Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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Ne ultra crepidam sutor – Quando il giudice si allarga.
Di Giuseppe Campeis e Arrigo De Pauli -
Il Tribunale collegiale ha ricondotto nei giusti binari un intervento del tutto creativo del giudice di primo grado, ispirato ad una sorta di suscettibilità mista ad una concezione ipertrofica dei poteri del giudice.
Appare senz’altro singolare una decisione che , con il pretesto della pendenza di un giudizio civile, viene a ledere il cuore di taluni diritti fondamentali riconosciuti non soltanto dalla nostra Costituzione, ma da Carte e Convenzioni europee.
In realtà il sistema codicistico prevede, quale sanzione dell’ingiustificato rifiuto di dare seguito all’ordine di esibizione, che il giudice possa desumere argomenti di prova a danno dell’inottemperante , come dispone in via generale l’art. 116, comma 2 c.p.c. che fa generico riferimento al “contegno delle parti”.
Ricorrere al sequestro giudiziario si rivela abnorme, trattandosi di misura inserita tra i “procedimenti cautelari” (art. 670, n.2 c.p.c.), che presuppone la controversia sul diritto all’esibizione (nella specie inesistente) e l’opportunità di provvedere alla custodia temporanea( nella specie insussistente, in quanto non si fa alcun riferimento al pericolo di dispersione). Qui non si controverte sul diritto all’esibizione, ma sulle conseguenze della mancata adesione e non si riviene alcuna esigenza conservativa.
Peraltro il primo giudice ha inteso attribuire al proprio provvedimento (di natura squisitamente processuale) un’efficacia esecutiva che il nostro ordinamento non prevede, non rientrando l’ordinanza di cui all’art. 210 c.p.c. fra i titoli esecutivi tassativamente previsti dall’art. 474, comma 2 cod. proc. civ., peraltro correlati a diritti di natura sostanziale.
Soltanto una specifica previsione normativa potrebbe consentire un’intromissione nella sfera di una delle parti, a detrimento dei diritti fondamentali a tutela del domicilio, della vita privata, del diritto a non fare dichiarazioni contrarie ai propri interessi , a fronte dei quali appare recessivo il mero diritto alla prova nell’ambito di un giudizio civile ove si dibatte di diritti disponibili, cui sono sottesi interessi di natura esclusivamente patrimoniale, senza alcuna implicazione di natura pubblicistica.
Peraltro appare improprio utilizzare la misura cautelare per ottenere l’esecutorietà di un’ordinanza di natura processuale cui difetta l’efficacia esecutiva, essendo prevista la sola sanzione della valutazione del contegno della parte.
Ne deriva che non era data al giudice la facoltà di disporre una cautela al di fuori dei casi previsti dalla legge, cui egli è soggetto secondo il disposto dell’art. 101 della Costituzione.
Peraltro presupposti ed effetto tipico della concessa misura non si rivengono nella specie, tanto da costringere il giudice, nella sua creatività, a dare in maniera indebita istruzioni al nominato custode a che metta a disposizione del CTU la documentazione sequestrata. Con buona pace del principio dispositivo, cui si sostituisce quello acquisitivo ufficioso. Soltanto nel procedimento penale si rende legittima una modalità acquisitiva d’ufficio della prova, a ben determinate condizioni, attraverso la perquisizione finalizzata al sequestro.
Resta quindi ultroneo l’esame meritale , che si spinge ad esaminare la presenza dei presupposto del sequestro giudiziario, istituto qui non applicabile tout court.
Inaccettabile appare l’argomentazione del primo giudice,che si mette alla caccia di uno strumento normativo alternativo per “rendere il sistema costituzionalmente compatibile”.
Con ciò il primo giudice ha raggiunto il risultato di sostituirsi nello stesso tempo ad un legislatore ritenuto carente e ad una Corte Costituzionale che gli si potrebbe sostituire , con ciò travisando la natura custodiale e la finalità meramente conservativa della misura cautelare.
Peraltro anche se la Corte Costituzionale ritenesse di colmate un vuoto normativo per attribuire coerenza al sistema, sarebbe chiamata ad operare il bilanciamento tra l’interesse sotteso al diritto alla prova, riconducibile al diritto alla difesa tutelato dall’art. 24 Costituzionale e dall’art 6 della CEDU ed i diritti fondamentali sopra richiamati.
Il principio di effettività della tutela giurisdizionale di diritti civilistici di natura patrimoniale dovrebbe farli ritenere recessivi rispetto a quelli alla vita privata, all’inviolabilità del domicilio, al diritto di non tenere comportamenti autolesionistici.
Basti pensare all’inviolabilità di questi ultimi diritti.
Quanto alla persona si verrebbe a costruire una coercibilità che non può spingersi all’invasività.
Quanto al domicilio ed alla vita privata, se ne comprende il sacrificio nel solo magistero penale, e comunque in casi ben determinati e con specifiche garanzie ( si veda in argomento Corte EDU 57.278/11 del 28.9.2018), attesa la caratura pubblicistica dei valori in gioco insiti nell’esercizio dell’azione penale.
La mancata collaborazione della parte , che non ritenga di esibire documenti a lei sfavorevoli, trova una sanzione esplicita all’interno del processo, in sede propria, nella valutazione della condotta ex art. 116, comma 2 ultima parte; l’averla individuata consegue ad un’opzione normativa che ne limita l’incidenza, chè altrimenti verrebbe in gioco la violazione di diritti fondamentali quali la libertà individuale, il domicilio e la vita privata di cui si è detto. La sola applicabilità della valutazione negativa è peraltro ribadita dalla giurisprudenza al riguardo ( Cass. 9839/1994, 24590/2008, 27149/2011, 27231/14), che riserva una valutazione negativa in caso di distruzione del documento oggetto dell’ordine di esibizione, presupponendo per implicito la mancanza di un obbligo specifico. Ciò in coerenza con il principio generale del nemo tenetur contra se edere, esteso all’evidenza anche al settore processuale civile (così Cass. 23131/2019, 870/2014).
Non è condivisibile ritenere tale principio limitato all’area penalistica ed alle consorelle ad essa equiparabili ( sanzioni amministrative e disciplinari), trattandosi di un aspetto fondamentale di tutela di qualsiasi parte in qualsiasi processo, libera essendo di perseguire anche con il silenzio il proprio interesse, non narrando fatti nè producendo documenti controproducenti, con il limite dalla non fraudolenza dei mezzi, secondo la regola di compromesso all’art. 88 c.p.c. (così CONSOLO, Postilla… sed (e quando) magis amica veritas, in La disclosure: aspetti comparatistici transnazionali, postilla alla tesi di dottorato di ricerca di B. ZUFFI, Int’l lis, inverno 2006-2007, 35)
D’altro canto l’esistenza di una sanzione specifica rende ardua la costituzione di altra più invasiva, nè l’articolo 88 del c.p.c. (dovere di lealtà e probità) – a differenza di quanto riguarda i difensori, per il quali è espressamente contemplata la segnalazione agli organi disciplinari – prevede sanzioni per la violazione ascrivibile alla parte.
Vi provvede l’articolo 92, comma 1 c.p.c., che pone a carico della parte sleale le spese cui ha dato causa la sua condotta trasgressiva e che è perciò tenuto a rimborsare.
L’esigenza di rafforzare i doveri di leale collaborazione delle parti e dei terzi ha suggerito di inserire nella proposta di delega al Governo per l’efficienza del processo civile (S1662) la previsione di conseguenze processuali e sanzioni pecuniarie nei casi di rifiuto ingiustificato di consentire ispezioni e di inadempimento ingiustificato dell’ordine di esibizione.
Il nostro sistema processuale sembra distinguere nettamente le posizioni della parte, interessata all’esito del processo in cui si dibatte dei suoi diritti, da quella dei terzi disinteressati, ma tenuti a collaborare in adempimento di un dovere di natura pubblicistica.
Il rifiuto ingiustificato della parte ha quindi la sua specifica sanzione processuale ; la necessaria tutela di principi e diritti fondamentali può peraltro rendere del tutto giustificato il rifiuto, ad esempio di produrre documenti potenzialmente lesivi del diritto alla riservatezza, sì che in tal caso non è nemmeno possibile trarre argomenti di prova sfavorevoli al rifiutante.
Se si consentisse il sequestro probatorio in tali casi, così dando attuazione all’ordine di esibizione, sarebbe proprio il provvedimento attuativo – esterno al processo – ad essere lesivo di ulteriori diritti fondamentali, quali il domicilio e la vita privata.
Una condotta processualmente ingiustificata non può legittimare una intrusione non prevista, sì che il processo costituirebbe la mera occasione per un’invasività impossibile da prevedere e comunque largamente afflittiva e punitiva per la parte che la subisce.
Attivare un meccanismo esterno, esportando il processo al di fuori dei suoi confini, incompatibilmente con i diritti fondamentali al solo scopo di danneggiare la parte processuale che ne diverrebbe vittima, costituisce un’aberrazione inaccettabile.
Non si può creare ex novo un procedimento sanzionatorio alternativo alla collaborazione volontaria senza violare la riserva di legge ( si vedano in argomento B. FICCARELLI, Esibizione di documenti e discovery, Giappichelli, 2004 e Il problema dell’attuazione degli ordini esibitori in una recente proposta di riforma del proecsso civile, in Diritto.it 1, 23.1.2019, nonchè G. SCARSELLI, Note critiche al disegno di legge delega di riforma del processo civile approvato dal Consiglio dei Ministri in data 5 dicembre 2019 in Judicium, 2020. Ritiene quest’ultimo l’incostituzionalità della previsione di una sanzione pecuniaria a carico del recalcitrante, non potendo esigersi che la parte di collabori con l’avversaria. Si veda Cass. 17.9.2019, n. 23131 e per l’applicazione del principio nemo contra se detegere in materia disciplinare).
L’art. 14 della Costituzione richiede che perquisizioni o sequestri possano essere eseguiti solo in base e nei modi garantiti dalla legge; l’art. 8 , par. 2 della Convenzione EDU richiede la legge per rendere lecita l’ingerenza nella vita privata e familiare nonchè nel domicilio e nella corrispondenza dei privati. Peraltro nemmeno il legislatore nazionale può muoversi discrezionalmente: la Convenzione EDU vuole infatti che possano essere previste deroghe per le sole necessità di sicurezza nazionale e pubblica, benessere economico del Paese, difesa dell’ordine e prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale e dei diritti e delle libertà altrui.
E ciò che non è consentito al legislatore non può a maggior ragione esserlo per il giudice, che in materia non può avere via libera.
Un’indagine di diritto comparato rileva l’esistenza di sanzioni indirette, volte a fare pressione sull’interessato altrimenti esposto a sanzioni pecuniarie o a valutazioni del tutto negative (ad esempio, equiparazione della condotta omissiva ad una confessione: sulla coercizione indiretta di procedimenti istruttori si veda R. BONATTI, Il difficile compromesso tra sequestro di prove e ordine di esibizione: un proposta interpretativa, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, 579 ss.).
Appare perciò del tutto coerente la previsione della direttiva 214/2004 sulla “divulgazione delle prove” in realtà formalmente inattuata, in quanto ritenuta ultronea nella vigenza delle regola di cui all’art. 116, comma 2 seconda parte cod. proc. civ. ( ma ciò è stigmatizzato da C. SILVESTRI, La divulgazione delle prove nella normativa anti trust nell’art. 5 della Direttiva UE n. 104 del 2014, in Diritto.it,23.3.2020).
In realtà la direttiva limita la sua incidenza sui comportamenti anticoncorrenziali (art.5) , richiamando il principio di effettività della tutela (art. 47 Convenzione di Nizza/Strasburgo) e demandando ai singoli ordinamenti la previsione di sanzioni, ma che si vogliono efficaci, proporzionate e dissuasive (art.8, punto 1) e che , in relazione alla parte processuale pongono come conseguenza ” la possibilità di trarre conclusioni negative, quali presumere che la questione sia stata provata o respingere in tutto o in parte domande e eccezioni, e la possibilità di ordinare il pagamento delle spese”.
In ogni caso mai si prevede la coercibilità dell’esibizione.
La sanzione resta comunque all’interno del giudizio e della decisione meritale che lo definisce, potendo giocare un suo ruolo la soccombenza.
Ciò ha indotto la dottrina a formulare dubbi di incostituzionalità della previsione, nel recente progetto di riforma, di sanzioni pecuniarie a carico della parte inadempiente all’ordine di esibizione (così SCARSELLI, Note critiche sul disegno di legge delega di riforma del processo civile in Judicium , 2021).