il convenuto, un termine a difesa più ristretto rispetto a quello previsto nel rito ordinario. E pare invero, come già evidenziato, che un simile squilibrio sia stato solo in parte emendato dai correttivi introdotti dal d.lgs. n. 164/2024 sul versante della scansione delle attività difensive conseguenti al deposito degli atti introduttivi (v., retro, § 1).

Passando ora a esaminare più nel dettaglio le modifiche apportate all’art. 281-duodececies c.p.c., occorre soffermarsi dapprima sulla riformulazione del comma 3. Nella sua nuova veste, la disposizione mira a chiarire come, in sede di prima udienza, possano proporsi non soltanto eccezioni, ma anche domande che siano conseguenza delle difese svolte dalle altre parti. La versione originaria si limitava infatti a contemplare la sola possibilità dell’attore di replicare alle difese del convenuto (o del terzo) attraverso la proposizione di nuove eccezioni consequenziali, cui corrispondeva specularmente analoga facoltà del convenuto nei confronti del terzo chiamato[157]. Per effetto di tale carente formulazione, non trovava dunque esplicito riconoscimento il diritto delle parti (e, più comunemente, dell’attore) di formulare anche nuove domande – nella forma della reconventio reconventionis ovvero della domanda conseguente alle allegazioni avversarie – rispetto alle difese formulate dalle altre parti (convenuto o terzo chiamato) nella comparsa di risposta[158]. Ove fosse stata ritenuta espressione di un implicito divieto, tale lacuna avrebbe tuttavia sollevato seri dubbi in merito alla legittimità costituzionale della norma; e ciò anche in ragione del configurarsi di un’irragionevole disparità di trattamento rispetto alle previsioni del rito ordinario, nel cui ambito la medesima facoltà difensiva risulta esercitabile con la prima memoria integrativa (art. 171-ter, n. 1), c.p.c.)[159]. Un elemento aggiuntivo deponeva inoltre a favore dell’interpretazione estensiva appena illustrata. Segnatamente, proprio in quanto verosimilmente destinata a incidere sulla valutazione di appropriatezza delle forme del rito semplificato compiuta ab origine dall’attore, la proposizione di nuove domande alla prima udienza avrebbe potuto semmai integrare un caso di conversione del rito in ordinario, da disporsi appunto nella stessa udienza (art. 281-duodecies, comma 1, c.p.c.)[160].

Pare dunque potersi osservare come, nel regime introdotto dal d.lgs. n. 164/2024, la celebrazione della prima udienza segni il momento in cui operano le seguenti preclusioni: per l’attore, quella relativa all’istanza di chiamata in causa di un terzo, laddove motivata dalle difese del convenuto; per ciascuna delle parti, quella concernente la proposizione di nuove domande ed eccezioni conseguenti alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni ex adverso formulate (art. 281-duodecies, comma 2, c.p.c.). Ne deriva, in sostanza, che nella prima udienza del rito semplificato vengono a maturare le medesime preclusioni che, nel rito ordinario, risultano invece collegate al deposito della prima memoria integrativa (art. 171-ter, n. 1), c.p.c.)[161].

Il secondo profilo oggetto di revisione da parte del d.lgs. n. 164/2024 investe il comma 4 dell’art. 281-duodecies c.p.c., in particolare riguardo ai presupposti per la concessione della cosiddetta appendice di trattazione scritta all’esito della prima udienza. Com’è noto, nella precedente formulazione la concessione dei termini per l’esercizio dello ius poenitendi e per il completamento delle deduzioni e produzioni istruttorie risultava subordinata alla presenza di un’apposita istanza di parte e alla generica ricorrenza di un «giustificato motivo». Diversamente, nell’attuale dizione normativa, tale ultimo presupposto viene sostituito da un più articolato riferimento alla circostanza che «l’esigenza sia sorta dalle difese della controparte» (art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c.)[162].

Quanto all’interpretazione del previgente enunciato, si erano registrate posizioni discordanti circa l’individuazione del termine ultimo per la compiuta definizione del thema decidendum et probandum.

Secondo una prima linea ricostruttiva, accolta anche dall’Ufficio del Massimario della Cassazione, in assenza di giustificato motivo avrebbe dovuto ritenersi preclusa sia la modificazione delle domande e delle eccezioni già proposte, sia l’indicazione di nuovi mezzi istruttori. Tali attività difensive non sarebbero pertanto ammissibili in prima udienza, ma esclusivamente nel contesto delle due memorie concesse dal giudice in presenza del prescritto presupposto[163]. Una simile prospettiva ermeneutica, così marcatamente restrittiva, avrebbe evidentemente comportato una sostanziale anticipazione delle preclusioni assertive e probatorie alla fase propriamente introduttiva del processo, pur non collegandosi espressamente agli scritti difensivi iniziali alcuna preclusione o decadenza in merito alle produzioni e deduzioni istruttorie (v., retro, § 1). Risulta quindi agevole comprendere come, sin dall’entrata in vigore della cosiddetta riforma Cartabia, diversi uffici giudiziari abbiano formalizzato orientamenti improntati a un’interpretazione estensiva dell’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. Emblematica, in tal senso, la circolare diramata dal Tribunale di Milano il 16 marzo 2023, nella quale l’esigenza di accogliere un’accezione ampia del requisito del giustificato motivo per la concessione dell’appendice di trattazione scritta veniva direttamente ricondotta all’intento del legislatore «di incentivare il procedimento semplificato di cognizione»[164].

Per converso, nella dottrina largamente maggioritaria, l’analisi del regime delle preclusioni nel rito semplificato si è sviluppata secondo un approccio più spiccatamente teorico-sistematico, valorizzando anche elementi di raffronto con il modello del rito del lavoro. In questa chiave, veniva in particolare evidenziata la diversa disciplina dettata dall’art. 420 c.p.c. con riguardo alle attività difensive esperibili nell’ambito dell’udienza di discussione, successivamente al maturare delle rigide preclusioni collegate agli atti introduttivi (artt. 414 e 416 c.p.c.). Tanto l’esercizio dello ius poenitendi quanto l’indicazione di nuovi mezzi istruttori risultano formalmente subordinati a un’apposita autorizzazione del giudice, condizionata al riscontro di gravi motivi ovvero di decadenza incolpevole (art. 420, commi 1 e 5, c.p.c.). In presenza dei presupposti prescritti, tali attività devono di norma essere espletate nel corso della medesima udienza, restando la fissazione di un’ulteriore udienza e di un termine a ritroso per il deposito di note scritte rimessa alla sussistenza di gravi motivi (art. 420, comma 6, c.p.c. )[165]. Di qui, dunque, l’emergere di significativi profili di differenziazione rispetto all’assetto del rito semplificato, nel quale la clausola del giustificato motivo configura non già una condizione di ammissibilità delle suddette attività difensive, ma unicamente il presupposto per autorizzarne lo svolgimento mediante lo scambio di due memorie integrative[166].

Come anticipato, una risolutiva conferma della fondatezza di tale orientamento interpretativo può peraltro cogliersi nell’assenza di qualsivoglia preclusione istruttoria esplicitamente connessa agli introduttivi (art. 281-undecies c.p.c.). Non sembra pertanto potersi dubitare del fatto che non sia ipotizzabile alcuna decadenza in capo alla parte che non abbia provveduto a un’articolazione esaustiva delle deduzioni e produzioni istruttorie già nel proprio atto introduttivo. Costituisce anzi logica conseguenza di quanto precede ritenere che tanto l’indicazione di nuovi mezzi di prova quanto l’emendatio libelli possano intervenire liberamente sino alla conclusione della prima udienza, ferma restando la facoltà del giudice di concedere i termini per il deposito delle due memorie integrative in presenza di giustificato motivo[167].

Un simile approdo interpretativo sembra conservare piena validità anche a seguito della recente riscrittura dell’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c., ad opera del d.lgs. n. 164/2024. La sostituzione del presupposto del giustificato motivo per la concessione dell’appendice di trattazione scritta non solo non ne incrina la tenuta, ma sembra semmai contribuire a rafforzarne la coerenza sistematica. L’attuale riferimento normativo alle esigenze di sviluppo dialettico del contraddittorio appare infatti come un sostanziale recepimento delle letture dottrinali tese a delimitare la discrezionalità giudiziale nella valutazione del giustificato motivo. Basti considerare, del resto, come già si tendesse a escludere ogni margine di diverso apprezzamento nei casi in cui l’esigenza di autorizzare lo scambio delle memorie integrative fosse insorta in relazione alle difese svolte dalla controparte. Con ciò ricomprendendo sia le eventuali ipotesi di costituzione tardiva di una delle parti, sia quelle in cui occorresse comunque garantire un adeguato spazio di replica a fronte delle attività difensive esperibili dall’attore in prima udienza[168].

In tale prospettiva, la nuova formulazione dell’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. parrebbe rispondere all’intento del legislatore di recepire le istanze della dottrina e, in particolare, dell’avvocatura volte a «individuare in modo più specifico e circostanziato i presupposti per la concessione dei termini per le memorie integrative»[169]. Un obiettivo che dovrebbe potersi dire raggiunto attraverso il superamento della clausola del giustificato motivo, da più parti ritenuta espressione di una «valutazione ampiamente discrezionale»[170]. Va tuttavia rilevato come, nelle osservazioni formulate sullo schema del decreto correttivo dagli organismi rappresentativi della dottrina e dell’avvocatura, si propendesse in maniera pressoché unanime per subordinare la concessione delle suddette memorie alla semplice istanza di parte. Una soluzione da molti ritenuta cruciale per l’effettiva attuazione dei propositi di generalizzata adozione del rito semplificato, sinora rimasti in larga parte disattesi[171].

Sembra invero lecito dubitare che il legislatore sia effettivamente riuscito a rimuovere le «possibili situazioni di incertezza circa la possibilità di dare pieno sviluppo alla libera esplicazione del diritto di difesa»[172]. Nella stessa relazione illustrativa al d.lgs. n. 164/2024 si rinviene, del resto, una sorta di caveat, laddove si raccomanda che «gli atti introduttivi siano il più completi possibile»[173]. Si lascia infatti intendere che i termini per lo scambio delle memorie integrative di cui all’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. non dovrebbero essere concessi, «ad esempio, nel caso in cui il convenuto rimanga contumace o si limiti a mere contestazioni di diritto»[174].

La scelta di subordinare la concessione dell’appendice di trattazione scritta non più a un «giustificato motivo», bensì al fatto che tale «esigenza sia sorta dalle difese della controparte» non è, d’altronde, rimasta esente da censure. L’attuale presupposto rischia in effetti di rivelarsi, sotto alcuni profili, persino più restrittivo, considerando che la clausola generale del giustificato motivo già consentiva di ricomprendere al suo interno anche basiche esigenze di sviluppo dialettico del contraddittorio[175]. Può altresì osservarsi, sulla medesima linea, come la nuova formulazione debba essere oggetto di un’interpretazione estensiva, tale da includere anche l’ipotesi in cui l’appendice scritta si renda necessaria a seguito di rilievi officiosi del giudice, in conformità al disposto dell’art. 101, comma 2, c.p.c[176].

Per altro verso, non sono mancate aperture orientate a una lettura ancor più estensiva del dettato codicistico. La prospettiva di recuperare, in chiave virtuosa, margini di flessibilità analoghi a quelli insiti nella precedente formulazione pare poggiare su propositi largamente condivisibili. Si tratta, in particolare, di garantire un’adeguata tutela anche alle ipotesi in cui la concessione dei termini per le memorie integrative non dipenda strettamente dalla necessità di replicare a iniziative della controparte o del giudice, bensì da esigenze riconducibili alla piena esplicazione del diritto di difesa[177]. Si pensi, ad esempio, all’opportunità di consentire alla parte di corroborare le proprie domande ed eccezioni mediante l’indicazione di ulteriori mezzi di prova, pur a fronte di una costituzione tardiva della controparte ovvero di mere contestazioni in diritto[178]. Un’interpretazione in tal senso potrebbe, d’altro canto, trovare fondamento nella stessa lettera della norma, che sembrerebbe imporre la concessione dell’appendice scritta qualora essa risulti funzionale ad assicurare l’effettivo dispiegarsi del contraddittorio, riservando invece al prudente apprezzamento del giudice i casi in cui ricorrano altre ragioni meritevoli di considerazione[179].

Riflessioni analoghe sembrano potersi estendere anche all’ipotesi di contumacia del convenuto. Muovendo dal già segnalato caveat contenuto dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 164/2024, una parte della dottrina ha infatti osservato come l’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. comporti comunque una «preclusione probatoria che scatta con gli atti introduttivi»[180]. Il riferimento è, per l’appunto, alla circostanza che l’attore non possa sapere ex ante se la controparte si costituirà in giudizio e se potrà, dunque, avvalersi dell’appendice scritta per integrare le proprie deduzioni e produzioni istruttorie. Un simile scenario sembra in effetti «adombrare la necessità di una completezza dell’atto introduttivo» che, se non bilanciata dai correttivi ermeneutici appena richiamati, rischierebbe di tradursi in un serio disincentivo all’utilizzo del procedimento semplificato di cognizione[181].

Pare invero inevitabile ribadire, in conclusione, come la concessione dei termini per il deposito delle memorie integrative resti comunque eventuale e subordinata alla valutazione del giudice circa la sussistenza dei relativi presupposti. Ne consegue che è di regola la celebrazione della prima udienza a segnare la definitiva cristallizzazione dell’oggetto della controversia, nonché l’ultimo momento utile per completare l’indicazione dei mezzi istruttori e per contestare le allegazioni avversarie, senza incorrere negli effetti di cui all’art. 115, comma 1, c.p.c. Tutto ciò contribuisce a delineare un regime delle preclusioni nel rito semplificato che si ricava solo per implicito dalla disciplina dell’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c., e la cui concreta scansione risulta peraltro suscettibile di mutamenti non prevedibili a priori dalle parti[182].

7.Minime considerazioni conclusive

Nonostante l’autorevolezza e l’efficacia vincolante che l’ordinamento riconosce alle cosiddette sentenze interpretative di rigetto, l’intervento della Corte costituzionale sul meccanismo delle verifiche preliminari delineato dal d.lgs. n. 149/2022 non ha trovato alcun riscontro nelle soluzioni di riforma introdotte dal successivo d.lgs. n. 164/2024. Una serie composita di conseguenze sembra allora discendere dalla scelta del legislatore di discostarsi dalle coordinate ermeneutiche tracciate dalla Consulta per ricondurre tale meccanismo entro un quadro compatibile con le garanzie sancite dall’art. 24 Cost.

La prima di esse è che l’interpretazione adeguatrice dell’art. 171-bis c.p.c. formulata dalla Corte costituzionale continua a vincolare formalmente il giudice ordinario, impedendogli di applicare la norma secondo l’accezione già dichiarata lesiva del diritto di difesa e del principio del contradittorio (v., retro, § 3). Poiché tale accezione coincide tuttora con il significato letterale della disposizione, al giudice si prospettano tre alternative: i) aderire alla lettura correttiva della Consulta, nella sua declinazione più solida e condivisa, ossia quella che impone lo svolgimento delle verifiche preliminari in contraddittorio mediante un’apposita udienza (v., retro, § 4.2); ii) seguire una diversa interpretazione costituzionalmente orientata, comunque destinata a uniformarsi, nei suoi tratti essenziali, al modello del contraddittorio preventivo individuato dalla Corte (v., retro, § 4.3); iii) sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c. per contrasto con l’art. 24 Cost..

Escludendo la pur non remota eventualità di un nuovo scrutinio di legittimità costituzionale, appare di per sé evidente come la concreta attuazione del meccanismo delle verifiche preliminari rischi di trasformare la fase preparatoria in una vicenda oltremodo complessa, dispendiosa e potenzialmente inconcludente, specie nei casi in cui si renda necessario rinnovare lo scambio delle memorie integrative. Si è, del resto, evidenziato come il nuovo istituto delle seconde verifiche preliminari sembri rivelarsi incompatibile tanto con i principi enunciati dalla Consulta, quanto con la disciplina delle conseguenze connesse all’inottemperanza dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 171-bis, comma 2, c.p.c. Finanche nell’ipotesi in cui le questioni relative alla regolare costituzione del rapporto processuale siano risolte in un’apposita udienza “filtro”, l’eventuale inottemperanza agli ordini di sanatoria o di integrazione impartiti dal giudice non potrebbe infatti trovare sanzione se non nella prima udienza, e solo dopo lo scambio delle memorie integrative (v., retro, § 4.1).

Riflessioni di analogo tenore sembrano invero potersi estendere anche alla nuova collocazione del momento per la conversione del rito ordinario in semplificato nell’ambito delle verifiche preliminari. Non occorre qui soffermarsi sull’incongruenza di un sistema che, da un lato, impone al giudice di disporre il passaggio al rito semplificato ogniqualvolta ravvisi elementi di superfluità o non complessità dell’istruttoria; e che, dall’altro, lo costringe a compiere tali valutazioni inaudita altera parte sulla base del solo esame degli atti introduttivi, ossia a fronte di un quadro possibilmente ancora incompleto delle istanze e delle concrete esigenze istruttorie della controversia (v., retro, § 1). Piuttosto, rileva osservare come appaia difficilmente concretizzabile lo scenario che il legislatore prefigura a seguito della pronuncia del decreto di conversione del rito e della contestuale assegnazione alle parti di un termine per integrare i propri atti introduttivi sotto il profilo sia assertivo che probatorio (art. 171-bis, comma 4, c.p.c.).

In tale scenario, le preclusioni allegatorie e istruttorie risulterebbero direttamente collegate al deposito di detti scritti integrativi, con conseguente cristallizzazione del thema decidendum et probandum in una fase antecedente alla celebrazione della prima udienza nelle forme del rito semplificato. Si è tuttavia ampiamente illustrato come, anche a voler prescindere dai principi espressi dalla Consulta nella sentenza n. 96/2024, una simile ricostruzione applicativa sollevi seri dubbi di legittimità costituzionale. Oltre al rischio di squilibrio dialettico insito nell’indicazione di un termine unico per l’integrazione degli atti introduttivi, appare decisivo rilevare come più gravose modalità di esercizio dei diritti difensivi – rispetto a quelle previste dall’art. 171-ter c.p.c. – derivino da un provvedimento di conversione del rito adottato inaudita altera parte. Basti ribadire, d’altronde, come costituisca ormai un approdo granitico nella prassi l’orientamento secondo cui persino il passaggio dal rito ordinario al rito del lavoro, ai sensi dell’art. 426 c.p.c., debba essere disposto, con ordinanza, all’esito del contraddittorio con le parti costituite. Non potendosi dunque ricollegare al mutamento del rito alcuna preclusione rispetto all’esercizio delle facoltà difensive contemplate dall’art. 281-duodecies c.p.c., sembra agevole constatare come il passaggio al procedimento semplificato comporti vantaggi alquanto limitati in termini di concentrazione ed economia processuale. A fronte della già segnalata previsione di un termine unico per l’integrazione delle difese iniziali, non è affatto da escludere che l’esigenza di assicurare una corrispondente facoltà di replica ai nova introdotti dalla controparte finisca per giustificare, in via pressoché automatica, la concessione dei termini per l’appendice di trattazione scritta di cui all’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. (v., retro, § 6).

Sulla scia di quanto già ipotizzato in dottrina, non appare irragionevole ritenere che l’ulteriore aggravio della fase preparatoria del processo ordinario di cognizione possa concretamente favorire l’attuazione dell’intento legislativo di una generalizzata adozione del rito semplificato, sinora rimasto in larga parte disatteso[183]. È tuttavia opportuno rilevare come le resistenze manifestate dall’avvocatura all’impiego al nuovo rito risultino, in netta prevalenza, riconducibili alla non chiara scansione del regime delle preclusioni assertive e probatorie, modulato invece nel rito ordinario secondo più prevedibili «ritmi della gradualità»[184].

Come si è visto, l’intervento correttivo introdotto dal d.lgs. n. 164/2024 pare essersi effettivamente mosso nella direzione di garantire le fondamentali esigenze di sviluppo dialettico del contraddittorio, eliminando la clausola del «giustificato motivo» cui era in precedenza subordinata la concessione delle due memorie integrative previste dall’art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c. Ciononostante, come evidenziato anche nelle osservazioni del Consiglio Nazionale Forense allo schema del decreto correttivo, l’effettiva diffusione del rito semplificato non sembra poter prescindere dalla previsione dell’obbligatoria concessione delle suddette memorie su istanza di parte[185]. A ciò si può aggiungere che tale modifica dovrebbe accompagnarsi anche a una revisione dei termini di costituzione del convenuto indicati dall’art. 281-undecies, comma 2, c.p.c., già di per sé eccessivamente ridotti rispetto all’estrema eterogeneità delle controversie cui il rito semplificato è applicabile.

L’urgenza di questi ulteriori correttivi non pare invero procrastinabile alla luce delle evidenziate criticità pratico-applicative che permeano l’attuale assetto del rito ordinario. Occorrerebbe certo prendere atto che la cosiddetta riforma Cartabia del processo civile possa aver prodotto un “nuovo” rito ordinario che differisce dal previgente soltanto per la riduzione – da tre a due – del numero delle memorie che compongono l’appendice di trattazione scritta. Ma si eviterebbe almeno così di insistere nella creazione di formalismi forieri di estreme complicazioni e, per ciò stesso, contrari agli obiettivi di efficientamento della giustizia civile.

[1] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo recante «attuazione della l. 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie, nonché in materia di esecuzione forzata», consultabile in https://www.senato.it, 2.

[2] Oltre alle indicazioni che seguiranno in nota, si v., ad es., P. Biavati, L’architettura della riforma del processo civile, Bologna, 2021, spec. 24 ss.; Id., Brevi osservazioni sulle disposizioni del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, in riferimento al processo di cognizione, in Corti fior., 2024, 55 ss.; F.P. Luiso, Il processo civile. Commentario breve al c.d. “Correttivo Cartabia” (d.lgs. 31 ottobre 2024, n.164), Torino, 2025, spec. 35 ss.; A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia. D.lgs. 31 ottobre 2024 n. 164 e D.lgs. 27 dicembre 2024 n. 216, Torino, 2025, 1 ss., spec. 1-4; Aa.Vv., La riforma Cartabia del processo civile. Commento ai d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, 31 ottobre 2024, n. 164, 27 dicembre 2024, n. 216, a cura di R. Tiscini, con il coord. di C. Briguglio, M. Farina e B. Limongi, 2ª ed., Pisa, 2025, passim; D. Dalfino, Guida sistematica al nuovo processo civile: dopo il d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 (Correttivo Cartabia), Molfetta, 2025, passim; P. Farina, R. Giordano, R. Metafora, Il decreto correttivo alla riforma Cartabia. Commento alle novità introdotte dal d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, Milano, 2025, spec. 42 ss.; A.A. Romano, Le disposizioni integrative e correttive della riforma del processo civile. D.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, Pisa, 2025, spec. 13 ss., nonché, nella letteratura di taglio pratico, F. Bartolini, La riforma del processo civile. Commento operativo alla Riforma dopo il decreto correttivo d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, Piacenza, 2024, spec. 10 ss.; F.R. De’ Angelis, Il Correttivo alla Riforma Cartabia del processo civile. Commento operativo al d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, Napoli, 2024, spec. 11 ss.; M. Di Pirro, Il processo civile dopo il nuovo correttivo Cartabia, Napoli, 2024, spec. 9 ss.

[3] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 2.

[4] Come ampiamente noto, con l’espressione «fase di preparazione della causa» si intende oggi ricomprendere tutte quelle attività del processo che «dallo scambio degli atti introduttivi conducono la controversia alla fase di istruzione in senso stretto», ossia alla (eventuale) ammissione e assunzione delle prove richieste dalle parti o disposte d’ufficio dal giudice (cfr., spec., V. Ansanelli, Filosofie di riforma della fase preparatoria nel processo civile, Genova, 2021, 15). Tale espressione, non priva di risalenti riscontri storici (v., si vis, F. Noceto, Preparazione della causa nelle codificazioni liberali italiane e spagnole. Alle radici della modernità, Genova, 2024, 67 ss.), si è progressivamente affermata nella nostra dottrina grossomodo a partire dall’inizio del XXI secolo (A. Dondi, Questioni di efficienza della fase preparatoria nel processo civile statunitense (e prospettive italiane di riforma), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 161 ss.; A. Carratta, Il ruolo del giudice e delle parti nella fase preparatoria e prospettive di riforma del processo civile, in Aa.Vv., Studi di diritto processuale in onore di Giuseppe Tarzia, III, Milano, Giuffré, 2005, 2581 ss.; Id., La “nuova” fase preparatoria del processo di cognizione: corsi e ricorsi di una storia ‘infinita’, in Giur. it., 2005, 2233 ss.; A. Proto Pisani, I modelli di fase preparatoria dei processi a cognizione piena in Italia dal 1940 al 2006, in Foro it., 2006, 374 ss.; A. Graziosi, Appunti sulla nuova fase preparatoria del processo ordinario di cognizione, in Rass. for., 2006, 1523 ss.; B. Ficcarelli, Fase preparatoria del processo civile e case management giudiziale, Napoli, 2011). A seguito del riassetto dell’architettura del processo ordinario di cognizione, attuato dalla cosiddetta riforma Cartabia, la nozione di fase di preparazione della causa (o fase preparatoria) appare ormai diffusamente impiegata per riferirsi al complesso delle attività che precedono la celebrazione della prima udienza di comparizione delle parti (v., ad es., nella manualistica, G. Tarzia, F. Danovi, L. Salvaneschi, Lineamenti del processo ordinario di cognizione, 7ª ed., Milano, 2023, 2 ss.; G. Verde, Diritto processuale civile, vol. II, Processo di cognizione, agg. a cura di F. Auletta, G.P. Califano, G. Della Pietra, N. Rascio, 6ª ed., Bologna, 2023, 23 ss.).

[5] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149: «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», in Suppl. Straord. Gazz. Uff., 19 ottobre 2022, n. 245, 6.

[6] Cfr. C. Consolo, Pro futuro. Considerazioni sui problemi della riforma del processo civile (titolava Franz Klein, 1891). Un mero flash qui e ora ad instar sulla tormentata fase introduttiva, in Pol. dir., 2021, 547 ss.; A. Chizzini, Il codice italiano di procedura civile negli ottant’anni dalla sua entrata in vigore, in Judicium, 2023, 7 ss., spec. 19-20. Per l’analisi delle precedenti soluzioni di riforma adottate al riguardo, nonché per ampi rimandi bibliografici, si v., in particolare, V. Ansanelli, Filosofie di riforma della fase preparatoria nel processo civile, cit., 171 ss.; Id., Ancora su riforma e controriforma del processo civile, in Foro it., 2020, 328 ss.

[7] Oltre ai riferimenti che saranno indicati nel prosieguo, si v. R. Tiscini, Giudici e avvocati tra rito ordinario e procedimento semplificato di cognizione, in Id., Il ruolo del giudice e degli avvocati nella gestione delle controversie civili, Napoli, 2023, 110 ss.; A. Merone, Il rito semplificato di cognizione, in L. Mancini, A. Merone, A. Scarpa, Il processo ordinario e semplificato di cognizione di primo grado, Milano, 2024, 273 ss.; G.P. Califano, Il procedimento semplificato di cognizione, Bologna, 2025, spec. 14 ss.

[8] Per alcuni commenti alle soluzioni di riforma delineate dalla l. n. 206/2021, si v., ad es., G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, in Quest. giust., 2021, 28 ss., spec. 36-39; A. Dondi, Prime impressioni su una riforma forse non tentative, in Pol. dir., 2021, 555 ss.; Id., Obiettivi e risultati della recente riforma del processo civile. La disciplina della cognizione a una prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 927 ss.; C. Cecchella, Contributo a una giustizia “civile”. Una prima lettura della legge delega “Cartabia” sul processo civile, in Pol. dir., 2021, 525-545; V. Ansanelli, Prime considerazioni sulla legge di delega al governo per la riforma del codice di procedura civile, la revisione degli strumenti di risoluzione alternativa e la razionalizzazione dei procedimenti in materia di persone e famiglia, in Corti fior., 2021, 75 ss.; G. Tombolini, Note “a caldo” sulla nuova legge delega di riforma della giustizia civile, in Judicium, 15 dicembre 2021; E. Merlin, È legge la delega al governo per gli interventi sul processo civile (legge 26 novembre 2021 n. 206), in Riv. dir. proc., 2022, 258 ss.; G. Monteleone, Il dissesto della giustizia civile italiana e “le responsabilità della dottrina”, in Giusto proc. civ., 2022, 1 ss.; G. Della Pietra, Le ordinanze «divinatorie» nella delega sul processo civile, in DPCIeC, 2022, 246 ss.; G. Costantino, Introduzione, in La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, a cura di G. Costantino, Bari, 2022, 19 ss.; E. Dalmotto, Gli obiettivi e l’iter legislativo della riforma, in Lezioni sul nuovo processo civile, a cura di E. Dalmotto, Bologna, 2023, 1 ss., spec. 8-10, nonché, in particolare, A. Chizzini, La recente novella del processo civile. Un quadro generale, in Jus, 2023, 205 ss., spec. 216.

[9] Cfr., ad es., C. Delle Donne, La fase introduttiva e la prima udienza, in Aa.Vv., La riforma Cartabia del processo civile, cit., 341 ss.; R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione, ivi, 552 ss.

[10] Si v., ad es., R. Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile. Prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 389 ss., spec. 390-392; Id., Modelli di processo a cognizione piena, in Quest. giust., 2015, 96 ss., spec. 96-97; Id., Rigidità e flessibilità del processo civile, in Riv. dir. proc., 2016, 1142 ss.; Id., Processo civile: modelli europei, riforma Cartabia, interessi corporativi, politica, Quest. giust., 2023, 30, spec. 35-36, nonché, di recente, S. Boccagna, La nuova organizzazione del processo, in Riv. dir. proc., 2023, 1341 ss., spec. 1347.

[11] Cfr., anche per ampia bibliografia, L. Passanante, «Processo civile inglese», voce dell’Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, 969 ss.; B. Ficcarelli, Fase preparatoria del processo civile e case management giudiziale, cit., 72 ss.; A. Dondi, V. Ansanelli, P. Comoglio, Processi civili in evoluzione. Una prospettiva comparata, 2ª ed., Milano, 2018, 151 ss., nonché, per una compiuta analisi del fenomeno nelle declinazioni ideologiche, teorico-sistematiche e in prospettiva de iure condendo, M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione. Un embrione di case management all’italiana?, Bologna, 2018, spec. 5 ss., 593 ss.

[12] Si v., di recente, M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, in Riv. dir. proc., 2025, 102 ss., spec. 104-105.

[13] Cfr., ad es., A. Carratta, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (II parte) – Due modelli processuali a confronto: il rito ordinario e quello semplificato, in Giur. it., 2023, 697 ss., spec. 703-704.

[14] Sulla philosophy del cosiddetto PNRR-Giustizia, si v., ad es., M. Fabbri, La giustizia civile nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 927 ss.; E. D’Alessandro, La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo, in giustiziainsieme.it, 31 maggio 2021; C. Castelli, Giustizia. Andare oltre il PNRR, in Quest. giust. online, 5 maggio 2021; G. Gilardi, Introduzione. La riforma della giustizia civile: dal ddl 1662/S/XVIII alla legge delega 26 novembre 2021, n. 206, in Quest. giust., 2021, 8 ss., spec. 8-19; D. Mercadante, Il pane, le rose, la concorrenza, ivi, 43 ss.; O. Civitelli, La giustizia e la performance, in Quest. giust. online, 16 settembre 2022; nonché, per un complementare sguardo alle soluzioni di riforma concretamente attuate dal legislatore, P. Biavati, L’architettura della riforma del processo civile, cit., 9-10; Id., La riforma del processo civile: motivazioni e limiti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 45 ss., spec. 47-57; Id., Ce lo chiede l’Europa?, in Scritti in onore di Bruno Sassani, a cura di R. Tiscini e F.P. Luiso, II, Pisa, 2022, 1601 ss.; R. Martino, Il processo civile di fronte all’emergenza: “accelerazione” del rito e tramonto del principio di oralità, in Processo, 2023, 1 ss., spec. 10-13; A. Carratta, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (I parte). Introduzione, in Giur. it., 2023, 446; A. Chizzini, La recente novella del processo civile, cit., 206-209; C. Cavallini, Giustizia civile, economia e costituzione, in Riv. dir. proc., 2024, 24 ss., spec. 28-30; G. Verde, Il metodo delle riforme nella giustizia civile. Passato e presente, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 35 ss., spec. 49-50; L. Querzola, Ultime riforme in vista dell’efficienza del processo civile in Italia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 237 ss., spec. 240-245. Per più ampie considerazioni sull’approccio economicista alle riforme della giustizia civile, si v., ad es., F. Auletta, Una lezione di analisi economica del diritto processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 633 ss.; R. Caponi, Doing Business come scopo del processo civile?, in Foro it., 2015, 10 ss., spec. 11-14; A. Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, in Riv. dir. proc., 2015, 680 ss., spec. 693-695; Id., La visione utilitaristica del processo e le ragioni del garantismo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, 97 ss.; Id., Principio di proporzionalità e processo civile. La “nuova” procedura civile utilitaristica, in Id., Principi e regole in epoca di utilitarismo processuale, Bari, 2022, 25 ss.; M. Morani, Molte buone ragioni per non citare più il rapporto «Doing Business» in tema di giustizia civile, in Foro it., 2017, 130 ss.; P. Nappi, Giustizia civile e classifiche internazionali: eterogenesi dei fini del legislatore?, ivi, 2018, 360 ss.; Id., Il diritto di agire in giudizio nell’Italia competitiva, in Giusto proc. civ., 2024, 1 ss., spec. 7-8; S. Chiarloni, Riflessioni minime sui paradossi della giustizia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 131 ss., spec. 139-140; M. Bove, Un metodo per le riforme nella giustizia civile?, in Giusto proc. civ., 2019, 541 ss., spec. 545-547; S. Pellegrini, Il dialogo tra magistratura e avvocatura. Per una comune cultura della giurisdizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 511 ss., spec. 518-519. Per alcuni riferimenti alla reportistica internazionale sull’efficienza della giustizia civile, si v., ad es., European Commission for the Efficiency of Justice, European Judicial Systems. CEPEJ Evaluation Report. 2024 Evaluation Cycle (2022 Data), October 16, 2024, consultabile in https://www.coe.int, 9 ss.; European Commission for the Efficiency of Justice, Scheme for Evaluating European Judicial Systems. 2024 Cycle (2022 Data), March 30, 2023, consultabile in https://www.coe.int, 2 ss.; World Bank, Doing Business 2020. Comparing Business Regualtion in 190 Economies, October 24, 2019, consultabile in https://archive.doingbusiness.org; nonché, spec., World Bank, Economy Profile of Italy. Doing Business 2020. Comparing Business Regualtion in 190 Economies, October 24, 2019, consultabile in https://archive.doingbusiness.org. A livello nazionale, si v., invece, quale caso-limite dell’analisi del fenomeno processuale in chiave economicista, M. Barbuto, C. Cottarelli, A. De Nicola, L. D’Urso, Come ridurre i tempi della giustizia civile. Osservatorio dei conti pubblici italiani, 5 giugno 2020, 1-10, in https://osservatoriocpi.unicatt.it, con le osservazioni di M.G. Civinini, G. Scarselli, Ridurre i tempi della giustizia civile? Osservazioni di un giudice e di un avvocato a margine di una recente proposta, in Quest. giust., 26 giugno 2020 e di B. Capponi, Quando l’economia attenta la giustizia, in Judicium, 6 luglio 2020, 1-2. Più di recente, con un focus mirato sugli aspetti propriamente organizzativi dell’attività giurisdizionale, M. Cugno, S. Giacomelli, L. Malgieri, S. Mocetti, G. Palumbo, La giustizia civile in Italia: durata dei processi, produttività degli uffici e stabilità delle decisioni, in Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 715, 12 ottobre 2022, consultabile in https://www.bancaditalia.it, 1 ss., spec. 37-39; M. Canella, M. Cugno, S. Mocetti, G. Palumbo, G. Volpe, Gli effetti dell’ufficio per il processo sul funzionamento della giustizia civile, in Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 876, 3 ottobre 2024, consultabile in https://www.bancaditalia.it, 1 ss., spec. 3-6.

[15] Si v., ad es., B. Sassani, Sulla riforma del processo societario, in La riforma delle società, a cura di B. Sassani, Torino, 2003, 10 ss.; G. Costantino, Il nuovo processo commerciale: la cognizione ordinaria in primo grado, in Riv. dir. proc., 2003, 390 ss.; S. Chiarloni, Riflessioni minime sul nuovo processo societario, in Giur. it., 2004, 235 ss.; A. Dondi, Complessità e adeguatezza nella riforma del processo societario. Spunti minimi di raffronto comparato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 137 ss.; Aa.Vv. Davanti al giudice. Studi sul processo societario, a cura di A. Carratta, L. Lanfranchi, Torino, 2005, passim; M. Giorgetti, Fase preparatoria e istanza di fissazione dell’udienza, in Aa.Vv., Il nuovo processo societario. I decreti di correzione e il primo anno di applicazione, Milano 2005, 1 ss.; Id., «Processo societario: procedimenti ordinari», voce del Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., Torino 2007, 5 ss.; Aa.Vv., Il processo societario di cognizione. Cognizione piena, giudizio abbreviato e procedimento sommario, a cura di A. Didone, Milano 2005, passim; P. Comoglio, P. Della Vedova, Lineamenti di diritto processuale societario, Milano, 2006, passim; nonché, per ulteriori approfondimenti e bibliografia, V. Ansanelli, Filosofie di riforma della fase preparatoria, cit., 270 ss. Per ampi rimandi storici ai modelli accolti dalle principali codificazioni preunitarie italiane, si v., ad es., S. Chiarloni, Introduzione. Il presente come storia. Dai codici di procedura civile sardi alle recentissime riforme e proposte di riforma, in Testi e documenti per la storia del processo. IIª Sezione: Codici degli Stati italiani preunitari, XII. Codici di procedura civile del Regno di Sardegna. 1854/1859, a cura di N. Picardi, A. Giuliani, Milano, 2004, IX ss.; V. Ansanelli, Contributo allo studio della trattazione nella storia del processo civile italiano. 1815-1942, Torino, 2017, 37 ss.; nonché, F. Noceto, Preparazione della causa nelle codificazioni liberali, cit., spec. 67 ss., 243 ss., 317 ss.

[16] Cfr. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 70, in www.governo.it, Per alcuni commenti a riguardo, si v., ad es., I. Pagni, Gli obiettivi del disegno di legge delega tra efficienza del processo, effettività della tutela e ragionevole durata, in Pol. dir., 2021, 573 ss., spec. 579-583; M. Gattuso, La riforma governativa del primo grado: le ragioni di un ragionevole scetticismo e alcune proposte organizzative ancora possibili, in Quest. giust., 2021, 55 ss., spec. 61; S. Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma del processo civile: note a prima lettura, in DPCIeC, 2022, 253 ss.; C. Cavallini, Verso il nuovo modello del procedimento ordinario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2022, 161 ss.; G. Miccolis, Una piccola riflessione sulla riforma della giustizia civile, in Judicium, 4 aprile 2023.

[17] Cfr. Ministero della Giustizia (Ufficio Legislativo – Commissioni di studio), Commissione per elaborare proposte di interventi in materia di processo civile e mediazione. Presidente Prof. Romano Vaccarella, Relazione e articolati, 2013, disponibile sul sito www.giustizia.it. A riguardo, si v., ad es., B. Capponi, A prima lettura sulla delega legislativa al governo «per l’efficienza della giustizia civile», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 361 ss., spec. 361-364; C. Gamba, Il processo civile all’alba dell’ennesima stagione di riforme, ibidem, 347 ss., spec. 357-360; Id., Le ipotesi di riforma contenute nella relazione Vaccarella in tema di contumacia e non contestazione, ibidem, 831 ss.; L. Passanante, Brevi note critiche sul d.d.l. delega per l’efficienza del processo civile, ibidem, 819 ss., spec. 819-822; M.G. Canella, Nuove proposte per la fase introduttiva del giudizio di cognizione, ibidem, 847 ss., spec. 848-854; M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 602-604; V. Ansanelli, Culture della riforma, modulazione del rito e sommarizzazione delle tutele. Sulle più recenti riforme del nostro processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 967 ss., spec. 980-981.

[18] Per il testo del cosiddetto progetto Orlando, cfr. D.d.l. A.C. 2953/XVII, 11 marzo 2015, concernente «Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile», 2 ss., consultabile in https://documenti.camera.it. Si v., a riguardo, spec., B. Capponi, Il d.d.l. n. 2953/C/XVII «delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile», in Judicium, 31 marzo 2015. La versione originaria del d.d.l. governativo ha subito diverse modifiche (v., ad es., B. Capponi, Il giudizio ordinario di primo grado nel d.d.l. 2953-A della Camera dei Deputati, in Quest. giust., 23 marzo 2016), sino a essere accorpato con il d.d.l. A.C. 2921/XVII, 2 marzo 2015, e dunque riproposto al Senato come d.d.l. A.S. 2284/XVII, 11 marzo 2016. Con tale ultimo disegno di legge, si prospettava per la prima volta, in maniera tendenzialmente organica, di «collocare il procedimento sommario di cognizione, ridenominato “rito semplificato di cognizione di primo grado”, nell’ambito del libro secondo del codice di procedura civile, prevedendone l’obbligatorietà per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica» (art. 1, comma 2, lett. a), n. 4), d.d.l. A.S. 2284/XVII, 11 marzo 2016). Si v., in proposito, A. Sponzilli, Le linee generali della riforma nel quadro del PNRR, in La riforma del processo civile. Commento alla l. 26 novembre 2021, n. 206, a cura di G. Di Marco, Torino, 2022, 1 ss., spec. 6-7; A. Gasparre, L. De Stefani, La riforma del processo civile. Una prima lettura del disegno di legge delega, Padova, 2016, spec. 15 ss., nonché, amplius, M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 602-608.

[19] Cfr. E. Riva Crugnola, Quali interventi per l’efficienza del processo civile: errare humanum est perseverare autem diabolicum. A proposito di due punti del disegno di legge delega presentato dal Governo l’11.3.2015, in Quest. giust., 2015, 99 ss., spec. 100 e, in senso analogo, Documento dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile sul disegno di legge delega per la riforma del c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 747-748, anche in Riv. dir. proc., 2015, 793-794.

[20] Cfr. B. Capponi, Il d.d.l. n. 2953/C/XVII, cit., nonché, più di recente, M. Gradi, Burocrazia giudiziaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 751 ss., spec. 768.

[21] Cfr. R. Caponi, Modelli di processo a cognizione piena, cit., 98.

[22] Fra i molti possibili riferimenti, si v., ad es., R. Giordano, Più ombre che luci nel nuovo processo civile di primo grado, in www.giustiziacivile.com, 19 ottobre 2022; B. Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito ordinario di cognizione, ivi, 26 ottobre 2022; Id., Sulla fase introduttiva del nuovo rito di ordinaria cognizione, in Giust. civ., 2023, 261 ss.; R. Donzelli, Riforma del processo civile: le disposizioni generali e il processo di cognizione, ivi, 22 novembre 2022; A. Proto Pisani, Note a prima lettura di una brutta riforma del processo civile, in Quest. giust. online, 29 novembre 2022; D. Volpino, La nuova fase introduttiva del procedimento ordinario di cognizione, in Giusto proc. civ., 2022, 711 ss.; F. Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in Giustizia insieme, 2023, 253 ss.; P. Lai, Le nuove regole per l’introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione, in Judicium, 23 aprile 2023; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado. Introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, in Il processo civile dopo la riforma. D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a cura di C. Cecchella, Bologna, 2023, 49 ss.; A. Carratta, Le riforme del processo civile. D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 in attuazione della l. 26 novembre 2021, n. 206, Torino, 2023, 33 ss.; F.P. Luiso, Il nuovo processo civile. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2023, 48 ss.; S. Izzo, Il giudizio a cognizione piena innanzi al tribunale, in Quest. giust., 2023, 53 ss.; Aa.VV., La riforma del processo civile: l’attuazione. Commento al d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022, con il coord. di G. Finocchiaro, Milano, 2023, 89 ss.; M. Russo, Trattazione scritta iniziale e prima udienza, in Aa.Vv., Il processo civile riformato, a cura di A. Ronco, Bologna, 2023, 91 ss. Nella manualistica, si v., ad es., F. Auletta, Diritto giudiziario civile, 3ª ed., Bologna, 2023, 67 ss.; G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, 6ª ed., II, Bari, 2023, 41 ss.; V. Bertoldi, Il processo ordinario di cognizione, in Diritto processuale civile, a cura di G. Ruffini, II, Bologna, 2023, 78 ss.; P. Biavati, Argomenti di diritto processuale civile, 7ª ed., Bologna, 2025, 321 s.; M. Bove, Lineamenti di diritto processuale civile, 7ª ed., Torino, 2023, 233 ss.; C. Cavallini, Lezioni di diritto processuale civile, 3ª ed., I, Bologna, 2024, 423 ss.; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 13ª ed., II, Torino, 2023, 181 ss.; E. Dalmotto, Il processo ordinario di primo grado, in Lezioni sul processo civile, cit., 48 ss.; G. Della Pietra, Il processo civile spiegato ai ragazzi, 2ª ed., Bologna, 2023, 198 ss.; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, 15ª ed., II, Milano, 2023, 29 ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, 7ª ed., Torino, 2023, 99 ss.; C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto processuale civile, 20ª ed., II, Torino, 2023, 31 ss.; N. Picardi, Manuale del processo civile, agg. a cura di R. Martino, A. Panzarola, L. Picardi, 5ª ed., Milano, 2025, 333 ss.; B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, 10ª ed., Milano, 2025, 243 ss.; G. Tarzia, F. Danovi, L. Salvaneschi, Lineamenti del processo ordinario di cognizione, cit., 2 ss.; G. Verde, Diritto processuale civile, cit., II, 23 ss.

[23] Cfr., del resto, già F. Cipriani, Il codice di procedura civile tra gerarchi e processualisti, Napoli, 1992, 97 ss. Si v., altresì, M. Taruffo, Introduzione. Le ultime riforme della giustizia civile, in Il processo civile riformato, a cura di M. Taruffo, Bologna, 2010, 14 ss.; G. Verde, Tutte le ipocrisie che rischiano di far fallire la novella, in Guida dir., 2023, 10 ss., spec. 11 e, per più ampi commenti, G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, in La riforma del processo civile, a cura di D. Dalfino, Città di Castello, 2022, 78 ss., spec. 100.

[24] Cfr. Ministero della Giustizia (Ufficio Legislativo), Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi (Prof. Francesco Paolo Luiso), Proposte normative e note illustrative, 2021, consultabile in https://www.giustizia.it, 1 ss., spec. 39.

[25] Si v., ad es., C. Delle Donne, La fase introduttiva e la trattazione, nel processo di primo grado a rito ordinario davanti al tribunale, nella Riforma Cartabia (l. n. 206/2021 – d.lgs. n. 149/2022. Parte Prima, in Processo, 2023, 77 ss., spec. 97 ss.; Id., La fase introduttiva e la prima udienza, cit., 359 ss.; P. Lai, Le nuove regole per l’introduzione della causa nel rito ordinario di cognizione, in Judicium, 27 aprile 2023; S. Menchini, E. Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, in Riv. dir. proc., 2023, 578 ss., spec. 585 ss.; A. Nascosi, Tutta un’altra storia. Note sulla nuova fase di trattazione del processo civile, in Judicium, 2023, 163 ss.; R. Pezzella, Prime riflessioni sulla nuova fase introduttiva del giudizio di cognizione di primo grado, in Giust. civ., 2023, 273 ss.; R. Tiscini, Attività preliminari all’udienza e ruolo dei protagonisti del processo, in Id., Il ruolo del giudice e degli avvocati nella gestione delle controversie civili, Napoli, 2023, 141 ss.; G. Trisorio Liuzzi, La fase introduttiva del giudizio civile di primo grado dinanzi al tribunale, in Giusto proc. civ., 2023, 25 ss., spec. 38 ss.

[26] Cfr. S. Boccagna, La nuova organizzazione del processo, cit., 1363 ss.; C. Delle Donne, La fase introduttiva e la trattazione, nel processo di primo grado a rito ordinario davanti al tribunale, nella Riforma Cartabia (l. n. 206/2021 – d.lgs. n. 149/2022. Parte Seconda, in Processo, 2023, 434 ss., spec. 450 ss.; V. Ansanelli, La nuova fase preparatoria nella riforma Cartabia, in Corti fior., 2023, 3 ss., spec. 7. Per ulteriori riferimenti, si v., ad es., G. Finocchiaro, Dei tirocini formativi e dell’“Ufficio per il processo”, in Riv. dir. proc., 2015, 961 ss.; R. Braccialini, L’ufficio per il processo tra storia, illusioni, delusioni e prospettive, in Quest. giust. online, 1° giugno 2020; C. Cavallini, L’ufficio per il processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 981 ss.; A. Di Florio, L’ufficio per il processo, in La riforma della giustizia civile, cit., 121 ss.; M.F. Ghirga, L’ufficio del processo: una sfida, in Riv. dir. proc., 2022, 177 ss.; Id., L’ufficio per il processo. Una sfida anche per le nuove linee di ricerca e di didattica che contribuiranno a dare un diverso volto alla giustizia, in Scritti in onore di Bruno Sassani, cit., I, 1821 ss.; M. Brunaliti, L’ufficio per il processo, in La riforma del processo civile, cit., 743 ss.; Aa.Vv., Ufficio per il processo, a cura di F. Auletta, S. Rusciano, Bologna, 2023, passim; E. Gabellini, Ufficio per il processo, in Commentario breve al codice di procedura civile, 10ª ed., a cura di F. Carpi e M. Taruffo, con la coll. di C. Gamba, Milano 2023, 272 ss.; D. Dalfino, A. Nisio, B. Carapella, G. Vita, L’ufficio del processo nel prisma della giustizia civile sostenibile, Bari, 2023, passim; Aa.Vv., PNRR, giustizia e ufficio per il processo, a cura di E. Melloni, G. Vecchi, Milano, 2024, passim; Aa.Vv., L’ufficio per il processo, a cura di C. Castelli, Pisa, 2024, passim.

[27] Si v. i riferimenti contenuti nella precedente nota n. 18, nonché Ministero della Giustizia (Ufficio Legislativo), Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi (Prof. Francesco Paolo Luiso), Proposte normative e note illustrative, cit., 39-40. Sul tema, si v., ad es., C. Vellani, Brevi note alle norme in materia di processo semplificato, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2021, 1027 ss.; G. Costantino, Il «procedimento semplificato di cognizione», in La riforma della giustizia civile, cit., 194 ss. R. Metafora, Il procedimento «semplificato» di cognizione, in ilprocessocivile.it 12 gennaio 2022; R. Masoni, Il procedimento semplificato di cognizione, in giustiziacivile.com, 7 dicembre 2022; A. Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato, in Judicium, 16 gennaio 2023; A.R. Mingolla, Il processo semplificato, in Il processo civile dopo la riforma, cit., 121 ss.

[28] Cfr., ad es., G. Costantino, Il «procedimento semplificato di cognizione», in La riforma della giustizia civile, cit., 194 ss., nonché A. Giussani, Le nuove norme sul procedimento semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, 632 ss., spec. 637-640.

[29] Si v., ad es, G. Balena, Il (semi)nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Giusto proc. civ., 2023, 1 ss., spec. 3-7; B. Gambineri, Il procedimento semplificato di cognizione (o meglio il “nuovo” processo di cognizione di primo grado), in Quest. giust., 2023, 67 ss., spec. 76-78; M. Stella, I nuovi riti di cognizione e il ruolo dell’avvocato, in particolare nel rito semplificato, in DPCIeC, 2023, 815 ss., spec. 820-821; E. Dalmotto, Il procedimento semplificato, in Lezioni sul nuovo processo civile, cit., 91 ss., spec. 94; R. Masoni, Il procedimento semplificato di cognizione, in Giust. civ., 2023, 291 ss., spec. 295-299; F. Casciaro, Dal procedimento sommario al nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Judicium, 2 gennaio 2024; M. Gaboardi, Il procedimento semplificato di cognizione per scelta dell’attore: un nonsense processuale?, in DPCIeC, 2024, 606 ss.

[30] Cfr., ad es., A. Merone, Il nuovo procedimento semplificato e la disciplina del mutamento del rito. Tanto rumore per nulla?, in Processo, 2023, 673 ss., spec. 677-686; G. Caruso, Luci e ombre del nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Judicium, 13 dicembre 2023.

[31] Cfr. A. Chizzini, La recente novella del processo civile, cit., 216.

[32] Oltre alle indicazioni contenute nella precedente nota n. 29, si v., anche per ulteriori rimandi bibliografici, R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione, in Aa.Vv., La riforma Cartabia del processo civile, cit., 546-548.

[33] Cfr. R. Tiscini, Le novità del decreto correttivo alla riforma Cartabia sul procedimento semplificato di cognizione, in Judicium, 11 giugno 2024, 3.

[34] Cfr. L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo correttivo e integrativo delle disposizioni processuali introdotte con la riforma Cartabia, in Judicium, 4 aprile 2024, 7-8.

[35] Cfr. G. Della Pietra, Il processo civile è morto, viva il processo civile!, in DPCIeC, 2024, 887 ss., spec. 889.

[36] Cfr., ancora, G. Della Pietra, op. ult. cit., 889-890.

[37] Cfr. R. Tiscini, Le novità del decreto correttivo, cit., 9.

[38] Per ampi commenti a Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, si v., ad es., A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c. e l’intervento “ortopedico” della Corte costituzionale, in Giust. cost., 2024, 968 ss.; G. Scarselli, La procedura civile del nostro tempo (nota a Corte Cost. 3 giugno 2024 n. 96 sull’art. 171-bis c.p.c.), Giustizia insieme, 31 luglio 2024; A.A. Romano, L’interpretazione adeguatrice dell’art. 171-bis c.p.c. secondo la Corte costituzionale, in Giur. it., 2024, 2092 ss.; M. De Cristofaro, La Consulta ed il 171-bis c.p.c.: il contraddittorio ‘‘è ’’ solo se è preventivo, ibidem, 2097 ss; C. Consolo, Postilla, ibidem, 2101-2102; D. Dalfino, Le verifiche preliminari e l’udienza “filtro”: garanzia del contraddittorio sulle questioni «liquide» e poteri di direzione del processo, in Foro it., 2024, 1639 ss.; G. Carmellino, La lettura costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c., ibidem, 1645 ss.; C. Delle Donne, La Consulta e l’art. 171-bis c.p.c.: interpretazione “costituzionalmente orientata” o interpretatio abrogans?, in Giust. civ., 2024, 731 ss.; M. Bove, La trattazione nel processo ordinario di primo grado tra riforma Cartabia, intervento della Corte costituzionale e annunciato “correttivo”, in Judicium, 13 giugno 2024; A. Briguglio, Il nuovo art. 171-bis c.p.c., la Corte costituzionale ed il «primo grado Cartabia» fra l’essere quest’ultimo solo inutile e l’essere dannoso, nonché fra le nostre discrete angosce e il vivido desiderio di integrale abrogazione. Con una Postilla sul «Correttivo», in Riv. dir. proc., 2024, 1309-1334.

[39] Cfr. Trib. Verona, 22-23 settembre 2023, in Foro it., 2023, 3588 ss., con nota di richiami, anche in ForoNews, 26 settembre 2023, Le verifiche preliminari del processo civile al vaglio della Corte costituzionale. Per alcuni all’ordinanza del tribunale scaligero, si v., ad es., G. Scarselli, Il Tribunale di Verona dubita della legittimità costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c., in Giustiziainsieme.it, 14 novembre 2023; F.M. Simoncini, Le verifiche preliminari ex art. 171-bis c.p.c. al vaglio della Corte costituzionale (a proposito di Trib. Verona, ord. 23 settembre 2023, n. 150), in Judicium.it, 21 febbraio 2024; R. Pezzella, La nuova fase delle verifiche preliminari: il Tribunale di Verona solleva questione di legittimità costituzionale, in Ius Giuffré, 21 novembre 2023; D. Volpino, Il nuovo art. 171-bis c.p.c. censurato di incostituzionalità, in Giur. it., 2024, 1084 ss.; V. Capasso, Sui poteri del giudice istruttore in sede di verifiche preliminari: cambiando l’ordine degli addendi, il risultato cambia?, in Il processo, 2023, 999 ss.; nonché, si vis, F. Noceto, Questioni di legittimità costituzionale del nuovo art. 171-bis c.p.c. Elementi per una lettura sistematica dell’ordinanza, in Giusto processo civ., 2023, 1211 ss.

[40] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 74 ss., spec. 82-85.

[41] Cfr. A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c., cit., 973.

[42] Cfr., ancora, A. Carratta, op. ult. cit., 976.

[43] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punto 8.11 della motivazione.

[44] Cfr., critico, A. Briguglio, Il nuovo art. 171-bis c.p.c., cit., 1328 ss.

[45] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., 23.

[46] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punti nn. 2.2. e 3 della premessa.

[47] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punti 8.7. e 8.8. della motivazione.

[48] La titolazione del presente paragrafo rimanda pour cause al celebre romanzo di C.E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, 1957.

[49] Cfr. Cass., Sez. Un., 16 dicembre 2013, n. 27986, in Foro it., 2014, 1872 ss., con nota di R. Brogi, nonché, in senso analogo, Cass., Sez. Un., 26 giugno 2023, n. 18235.

[50] Per alcuni riferimenti di carattere dottrinale, si v., ad es., V. Crisafulli, Le sentenze “interpretative” della Corte costituzionale, in Aa.Vv., Studi in memoria di Tullio Ascarelli, V, Milano, 1969, 2869 ss.; Id., Ancora delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1965, 95 ss.; C. Esposito, Autorità delle decisioni di rigetto della Corte nei giudizi a quo, ivi, 1961, 1218 ss.; M. Mazziotti, Efficacia delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale, ivi 1960, 1105 ss.; F. Modugno, La giurisprudenza costituzionale, ivi, 1978, 1240 ss.; A. Ruggieri, Storia di un “falso”. L’efficacia “inter partes” delle sentenze di rigetto della Corte costituzionale, Milano, 1990, passim; G.P. Dolso, Le interpretative di rigetto fra Corte costituzionale e Corte di Cassazione, in Giur. cost., 2004, 3021 ss.; A. D’Aloia, P. Torretta, Sentenze interpretative di rigetto, «seguito» giudiziario, certezza e stabilità del diritto «conforme a Costituzione», in «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, a cura di R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, e P. Veronesi, Napoli, 2006, 25 ss.; R. Romboli, Qualcosa di nuovo… anzi d’antico: la contesa sull’interpretazione conforme alla legge, in Studi in memoria di Giuseppe G. Florida, Napoli, 2009, 677 ss.

[51] Cfr., in questi termini, Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 10.

[52] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 60-61.

[53] Si v., ad es., G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, cit., 110; G. Trisorio Liuzzi, La fase introduttiva del giudizio civile di primo grado dinanzi al tribunale, cit., 42.

[54] Oltre alle indicazioni che seguiranno in nota nel successivo § 5, si v., anche per rimandi dottrinali e giurisprudenziali, A. Nascosi, Qualche appunto sulla nuova fase preparatoria dopo il “correttivo” alla riforma Cartabia, in Riv. dir. proc., 2025, 264 ss., spec. 272-274.

[55] Cfr. L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo, cit., 3.

[56] Cfr. F.P. Luiso, Il processo civile. Commentario breve al c.d. “Correttivo Cartabia”, cit., 37; A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 65-66.

[57] Cfr. L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo, cit., 3, nonché, spec., C. Consolo, Appendice al Correttivo 2024 alla riforma del processo civile del 2022 (d.lgs. n. 164 del 2024), Spiegazioni di diritto processuale civile, 13ª ed., Torino, 2023, 10.

[58] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punto 8.2 della motivazione.

[59] Gli incisi riportati nel testo rimandano ai diversi commenti di M. De Cristofaro, La Consulta ed il 171-bis c.p.c.: il contraddittorio ‘‘è’’ solo se è preventivo, cit., 2099 e di A.A. Romano, L’interpretazione adeguatrice dell’art. 171-bis c.p.c. secondo la Corte costituzionale, cit., 2095.

[60] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punto 8.7 della motivazione.

[61] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punto 8.6 della motivazione. Con riguardo alla genesi e al progressivo consolidamento delle nuove modalità dell’udienza di cui agli artt. 127-bis e 127-ter c.p.c., si v., ad es., R. Martino, M. Abbamonte, Il principio della ragionevole durata del processo, la pandemia da Covid-19 e l’«emergenza al quadrato» della giustizia civile, in Processo, 2020, 719 ss.; A. Panzarola, M. Farina, A proposito di alcune conseguenze della emergenza pandemica sul giudizio civile, ibidem, 779 ss.; F. De Stefano, La giustizia in animazione sospesa: la legislazione di emergenza nel processo civile (note a lettura immediata all’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020), in Giustizia insieme, 18 marzo 2020; Id., La giustizia dall’animazione sospesa passa in terapia intensiva: gli sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile, in Giustizia insieme, 10 aprile 2020; F. Valerini, In difesa dell’udienza da remoto, in Judicium, 29 aprile 2020; G. Scarselli, Contro le udienze da remoto e la smaterializzazione della giustizia, in Judicium, 13 maggio 2020, anche in Id., Mala tempora currunt. Scritti sull’ultima riforma del processo civile, Pisa, 2023, 255 ss.; A. Storto, Novità legislative per il processo civile, in Judicium, 3 dicembre 2020; I. Pagni, Le misure urgenti in materia di giustizia per contrastare l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai sopito su oralità e pubblicità dell’udienza, in Judicium, 15 dicembre 2020; G. Fichera, E. Escriva, Le quattro fasi del processo civile al tempo della pandemia, in Judicium, 2 febbraio 2021; G. Ruffini, Emergenza epidemiologica e processo civile, in Quest. giust. online, 15 febbraio 2021; A.M. Tedoldi, Il giusto processo civile in tempo di pandemia: palingenesi o de profundis, in Giusto proc. civ., 2021, 79 ss., anche in Id., Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia, Pisa, 2021, 1 ss.; P. Biavati, Processo civile e pandemia: che cosa passa, che cosa rimane, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 133-144; C. Cecchella, Trattazione scritta, a distanza, digitalizzazione degli atti: cosa resterà nel processo civile dell’emergenza epidemiologica, in Quest. giust., 15 febbraio 2021; R. Tiscini, Ulteriori bravi riflessioni intorno a un discorso interrotto… tra processo, procedimento e judicium, in Judicium, 2022, 493 ss.; Id., Le modalità alternative di gestione dell’udienza, in Il ruolo del giudice e degli avvocati nella gestione delle controversie civili, cit., 88 ss.; R. Ionta, F. Caroleo, La trattazione scritta. La codificazione (art. 127-ter c.p.c.), in Giustizia insieme, 5 dicembre 2022; R. Martino, Il processo civile di fronte all’emergenza: “accelerazione” del rito e tramonto del principio di oralità, in Processo, 2023, 1 ss.; G.P. Califano, Le udienze nel processo civile di cognizione, in DPCIeC, 2023, 217 ss.; S. Rusciano, Modalità alternative di svolgimento dell’udienza: l’udienza da remoto e l’udienza fantasma, in La riforma del processo civile, cit., 57 ss.; C. Mancuso, Atti processuali, udienze, notifiche, in Il processo civile dopo la riforma Cartabia, a cura di A. Didone e F. De Santis, Milano, 2023, 80 ss.; G. Cataldi, Contro la trattazione scritta nelle cause civili! (Qualche principio bisogna pur averlo), in Quest. giust., 2023, 116 ss.; D. Longo, La cedevolezza della cd. trattazione cartolare (quantomeno) alle prerogative difensive delle parti, in Riv. giur. lav. prev., 2023, 583 ss.; N. Vicino, Note brevi sulla riforma in materia di «calendario del processo»: cambia tutto per non cambiare nulla?, in Judicium, 15 maggio 2023; G.G. Poli, Il processo senza voce: considerazioni a margine della trattazione cartolare delle udienze civili (I), in Giusto proc. civ., 2023, 1132; A. Punzi, Verso l’udienza aumentata? Brevi note su oralità e scrittura nel processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 463 ss.; nonché, per più ampie considerazioni sulle prassi invalse negli uffici giudiziari, G. Ammassari, Focus sul correttivo della riforma della giustizia civile: le novità in tema di udienze atti e processo telematico, in Quest. giust. online, 23 dicembre 2024; A. Carbone, In difesa dell’udienza cartolare. Compatibilità tra la norma dell’art. 127-ter c.p.c. e il rito del lavoro, in Quest. giust., 2023, 109 ss.; Id., Udienza cartolare e D.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Nuove questioni e vecchi problemi in attesa delle Sezioni Unite, in Quest. giust., 28 gennaio 2025; e, spec., M. Cassano, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2024, Roma, 2025, 179.

[62] Per un’analisi dei moduli di sanatoria delle nullità previsti dall’art. 157 c.p.c., si v., per tutti, R. Poli, Invalidità ed equipollenza degli atti processuali, Torino, 2012, spec. 204 ss.; Id., Commento all’art. 157 c.p.c., in Codice di procedura civile. Commentario, diretto da C. Consolo, I, Milano, 2018, 1853 ss.; nonché Id., Le nullità degli atti processuali, in Diritto processuale civile, diretto da L. Dittrich, I, Milano, 2019, 1284 ss., spec. 1345 ss.

[63] Cfr. M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 120, nonché, per ulteriori approfondimenti in tema, G. Fabbrini, L’estromissione di una parte dal giudizio, in Studi in memoria di G.B. Funajoli, Milano, 1961, 429 ss.; F. Tommaseo, L’estromissione di una parte dal giudizio, Milano, 1975, 62 ss.; S. Menchini, Il processo litisconsortile. Struttura e poteri delle parti, Milano, 1993, 687 ss.; P. Lai, L’estromissione della parte nel processo di cognizione, Napoli, 2024, 352 ss.

[64] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 72-73.

[65] Si v., anche per ulteriori rimandi bibliografici, S. Dalla Bontà, La (nuova) introduzione e trattazione della causa nel processo di prime cure e i poteri lato sensu conciliativi del giudice. Un innesto possibile?, in Giust. cons., 2022, 587 ss.

[66] Cfr. M. Bove, La trattazione nel processo ordinario di primo grado, cit., 15-16.

[67] Cfr. P. Biavati, L’attuazione delle riforme processuali fra norme e prassi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 737 ss., spec. 740, nonché M. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice alla vigilia della riforma del processo civile di primo grado, in Riv. dir. proc., 2023, 199 ss., spec. 210-211

[68] Cfr. C. Delle Donne, La Consulta e l’art. 171-bis c.p.c., cit., 741, nonché S. Boccagna, Le nuove norme sulle impugnazioni in generale e sul giudizio di appello, in Riv. dir. proc., 2023, 647 ss., spec. 661-663.

[69] Cfr. S. Menchini, E. Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, cit., 591; M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 123; 217; A. Nascosi, Qualche appunto sulla nuova fase preparatoria dopo il “correttivo”, cit., 271-272.

[70] Per alcuni riscontri di carattere giurisprudenziale, si v., ad es., Trib. Rieti, sez. I, 16 dicembre 2021, n. 678 e Trib. Milano, sez. VI, 2 aprile 2019, n. 3232.

[71] Cfr., ancora, C. Delle Donne, La Consulta e l’art. 171-bis c.p.c., cit., 741-742.

[72] Cfr., ex multis, Cass., sez. II, 30 giugno 2021, n. 18499. Con riguardo all’estinzione del processo per mancata rinnovazione della citazione affetta da nullità, si v., ad es., Cass., sez. VI, 5 novembre 2021, n. 32207, Cass., sez. VI, 11 agosto 2021, n. 22735, nonché Trib. Roma, sez. II, 8 luglio 2024, n. 11615. Per il configurarsi della medesima conseguenza in caso di mancata ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio disposto ai sensi dell’art. 107 c.p.c., si v., ad es., Cass., sez. III, 12 luglio 2023, n. 19974, nonché, per l’ipotesi di cui all’art. 102 c.p.c., Cass., sez. III, 4 novembre 2024, n. 2833 e Cass., sez. II, 5 ottobre 2023, n. 28043. Si v., in dottrina, di recente, R. Oriani, “Essere” e “dover essere” nell’impugnazione dei provvedimenti del giudice civile, Napoli, 2023, 568 ss.

[73] Si v., ad es., B. Cavallone, Forma ed efficacia dei provvedimenti sulla estinzione del processo di cognizione, in Riv. dir. proc., 1965, 257 ss.; F. Cipriani, La declaratoria di estinzione per inattività delle parti del processo di cognizione di primo grado, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, 125 ss.; R. Vaccarella, Inattività delle parti e estinzione del processo di cognizione, Napoli, 1975, 266 ss.; nonché, spec., G.P. Califano, Le vicende anormali del processo, in Le norme sul processo civile nella legge per lo sviluppo economico la semplificazione e la competitività, a cura di F. Auletta, S. Boccagna, G.P. Califano, G. Della Pietra, G. Olivieri, N. Rascio, Napoli, 2009, 60 ss.

[74] Cfr. G. Costantino, Le riforme della giustizia civile, in Temi romana, 2024, 15; Id., Il ruolo degli Osservatori sulla giustizia, in Foro News, 27 maggio 2024; nonché, spec., D. Dalfino, Le verifiche preliminari e l’udienza “filtro”, cit., 1644.

[75] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punto 8.6 della motivazione, nonché L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo, cit., 3-4, testo e note.

[76] Cfr. D. Turroni, Il correttivo al manifesto futurista del processo ordinario. La fase introduttiva dopo il d.lgs. 164/2024, in Quest. giust., 3 aprile 2025.

[77] Cfr. I. Pagni, Tra oralità e scrittura: il rischio delle decisioni a sorpresa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2024, 403 ss. e, anche per ulteriori rimandi bibliografici, D. Dalfino, Le verifiche preliminari e l’udienza “filtro”, cit., 1644.

[78] Cfr. G. Carmellino, La lettura costituzionale dell’art. 171-bis c.p.c., cit., 1649, nonché, amplius, G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 262 ss.

[79] Cfr. M. De Cristofaro, La Consulta ed il 171-bis c.p.c., cit., 2098.

[80] Si v., amplius, G. Balena, Brevi note sulla fase introduttiva del processo e sul principio del contraddittorio dopo l’intervento della Corte costituzionale e il d.lgs. n. 164/2024, in Giusto proc. civ., 2024, 937 ss., spec. 953-955.

[81] Cfr. I. Pagni, Il decreto correttivo n. 164/2024: le ultime modifiche al codice di procedura civile, in Judicium, 19 dicembre 2024, 3.

[82] Cfr., spec., A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 66-67.

[83] Cfr., ancora, I. Pagni, op. ult. cit., 5.

[84] Cfr. M. De Cristofaro, La Consulta ed il 171-bis c.p.c., cit., 2098.

[85] Cfr., nuovamente, M. De Cristofaro, op. loc. ult. cit., nonché, più di recente, M. Bove, La trattazione nel processo ordinario di primo grado, cit. 3-4.

[86] Cfr. A. Briguglio, Il nuovo art. 171-bis c.p.c., cit., 1326.

[87] Cfr., ancora, A. Briguglio, op. ult. cit., 1320, nonché M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 120.

[88] Cfr. P. Biavati, L’attuazione delle riforme processuali fra norme e prassi, cit., 740-741; M. Gradi, Burocrazia giudiziaria, cit., 758-759.

[89] Si v., ancora, P. Biavati, op. ult. cit., 742; M. Gradi, op. ult. cit., 759-760.

[90] Cfr. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cit., 70.

[91] Cfr. C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., II, 180-184.

[92] Si v., anche per ulteriori approfondimenti e rimandi bibliografici, V. Ansanelli, Filosofie di riforma della fase preparatoria, cit., 248 ss.

[93] Cfr. G. Verde, Diritto processuale civile, cit., II, 28-29, nonché G. Tarzia, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 1991, 79 ss.; A. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 130 ss.

[94] Cfr., nuovamente, G. Verde, op. ult. cit., 29-30.

[95] Così, ad es., S. Chiarloni, Sub art. 183 c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile. Commentario, diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2007, 165 ss.; G. Balena, Sub artt. 180-184 c.p.c., in La riforma del processo civile, a cura di F. Cipriani e G. Monteleone, Padova, 2007, 73 ss.; nonché, di recente, A. Briguglio, Il nuovo art. 171-bis c.p.c., cit., 1320 e M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 120.

[96] Cfr., ancora, G. Verde, Diritto processuale civile, cit., II, 30, nonché, amplius, V. Ansanelli, Filosofie di riforma della fase preparatoria, cit., 279 ss.

[97] Cfr. M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 120.

[98] Cfr. M. Gradi, op. ult. cit., 117.

[99] Cfr. M. Gradi, op. loc. ult. cit., e A. Briguglio, Il nuovo art. 171-bis c.p.c., cit., 1324.

[100] Cfr. Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, punto 7 della motivazione.

[101] Cfr., nuovamente, M. Gradi, op. ult. cit., 118, e A. Briguglio, op. loc. ult. cit.

[102] Così, spec., A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c., cit., 973.

[103] Si v., amplius, A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 75-76.

[104] Cfr., spec., C. Delle Donne, La Consulta e l’art. 171-bis c.p.c., cit., 737 ss.

[105] Si v., in particolare, A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c., cit., 977, nonché Id., Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 83.

[106] Cfr. M. De Cristofaro, La Consulta ed il 171-bis c.p.c., cit., 2100.

[107] L’inciso riportato nel testo è tratto da Cass., sez. lav., 24 luglio 2024, n. 20516. Per ulteriori considerazioni e rimandi giurisprudenziali, v., ancora, M. De Cristofaro, op. loc. ult. cit.

[108] Così, spec., G. Balena, Brevi note sulla fase introduttiva del processo, cit., 947.

[109] Cfr., ancora, G. Balena, op. ult. cit., 947-948.

[110] Con riguardo al connesso profilo dell’assenza di una esplicita disposizione in tema di revoca e modifica dei provvedimenti aventi forma di decreto, si v., anche per ulteriori rimandi bibliografici, G. Scarselli, La procedura civile del nostro tempo, cit., 2.2; A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c., cit., 977; M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 121-122.

[111] Oltre alle indicazioni contenute nella nota precedente, si v., in particolare, V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, I, 378.

[112] Così, ad es., M. Bove, La trattazione nel processo ordinario di primo grado, cit., 5.

[113] Cfr. G. Balena, Brevi note sulla fase introduttiva del processo, cit., 948.

[114] Cfr. G. Balena, op. ult. cit., 949.

[115] Cfr. G. Balena, op. ult. cit., 949.

[116] Cfr. A. Carratta, Il “claudicante” art. 171-bis c.p.c., cit., 978.

[117] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, cit., 25. Sulle non dissimili finalità già perseguite dal legislatore del 2014 con l’introduzione dell’art. 183-bis c.p.c. (ad opera dell’art. 14, d.l. 12 settembre 2014, conv. con mod. dalla l. 10 novembre 2015, n. 162), v., spec., M.A. Lupoi, Il processo sommario di cognizione: Il “rito” e il “modello”, Torino, 2019, 367 ss., nonché V. Ansanelli, Flessibilità, proporzionalità ed efficienza. Il nuovo art. 183-bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 339 ss.

[118] Cfr., amplius, R. Tiscini, Giudici e avvocati tra rito ordinario e procedimento semplificato di cognizione, cit., 122-126; Id., Il procedimento semplificato di cognizione, cit., 542-546.

[119] Cfr. F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, cit., 126 s.; A. Carratta, Riforma Cartabia. Il nuovo processo civile (II parte), in Giur. it. 2023, 701-702; Id., Le riforme del processo civile, cit., 78 ss.

[120] Cfr. G. Balena, Il procedimento semplificato di cognizione, in La riforma del processo civile, cit., 156-158.

[121] Per alcune indicazioni al riguardo, si v., ad es., i saggi raccolti in Elementi per una definizione di complessità processuale, a cura di A. Dondi, Milano, 2011, e, ivi, spec., G.C. Hazard, Processo civile e complessità. Per un’analisi funzionale semplificata, 21 ss.; M. Taruffo, La complessità della complessità processuale, 179 s.; A. Dondi, Aspetti della complessità e riscontri nella nozione di complessità processuale, 3 ss.; nonché R. Caponi, Processo civile e nozione di controversia «complessa». Impieghi normativi, in Foro it., 2009, 135 ss.; e, più di recente, P. Biavati, Le recenti riforme e la complessità trascurata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 435 ss., spec. 440 ss. In proposito, v., altresì, si vis, F. Noceto, Ambiguità e discrasie nella disciplina del nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, 951-952.

[122] Si v., amplius, R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione, cit., 565-569; nonché A.R. Mingolla, Il processo semplificato, in Il processo civile dopo la riforma, cit., 180.

[123] Cfr. C. Delle Donne, La fase introduttiva e la trattazione, nel processo di primo grado a rito ordinario, cit., 105-110; G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, cit., 92-96; nonché E. Fanesi, L’esercizio del case management nel processo civile riformato, tra principi generali e giudizio di primo grado nel rito ordinario e nel nuovo rito semplificato di cognizione, in Judicium, 29 novembre 2023.

[124] Si v., ancora, M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit. 5 ss., 593 ss.; V. Ansanelli, Filosofie di riforma della fase preparatoria nel processo civile, cit., 15 ss., 265 ss.

[125] Fra i molti possibili riferimenti, si v., ad es., A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, 1 ss.; Id., La crisi dei processi a cognizione piena e una proposta, in Riv. dir. proc., 2016, 102 ss.; M. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile. Tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc., 2010, 282 ss.; Id., Sommarizzazione e celerità tra efficienza e garanzie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 481 ss.; R. Caponi, Rigidità e flessibilità del processo civile, in Riv. dir. proc., 2016, 1142 ss.; L. P. Comoglio, L’economia dei giudizi come principio “ad assetto variabile” (aggiornamenti e prospettive), ivi, 2017, 331 ss.; P. Biavati, Elasticità e semplificazione: alcuni equivoci, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 1151 ss.; I. Pagni, Principio di proporzionalità e regole minime tra rito ordinario, rito del lavoro e tutela sommaria, in La tutela dei diritti e le regole del processo, Quaderni dell’Associazione italiana tra gli studiosi del processo civile, LXVII, Bologna, 2019, 113 ss.; V. Ansanelli, Culture della riforma, cit., 967 ss.; A. Carratta, Cognizione sommaria e semplificazione processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, 449 ss.

[126] Ci si riferisce, naturalmente, al previgente disposto dell’art. 702-ter, comma 5, c.p.c.; v., anche per opportuni riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, M.A. Lupoi, Il processo sommario di cognizione, cit., 208 ss.; A.M. Tedoldi, Del procedimento sommario di cognizione. Art. 702 bis-702-quater, in Commentario del c.p.c., diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2016, 559 ss.

[127] Cfr. A. Carratta, Riforma Cartabia. Il nuovo processo civile (II parte), cit., 704; G. Balena, Il procedimento semplificato di cognizione, cit., 163-164; N. Picardi, Manuale del processo civile, cit., 588. Per più ampie considerazioni, si v., ancora, M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 554, ss.; nonché S. Boccagna, La nuova organizzazione del processo, cit., 1350-1351.

[128] Si v., anche per ulteriori riferimenti, F. Noceto, Ambiguità e discrasie nella disciplina del nuovo procedimento semplificato di cognizione, cit., 956-957.

[129] Cfr., ad es., Trib. Bologna 23 giugno 2023, con commento critico di A.A. Romano, Una censurabile applicazione dei nuovi artt. 171-bis e 171-ter c.p.c., in Giur. it. 2023, 2105 ss.

[130] Cfr., spec., Trib. Piacenza 1° maggio 2023, con commenti di D. Castagno, Processo con pluralità di parti e nuovo rito semplificato, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2023, 1307 ss.; B. Limongi, Conversione del rito (da ordinario a semplificato) per chiamata in causa del terzo. Prime applicazioni del novellato art. 183-bis c.p.c., in Judicium, 23 giugno 2023; e R. Masoni, Verifiche preliminari ed immediata conversione del rito ordinario in semplificato di cognizione, in IUS Processo Civile, 29 maggio 2023.

[131] Cfr. L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo, cit., 6, testo e note.

[132] Si v., ad es., A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 92-94; R. Tiscini, Le novità del decreto correttivo, cit., 1-2; Id., Il procedimento semplificato di cognizione, cit., 542-546; G.P. Califano, Il procedimento semplificato di cognizione, cit., 24-33.

[133] Cfr. A. Nascosi, Qualche appunto sulla nuova fase preparatoria dopo il “correttivo”, cit., 272-273.

[134] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 11, nonché P. Farina, R. Giordano, R. Metafora, Il decreto correttivo alla riforma Cartabia, cit., 47 ss.

[135] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 12.

[136] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 12.

[137] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 12.

[138] Si v., ancora, R. Tiscini, op. ult. cit., 13.

[139] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 12.

[140] Cfr., amplius, A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 69-70; C. Delle Donne, La fase introduttiva e la prima udienza, cit., 375 ss.

[141] Cfr. R. Tiscini, Le novità del decreto correttivo, cit., 14.

[142] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 12.

[143] Cfr., spec., F.P. Luiso, Il processo civile. Commentario breve al c.d. “Correttivo Cartabia”, cit., 37.

[144] Si v., in questi termini, Trib. Verona, sez. II, 3 dicembre 2024, con ampio commento di P. Widmann, Procedimento semplificato di cognizione e barriere preclusive, in Giur. it., 2025, 568 ss.

[145] Cfr., ancora, Trib. Verona, sez. II, 3 dicembre 2024, 569.

[146] Cfr. G. Balena, Brevi note sulla fase introduttiva del processo, cit., 944.

[147] Cfr., ancora, G. Balena, op. loc. ult. cit.

[148] Così, invece, P. Widmann, Procedimento semplificato di cognizione e barriere preclusive, cit., 573-574.

[149] Si v., già prima dell’intervento del d.lgs. n. 164/2024, M. Rendina, Rito semplificato e preclusioni (… cercando Itaca), in Giusto proc. civ., 2023, 829 ss., spec. 858-859.

[150] Cfr., ad es., G. Ianniruberto, Il mutamento del rito e la dichiarazione di incompetenza nel processo del lavoro, in Riv. dir. proc., 1976, 527 ss; L. Montesano, R. Vaccarella, Diritto processuale del lavoro, 2ª ed., 1996, 239; G. Tarzia, Manuale del processo del lavoro, 4ª ed., Milano, 1999, 206; nonché, più di recente, S. Imbriaci, Guida pratica. Contenzioso del lavoro e previdenziale, Milano, 2023, 350-351; G. Trisorio Liuzzi, D. Dalfino, Manuale del processo del lavoro, 2ª ed., Bari, 2023, 98.

[151] Cfr., ex multis, Cass., sez. VI-3, 21 dicembre 2018, n. 33178; Cass., sez. lav., 28 aprile 2017, n. 10569; Cass., sez. III, 30 dicembre 2014, n. 27519; nonché, nella giurisprudenza di merito, App. Napoli, sez. II, 5 luglio 2019, n. 3762; Trib. Roma, sez. VI, 24 gennaio 2019, n. 1895.

[152] Cfr. R. Tiscini, Le novità del decreto correttivo, cit., 14.

[153] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 70.

[154] Cfr. D. Turroni, Il correttivo al manifesto futurista del processo ordinario, cit., 4.5.

[155] Si v., ad es., G. Verde, G. Olivieri, «Processo del lavoro e della previdenza sociale», voce dell’Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, 220; C. Canè, L. Miccichè, R. Mucci, Il processo del lavoro, Milano, 2009, 549 ss.; E. Vullo, La giurisdizione, la competenza e il rito del lavoro, in Diritto processuale civile, diretto da L. Dittrich, III, 2019, 3076 ss., spec. 3078, nonché P. Widmann, Procedimento semplificato di cognizione e barriere preclusive, cit., 568, 574.

[156] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 14.

[157] Cfr. A. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., 84-85.

[158] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 96-97; A. Nascosi, Qualche appunto sulla nuova fase preparatoria, cit., 277.

[159] Cfr. A. Carratta, Le riforme del processo civile, cit., 85.

[160] Cfr. R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione, 569-573.

[161] Cfr. C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, 30ª ed., II, Torino, 2025, 356-358.

[162] Cfr. P. Farina, R. Giordano, R. Metafora, Il decreto correttivo alla riforma Cartabia, cit., 78-80.

[163] Cfr. Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Relazione su novità normativa n. 110, 1° dicembre 2022, 82-83, in www.corte.cassazione.it, nonché A. Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato di cognizione, cit., 3; E. Dalmotto, Il procedimento semplificato, cit., 102.

[164] Il testo del comunicato diffuso dalla Sez. X del Tribunale di Milano il 16 marzo 2023, può leggersi sul sito ordineavvocatimilano.it. A riguardo v., altresì, l’intervista rilasciata da G. Costantino, Nella riforma civile, la collaborazione tra foro e magistratura può salvare il contraddittorio, all’editoriale Domani il 17 marzo 2023, in editorialedomani.it; nonché Aa.Vv., Il rito semplificato di cognizione. Trascrizione del Seminario-webinar Università degli Studi della Tuscia, 10 marzo 2023, in Judicium, 10 marzo 2023. Si v., altresì, per ulteriori considerazioni e rimandi, M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 131-132.

[165] Si v., ad es., G. Trisorio Liuzzi, Domande nuove e modificate nel processo del lavoro, in Giusto proc. civ., 2016, 611 ss.; E. Vullo, La trattazione e l’istruzione della causa, in Diritto processuale civile, cit., III, 3194 ss., spec. 3196-3199; G. Trisorio Liuzzi, D. Dalfino, Manuale del processo del lavoro, cit., 76-77; A. Lombardi, Il nuovo processo del lavoro, Milano, 2025, 207-212.

[166] Cfr., a riguardo, M. Gradi, Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 132-133; nonché A. Merone, Il rito semplificato di cognizione, cit., 354.

[167] Cfr. G. Balena, Il (semi)nuovo procedimento semplificato di cognizione, cit., 15.

[168] Cfr., ancora, G. Balena, op. ult. cit., 16; nonché F.P. Luiso, Il nuovo processo civile, cit., 142; M. Rendina, Rito semplificato e preclusioni, cit., 855-858; B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, cit., 493. Si v., altresì, anche per ulteriori rimandi, G. Fabbrizzi, Considerazioni sul procedimento semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, 1579 ss., spec. 1593-1598.

[169] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 14.

[170] Cfr., ancora, Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 14, R. Tiscini, Le novità del decreto correttivo, cit., 7-8.

[171] Cfr. Associazione italiana tra gli studiosi del processo civile e Unione camere civili, Osservazioni allo Schema di decreto legislativo, Schema di decreto legislativo concernente Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, recante «attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», 4 aprile 2024, consultabile in https://www.unionenazionalecamerecivili.it, 1 ss., spec. 8. E si v., altresì, Consiglio Nazionale Forense, Osservazioni all’A.G. n. 137. Schema di decreto legislativo concernente Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, recante «attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata», 4 aprile 2024, consultabile in https://www.consiglionazionaleforense.it, 1 ss., spec. 9.

[172] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 14.

[173] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 15.

[174] Cfr. Relazione illustrativa allo Schema di decreto legislativo, cit., 15.

[175] Cfr. F.P. Luiso, Il processo civile. Commentario breve al c.d. “Correttivo Cartabia”, cit., 66-67.

[176] Cfr., ancora, F.P. Luiso, op. ult. cit., 66; nonché Nodi irrisolti e problemi contingenti del processo di cognizione, cit., 133.

[177] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, 98; I. Pagni, Il decreto correttivo n. 164/2024, cit., 10.

[178] Si v., ad es., G. Balena, Il (semi-)nuovo procedimento semplificato di cognizione, cit., 16; R. Masoni, Il procedimento semplificato di cognizione, cit., 311; nonché M. Stella, I nuovi riti di cognizione e il ruolo dell’avvocato, cit., 825-826.

[179] Cfr. A. Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia, cit., 98.

[180] Cfr., in questi termini, L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo, cit., 8.

[181] Così I. Pagni, Il decreto correttivo n. 164/2024, cit., 10.

[182] Cfr., ancora, A. Carratta, op. ult. cit., 99-100.

[183] Cfr. L. Salvaneschi, Luci e ombre nello Schema di decreto legislativo, cit., 8.

[184] Cfr. G. Della Pietra, Il processo civile è morto, cit. 890.

[185] Consiglio Nazionale Forense, Osservazioni all’A.G. n. 137, cit., 9.