Nuovi (dis)orientamenti in tema di improcedibilità del ricorso per cassazione per mancato deposito di copia autentica della sentenza.

Di Alessandro Triolo -

1.- Non di rado nelle pronunce della Cassazione si assiste alla riproposizione di (apparenti) problemi legati alla corretta applicazione di norme processuali, specie se riguardanti le modalità di accesso al giudizio di legittimità. L’ultima querelle insorta all’interno della terza sezione riguarda l’improcedibilità del ricorso per cassazione per mancato deposito di copia autentica della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 369, comma 2°, n. 2, c.p.c., su cui la giurisprudenza sembrava aver posto dei punti fermi e stabilizzanti, ma evidentemente ancora suscettibili di interpretazioni creatrici da parte della Suprema Corte. Con tre sentenze emesse a ridotta distanza temporale, sono stati espressi due diversi orientamenti, invero antitetici, rispetto al tema in esame: Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 2024, n. 817, richiamando l’orientamento consolidato[1], ha sostenuto che il deposito di una sentenza dalla quale non si evinca la data di notificazione o di pubblicazione onde dimostrare la tempestività dell’impugnazione, nemmeno se rapportata al giorno di deliberazione in camera di consiglio, comporta l’improcedibilità del ricorso; Cass., civ., sez. III, 9 gennaio 2024, n° 865, Pres. Frasca, Rel. Iannello, intervenendo sulla medesima vicenda, ha invece affermato che tale circostanza rimane priva di conseguenze se, computando il termine per impugnare con decorrenza dalla data di deliberazione, il ricorso risulta comunque tempestivo. Successivamente, Cass., civ., sez. III, 16 gennaio 2024, n. 1585, Pres. De Stefano, Rel. Saja, ha ribadito l’indirizzo restrittivo, precisando che la copia autentica deve recare la data, il numero e l’attestazione della cancelleria di avvenuta pubblicazione, a pena di improcedibilità. Stante la multiformità delle posizioni espresse e l’impatto pratico che la questione può assumere, il tema impone alcuni chiarimenti per tentare di dipanare questi nuovi (dis)orientamenti in tema di improcedibilità del ricorso per cassazione per mancato (o non corretto) deposito di copia autentica della sentenza impugnata.

2.La questione si inserisce in un sostrato giurisprudenziale ormai denso che sembrava aver schiarito le perplessità evidenziate dalla dottrina su alcuni profili operativi della norma. Se infatti da un lato la finalità della disposizione è sempre stata pacifica, ossia quella di consentire l’individuazione del termine ad impugnare nell’ottica di garantire la formazione del giudicato formale[2], dall’altro in dottrina e giurisprudenza sono emerse differenti visioni circa il momento del deposito della copia autentica e le concrete modalità di assolvimento di tale onere. Sul primo aspetto, la giurisprudenza più risalente, fedele al dettato normativo, sosteneva in maniera eccessivamente rigorosa che il deposito sarebbe dovuto avvenire contestualmente al ricorso[3] o comunque nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione come previsto dall’art. 369 c.p.c.[4] Nel tempo, i limiti cronologici sono stati ampliati in via pretoria grazie ad un’interpretazione estensiva dell’art. 372 c.p.c., ammettendo il deposito non contestuale del provvedimento impugnato, purché nel termine di cui all’art. 369 c.p.c.[5]. Altrettanto interessante è stato invece il dibattito ingeneratosi sull’aspetto relativo alla sussistenza di forme equipollenti per l’assolvimento dell’onere di deposito, chiedendosi, ad esempio, se la sanzione dell’improcedibilità dovesse essere accordata anche in caso di compresenza di copia autentica della sentenza impugnata nel fascicolo di causa, potendosi in tal caso valutare autonomamente il rispetto dei termini di proposizione del gravame. La giurisprudenza, dopo vari tentennamenti e sollecitazioni dottrinali, ha aderito alla soluzione positiva negando l’improcedibilità del ricorso qualora copia della sentenza impugnata sia già presente nel fascicolo d’ufficio[6], qualora il deposito del provvedimento sia stato effettuato autonomamente dal controricorrente[7] o il (mancato) deposito sia incontestato[8]. In entrambi i casi, il favor verso l’ammorbidimento dei rigorosi canoni stabiliti dall’art 369 c.p.c. è stato incentivato sulla scorta dell’implicito presupposto che la norma mira unicamente a consentire il vaglio sulla tempestività dell’impugnazione, e non ad imporre sterili incombenze processuali alla parte che censuri l’illegittimità della sentenza. In quest’ultimo senso, la giurisprudenza ha gradatamente abbandonato impostazioni formalistiche per pervenire al ragionevole assunto secondo cui l’improcedibilità debba essere esclusa ogniqualvolta dalla documentazione versata in atti il giudice possa accertare la conformità tra la copia depositata e l’originale del provvedimento impugnato[9]. Per quanto concerne invece la nozione di «copia autentica della sentenza impugnata», i quesiti sollevati in giurisprudenza erano di minor rilievo[10], trattandosi pacificamente della copia consegnata (ed attestata conforme all’originale) dalla cancelleria in esito al deposito ed alla successiva pubblicazione del provvedimento giudiziale. La garanzia della fedeltà documentale è quindi assicurata dal rilascio del provvedimento da parte dell’ausiliare del giudice, il cancelliere, che certifica la corrispondenza della copia richiesta con l’originale depositato in cancelleria, di talché sono state escluse dall’ambito di operatività della disposizione le copie trasmesse a mezzo fax o le mere fotografie prive di alcuna garanzia di autenticità[11]. Con l’avvento del processo civile telematico, ed in particolare delle notifiche digitali, il potere certificatorio, prima attribuito solo ad organi pubblici, è stato riversato sull’avvocato, il quale ha l’onere di attestare la conformità tra le copie informatiche depositate/notificate e gli atti nativi digitali presenti all’interno dei fascicoli informatici. Pertanto, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l’attestazione di conformità della copia estratta deve essere redatta e allegata dal difensore, a pena di improcedibilità del ricorso, secondo un certo indirizzo giurisprudenziale[12]. In caso di notifica a mezzo PEC, invece, il difensore deve depositare la relazione di notificazione attestando che la sentenza notificata è conforme al provvedimento estratto dal relativo fascicolo telematico; a riguardo, la giurisprudenza ha prodotto un groviglio di interpretazioni, parzialmente risolto dall’intervento delle Sezioni Unite nel senso dell’improcedibilità del ricorso quando, pur avendo il ricorrente dato atto dell’avvenuta notificazione, non sia possibile reperire nel fascicolo alcuna documentazione comprovante la decorrenza del termine breve, convalidando quindi a contrario la legittimità di forme equipollenti alle modalità tradizionali di deposito dettate dall’art. 369 c.p.c.[13].

3.Considerato che in caso di omesso deposito della relazione di notificazione unitamente alla sentenza impugnata (o mancato rinvenimento nel fascicolo di tale prova) si presume che l’impugnazione sia avvenuta nel termine lungo ex art. 327 c.p.c. [14], i profili maggiormente problematici attengono all’operare della norma in caso di sentenza redatta digitalmente e non notificata da alcuna delle parti. L’approdo più restrittivo, esemplificato dalle pronunce che esigono la presenza del documento contenente gli estremi di pubblicazione, impone una breve riflessione per evidenziare i limiti del ragionamento della Suprema Corte. Negli arresti che sviluppano la soluzione più rigorosa, infatti, emerge la considerazione secondo cui, per le sentenze redatte su supporto informatico, l’attribuzione del numero identificativo e degli estremi di pubblicazione darebbe origine allo stesso provvedimento giudiziale, sicché la sentenza priva di tali requisiti potrebbe in realtà un atto inesistente, ed in quanto tale inoppugnabile[15]. Essa, per altro verso, sarebbe una copia digitale «inautentica», in quanto meramente riproduttiva di un atto la cui originalità non sarebbe desumibile altrove, in assenza di apposita etero-certificazione degli estremi di pubblicazione. Pertanto, l’attestazione da parte del difensore, pur quando prescritta dall’art. 16-bis, comma 9-bis, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge n. 17 dicembre 2012, n. 221, non sarebbe sufficiente ad assolvere al disposto di cui all’art. 369, comma 2, n° 2, c.p.c., poiché non offrirebbe idonea garanzia della conformità tra quanto depositato e la sentenza (regolarmente o validamente) pubblicata sui sistemi informatici. Beninteso che la sentenza (questa sì autentica) non sia stata depositata dal controricorrente oppure dagli atti di causa sia ricavabile il giorno di effettiva pubblicazione, conformemente all’orientamento ormai invalso della giurisprudenza.

4.La soluzione più mite, invece, si basa su un’interpretazione funzionale della norma, considerando cioè lo scopo pratico di assicurare un controllo sull’osservanza dei termini di impugnazione. In questo senso, il dies a quo per il calcolo del termine lungo viene anticipato al giorno di deliberazione della sentenza, pur quando detta indicazione sia ricavabile dalla copia depositata unitamente al ricorso e sia presente regolare attestazione di conformità all’originale. L’operazione ermeneutica non è una novità giacché in altre occasioni la Suprema Corte aveva aperto alla possibilità di agganciare la decorrenza del termine lungo ad una diversa data, come quella di deposito, in assenza della prescritta attività di pubblicazione da parte del cancelliere[16]. D’altronde, la tesi non si espone a rilevanti criticità dal punto di vista pratico, dal momento che considerando il dies a quo nel giorno in cui sia stato posto in essere il deposito telematico della sentenza tramite il caricamento nel fascicolo informatico, la proposizione del ricorso risulterebbe comunque tempestiva. La presunta crasi con l’art. 327 c.p.c., che lega il potere impugnazione alla pubblicazione del provvedimento da parte del cancelliere, si scontrerebbe con il paradosso per cui, quando tale attività non venga correttamente svolta o la mancata effettuazione non sia imputabile ai litiganti (poiché ad esempio, sia impossibile l’upload di un duplicato informatico contente gli estremi di pubblicazione o si sia verificato un malfunzionamento dei sistemi informatici, circostanza piuttosto frequente), la sentenza debba essere ritenuta non impugnabile, con grave pregiudizio del diritto di difesa del ricorrente. Invece, l’opzione preferibile è che, quando la sentenza sia carente di dette indicazioni, si applichi salvificamente il primo comma dell’art. 133, comma 1°, che postula l’equiparazione tra data di deposito e pubblicazione della sentenza, consentendo alla parte di esercitare regolarmente il proprio diritto di impugnazione producendo copia della sentenza attestata conforme all’originale[17]. Bisognerebbe inoltre considerare il discrimen dell’attività di comunicazione, anch’essa prescritta dall’art. 133, comma 2° c.p.c.: se la sentenza viene regolarmente comunicata, infatti, la parte, avendo immediata notizia del provvedimento giudiziale, potrebbe avvedersi dell’esistenza della sentenza all’interno del fascicolo telematico e proporre tempestivamente il gravame; diversamente, è da ritenersi che l’esercizio tardivo del diritto di impugnazione, dovuto alla irregolare pubblicazione del provvedimento, possa essere autorizzato (solamente) previa istanza di rimessione in termini depositata unitamente al ricorso. Da ultimo, non sarebbe incongruo applicare estensivamente gli indirizzi giurisprudenziali più favorevoli in tema di equipollenti all’onere di deposito di cui all’art. 369 c.p.c. per superare l’improcedibilità del ricorso in caso di non contestazione della controparte sulla tardività del gravame.

[1] Ex multis Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 2023, n. 33674, Cass. civ., sez. III, ord. 24 febbraio 2023, n. 5771, Cass. civ., sez. III, 14 settembre 2023, n. 26597, Cass. Civ., sez. III. 25 maggio 2023, n. 14629, Cass civ., sez. Trib., 24 gennaio 2022, n. 1949.

[2] In tal senso V. De Carolis, L’atteggiarsi dell’improcedibilità del ricorso per cassazione (ex art. 369 c.p.c.) post ordinanza “filtro”, in Corriere Giur. 2017, 848., A Bonafine, Sull’improcedibilità (anche in ottica telematica) del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, c.p.c., in Riv. dir. proc. 2018, 1199

[3] Ex multis Cass. civ., sez. lav., 11 settembre 1980, n. 5246, in Foro it. 1981, I, 766.

[4] In tal senso Cass. civ., sez. trib., 15 novembre 2000, n. 14780, in Giust civ. 2001, I, 1883-1885, Cass. civ., sez. lav., 1 marzo 2005, n. 4248, in Giust. civ. 2005, I, 1187, che però escludeva l’utilizzo di forme c.d. equipollenti, come il deposito di copia della sentenza impugnata da parte del controricorrente o l’esistenza dell’originale nel fascicolo d’ufficio.

[5] Cass., sez. un., 25 novembre 1998, n. 11932, in Giur. it. 1999, I, 1584.

[6] Cass. civ., sez. VI, 25 febbraio 2011, n. 4753, in Mass. Giust. civ. 2011, II, 313., Cass. civ., sez. lav., 2 novembre 2011, n. 13566. Cass. civ., sez. lav., 27 giugno 1997, n. 5750, in Mass. Giust. civ. 1997, 1070.

[7] Cass. civ., sez. lav., 27 febbraio 1979, n. 1313, in Giust. civ. 1979, I, 1464, Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 1978, n. 5871, in Giust. civ. 1979, 441-442. In senso contrario Cass. civ., sez. un., 16 aprile 2009, n. 9005, in Giur it. 2010, 382 ss., con nota di M. C. Vanz, Sulle sorti (forse ancora da ridiscutere) del ricorso in cassazione in caso di mancato deposito della copia autentica della sentenza e della relata di notifica. Sul punto si veda anche Cass. civ., I sez., 21 gennaio 2016, n. 1081, in Riv. dir. proc. 2016, 738 ss., con nota di R. Poli, Ricorso per cassazione improcedibile e sanabilità per raggiungimento dello scopo: la questione torna alle Sezioni Unite.

[8] In proposito Cass. civ., sez. lav., 28 marzo 2000, n. 3736, in Foro it. 2000, I, 2221, che ha ammesso la produzione di una semplice copia fotostatica del provvedimento impugnato nel termine dell’art. 372 c.p.c. in difetto di contestazione della controparte della non conformità all’originale. Contra Cass. civ., sez. I, 1 dicembre 2005, n. 26222, in Giust. civ., 2006, 1205-1206.

[9] In tal senso già Cass civ., sez. lav., 9 novembre 1996, n. 9801, in Giust. civ. 1997, 1647 ss., con nota adesiva di C. Montefalcone, In tema di inammissibilità e improcedibilità del ricorso per cassazione. A tale conclusione si è giunti soprattutto sul versante del mancato deposito della relazione di notificazione unitamente alla sentenza impugnata. Originariamente la Suprema Corte aveva assunto una posizione assai severa, dichiarando l’improcedibilità del ricorso allorché il ricorrente, avendo dato atto nei propri scritti della previa notificazione della sentenza, non avesse poi depositato la relata nel termine di cui all’art. 369 c.p.c. Cfr. Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2007, n. 15396, in Riv. dir. proc. 2008, 795 ss., con nota di F. Auletta, G. Della Pietra, «E’ il formalismo, bellezza. E non puoi farci niente. Niente». Sull’improcedibilità del ricorso per cassazione per omesso deposito di copia della sentenza munita di relata., e Cass. civ., sez. un., 16 aprile 2009, n. 9005, in Riv. dir. proc. 2010, 180 ss., con nota ulteriormente critica di F. Auletta, G. Della Pietra, Dalla nomofilachia alla cronofilachia: le Sezioni Unite esigono il tempestivo deposito della sentenza munita di relata. Successivamente, le Sezioni Unite, con un atteso overruling, avevano invece escluso l’improcedibilità del ricorso quando la relata, ancorché non depositata dal ricorrente, si trovasse, per qualsiasi ragione, nella disponibilità del giudice. Cfr. Cass. civ, sez. un., 2 maggio 2017, n. 10648, in Riv. dir. proc. 2017, 1619 ss., con nota di M. Gozzi, Il deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata: un auspicato revirement della Cassazione.  

[10] Si veda però Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2001, n. 2025, in Foro it. 2002, I, 2487, sul tema della conformità tra originale e copia nel caso in quest’ultima sia depositata in una lingua diversa (nella specie, il tedesco) priva di traduzione italiana. Il tema è stato affrontato anche sul versante dell’ammissibilità del deposito di copia della sentenza carente di alcune pagine. La giurisprudenza, nonostante alcune affermazioni contrarie (Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2001, n. 6749, in Giur. it. 2001, 937 ss., con nota di D. Turroni, Sentenza notificata in «copia autentica incompleta» e improcedibilità del ricorso per cassazione. Giurisprudenza formalista … ma non abbastanza) ha però negato l’improcedibilità del ricorso quando sia possibile ricostruirne in maniera sufficiente il contenuto dagli atti di causa. Sul punto Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2003, n. 8764, in Giur. it. 2004, 967 ss. In senso più sfumato Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28460, ha escluso l’improcedibilità affermando che ad essere impedito è solo lo scrutinio relativo ai motivi di gravame attinenti alle pagine mancanti.

[11] Cass. civ., sez. I, 6 maggio 2011, n. 10008, in Giust. civ., 2012, 1561, che ha negato che l’adempimento di cui all’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., possa integrarsi mediante il deposito di copia della sentenza notificata dalla controparte e recante la dichiarazione di conformità dell’ufficiale giudiziario all’interno della relazione di notificazione, sebbene priva dell’attestazione del cancelliere, Cass. civ., sez. lav., 22 luglio 1998, n. 7189, in Giust. civ. 1999, 811 ss., con nota di R. Murra, Sul deposito della sentenza impugnata in Cassazione, che ha ritenuto insufficiente l’utilizzo di una copia fotostatica dell’attestazione di conformità all’originale per uso notifica rilasciata dall’assistente giudiziario, Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20628, che ha sconfessato l’autenticità della sentenza impugnata in copia trasmessa a mezzo fax. Si veda tuttavia supra nota 9.

[12] Cass. civ., sez. VI, 20 marzo 2019, n. 7898, che ha però ammesso la produzione dell’attestazione di conformità sino all’udienza camerale, Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2018, n. 16325. In senso opposto ex multis Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2023, n. 18840., Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312, in Foro it. 2019, I, 3270.

[13] Cass. civ., sez. un., 2 maggio 2017, n. 10648, in Foro it. 2017, 2400, Cass. civ., 11 ottobre 2018, n. 25176, in Foro it. 2019, I, 555 ss. Si veda anche supra nota 9.

[14] Ex multis Cass. civ., sez. lav., 31 marzo 2014, n. 7469, ma adde Cass. civ., sez. un., 16 aprile 2009, n. 9005, con le citate note.

[15] Come afferma la dottrina tradizionale (F. Lancellotti, voce Sentenza civile, in Noviss. dig. it., Torino 1967, XVI, 1157 ss.), il provvedimento è da ritenersi perfezionato dopo il deposito in cancelleria, ma improduttivo di effetti esterni senza l’attività di pubblicazione prescritta dall’art. 133, comma 2° riservata al cancelliere. Contra però S. Satta, Commentario al Codice di procedura civile, I, Milano, 1959, sub art. 133, c.p.c. 504, il quale ritiene sufficiente ai fini della decorrenza per il termine lungo di impugnazione la data effettiva del deposito quale potrà ricavarsi dalle annotazioni del cancelliere sul registro del ruolo d’udienza. Interessante è osservare che il codice del 1865 stabiliva, all’art. 361, n. 2, la nullità della sentenza per mancata sottoscrizione «di tutti i giudici che l’hanno pronunciata, e del cancelliere», mentre tale inciso non è stato riportato nel vigente art. 161, comma 2°, c.p.c.

[16] Oltre all’opinione di Satta, su cui si veda supra nota 15, il tema si era posto in presenza di sentenza con doppia data di deposito-pubblicazione. La questione era stata affrontata dalle Sezioni Unite nel 2012, affermando che ove sulla sentenza siano state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento contiene soltanto la minuta del provvedimento, e l’altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono già dalla data del suo deposito. Cfr. Cass. civ., sez. un., 1 agosto 2012, n. 13794, in Giur it. 2013, 909 ss., con nota di A. Vanni. Il principio di diritto non era però stato condiviso da Cass. civ., sez. II, 22 novembre 2013, n. 26251, in Corriere Giur. 2014, 988 ss., con nota di F. Auletta, La «scissione temporale» tra deposito e pubblicazione della sentenza: la parola alla Corte costituzionale, la quale, anziché rimettere gli atti alle Sezioni Unite ex art. 374, comma 3°, c.p.c., aveva deciso di sollevare questione di costituzionalità. In esito a tale rimessione, Corte Cost. 22 gennaio 2015, n. 3, in Giur. it. 2015, con nota di C. Consolo, Sentenza ‘‘doppiamente datata’’ e dies a quo del termine, aveva chiarito tramite una sentenza interpretativa di rigetto di dover computare i termini di impugnazione dalla seconda data di (impropria) pubblicazione. Successivamente, la questione era stata nuovamente affrontata dall’ordinanza di rimessione Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2015, n. 19140, attraverso un «disinformato revirement» (F. Auletta, La “scissione temporale” tra deposito e pubblicazione della sentenza: dopo la Corte Costituzionale la parola torna alle Sezioni Unite (ma non se ne sentiva affatto il bisogno), in Corriere giur. 2016, 384, investendo nuovamente le Sezioni Unite sul punto, le quali, pronunciandosi con Cass., sez. un., 22 settembre 2016, n. 18569, avevano affermato che, stante la tendenziale coincidenza tra deposito e pubblicazione, nell’ipotesi patologica di presenza di due date il giudice dovesse verificare il momento in cui la sentenza fosse divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria mediante l’inserimento nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo.

[17] Peraltro, irragionevole sarebbe la scelta dell’improcedibilità del ricorso per assenza (non già degli estremi di pubblicazione ma) del numero identificativo della sentenza, poiché l’art. 133, comma 2°, c.p.c., descrivendo l’attività di pubblicazione di competenza del cancelliere, si limita a prescrivere l’apposizione unicamente di data e firma.