Per una corretta lettura della recente ordinanza della Sezioni unite (Cass. sez. un. 21 luglio 2025 n. 20381) in tema di contenzioso climatico

Di Giuliano Scarselli -

Sommario: 1. L’ordinanza della Cass. sez. un. 21 luglio 2025 n. 20381 riconosce la giurisdizione del giudice ordinario italiano nel contenzioso che contrappone le associazioni GREENPEACE e RECOMMON ad ENI. 2. L’ordinanza pone una distinzione tra le azioni di responsabilità civile extracontrattuale, con riguardo alle quali la giurisdizione del giudice ordinario sussiste, e quelle nelle quali la parte attrice fa valere una responsabilità dello Stato legislatore, ove viceversa la giurisdizione non sussiste. 3. Segue: l’azione risarcitoria da contenzioso climatico si fonda su una responsabilità oggettiva e il risarcimento può esser dato anche in forma specifica e non solo per equivalente monetario. 4. Precisazione delle caratteristiche dell’azione di risarcimento da danno climatico perché questa rientri nella giurisdizione del giudice ordinario. 5. Una osservazione finale.

 

L’ordinanza della Cass. sez. un. 21 luglio 2025 n. 20381 riconosce la giurisdizione del giudice ordinario italiano nel contenzioso che contrappone le associazioni GREENPEACE e RECOMMON ad ENI

1.Due associazioni (GREENPEACE e RECOMMON), unitamente a dei soggetti privati, si rivolgevano al Tribunale di Roma contro ENI s.p.a., perché il Tribunale dichiarasse che “ENI s.p.a., Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cassa depositi e prestiti s.p.a., a seguito delle emissioni in atmosfera di gas serra, e in particolare CO2, provenienti dalle attività industriali, commerciali e dei prodotti per il trasporto di energia venduti da ENI, non hanno ottemperato e non stanno ottemperando al raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali riconosciuti di cui ENI s.p.a. si sarebbe dovuta dotare in linea con l’Accordo di Parigi, con l’art. 2 l. 240/2016 e con gli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, in violazione degli artt. 2 e 8 della CEDU, così come previsto dagli artt. 2 e 7 della Carta di Nizza. Per l’effetto accertare e dichiarare che ENI s.p.a., Ministero dell’Economia e delle Finanze, Cassa depositi e prestiti s.p.a., sono solidamente responsabili, per violazione del combinato disposto degli artt. 2 e 8 della CEDU, 2 e 7 della Carta di Nizza, e degli artt. 2043 (o in alternativa art. 2050 o 2051 c.c.) e art. 2059 c.c., per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi dagli attori per l’effetto delle conseguenze del cambiamento climatico che essi hanno concorso a cagionare”.

Si tratta di una controversia rientrante nel genere del c.d. contenzioso climatico, che ha trovato in questi ultimi tempi numerosi casi anche, e direi soprattutto, all’estero, e che è finalizzato ad imporre allo Stato, o alle grandi imprese, l’adeguamento ai doveri della riduzione nell’emissione di gas serra per ottemperare al raggiungimento degli obiettivi nazionali e internazionali a fronte dei cambiamenti climatici in corso.

In questa occasione, probabilmente per la sussistenza di una precedente vicenda analoga sempre dinanzi al Tribunale di Roma, e che il Tribunale di Roma aveva chiuso in primo grado dichiarando il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario  (Tribunale di Roma, 26 febbraio 2024, sezione seconda, n. 3552), le parti attrici promuovevano regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c. per far dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, e una volta per tutte, dalla Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione, in questi casi a Sezione Unite ex lege (art. 374 c.p.c.) fissava la Camera di consiglio per la data del 18 febbraio 2025 (R.G. 26468/2024), e poi depositava l’ordinanza in questione il 21 luglio 2025 al n. 20381.

Con essa la Corte di Cassazione dichiara la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario italiano in relazione all’azione esercitata, e ciò conformemente alle conclusioni della Procura Generale, poiché la controversia viene considerata alla stregua di una semplice azione da responsabilità civile extracontrattuale ex artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 c.c.    

Ciò premesso, ritengo che l’ordinanza, motivata dalla Sezioni Unite in modo ineccepibilmente tecnico, necessiti di una lettura parimenti misurata e tecnica, lontana da coloriture ideologiche alle quali il tema potrebbe indurre.

A ciò le pagine che seguono.

 

L’ordinanza pone una distinzione tra le azioni di responsabilità civile extracontrattuale, con riguardo alle quali la giurisdizione del giudice ordinario sussiste, e quelle nelle quali la parte attrice fa valere una responsabilità dello Stato legislatore, ove viceversa la giurisdizione non sussiste.

 

2.In primo luogo le Sezioni Unite pongono la differenza tra il caso oggetto del loro esame e quello che si è concluso in primo grado con la pronuncia di difetto assoluto di giurisdizione pronunciata dal Tribunale di Roma.

Le Sezioni Unite esattamente scrivono sul punto che: “Nell’altro giudizio introdotto dinanzi al Tribunale di Roma la domanda era stata invece proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, con la richiesta di condanna  della convenuta all’adozione di ogni necessaria iniziativa, ed in particolare a conformare il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) alle disposizioni idonee a realizzare il predetto obiettivo………A differenza delle predette ipotesi, la fattispecie in esame si configura come una comune azione risarcitoria, fondata sull’allegazione di un danno……..In tal senso deve essere intesa anche l’invocazione degli artt. 2050 e 2051 c.c. ritenuti idonei a fondare una responsabilità oggettiva o presunta dei predetti soggetti………..Non può quindi essere esteso alla fattispecie in esame il ragionamento seguito dal Tribunale di Roma in riferimento all’azione proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri…….Nel caso di specie gli attori non fanno valere una responsabilità dello Stato legislatore per atti, provvedimenti o comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico ma una responsabilità dei convenuti quali soggetti operanti direttamente o indirettamente nel settore della produzione e distribuzione dei combustibili fossili”.

Dunque, per le Sezioni Unite, la giurisdizione del giudice ordinario vi è con riguardo ad una azione di responsabilità civile extracontrattuale, mentre non vi è se la parte attrice, associazione o semplice privato che siano: “fanno valere una responsabilità dello Stato legislatore per atti, provvedimenti o comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico”.

Si tratta, in effetti, di ipotesi ben differenti tra loro sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo:

a) sotto il profilo soggettivo la causa qui in oggetto è stata promossa contro un’impresa, mentre l’altra è stata promossa contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri;

b) e sotto il profilo oggettivo la controversia definita con l’ordinanza in commento ha, effettivamente e sostanzialmente, natura di azione di responsabilità extracontrattuale, mentre nella controversia decisa in primo grado dal Tribunale di Roma le parti attrici avevano chiesto al giudice di condannare lo Stato “all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni artificiali di CO2-ed nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990”.

Si chiedeva al giudice, in quel caso, di assumere una funzione che è esclusiva dei poteri legislativo/governativo, e quindi di porsi oltre i limiti della giurisdizione.

Peraltro, si tenga conto che il potere di imporre atti normativi non è riconosciuto nemmeno alla Corte Costituzionale, relativamente alla quale, al più, si parla di “sentenze monito”, ovvero di sentenze che semplicemente indicano, senza alcun obbligo per il legislatore e fuori da meccanismi di condanna giudiziale, quale possa o debba essere la disciplina costituzionalmente legittima di una determinata materia.

E se un tale potere non spetta alla Corte costituzionale, certamente non può spettare al giudice ordinario di merito.

Segue: l’azione risarcitoria da contenzioso climatico si fonda su una responsabilità oggettiva e il risarcimento può esser dato anche in forma specifica e non solo per equivalente monetario

3.Se viceversa la controversia ha natura di azione da responsabilità civile extracontrattuale, allora nulla quaestio sotto il profilo della giurisdizione.

E’ necessario tuttavia che le regole comuni di tali azioni si mantengano intatte anche a fronte della lite che abbia ad oggetto la c.d. climate litigation.

Scrivono le Sezioni Unite: “La fattispecie in esame si configura come una comune azione risarcitoria, fondata sull’allegazione di un danno……. In tal senso deve essere intesa anche l’invocazione degli artt. 2050 e 2051 c.c.”, e ancora: “Lo specifico riferimento agli artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 c.c. rende evidente che attraverso la domanda in esame gli attori hanno inteso far valere una responsabilità extracontrattuale dei convenuti per i danni cagionati”.

Il discorso è chiaro poiché le azioni di responsabilità civile extracontrattuale non possono non trovare piena giurisdizione, e ogni altra questione attiene al merito della causa, e non alla giurisdizione. Lo precisano di nuovo le Sezioni Unite, laddove sottolineano che: “Non può essere poi fatto valere in questa sede il difetto di giustiziabilità della pretesa azionata, che non dà luogo ad una questione di giurisdizione ma ad una questione di merito, la cui soluzione è demandata al giudice adito”.

Al contrario, va ribadito, non v’è giurisdizione del giudice ordinario, ne’ di altro giudice, trattandosi di ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, qualora l’azione sia rivolta nei confronti dello Stato per pretendere che il giudice gli imponga: “atti, provvedimenti o comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico”, così facendo venir meno il valore fondante della separazione dei poteri.

E sotto questo profilo possono ancora riportarsi le motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma, per le quali è priva di giurisdizione: “Una domanda diretta in concreto a chiedere, quale petitum sostanziale, al giudice un sindacato sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste in Costituzione” poiché ciò: “non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropologico, che comportano valutazioni discrezionali di ordine socioeconomico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana, rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio”.

Precisazione delle caratteristiche dell’azione di risarcimento da danno climatico perché questa rientri nella giurisdizione del giudice ordinario

4.Ciò premesso, v’è poi da chiedersi quali siano i compiti del giudice di merito di fronte ad una simile domanda di responsabilità civile extracontrattuale.

Le Sezioni Unite precisano anche questo: “Il compito  affidato al Giudice consiste soltanto nel verificare se le fonti internazionali e costituzionali invocate risultano idonee ad imporre un dovere d’intervento direttamente a carico dei convenuti tale da fondare una responsabilità extracontrattuale degli stessi, e quindi da giustificare la condanna al risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c.”.

Da altra parte dell’ordinanza le Sezioni Unite ricordano che si tratta di azione che si fonda su: “una responsabilità oggettiva o presunta dei predetti soggetti……”.

Credo che i passi dell’ordinanza necessitino di alcune precisazioni.

4.1. In primo luogo, come stigmatizzato dalle stesse Sezioni Unite, il giudice di merito deve: “verificare se le fonti internazionali e costituzionali invocate risultano idonee ad imporre un dovere d’intervento direttamente a carico dei convenuti”.

E ciò è evidente, poiché nella responsabilità extracontrattuale, in tanto qualcuno può ottenere il risarcimento del danno, in quanto il comportamento tenuto dalla parte convenuta sia ingiusto, ovvero provocato da atti tenuti in violazione di fonti normative.

E’ un ambito che le stesse Sezioni Unite lasciano aperto, poiché si tratta di qualcosa che, caso per caso, deve essere accertato dal giudice del merito.

Sia consentito però qui rilevare che tale accertamento, negli equilibri che dovranno essere ricercati, non potrà prescindere dal diritto d’impresa, sul quale si basa il nostro sistema imprenditoriale ed economico, ne’ potrà prescindere dai diversi doveri che cadono su un’impresa rispetto a quelli che abbia lo Stato o altro ente pubblico.

Al riguardo, mi sembra si tratterà di considerare se le norme in questione (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 9 maggio 1992, UNFCCC, reso esecutivo in Italia dalla legge 15 gennaio 1994 n. 65, Accordo di Parigi sul clima del 12 dicembre 2015, ratificato in Italia con la legge 4 novembre 2016 n. 204, Direttive del Parlamento e del Consiglio europeo del 23 aprile 2009, 2009/29/CE, Regolamento europeo sul clima 2021/1119 del 30 giugno 2021, Decisione, sempre del Parlamento e del Consiglio europeo, 406/2009/CE, artt. 2 e 8 CEDU e artt. 2 e 7 della Carta di Nizza, oltre all’art. 9 Cost.) contengono precetti giuridici precisi e vincolanti anche per le imprese e i privati, o solo doveri programmatici per lo Stato.

Ciò in quanto, credo indiscutibilmente, le imprese sono tenute al rispetto della legge e degli accordi internazionali nella misura in cui questi contengano obblighi specifici a loro rivolti.

Alle imprese non possono muoversi rimproveri da carenza normativa; ne’, ancora, alle imprese può essere rimproverata la mancata collaborazione, se questa non si traduce in una specifica e chiara violazione della legge.

E’ vero che le imprese sono in ogni caso tenute, anche ai sensi dell’art. 2050 c.c., al dovere di precauzione volto ad evitare danni a terzi, e ciò è sottolineato dalle stesse Sezioni unite: “……che impone a chi la esercita di adottare tutte le misure idonee ad evitare che la stessa arrechi danno a terzi”, ma questo inciso contenuto nel codice civile deve essere interpretato nei limiti in cui sempre è stato considerato, ovvero non può rappresentare fonte di legittimazione del potere giudiziario per stabilire obblighi per le imprese non previsti specificamente e direttamente dalle norme, pena altrimenti il venir meno dello stesso principio di legalità.

4.2. In secondo luogo abbiamo evidenziato che anche nel contenzioso climatico i presupposti costitutivi delle controversie di responsabilità civile extracontrattuale devono essere rispettati.

Conseguentemente l’associazione o il cittadino che agisca il giudizio dovrà prima allegare e poi provare al giudice, oltre all’ingiustizia come sopra precisata, il danno in concreto subito e il nesso di causalità tra il danno e la violazione delle norme poste a tutela dell’ambiente.

Poiché, infatti, ove in questo tipo di contenzioso gli elementi essenziali dell’azione venissero allentati, o addirittura fatti venir meno, lì non si potrebbe più ricondurre la domanda di climate litigation agli artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 c.c., e quindi il contenzioso rischierebbe di esser privo della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, assicurata dalle Sezioni Unite solo per l’azione di responsabilità extracontrattuale.

4.3. Il danno, precisamente, non potrà essere quello generico di vivere in un contesto sociale dove le imprese (complice, se del caso, l’inottemperanza dello Stato) non si attivano in modo sufficiente nella riduzione della produzione di gas serra, ma quello concreto che riguardi la propria salute, che le parti attrici, come tutte le parti attrici che agiscano ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovranno allegare e provare in giudizio quale danno-conseguenza.

Altrimenti, tutti potrebbero aver diritto di rivolgersi al giudice anche solo per situazioni meramente potenziali.

Peraltro ciò è conforme a quanto le Sezioni Unite hanno statuito anche recentemente sulla vicenda della nave Diciotti (Cass., sez. un. 6 marzo 2025 n. 5992), asserendo infatti che la risarcibilità del danno attiene sempre al danno-conseguenza e non alla lesione dell’interesse giuridicamente protetto (pur precisando che la prova del danno-conseguenza: “può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti”, così espressamente Cass., sez. un. 6 marzo 2025 n. 5992).

E questa regola non può essere raggirata facendo promuovere il giudizio, anziché ad un privato, ad una associazione, poiché anche le associazioni devono rispettare il Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE), che nell’art. 263, 4° comma espressamente statuisce che: “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente”; e quindi anche la persona giuridica può agire in giudizio solo per questioni che la riguardano direttamente e individualmente, esclusi gli interessi meramente generici, che toccano l’intera comunità in egual misura,

4.4. Inoltre dovrà darsi la prova del nesso di causalità.

Ne’ in questo contesto ha rilievo la circostanza che la responsabilità extracontrattuale sia considerata di tipo oggettivo, poiché la responsabilità extracontrattuale oggettiva è quella senza colpa, non senza danno, e anche nella responsabilità extracontrattuale oggettiva il danno e il nesso di causalità devono essere provati se si vuole che il giudice accolga la domanda.

Aggiungo, sia consentito, che la prova del nesso eziologico nel contenzioso climatico a me sembra davvero diabolico, e ciò nel senso che una tale causalità appare assai rara in quanto normalmente: a) o il danno alla salute dipende dal deterioramento del clima per il surriscaldamento del pianeta, e allora la causa del danno non si troverà nel comportamento dell’impresa convenuta (direi nemmeno nella più ridotta forma della concausa, considerata la misura comunque infinitesimale nella quale questa possa aver contribuito rispetto al mondo), ma in quello del sistema imprenditoriale tutto insieme; b) oppure il danno alla salute dipende proprio dal comportamento tenuto dall’impresa convenuta, ma allora non siamo nell’ambito del contenzioso climatico.

4.5. Infine le Sezioni Unite aprono al risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058 c.c., asserendo espressamente che si tratta di accertare se vi è o non vi è: “una responsabilità da giustificare la condanna al risarcimento in forma specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c.”.

Ora, seppur sia evidente che il risarcimento del danno può essere dato anche in forma specifica e non solo per equivalente monetario, la fattispecie del contenzioso climatico necessita a mio sommesso parere di una precisazione sul punto, poiché l’art. 2058 c.c. fa riferimento alla “reintegrazione in forma specifica”, ovvero alla rimozione del fatto lesivo, e si tratta così di valutare quale possa essere la rimozione del fatto lesivo in questi casi.

Le Sezioni unite non sviluppano il tema, e solo a pag. 14 dell’ordinanza sono riportate le conclusioni delle parti attrici per poi osservare, in calce alla stessa pagina, che: “Lo specifico riferimento agli artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 c.c. rende evidente che attraverso la domanda in esame gli attori hanno inteso far valere una responsabilità extracontrattuale dei convenuti per i danni cagionati”.

Però, come facilmente si evince dal punto c) delle conclusioni, le parti attrici hanno chiesto al giudice: “la condanna dell’ENI a limitare il volume annuo aggregato di tutte le emissioni di CO2 in atmosfera, in misura tale che a fine 2030 lo stesso venga ridotto di almeno il 45% rispetto ai livelli del 2020, ovvero in altra misura che garantisca il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale, con la fissazione di una somma di denaro da pagarsi in caso d’inottemperanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento”, e, a parte la circostanza che per un semplice processualista come me una domanda così formulata è inammissibile per indeterminatezza dell’oggetto e perché costituisce condanna in futuro fuori dei casi previsti dalla legge, ma, a parte ciò, una simile domanda non sempre, ed anzi direi solo in casi eccezionalissimi, può considerarsi un risarcimento del danno in forma specifica.

Esattamente:

a) il risarcimento del danno in forma specifica deve avere ad oggetto la rimozione delle cause che hanno prodotto il pregiudizio concreto dimostrato in giudizio e nient’altro, poiché ogni altra questione esulerebbe da ciò.

b) Il giudice, inoltre, nell’accordare una simile tutela, non può prescindere dal tenore letterale del 2° comma dell’art. 2058 c.c., per il quale: “il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore”.

c) Soprattutto, condannare la sola impresa convenuta a ridurre le immissioni del 45% non costituirà, di regola, la rimozione della causa che ha prodotto il danno, poiché è ovvio che il problema, per essere rimosso, deve riguardare tutto il sistema industriale, ovvero il comportamento tenuto non solo dall’impresa convenuta ma da tutte le imprese.

Ma proprio per questo si coglie qui nuovamente come la questione rientri tra i poteri dello Stato/legislatore, poiché è lo Stato che deve, con legge o altro atto normativo, ordinare alle imprese come limitare le “emissioni di CO2 in atmosfera”, e solo dopo l’esistenza di una tale determinazione specifica delle cose da fare da parte del legislatore il giudice potrà intervenire condannando le imprese che non si adeguano.

La questione, proprio per ciò, non sembra a me avere molta attinenza (o attinenza diretta) con il risarcimento del danno in forma specifica.

Una osservazione finale

5.Credo che questa, e solo questa, debba essere la lettura da dare all’ordinanza Cass. sez. un. 21 luglio 2025 n. 20381; ogni altra lettura potrebbe avere degli effetti devastanti sul nostro sistema industriale ed economico, e spero che la cosa sia chiara a tutti.

Non solo, ogni altra diversa lettura potrebbe avere altresì degli effetti del tutto insensati, poiché a qualcuno potrebbe venire in mente che tutti i cittadini (60 milioni di italiani) possono allora rivolgersi al giudice e chiedere un risarcimento del danno alle grandi imprese sul solo presupposto del surriscaldamento del pianeta; un disastro per i nostri stessi tribunali.

Parimenti le industrie dovrebbero modificare la loro politica industriale non in base a norme pianificate dal potere legislativo/esecutivo in attuazione progressiva dei programmi di contrasto al fenomeno del cambiamento climatico ma sulla base di soli e singoli provvedimenti giurisdizionali, i quali, stante la genericità dei precetti contenuti nelle norme comunitarie e sovranazionali in materia, e stante la genericità e indeterminatezza delle azioni che si fanno valere nelle c.d. climate litigation, potrebbero avere contenuto libero e vario.

Duole constatare che qualcuno ritiene che l’ambiente sia diventato un valore assoluto, e non un valore che deve trovare, come tutti gli altri valori, un bilanciamento.

L’idea del bilanciamento si trovava ancora nella sentenza del Tribunale di Roma, che ricordava “il quando e il quomodo dell’esercizio di potestà pubbliche” e affermava che la gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropologico “comporta valutazioni discrezionali di ordine socioeconomico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana”.

Ma è un aspetto che mi pare si sia invece perso con l’ordinanza delle Sezioni Unite qui a commento.

La tutela dell’ambiente, pure sacrosanto, non può spingersi fino al punto di impedire l’attività industriale ed economica del paese, non può spingersi fino al punto di comprimere il diritto del lavoro, e perfino i diritti di libertà delle persone garantiti in tutte le democrazie occidentali.

Alla fine qualcuno dirà che non si potrà più prendere l’aereo o girare in automobile; qualcuno arriverà ad immaginare una nuova vita in nuove città, divise in quartieri, e in ogni quartiere tutti i beni essenziali, e nessuno, a tutela dell’ambiente, potrà più uscire dal proprio quartiere.

E’ di questi giorni un’altra sentenza della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja che ha stabilito, mi sembra con la medesima assolutezza, che il riscaldamento globale costituisce una violazione dei diritti umani risarcibile.

Nulla di personale pertanto con la nostra Corte di Cassazione, che evidentemente si adegua ad un flusso che ci travolge ed è più grande di noi.

Ma io credo, invece, che vada ribadito e difeso il principio che tutti i diritti, nessuno escluso, necessitano di un bilanciamento con gli altri principi e con le altre necessità della nostra vita.