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Noterella in tema di diritto allo sciopero. Riflessioni sul cosiddetto “sit-in” e violazione delle norme che assicurano la libera circolazione sulle strade ordinarie
Il thema della presente “noterella” è di particolare interesse, riguardando le modalità di esercizio del diritto – avente rilievo costituzionale[2] – di sciopero. Come insegna autorevole dottrina[3], lo sciopero, in senso comportamentale, si estrinseca “nell’astensione dal lavoro, nel non lavorare”; trattasi di una protesta che può manifestarsi in diverse forme. Tuttavia, siffatte forme non devono essere connotate da violenza o minaccia.
E’ nota la “vexata quaestio” della liceità del cosiddetto “picchettaggio”, azione di presidio posta in essere da lavoratori, avanti l’ingresso del posto di lavoro (stabilimento o fabbrica)[4], finalizzata a rafforzare l’efficacia dello sciopero. La partecipazione attiva a questi “picchetti” presenta gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 610 c.p.[5], ossia di violenza privata?
Il picchettaggio cosiddetto “persuasivo”[6] (a differenza di quello ostruzionistico) appare legittimo, giacché costituente libera espressione e manifestazione del pensiero – sia pure dissenziente e critico -, purché esso non sia improntato a forme di violenza, intimidazione o minaccia, nei confronti dei dipendenti/lavoratori non aderenti allo sciopero; in altri termini, non deve essere posta in essere alcuna attività ostruzionistica e lo svolgimento del picchetto deve avvenire attraverso pacifiche azioni persuasive all’adesione alla protesta ed alla condivisione delle rivendicazioni in ambito lavorativo (propaganda con megafono, distribuzione volantini, etc.); azioni, pertanto, riconducibili entro i confini legittimi dell’esercizio del diritto di sciopero.
In thema, il Supremo Collegio ha evidenziato che “integra l’elemento della violenza la condotta che impedisca il libero movimento del soggetto passivo, ponendolo nell’alternativa di non muoversi oppure di muoversi con il pericolo di menomare l’integrità di altri, compreso l’agente” (Fattispecie in cui l’imputato aveva impedito, nell’ambito di una manifestazione di protesta, al conducente di un’autovettura di procedere liberamente, ostacolandone la marcia)[7]. I Giudici di legittimità, in epoca assai risalente, ma con argomentazioni estremamente attuali, avevano statuito che “L’esercizio del diritto di sciopero comporta la legittimità, nell’ambito di quelle azioni sussidiarie che sono ritenute necessarie per la riuscita dell’astensione dal lavoro, dell’opera di propaganda e persuasione verso gli incerti e i dissidenti, che peraltro siano disposti ad essere informati sui motivi che inducono il lavoratore ad astenersi dal lavoro, purché con le suddette azioni non siano poste in essere modalità lesive di altri interessi primari penalmente tutelati, tali da integrare l’ipotesi criminosa della violenza privata. Si è fuori, infatti, in tali casi dall’ambito dell’esercizio legittimo del diritto di sciopero, venendosi a ledere diritti ed interessi di altri soggetti che, a loro volta, trovano protezione in fondamentali principi costituzionali, come il diritto di coloro che non intendono scioperare di non vedersi costretti, mediante costrizione fisica o morale, ad interrompere il proprio lavoro o comunque ad aderire contro la propria volontà allo sciopero.”[8].
Ed ancora: “Commettono il delitto di violenza privata gli scioperanti che, attuando il c.d. picchettaggio, manifestano la loro intenzione di impedire a chiunque l’accesso nello stabilimento, avvalendosi della barriera formata dai loro corpi e colpendo con calci e spinte coloro che si avvicinano per superare l’ostacolo.”[9]; si è in presenza, in siffatti casi, di un “picchettaggio” di natura ben diversa da quello “persuasivo”, rivestendo connotazioni violente e prettamente ostruzionistiche[10].
Altra norma che interessa l’esercizio del diritto di sciopero e desta, per la sua formulazione, plurime perplessità è l’art. 1-bis Decreto Legislativo 22 gennaio 1948, n. 66[11], il quale testualmente recita: “… Chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro mille a euro quattromila. La medesima sanzione si applica ai promotori ed agli organizzatori.”[12]. E’ palese che il predetto illecito, avente natura amministrativa e non penale, mal si concilia con il diritto di sciopero, giacché, non essendo stata posta la condizione “senza giustificato motivo”, qualsiasi occupazione temporanea della strada può costituire violazione. Ad esempio, i “capannelli” di persone che sovente si formano sulla strada, antistante la chiesa, una volta terminate le funzioni religiose (basti pensare ai matrimoni, ai funerali o, molto più semplicemente, alle messe), devono considerarsi una violazione del citato articolo? Evidentemente, no; tuttavia, qualche zelante tutore della legge potrebbe ritenere sussistente l’illecito.
Il problema si pone, a maggior ragione, con riferimento al diritto di manifestare ed al diritto di sciopero, atteso che siffatti diritti vengono esercitati per lo più in luoghi pubblici e, principalmente, sulla strada “ordinaria”, intendendosi per “strada” “l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali”, secondo la definizione fornita dall’art. 2, comma 1^, Codice della Strada.
Recentemente, è stata posta all’attenzione dei Giudici di Pace di Fermo la problematica afferente la legittimità del “sit-in”[13], inteso quale forma di protesta dei lavoratori, e le norme volte alla tutela della libera circolazione sulle strade ordinarie. In particolare, la Questura di Fermo assumeva che la manifestazione-protesta dei lavoratori, tenutasi avanti i locali del datore di lavoro, costituisse violazione del citato art. 1-bis Decreto Legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, giacché “alcuni componenti delle maestranze (circa una trentina) impediva la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo con il proprio corpo mediante SIT-IN di protesta e di fatto impedendo il regolare passaggio dei camion della suddetta ditta …”.
Nella fattispecie concreta, quindi, si era in presenza dell’esercizio del diritto di sciopero, ai fini di rivendicazioni dal punto di vista lavorativo, effettuato in forma pacifica, da parte di un certo numero di lavoratori, estrinsecatosi in una manifestazione, avanti la sede dell’azienda, che – fisiologicamente – comportava l’occupazione di una porzione del suolo. Più specificamente, si trattava di un “sit-in” – manifestazione previamente e regolarmente comunicata -, durato per una assai breve lasso di tempo, posto in essere correttamente, ossia sedendosi nell’area antistante l’azienda (e, quindi, esterna all’edificio), in forma pacifica, senza incorrere in alcun illecito di natura penale.
Com’è noto, il “sit-in” non può che realizzarsi in siffatto modo, ossia posizionando il proprio corpo sul terreno, ossia su una determinata superficie, occupandolo fisicamente in posizione “da seduto”, come si evince, del resto, dal nome stesso della tipologia di manifestazione, rectius, della “forma” di estrinsecazione del diritto di manifestare, da un punto di vista materiale e fisico.
Il Giudice di Pace[14], nel proprio provvedimento, ha correttamente osservato che “è noto come il Decreto Legge 113/18 (c.d. Decreto Sicurezza) abbia reintrodotto il reato di blocco stradale, ed introdotto altresì l’ipotesi più lieve di cui all’art. 1 bis Decreto Legge 66/48, che sanziona chi mediante “l’ingombro” del proprio corpo ostacola la libera circolazione stradale. La norma è inserita in un contesto più grave che tutela la libera circolazione ferroviaria e di navigazione, e che in tale tutela trova la prova ratio ed il proprio orientamento teleologico. Risulta di tutta evidenza come tale previsione normativa non possa incidere sull’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, quali, come nella presente fattispecie, l’esercizio del diritto di sciopero di cui all’art. 40 Costituzione, ed il diritto di manifestare.Il ricorrente partecipava legittimamente e senza porre in essere comportamenti violenti o limitativi della altrui sfera di libertà … ad una manifestazione regolarmente indetta dal Sindacato … nell’ambito della proclamazione dello stato di agitazione e dello sciopero da parte dei lavoratori della Azienda Agricola (né il fatto che fosse dipendente di detta azienda è posto in dubbio). Tale partecipazione e tale legittimo esercizio del diritto costituzionalmente garantito allo sciopero non hanno apportato pregiudizio alcuno alla libera circolazione, e, comunque, risultano tutelati da una norma costituzionale di rango superiore e preminente.”. Ed ancora: “La manifestazione determina fisiologicamente l’ingombro con il proprio corpo, e come è ben noto il diritto allo sciopero viene esercitato tramite diverse attività, delle quali la più “classica” e risalente consiste nel c.d. “picchettaggio” all’ingresso della azienda, nell’ambito del quale ben può ricadere la effettuazione di un “sit in” . Discende che la violazione contestata non sussiste né si è verificata, altrimenti, a contrario, si dovrebbe ritenere che le manifestazioni costituzionalmente garantite possano essere inibite o limitate dalla tutela, anche se necessaria ma di rango inferiore, della libera circolazione sulle strade …”.
Altro Giudice di Pace di Fermo[15], in senso conforme, ha sottolineato come la manifestazione sindacale, a cui aveva partecipato il ricorrente, consisteva “in un “sit-in” attuato di fronte alla entrata aziendale risolvendosi, in sostanza, in un cd picchettaggio, quale forma classica della manifestazione del diritto di sciopero … Orbene, anche alla luce del rango costituzionale della norma che legittima la libertà di scioperare, peraltro, nella specie, attraverso modalità del tutto pacifiche e non limitative della libera circolazione altrui, non può revocarsi il dubbio che la violazione contestata appare illegittima. Diversamente opinando si giungerebbe a innalzare la previsione normativa da cui discende la violazione accertata – art 1 bis Dlgs n 66/48 modificato dal cd Decreto Sicurezza – a legge di rango costituzionale, con la conseguenza che le manifestazioni costituzionalmente garantite potrebbero essere limitate o addirittura inibite da norme di rango inferiore, sia pure atte a tutelare la libera circolazione stradale. …”.
Anche il terzo Giudice di Pace[16] ha argomentato nel senso che la previsione normativa di cui all’art. 1-bis Decreto Legislativo 22 novembre 1948, n. 66 e succ. mod., essendo di “rango inferiore”, “non può incidere sull’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, come l’esercizio del diritto di sciopero di cui all’art. 40 Cost.”; infatti, “il ricorrente … partecipava legittimamente ad una manifestazione regolarmente indetta dal Sindacato di categoria, previamente comunicata, nell’ambito della proclamazione dello stato di agitazione e dello sciopero da parte dei lavoratori dell’azienda Agricola …, esercitando dunque un diritto costituzionalmente garantito, in modo pacifico e senza pregiudizio alcuno alla libera circolazione.”.
In presenza, invece, di norme aventi il medesimo rango costituzionale[17], la Suprema Corte ha avuto modo di rilevare che “la legittimità degli scioperi, garantita dalla Costituzione, cessa ogni qualvolta gli scioperi travalichino nella lesione di altri interessi garantiti dalla Costituzione: tra questi è primario quello della vita.”[18].
Condivisibili appaiono le ulteriori considerazioni, in thema, svolte da altro Giudice di Pace[19] (sempre di Fermo), il quale ha osservato che “… La norma prefata (art. 1-bis del D.Leg.vo n. 66/1948 – N.D.A.) è inserita in un contesto più “stringente”, che tutela la libera circolazione ferroviaria e di navigazione, e che in tale tutela reperisce la mens, in senso strettamente filologico e teleologico. Superfluo dire che detta previsione normativa non può incidere sull’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti, tra i quali l’esercizio del diritto di sciopero. Ora, lo sciopero viene regolamentato all’interno dell’art. 40, accompagnato dalla libertà di associazionismo sindacale (art. 39). Nella specie al vaglio, il ricorrente partecipava senza porre in essere comportamenti violenti e limitativi dell’altrui sfera di libertà … a una manifestazione, regolarmente indetta dal sindacato … nell’ambito della programmazione dello stato di agitazione dello sciopero da parte dei lavoratori dell’azienda agricola prefata (né il fatto che fosse dipendente di detta azienda è stato posto in dubbio), in attuazione, per l’appunto, del diritto garantito allo sciopero, in maniera legittima, senza pregiudicare … la libera circolazione. E, comunque, la violazione contestata, nella ipotesi dovesse concretarsi attraverso l’ingombro con il proprio corpo (picchettaggio all’ingresso dell’azienda, effettuazione di sit-in), non arreca vulnus di sorta alla sfera di terzi, inalveandosi il diritto di sciopero in un binario di rango superiore, qual è la manifestazione, costituzionalmente garantita, rispetto alla libera circolazione sulle strade. …”.
Risulta evidente che l’art. 1-bis del Decreto Legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, così come modificato dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, appaia insoddisfacente nella sua formulazione, con riferimento al diritto di sciopero (e, più in generale, al diritto di manifestare), anche in considerazione della circostanza che qualsiasi forma di protesta ha insita in sé – e, quindi, fisiologicamente – una, anche sia pur minima, compressione dei diritti altrui, ma on per questo debba essere punita come un illecito, sia esso di natura penale, civile od amministrativo. Ben avrebbe fatto il Legislatore a specificare i requisiti della condotta ai fini dell’integrazione dell’illecito, anziché preferire l’ambigua dizione “ostruzione con il proprio corpo”, fi fatto demandando ai Giudici una difficile e complessa attività ermeneutica.
[1]ormai mi è caro l’utilizzo del termine “noterella”, mutuato dagli scritti di Giuseppe Pera, professore ordinario dell’Università di Pisa dal 1° febbraio 1996 sino al 2001
[2]“Secondo una tesi pressoché pacifica, l’art. 40 riconosce lo sciopero come vero diritto e non come mera libertà, nel senso della non incriminabilità penale come avveniva nella fase neo-liberale del prefascismo. … Se lo sciopero è un diritto, l’esercizio, naturalmente nei limiti di ritenuta legittimità …, non può essere di nocumento per il lavoratore. Il lavoratore scioperante non può essere punito né in via disciplinare né col licenziamento. Il datore di lavoro non può, ex art. 28 statuto lav., attentare all’esercizio di questo diritto, altrimenti il suo comportamento deve essere considerato come antisindacale … .” in Giuseppe Pera – “Diritto del lavoro” – Giuffrè Editore – 1990, pag. 77
[4]ma anche da altri soggetti, quali, a mero titolo esemplificativo, studenti, che si posizionano avanti l’ingresso della propria scuola od università
[5]l’art. 610 c.p. “Violenza privata”, testualmente, recita: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’art. 339.”
[6]ossia volto a raccogliere un maggior numero di soggetti aderenti allo sciopero, cercando di convincere i dissidenti o gli incerti
[7]cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza 15 ottobre 2008-5 novembre 2008, n. 41311, CED 242328
[8]cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza 25 gennaio 1978-18 aprile 1978, n. 4544, CPMA 80, 111
[9]cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza 30 dicembre 1982-10 marzo 1983, n. 1979, NGL 83, 438
[10]l’orientamento della Suprema Corte è costante nel ritenere che “costituisce violenza privata l’azione di chi, ponendosi dinanzi all’ingresso di uno stabilimento e passando alle vie di fatto, costringa gli operai che in macchina intendono recarsi al lavoro a non entrare, o anche solo a fermarsi e a deviare e ritardare il loro ingresso al posto di lavoro …” Cass. Pen., sez. V, sentenza 27 settembre 1979-23 gennaio 1980, n. 1037, CP 82, 110; in senso conforme: Cass. Pen, sentenza 25 giugno 1979, Filippi (fattispecie in cui era stato costituito uno schieramento compatto di lavoratori che scioperavano, i quali, ponendo in essere il “picchettaggio”, manifestavano “la ferma intenzione di impedire a chiunque l’accesso allo stabilimento” e si avvalevano “non solo della barriera formata dai loro corpi per ostruirne materialmente l’ingresso, ma anche di un’auto sistemata in funzione di ostacolo fisso e costringendo i dissenzienti a rinunciare a raggiungere il posto di lavoro” ; Cass. Pen., sentenza 17 ottobre 1980, Ferretti
[11]tale Decreto Legislativo reca le “Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione”
[12]siffatto articolo è stato inserito dall’art. 17 Decreto Legislativo 30 dicembre 1999 e sostituito dall’art. 23 Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito dalla Legge 1 dicembre 2018, n. 132
[13]“sit-in” o “sit-down”: trattasi di espressione inglese, che – letteralmente – significa “sedersi, stare seduti” ed è una “manifestazione non violenta effettuata, per protesta o per altri motivi, da dimostranti che occupano un luogo pubblico (una piazza, una via, ecc.), sedendosi a terra, spesso con il risultato di bloccare l’attività o il traffico” in Treccani – Vocabolario on-line; in Wikipedia: “forma di protesta basata sull’occupazione di un’area allo scopo di attirare l’attenzione sulle istanze dei contestatori. Strade, piazze e prossimità di uffici governativi o di società private contestate sono i tipici luoghi di un sit-in, proposto dai suoi praticanti come forma di lotta non violenta”
[14]il Giudice di Pace, dott.ssa Serenella Monachesi, ha emesso sette sentenze nelle cause di opposizione, ex artt. 22 e 23 Legge n. 689/81 e succ. mod., avverso l’ordinanza della Prefettura di Fermo per la violazione di cui all’art. 1-bis Decreto Legislativo 22 novembre 1948, n. 66, come modificato dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, accogliendo il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e revocando la sanzione amministrativa applicata (con compensazione delle spese di opposizione)
[15]il Giudice di Pace, dott.ssa M.Tiziana Santarelli Marchili, ha emesso sette sentenza nelle cause di opposizione, ex art. 22 e 23 Legge n. 689/81 e succ. mod., avverso l’ordinanza della Prefettura di Fermo per la violazione di cui all’art.1-bis Decreto Legislativo 22 novembre 1948, n. 66, come modificato dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, accogliendo il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e revocando la sanzione amministrativa applicata (con compensazione delle spese di opposizione)
[16]il Giudice di Pace, dott.ssa Roberta Tesei ha emesso sette sentenze nella cause di opposizione, ex artt. 22 e 23 Legge n. 689/81 e succ. mod., avverso l’ordinanza della Prefettura di Fermo per violazione di cui all’art. 1-bis Decreto Legislativo 22 novembre 1948, n. 66, come modificato dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, accogliendo il ricorso, annullando il provvedimento e revocando la sanzione amministrativa applicata (con compensazione delle spese di opposizione)
[17]cfr. Cass. Pen., sez. VI, sentenza 27 novembre 1998-16 giugno 1999, n. 7822, CP 00, 2275, in thema di diritto di manifestare, secondo cui “L’esercizio dei diritti di riunione e di manifestazione del pensiero, garantiti agli artt. 17 e 21 comma 1 Cost., cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, come quando si concreti in un comportamento integrante la fattispecie di cui all’art. 340 c.p. (trattasi del reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità – N.D.A.) con modalità di condotta che esorbitino dal fisiologico esercizio di quei diritti.”; in senso conforme: Cass. Pen., sez. VI, sentenza 30 ottobre 2013-21 novembre 2013, n. 46461, CED 257453
[18]cfr. Cass. Pen., sez. VI, sentenza 2 luglio 1980-25 novembre 1980, n. 12464, CP 82, 9 (La fattispecie riguardava l’interruzione di impianti luminosi aereoportuali)
[19]il Giudice di Pace, dott. Giuseppe Fedeli, ha emesso sette sentenze nelle cause di opposizione, ex art. 22 e 23 Legge n. 689/81 e succ. mod., avverso l’ordinanza della Prefettura di Fermo per la violazione di cui all’art. 1-bis Decreto Legislativo 22 novembre 1948, n. 66, come modificato dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, accogliendo il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e revocando la sanzione amministrativa applicata (con compensazione delle spese di opposizione)