Note brevi sulla riforma in materia di «calendario del processo»: cambia tutto per non cambiare nulla?

Di Nicola Vicino -

Sommario: 1. Premessa; 2. Il calendario del processo secondo il sistema previgente: un istituto “nato male”; 3. La riforma del d.lgs. 149/2022: il parziale ritorno alle origini e l’attuale funzione del calendario; 3.1. Il rinvio (maldestro) alla disciplina del rito in materia di persone, minorenni e famiglie; 4. Brevi rilievi critici sull’obbligatorietà del calendario e sull’apparato sanzionatorio; 5. Dall’ineffettività della sanzione disciplinare all’effettività della collaborazione del personale. Il possibile ruolo degli addetti all’ufficio per il processo.

1. Premessa.

Il d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, in attuazione della delega 26 novembre 2021, n. 206, ha dato avvio ad una complessiva quanto strutturale revisione dell’impianto normativo processuale, che fosse finalizzata, in via prioritaria, al perseguimento dell’obiettivo di «semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, nel rispetto della garanzia del contraddittorio» (art. 1, 1° comma l. delega 206/2021).

È in questa prospettiva che si inserisce, tra le altre, la riforma delle disposizioni relative al processo di cognizione di primo grado, diretta principalmente alla riduzione dei tempi processuali ed alla concentrazione delle attività, in relazione sia alla fase di introduzione sia a quelle di trattazione ed istruzione probatoria.

Ebbene, a fare da ponte alle due fasi endoprocessuali in parola dovrebbe porsi l’istituto del «calendario del processo»[1], che, come si avrà modo di vedere, collocandosi all’inizio della fase di trattazione dovrebbe rappresentare lo strumento tecnico-organizzativo nelle mani del giudice per delineare una gestione più razionale e, per l’effetto, più efficiente delle cause che compongono il ruolo[2].

In questo senso, nonché in coerenza con gli obiettivi programmatici a fondamento della riforma, dietro il potenziamento del suddetto istituto è ragionevole ritenere che si celi la prospettiva a medio-lungo raggio di dar vita ad un processo che, pur muovendosi nel solco della tradizione dell’ordinamento interno (improntata alla predeterminazione legale delle regole, delle forme e dei termini processuali), risulti maggiormente orientato verso il modello di case management, mediante il quale riconoscere al giudice più ampi poteri di direzione del giudizio e favorire, di conseguenza, una definizione più fluida e partecipata delle controversie[3].

Senza anticipare considerazioni che nel prosieguo si avrà modo di svolgere ampiamente, si chiarisce sin d’ora che in questa sede s’intende esplorare più in profondità la disciplina generale del calendario del processo, al fine di verificare se, a fronte delle pur nobili intenzioni del legislatore delegato, siano state previste modifiche normative in grado di dotare il medesimo di un’efficacia maggiore del passato.

2.Il calendario del processo secondo il sistema previgente: un istituto “nato male”

 

Riavvolgendo rapidamente il nastro, ci si rende presto conto che il calendario del processo è un istituto che, praticamente sin dal tempo dell’introduzione, ha vissuto un destino alquanto travagliato e non ha sortito gli effetti auspicati nell’ordinamento interno.

La genesi positiva del calendario risale all’avvento dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla l. 69/2009 e modificato con d.l. 138/2011, conv. con mod. nella l. 148/2011[4].

Esso era stato concepito sulla falsariga del calendrier du procès tipico dell’esperienza francese[5], nello specifico ai sensi del previgente art. 764 CPC (poi confluito nell’odierno art. 781, a seguito della riforma del 2019).

Tuttavia, si è in plurime occasioni segnalato che si è trattato di un trapianto poco accurato, che non ha tenuto in debito conto delle dinamiche peculiari dei due sistemi processuali[6] ed ha finito per rendere i due istituti, ad onta delle assonanze lessicali, affatto differenti tra loro sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello funzionale[7].

Per com’è tuttora congegnato, infatti, il calendrier si sostanzia in una sorta di programmazione ex ante del processo che viene posta in essere non già in via esclusiva dal giudice, bensì a seguito di un effettivo confronto con le parti, tale da renderlo pacificamente nella dottrina d’oltralpe un tipico esempio di contrat de procédure[8].

Da questo punto di vista, emerge in tutta la propria limpidezza l’intrinseca differenza che intercorre tra i due ordinamenti sia sul piano giuridico-procedimentale sia, e prima ancora, su quello giuridico-culturale.

Infatti, mentre in Francia è stato da tempo avviato un imponente progetto di sostituzione dell’originario sistema processuale (a struttura preclusiva rigida e prefissata ex lege) con un sistema che affida al giudice ampi poteri di definizione dei termini processuali[9], in Italia è possibile ancora oggi riscontrare un sistema in cui v’è la pressoché totale predeterminazione normativa dei termini perentori alle attività delle parti. Ciò, dunque, rende l’ordinamento interno evidentemente meno sensibile all’esigenza di favorire una programmazione dei termini processuali che sia effettivamente condivisa tra i protagonisti del giudizio, dal momento che la scansione dell’iter temporale è tradizionalmente definita direttamente dalla legge, mentre il sistema francese fa maggiore affidamento sulla ricerca della natura consensuale del programma tra le parti e il giudice[10].

Inoltre, già a partire dalla riforma del 2011 erano state sollevate talune critiche in ordine all’opportunità della scelta sistematica, secondo taluni per via dell’inserimento della norma all’interno delle disposizioni attuative, che avrebbe finito per lasciare la stessa sostanzialmente inattuata[11]; secondo altri non tanto per le disposizioni di attuazione in sé, quanto piuttosto per la collocazione dell’art. 81-bis nella sezione II, relativa all’istruzione della causa, atteso che in questo modo il legislatore non avrebbe aggiunto alcunché rispetto ai preesistenti poteri di direzione ed organizzazione del processo riconosciuti al giudice ai sensi dell’art. 175 c.p.c.[12].

Non è dunque un caso che, a dispetto delle iniziali reazioni favorevoli di parte della dottrina[13], questo strumento di razionalizzazione dei tempi processuali, almeno per come inizialmente disciplinato, si sia gradualmente dimostrato alquanto inefficace sul piano pratico, finendo per risolversi troppo spesso in poco più che una mera «petizione di principio»[14].

3.La riforma del d.lgs. 149/2022: il parziale ritorno alle origini e l’attuale funzione del calendario.

Ciò nonostante, la riforma Cartabia ha ritenuto opportuno insistere su questo sentiero, tant’è che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 [15] ha apportato la modifica all’art. 81-bis disp. att. c.p.c., procedendo alla soppressione del primo periodo del 1° comma ed alla contestuale trasposizione di gran parte del relativo contenuto all’interno del novellato art. 183 c.p.c., col probabile intento di conferire all’istituto maggiore rilievo[16].

Nel dettaglio, ai sensi del nuovo 4° comma dell’art. 183 c.p.c., all’udienza di prima comparizione e trattazione il giudice, nel decidere sulle richieste istruttorie precedentemente trasmessegli, al più tardi, con le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., «predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse»[17], il tutto «tenendo conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa». La norma si conclude, infine, prevedendo che «L’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi è fissata entro 90 giorni. Se l’ordinanza di cui al primo periodo è emanata fuori udienza, deve essere pronunciata entro 30 giorni».

Non si tratta in realtà di una intuizione inedita del legislatore del 2022, quanto semmai di un ritorno alle origini. Va ricordato, infatti, che già l’art. 22 d.d.l. 2508/2007 (c.d. d.d.l. Mastella) aveva proposto l’inserimento del calendario del processo all’interno dell’art. 183 c.p.c.[18], sebbene poi la l. 69/2009 avesse optato per una soluzione differente, finendo per relegare l’istituto in seno alle disposizioni di attuazione[19].

Sin dal decennio scorso, quindi, si era ipotizzato che il calendario dovesse essere utilizzato dal giudice durante l’udienza di trattazione, anche se già al tempo la dottrina segnalava che, nella sostanza, la concreta utilità dell’istituto si sarebbe potuta riscontrare solo nel momento in cui fossero già pienamente definiti sia il thema decidendum sia il thema probandum, non restando altro da fare che procedere all’assunzione delle prove[20].

Orbene, anche a seguito della riforma il calendario deve essere disposto allorché il giudice «provvede sulle richieste istruttorie», sicché l’istituto continua ad essere stabilito con l’ordinanza istruttoria che ammette i mezzi di prova richiesti dalle parti.

Tuttavia, in precedenza il suddetto provvedimento coincideva con l’ordinanza di cui all’art. 183, comma 7 c.p.c., ossia entro i trenta giorni successivi allo spirare del termine dell’ultima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c. (salva l’infrequente ipotesi in cui le parti non chiedessero l’appendice di trattazione scritta, nel qual caso il giudice si sarebbe dovuto pronunciare nella medesima udienza).

Il d.lgs. 149/2022, invece, ha disposto la soppressione delle memorie ex art. 183, comma 6 c.p.c. e la contestuale anticipazione delle stesse ai sensi dell’art. 171-ter c.p.c., al fine di permettere al giudice di giungere alla prima udienza con il thema decidendum ed il thema probandum già definiti e conseguentemente di essere già nelle condizioni di assumere le determinazioni più opportune in ordine alla direzione da assegnare al processo[21]. Inoltre, la circostanza che l’udienza adibita all’assunzione delle prove ammesse debba essere fissata entro novanta giorni dovrebbe teoricamente incidere sulla discrezionalità del giudice nella redazione del calendario, nello specifico evitando che l’inizio dell’attività istruttoria venga fissato “a babbo morto” (anche se è probabile che l’inciso in rassegna non risulterà realmente incisivo, trattandosi verosimilmente di un termine ordinatorio[22]).

In questi termini, l’inciso «provvede sulle richieste istruttorie» sembrerebbe dunque coordinato in modo opportuno con il nuovo regime relativo alla trattazione del giudizio, dal momento che il giudice parrebbe posto nelle condizioni temporali di comprendere ab origine se vi sia effettivamente il bisogno di redigere il calendario. Come da tempo segnalato in dottrina, infatti, esso sarebbe impiegabile nella sola ipotesi in cui debbano essere assunte prove costituende, non avendo senso qualora queste ultime vengano ritenute inammissibili o irrilevanti ovvero il processo sia incentrato unicamente sulle prove documentali.

Ed allora, sempre in linea di massima, il giudice avrebbe il tempo di capire se vi siano prove costituende da assumere e, in caso positivo, se si debba dare origine ad attività di assunzione la cui durata sia in qualche modo precognizzabile nel tempo[23], ivi compresa quella «rimessa all’iniziativa officiosa del giudice e per la quale si renda necessario lo svolgimento di una o più udienze»[24].

Tanto premesso, appare opportuno muovere una considerazione generale relativa alla ratio effettiva cui dovrebbe rispondere, anche alla luce della riforma, il calendario del processo.

Di primo acchito, potrebbe sorgere spontanea la tentazione di rispondere che l’obiettivo perseguito dal legislatore sia quello di favorire l’accelerazione del processo[25]. In questa prospettiva, del resto, non è un caso che già in occasione del d.l. 138/2011, conv. con mod. in l. 148/2011 sia stato aggiunto il riferimento espresso alla «ragionevole durata del processo».

Tuttavia, non è tanto (o solo) questo il fine primario, anche perché la predeterminazione dei tempi processuali non è di per sé sufficiente a superare lo scoglio della durata[26]. Piuttosto, lo scopo principale pare quello di favorire il meccanismo virtuoso di organizzazione razionale delle controversie, il che si pone a garanzia delle parti, consentendo loro di avere ex ante conoscenza (seppur in via approssimativa) della eventuale durata complessiva della causa e, di conseguenza, di stabilire se sia opportuno proseguire lungo questo sentiero ovvero optare per una risoluzione della controversia alternativa e più rapida, quale ad esempio una soluzione transattiva[27].

D’altro canto, se si considera che l’art. 183, comma 4 c.p.c. (così come già avveniva nell’art. 81-bis disp. att. anteriforma, con riferimento all’udienza di precisazione delle conclusioni) dispone che il calendario sia programmato «sino all’udienza di rimessione della causa in decisione», sembrerebbe confermato che la ratio della norma in esame sia non tanto quella acceleratoria, quanto quella di far sì che il processo abbia, sin dalla fase istruttoria, una durata tendenzialmente predeterminata nel suo complesso.

Tuttavia, attenendosi sempre al solo dato positivo, v’è da evidenziare che a quest’apparente premura del legislatore per l’interesse delle parti “a valle”, sul piano della consapevolezza della tendenziale durata del processo, non sembra accompagnarsi altrettanta attenzione “a monte”, sul piano del coinvolgimento delle stesse nella redazione del calendario: a differenza di quanto avveniva ai sensi dell’art. 81-bis disp. att., nel nuovo art. 183, comma 4 c.p.c. non si richiama l’inciso «sentite le parti» al momento di definire il calendario del processo. In questo modo, il legislatore sembrerebbe aver determinato un allontanamento ancora più marcato dalla disciplina tipica dell’ordinamento francese, in cui il giudice non solo è tenuto ad ascoltare le parti, ma deve fare qualcosa in più, «come se realmente si trattasse di perfezionare un contratto»[28].

Cosicché, potrebbe sorgere il dubbio che l’omissione dell’inciso abbia avuto per effetto quello di sganciare la discrezionalità del giudice dal previo confronto con le parti, di fatto legittimando l’arbitrio pressoché totale nella definizione del calendario, in modo del tutto slegato dalle concrete necessità delle stesse[29].

Certo, a ciò può ragionevolmente replicarsi che l’omissione non dovrebbe destare particolari preoccupazioni, dal momento che l’art. 183, comma 1 c.p.c. impone ora la comparizione delle parti alla prima udienza, quindi il previo confronto con queste ultime verrebbe in qualche modo salvaguardato.

Tuttavia, è altresì vero che la mancata indicazione normativa delle conseguenze della mancata audizione delle parti porta ad escludere che l’omesso contraddittorio (ancorché informale) con queste ultime sul punto comporti qualche ripercussione processualmente apprezzabile.

3.1. Il rinvio (maldestro) alla disciplina del rito in materia di persone, minorenni e famiglie

La riforma è intervenuta altresì sul comma 2 dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c., aggiungendo il periodo secondo cui «il rispetto del termine di cui all’art. 473-bis.14, comma 3 del codice è tenuto in considerazione nella formulazione dei rapporti per le valutazioni di professionalità». Com’è evidente, trattasi di una modifica rispondente alle esigenze di coordinamento del precetto con la nuova disciplina di cui al Titolo IV-bis Libro II c.p.c., relativa al rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie.

Al riguardo, è opportuno evidenziare che la norma che fa espressa menzione del calendario del processo nel rito in esame è l’art. 473-bis.22, comma 3 c.p.c.[30]; di contro, l’art. 473-bis.14, comma 3 si riferisce al termine (contenuto nel decreto di fissazione dell’udienza di comparizione) di massimo 90 giorni che deve intercorrere «tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza», termine antecedente a quello in cui è prevista l’adozione del calendario.

Si è, dunque, in presenza di una scelta sistematica alquanto singolare, che rintraccia il comune denominatore tra l’art. 473-bis.14, comma 3 c.p.c. e l’art. 81-bis disp. att. c.p.c. non già nella fattispecie, bensì nella misura di deterrenza, con l’immediato effetto di rinvenire nella disposizione attuativa relativa al calendario del processo il rinvio ad una norma avente ad oggetto un lasso temporale che con esso ha ben poco a che vedere.

Ora, escludendo che si sia trattato di un mero refuso, è evidente che con il suddetto rinvio si è inteso assoggettare il mancato rispetto da parte del presidente (ovvero del giudice delegato) del termine di novanta giorni di cui all’art. 473-bis.14, comma 3 c.p.c. alle medesime conseguenze previste per l’inottemperanza alla fissazione del calendario sotto il «profilo di valutazione di professionalità».

Tuttavia, diversamente dalla disciplina generale, l’osservanza del termine in parola è sorretta da maggiore perentorietà, in quanto nell’ipotesi in rassegna il mancato rispetto del medesimo «è tenuto in considerazione» (e non «può essere considerato») ai fini della formulazione dei rapporti per la valutazione di professionalità[31].

Pertanto, al netto del rilievo che il legislatore delegato abbia forse peccato di superficialità nell’attività di coordinamento della disciplina generale con quella speciale del nuovo rito in materia di persone, famiglie e minorenni, sta di fatto che, con il suddetto innesto normativo, si è determinato un regime differenziato e più aspro per il rito in esame[32], alla cui stregua si registra il duplice rischio della possibilità della sanzione (in caso di mancato rispetto dei termini fissati dal calendario predisposto con l’ordinanza ex art. 473-bis.22, comma 3, c.p.c.) e della inevitabilità della sanzione, per quanto riguarda la fase introduttiva[33], rispetto al termine considerato dall’art. 473 bis.14, comma 3 c.p.c.

4. Brevi rilievi critici sull’obbligatorietà del calendario e sull’apparato sanzionatorio

Al netto delle questioni relative ai profili teleologici ed ai presupposti in presenza dei quali si renda effettiva la necessità del calendario, alla fine dei conti ciò che occorre domandarsi è se, anche alla luce del d.lgs. 149/2022, il calendario del processo possa definirsi un istituto davvero obbligatorio.

In realtà, questo interrogativo può essere posto con riferimento a due distinti profili: a monte, in relazione al dovere di iniziale predisposizione, e a valle, con riguardo al successivo rispetto dei relativi termini.

Poiché l’art. 81-bis, comma 2 disp. att.[34] si riferisce espressamente al caso di «mancato rispetto dei termini», giova muovere da quest’ultimo aspetto, riservando le riflessioni sul dovere di redazione ad un momento successivo.

Nelle suddette ipotesi la norma prevede che le conseguenze negative, per di più indifferentemente a carico del giudice, del difensore e/o del consulente, siano la possibilità che vi sia una violazione disciplinare, da un canto, e la possibilità che la condotta venga considerata «ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi», dall’altro.

In via preliminare, non può non evidenziarsi la bizzarria di (continuare a) prevedere una norma disciplinare che sia al contempo sprovvista del presupposto di imperatività, stante l’espresso richiamo al concetto di possibilità. Del pari, restando sempre sul piano generale, la circostanza che persista assoluta vaghezza in ordine ai presupposti per integrare “il mancato rispetto dei termini” lascia aperto il dubbio se la disposizione possa concernere anche l’ipotesi di «un ritardo di minima entità» ovvero se sia necessario far trascorrere quantomeno una cornice temporale più ampia[35].

Inoltre, a dispetto dell’assoggettamento ad univoco regime in materia disciplinare, è opportuno differenziare le considerazioni a seconda dei destinatari, a cominciare dall’avvocato e dal consulente tecnico e lasciando per ultima la posizione del magistrato.

Procedendo con ordine, per quanto concerne il difensore, oltre alla disciplina del codice di procedura civile occorre considerare quella del codice deontologico forense, così come riformato nel 2014[36].

Con riferimento al codice di rito, si tratta di capire se la condotta in esame possa essere incasellata sotto la fattispecie di cui all’art. 88 c.p.c., ossia se possa essere valutata come un’ipotesi di violazione del generale dovere di lealtà e probità.

Invero, parte della dottrina si era precedentemente espressa in siffatta direzione, in un tempo in cui il codice deontologico ancora non si occupava di tipizzare in modo espresso l’illecito scaturente dalla mancata ottemperanza al calendario del processo[37].

La tesi in esame, allora, dovrebbe a maggior ragione ritenersi condivisibile oggi, atteso che nell’attuale cod. deont. for. sono presenti, da un lato, l’art. 9, che a sua volta richiama tra i principi generali i doveri di lealtà e probità nell’esercizio dell’attività professionale; dall’altro, e soprattutto, nell’ambito del Titolo IV (relativo ai Doveri dell’avvocato nel processo) l’art. 59, espressamente rubricato calendario del processo, che si compone di due commi: il primo dispone che il mancato rispetto dei termini, «ove determinato esclusivamente dal comportamento dilatorio dell’avvocato, costituisce illecito disciplinare», mentre al comma 2 è previsto, in continuità con quanto auspicato da parte della dottrina[38], che in tali casi la sanzione debba essere quella (meno grave) dell’avvertimento[39].

Cosicché, al netto dell’eventuale proroga, anche d’ufficio, dei termini inizialmente fissati nel calendario «per gravi motivi sopravvenuti», il mancato rispetto degli stessi da parte del difensore sembra qualificabile come lesiva del dovere di lealtà e probità, costituendo una condotta che dovrà essere segnalata dal giudice alle «autorità che esercitano il potere disciplinare», a norma dell’art. 88, comma 2 c.p.c.

Tanto premesso, però, è chiaro che a questa automatica comunicazione ai fini disciplinari non seguirà l’altrettanto automatica irrogazione della sanzione, ma farà pur sempre da contraltare l’inciso normativo relativo alla (mera) possibilità che la condotta venga effettivamente sanzionata, consentendo di rapportarla alle circostanze concrete.

Anche con riferimento al consulente, l’art. 81-bis disp. att. si limita a sancire che il mancato rispetto dei termini del calendario sia una possibile, e non un’inevitabile, causa di violazione disciplinare.

Pertanto, si tratta di coordinare l’inciso in parola con il regime generale previsto per il procedimento disciplinare azionabile a carico dei consulenti tecnici. Al riguardo, è appena il caso di ricordare che il d.lgs. 149/2022, pur avendo inciso in modo significativo sulla disciplina della consulenza tecnica, in particolare mediante un corposo intervento di revisione delle disposizioni attuative, di fatto non ha modificato le norme utili ai presenti fini[40].

Tra queste, si annoverano l’art. 20 disp. att., ai sensi del quale le possibili sanzioni a carico dei consulenti sono, in ordine crescente di gravità, l’avvertimento, la sospensione dall’albo per massimo un anno e la cancellazione dall’albo; e l’art. 19 disp. att., alla cui stregua spetta al presidente del tribunale il compito di vigilare sui consulenti tecnici, avendo il potere di promuovere, d’ufficio o su impulso del procuratore della repubblica o del presidente dell’associazione professionale, il procedimento disciplinare avverso «i consulenti che non hanno tenuto una condotta morale specchiata o non hanno ottemperato agli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti». Dal combinato disposto delle norme in rassegna (e non essendovi valide ragioni per discostarsi dalle considerazioni già svolte in passato da parte della dottrina[41]), ancora oggi è possibile affermare che il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario del processo possa provocare in astratto un procedimento disciplinare a carico del consulente e, per l’effetto, condurre alla comminazione della sanzione meno grave, ossia l’avvertimento.

Tanto premesso, è ora possibile soffermare l’attenzione sulla posizione del magistrato, che è quella che meglio smaschera l’inadeguatezza del sistema di deterrenza a conferire efficacia all’istituto.

Si è già anticipato che lo slittamento del contenuto essenziale del precetto di cui all’art. 81-bis in seno al novellato art. 183 c.p.c. pare orientato nel senso di attribuire maggiore rilevanza all’istituto.

Tuttavia, due sono gli interrogativi da considerare: a) se le sanzioni di cui all’art. 81-bis disp. att. si riferiscano solo al caso di “mancato rispetto dei termini” ovvero si estendano altresì all’inottemperanza al dovere di adozione del calendario, rendendolo di fatto obbligatorio; b) in subordine, se il sistema sia adeguato sul piano dell’effettività.

Con ordine, per quanto riguarda il punto sub a), dalla piana lettura dell’art. 81-bis, comma 2 disp. att. sembrerebbe che il meccanismo sanzionatorio sia astrattamente integrabile nella sola ipotesi in cui non vengano rispettati i termini previsti nel calendario già fissato, e non anche in quella di omessa predisposizione del medesimo.

In altre parole, volendosi basare sul solo dato positivo, non pare scontato che il giudice incorra effettivamente in sanzioni disciplinari nel caso in cui bypassi in toto l’attività di programmazione delle udienze; sicché, vi potrebbe essere il concreto rischio che la prassi (come, del resto, è finora accaduto) svilisca integralmente la portata della disposizione, consentendo al giudice di “tagliare la testa al toro” e scongiurare il pericolo di una violazione disciplinare semplicemente non predisponendo il calendario.

Tuttavia, nel senso dell’obbligatorietà della formazione del calendario del processo si era già pronunciata la corte costituzionale[42]. Può essere utile ricordare rapidamente i termini della questione e, soprattutto, le motivazioni addotte dalla Consulta in quell’occasione.

In estrema sintesi, nel dichiarare infondata la questione di legittimità dell’art. 81-bis disp. att. c.p.c. per contrasto con gli artt. 3 e 111 cost., «nella parte in cui prevede che il giudice fissa il calendario del processo, così sancendone l’obbligatorietà in ogni caso»[43], la Corte evidenziava che le argomentazioni del rimettente si sostanziavano in «difficoltà non discendenti in via diretta ed immediata dalla norma censurata, ma ricollegabili ad inconvenienti di mero fatto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non rilevano ai fini del controllo di costituzionalità»[44].

Alla luce di quanto sopra, è ormai pacifica l’operatività della responsabilità disciplinare di cui all’art. 81-bis, comma 2 anche all’ipotesi di omessa formazione del calendario, sicché la relativa predisposizione dovrebbe costituire non già una libera scelta del magistrato, bensì un atto dovuto.

Il punto, semmai, è comprendere se questa attività sia un atto dovuto per il giudice in ogni caso in cui sia necessario l’espletamento di attività istruttoria ovvero se essa possa essere frutto di una valutazione di volta in volta ponderata nel caso concreto, sul mero piano dell’opportunità.

Ad un primo sguardo, il tenore testuale dell’art. 183 c.p.c. può far pensare che la formazione del calendario sia sempre obbligatoria, giacché essa si limita a prevedere che il giudice, nel provvedere sulle richieste istruttorie, «predispone con ordinanza il calendario delle udienze successive fino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse». La norma sembrerebbe cioè agire in modo tranciante sul punto, imponendo al giudice il (solo) dovere di tenere conto della complessità, dell’urgenza e della natura della causa, senza indicare ulteriori presupposti atti ad imporgli la fissazione del calendario.

Tuttavia, sul piano operativo ci si rende agevolmente conto che le cose stanno diversamente: come si è già in parte anticipato, occorre distinguere a seconda del tipo di attività istruttoria da espletare, poiché è evidente che la redazione del calendario sia del tutto superflua nelle ipotesi in cui vengano esclusivamente prodotte prove documentali, rispetto alle quali al giudice non rimarrebbe da svolgere alcuna attività diversa dal mero apprezzamento. Cosicché, con precipuo riferimento al calendario del processo, può circoscriversi il cono d’ombra applicativo dell’art. 183 c.p.c. ai soli giudizi in cui siano state avanzate richieste istruttorie aventi ad oggetto prove costituende e che esse, una volta superato il vaglio di ammissibilità e rilevanza, comportino la necessità per il giudice di programmare sin dall’ordinanza di ammissione le successive udienze che saranno necessarie per procedere alla relativa assunzione.

Tanto premesso, la questione di maggior rilievo si scorge in relazione al punto sub b), riguardante il sistema delle sanzioni.

Si è già osservato che l’art. 81-bis disp. att. prevede due conseguenze negative a carico del giudice: i) la possibilità di costituire violazione disciplinare[45]; ii) la possibilità di «essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi»[46].

Poiché, sotto questo profilo, la norma non è stata modificata dal d.lgs. 149/2022, ne deriva che nulla è cambiato sul piano dell’apparato sanzionatorio, dunque le principali critiche sollevate dalla dottrina sotto l’egida del sistema previgente possono considerarsi tuttora attuali.

Pertanto, si ha il forte sospetto che, a dispetto della trasmigrazione simbolicamente roboante dell’istituto dalle disposizioni attuative all’udienza ex art. 183 c.p.c., ancora una volta le modifiche in tema di calendario del processo si esauriscano in modesti interventi di riforma, dal sapore meramente programmatico (o se si vuole di slogan[47]), in cui la concreta operatività, oltre a dover essere rapportata alle specificità del caso concreto (in particolare, in relazione alla natura delle prove oggetto delle richieste istruttorie), appare rimessa allo spontaneismo e al senso di responsabilità individuale del singolo magistrato.

5. Dall’ineffettività della sanzione disciplinare all’effettività della collaborazione del personale. Il ruolo degli addetti all’ufficio per il processo.

All’esito dell’indagine che precede, è possibile svolgere qualche breve considerazione conclusiva.

Si è avuto modo di vedere che, sul piano sistematico, l’implementazione del calendario del processo manifesta l’auspicio del legislatore di suggerire ai giudici un cambio di rotta evincibile prima di tutto sul piano culturale, che tenda a plasmare la metodologia di conduzione del processo, maggiormente collaborativa e dialogante con le parti, secondo l’approccio già consolidato nelle esperienze di altri ordinamenti.

Inoltre, si è osservato che, quantomeno sul piano formale, l’obbligatorietà del calendario del processo viene ormai considerata pacifica, in coerenza sia col dato testuale della disposizione sia con il richiamato arresto della corte costituzionale. Pertanto, piacciano o meno la conformazione ed il funzionamento dell’istituto, sta di fatto che de jure condito esso andrebbe obbligatoriamente predisposto.

D’altra parte, se la si esamina secondo una prospettiva più concreta, oltre a confinare il raggio d’azione dell’obbligo di fissazione del calendario ai soli casi in cui sia necessario assumere prove costituende, è necessario fare i conti con un duplice dato di realtà irrinunciabile.

Il primo di essi, forse banale, è che intanto possono ammettersi sia l’obbligatorietà della predisposizione sia il successivo rispetto dei termini in quanto si consideri il calendario come uno strumento tecnico che assolva alla funzione di mera linea-guida nella conduzione ed organizzazione del processo, senza riuscire ad offrire una prognosi certa e definitiva sulle tempistiche del giudizio. Si può, cioè, anche ottimisticamente ipotizzare che esso sarà fissato con maggior frequenza all’esito dell’udienza di comparizione, di fatto potendo costituire anche un argine all’altrimenti indeterminato potere di direzione ex art. 175 c.p.c., ma solo qualora si prenda coscienza che le indeterminabili variabili che in astratto intervengono nel processo siano in grado di alterare gli equilibri e le scansioni temporali che dallo stesso calendario si auspica vengano generati[48].

In secondo luogo, e soprattutto, al di là dello spauracchio (più apparente che effettivo) del meccanismo sanzionatorio, è necessario interrogarsi se e come sia possibile far funzionare l’istituto.

La consulta ha chiarito che le difficoltà oggettive cui può andare incontro il singolo magistrato nella gestione delle cause sul ruolo sono frutto di mere contingenze fattuali, che in quanto tali risultano inidonee a giustificare l’omissione del calendario del processo.

Tuttavia, non bastano i proclami pur autorevoli (e ormai risalenti) della corte costituzionale per superare il problema: il dato di comune esperienza, infatti, dimostra che quest’ultimo troppo spesso continua a non essere programmato sul piano concreto, e che l’ottemperanza al dovere de quo in capo al giudice deve inevitabilmente essere relazionata al contesto dell’ufficio in cui egli opera [49]. Cosicché, è del tutto evidente che l’aumento del numero delle cause iscritte sul ruolo sia inversamente proporzionale alla concreta possibilità che il giudice riesca a pianificare lo svolgimento delle singole udienze per ogni processo. E ciò in quanto la mancata o imprecisa predisposizione del calendario del processo non necessariamente scaturisce da negligenza o da fattori culturali (con ciò intendendo la scarsa propensione del singolo magistrato alla redazione del calendario), ben potendo derivare da difficoltà oggettive e di natura operativa che ne ostacolano l’attuazione.

Tra queste, oltre alla ben nota penuria di magistrati su scala nazionale, vi rientrava senz’altro la carenza di personale di supporto, che sino ad ora non aveva consentito al sistema giustizia di fornire complessivamente un servizio che sapesse tenere il passo della domanda.

Se ciò è vero, ci si può interrogare sull’opportunità di considerare gli addetti UPP come un valido strumento di ausilio per il magistrato nell’ottemperanza a quello che, come si è appena visto, costituisce un potere-dovere a suo carico.

È appena il caso di ricordare che l’art. 5 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 151, recante la disciplina speciale dell’ufficio per il processo, nell’elenco dei compiti spettanti agli addetti ricomprende alla lett. a) lo svolgimento di «attività preparatorie e di supporto ai compiti del magistrati, quali: studio dei fascicoli, compilazione di schede riassuntive, preparazione delle udienze e delle camere di consiglio, selezione dei presupposti di mediabilità della lite, ricerche di giurisprudenza e dottrina, predisposizione di bozze di provvedimenti, assistenza alla verbalizzazione». Ora, si precisa subito che, non facendo la norma richiamata alcuna menzione del calendario del processo, sembra preclusa la possibilità di delegare agli addetti l’integrale assolvimento di siffatta funzione, anche perché la definizione del calendario è comunque conseguente alla previa valutazione di ammissibilità delle prove costituende richieste dalle parti ed al giudizio prognostico da parte del giudice circa la complessità della causa e la necessità di programmare la conseguente attività istruttoria.

Tuttavia, se si muove dal presupposto che l’intento del legislatore è stato quello di responsabilizzare il giudice nel segmento processuale anteriore all’udienza di comparizione, in precedenza considerato “morto” (vedi le verifiche preliminare ex art. 171-bis c.p.c.), nonché quello di anticipare la definizione del thema decidendum e del thema probandum a prima dell’udienza ex art. 183 c.p.c.; e se si considera altresì che l’art. 5 su richiamato impone agli addetti UPP di studiare la causa (anche mediante la compilazione di schede riassuntive), nella chiara prospettiva di coadiuvare il giudice nella comprensione più celere dei termini e delle criticità delle singole controversie, non pare azzardato ipotizzare quantomeno un coinvolgimento degli stessi nella predisposizione del calendario. Del resto, il fatto che la norma in rassegna attribuisca agli addetti UPP responsabilità alquanto delicate[50], nonché compiti che presuppongono la chiarezza di idee (almeno in via tendenziale) circa le richieste istruttorie articolate, a fortiori dovrebbe condurre ad una più ponderata riflessione sulla opportunità di utilizzare queste nuove risorse anche in relazione a siffatta tanto foraggiata attività di programmazione delle udienze[51].

[1] Con riferimento al calendario del processo, v. F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, 2021, 48 ss.; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, 2019, 247 s.; C. Cea, Il calendario del processo, in Foro it., 2012, V, 154; E. Zucconi Galli Fonseca, Il calendario del processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 1393 ss.; M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, in Riv. dir. proc., 2012, 166.; D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo. Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81-bis disp. att., in Giusto proc. civ., 2010, 4, 1233 ss.; E. Picozza, Il calendario del processo, in Riv. dir. proc., 2009, 1650 ss.; E. Silvestri, Istruzione e trattazione (dir. proc. civ.), in Enc. Treccani, 2014.

[2] V. E. Silvestri, Istruzione e trattazione (dir. proc. civ.), cit., che definisce il calendario come lo strumento che stabilisce «la scansione temporale delle udienze destinate all’espletamento dell’attività istruttoria».

[3] Cfr. sul tema, tra i tanti, G. Costantino, Il processo civile tra riforme ordinamentali, organizzazione e prassi degli uffici (una questione di metodo), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 77 ss.; D. Dalfino, Case management e ordine delle questioni, in Scritti in onore di Modestino Acone, Napoli, 2010, 847 ss.; M. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc., 2010, 302 s. In generale, v. anche M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione. Un embrione di case management all’italiana?, Bologna, 2018; V. Ansanelli, Contributo allo studio della trattazione nella storia del processo civile italiano, Torino, 2017; B. Ficcarelli, Fase preparatoria del processo civile e case management giudiziale, in Quaderni de “Il giusto processo civile”, 2012; A. Dondi, Introduzione della causa e strategie di difesa. Vol. 1: il modello statunitense, Padova, 1991, cui si rinvia per approfondimenti bibliografici.

[4] Nello specifico, la l. 148/2011 aveva apportato una duplice revisione all’art. 81-bis disp. att. c.p.c.: a) all’originario 1° comma, nell’ambito della predisposizione del calendario del processo, si era aggiunto il richiamo espresso al «rispetto del principio di ragionevole durata del processo», da un canto, e all’udienza di cui all’art. 189, 1° comma, dall’altro; b) si era introdotto il 2° comma, alla cui stregua l’eventuale mancato rispetto dei termini del calendario da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico, poteva assumere rilevanza ai fini disciplinari ed «essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi». Sul tema, v. M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 168.

[5] In senso favorevole, pur nella consapevolezza delle diversità intrinseche tra i due istituti, ancora M. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, cit., 303.

[6] A titolo esemplificativo, si rinvia a quanto indicato nella successiva nota 48.

[7] Sul punto, v. tra i tanti M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 167 ss., spec. 172, nonché M. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, cit., 302 s., le cui considerazioni possono tendenzialmente dirsi ancora attuali, anche alla luce del d.lgs. 149/2022. Cfr. F.P. Luiso, Prime osservazioni sul disegno di legge Mastella, in www.judicium.it, nel senso che la portata del calendario del processo fosse ben più modesta dell’istituto francese da cui traeva ispirazione, essendo circoscritto alla sola fase istruttoria, a differenza del secondo che copriva l’intera fase di trattazione. Per ulteriori approfondimenti sul rapporto tra il sistema processuale italiano e quello francese, D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo. Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81-bis disp. att., cit., 1233 ss., cui si rinvia anche per la puntuale rassegna dei riferimenti bibliografici della dottrina d’oltralpe.

[8] E. Picozza, Il calendario del processo, cit., 1651.

[9] M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 169 ss.

[10] D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo. Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81-bis disp. att., cit., 1250, il quale aggiungeva che, sebbene l’originario art. 81-bis disp. att. contenesse l’inciso «sentite le parti», nella sostanza il giudice era libero di discostarsi dalle indicazioni degli avvocati e «pertanto decide in totale autonomia, fissando autoritativamente i termini e le udienze».

[11] Cfr. M. Fabiani, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. giur., 2009, 1162.

[12] V. E. Picozza, Il calendario del processo, cit., 1653, la quale evidenzia che «una collocazione della disposizione proprio nel tessuto dell’art. 175, o comunque nell’ambito delle norme che disciplinano in via generale i poteri del giudice, sarebbe stata preferibile». Nel senso che l’art. 81-bis disp. att. costituisce diretta estrinsecazione dell’art. 175 c.p.c., «che affida al giudice istruttore la direzione del procedimento, attribuendogli “tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento” di esso», Corte cost. 18 luglio 2013, n. 216, Foro it., Rep. 2013, voce Procedimento civile, 213; Giur. it., 2013, 2587, con nota di Guglielmo.

[13] V. M. Vaccari, Il “nuovo” art. 81 bis disp. att. c.p.c.: un tentativo di quadratura, in www.judicium.it, secondo cui l’iniziale reazione positiva della dottrina era giustificata dalla previsione che il calendario «avrebbe consentito, quanto meno in via tendenziale, di rendere prevedibile l’unica fase del processo che fino a quel momento non era stata tale».

[14] Così C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, cit., 247 s., che anzi segnalava il pericolo che la norma «se male interpretata, rischia addirittura di allungare ulteriormente i tempi e incrementare le attività processuali». Nel senso che si tratti di una programmazione «solo tendenziale» della trattazione della causa, C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile, II, 2017, 71.

[15] In attuazione dell’art. 1, comma 5, lett. i) n. 2 l. 206/2021. In arg., G. Costantino, Il processo di cognizione in primo grado, in Aa.Vv., La riforma della giustizia civile, a cura di Costantino, Bari, 2022, 190 s.

[16] Al contempo, rimane in vigore il resto del preesistente art. 81-bis disp. att., sicché: a) oltre a disciplinare i casi particolari di proroga in caso di gravidanza del difensore, ovvero di adozione nazionale ed internazionale, al comma 1° si ammette in generale la possibilità (anche in via ufficiosa) di ottenere una proroga dei termini originariamente fissati allorché «sussistono gravi motivi sopravvenuti»; b) si prevede che la mancata ottemperanza ai termini di cui al calendario del processo, vuoi del giudice, vuoi del consulente, vuoi del difensore, «può costituire» violazione disciplinare e «può essere considerato» in relazione alle valutazioni di professionalità (e nel precipuo caso del giudice, anche di «nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi»). Tuttavia, per quanto concerne l’apparato sanzionatorio, si rinvia alle considerazioni poste nel prosieguo del presente contributo.

[17] Ossia, ad esempio, nel caso in cui sia necessario fissare più udienze per assumere le prove testimoniali, il calendario consentirà di stabilire ex ante quali testi verranno sentiti nella prima udienza.

[18] Nel dettaglio, l’art. 22 prevedeva l’introduzione di un nuovo comma nell’art. 183 c.p.c., ai sensi del quale, salva l’applicazione dell’art. 187, «il giudice, sentite le parti presenti, provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo, con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati». Cfr. M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 167, spec. nota 2, la quale segnalava che «a tale norma avrebbe dovuto fare da contrappunto l’art. 49 che, modificando l’art. 81 bis delle disp. att. c.p.c., prevedeva che il giudice dovesse tempestivamente comunicare al “capo dell’ufficio le ragioni per le quali la causa non è stata definita nei termini previsti dal calendario del processo”».

[19] Inoltre, può essere utile ricordare che il disegno di legge Mastella a sua volta recepiva una “Proposta di riforma del processo civile”, avanzata da Magistratura democratica, da cui ne derivava una disciplina del calendario ben più fedele all’omologo istituto di conio francese. V. D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo. Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81-bis disp. att., cit., 1248 s., che dunque definiva l’art. 81 bis disp. att. «come il derivato … di un derivato di proposta di riforma che, a ogni passaggio, ha finito col perdere parte della sua coerenza e della sua efficacia».

[20] Tra i tanti, v. B. Capponi, Trattazione della causa, ruolo del giudice, cultura del contraddittorio nel d.d.l. Mastella sulle «Disposizioni per la razionalizzazione e l’accelerazione del processo civile», in www.judicium.it.

[21] Anche se le possibilità di rendere effettive le intenzioni del legislatore sono tutte da dimostrare. Per approfondimenti sulle memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c., v. G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, in La riforma del processo civile. Quaderni speciali Foro it., Padova, 2023, 93.

[22]Contra, M. Marasca, Il calendario del processo: la pratica attuazione, in www.lanuovaproceduracivile.com.

[23] C. Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, 880.

[24] Così, con riferimento alla consulenza tecnica, all’ispezione giudiziale e all’ordine di esibizione, E. Picozza, Il calendario del processo, cit., 1654.

[25] In dottrina, v. C. Cea, Il calendario del processo, cit., 154 ss., il quale, nel sostenere che «il legislatore del 2011 abbia affidato al nuovo testo dell’art. 81-bis la salvifica missione di accelerare i tempi processuali», adduceva a sostegno della tesi la circostanza che nella relazione illustrativa alla normativa in rassegna si facesse riferimento espresso all’obiettivo di «riduzione della spesa pubblica» e, quindi, indirettamente alla legge Pinto.

[26] In questo senso, U. Giacomelli, Il calendario del processo, in Foro it., 2011, I, 1267. Inoltre, a conferma di questa tesi può essere interessante notare che il legislatore, nel trasferire il calendario del processo dall’art. 81-bis disp. att. all’art. 183 c.p.c., ha omesso di riportare il riferimento alla ragionevole durata del processo.

[27] Rispetto al regime previgente, che imponeva di inserire nel provvedimento ex art. 81-bis anche l’udienza di precisazione delle conclusioni, v. Luiso, Diritto processuale civile, II, cit., 48, per il quale «poiché dall’udienza di precisazione delle conclusioni decorrono i termini per la pronuncia della sentenza, è in teoria possibile sapere, fin dalla fase iniziale del processo, quando esso avrà fine».

[28] D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo. Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81-bis disp. att., cit., 1242.

[29] Nonostante parte della dottrina (anche recente), nel tentativo di rinvenire il punto di equilibrio tra la dotazione al giudice di un ampio margine di elasticità ed il coinvolgimento delle «parti nelle decisioni sull’organizzazione del processo» e nella fissazione della scansione temporale delle attività processuali, abbia fatto leva proprio sull’inciso «sentite le parti», che «deve intendersi nel senso di tenere conto delle loro ragionevoli esigenze». Così P. Biavati, Elasticità e semplificazione: alcuni equivoci, in Studi in memoria di Franco Cipriani, 41 s.

[30] Avente ad oggetto l’ordinanza che il giudice adotta a conclusione dell’udienza di comparizione delle parti ex art. 473-bis.21 c.p.c. e mediante la quale, sulla falsariga di quella prevista ai sensi dell’art. 183 c.p.c., «provvede sulle richieste istruttorie e predispone il calendario del processo, fissando entro i successivi novanta giorni l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi».

[31] Sul punto, v. B. Poliseno, Il procedimento in materia di persone, famiglie e minorenni, in La riforma del processo civile, cit., 448, la quale richiama altresì il parere del CSM del 21 settembre 2022 sullo schema del decreto legislativo, ove si segnalava la contraddizione di cui al testo e si coglieva l’occasione per ribadire che il problema del mancato rispetto dei termini spesso non dipende dalla professionalità del giudice, quanto piuttosto dalla difficoltà di organizzazione dell’ufficio (v. però infra, spec. nota 42, rispetto a quanto chiarito da corte cost. 18 luglio 2013, n. 216); D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, in Il processo civile dopo la riforma, a cura di C. Cecchella, Bologna, 2023, 64 s.

[32] Probabilmente nel tentativo di rispondere alla logica dell’urgenza che gli è propria, stante la delicatezza degli interessi in gioco.

[33] Che risulta essere «un momento processuale ad alta concentrazione di attività», come segnala ancora B. Poliseno, Il procedimento in materia di persone, famiglie e minorenni, in La riforma del processo civile, cit. 446.

[34] Si noti che in questa parte la disposizione in rassegna non è stata interessata dalla riforma.

[35] In questo senso, già M. Vaccari, Il “nuovo” art. 81 bis disp. att. c.p.c.: un tentativo di quadratura, cit., 10.

[36] Approvato dal Consiglio nazionale forense in data 31 gennaio 2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 241 del 16 ottobre 2014.

[37] M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 185, riferendosi all’art. 81-bis disp. att., sosteneva che «l’ambiguità della norma (…), accompagnata dalla mancanza di completezza degli illeciti deontologici dei difensori e dall’atipicità dell’illecito disciplinare, porta a ritenere che la fattispecie possa essere eventualmente sussunta in quell’ampio dovere che l’art. 88 c.p.c. – anch’esso espressione di una clausola generale – pone in capo ai difensori».

[38] Ancora M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 184 s.

[39] Ossia il mero avviso all’avvocato, ai sensi dell’art. 22 cod. deont., che «la sua condotta non è stata conforme alle norme deontologiche di legge, con invito ad astenersi dal compiere altre infrazioni».

[40] V., se vuoi, N. Vicino, La consulenza tecnica d’ufficio, in La riforma del processo civile, cit., 151 ss., cui si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici.

[41] M.F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, cit., 187.

[42] Corte cost. 18 luglio 2013, n. 216, Foro it., Rep. 2013, voce Procedimento civile, 213; Giur. it., 2013, 2587, con nota di Guglielmo. Cfr. G. Costantino, Il processo di cognizione in primo grado, cit., 190 s.

[43] Nel dettaglio, secondo il rimettente la norma era irragionevole perché tradiva la ratio legis per cui era stata congegnata: se il calendario del processo assolve allo scopo «di consentire la prevedibilità dei tempi del processo nonché di contenerne la durata entro tempi ragionevoli», l’obbligatorietà di redazione del calendario poteva sortire l’effetto contrario di allungare i tempi processuali, in quanto il giudice, per evitare di incorrere in sanzioni disciplinari, «tenderebbe a stabilire scansioni temporali ben più lunghe di quelle che, fisiologicamente e senza la minaccia di un illecito disciplinare, avrebbe, invece, pianificato».

[44] Precisando, altresì, che il timore del giudice della sanzione disciplinare fosse poco giustificato «in presenza di una norma come quella dettata dal secondo comma della disposizione censurata, che prospetta in termini di mera eventualità l’iniziativa disciplinare come conseguenza del mancato rispetto dei termini fissati dal calendario, rendendo così evidente che l’inosservanza deve essere quanto meno colposa».

[45] La cui normativa di riferimento è il d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, intitolato Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d’ufficio, dei magistrati, a norma dell’art. 1, comma 1 lett. f) della l. 25 luglio 2005, n. 150. In particolare, ai sensi dell’art. 5, le sanzioni disciplinari sono, in ordine di gravità: l’ammonimento, la censura, la perdita dell’anzianità, l’incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo, la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni e, infine, la rimozione.

[46] Per quanto concerne la valutazione di professionalità, posta in essere con provvedimento motivato dal Consiglio superiore della magistratura (poi trasmesso al Ministro della giustizia che adotta il relativo decreto), v’è l’art. 11 d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati). In particolare, dopo aver sancito che essa ha ad oggetto, ai sensi del comma 2, «la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno», per quanto qui interessa la normativa in rassegna specifica che «la capacità (…) è riferita alla conduzione dell’udienza  da  parte  di  chi la dirige o la presiede, all’idoneità a  utilizzare, dirigere e controllare l’apporto dei collaboratori e degli ausiliari»; mentre la diligenza è riferita, tra le altre, «al rispetto dei termini per la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie». Al riguardo, inoltre, giova ricordare che la l. 17 giugno 2022, n. 71, nel delegare al Governo il compito di riformare la normativa sull’ordinamento giudiziario, ha introdotto l’importante novità di prevedere la partecipazione di avvocati e docenti universitari ai lavori del consiglio giudiziario relativi alla predisposizione dei pareri per le valutazioni periodiche di professionalità dei magistrati, assegnando per di più il diritto di voto all’avvocatura. Sul tema, v. C. Valori, La partecipazione degli avvocati alle deliberazioni dei consigli giudiziari in materia di valutazione di professionalità dei magistrati, in Questione giustizia, 2-3, 2022.

[47] E. Silvestri, Istruzione e trattazione (dir. proc. civ.), cit., cui si rimanda per ulteriori richiami bibliografici.

[48] Analogo discorso deve farsi in relazione al «rispetto dei termini», nel senso che l’inciso in parola è da intendersi non già alla stregua delle singole udienze programmate nel calendario, bensì come tempo complessivo necessario per la definizione del processo. In questo senso, v. E. Zucconi Galli Fonseca, Il calendario del processo, cit., 1401 s. Da questo punto di vista, a titolo esemplificativo basti pensare che il calendario del processo sarebbe destinato a non essere rispettato in tutti i casi in cui un testimone, pur se regolarmente intimato, non compaia all’udienza fissata per la sua deposizione. Analogo problema non pare sorgere, invece, nel processo francese con riguardo al calendrier, atteso che «la prova testimoniale è di regola sostituita dalle attestazioni, che sono dei documenti datati e sottoscritti dal loro autore, contenenti la descrizione dei fatti, ai quali l’autore ha assistito o che ha personalmente constatato». Così, D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, cit., 64 s.

[49] In questa prospettiva, le considerazioni di cui al testo vanno inoltre armonizzate con la recente modifica dell’art. 37, comma 1 lett. b) d.l. 98/2011, da parte della già citata l. 17 giugno 2022, n. 71, che impone di tenere conto, nella determinazione degli obiettivi di rendimento dell’ufficio all’interno del programma di gestione, dei “limiti dei carichi esigibili di lavoro individuati dai competenti organi di autogoverno”.

[50] Vedasi, ad esempio, la predisposizione di bozze di provvedimenti o la ricerca delle pronunce giurisprudenziali.

[51] Anche ipotizzando l’impiego coordinato degli addetti nell’ambito delle più recenti direttive metodologiche di smaltimento dell’arretrato. A tal proposito, potrebbe essere utile considerare la distinzione tra la gestione in parallelo e la gestione in sequenza delle controversie, su cui si è espresso anche il Consiglio Superiore della Magistratura, Organizzare il processo civile, in www.csm.it. In generale, sul tema, v. altresì G. Rana, La governance della Giustizia Civile. Processo, organizzazione, diritti, Roma, 2014. Con precipuo riguardo alla gestione sequenziale delle controversie di lavoro, A. Ichino, D. Coviello, N. Persico, Giudici in affanno, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2012.