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Nel codice la vita. Scienze omiche e giustizia: una bio-costituzione della diagnosi precoce. Il caso Puglia.
Di Fabiano Amati -
Sommario: 1. In principio, la domanda. – 2. Una Costituzione a doppia elica. – 3. Il tempo perso come fattore di diseguaglianza: il monito della Corte costituzionale. – 4. Il caso SMA: obbligare per emancipare. – 5. Esoma: diagnosi profonda, giustizia genetica. – 6. Il Progetto Genoma Puglia: la genomica come diritto trasversale. – 7. SLA: precisione diagnostica e doveri positivi dello Stato. – 8. Lo screening metabolico super esteso: la diagnosi come tempo guadagnato. – 9. I dati come prova. La realtà come principio di legittimazione. – 10. Contro il disincanto della bio-legge. – 11. Conclusione: la diagnosi come fondamento di democrazia.
1. In principio, la domanda
La giustizia come prevenzione. La diagnosi come diritto.
Il genoma come Costituzione anticipata
Cosa accade a un ordinamento che rinuncia a conoscere per tempo la sofferenza? Cosa diventa il diritto, quando accetta silente che la diagnosi arrivi tardi, e con essa anche il rimorso?
La legge, quando rinuncia alla responsabilità del futuro e della previsione, non abdicando in «favore del diritto del non-ancora-esistito»[1], smette di essere scudo, si fa avvocato del ritardo e perde la sua funzione più alta: prevenire l’ingiustizia prima ancora che accada.
Ogni sistema giuridico ha il suo rimosso. Può essere un vuoto normativo oppure una presenza reticente, mai compiuta. Ma vi è anche una cecità più insidiosa: quella che si finge neutralità, incapacità di vedere ciò che è già evidente. Nel nostro tempo, ciò che è evidente e ineludibile, appartiene anche alle scienze omiche, al luogo in cui si gioca la nuova frontiera dell’uguaglianza. Il nome e il peso di questa cecità? Diseguaglianza biologica evitabile e colpa.
Abbiamo avuto il destino di vivere nell’epoca in cui il corpo ha smesso di essere una fatalità opaca e ha iniziato a parlarci in anticipo. Genomi, esomi, profili metabolici, mappe molecolari: tutto questo permette di sapere prima, di diagnosticare prima, di trattare prima, di salvare prima: per evitare di scoprire troppo tardi.
Per questo la questione non è solo tecnica o clinica, ma anche giuridica. E come ogni questione giuridica, è anche politica e morale.
L’ingiustizia non nasce solo dalla disparità delle cure, ma dalla disparità dell’accesso alla diagnosi, da mancata “fair equality of opportunity”[2]. Non si tratta più di chiedere se tutti possono curarsi ma di capire se tutti possono sapere di doversi curare in tempo utile, se possono sapere di essere a rischio e se possono agire prima della catastrofe. Dove il diritto tace è la patologia a crescere; dove lo Stato ritarda è la disabilità si consolida; dove la diagnosi è un privilegio è l’uguaglianza a tramutarsi in una chimera.
Il corpo della Repubblica, intessuto di principi supremi e articolazioni amministrative, non può restare impermeabile al corpo biologico dei cittadini, perché la biologia oggi parla prima del sintomo e il diritto deve imparare ad ascoltare prima della patologia. E se non lo fa, si rende complice.
Nell’era dei diritti fondamentali di terza e quarta generazione[3], l’informazione genetica non è più un’opportunità, ma una condizione di cittadinanza sostanziale, perché è nel genoma che si nasconde — e si rivela — il fondamento della libertà concreta e con essa la verità dell’uguaglianza.
Chi ha il diritto di sapere? Chi ha il potere di non sapere? Chi ha il dovere di far sapere?[4] E, soprattutto, chi può conoscere per tempo? Nel momento in cui una malattia può essere diagnosticata nella fase presintomatica — e solo allora può essere efficacemente trattata — l’intero paradigma costituzionale si capovolge. Curare non basta più e occorre prevedere per guarire, sapere per tempo per non essere esclusi. Occorre che la conoscenza non sia un lusso.
Se l’accesso alla diagnosi precoce dipende dal luogo di nascita, dal ceto di appartenenza, dall’informazione disponibile, non siamo in uno stato di disfunzione sanitaria, ma dentro una lesione costituzionale.
Questo saggio non è una celebrazione della tecnica, né una sequenza di norme. È una riflessione sul diritto e sul tempo, sul diritto al tempo e sui tempi del diritto. Sull’urgenza di riconoscere che il diritto alla diagnosi precoce è oggi il nuovo nome dell’eguaglianza sostanziale. «Si pone quindi specificamente il problema del tempo che, di volta in volta, è il presente, e di quello che era stato il suo futuro, che nel frattempo è diventato passato»[5].
Per questo si tratterà delle leggi pugliesi — sul test SMA, sul sequenziamento dell’esoma, sullo screening super esteso, sul progetto Genoma — non come esercizi locali di buona volontà, ma come atti politici fondativi di un nuovo rapporto tra Stato e cittadino. Fondativi di una nuova grammatica del diritto: la grammatica della tempestività giusta.
Con l’avvento e la strutturazione delle scienze omiche anche i diritti non sono più scritti solo nei codici, ma incisi nel DNA. E se lo Stato, attraverso i suoi uomini, ha alla portata «la conoscenza di ciò che sta ad ogni uomo fare e quindi anche asapere»[6] e se non agisce, commette un’omissione di soccorso costituzionale.
Una volta, il profeta Amos gridò: «Piuttosto come le acque scorra il diritto, e la giustizia come un torrente perenne»[7] (Am 5,24). Ma la giustizia non scorre da sola, ha bisogno di sentieri aperti, di mani che la indirizzano, di occhi che la riconoscono in anticipo.
La giustizia viene prima del diritto perché è la sua origine. E se oggi quel torrente vuole davvero scorrere, deve passare per i laboratori di genetica, per le mappe genomiche e per le leggi che anticipano la malattia e la sofferenza.
Il futuro, lo sappiamo, non aspetta chi esita, e la democrazia, se vuole restare tale, deve diventare predittiva.
2.- Una Costituzione a doppia elica
Genetica e diritti fondamentali: dal corpo biologico al corpo giuridico.
La frontiera della medicina predittiva come arena costituzionale
Nel tempo della biologia predittiva, non basta più parlare di diritti fondamentali come se la persona umana fosse una scatola nera, indivisibile, astratta, intangibile per definizione. La verità è che siamo intangibili solo se siamo riconosciuti e se qualcuno legge, protegge e cura ciò che di più vulnerabile abbiamo: la nostra predisposizione al dolore.
Per questo, una delle domande originarie che muove il diritto — che cos’è la dignità? — oggi si trasforma, si piega verso il corpo, interroga la materia ed esplora le sequenze. La domanda vera diventa, allora, come si tutela una persona prima che il suo male si manifesti? Sempre nello stesso modo, guardando il suo volto e accorgendosi del suo esistere[8], che oggi è anche genetica e costituzione biologica.
Il genoma — questo libro scritto in quattro lettere[9] — è il nostro preambolo biologico. Fuori da profili escatologici misteriosi e colmi di una speranza da non confondere con illusorie consolazioni, dice il tutto di noi: dice chi siamo, da dove veniamo, cosa potremmo diventare e soprattutto da che cosa possiamo essere salvati.
In questa luce, la doppia elica del DNA non è solo la struttura di una biomolecola ma anche una figura giuridica. Due filamenti che si avvolgono in una spirale ascendente, uniti da ponti che traducono il codice della vita in forma, memoria e previsione.
E così anche la Costituzione, un doppio principio che tiene insieme libertà e uguaglianza, diritto e scienza, prevenzione e cura, uniti da ponti normativi che devono saper leggere l’informazione biologica e tradurla in tutela concreta.
È qui che nasce questo saggio e forse una provocazione: abbiamo bisogno di una Costituzione a doppia elica, di una Carta che non sia solo testo scritto nei codici, ma anche testo letto nei corpi e di una forma giuridica che si pieghi alla forma molecolare della persona. Un principio regolativo che riconosca l’identità biologica non come minaccia, ma come condizione di cittadinanza.
La Regione Puglia ha approvato una serie di leggi con questo valore costituzionale. Se ne parlerà diffusamente in seguito.
Qui valga solo riconoscere ciò che in questo senso è stato detto dalla Corte costituzionale con la sentenza 242/2022, decidendo un ricorso in via diretta del Governo nazionale proprio su una delle leggi pugliesi. Rigettando l’impugnativa, il Giudice delle leggi ha colto uno snodo epocale. Una democrazia che ignora la genetica è una democrazia che rinuncia a conoscere l’origine di una parte delle disuguaglianze se non di tutte. Una sanità che cura ma non previene è un sistema che rincorre, ma non costruisce. Un diritto che ignora la doppia elica rischia di spezzarsi sotto il peso delle sue omissioni.
Ecco perché la doppia elica è oggi la nuova architettura costituzionale: un sistema che si tiene perché ogni base ha il suo complemento, ogni informazione ha il suo riscontro, ogni diritto ha la sua applicazione concreta.
Come nel DNA, anche nella democrazia non si può stare da soli: serve una simmetria, un codice condiviso, una spirale che sale e non si chiude mai. È questo il compito del legislatore: salire la scala della doppia elica con l’umiltà del biologo e il coraggio del costituente.
3.- Il tempo perso come fattore di diseguaglianza: il monito della Corte costituzionale
Obsolescenza, LEA e doveri del legislatore.
Corte cost. n. 242/2022 come fondamento del nuovo diritto alla diagnosi
C’è un tipo di ingiustizia che non nasce dalla discriminazione palese, né dal conflitto. È un’ingiustizia più sottile e forse più feroce: quella prodotta dal tempo che passa senza essere usato, dal sapere che non diventa azione, dalla conoscenza che resta fuori dalla norma. È l’ingiustizia dell’inerzia, di un ordinamento che non manca della scienza, ma della decisione, lasciando degradare la dignità nel differimento. Un’ingiustizia che — come la morte lenta — non urla, ma consuma, rischiando di diventare indifferente al dolore.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 242 del 2022, volle interrompere questa inerzia, spezzando il silenzio. Lo fece con parole sobrie ma irreversibili, magari ancora inapplicate ma irrevocabili.
Chiamata a giudicare la legittimità della legge regionale pugliese sul sequenziamento dell’esoma[10], impugnata dallo Stato per presunta invasione della competenza sui livelli essenziali di assistenza (LEA), la Corte — pur rilevando un vizio formale – riconobbe il fondamento costituzionale della norma e, con un linguaggio tecnico e civile, ammonì il legislatore nazionale: «Il tempo trascorso, da cui deriva la sicura obsolescenza delle prestazioni previste, non trova infatti alcuna giustificazione in relazione a un tema essenziale per la garanzia del diritto alla salute in condizioni di eguaglianza su tutto il territorio nazionale, senza discriminazione alcuna tra regioni».
Questo monito non è un inciso. È una diagnosi giuridica e insieme una sentenza morale. Il tempo è diventato ancor più fattore di diseguaglianza, e ciò che era nato per garantire universalità — i LEA — si è trasformato, per la procedura farraginosa del loro riconoscimento, in un criterio di esclusione.
Qui la Corte opera una “rivoluzione” del diritto sanitario: non è l’innovazione che deve aspettare l’amministrazione, è l’amministrazione che ha il dovere di rincorrere l’innovazione provata, ogni volta che essa sia necessaria alla tutela della salute e della dignità.
In quella frase, infatti, il diritto prende posizione sul tempo come forma della giustizia; non più semplice cornice storica, ma categoria politica della responsabilità. Come fece riflettere Reinhard Koselleck, ma non solo lui, il tempo è anche una struttura di potere[11]: e quando la norma resta immobile è la biografia dei cittadini a pagare il prezzo della stasi. O come ricorda Hannah Arendt, la responsabilità si misura nella prontezza ad agire, alla condizione di sapere. Il sapere privo dell’azione, come fine più alto, non è neutrale: è colpevole[12].
Ma non si chiede, qui, che il diritto insegua la scienza come ideologia o moda. La Corte non ha ceduto al tecnicismo, né alla retorica dell’innovazione. Non tutto ciò che è possibile è dovuto, e non tutto ciò che è nuovo è giusto, ma tutto ciò che è necessario è ingiusto se ignorato.
Il diritto deve adeguarsi non alla velocità della scienza in quanto tale, ma alla velocità della prova scientifica consolidata, validata e rivolta a finalità costituzionalmente protette: la diagnosi tempestiva, la terapia efficace, la tutela della vita, l’eguaglianza sostanziale. Quando questi elementi sono presenti, ogni ritardo legislativo è omissione di giustizia.
Il corpo, che è da sempre il primo destinatario della legge — e insieme la sua ultima frontiera — non può essere lasciato nell’ombra del non-detto normativo, mentre la biologia già parla e chiede di essere ascoltata. Non c’è neutralità nel rinvio. Ogni giorno perso è una diseguaglianza prodotta, una libertà sottratta, una terapia non attuata. Il diritto, per essere vero, deve stare nel tempo giusto e non produrre differenze immeritate, in violazione de «la giusta quota di beni primari»[13].
La sentenza 242/2022 riguarda l’esoma ma non soltanto l’esoma. Riguarda tutto ciò che lo Stato deve sapere prima, per agire prima e proteggere meglio: gli screening genetici, molecolari, metabolici e il Progetto Genoma, riguardano il concetto di cittadinanza rinforzato dal “diritto di conoscere sé stessi” prima che la malattia si manifesti e sul “dovere di farsi conoscere” per ottener aiuto, guarire o cambiare in meglio la storia naturale della malattia e non pesare, infine, sullo Stato, le sue casse e sugli altri.
E se oggi il legislatore nazionale dovesse ancora continuare a ignorare questo monito e il suo “dovere” di garantire il rafforzamento della cittadinanza, non sarebbe solo una colpa politica, ma una violazione della legalità costituzionale. Perché — lo ha detto implicitamente la Corte — ciò che è essenziale per la vita, anche se scientificamente nuovo, è giuridicamente già dovuto.
E il diritto, se vuole restare tale, deve camminare alla velocità della prova scientifica. La vita irripetibile e la sua integrità irrimediabile non attendono.
4.- Il caso SMA: obbligare per emancipare
Obbligatorietà e proporzionalità
nella tutela della vita vulnerabile
La Regione Puglia ha introdotto con la legge 4/2021 l’obbligatorietà dello screening genetico neonatale per l’Atrofia Muscolare Spinale (SMA). Per la prima volta in Italia, una norma regionale ha reso strutturale una prassi diagnostica che lo Stato non aveva ancora universalizzato, anticipando l’aggiornamento amministrativo dei LEA con un atto legislativo diretto, concreto, proporzionato.
La peculiarità di questa obbligatorietà risiede però nella sua natura non coercitiva: non impone alcun trattamento sanitario ai neonati, non limita il diritto delle famiglie a rifiutare il test, ma obbliga l’ordinamento a offrire le strutture sanitarie per procedere e il sistema pubblico a non rinviare.
È un obbligo che lo Stato — o in questo caso, la Regione — impone a sé stesso, per non venire meno alla promessa costituzionale di eguaglianza nella tutela della salute. Una legge che non obbliga il cittadino a subire, ma la Repubblica a farsi carico. In questo senso, l’obbligo pugliese è la forma giuridica di un impegno morale istituzionale, che solo il rifiuto esplicito del singolo può sciogliere. È un’impostazione diversa da quella dei trattamenti sanitari obbligatori, come le vaccinazioni, in cui non è tollerata la rinuncia del singolo perché comporta (la rinuncia) un danno collettivo, in ossequio agli articoli 2 (solidarietà sociale) e 31 (salute come diritto individuale e interesse collettivo) della Costituzione[14]. Qui, nel caso della SMA, è l’omissione dello Stato a generare disuguaglianza.
La legge nacque a seguito di un caso clinico emblematico, produttivo di. effetto rivelatore e insieme propulsivo. Una bambina pugliese, Melissa, ricevette la diagnosi di SMA dopo la comparsa della sintomatologia. Al momento della diagnosi, il trattamento più innovativo, reclamato dai genitori della bambina, era disponibile in Italia a carico del servizio sanitario, ma non più accessibile per la paziente, che aveva superato i limiti di età (sei mesi)[15] stabiliti dall’ente di regolazione. La diagnosi era arrivata purtroppo in ritardo rispetto al tempo utile.
Quel caso dimostrava che non basta autorizzare una cura, né garantirne la copertura economica: serviva un obbligo pubblico alla diagnosi quanto più anticipata e possibilmente nella fase asintomatica della malattia, così da rendere maggiormente efficaci tutte le terapie disponibili. Non era una questione di tecnologia ma di tempestività, anche considerata la facilità d’esecuzione del test (un piccolo spot ematico prelevato dal tallone e riversato su uno speciale cartoncino e inviato a un Laboratorio di genetica per l’esame).
In questo contesto la legge pugliese ha introdotto un modello normativo, costruito non sull’imposizione verso il cittadino ma sull’impegno dell’istituzione verso chi nasce. La finalità non è solo sanitaria ma costituzionale: rendere effettivo il principio di eguaglianza nel momento più critico, quello in cui la malattia può essere evitata, o almeno modificata nella sua storia naturale.
La ratio dell’intervento è chiara: la SMA è una malattia neuromuscolare rara e grave, spesso letale nei primi anni di vita, ma trattabile con terapie ad altissimo impatto, maggiormente efficaci o addirittura risolutive se somministrate prima dell’insorgenza dei sintomi, quindi prima dell’osservazione clinica tradizionale. Solo lo screening genetico neonatale può garantire il tempo utile. Per questo, la mancanza di un obbligo operativo verso le strutture pubbliche equivale a una diseguaglianza materiale.
La Regione Puglia anticipa l’universalizzazione della prestazione, stabilendo un obbligo di offerta che le famiglie possono rifiutare ma che le istituzioni non possono omettere. È qui che la norma si configura come archetipo costituzionale della responsabilità verso la vita vulnerabile, una responsabilità proporzionata al grado di conoscenza scientifica e terapeutica disponibile.
Sul piano giuridico, la legge trova fondamento negli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, per cui i ritardi organizzativi e amministrativi che pregiudicano l’accesso ai diritti sono essi stessi lesione del diritto. In questo senso, la legge pugliese agisce come meccanismo preventivo di eguaglianza, riducendo il differenziale temporale tra chi accede alla diagnosi precoce e chi ne resta escluso.
L’obbligo ha come fonte la consapevolezza del danno possibile, facendosi offerta anticipata, struttura di garanzia, misura proporzionata al sapere disponibile. Non è la libertà che viene compressa, ma l’inerzia che viene vincolata.
La legge pugliese sulla SMA rappresenta un’accordatura della tecnologia nuova all’uguaglianza. È una legge sulla diagnosi, ma anche una legge sul tempo, sulla responsabilità, sull’effettività del diritto; una legge che obbliga per emancipare, e che emancipa perché obbliga chi detiene il potere pubblico a non attendere oltre.
Nel tempo successivo all’approvazione della legge, i dati raccolti sul campo hanno confermato in modo inequivocabile l’efficacia clinica e normativa del programma. Alla data attuale il programma pugliese di screening genetico neonatale obbligatorio per la SMA ha consentito di diagnosticare 11 casi clinici pediatrici di SMA e di attivare tempestivamente le terapie previste[16].
5.- Esoma: diagnosi profonda, giustizia genetica
Il sequenziamento dell’esoma tra innovazione e giurisprudenza.
Il ruolo delle Regioni nell’attivazione precoce della conoscenza
In nessun altro ambito come in quello del sequenziamento dell’esoma[17] si manifesta con altrettanta forza la tensione tra il tempo della scienza e quello della legge. La differenza è cruciale: mentre la scienza avanza per accumulo e accelerazione, la legge spesso ristagna per inerzia o prudenza istituzionale. Eppure, proprio sul terreno dell’esoma la giurisprudenza costituzionale ha lanciato uno dei suoi moniti più incisivi, che non è solo ammonizione ma anche invocazione, non solo rilievo critico ma stimolo all’azione.
Di questa sentenza – la n. 242 del 2022 – abbiamo già accennato nel capitolo 3, in riferimento al principio di eguaglianza sostanziale e al dovere dello Stato di aggiornare i livelli essenziali di assistenza (LEA) in modo coerente con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche.
La legge regionale pugliese n. 28/2021, poi modificata dalla legge n. 36/2021, istituiva un servizio di analisi genomica avanzata con sequenziamento della regione codificante individuale (ESOMA), prevedendo l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa e una presa in carico tempestiva dei pazienti. Il Governo impugnava la norma per presunta violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. m) Cost., poiché argomento riservato alla competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei LEA, e dell’art. 117, terzo comma, in materia di tutela della salute. Si contestava inoltre la violazione dell’art. 81 Cost., per potenziale incremento della spesa sanitaria da parte di una Regione soggetta a piano di rientro.
La Corte costituzionale ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione agli articoli originari della L.R. 28/2021, poiché sostituiti integralmente dalla L.R. 36/2021 e mai applicati nel medio tempore. Le modifiche introdotte recepivano, secondo la Corte, le osservazioni statali, allineandosi al quadro normativo nazionale (in particolare al d.m. 279/2001), introducendo una disciplina rispettosa del principio di leale collaborazione.
Ma la parte più rilevante della sentenza è nella pronuncia sulla non fondatezza delle questioni ancora pendenti. La Corte ha riconosciuto che la prestazione oggetto di disciplina regionale è già potenzialmente ricompresa nei LEA, sebbene in modo non espresso o sistematico. In tal senso, la previsione regionale non costituisce una violazione delle competenze statali, bensì un’espressione di quel potere regionale di organizzazione e anticipazione virtuosa che, in assenza di esercizio statale, diviene supplenza necessaria.
Nel merito, la Corte ha chiarito che il sequenziamento dell’esoma, erogato in presenza di sospetto diagnostico formulato da specialisti del SSN operanti nei presidi della rete nazionale per le malattie rare, rientra tra le prestazioni erogabili in esenzione ai sensi del d.m. 279/2001. Inoltre, l’estensione dell’indagine ai familiari, la consulenza genetica successiva al test, e la presa in carico da parte della rete malattie rare (ReMaR) sono configurate dalla norma regionale come strumenti di coerenza, non di eccedenza.
Nel richiamare lo ius superveniens come correttivo efficace dei vizi originari, la Corte ha anche precisato che il rinvio operato dalla norma regionale alle «disposizioni vigenti» in materia di erogabilità delle prestazioni deve intendersi come rinvio mobile, dunque subordinato all’evoluzione della normativa statale. Questo consente alle Regioni di attivarsi senza compromettere l’unità dell’ordinamento.
Infine, il punto più alto della sentenza, già richiamato, è rappresentato dal sollecito al legislatore statale: «Il tempo trascorso, da cui deriva la sicura obsolescenza delle prestazioni previste, non trova infatti alcuna giustificazione in relazione a un tema essenziale per la garanzia del diritto alla salute in condizioni di eguaglianza su tutto il territorio nazionale, senza discriminazione alcuna tra regioni».
Questo rilievo è più di un richiamo tecnico: è un ammonimento costituzionale, un appello a superare l’inerzia amministrativa attraverso l’aggiornamento effettivo dei LEA e la piena valorizzazione della diagnostica molecolare come diritto.
L’esoma – che rappresenta l’1,5% del genoma e consente d’identificare l’85% delle varianti rilevanti – è oggi lo strumento più potente per una diagnosi clinica tempestiva e per una medicina personalizzata. Non è soltanto uno strumento tecnico, ma un principio regolativo della salute pubblica. Garantirne l’accesso in modo sistematico significa realizzare quella che potremmo definire una giustizia genomica.
Non si tratta più solo di riconoscere un diritto individuale alla diagnosi, ma di affermare una responsabilità collettiva nella costruzione di un ordinamento capace di leggere il genoma non come dato neutro, ma come mappa anticipata dei bisogni. Una democrazia degna di questo nome non può ignorare il codice dell’eguaglianza scritto nella biologia: là dove la scienza può prevenire, il diritto deve garantire.
In definitiva, il sequenziamento dell’esoma rappresenta un paradigma di democrazia molecolare: la possibilità per ciascuno di accedere alla propria mappa biologica come si accede a una carta d’identità. Un diritto che non può essere affidato al caso o al codice di avviamento postale e che interpella lo Stato a riconoscere il genoma non come lusso ma come garanzia.
6.- Il programma Genoma Puglia: la genomica come diritto trasversale
Dalla sperimentazione alla piattaforma strutturale.
Una rete di conoscenza per malattie rare e complesse, oltre la dimensione pediatrica
Il Programma Genoma Puglia è stato istituito con la legge regionale n. 3 del 30 marzo 2023. Allo stato si presenta come l’unico programma pubblico, permanente, interamente finanziato da una Regione, capace d’istituire un diritto stabile, generalizzato, accessibile a ogni nuovo nato, al di fuori di ogni barriera sociale, economica o geografica, nel rispetto del criterio etico principale, ossia quello di poter trattare la condizione di malattia scoperta attraverso lo screening[18].
Sul piano tecnico si tratta di un test effettuato dal prelievo di uno spot di sangue dal tallone di ogni neonato, per analizzare un pannello di 407 geni, capaci di consentire l’individuazione di circa 480 condizioni genetiche rare o complesse, prevalentemente a insorgenza pediatrica. Non si tratta di una limitazione tecnica, ma di un vincolo di coscienza, che afferma un principio cardine del biodiritto: non tutto ciò che è conoscibile deve necessariamente essere conosciuto.
La selezione dei geni si è basata basa su tre criteri rigorosi: presenza di terapie disponibili o in sperimentazione avanzata; prospettive concrete di miglioramento dell’assistenza o della qualità di vita attraverso la diagnosi precoce; rilevanza clinica riproduttiva nei casi di trasmissione ereditaria, con possibilità di offrire consulenza genetica preconcezionale ai genitori.
Lo screening si limita solo alla ricerca di varianti a chiaro impatto patogenetico o potenzialmente patogenetico, la cui identificazione ha un’elevata probabilità di essere correlata allo sviluppo di una patologia nei primi anni di vita.
Questo approccio genera un equilibrio prezioso tra la potenza della scienza e il limite morale della scelta.
Sotto il profilo giuridico, il programma pugliese costituisce un precedente per i suoi effetti pratici e per la ridefinizione, come già detto nell’introduzione, in chiave
7.- SLA: precisione diagnostica e doveri positivi dello Stato
La legge regionale come atto di giustizia clinica.
Registro pubblico, test genetici e universalismo esigente
Nel campo delle patologie neurodegenerative, poche condizioni hanno lo stesso carico di drammaticità clinica e simbolica della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Malattia ad esito invariabilmente fatale, con insorgenza spesso insidiosa e rapida progressione, la SLA interroga la medicina ma anche il diritto, perché si colloca al confine tra ciò che può essere fatto e ciò che deve essere garantito. Ed è proprio su questo crinale che si muove la legge pugliese n. 18 del 30 maggio 2024, titolata emblematicamente: “Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Misure obbligatorie per la precisazione della diagnosi attraverso test genetici e istituzione del registro delle malattie neurodegenerative”.
La legge si fonda su un presupposto tanto elementare quanto inedito nella sua formalizzazione normativa: per conoscere la SLA, oggi, non basta la clinica, ma occorre una diagnosi molecolare che identifichi la forma genetica della malattia, laddove presente. Questa distinzione, apparentemente tecnica, ha in realtà ricadute cruciali sia per la presa in carico del paziente sia per l’orientamento della ricerca clinica e delle politiche sanitarie.
Nella SLA, infatti, accanto alla forma classica a insorgenza sporadica, esistono forme genetiche ereditarie, legate a mutazioni in geni come SOD1, C9orf72, TARDBP, FUS e altri. L’identificazione di queste forme non modifica solo la nomenclatura della malattia, ma apre spazi concreti di accesso a sperimentazioni terapeutiche, protocolli personalizzati, percorsi familiari di sorveglianza genetica e, in prospettiva, a trattamenti mirati di medicina molecolare. In questo senso, la verifica genetica obbligatoria non è un atto tecnico, ma un diritto civile del paziente: il diritto a sapere di quale SLA è affetto, con quale traiettoria possibile, con quali strumenti potenzialmente attivabili.
La legge pugliese, inoltre, istituisce un registro pubblico regionale delle malattie neurodegenerative, con un duplice scopo: da un lato, garantire la tracciabilità, l’uniformità e la qualità dei percorsi assistenziali, superando le disuguaglianze territoriali e le incertezze nella gestione clinica; dall’altro, creare una base informativa condivisa per la programmazione sanitaria, il sostegno alla ricerca e la promozione di politiche pubbliche fondate sull’evidenza. Il registro, alimentato in tempo reale dai centri clinici e laboratori di genetica, rappresenta dunque una nuova infrastruttura della conoscenza sanitaria, utile non solo per contare i pazienti, ma per riconoscerli, seguirli, accompagnarli con dignità e coerenza.
L’impianto normativo della legge esprime il principio di uno Stato (in questo caso, la Regione) con il dovere positivo di garantire non solo l’accesso alla cura, ma la verità della diagnosi. Una verità che, nell’epoca della medicina di precisione, è possibile solo se supportata da strumenti genetici adeguati. La decisione di rendere obbligatori i test genetici per tutti i casi sospetti o diagnosticati di SLA rompe un paradigma di passività amministrativa e afferma che l’appropriatezza clinica non può essere demandata alla variabilità delle prassi, ma deve diventare diritto normativamente garantito.
Il test è obbligatorio, ma non coercitivo: è dovuto, non imposto. È parte di un percorso assistenziale che si apre alla trasparenza, alla consapevolezza, alla responsabilità condivisa. Il cittadino non è oggetto di una procedura, ma soggetto di un sapere che lo riguarda nella sua identità più profonda.
In definitiva, la legge aiuta la medicina a fare ciò che dice attraverso il diritto, così da assicurare al malato un sapere certo e una giusta presa in carico.
8.- Lo screening metabolico super esteso: la diagnosi come tempo guadagnato
Non genetico ma predittivo. Il metabolismo come voce precoce
della malattia e come fondamento giuridico dell’intervento tempestivo
Lo screening neonatale super esteso è stato introdotto con la legge regionale n. 17 del 12 agosto 2022, integrata successivamente dalla legge n. 15 del 15 giugno 2023.
Pur non fondandosi sul sequenziamento del DNA, è uno strumento predittivo potentissimo, perché ascolta il metabolismo prima che il corpo si ammali. Rileva, nelle prime 48–72 ore di vita, le anomalie biochimiche che indicano la presenza (o il rischio imminente) di malattie gravi, rare e progressive, spesso silenziose nei primi mesi ma devastanti nella loro manifestazione clinica., attraverso l’analisi di un semplice spot ematico (DBS, Dried Blood Spot).
Il pannello comprende oggi 60 patologie. Si tratta di malattie metaboliche ereditarie, immunodeficienze congenite severe, patologie da accumulo lisosomiale, distrofie muscolari, endocrinopatie, difetti enzimatici complessi. Un elenco articolato, costantemente aggiornabile, che include condizioni gravissime come la leucodistrofia metacromatica (MLD), la malattia di Pompe, la mucopolisaccaridosi di tipo I, la malattia di Fabry, la distrofia muscolare di Duchenne, l’X-ALD e la sindrome adrenogenitale.
Il criterio di selezione di queste malattie non è esaustivo ma eticamente fondato: si include, come al solito, solo ciò che può essere curato, trattato o almeno stabilizzato se diagnosticato precocemente. È anche in questo caso il diritto trova la sua misura: diagnosticare ha senso solo se si può intervenire, se l’intervento è efficace, se l’anticipazione migliora la qualità e l’aspettativa di vita, altrimenti la conoscenza si fa angoscia. Per questo la legge pugliese non corre dietro all’onniscienza, ma sceglie con rigore bioetico ciò che è giusto sapere in tempo utile.
Lo screening non si limita all’identificazione, ma include anche la presa in carico multidisciplinare immediata, presso unità operative specializzate e centri della rete nazionale malattie rare. Ogni neonato positivo viene avviato a test di conferma biochimica e molecolare, riceve una diagnosi definitiva entro pochi giorni, e — soprattutto — non viene mai lasciato solo: il percorso assistenziale è immediato, continuo, integrato.
L’attività, pur fondata su elementi tecnici complessi, esprime una visione profonda di uguaglianza costituzionale. Il neonato non è un soggetto astratto, ma un cittadino che nasce con un corpo da difendere e un tempo da proteggere. E il tempo — quando si parla di malattie metaboliche — è tutto, perché itardare la diagnosi significa accettare il danno, legittimare l’invalidità, perpetuare una disuguaglianza non necessaria.
9.- I dati come prova. La realtà come principio di legittimazione
Dati clinici, casi risolti, vite salvate:
perché l’esperienza pugliese fonda un principio giuridico e non solo sanitario
In diritto, ciò che legittima una norma non è solo il suo fondamento teorico, ma la sua capacità di trasformare la realtà. Quando una legge produce giustizia tangibile, diagnosi precoci, vite salvate o migliorate, allora quella legge non è più solo legittima: è necessaria. È questo il passaggio che segna l’esperienza pugliese nel campo delle scienze omiche, dello screening neonatale, della diagnostica avanzata: un cammino che dalla norma è passato al dato, e dal dato torna ora alla norma, come fondamento di un principio giuridico nuovo, radicato nell’efficacia concreta.
Non si tratta più, ormai, di difendere un’idea in astratto. Si tratta di mostrare ciò che è già accaduto.
I numeri parlano con la forza della realtà.
Nello screening genetico per la SMA, attivo dal dicembre 2001 e che a fine marzo 2025 ha interessato 88.587 neonati (1 solo rifiuto), i primi 11 casi diagnosticati in età neonatale sono già stati trattati con successo, con esiti di crescita coerenti con l’età e soprattutto senza segni di malattia[19].
Nel programma Genoma Puglia, su 4.421 neonati sequenziati (l’80% delle adesioni rispetta alle proposte di partecipazione), sono stati individuati 171 casi di malattie genetiche e 560 portatori sani: vite orientate da subito verso un destino diverso, più consapevole e spesso più curabile[20].
Nello screening neonatale sono stati esaminati 244.014 neonati (dal 1.1.2017 al 31.3.2025), compresi quelli esaminati, dall’1.1.2024, per lo screening super esteso. Nell’ambito di detto esame sono state diagnosticate 629 condizioni di malattie, permettendo l’identificazione precoce di numerosi casi altrimenti destinati a esiti gravi, disabilità permanenti o decessi evitabili[21].
Ognuno di questi dati è una prova materiale di legittimità, non ideologica, non astratta e non proclamata. È diritto vivente, incarnato nei corpi e nei percorsi clinici, fondando una pretesa non più solo sanitaria ma giuridico-costituzionale: la pretesa che ciò che funziona, ciò che salva, ciò che previene, divenga norma per tutti, e non eccezione regionale.
Da questo punto di vista, il diritto non può più restare ancorato al criterio statico della sostenibilità astratta o della compatibilità burocratica, riconoscendo nella realtà clinica un nuovo parametro di legittimità. La realtà, quando è documentata e ripetibile, diventa principio normativo.
In questa prospettiva, i numeri e gli esiti non chiedono consenso ma riconoscimento, affinché le metodiche di diagnostica preventiva divengano regole generali e quindi obbligo istituzionale.
10.- Contro il disincanto della biologge
Il diritto alla diagnosi non è tecnocrazia.
È una forma moderna di eguaglianza sostanziale
Il diritto alla diagnosi precoce non è un privilegio tecnico né una deriva tecnocratica. È una delle più urgenti e delicate conquiste della giustizia contemporanea. Ma proprio perché tocca il corpo, e lo tocca prima che la malattia si manifesti, questo diritto va governato con prudenza, misura e responsabilità. Non come strumenti di rallentamento, ma come forme alte dell’agire rapido e giusto. Perché nella medicina come nel diritto, la vera lentezza è quella che finge di essere cautela, ma è in realtà ritardo. E nella malattia, come nella vita, il tempo è sempre in lotta con la storia.
Troppo spesso, nel dibattito pubblico, la prudenza è evocata come alibi per rinviare, per frenare, per evitare il salto nella modernità della prevenzione. Ma la misura non è conservazione, è un’accelerazione ordinata, un modo con cui si costruisce una sanità che agisce prima che sia troppo tardi, senza perdere il senso della giustizia e senza farsi travolgere dall’onnipotenza del sapere.
Perché i rischi esistono, certo: esiste il rischio che la diagnosi precoce diventi un’etichetta indelebile, che la genetica venga usata per prevedere oltre il lecito, che il dato clinico anticipato si trasformi in criterio di selezione o disuguaglianza; esiste il rischio che la predizione non diretta a sapere solo ciò che si può curare (elemento questo irrevocabile sotto il profilo etico, soprattutto se i test vengono eseguiti con fondi pubblici), possa diventare fonte di ansia inutile e per certi versi crudele; esiste il rischio che la persona venga ridotta al suo profilo molecolare, che il corpo diventi archivio prima ancora di diventare esperienza.
Ma la risposta a questi rischi non è l’immobilismo. È il governo sapiente della velocità, producendo un diritto che accelera con coscienza, che distingue, che calibra, ma che non rinuncia mai ad agire in tempo, perché nella diagnosi precoce, il tempo non è solo un fattore clinico, ma il primo luogo in cui si misura la giustizia.
Il vero disincanto della biolegge non è l’eccesso di sapere quanto l’incapacità di agire quando il sapere c’è già. È il ritardo travestito da prudenza ed è l’incertezza che si finge misura. È vero, il diritto deve essere prudente, ma non deve essere lento quanto responsabile e non attendista, misurato ma non dilatorio.
Nella malattia, come nella storia, c’è sempre un prima e un dopo, c’è una soglia che, se superata, non permette ritorno. E il diritto, se vuole davvero proteggere, deve stare prima di quella soglia.
Ecco perché il diritto alla diagnosi non può essere trattato come un lusso, né come una concessione subordinata a compatibilità economiche. È un dovere immediato, il luogo in cui la scienza e la coscienza si incontrano, non per contemplarsi, ma per agire.
In fondo, anche nella più dura delle malattie, ciò che resta aperto è la lotta tra il tempo e la storia, tra ciò che accade e ciò che poteva essere evitato, tra l’attimo che salva e quello che condanna. In questo spazio sottile, che dura il tempo di una diagnosi mancata o di una terapia non attivata, si misura la civiltà di un sistema giuridico.
11.- Conclusione: la diagnosi come fondamento della democrazia
Sapere prima, curare meglio, vivere liberi.
La scienza omica come linguaggio della democrazia
Non è la malattia a mettere alla prova la civiltà di una società, quanto la diagnosi. Perché la malattia, nella sua brutalità, è democratica e può toccare chiunque. Ma la diagnosi — cioè, il sapere prima, il poter intervenire in tempo, il ricevere o no un test salvavita — quella sì, è profondamente diseguale.
In questo saggio abbiamo dato conto, provando a offrire elementi di cultura giuridica, di un caso legislativo locale. Una legiferazione prodotta senza attendere che lo Stato aggiornasse i suoi LEA o che il mondo decidesse di essere più giusto. Ma il punto, ora, è stabilire se è accettabile che la libertà di sapere, prevenire, agire, dipendano da un codice postale o da una geografia amministrativa.
«Apri la tua bocca in favore del muto, per la causa di tutti gli sventurati.» (Proverbi 31,8) Non si potrebbe dire in modo più chiaro: la giustizia comincia dove qualcuno prende voce per chi non può parlare. E nella diagnosi neonatale, chi non ha voce è letterale e tocca al diritto pronunciarla per lui.
Non c’è nulla di ideologico in questo, nessun sogno salvifico, ma solo un dato essenziale: sapere prima consente di curare meglio, e curare meglio consente di vivere liberi. Liberi di scegliere, di progettare, di resistere, di accettare anche il dolore, ma non il dolore evitabile.
La scienza omica, se messa al servizio del diritto, non è un privilegio per chi ha accesso alla ricerca, ma un codice per decifrare l’ingiustizia. Non è una profezia, ma un argine contro il ritardo. Non è un lusso, ma la soglia minima della civiltà moderna.
Alla fine, l’unica vera questione è questa: una società è tanto più democratica quanto più sa in tempo ciò che può salvare. Il resto è diseguaglianza — elegante, informata, documentata — ma pur sempre diseguaglianza.
(Per la revisione scientifica si ringrazia Mattia Gentile, genetista, e Romina Ficarella, biologa molecolare)
[1] H. Jonas, Il principio responsabilità, Piccola biblioteca Einaudi, 2009, pag. 135.
[2] J. Rawls, Giustizia come equità, Feltrinelli, 2002, pagg. 50 e segg.
[8] E. Lévinas, Totalità e infinito, Jaca book, 2023.
[9] Il Genoma è costituito da quattro basi azotate (Adenina – A, Guanina – G, Citosina – C, Timina – T) che compongono la sequenza del DNA.
[10] Tecnica che attraverso il sequenziamento dell’1-1,5 % del genoma (porzione codificante del DNA), consente di diagnosticare sino all’85 % delle varianti cumulative di patologie monogeniche (malattie genetiche rare).
[11] R. Koselleck, Futuro passato, cit., pagg. 110 e seg..
[13] J. Rawls, Giustizia come equità, cit., pag. 68.
[14] F. Amati, M.G. Cappelli, E. Cattaneo, M. Conversano, C. Germinario, A. Grignolio, N. Laforgia, F. Zampano, Vaccini e minori tra disinformazione e falsi miti, Codice edizioni, 2020, pag. 73 e segg.
[15] Nei mesi successivi l’accessibilità alla terapia fu rimodulata sul peso corporeo, così come già accadeva in diversi paesi europei ed extraeuropei. In base al parametro del peso corporeo, anche Melissa avrebbe potuto ottenere più tempestivamente il trattamento terapeutico genico.
[16] Nel dettaglio, alla data del 5 maggio 2025, i dati forniti dalla U.O. di Genetica medica dell’Ospedale “Di Venere” di Bari (ASL Bari), competente allo screening, e dalla U.O. di Neurologia dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari:
Caso 1: SMA 1, diagnosi a 7 giorni dalla nascita, terapia genica a 23 giorni dalla nascita. Cammina.
Caso 2: SMA 2 o 3, diagnosi a 7 giorni alla nascita, terapia non genica a 21 giorni. Cammina.
Caso 3: SMA 1, diagnosi a 9 giorni alla nascita, terapia genica a 20 giorni. Cammina.
Caso 4: SMA 1, diagnosi a 7 giorni alla nascita, terapia genica a 16 giorni. Tiene la posizione eretta con sostegno.
Caso 5: SMA 1, diagnosi a 6 giorni alla nascita, terapia genica a 13 giorni. Cammina.
Caso 6: SMA 4, diagnosi a 7 giorni alla nascita, terapia non genica a 20 giorni. Tiene la stazione eretta autonomamente.
Caso 7: SMA 2 o 3, diagnosi a 8 giorni alla nascita, terapia non genica a 15 giorni. Tiene la stazione eretta autonomamente.
Caso 8: SMA 2 o 3, fratello maggiore di un neonato diagnosticato, identificato a 6 anni tramite counseling familiare.
Caso 9: SMA 1, diagnosi a 5 giorni alla nascita, terapia genica a 13 giorni. Posizione eretta autonoma.
Caso 10: SMA 4, diagnosi a 5 giorni alla nascita. Nessuna terapia, strategia “wait and see”. Sviluppo psicomotorio coerente.
Caso 11: SMA 1, diagnosi a 6 giorni dalla nascita, terapia non genica a 9 giorni e in attesa della terapia genica.
A questi si aggiunga un caso internazionale di particolare rilievo: un bambino palestinese con diagnosi clinica di SMA 1 effettuata in Cisgiordania a 5 mesi e trattato con terapia genica in Puglia. Attualmente tiene la posizione seduta in autonomia.