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Onere della prova e inadempimento nell’azione sociale di responsabilità degli amministratori di società di capitali.
Di Carlo Meo -
Sommario: 1. L’ordinanza Cass. 13 marzo 2023, n. 7279. – 2. La prova dell’inadempimento nella responsabilità contrattuale. – 3. La giurisprudenza sull’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità degli amministratori di società di capitali. – 4. Principio di vicinanza della prova e responsabilità degli amministratori. – 5. Onere della prova e Business Judgment Rule. – 6. L’onere di allegazione “qualificata”.
1.L’ordinanza Cass. 13 marzo 2023, n. 7279.
Con l’ord. 13 marzo 2023, n. 7279, la Suprema Corte è tornata sul tema dell’onere della prova nell’azione di responsabilità sociale degli amministratori di una società di capitali (nella specie, s.r.l.) per affermare il principio che l’attore, il quale addebiti all’amministratore di essere venuto meno al dovere di lealtà per aver operato in conflitto di interessi, ha l’onere di allegare e provare sia il comportamento tenuto dall’amministratore che gli elementi di contesto da cui si può desumere che tale comportamento implica una violazione del dovere di lealtà. Nel caso di specie, un socio contestava la conclusione di un accordo transattivo tra la società e un ex amministratore revocato per una controversia avente ad oggetto compensi da quest’ultimo pretesi per il periodo di carica. In particolare, il socio attore allegava un conflitto di interessi derivante dal fatto che l’amministratore in carica operava sostanzialmente come “longa manus” dell’amministratore revocato, il quale, peraltro, anche dopo la revoca continuava ad ingerirsi di fatto nella gestione della società.
2.La prova dell’inadempimento nella responsabilità contrattuale.
La responsabilità degli amministratori verso la società per violazione dei doveri previsti dalla legge o dallo statuto è pacificamente considerata un’ipotesi di responsabilità contrattuale. Ad essa si applica quindi l’art. 1218 c.c., ai sensi del quale è il debitore (cioè, nel caso che qui interessa, l’amministratore convenuto) a dover provare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità derivante da causa a lui non imputabile. Da ciò si suole trarre la conclusione che, in tema di responsabilità contrattuale, vi sia una presunzione di colpa a carico del debitore[1]. La disposizione nulla dice però sulla prova degli altri elementi che compongono la fattispecie della responsabilità contrattuale, cioè l’inadempimento, il danno e il nesso di causalità.
La questione se ricada sull’attore l’onere di dimostrare l’inadempimento o, viceversa, sul debitore l’onere di fornire la prova positiva dell’avvenuto adempimento è stata a lungo oggetto di dibattito.
Secondo alcune opinioni, in mancanza di espressa previsione contraria nell’art. 1218, la prova dell’inadempimento è disciplinata dal principio generale di cui all’art. 2697 c.c., ai sensi del quale è l’attore a dover provare i fatti costitutivi della sua pretesa. L’inadempimento è fatto costitutivo del diritto al risarcimento e, pertanto, deve essere provato dal creditore[2].
Secondo altri autori, la qualificazione dell’inadempimento come fatto costitutivo della pretesa creditoria non sarebbe corretto. L’adempimento è fatto estintivo del diritto di credito e, come tale, ai sensi dell’art. 2697 c.c.., deve essere provato dal debitore convenuto[3]. A tale conclusione si giunge anche facendo leva su esigenze di coerenza tra il regime probatorio applicabile alle azioni di risarcimento e di risoluzione del contratto e quello applicabile alle azioni di adempimento, che pure costituiscono rimedio per l’inadempimento. Per queste ultime azioni, infatti, tende a prevalere l’idea che l’attore debba soltanto provare il titolo del suo diritto di credito, non anche l’inadempimento[4]. Infine, a sostegno della tesi secondo cui l’onere di provare l’adempimento incombe sul debitore si richiama anche il principio c.d. di vicinanza della prova, secondo cui l’onere di provare un fatto deve essere collocato in capo alla parte nella cui sfera d’azione il fatto si è verificato. Giacché l’adempimento (o l’inadempimento) si verifica nella sfera d’azione del debitore, è questi a doverne fornire la prova. Se così non fosse, al creditore si imporrebbe l’onere, ritenuto eccessivamente gravoso, di dimostrare il mancato adempimento del debitore. Sarebbe dunque messa a rischio l’effettività della tutela del creditore[5].
Tale dibattito si era in passato tradotto in un contrasto giurisprudenziale[6] e nel 2001 la questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite[7]. La Corte afferma che, nelle azioni di responsabilità contrattuale, il creditore deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto, il nesso e il danno. Egli può dunque limitarsi ad allegare l’inadempimento del debitore. È quest’ultimo a dover dimostrare che l’adempimento è in realtà avvenuto o che l’inadempimento non è a lui imputabile[8].
Senonché le SS.UU. fanno anche un passo in avanti rispetto alle opinioni sopra richiamate. Il dibattito precedente non metteva fondamentalmente in dubbio il fatto che l’onere di provare l’inadempimento ricadesse sul creditore nelle ipotesi di inesatto adempimento del debitore. Il risarcimento del danno da inesatto adempimento si fonda infatti sul presupposto che l’adempimento sia avvenuto. Pertanto, contestando l’esattezza della prestazione, il creditore ammette l’avvenuto adempimento e fonda la propria pretesa su un fatto ulteriore rispetto al titolo originario, il fatto, cioè, che l’adempimento non corrisponde a ciò a cui aveva diritto. Secondo l’orientamento maggioritario, l’onere di fornire la prova della difformità tra prestazione ricevuta e prestazione dovuta doveva pertanto far capo al creditore[9]. La questione della prova dell’inesatto adempimento si poneva specialmente in tema di obbligazioni di mezzi, in cui, il più delle volte, le controversie hanno ad oggetto non tanto il caso in cui l’adempimento sia del tutto mancato, quanto quello in cui il debitore abbia effettuato la prestazione in maniera diversa dal dovuto[10].
Secondo le SS. UU., invece, il principio per cui il creditore deve soltanto allegare l’inadempimento si applica a tutte le obbligazioni (tranne quelle negative) e a tutte le ipotesi di inadempimento. Quindi anche all’ipotesi di inesatto adempimento di un’obbligazione di mezzi[11].
La sentenza delle SS.UU. ha ricevuto critiche in dottrina[12], ma l’orientamento si è consolidato nella successiva giurisprudenza della Corte[13]. Seppur con qualche oscillazione, l’orientamento si è sostanzialmente affermato anche con riferimento all’inesatto adempimento di obbligazioni professionali[14].
3.La giurisprudenza sull’onere della prova nell’azione sociale di responsabilità degli amministratori di società di capitali.
L’indirizzo delle SSUU ha trovato applicazione anche nella giurisprudenza sulla responsabilità degli amministratori. Secondo diverse sentenze, la società attrice (o il curatore che agisce nell’ambito di una procedura concorsuale) può limitarsi ad allegare l’inadempimento degli amministratori[15]. Essa deve fornire la prova del danno subito e del nesso di causalità. Sono gli amministratori a dover invece provare di aver adempiuto correttamente ai propri doveri.
Secondo questo orientamento, comunque, all’attore non basta invocare una generica violazione dei doveri dell’amministratore. L’allegazione deve essere “qualificata”, nel senso che occorre individuare con precisione il comportamento contestato, il quale deve, a sua volta, essere, almeno astrattamente, sufficiente a produrre il danno del quale si chiede il risarcimento.
Vi sono però numerose pronunce, anche recenti, che in tema di responsabilità degli amministratori fanno ancora discendere dalla qualificazione di responsabilità contrattuale la conseguenza che spetti all’attore la prova dell’inadempimento degli amministratori[16].
In alcuni casi, si afferma che “alla natura contrattuale dell’azione consegue che, mentre su chi la promuove grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, su amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti”[17]. Con ciò pare sostanzialmente volersi dire che l’attore deve fornire la prova del comportamento posto a fondamento della richiesta risarcitoria. Spetta poi all’amministratore dimostrare che il comportamento in questione rispondeva ai criteri di legge.
In altri casi, si afferma invece che, in tema di violazione di doveri a contenuto generico, “l’onere della prova dell’attore non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, investendo anche quegli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implica violazione del dovere di lealtà o di quello di diligenza; a fronte della prova della violazione del dovere, compete all’amministratore allegare e provare gli ulteriori fatti che siano idonei ad escludere o ad attenuare la sua responsabilità”. Quest’impostazione pare, quindi, aggravare ulteriormente l’onere probatorio dell’attore: non basta dimostrare il comportamento tenuto dall’amministratore, il danno e il nesso di causalità; occorre anche che l’attore fornisca la prova di altri elementi di fatto da cui possa trarsi la conclusione che il comportamento sia effettivamente contrario ai doveri di diligenza o di lealtà[18].
L’ordinanza in commento sembra aderire a questa posizione, laddove afferma che la violazione del dovere di lealtà “deve essere palesata, trattandosi di atto gestorio per il quale vige la regola dell’insindacabilità giudiziale delle scelte di merito, da indici ed elementi di anomalia del contesto concreto in cui la scelta è stata compiuta, che è onere di chi agisce provare, con qualsiasi mezzo probatorio”. Secondo la Corte, quindi, l’attore deve fornire la prova di elementi di fatto da cui possa desumersi che l’amministratore abbia fatto prevalere un interesse extrasociale incompatibile con quello della società.
4. Principio di vicinanza della prova e responsabilità degli amministratori.
Questo indirizzo sembra fondarsi sull’implicito presupposto che la responsabilità degli amministratori presenti delle peculiarità rispetto alle altre ipotesi di responsabilità contrattuale e meriti, pertanto, un trattamento differenziato. Quali siano queste peculiarità non emerge però chiaramente dalle sentenze richiamate.
Dall’analisi delle motivazioni e delle opinioni espresse sul punto sembrano due gli argomenti alla base di questa tesi.
Il primo ha a che vedere con l’applicazione del principio di vicinanza della prova. Il rapporto tra società e amministratori si distingue dai normali rapporti obbligatori tra soggetti indipendenti. Gli amministratori operano in qualità di organi della società e la responsabilità verso la società si riferisce proprio ad atti o fatti posti in essere dagli amministratori nell’esercizio di questa funzione. Pertanto, il materiale probatorio che viene in rilievo in una causa di responsabilità, come i libri sociali, la contabilità o i documenti relativi alle operazioni imprenditoriali, si trova in capo alla società. In questo campo, può allora sembrare discutibile l’idea che vi sia una difficoltà della società a reperire le prove dei fatti contestati e che siano invece gli amministratori i soggetti più “vicini” alle prove[19]. Sotto il profilo della vicinanza materiale alle prove, società e amministratori sembrano collocarsi quanto meno sullo stesso piano. Anzi, a ben vedere, le azioni di responsabilità vengono spesso esercitate in un momento in cui l’amministratore non è neppure più in carica, vuoi perché cessato (eventualmente anche per la revoca conseguente all’esercizio dell’azione), vuoi perché spossessato con l’apertura di una procedura concorsuale. In tali circostanze, l’amministratore convenuto non ha più nemmeno accesso diretto alle prove, che si trovano invece nella disponibilità della società attrice o degli organi competenti della procedura concorsuale.
Questo ragionamento solleva, però, qualche perplessità. In primo luogo, non è detto che l’azione sociale di responsabilità sia esercitata dalla società o, comunque, da soggetti che dispongono di accesso pieno ai documenti societari. Basti pensare all’azione sociale esercitata dalla minoranza nelle s.p.a. (art. 2393-bis c.c.) e a quello della curatela che si trovi a intervenire in un contesto documentale particolarmente pregiudicato. Il problema ha forse meno rilievo nelle s.r.l. in cui l’azione può essere esercitata anche da un singolo socio, ma questi dispone del diritto di accesso ai documenti relativi all’amministrazione di cui all’art. 2476 co. 2, c.c.
Più in generale, comunque, il principio di vicinanza della prova, per come definito dalle sentenze della Corte in tema di responsabilità contrattuale, non pare riferirsi tanto alla materiale disponibilità dei documenti di prova. Il principio è piuttosto volto a porre la prova di un certo fatto in capo al soggetto nella cui “sfera d’azione” il fatto stesso si è verificato. E ciò si fonda sull’assunto che questo soggetto abbia una conoscenza diretta dei fatti e si trovi dunque nella posizione migliore per ricostruirli e per localizzare le relative prove. La controparte si troverebbe invece in difficoltà a fornire la prova di circostanze che gli sono sostanzialmente estranee.
Che sia questa la concezione del principio di vicinanza seguita dalla Corte appare confermato dal fatto che l’onere della prova viene collocato in capo al debitore anche in caso di inesatto adempimento. In questa ipotesi, la prestazione, seppur difforme rispetto a quella effettivamente dovuta, ha comunque avuto luogo. Essa è dunque ormai uscita dalla disponibilità del debitore e si trova sotto il controllo del creditore. È quindi presumibilmente quest’ultimo ad essere “materialmente” più vicino agli elementi necessari a provare l’inadempimento. Eppure, la Corte pone in capo al debitore la prova dell’adempimento anche in questo caso. Il presunto inadempimento si è infatti pur sempre verificato nella sfera di controllo del debitore e, pertanto, si presume che questi sia in grado di fornire gli elementi necessari per paralizzare le pretese del creditore[20].
D’altra parte, il problema della “distanza” della prova dalla parte che intende servirsi di essa trova risposta in altre regole dell’ordinamento. Basti pensare agli strumenti di esibizione, che hanno proprio la funzione di assicurare la produzione di prove di cui la parte richiedente non dispone. Obiettivi simili possono essere realizzati anche attraverso altri mezzi di prova, come l’ispezione, le testimonianze e le presunzioni. Il nodo centrale, in questi casi, è piuttosto la “disponibilità dei fatti” su cui formulare le richieste istruttorie che non quella della prova documentale precostituita.
Se inteso in questo secondo senso, il principio di vicinanza della prova ben può trovare applicazione anche in materia di responsabilità degli amministratori. Non c’è dubbio infatti che i fatti o gli atti di cui si discute in una causa per responsabilità sociale si siano verificati nella sfera d’azione degli amministratori. Tanto è addirittura inevitabile nelle s.p.a. in cui gli amministratori hanno la competenza esclusiva a gestire la società, senza possibilità per i soci di interferire con essa, neppure con delibere di indirizzo sulla gestione.
Queste considerazioni appaiono, del resto, confermate dalle stesse decisioni che collocano l’onere probatorio in capo alla società. Queste sentenze partono dal presupposto che l’inadempimento debba essere provato dal creditore e che, pertanto, la società debba dimostrare la sussistenza di una violazione della diligenza. La logica conseguenza di questa premessa dovrebbe essere quella di richiedere alla società la prova specifica che l’agire degli amministratori sia stato negligente. Tuttavia, la giurisprudenza afferma poi che l’attore deve soltanto provare degli elementi “di contesto” da cui possa desumersi che la scelta è contraria ai doveri degli amministratori. Spetta poi agli amministratori provare che invece la scelta era in linea con i criteri di diligenza ad essi imposti. In altre parole, l’onere probatorio sull’inadempimento non viene addossato interamente all’attore, ma risulta sostanzialmente suddiviso tra le due parti in causa. Il che viene talora giustificato proprio con il fatto che “l’attore, a fronte del conclamato inadempimento del debitore, sarebbe tenuto a dare positiva dimostrazione di tutte le circostanze – della congerie più disparata e dal numero potenzialmente indefinito – che, in via ipotetica e astratta, si rivelino idonee a comprovare ulteriori profili di negligenza dello stesso obbligato”[21]. La stessa giurisprudenza dunque ammette che la prova della negligenza degli amministratori può risultare difficile per la società[22].
5. Onere della prova e Business Judgment Rule.
Un secondo argomento portato a sostegno dell’opportunità di distinguere il regime probatorio della responsabilità degli amministratori ha invece a che fare con il principio di insindacabilità delle scelte gestionali (c.d. business judgment rule).
Il principio, di origine statunitense, è correntemente applicato dalla giurisprudenza italiana, ma non è espressamente sancito nel diritto societario interno. Il suo fondamento normativo nel nostro ordinamento può comunque essere rintracciato nel principio di diligenza professionale di cui all’art. 2392 c.c., declinato alla luce delle peculiari caratteristiche della prestazione che gli amministratori sono tenuti ad effettuare nei confronti della società. Tale prestazione si distingue infatti da altre attività professionali, per le quali, fermo restando un certo margine di discrezionalità, esistono comunque regole tecniche o scientifiche con cui può essere messa a confronto la condotta del professionista per verificare che la prestazione sia stata effettuata “correttamente”. Lo stesso non può dirsi per la prestazione degli amministratori. La gestione della società implica l’assunzione di decisioni caratterizzate da un grado estremamente elevato di discrezionalità; discrezionalità che riguarda non soltanto le azioni specifiche da porre in essere nel quotidiano esercizio dell’impresa, ma anche la fissazione degli obiettivi strategici e della cornice programmatica per la loro realizzazione. Le scelte imprenditoriali sono poi caratterizzate da un elevato tasso di innovatività, talora anche da forti esigenze di segretezza e, soprattutto, da un’inevitabile alea economica che, a sua volta, comporta margini, potenzialmente elevati, di rischio[23]. Da tutto ciò deriva che la condotta degli amministratori non può ovviamente essere valutata in base al risultato concretamente ottenuto, né può essere valutata alla luce di un ideale modo “corretto” di gestire l’impresa. La valutazione di diligenza degli amministratori può soltanto avere ad oggetto le modalità con cui le decisioni gestionali sono assunte e le ipotesi limite in cui gli amministratori adottino decisioni manifestamente irrazionali.
In altri termini, il giudizio sulla responsabilità degli amministratori non può riguardare il merito, cioè l’opportunità o la convenienza, degli atti o dei fatti gestionali. Valutazioni, queste, che rientrano nell’ambito della discrezionalità imprenditoriale e che non possono essere sostituite con le autonome valutazioni effettuate dal giudice ex post. Secondo la giurisprudenza, sono censurabili le modalità con cui le decisioni sono adottate, qualora siano mancate le cautele, le verifiche e le informative normalmente richieste per un certo tipo di scelta. Il merito delle decisioni può essere censurato soltanto se, in base ad un apprezzamento ex ante, le scelte appaiono manifestamente avventate o arbitrarie. In sostanza, il sindacato giudiziale sulle decisioni amministrative dovrebbe verificarsi soltanto in casi eccezionali.
Dietro alla scelta della giurisprudenza di porre in capo all’attore l’onere di dimostrare l’inadempimento degli amministratori, vi è dunque l’implicito timore che, se si alleggerisce troppo l’onere probatorio dell’attore, si rischia di fatto di ampliare eccessivamente la prospettiva di un sindacato giudiziale sulle scelte gestionali, frustrando l’operatività della business judgment rule[24].
D’altra parte, se fosse sufficiente allegare l’inadempimento per scaricare sugli amministratori il compito di provare di aver agito in modo diligente, si finirebbe di fatto per imporre su questi ultimi l’onere di giustificare qualsiasi scelta gestionale, con evidente sacrificio del principio di tendenziale insindacabilità del loro operato. Si rischia, cioè, di passare da un sindacato eccezionale ad un sindacato pieno sulla diligenza dell’operato degli amministratori.
Questa impostazione sembra proprio quella seguita dalla pronuncia in esame. La Corte parte dal presupposto che le scelte non sono sindacabili, se non in casi eccezionali. Pertanto, l’”ingresso” del giudice nella scelta gestionale si giustifica soltanto se l’attore prova degli elementi “sintomatici”: “tale situazione (ndr la violazione del dovere di lealtà) deve essere palesata, trattandosi di atto gestorio per il quale vige la regola dell’insindacabilità giudiziale delle scelte di merito, da indici ed elementi di anomalia del contesto concreto in cui la scelta è stata compiuta, che è onere di chi agisce provare, con qualsiasi mezzo probatorio”.
6. L’onere di allegazione “qualificata”.
Anche questo argomento non pare comunque decisivo. È vero che il riparto dell’onere probatorio può di fatto avere ricadute sull’ampiezza del sindacato del giudice. Tuttavia, per scongiurare un’eccessiva ingerenza sulle scelte di carattere imprenditoriale non è necessario addossare alla società attrice la prova della violazione della diligenza. A tal fine, è già sufficiente imporre alla società l’onere di effettuare un’allegazione circostanziata, cioè di individuare con precisione il comportamento contestato. Se la domanda individua con precisione il comportamento contestato, la norma violata e le ragioni per cui si ritiene che tale comportamento sia contrario agli standard dovuti, da un lato, l’amministratore è posto in condizioni di difendersi, dimostrando che gli specifici fatti contestati rispondevano invece alla diligenza richiesta; dall’altro, il giudizio sull’operato degli amministratori si apre soltanto se il giudice valuta che le allegazioni contenute nella domanda rientrano tra quelle per le quali è possibile un sindacato del giudice. Le allegazioni troppo vaghe, quelle fondate su ricostruzioni del tutto ipotetiche oppure quelle che si riducono a contestare l’opportunità o la convenienza di una certa scelta imprenditoriale possono, quindi, già di per sé fondare la soccombenza della società attrice.
Per evitare che il regime probatorio possa di fatto stravolgere il funzionamento della business judgement rule non sembra dunque indispensabile derogare all’impostazione generale seguita dalla giurisprudenza in materia di responsabilità contrattuale. Il che appare del resto confermato dal fatto che molte delle pronunce secondo cui è l’attore a dover provare l’inadempimento degli amministratori si riferiscono a casi in cui l’attore non soltanto non aveva provato l’inadempimento, ma non aveva neppure allegato elementi sufficienti a rivelare il carattere manifestamente irragionevole o imprudente delle scelte contestate. È quanto accade proprio nel caso in esame: “l’attrice non ha dedotto, quale elemento che rendesse irragionevole quella scelta, ad esempio, l’assenza di effettive prestazioni gestorie di […], solo facendo questione di misura del compenso, che sarebbe stato superiore a quanto poi corrisposto alla nuova amministratrice, e del perdurante ruolo da lui svolto nell’amministrazione della società”[25].
Per queste ragioni, resta più convincente l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene sufficiente che l’attore alleghi l’inadempimento degli amministratori.
Al riguardo occorre però fare una precisazione. Nelle pronunce che aderiscono a questo orientamento si legge che la società attrice ha l’onere di allegare gli “specifici inadempimenti” posti in essere dagli amministratori; inadempimenti che devono risultare almeno astrattamente idonei alla produzione del danno di cui si chiede ristoro. Dalle pronunce non sempre emerge chiaramente però se per allegazione degli “inadempimenti specifici” in questo campo si intenda soltanto l’individuazione precisa del fatto produttivo dell’evento dannoso (es., nel caso dell’ordinanza in esame, la stipula di una determinata transazione con l’ex amministratore per una controversia relativa ai compensi a quest’ultimo spettanti per il periodo in cui era in carica) oppure l’attore debba anche indicare gli elementi di fatto da cui si possa desumere che il comportamento dell’amministratore sia effettivamente contrario alla diligenza e alla lealtà (per es., il fatto che la transazione sia stata stipulata in assenza di effettive prestazioni gestorie rese dall’ex amministratore, a condizioni completamente fuori mercato o, comunque, in maniera del tutto sfavorevole alla società).
Questa seconda lettura appare preferibile alla luce di quanto sopra detto. Per preservare il funzionamento della business judgment rule occorre che l’attore effettui un’allegazione che consenta al giudice di verificare se la domanda si riferisce a scelte insindicabili e sia, dunque, inammissibile oppure abbia ad oggetto quegli specifici profili che consentono il sindacato sull’operato degli amministratori. Affinché sia possibile effettuare tale valutazione, non basta che l’attore individui, per quanto precisamente, il comportamento contestato, ma devono emergere dalla domanda anche gli elementi che rendono il comportamento contrario ai requisiti di diligenza. Elementi che l’attore non deve provare, ma deve comunque indicare[26].
[1] C. M. Bianca, La responsabilità, V, Diritto civile, II ed., Milano, 83. In realtà, il rilievo della “colpa” nella responsabilità contrattuale è stato un tema a lungo dibattuto. La questione sorge, in particolare, dal confronto tra l’art. 1218 c.c., che pare offrire al debitore come unica possibilità di esonero da responsabilità la prova liberatoria della impossibilità della prestazione per causa non imputabile, con l’art. 1176 c.c., ai sensi del quale il debitore deve adempiere con diligenza. Da quest’ultima disposizione sembra infatti potersi trarre la conseguenza che il debitore si può liberare da responsabilità anche provando di essere stato diligente. V. sul tema M. Giorgianni, L’inadempimento, Milano, 1975, 191.
[2] V. ad es. F. Carnelutti, Sulla distinzione tra colpa contrattuale e colpa extracontrattuale, in Riv. dir. comm., 1912, II, 747 e, più recentemente, C. M. Bianca, La responsabilità, cit., 86. Si v. per una recente sintesi del dibattito L. Modica, La prova di adempimento o inadempimento, in Il regime probatorio nel giudizio sulla responsabilità di inadempimento, a cura di M. Maggiolo, Milano, 2022, 253.
[3] Sul punto v. ad es. A. Di Majo, Pagamento (diritto privato), in Enc Dir., XXXI, 1981, 569; M. Giorgianni, Inadempimento (diritto privato), in Enc. Dir., XX, 883-884; De Cristofaro, Mancata o inesatta prestazione e onere probatorio, in Riv. dir. civ., 1994, 567; R. Sacco, I rimedi sinallagmatici, in Tratt. dir, priv., diretto da P. Rescigno, X, 4 ed., Torino, 2018, 629.
[4] Sul punto si v. R. Sacco, I rimedi sinallagmatici, cit., 630, secondo cui l’azione di risoluzione ex art. 1453 c. c. e quella di adempimento hanno in comune il fatto costitutivo, vale a dire il titolo del diritto di credito.
[5] M. Barcellona, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale: dalle dogmatiche alle rationes dei rispettivi regimi, in Riv. crit. dir. priv., 2015, 340; A. Belfiore, Onere della prova e responsabilità contrattuale, in Inf. prev., 2007, 837.
[6] V. tra le tante pronunce ad es. Cass. 29 gennaio 1993, n. 1119, in Foro it., 1993, I, 1469, e in Corr. Giur., 1993, 568, con nota di V. Mariconda, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova, in cui la Corte afferma che nelle azioni di risoluzione del contratto o di risarcimento del danno spetta all’attore provare il fatto costitutivo dell’inadempimento. In senso contrario, si v. Cass. 27 marzo 1998, n. 3232, in Corr. Giur., 1998, 784, con nota di V. Mariconda, Tutela del credito e onere della prova: la Cassazione è a una svolta?, in cui la Corte afferma invece che per tali azioni il creditore è tenuto a provare soltanto il titolo del suo diritto, non l’inadempimento del debitore. Nello stesso senso Cass. 23 maggio 2001, n. 7027 in Foro it., 2001, I, 2504, con nota critica di P. Pardolesi.
[7] Cass. Sez. Un. 30 ottobre 2001, in Foro it., I, 2002, 769, con nota di P. Laghezza, Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo, e Corr. Giur., 2001, 1565, con nota critica di V. Mariconda, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; Contratti, 2002, 113, con nota di U. Carnevali, Inadempimento e onere della prova; in NGCC, 2002, 349, con nota di B. Meoli, Risoluzione per inadempimento ed onere della prova.
[8] La Corte giunge a tale conclusione facendo leva sia sul principio di vicinanza della prova che sul principio c.d. di persistenza del diritto, in virtù del quale, provata la fonte di un diritto, si presume, fino a prova contraria, che tale diritto debba essere ancora soddisfatto. Infine, la Corte fa anche leva anche sulle esigenze di coerenza tra i rimedi messe in evidenza dalla dottrina.
[9] L. Mengoni, Responsabilità contrattuale, in Enc. Dir., XXXIX, 1988, 1097; M. De Cristofaro, Mancata o inesatta prestazione e onere probatorio, cit., 590;
[10] Sul tema della prova in caso di inadempimento ad una obbligazione di mezzi si v. L. Mengoni, Responsabilità contrattuale, cit., 1097.
[11] La Corte fa espressamente riferimento alla “violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni”.
[12] M. Maggiolo, Inadempimento e oneri probatori, in Riv. dir. civ., 2006, 170; G. Visintini, L’onere probatorio nelle azioni di adempimento e di risoluzione del contratto, in Contr. imp., 2014, 29; C. Castronovo, Le due specie di responsabilità civile e il problema del concorso, in Eur. dir. priv., 2004, 115. V. Mariconda, Inadempimento e onere della prova, cit., 113.
[13] V. ad es. Cass. 20 gennaio 2015, n. 826, in ForoPlus, sull’applicazione del principio espresso dalle SS.UU all’inesatto adempimento di un’obbligazione. Nello stesso senso Cass. 15 luglio 2011, n. 15659, in ForoPlus; Cass. 12 febbraio 2010, n. 3373, in ForoPlus; Cass. 3 luglio 2009, n. 15677, in ForoPlus. Si v. in generale sul consolidamento dell’orientamento delle SS.UU. G. Visintini, L’onere probatorio nelle azioni di adempimento e di risoluzione del contratto, cit., 26.
[14] V. ad es. in tema di responsabilità medica, Cass. 28 maggio 2004, n. 10297, in Foro it., 2005, I, 2479, in NGCC, 2004, I, 783 con nota di E. Palmerini, La responsabilità medica e la prova dell’inesatto adempimento, in Danno e resp., 2005, 26, con nota di R. De Matteis, La responsabilità medica ad una svolta?, in Giur. It., 2005, 1413, con nota di S. Perugini, La fattispecie prevista dall’articolo 2236 c.c. e la ripartizione dell’onere della prova; in Resp. civ., 2005, 396, con nota di M. Martinelli, L’art. 2236 e la responsabilità medica: la Suprema Corte quadra il cerchio. V. anche Cass. 13 aprile 2007, n. 8826, in ForoPlus; Cass. 11 Novembre 2011, n. 23564, in Danno Resp., 2012, 882 con nota di A. Barbarisi, Onere di allegazione e prova liberatoria nella responsabilità sanitaria. V. anche G. D’Amico, responsabilità per inadempimento e distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, in Riv. dir. civ., 2006, I, 149 e M. Faccioli, “Presunzioni giurisprudenziali” e responsabilità sanitaria, in Contr. imp., 2014, 90.
Per l’affermazione del principio in altri campi si v. F. Busoni, L’onere della prova nella responsabilità del professionista, Milano, 2011, 48, in cui si segnala qualche oscillazione della giurisprudenza con riferimento alla responsabilità degli avvocati. Si v. anche U. Malvagna, Adempimento o inadempimento nell’azione sociale di responsabilità, in Il regime probatorio nel giudizio sulla responsabilità di inadempimento, a cura di M. Maggiolo, Milano, 2022, 320.
[15] Cass. Sez. Un. 6 maggio 2015, n. 9100, in Foro It., 2016, I, 271 con nota adesiva di M. Fabiani, La determinazione causale del danno nelle azioni di responsabilità sociali e il ripudio delle semplificazioni, e in Giur. Comm., 2015, II, 643, annotata a più voci, avente ad oggetto principalmente una questione diversa: vale a dire se sia corretto adoperare il criterio del deficit patrimoniale per la quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità esercitate nell’ambito delle procedure concorsuali. Nel risolvere la questione le Sez. Unite affermano però anche che “il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione e per il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. Ne viene confermata, per il profilo che qui interessa, la necessità che l’inadempimento del convenuto, pur non dovendo essere provato dall’attore, sia nondimeno da costui allegato”. Il principio è ribadito in successive pronunce Cass. 12 maggio 2021, n. 12567, in ForoPlus; Cass. 20 ottobre 2021, n. 29252, in Foro it, 2022, I, 187; Cass. 25 luglio 2018, n. 19742, in ForoPlus; Cass. 10 agosto 2016, n. 16952, in ForoPlus; Cass. 31 agosto 2016, n. 17441, in ForoPlus, e in Giur. Comm., 2017, II, 835 con nota critica di Piazza, La Cassazione torna sulla responsabilità degli amministratori senza deleghe: problemi risolti e questioni aperte, e in Giur. It., 2017, 386, con nota di O. Cagnasso, F. Riganti, L’obbligo di agire in modo informato a carico degli amministratori deleganti, e in Riv. dir. soc., 2016, 855, con nota di Di Majo, Amministratori di società privi di deleghe e l’obbligo di agire informati; Cass. 27 ottobre 2006 n. 23180, in Foro it., 2007, I, 327. Tra le pronunce di merito recenti in tal senso Trib. Roma 1 dicembre 2022, n. 17819, in giurisprudenzadelleimprese.it.; Trib. Roma 16 febbraio 2022, in ForoPlus.; Trib. Milano 20 giugno 2019, in Soc., 2020, 326, con nota di G. Penzo, Gli obblighi assunti dagli amministratori di società di capitali; Trib. Firenze 12 giugno 2017, in Giur. It., 2018, 130 con nota di F. Riganti; Trib. Venezia 20 ottobre 2022, r.g. 3155/2022, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Roma 25 marzo 2015, r.g. 15450/2015, in giurisprudenzadelleimprese.it..
In dottrina, si v. V. Calandra Bonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, in Tr. dir. comm., fondato da V. Buonocore, diretto da R. Costi, Sez. IV, Tomo 4.VI, Torino, 2019, 357; M. Franzoni, Società per azioni, tomo III, in Comm. del cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna, 2008, 513. V. in tema di s.r.l. G. Scognamiglio, La responsabilità gestoria: le azioni, in Le società a responsabilità limitata, a cura di C. Ibba, G. Marasà, II, Milano, 2021, 1912.
[16] Questa impostazione è diffusa in dottrina, specialmente tra le opinioni espresse prima del 2001. In particolare, si suole distinguere a seconda del carattere generico o specifico del dovere violato. Nel caso di violazione degli obblighi generali, come quello di diligenza, la società attrice dovrebbe fornire la prova del fatto compiuto e della “colpa” degli amministratori, poiché la diligenza, in questo caso, non è soltanto il parametro di valutazione dell’impegno del debitore, ma è il contenuto dell’obbligazione stessa. Nel caso di doveri specifici, invece, la società attrice avrebbe soltanto l’onere di provare il fatto dell’inadempimento, mentre la prova della mancata colpevolezza incombe sugli amministratori convenuti. Si v. ad es. V. Allegri, Contributo allo studio della responsabilità civile degli amministratori, Milano, 1979, 148; C. Angelici, Società per azioni, in Enc. Dir., XLII, 1990, 1008; R. Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974, 170; F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori, in Tr. soc. per azioni, diretto da G. E. Colombo, G. B. Portale, IV, 1991, 326; G. Cabras, La responsabilità per l’amministrazione delle società di capitali, Torino, 2002, 152. La tesi della distinzione tra doveri a contenuto generico e doveri a contenuto specifico è riconosciuta da una parte della giurisprudenza. V. ad es. Cass. 23 marzo 2004, n. 5718, in Soc., 2004, 1517, con nota di A. Fusi, Valutazione della responsabilità dell’amministratore.
L’impostazione è seguita anche da una parte della dottrina più recente: si v. P. M. Sanfilippo, Gli amministratori, in Manuale di diritto commerciale, a cura di M. Cian, 3° ed., Torino, 2019, 526; I. Pagni, Oneri di allegazione e della prova nelle azioni di responsabilità, in Riv. dir. comm., 2016, I, 606, secondo cui occorre distinguere a seconda che la condotta contestata sia commissiva o omissiva: nel primo caso, l’onere della prova dovrebbe gravare sull’attore. V. ancora S. Martuccelli, V. Occorsio, G. Di Lorenzo, Mala gestio e responsabilità, in Riv. dir. comm., 2017, 19; G. Dongiacomo, Insindacabilità delle scelte di gestione, adeguatezza degli assetti ed onere della prova, in Responsabilità degli amministratori di società e ruolo del giudice. Un’analisi comparatistica della Business Judgment Rule, a cura di C. Amatucci, Milano, 2014, 48, in cui l’A. comunque pare ritenere che, nel caso di violazione di un dovere specifico, l’attore abbia soltanto l’onere di dedurre il fatto dell’inadempimento. F. Vassalli, sub art. 2932 c.c., in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da F. D’Alessandro, II, tomo II, 2011, 148 e 152 ritiene che la prova della colpa degli amministratori debba essere fornita dalla società attrice anche in caso di violazione dei doveri specifici. Nel senso che la società attrice debba provare il conflitto di interessi e il danno derivante dall’atto posto in essere dagli amministratori v. anche M. Rescigno, La responsabilità gestoria: profili generali, in Le società a responsabilità limitata, a cura di C. Ibba, G. Marasà, II, Milano, 2021, 1783.
[17] Cass. 29 ottobre 2008, n. 25977, in ForoPlus; V. anche Cass. 11 novembre 2010, n. 22911, in Foro it., 2011, I, 1686, con nota sul punto adesiva di L. Nazzicone, Responsabilità da “omesso controllo” degli amministratori non esecutivi di società azionaria, e in Resp. civ. e prev., 2011, 1785, con nota di D. Itzi, Responsabilità civile degli amministratori e sindaci verso la società prima e dopo la riforma del 2003; Cass. 14 giugno 2013, n. 14988, in Soc., 2013, 995; Cass. 9 gennaio 2013, n. 319, in Resp. civ. prev., 2013, 1517, con nota di A. De Rosa, Responsabilità solidale degli amministratori e funzioni delegate tra “vecchio” dovere di vigilanza e “nuovo” obbligo di agire in modo informato.
Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 29 maggio 2004, in Giur. It., 2004, 2333, con nota critica di G. Cottino, Note minime, divaganti e irriverenti, su amministratori, “perizia”, tangenti e responsabilità; Trib. Milano 23 maggio 2006, in Dir. e pratica. società, 2007, 74 con nota di D’Andrea; Trib. Napoli 27 maggio 2022, n. 5318, in giurisprudenzadelleimprese.it. V. anche sulla responsabilità degli amministratori per il compimento di nuove operazioni dopo il verificarsi di una causa di scioglimento Cass. 5 gennaio 2022, n. 198, in ForoPlus; Cass. 5 febbraio 2015, n. 2156, in ForoPlus.
[18] In questo senso si v. di recente Cass. 9 novembre 2020, n. 25056, in ForoPlus; Cass. 7 febbraio 2020, n. 2975, in ForoPlus; Cass. 9 novembre 2015, n. 22848, in Riv. dir. comm., 2016, II 703 con nota di A. M. Patti, Il dovere degli amministratori senza delega di agire in modo informato, e in Resp. civ. prev., 2016, 1689 con nota di M. Marabini, Gli amministratori non delegati di banca rispondono in modo del tutto automatico degli illeciti commessi dagli amministratori con delega?. Si v. poi Cass. 17 gennaio 2007, n. 1045, in Foro it., 2007, 3156, con nota di A. Perrino, Soggettività della società di persone e responsabilità dell’amministratore, e in Giur. Comm., II, 2009, 431 con nota di F. D’Angelo, La responsabilità degli amministratori di società di persone alla luce della riforma delle società di capitali, sentenza cui fa riferimento la pronuncia in commento. Questa sentenza è però riferita all’azione esercitata da un socio di una società di persone per i danni da esso direttamente subiti. Nella giurisprudenza di merito recente si v. Trib. Milano 24 agosto 2011, in Soc., 2012, 493 con nota adesiva di S. Cassani, Responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c. e onere della prova. V. anche Trib. Palermo 6 luglio 2021, n. 2882, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino 5 marzo 2021, n. 1173, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[19] Si v. R. Sacchi, Intervento in Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, in Giur. Comm., 2015, II, 676; M. Maggiolo, Inadempimento e oneri probatori, cit., 172; G. Villa, L’onere di provare il vizio della cosa venduta: un’occasione di una nuova meditazione sulla prova dell’inadempimento, in Corr. Giur., 2019, 760. Qualche dubbio sull’applicabilità del principio di vicinanza della prova alla responsabilità degli amministratori è espresso, senza prendere posizione definitiva sul punto, anche da Cass. Sez. Un. 6 maggio 2015, n. 9100, cit., par. 3.5, su cui si v., in particolare, I. Pagni, Onere di allegazione e della prova nelle azioni di responsabilità, cit., 617-618 e F. Di Ciommo, Danni cagionati al patrimonio sociale, azioni di responsabilità e onere della prova secondo le sezioni unite: brevi note (parzialmente) critiche, in Foro it., 2016, I, 668-669.
[20] In tal senso pare di poter leggere anche altre pronunce della Corte. Si v. ad es. Cass. 22 aprile 2022, n. 12910, in ForoPlus: “il principio di vicinanza della prova dunque non si contrappone ma è anzi consustanziale alla regola di cui all’art. 2697 cod. civ., rispetto alla quale la vicinanza o riferibilità funge da criterio ermeneutico che aiuta nell’individuazione dei fatti costitutivi rispetto a quelli estintivi, modificativi o impeditivi, introducendo il canone per cui, nel rispetto delle possibili varianti di senso della disposizione attributiva della situazione soggettiva, i primi vanno identificati in quelli più prossimi all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre i secondi, tutt’al contrario, coincidono con quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto. La vicinanza, in altre parole, riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto e non già la possibilità concreta di acquisire la prova”. V. anche Cass. 5 febbraio 2015, n. 2156, in ForoPlus.
[22] In dottrina è da tempo sottolineata la tendenza della giurisprudenza a facilitare l’onere probatorio dell’attore, individuando circostanze “tipiche” in cui il comportamento dell’amministratore si presume adottato in violazione del dovere di diligenza. Si v. ad es. R. Weigmann, L’inversione dell’onere della prova nel diritto commerciale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, 803; M. Rabitti, Rischio organizzativo e responsabilità degli amministratori, Milano, 2004, 157.
[23] Sul tema si v. V. Calandra Bonaura, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, cit., 286; C. Angelici, Interesse sociale e business judgment rule, in Riv. dir. comm., 2012, 573; P. Piscitiello, La responsabilità degli amministratori di società di capitali tra discrezionalità del giudice e business judgment rule, in Riv. soc., 2012, 1167. Sulla concreta “traduzione” della regola nella giurisprudenza italiana v. anche P. Montalenti, F. Riganti, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Giur. Comm., 2017, I, 775; D. Cesiano, L’applicazione della “business judgment rule” nella giurisprudenza italiana, in Giur. Comm., 2013, II, 942.
[24] Si v. ad es. Trib. Bologna 1 giugno 2020, n. 823, in giurisprudenzadelleimprese.it, Trib. Milano 19 luglio 2022, n. 6385, in giurisprudenzadelleimprese.it. Questo timore pare condiviso da M. Maggiolo, Inadempimento e oneri probatori, cit., 172. V. anche G. Cabras, La responsabilità per l’amministrazione delle società di capitali, cit., 153.
[25] Si v. anche Trib. Roma 27 gennaio 2023, n. 1361, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Catanzaro 8 settembre 2020, n. 1061, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Bologna 1 giugno 2020, cit.; Trib. Palermo 6 luglio 2021, n. 2882, in dejure.it.
[26] In questo senso R. Sacchi, Intervento in Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, cit., 676-677. V. anche D. Galletti, Intervento in Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, cit., 666; U. Malvagna, Adempimento o inadempimento nell’azione sociale di responsabilità, cit., 324, in cui però si menziona la possibilità di qualificare le scelte degli amministratori che operano un bilanciamento tra diversi interessi come un’ipotesi di esercizio di un “potere privato”, traendo da questa qualificazione la conclusione che, per queste decisioni, l’attore che intende far valere la responsabilità deve fornire la prova delle “figure sintomatiche” dell’esercizio illegittimo della discrezionalità.