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Natura giuridica, disciplina ed effetti sostanziali delle vendite nel concordato preventivo liquidatorio e in continuità aziendale
Di Alessandro Motto -
Sommario: 1. Premessa e oggetto dell’indagine. 2. Natura giuridica, disciplina ed effetti sostanziali delle vendite nella procedura di concordato. 3. Liquidazione dei beni nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità aziendale nel Codice della crisi. 4. Struttura e funzione delle vendite concordatarie compiute dall’imprenditore. 5. Gli artt. 2919 ss. c.c. sugli effetti sostanziali della vendita forzata. 6. Disciplina giuridica ed effetti sostanziali delle vendite concordatarie compiute dall’imprenditore: a) effetto purgativo delle garanzie reali ed esonero del cessionario dell’azienda dalla responsabilità per i debiti pregressi. 7. Segue: b) applicazione degli artt. da 2919 a 2929 c.c. 8. Segue: c) applicazione delle prelazioni (legali e convenzionali) e delle prescrizioni in tema di regolarità urbanistica e conformità catastale degli immobili. 9. Conclusioni.
1.Premessa e oggetto dell’indagine.
La Corte di cassazione, in una recente ordinanza della Prima Sezione Civile (la n. 4652 del 21 febbraio 2025), ha affrontato la questione della natura giuridica della vendita compiuta nel corso di una procedura di concordato ai sensi dell’art. 163-bis l. fall., al fine di stabilire se ad essa si applichi o meno l’art. 2922, comma 1, c.c., ossia la disposizione – inserita nel § 3 della sezione I, del capo II, del titolo IV del libro VI del Codice civile sugli effetti della vendita (e della assegnazione) nella espropriazione forzata – che esclude la garanzia per i vizi nella vendita forzata.
Il provvedimento costituisce occasione per svolgere un’indagine a largo raggio circa la natura giuridica, la disciplina e gli effetti di diritto sostanziale delle vendite nel concordato preventivo liquidatorio e in continuità aziendale; e questa indagine, per le ragioni che confidiamo saranno chiare nel prosieguo, riveste caratteri di particolare rilevanza e attualità alla luce del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, soprattutto a seguito del d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (c.d. secondo correttivo).
Nella fattispecie decisa dalla Corte – di cui si riportano gli elementi essenziali per comprendere i termini del problema – alcune società, tutte appartenenti al medesimo gruppo, avevano presentato domanda di concordato preventivo “in bianco”. Nel termine concesso dal Tribunale per la presentazione del piano concordatario, un soggetto terzo, poi ricorrente in cassazione, presentava un’offerta vincolante per l’acquisto dei rami di azienda delle società debitrici; successivamente, le società debitrici presentavano le rispettive proposte concordatarie con i relativi piani. Il Tribunale, a quel punto, disponeva l’apertura di una unica procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall. per la vendita unitaria dei rami di azienda delle società del gruppo. Il Tribunale fissava il termine per la presentazione delle offerte e autorizzava espressamente, come atto urgente di straordinaria amministrazione ex art. 161, comma 7, l. fall., le società debitrici ad accettare l’offerta irrevocabile del terzo, nel caso in cui non fossero state presentate altre offerte. Non essendo state presentate offerte nel termine previsto, il Tribunale autorizzava le società debitrici, prima ancora della ammissione alla procedura di concordato, ad accettare l’offerta del terzo, con il quale esse conseguentemente stipulavano il contratto di compravendita.
Tuttavia, le procedure di concordato successivamente sfociavano nel fallimento delle società debitrici.
Il terzo – e così veniamo alla controversia decisa dalla S.C. – chiedeva di essere ammesso al passivo del fallimento di una delle società del gruppo per l’importo di euro 8.000.000,00 a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, in quanto – secondo il terzo – la vendita del ramo di azienda aveva integrato un’ipotesi di aliud pro alio.
Sia il Giudice delegato, nel procedimento verifica, sia il Tribunale, decidendo l’opposizione, rigettavano la domanda. In particolare, per quanto qui rileva, il Tribunale riteneva – secondo quanto si legge nell’ordinanza – che la vendita compiuta ai sensi dell’art. 163-bis l. fall. non fosse soggetta “all’ordinario regime privatistico”, bensì a quello delle “vendite coattive” e, quindi, trattandosi di una vendita competitiva di natura coattiva, ne discendeva la soggezione alla relativa disciplina e, in specie, all’art. 2922 c.c. Pertanto, negata (come disposto dall’art. 2922, comma 1, c.c.) la garanzia per i vizi della cosa e – conformemente a un consolidato orientamento[1] – ritenuta operante la sola garanzia per aliud pro alio, escludeva che nel caso di specie fossero integrati i presupposti di questa seconda fattispecie e conseguentemente rigettava la domanda.
Con il quarto motivo di ricorso per cassazione, l’acquirente dell’azienda censurava il decreto del Tribunale per avere qualificato la cessione intervenuta come vendita forzata, soggetta agli artt. 163-bis e 182, comma 5, l. fall. e all’art. 2922 c.c., quando invece – secondo il ricorrente – la vendita autorizzata come atto di straordinaria amministrazione ex art. 161, comma 7, l. fall., all’esito negativo della procedura competitiva, e prima della ammissione alla procedura concordataria, avrebbe dovuto essere qualificata come vendita di carattere privatistico, conclusa per effetto dell’accordo delle parti, risultante dall’incontro tra l’offerta vincolante del terzo e la accettazione della società debitrice: dunque, quale vendita volontaria (negoziale) e non quale vendita coattiva.
La S.C., ricordato il proprio consolidato orientamento, per il quale l’art. 2922 c.c., e pertanto l’esclusione della garanzia per i vizi (artt. 1490-1496 c.c.) ed anche per difetto di qualità (art. 1497 c.c.)[2], vale per tutti i trasferimenti assimilabili a una vendita coattiva, tra cui le vendite concluse in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare[3], afferma che tale conclusione è valida anche per le vendite compiute nella procedura concordataria. L’art. 182, comma 5, l. fall., ossia la disposizione che disciplina(va) i trasferimenti realizzati nell’ambito del procedimento di concordato, compie un espresso rinvio alle disposizioni sulle vendite fallimentari, estendendo in tal modo alle vendite “concordatarie” i c.d. effetti purgativi inerenti ai diritti di prelazione e ai vincoli sui beni trasferiti (art. 108, comma 2, l. fall.) e la esenzione dell’acquirente da responsabilità per i debiti relativi alle azienda cedute, salva diversa convenzione (art. 105, comma 4, l. fall.).
Ciò posto, la Corte, rilevato che, per espressa previsione normativa, l’art. 182, comma 5, l. fall. si applica a tutte le vendite effettuate dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, ha affermato che nel relativo ambito di applicazione rientrano anche le vendite antecedenti all’omologa di cui all’art. 163-bis l. fall., la cui disciplina si applica anche agli atti da autorizzare ai sensi dell’art. 161, comma 7, l. fall. (art. 163-bis, ult. comma); con il corollario, che anche tali vendite si configurano come vendite coattive “a tutti gli effetti” e sono pertanto soggette al relativo regime giuridico[4].
L’ordinanza precisa che questa conclusione è conforme a quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza 19 marzo 2024, n. 7337, in ordine alla distinzione tra vendite coattive e vendite negoziali nel fallimento, ai fini del riconoscimento – alla sola vendita qualificabile come “coattiva” – del c.d. effetto purgativo delle ipoteche iscritte sull’immobile trasferito[5], nonché a quanto statuito, sempre dalle Sezioni Unite, nella sentenza 16 luglio 2008, n. 19506, circa – lo si sottolinea sin d’ora – la assimilabilità della fase esecutiva del concordato per cessione dei beni al procedimento di vendita coattiva dei beni proprio del fallimento, ai fini della impugnabilità con il ricorso straordinario per cassazione del provvedimento del tribunale in sede di reclamo avverso un atto del giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni.
In conclusione – afferma l’ordinanza (§ 4.4.7. della motivazione) – <<la cd. vendita fallimentare, nell’estensione qui chiarita anche con riferimento alle vendite concordatarie, si qualifica come vendita coattiva proprio in ragione della sua natura esecutiva (e procedimentale), poiché “codesta è la vera vendita forzata e non ogni vendita che avviene in ambitofallimentare può esser considerata tale” e perché “la funzione liquidatoriaesclude di contro il vincolo negoziale, essendo l’organo fallimentare astrettoall’osservanza delle (sole) modalità procedimentali dettate per il legittimoesercizio del potere di realizzazione coattiva”>> (i passi citati sono tratti da Cass., sez. un. n. 7337/2024, cit.).
E poiché nel caso di specie la cessione dei rami di azienda era intervenuta “in un ambito procedimentalizzato che ha visto la conclusione del trasferimento tramite i singoli atti di cessione negoziali stipulati con le procedure concorsuali (….)”, allora “tali trasferimenti non possono che essere ricondotti nell’alveo delle vendite esecutive coattive, secondo il paradigma delineato dalle Sezioni Unite nel 2024”; di qui, l’applicazione dell’art. 2922, comma 1, c.c. e pertanto l’esclusione della garanzia per i vizi della cosa a favore dell’acquirente del ramo di azienda.
Resta fermo – secondo la Corte – che la vendita è “competitiva” e dunque “forzosa” (e non già “privatistica”), anche se – come avvenuto nel caso di specie – non si siano registrate offerte dopo l’indizione della gara ex art. 163-bis l. fall., avendo comunque il tribunale autorizzato la vendita ex art. 161, comma 7, l. fall., all’esito di un procedimento competitivo volto a ricercare altri interessati all’acquisto.
Si è riportata con una certa ampiezza la motivazione della ordinanza, perché essa indica chiaramente i termini del problema che ci prefiggiamo di indagare: quale sia la disciplina giuridica applicabile alle vendite compiute in esecuzione del concordato e nel corso della procedura di concordato, con particolare riferimento agli effetti di diritto sostanziale delle stesse. Problema, la cui soluzione dipende, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, dalla natura giuridica della vendita, ossia dalla sua qualificazione come vendita “coattiva” (o “forzata”) oppure quale vendita “privatistica” (ossia, “volontaria” e “negoziale”); ed anche tale premessa, almeno nella sua assolutezza che non pare ammettere distinguo, dovrà essere oggetto di verifica.
2. Natura giuridica, disciplina ed effetti sostanziali delle vendite nella procedura di concordato.
La questione, nei suoi termini generali, non è nuova.
Nel vigore della legge fallimentare, dottrina e giurisprudenza avevano avuto più volte occasione di interrogarsi – per riprendere il dibattito negli esatti termini in cui si era sviluppato – sulla “natura” della vendita effettuata dal liquidatore nel concordato con cessione di beni, con un acceso contrasto di opinioni circa la qualificazione della stessa alla stregua di una vendita forzata, oppure quale vendita privata; e dalla soluzione di tale questione era fatta discendere la disciplina giuridica applicabile rispetto agli effetti di diritto sostanziale della vendita, che si ritenevano essere, rispettivamente, quelli, di carattere speciale, propri della vendita “coattiva” (di cui agli artt. 2919 ss. c.c., dettati per la vendita forzata nella espropriazione individuale) o quelli, ordinari, della vendita “privatistica” (previsti dalle disposizioni del codice civile disciplinanti la compravendita)[6].
Volendo dare concretezza al discorso, i principali profili di rilevanza del problema – alcuni dei quali effettivamente affrontati dalla giurisprudenza – erano (e sono) i seguenti:
1) l’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia (e dei vincoli derivanti da pignoramento o sequestro conservativo) e l’esonero da responsabilità dell’acquirente dell’azienda per i debiti anteriori al trasferimento (in deroga all’art. 2560, comma 2, c.c.) sono propri della sola vendita “coattiva” e pertanto si realizzano se la vendita effettuata si considera come una vendita forzata, e non come una vendita “privatistica”[7];
2) in caso di evizione dell’acquirente, si applica la disciplina della garanzia per evizione nella compravendita, se si tratta di una vendita negoziale, mentre, se si qualifica come una vendita coattiva, opera la regola dell’art. 2921 c.c.[8];
3) la garanzia per i vizi e la rescissione per lesione sono escluse ex art. 2922 c.c., in caso di qualificazione della vendita come coattiva[9];
4) la soggezione o meno del trasferimento alle prelazioni, legali o convenzionali, il cui operare sia escluso in ipotesi di vendite coattive[10];
5) in caso di vendita di beni immobili, si applica l’art. 46, comma 5, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, ai sensi del quale la nullità degli immobili abusivi per mancanza di riferimento dei titoli edilizi non opera rispetto “agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali”, se siano qualificate come vendite forzate[11]; e lo stesso si sostiene, rispetto all’omessa dichiarazione di conformità catastale di cui all’art. 29, comma 1-bis, l. 27 febbraio 1985, n. 53, sebbene in questa ipotesi manchi una espressa deroga alla comminatoria di nullità per le vendite compiute in procedure esecutive[12].
Secondo la giurisprudenza, la questione circa la “natura” della vendita assume rilievo anche ai fini della disciplina processuale, con riferimento alla applicabilità (o meno) delle regole previste per le vendite fallimentari; e si sono in particolare riconosciuti – prima ancora che, con le modifiche all’art. 182 l. fall. (ad opera del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), si disponesse (al comma 5) l’applicazione alle vendite concordatarie degli artt. da 105 a 108 ter l. fall. disciplinanti le vendite fallimentari – al giudice delegato il potere di sospendere l’aggiudicazione, in caso di vendita posta in essere dal liquidatore, in quanto assimilabile a una vendita coattiva[13], e la ricorribilità in cassazione del provvedimento reso dal tribunale in sede di reclamo avverso un atto del giudice delegato nella fase di vendita, data l’assimilabilità della fase esecutiva del concordato per cessione dei beni a un procedimento di vendita coattiva[14].
3. Liquidazione dei beni nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità aziendale nel Codice della crisi.
La sintetica illustrazione compiuta nei paragrafi precedenti restituisce un quadro sufficientemente chiaro degli orientamenti della giurisprudenza pratica e teorica, sia riguardo ai caratteri da cui dipende la qualificazione della vendita come “coattiva” o “privatistica”, sia rispetto alle implicazioni che da tale qualificazione discendono circa la disciplina giuridica applicabile al trasferimento e ai relativi effetti.
A sollecitare una nuova indagine, sono le modifiche apportate dal secondo correttivo (il citato d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136) alle disposizioni del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza sulla liquidazione dei beni nel concordato preventivo.
E’ apprestata una disciplina differenziata delle vendite nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità aziendale, quando il piano preveda la liquidazione di beni non strategici o la cessione dell’azienda, rispettivamente all’art. 114, la cui rubrica è modificata in Disposizioni sulla liquidazione nel concordato liquidatorio (in luogo di Cessione dei beni), e all’art. 114-bis, di nuova introduzione, intitolato Disposizioni sulla liquidazione nel concordato in continuità.
L’art. 114, per il concordato liquidatorio, si pone in una linea di sostanziale (anche se non perfetta) continuità con l’assetto previgente; per quanto qui rileva: il tribunale nella sentenza di omologazione nomina il liquidatore giudiziale, ed è oggi chiarito che la nomina è obbligatoria in tutte le ipotesi di concordato liquidatorio, sia prevista o meno la cessione dei beni (comma 1)[15]; alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili (comma 4), tra cui, quindi, oltre alle disposizioni (processuali) sulle modalità della vendita (art. 216) e sui poteri del giudice delegato (art. 217), anche le disposizioni sugli effetti sostanziali propri della vendita forzata nella liquidazione giudiziale, quali, in particolare, l’effetto purgativo (con la precisazione che le cancellazioni delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuate su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nella sentenza di omologazione per gli atti a questa successivi) e, in caso di cessione dell’azienda, l’esclusione della responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio dell’azienda ceduta prima del trasferimento, salva diversa convenzione (art. 214, comma 3).
Invece, l’art. 114-bis, per il concordato in continuità aziendale, stabilisce (comma 1) che, quando il piano preveda la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato (se invece lo sia, ai sensi del comma 2, si applica l’art. 91), il tribunale nella sentenza di omologazione possa (e non debba) nominare il liquidatore (e il comitato dei creditori); e da tale circostanza – ossia “in caso di nomina del liquidatore” – fa dipendere (comma 3) l’applicazione degli artt. 2919-2929 c.c., ossia le disposizioni sugli effetti sostanziali della vendita forzata, e la cancellazione delle iscrizioni, trascrizioni e vincoli pregiudizievoli, da effettuarsi su ordine del giudice, in modo analogo a quanto previsto per il concordato liquidatorio[16].
E’ indubbio merito del legislatore del secondo correttivo avere fornito un decisivo contributo di chiarezza, indicando con precisione la disciplina applicabile alla liquidazione dei beni, a seconda che essa avvenga in esecuzione di un concordato liquidatorio o di un concordato in continuità aziendale[17]. Sono così in buona parte superate le difficoltà che sorgevano nell’interpretazione di una disposizione, l’art. 114, il cui diretto antecedente, l’art. 182 l. fall., originariamente previsto per le vendite in esecuzione di un concordato con cessione (quale forma di concordato tipico prevista dalla legge fallimentare), aveva dovuto essere progressivamente adattato (con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 e, poi, il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 e il d.l. 27 giugno 2015, n. 83) alla evoluzione di un sistema, in cui, a partire dall’anno 2005, i contenuti della proposta concordataria erano divenuti i più vari, perché non più riducibili alla rigida alternativa fissata dal legislatore del 1942 (con cessione e garanzia), e nel quale era andata progressivamente affermandosi, come evenienza non eccezionale, la possibilità di effettuare alienazioni di beni anche prima della omologazione del concordato.
Il significato delle modifiche all’art. 114 – in uno con la soppressione dell’art. 84, comma 8, e l’introduzione dell’art. 114 bis[18] – non è solo avere precisato che nel tipo concordato liquidatorio rientra anche la figura del concordato con cessione dei beni[19], ma anche (e soprattutto, per quanto qui rileva) avere chiarito la “sua funzione di norma generale che disciplina il patrimonio dell’impresa in caso di concordato liquidatorio” [20]; e la “eliminazione del riferimento alla cessione dei beni nella rubrica – si legge sempre nella Relazione – intende sottolineare questa portata più ampia eliminando il dubbio che si tratti di disposizione dettata principalmente per l’ipotesi della cessione dei beni analogicamente applicabili alle altre tipologie di concordato”.
Allo stesso tempo, però, il nuovo art. 114-bis solleva, per la liquidazione dei beni non strategici e dell’azienda nel concordato in continuità, alcune rilevanti questioni, tra cui quella oggetto delle nostre riflessioni.
Se, come dispone il comma 3 della disposizione, in caso di nomina del liquidatore (che, ai sensi del comma 1, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l’efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza) si applicano gli artt. 2919 ss. c.c. (pertanto, si producono gli effetti sostanziali della vendita forzata) e si cancellano le trascrizioni e le iscrizioni gravanti sul bene (quindi, opera l’effetto purgativo proprio della vendita forzata); il passo è breve per dedurne che se, invece, il liquidatore non sia nominato e le vendite in esecuzione del piano di concordato siano compiute dal debitore, esse non producono quegli effetti speciali (che si ritengono essere propri delle vendite forzate o ad esse assimilabili) e sono soggette alla ordinaria disciplina delle vendite volontarie[21]. Un’indicazione in questo senso sembra trarsi – oltre che dalle elaborazioni della dottrina a cui il legislatore sembra essersi ispirato[22] – dalla Relazione al secondo correttivo, nella quale si legge che il comma 3 dell’art. 114-bis sancisce l’applicabilità alle vendite “portate avanti – qui sta il punto – dal liquidatore delle disposizioni generali sulle vendite forzate stabilendo espressamente anche la purgazione dei beni venduti da ogni formalità pregiudizievole su di essi gravanti”. Non si può neppure trascurare che la citata Cass., sez. un., 7337/2024, di poco anteriore al secondo correttivo, nell’occuparsi delle vendite nel fallimento, ma con rilievi di carattere generale, riferibili (e riferiti: v. il § XI della motivazione) anche alle vendite nel concordato, aveva affermato che l’esercizio del potere purgativo da parte del giudice delegato dei diritti reali di garanzia sul bene trasferito nell’ambito di una procedura concorsuale ha quale suo essenziale presupposto che la vendita sia effettuata secondo le modalità procedimentali previste dall’art. 107 l. fall. (a cui oggi corrisponde l’art. 216), perché, secondo le Sezioni Unite, questa – e solo questa – è la “vendita forzata” legittimante l’effetto purgativo dell’ipoteca iscritta sul bene trasferito[23].
La quale cosa significa – per dare concretezza al discorso con due esempi paradigmatici – che, in caso di vendite compiute dal debitore nel concordato in continuità, non potendo essere disposta la cancellazione dell’ipoteca iscritta sull’immobile, il compratore acquista il bene gravato del diritto reale di garanzia, a meno che il creditore non dia l’assenso alla cancellazione; e, in caso di cessione dell’azienda, applicandosi l’art. 2560, comma 2, c.c., l’acquirente risponde dei debiti anteriori al trasferimento, se i creditori non dichiarino di liberarlo[24].
Si tratterebbe, se quello indicato fosse effettivamente il significato normativo della disposizione, di una rilevante innovazione.
Prima del secondo correttivo, l’interpretazione probabilmente prevalente affermava l’applicazione alle vendite dei beni non strategici e dell’azienda nel concordato in continuità dell’art. 114, comma 4, [25] e, a seguito del d.lgs. 83/2022, di attuazione della direttiva Insolvency, dell’art. 84, comma 8, che prevedeva la nomina del liquidatore e l’applicazione degli artt. da 2919 a 2929 c.c.[26]. E, nel vigore della legge fallimentare, già il d.l. 83/2015 (conv. con l. 132/2015) aveva sostituito il comma 5 dell’art. 182 l. fall., al fine di “rimuovere qualsiasi dubbio circa l’effetto purgativo anche delle cessioni effettuate prima dell’ammissione alla procedura di concordato, purché debitamente autorizzate, nonché delle cessioni attuate in esecuzione del concordato omologato, ma a opera di un soggetto diverso dal liquidatore giudiziale, come accade ad esempio quando la proposta non preveda la nomina di un liquidatore giudiziale o per le dismissioni previste ai sensi dell’articolo 186-bis, primo comma, nell’ambito di un concordato con continuità aziendale” (ossia, quando il piano preveda la cessione o il conferimento dell’azienda in esercizio, oppure la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa)[27].
La rilevanza della questione è acuita dalla circostanza che, ai sensi del comma 1 dell’art. 114-bis, la nomina del liquidatore nella sentenza di omologazione è rimessa – almeno in base alla formulazione letterale della disposizione – a un potere del tribunale di carattere assolutamente discrezionale (per non dire, arbitrario), il cui esercizio non è in alcun modo condizionato dall’istanza del debitore: il tribunale può nominare il liquidatore, sebbene il debitore abbia chiesto di non nominarlo, così come può astenersi dalla nomina, nonostante il debitore abbia chiesto di designarlo[28].
Infine, ci sembra che le modifiche normative giustifichino una verifica anche in ordine agli effetti sostanziali delle vendite, delle cessioni e dei trasferimenti dei beni legalmente compiuti dal debitore (non in esecuzione del concordato omologato, bensì) nel corso della procedura, ossia dopo la presentazione della domanda di concordato in continuità aziendale e prima della sentenza di omologazione, effettuate ai sensi dell’art. 46 e dell’art. 94 (rispettivamente, a seconda che la vendita preceda o segua il decreto di apertura), oppure a norma dell’art. 91 (secondo la disciplina delle offerte concorrenti)[29].
Vero è che di queste vendite l’art. 114-bis non si occupa; non è meno vero, però, che, sebbene avvengano in un contesto procedimentalizzato, sulla scorta delle autorizzazioni dell’autorità giudiziaria e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, queste vendite sono compiute dall’imprenditore stesso. Inoltre, e soprattutto, il comma 4 dell’art. 114 – che, come abbiamo visto, equipara le vendite, le cessioni e i trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda concordato a quelle compiute in esecuzione dello stesso, ai fini della applicazione delle disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale e della cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni pregiudizievoli – è inserito in una norma, l’art. 114, che – oggi – è dettata per il solo concordato liquidatorio: e ci si potrebbe quindi chiedere se la disposizione abbia l’applicazione generalizzata che la sua ampia formulazione sicuramente consente (e ha sempre consentito) di affermare, oppure se ne restino escluse le componenti liquidatorie di un concordato in continuità aziendale[30].
Le modifiche apportate dal secondo correttivo al sistema delle vendite concordatarie sollecitano pertanto un approfondimento sistematico sulla natura giuridica delle vendite nel concordato; e ciò al fine – anticipiamo, in parte, gli esiti dell’indagine – di ricollegare a tali vendite, anche quando siano compiute dal debitore nel concordato in continuità, una disciplina giuridica adeguata agli interessi in gioco ed effetti coerenti con la funzione (intesa quale causa giuridica) che esse esplicano: e così, in particolare, l’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia e, in caso di cessione dell’azienda, l’esonero del cessionario dai debiti anteriori al trasferimento.
4.Struttura e funzione delle vendite concordatarie compiute dall’imprenditore.
L’art. 118, la cui rubrica è Esecuzione del concordato, ai commi 7 e 8, non modificati dal secondo correttivo, prevede che, in caso di trasferimento di beni, il commissario giudiziale chieda al tribunale l’emissione del decreto di cancellazione delle formalità iscritte (comma 7) e che, in ipotesi trasferimento dell’azienda, l’acquirente o il cessionario, in deroga all’art. 2560 c.c., non risponda dei debiti pregressi, salva diversa previsione nel piano di concordato (comma 8).
La portata generale di queste disposizioni – le quali non distinguono a seconda che venga in rilievo un piano liquidatorio o in continuità – può consentire di affermare che l’effetto purgativo e la deroga all’art. 2560 c.c. operano anche in relazione alle vendite compiute dal debitore in esecuzione di un piano di concordato in continuità, che preveda la cessione di beni non strategici o dell’azienda[31].
L’esegesi delle disposizioni di legge, tuttavia, non è sufficiente a convalidare una siffatta conclusione, la quale necessita di un più solido fondamento sistematico; soprattutto oggi, alla luce del comma 3 del nuovo art. 114-bis, disposizione a cui pare sottesa l’idea, come abbiamo constatato, che le vendite compiute dal debitore, anziché dal liquidatore, nel beneficiare di una maggiore flessibilità, debbano allo stesso tempo scontare l’incapacità di produrre quegli effetti che solo una vendita coattiva (o comunque ad essa assimilabile) – come la vendita compiuta dal liquidatore nominato dal tribunale, secondo le modalità prescritte dalla legge e dalla sentenza di omologazione – potrebbe avere.
In una sorta di “ritorno al passato”, l’interprete è posto di fronte a un problema che si presentava già nel vigore della legge fallimentare, nella sua versione originaria, con riferimento alle vendite del liquidatore in esecuzione del concordato preventivo per cessione[32].
Per il concordato con cessione dei beni, la Relazione al Re indicava (n. 37) che la legge non aveva “voluto stabilire schemi rigidi di cessione, lasciando agli interessati di raggiungere l’accordo nel modo più conveniente sotto la guida prudente e vigilante del giudice. Così la cessione potrà assumere la forma del trasferimento dei beni ai creditori in proprietà, o quella della procura irrevocabile, o quella di una liquidazione giudiziale vera e propria (art. 182) (….)”. Alla cessione dei beni, il legislatore dedicava una sola disposizione, l’art. 182 l. fall., che peraltro se ne occupava con esclusivo riguardo al suo momento iniziale, sotto il profilo del contenuto del provvedimento pronunciato dal tribunale e della nomina degli organi preposti; non a torto, quindi, la dottrina rilevava che era lo stesso legislatore a lasciare l’istituto nell’ombra, e che ciò era la causa dello scarso interesse ricostruttivo da parte degli studiosi delle procedure concorsuali[33]. D’altra parte, l’art. 185, ossia l’unica disposizione dedicata alla esecuzione del concordato, si limitava a prevedere (al comma 1) il potere di vigilanza del commissario giudiziale, stabilendo che egli dovesse sorvegliare l’adempimento del concordato secondo le modalità stabilite dalla sentenza di omologazione.
E’ in questo contesto che, come abbiamo visto, la giurisprudenza, chiamata a risolvere problemi concreti, si era impegnata nella ricostruzione della natura giuridica (“coattiva” o “privatistica”) delle vendite compiute dal liquidatore: facendone discendere o meno la possibilità di cancellazione dei gravami, l’applicazione delle prelazioni legali e convenzionali e il riconoscimento al giudice delegato del potere di sospendere l’aggiudicazione ai sensi dell’art l08 l. fall.
Affrontando, oggi, gli analoghi problemi che pone la liquidazione dei beni nel concordato in continuità, quando la vendita sia effettuata dal debitore, riteniamo che la questione debba essere impostata in modo almeno in parte differente rispetto alla ricostruzione generalmente ricevuta[34].
Esaminando la vendita concordataria, occorre distinguere il profilo funzionale dagli elementi strutturali, e su tale base individuarne la disciplina giuridica: perché, come vedremo, l’applicabilità di talune regole dipende dalla funzione che la vendita esplica (ossia, dalla sua causa giuridica), mentre altre dalla struttura della stessa (vale a dire, dalla relativa fattispecie).
A prescindere dal dibattito circa la natura del concordato[35], è a nostro avviso difficilmente discutibile – sotto l’aspetto della struttura – che la vendita, compiuta dall’imprenditore in esecuzione del concordato, si configuri come una vendita volontaria e non in senso proprio come una vendita coattiva[36], se per tale si intenda – come indica la teoria generale[37]– la vendita posta in essere indipendentemente dalla (ed eventualmente anche contro la) volontà del titolare del diritto, ossia il debitore[38]. Se è coattiva la vendita che attua l’effetto traslativo prescindendo dalla volontà del titolare del diritto di trasferirlo ad altri, tale non può considerarsi la vendita compiuta dal debitore: essendo conclusa per effetto dell’accordo delle parti (art. 1326 c.c.), risultante dall’incontro tra la proposta (normalmente, dell’imprenditore-debitore) e la accettazione del terzo (normalmente, l’acquirente), il trasferimento del diritto avviene per effetto (anche) di una manifestazione di volontà del suo titolare (l’imprenditore-debitore), secondo il paradigma dell’art. 1376 c.c. (“(….) la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistato per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”). Pertanto, in senso proprio, ossia sotto il profilo strutturale, le vendite concordatarie, quando siano compiute dal debitore, non si possono qualificare come vendite coattive, in quanto il trasferimento del diritto (non avviene indipendentemente dalla volontà del debitore, bensì) è riconducibile a una sua manifestazione di volontà, volta a trasferire il diritto sulla cosa ad altri[39]. E riteniamo che non richieda specifica dimostrazione l’affermazione che l’atto dovuto (si pensi, tipicamente, all’adempimento dell’obbligazione) non cessa, per tale sua caratteristica (ossia la qualificazione normativa di giuridica necessità), di essere un atto volontario del soggetto che lo realizza, e ciò anche se si tratti di un atto negoziale (come nel caso dell’obbligo di concludere un contratto: art. 2932 c.c.); e che il problema della esecuzione forzata per surrogazione (ossia, che prescinde dalla volontà dell’obbligato e ad essa si sostituisce) si pone, per l’appunto, nel caso in cui l’atto dovuto sia mancato, perché il soggetto tenuto non ha spontaneamente adempiuto all’obbligo. Si tratta, dunque, pur sempre di una vendita volontaria, anche se non è libera, perché è dovuta[40].
E’ di un qualche interesse sottolineare che le Sezioni Unite, nella già ricordata sentenza n. 19506/2008, a conclusione della ricostruzione compiuta, osservavano che la fase esecutiva del concordato per cessione, la quale si realizza, se vi provvede il debitore, in un contesto procedimentalizzato e attraverso atti dovuti (“atti che il medesimo debitore non sarebbe ormai più libero di non compiere”, nelle parole della Corte), è assimilabile a un procedimento di vendita coattiva[41]; e in questa assimilazione vi è, a nostro avviso, il segno della profonda e ineliminabile differenza che impedisce la perfetta identificazione tra le due figure, ossia di affermare che la vendita del debitore è una vendita coattiva.
Più appropriata, e rispondente alla realtà delle cose, è la qualificazione come vendita volontaria giudizialmente controllata: perché avviene sotto la vigilanza degli organi della procedura e in un contesto procedimentalizzato, nell’ambito del quale si può assistere (come la prassi conferma) anche all’esercizio da parte del tribunale di poteri conformativi, che integrano il contenuto dell’atto di autonomia privata (dando luogo a un fenomeno di regolamentazione eteronoma del contratto).
Sotto l’aspetto strutturale, quindi, la vendita del debitore in esecuzione del concordato (come, ovviamente e a maggior ragione, la vendita effettuata dal debitore, debitamente autorizzato, dopo il deposito della domanda e prima della omologazione)[42] non è equiparabile alla vendita coattiva compiuta in un processo di espropriazione forzata.
Ma lo è, invece, dal punto di vista della funzione: anche la vendita effettuata dal debitore nel concordato o in sua esecuzione si colloca nell’ambito – ed è prevista per gli scopi – di un procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore, in cui ha luogo (tramite la vendita) la trasformazione in denaro dei beni in funzione del soddisfacimento dei creditori, a cui viene distribuito il ricavato dalla liquidazione secondo le regole del concorso sostanziale (ossia, l’insieme delle regole che si occupano di disciplinare la misura in cui ciascun creditore, in rapporto con gli altri, ha diritto di soddisfarsi sul patrimonio del debitore)[43]. Non, dunque, una generica finalità di soddisfacimento dei creditori, bensì una specifica funzione di attuazione della responsabilità patrimoniale, mediante la liquidazione dei diritti patrimoniali del debitore sui beni (art. 2740 c.c.) e la distribuzione del ricavato ai creditori secondo le regole del concorso sostanziale (art. 2741 c.c.), come declinate nell’ambito dell’istituto concordatario.
E non potrebbe che apparire intimamente contraddittorio, ci sembra, ritenere che la funzione della liquidazione dei beni nel concordato in continuità aziendale muti, a seconda che il tribunale, nella sua sovrana discrezionalità, nella sentenza di omologazione abbia nominato o meno il liquidatore; e, pertanto, negare che la vendita dei beni da parte del debitore sia preordinata a quella medesima funzione, che avrebbe assolto la vendita di quei medesimi beni da parte del liquidatore, se fosse stato nominato dal tribunale: ossia, quella medesima funzione di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore, che è comune alle vendite (coattive) nel concordato liquidatorio con cessione[44], nella espropriazione forzata e nella liquidazione giudiziale[45]. Se fosse lecito interpretare la sentenza n. 19506/2008, che abbiamo poco sopra ricordato, diremmo che è a questo profilo, di carattere funzionale, che le Sezioni Unite si riferiscono, quando affermano la assimilabilità della fase esecutiva del concordato con cessione dei beni a un procedimento di esecuzione forzata, precisando – si noti – che nulla muta, a seconda che alla vendita provveda l’imprenditore stesso o il liquidatore[46]. A ragione, la giurisprudenza di merito più risalente, nell’occuparsi delle vendite effettuate dal liquidatore del concordato preventivo per cessione, al fine di stabilire se ad esse conseguissero o meno gli effetti tipici delle vendite forzate, primo tra tutti l’effetto purgativo delle garanzie reali, alla (formale) ascrizione della vendita al “genus espropriazione forzata”, subito aggiungeva il rilievo circa la identità della “funzione, che rimane quella di realizzare (su tutti i beni del debitore) la garanzia generica a favore dei creditori”, concludendo che “la vendita eseguita dal liquidatore giudiziale, se pur rivestita dalle forme civilistiche del contratto di compravendita, rimane inquadrabile funzionalmente come vendita forzata”[47].
Che l’iniziativa per l’apertura del procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale sia stata assunta dal debitore o da un terzo, e che, al suo interno (o in esecuzione dello stesso), la vendita sia compiuta per volontà del debitore o a prescindere dalla stessa, per il mezzo dell’intervento surrogatorio di un terzo, non cambia la funzione che la vendita assolve.
Il concordato non è l’unico istituto, la cui funzione è l’attuazione della garanzia patrimoniale del debitore, e che nondimeno non dà luogo a una forma di attuazione coattiva della garanzia patrimoniale: il concordato è un procedimento pubblico, aperto e vigilato dall’autorità giudiziaria per la attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore, la cui instaurazione è riservata all’iniziativa e, quindi, alla volontà del debitore; e per questo non costituisce un procedimento pubblico (giurisdizionale o amministrativo) di esecuzione forzata, instaurato (e proseguito) a prescindere, e anche contro, la volontà del debitore, per iniziativa dei creditori, oppure di un soggetto terzo, nel loro interesse (come può avvenire nella liquidazione giudiziale)[48]. Si pensi – senza volere fare riferimento ad altri strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal CCII – al contratto di cessione dei beni ai creditori (artt. 1977 ss. c.c.), di cui si rilevano, con osservazione ampiamente condivisa, il carattere volontario (consensuale) e la sostanziale equivalenza, sotto il profilo funzionale, con le procedure di espropriazione forzata, quale istituto preordinato a imprimere sui beni del debitore un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei creditori cessionari, in concorso tra loro, mediante la liquidazione dei beni ceduti[49].
La relazione che sussiste tra l’art. 2740 c.c. e l’art. 2910 c.c. va rettamente intesa. Come indica la dottrina, al principio della garanzia patrimoniale si accompagna la responsabilità patrimoniale, ossia la soggezione del patrimonio del debitore – in caso di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria – al soddisfacimento coattivo dei crediti, a cui (al lato attivo) corrisponde (e deve corrispondere: art. 24 Cost.) il diritto (potere) dei creditori di fare espropriare i beni del debitore al fine di conseguire il soddisfacimento dei propri diritti[50]. Ma ciò non significa che l’ordinamento non possa prevedere – e in effetti preveda [51]– anche altri istituti, che esplicano la medesima funzione, di attuazione della garanzia patrimoniale mediante la liquidazione dei diritti patrimoniali del debitore e la distribuzione del ricavato ai creditori, ma che nondimeno sono privi degli elementi caratteristici dei procedimenti di esecuzione forzata, e pertanto non possono essere qualificati come tali: o perché non hanno natura pubblica, in quanto non sono procedimenti aperti, diretti e vigilati da un organo pubblico (autorità giurisdizionale o pubblica amministrazione), oppure perché non hanno carattere coattivo, in quanto non operano a prescindere dalla (e anche contro la) volontà del debitore.
Quando, nel piano di concordato in continuità, il debitore preveda di soddisfare i creditori concorsuali (anche) con la liquidazione di parte del suo patrimonio (costituita da beni non strategici) o con la cessione dell’azienda, e pertanto preveda la liquidazione di tale porzione del patrimonio al fine di distribuire il ricavato a questi creditori (e ai titolari di crediti legalmente sorti nel corso della procedura), con ciò imprime un vincolo di indisponibilità su tali beni, che vanno a costituire un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento dei creditori secondo le regole del concorso; e il procedimento di concordato si configura (anche) come un processo di attuazione della responsabilità patrimoniale mediante liquidazione dei beni che rientrano in tale porzione del patrimonio[52]. Ciò, in modo non diverso, in parte qua, dal concordato liquidatorio, che riguarda – e, secondo la giurisprudenza e parte della dottrina, non può non riguardare[53]– l’intero patrimonio del debitore.
Le vendite dei beni destinati al soddisfacimento dei creditori compiute dal debitore sono (strutturalmente) vendite volontarie, ma, essendo realizzate per la attuazione della responsabilità patrimoniale, hanno la medesima funzione delle vendite (coattive) nel concordato liquidatorio, nella liquidazione giudiziale e nella espropriazione forzata individuale.
Ed è sotto questo, decisivo, profilo, ossia della funzione, che esse si distinguono dalle vendite, parimenti volontarie, dei beni che costituiscono il prodotto della attività imprenditoriale che prosegue nel concordato in continuità aziendale: le quali, non riguardando beni di cui il debitore abbia previsto nel piano la liquidazione in funzione del soddisfacimento dei creditori, sono soggette alla ordinaria disciplina della compravendita e non producono gli speciali effetti ricollegati alle vendite aventi tale funzione, primo tra tutti l’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia[54].
A chiusura di questi rilievi, con una formulazione sintetica, potremmo discorrere di vendite volontarie giudizialmente controllate con finalità esecutive: “volontarie giudizialmente controllate”, perché sono compiute dal debitore, sotto il controllo (e talvolta la previa autorizzazione) dell’autorità giudiziaria e degli organi della procedura; “con finalità esecutive”, perché attuano la responsabilità patrimoniale al fine di soddisfare i creditori secondo le regole del concorso, esattamente come – sotto il profilo della funzione – le vendite nei processi di esecuzione forzata, senza però essere – sotto il profilo della struttura – vendite forzate. In breve: esecutivo è il fine, ma non il mezzo.
5. Gli artt. 2919 ss. c.c. sugli effetti sostanziali della vendita forzata.
Le disposizioni degli artt. 2919 ss. c.c., sugli effetti sostanziali della vendita forzata nella espropriazione singolare, trovano il proprio antecedente nell’acceso dibattito che impegnava la dottrina nel vigore dei codici civile e di procedura civile del 1865, i quali non dettavano una disciplina organica ed esaustiva degli effetti della vendita forzata.
Lasciando in disparte le dispute inerenti alla “natura” della vendita forzata, approssimativamente ascrivibili alla contrapposizione tra la teoria contrattualistica e la teoria pubblicistica (che finì per prevalere, soprattutto a seguito della ricostruzione di Salvatore Pugliatti)[55], due erano i problemi maggiormente discussi, in ordine agli effetti sostanziali della vendita forzata, a raffronto con quelli della vendita negoziale: se – nonostante il disposto dell’art. 686 c.p.c. 1865 in tema di trasferimento di (diritti sui) beni immobili[56] – la vendita forzata desse luogo un trasferimento a titolo derivativo o a un acquisto a titolo originario dell’aggiudicatario[57]; se – esclusa la garanzia per i vizi (sancita dall’art. 1506 c.c.)[58] – si applicasse o meno la garanzia in caso di evizione (prevista per la vendita dall’art. 1498 c.c. insieme alla garanzia per i vizi, ma la cui disciplina, agli artt. 1482-1497, non prendeva in alcun modo in considerazione la vendita forzata, a differenza di quanto faceva quella dettata per la garanzia per i vizi con il richiamato art. 1506 c.c.)[59].
Era invece assolutamente pacifico quale fosse l’effetto della vendita forzata rispetto all’ipoteca, ossia che ne determinasse l’estinzione (c.d. effetto purgativo), come si traeva dagli artt. 716 e 722 c.p.c. 1865[60]; e non era dubbio che identica sorte spettasse – in difetto, come ancora oggi, di una disposizione espressa – al pegno e ai privilegi speciali[61]. Il che, lo notiamo sin d’ora, costituisce indice significativo di un dato, che si reputa talmente connaturato alla vendita forzata, da risultare sovente inespresso: ossia che la vendita forzata – nonostante le gravi dispute (nel vigore dei codici liberali) circa la sua natura giuridica e la tipologia dell’acquisto in capo all’aggiudicatario – proprio perché effettuata nell’ambito di un procedimento di attuazione della garanzia patrimoniale, e quindi per la funzione che essa esplica, deve, innanzitutto, determinare la purgazione delle ipoteche, dei pegni e dei privilegi speciali[62].
Nel Libro VI del vigente Codice civile, sulla tutela dei diritti, trovano posto (al Titolo IV, dedicato alla tutela giurisdizionale dei diritti) le norme che costituiscono il passaggio tra diritto sostanziale e processo, le quali prevedono i tipi di tutela giurisdizionale e gli effetti dei provvedimenti nella realtà materiale; è l’unità dell’ordinamento a richiedere di disciplinare i rapporti tra sostanza processo, e questi rapporti sono particolarmente evidenti e rilevanti proprio nell’esecuzione forzata, a cui è dedicato l’intero Capo II.
Nel § 3 della sezione dedicata alla espropriazione, trovano sistemazione le disposizioni sugli effetti della vendita forzata (e della assegnazione), con le quali il legislatore del Codice del 1942 risolve i gravi problemi che avevano affaticato la dottrina sotto il vigore dei codici previgenti, impegnandola nella ricostruzione teorica della “natura” della vendita forzata[63].
Si chiarisce, innanzitutto, con l’art. 2919 c.c., che la vendita forzata – esattamente come la vendita volontaria – realizza un trasferimento a titolo derivativo, salvo l’operare della regola generale dell’art. 1153 c.c. per i beni mobili. L’acquisto avviene invito domino, ma nondimeno a titolo derivativo, in quanto l’aggiudicatario acquista i diritti che sulla cosa spettavano all’esecutato[64]. Costituisce un’eccezione al principio della derivatività l’inopponibilità all’aggiudicatario dei diritti acquistati da terzi sulla cosa, se essi non hanno effetto nei confronti del creditore pignorante e degli intervenuti: eccezione solo apparente, però, perché ricollegata agli effetti conservativi del pignoramento di cui agli artt. 2913 e 2914 c.c., previsti e disciplinati in vista e in funzione della vendita forzata[65].
Il problema della evizione è risolto, prevedendo che nella vendita forzata operi, in luogo della garanzia per evizione, la regola specifica dell’art. 2921 c.c.: regola, che risponde alla logica non della garanzia, bensì della condictio indebiti, e reca evidentissimi i segni della elaborazione della dottrina[66].
L’esclusione della garanzia per evizione, così come della garanzia per i vizi disposta dall’art. 2922 c.c.[67], si spiega con il rilievo che la vendita forzata, sebbene operi, al pari della vendita volontaria, un trasferimento del diritto, lo attua – qui sta il punto e la ragione del distinguere – in via coattiva: ossia a prescindere della volontà del debitore e in virtù del provvedimento del giudice[68]. La garanzia per evizione e la garanzia per i vizi si fondano sulla volontarietà del trasferimento, e quindi sulla imputabilità al venditore di una circostanza, che nelle vendite forzate non può essere addebitata al debitore espropriato[69].
6. Disciplina giuridica ed effetti sostanziali delle vendite concordatarie compiute dall’imprenditore: a) effetto purgativo delle garanzie reali ed esonero del cessionario dell’azienda dalla responsabilità per i debiti pregressi.
Tornando al tema di specifico interesse, non dovrebbe essere difficile individuare le conseguenze che discendono dal discorso svolto.
Alla funzione che la vendita concordataria esplica, si ricollega l’effetto purgativo delle garanzie reali (e dei vincoli in genere a tutela del credito e della garanzia patrimoniale, come il pignoramento e il sequestro conservativo), quale effetto giuridico proprio di un istituto di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore e di soddisfacimento dei creditori secondo le regole del concorso[70].
Il concordato preventivo – il punto non richiede specifica dimostrazione – è un istituto di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.), in cui si realizza il soddisfacimento delle ragioni dei creditori (anteriori alla presentazione della domanda) secondo le regole del concorso sostanziale (come declinate dalla legge in relazione allo strumento concordatario), in base a quanto previsto nella proposta di concordato omologata, a cui essi sono vincolati (art. 117).
E dove rilevano i diritti di prelazione è – per l’appunto – in sede di attuazione della responsabilità patrimoniale nel concorso dei creditori, in quanto essi disciplinano i rapporti dei creditori tra loro in ordine al soddisfacimento sui beni del debitore (art. 2741 c.c.): ipoteca, pegno e privilegio conferiscono principalmente al creditore il diritto di essere soddisfatto con preferenza rispetto agli altri creditori concorrenti sul ricavato dalla liquidazione del bene oggetto della garanzia e, dunque, definiscono – all’interno del gruppo dei creditori concorrenti – la posizione di ciascuno rispetto agli altri[71].
E’ quindi profondamente coerente che – una volta liquidato il bene e ricavate le somme da destinare al prioritario soddisfacimento del creditore prelazionario – la garanzia reale si estingua: perché è realizzato lo scopo per la quale essa è istituita. Vero è che la garanzia reale attribuisce al titolare lo ius sequelae, che consente di far valere la garanzia anche nei confronti dei terzi acquirenti del bene (ai sensi e nei limiti previsti dalla legge), e ciò nel senso, specifico, di conferire al creditore il diritto di far espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito, anche in confronto del terzo acquirente (art. 2808 c.c.); ma ciò, in funzione della realizzazione della garanzia specifica, ossia dello ius praelationis, che comporta la facoltà di soddisfare la pretesa creditoria con preferenza sul prezzo ricavato dalla vendita forzata: e pertanto, allorché il creditore si soddisfa con preferenza sul ricavato della vendita realizzata e posta in essere in un procedimento istituzionalmente preordinato all’attuazione della responsabilità patrimoniale e al soddisfacimento dei creditori secondo le regole del concorso, egli realizza il suo diritto di garanzia, che conseguentemente si estingue.
Il creditore munito di ipoteca – dispone l’art. 2808 c.c. – ha diritto di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione, e l’ipoteca si estingue, una volta che il bene sia espropriato e il giudice ne abbia ordinato la cancellazione (art. 2878, comma 1, n. 7), c.c.); ma l’estinzione dell’ipoteca va posta in diretta relazione, a nostro avviso, non con il carattere coattivo del procedimento di espropriazione forzata, sibbene con la funzione che esso esplica, quale mezzo di attuazione della responsabilità patrimoniale (secondo la relazione istituita tra l’art. 2740 c.c. e l’art. 2910 c.c.), all’interno del quale trova realizzazione il diritto di prelazione. Non si spiegherebbe altrimenti, la ragione per cui, invece, l’ipoteca è insensibile ad altre vendite (giudiziali) coattive, che, però, non assolvono tale funzione; la quale cosa dimostra che decisiva ai fini dell’effetto purgativo non è la “natura” della vendita, bensì la sua funzione[72].
D’altra parte, l’attuazione dei diritti di prelazione nel procedimento di esecuzione forzata non deve fare dimenticare la natura sostanziale di queste posizioni giuridiche di vantaggio[73], che possono essere esercitate, e realizzate, anche in sede stragiudiziale, ossia al di fuori del processo esecutivo, nell’ambito di istituti preordinati a realizzare il soddisfacimento dei creditori in concorso tra loro, mediante la liquidazione dei beni: si pensi alla cessione dei beni ai creditori, a cui abbiamo già fatto riferimento, nella quale “i creditori devono ripartire tra loro le somme ricavate in proporzione dei rispettivi crediti, salve le cause di prelazione (…)” (art. 1982 c.c.), nonché, più ampiamente, ai procedimenti non giurisdizionali di liquidazione concorsuale dei beni.
Invero, i diritti di prelazione possono essere fatti valere anche al di fuori della espropriazione forzata, nell’ambito delle procedure che si definiscono di liquidazione privata e volontaria di beni, per il soddisfacimento di più creditori in concorso tra loro: procedure che operano per volontà del debitore (o del soggetto responsabile per il debito altrui), ma che nondimeno esplicano una funzione analoga, di realizzazione dei crediti garantiti da un singolo bene o da un patrimonio, secondo le regole del concorso sostanziale[74].
Ne costituisce un esempio, la procedura concorsuale di pagamento dei creditori ereditari in sede di liquidazione dell’eredità accettata con beneficio di inventario (di cui l’erede può volontariamente avvalersi: art. 503 c.c.), procedura prevista – come sottolinea la dottrina[75]– per il soddisfacimento dei creditori (e dei legatari) in concorso tra loro, nel rispetto del principio di parità di trattamento, salvo le cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.). Nello stato di graduazione, i creditori devono essere collocati secondo i rispettivi diritti di prelazione (art. 499, comma 2, c.c.) e se l’alienazione ha ad oggetto beni sottoposti a privilegio o a ipoteca, il privilegio si estingue, e le ipoteche possono essere cancellate, una volta che l’acquirente abbia depositato il prezzo nel modo stabilito dal giudice o i creditori inclusi nello stato di graduazione siano stati pagati (art. 499, comma 1, c.c.)[76].
E’ per questo, che i diritti reali di garanzia sui beni (come il sequestro conservativo e il pignoramento) vengono meno con la vendita che assolve tale funzione, e invece rimangono insensibili a una vendita ordinaria, nonostante la prima, esattamente come la seconda, dia luogo a un trasferimento a titolo derivativo.
Che l’effetto purgativo sia ricollegato alla funzione che la vendita esplica nel procedimento di concordato è confermato da una serie di disposizioni, che rispondono alla sua fondamentale connotazione quale mezzo di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore per il soddisfacimento dei creditori in concorso tra loro.
Nel concordato, esattamente come nella liquidazione giudiziale, devono essere realizzati i diritti di prelazione, secondo la fondamentale disposizione dell’art. 153, comma 1 (richiamata dall’art. 96): “i creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale, gli interessi e le spese” e, se non sono soddisfatti integralmente, “concorrono, per quanto è ancora loro dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell’attivo”. E questa disposizione sta a indicare che nel concordato, in quanto processo di attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.), si devono rispettare (e ricevere attuazione) i precetti sostanziali sul concorso dei creditori e le cause di prelazione (art. 2741 c.c.). Non si spiegherebbero altrimenti le regole, specifiche del concordato, per cui al creditore con causa di prelazione deve essere assicurato il soddisfacimento integrale del proprio credito o, in caso contrario, “in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti” (art. 84, comma 6), e secondo cui non può essere prevista una moratoria del loro pagamento, se “sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione” (art. 86). E neppure si comprenderebbe la regola della inefficacia per i creditori concorrenti dei diritti di prelazione acquistati dopo la presentazione della domanda (artt. 46 e 94, salvo l’autorizzazione del giudice), così come di quelli acquistati anteriormente, per i quali non siano state eseguite tempestivamente le formalità per renderli opponibili ai terzi (art. 145, richiamato dall’art. 96).
Che non vi sia alcuna incompatibilità di principio tra la vendita concordataria compiuta dal debitore e la funzione di attuazione della garanza patrimoniale, era già rilevato nella più volte citata sentenza delle Sezioni Unite n. 19506/2008: “la vendita dei beni formanti oggetto della cessione, – qui sta il punto – ove pure vi provveda direttamente l’imprenditore non spossessato (ed, a maggior ragione, quando essa è affidata ad un liquidatore di nomina giudiziale), si realizza in un contesto proceduralizzato dai dettami del concordato omologato, attraverso atti che il medesimo debitore non sarebbe più ormai libero di non compiere, per finalità satisfattorie dei creditori del tutto analoghe a quelle della procedura esecutiva fallimentare ed in un ambito di controlli pubblici del pari destinati a garantire il raggiungimento di tale finalità”; affermazione, da cui la Corte aveva dedotto che “(in generale, ma tanto più quando si sia proceduto alla nomina di un commissario liquidatore, con compiti per molti aspetti non dissimili da quelli di un curatore fallimentare) anche la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni è riconducibile ad una più vasta categoria di procedimenti di esecuzione forzata (in senso lato) al pari della procedura fallimentare”[77].
Un’ulteriore, e inequivocabile, conferma, che non vi sia alcuna incompatibilità oggettiva tra vendita compiuta dal debitore (e, quindi, per noi, volontaria, ancorché dovuta) in funzione della attuazione della responsabilità patrimoniale ed effetto purgativo, è offerta dal legislatore del Codice della crisi, nelle disposizioni che ricollegano l’effetto purgativo alle vendite, previste da un piano omologato, a cui provvede il debitore stesso mediante procedure competitive, ai sensi dell’art. 71, comma 1 e 2 (per il piano di ristrutturazione del consumatore) e dell’art. 81, comma 1 e 2 (per il concordato minore)[78].
Tornando all’art. 114-bis, possiamo enunciare una prima conclusione.
La disposizione, nella parte in cui prevede (al comma 3) che, in caso di nomina del liquidatore, alla cancellazione si provveda su ordine del giudice, non legittima una interpretazione a contrario, giusta la quale essa esclude il (presupposto) effetto purgativo della vendita, quando la vendita sia, invece, compiuta dal debitore. La disposizione, a nostro avviso, pone una mera regola di tecnica procedurale, in ordine alle modalità con cui – in ragione dell’effetto estintivo dell’ipoteca ricollegato alla vendita [79]– si provvede alla formale cancellazione dell’ipoteca, quando la vendita sia fatta dal liquidatore nominato dal tribunale (la cancellazione è comunque fatta su ordine del giudice, una volta riscosso interamente il prezzo, salva diversa disposizione nella sentenza di omologazione).
Pertanto, qualora sia mancata la nomina del liquidatore, e la vendita sia compiuta dal debitore, si applica l’art. 118, comma 7, che, con previsione di portata generale, stabilisce, in caso di trasferimento di beni, che il commissario giudiziale – sul presupposto dell’effetto purgativo ricollegato al trasferimento compiuto – richieda al tribunale di disporre la cancellazione delle formalità iscritte[80].
Discorso analogo vale per la deroga all’art. 2560, comma 2, c.c., nel caso di trasferimento dell’azienda.
Nel testo originario della legge fallimentare, che non si occupava di questo problema, la dottrina aveva rilevato che se la finalità dell’art. 2560, comma 2, c.c. è di tutelare i creditori, dinanzi al trasferimento di una parte consistente del patrimonio del debitore, sulla quale essi ripongono l’aspettativa di soddisfazione dei propri diritti (art. 2740 c.c.), mediante la assunzione, alle condizioni previste dalla disposizione, della responsabilità per i debiti da parte dell’acquirente (a cui è quindi attribuita una responsabilità ex lege per i debiti altrui); allora, la norma non avrebbe dovuto applicarsi, quando il trasferimento dell’azienda avveniva all’interno del fallimento, in quanto procedimento (concorsuale) in di attuazione della garanzia patrimoniale del debitore in funzione del soddisfacimento dei diritti dei creditori[81]. E questa conclusione – incentrata sul profilo funzionale della vendita nel fallimento – vale anche per la vendita nel concordato, attesa l’identità di funzione.
E’ per questa, decisiva, ragione, che, a nostro avviso, se il concordato in continuità preveda il trasferimento dell’azienda, il cessionario o l’acquirente – come stabilisce la disposizione generale dell’art. 118, comma 8 – non risponde dei debiti anteriori al trasferimento, salva diversa disposizione del piano di concordato[82].
I risultati a cui siamo pervenuti valgono, anche nel caso in cui il trasferimento del bene non strategico o dell’azienda avvenga nel corso della procedura di concordato, prima della omologazione, ai sensi degli artt. 46 e 94, oppure dell’art. 91. La cessione ha infatti la medesima funzione di attuazione della garanzia patrimoniale, e ad essa pertanto seguono l’effetto purgativo dei diritti di prelazione sul bene e la irresponsabilità dell’acquirente dell’azienda per i debiti anteriori al trasferimento (salva diversa disposizione prevista dal provvedimento giudiziale di autorizzazione, recepita nel negozio giuridico in cui ha titolo il trasferimento dell’azienda)[83].
7. Segue: b) applicazione degli artt. da 2919 a 2929 c.c.
Venendo alla applicazione degli artt. da 2919 a 2929 c.c. alla vendita compiuta dal debitore nel concordato in continuità – ossia delle disposizioni che il comma 3 dell’art. 114-bis dichiara applicabili in caso di nomina del liquidatore – occorre distinguere.
Non può esservi dubbio, a nostro avviso, che si applichi l’art. 2919 c.c. o, se si preferisce, che si applichino regole corrispondenti a quelle dettate da questa disposizione: non solo, ed ovviamente, nella parte in cui essa sancisce il carattere derivativo dell’acquisto – che accomuna la vendita forzata alla vendita volontaria – ma anche, e soprattutto, nella parte in cui apporta quella che abbiamo definito un’apparente eccezione al principio della derivatività. Infatti, la domanda di concordato ha effetti conservativi, che (per quanto qui rileva) rendono inefficaci nei confronti dei creditori concorrenti i diritti acquistati da terzi sui beni vincolati al loro soddisfacimento (artt. 46 e 94, salvo autorizzazione dell’autorità giudiziaria), ed è incontestabile che tali effetti – i quali sono sempre ex lege ricollegati alla domanda in quanto tale, indipendentemente dal contenuto (liquidatorio o in continuità) del piano e dalla (futura e talvolta eventuale) nomina del liquidatore – sono previsti e disciplinati in vista della liquidazione del bene in funzione del soddisfacimento dei creditori; se ne deve allora dedurre che i diritti acquistati dai terzi sulla cosa, che non hanno effetto in pregiudizio dei creditori concorrenti, sono inopponibili anche all’acquirente del bene, nel caso in cui la vendita sia effettuata dal debitore, non diversamente da quanto lo sarebbero stati, se fosse stata effettuata dal liquidatore, qualora nominato dal tribunale nella sentenza di omologazione.
L’art. 2920 c.c. completa, quanto ai beni mobili, l’art. 2919 c.c. Poiché, anche nella vendita forzata, trova applicazione il disposto dell’art. 1153 c.c., il terzo – quando l’aggiudicatario acquisti in buona fede il possesso sul bene – perde il diritto di proprietà o il diritto reale sul bene; il suo diritto si converte nel diritto di soddisfarsi sul prezzo pagato, sino a che non sia distribuito ai creditori (pretium succedit in locum rei)[84], esclusa un’azione del terzo sacrificato verso i creditori pagati per fare valere un ingiustificato arricchimento, che nella specie non sussiste, avendo essi ricevuto quanto era loro dovuto, nonostante il prezzo distribuito costituisse il provento della vendita di una cosa non appartenente al loro debitore[85]. Questa disposizione, contenendo un precetto applicazione di una regola generale, opera anche in caso di vendita volontaria del debitore.
E’ invece esclusa l’applicazione dell’art. 2920 c.c., nella parte in cui detta una regola, che è da porre in relazione con il carattere coattivo della vendita. La previsione della responsabilità del creditore procedente di mala fede per i danni e le spese, ovviamente, non è applicabile in caso di vendita volontaria, rispetto alla quale è semmai configurabile un’azione di risarcimento del danno nei confronti del venditore abusivo da parte del proprietario espropriato, ai sensi dell’art. 2043 c.c., se ne sussistano i presupposti.
Residua, infine, l’azione del terzo, titolare sacrificato, nei confronti del debitore a titolo di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., dato che egli ha soddisfatto un debito proprio mediante il ricavato dalla vendita di un bene altrui: ma si tratta, ancora una volta, di una forma di tutela che discende dai principi generali, e che pacificamente opera anche in caso di vendita forzata, sebbene non sia prevista dall’art. 2920 c.c.[86].
Altre disposizioni, invece, sebbene siano anch’esse da porre in relazione con la funzione della vendita forzata, nondimeno rinvengono un loro presupposto specifico di applicazione nella struttura della stessa, ossia nella circostanza che la vendita – di cui quindi rileva in modo decisivo la fattispecie – si configuri come una vendita coattiva, nel senso sopra chiarito.
Come abbiamo visto, la circostanza che la vendita avvenga a prescindere della volontà del debitore è l’elemento a base della esclusione della garanzia per l’evizione e della applicazione in sua vece del precetto di cui all’art. 2921 c.c., così come della esclusione della garanzia per i vizi sancita dall’art. 2922 c.c.[87]; ed è quindi profondamente coerente affermare che se, invece, la vendita concordataria sia compiuta dal debitore, e si atteggi dunque come una vendita volontaria, la garanzia per l’evizione e per i vizi operano secondo la ordinaria disciplina della compravendita, e possono essere derogate, per patto tra le parti, alle condizioni e nella misura in cui tale disciplina lo consente (rispettivamente, agli artt. 1487 e 1488 c.c., e all’art. 1490, comma 2, c.c.).
Lasciando in disparte le altre disposizioni del § 3 sugli effetti sostanziali della vendita forzata, occorre soffermare l’attenzione sull’art. 2929 c.c. La disposizione – che si occupa di un problema affatto diverso – attiene all’ambito processuale, ma esplica un’indiretta rilevanza sul piano sostanziale. Essa assicura la stabilità degli effetti della vendita forzata rispetto ai vizi degli atti del procedimento che l’hanno preceduta, sancendo che le nullità (formali) di tali atti non possono essere fatte valere contro l’aggiudicatario (salvo il caso di collusione con il creditore procedente), la cui posizione è pertanto svincolata dalla validità degli atti anteriori al procedimento di vendita, del quale non è stato parte[88]. Da questa disposizione si trae che diverso regime hanno, invece, le nullità (extraformali e formali) della vendita o degli atti del sub-procedimento di vendita, che possono essere fatte valere nei confronti dell’aggiudicatario, quale motivo per chiedere la caducazione degli effetti della vendita forzata[89].
Quando si verifica una nullità della vendita o del sub-procedimento di vendita – questo l’aspetto che soprattutto rileva ai nostri fini – essa è sì opponibile all’aggiudicatario, ma la nullità degli atti del procedimento deve essere fatta valere all’interno del processo esecutivo con il rimedio all’uopo previsto dalla legge, nei termini e con le forme per esso stabiliti, ossia, nell’espropriazione forzata, con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.; se l’opposizione non sia proposta, il vizio dell’atto diviene irrilevante e i suoi effetti si consolidano. In breve, si applica sostanzialmente il principio dell’onere dell’impugnazione[90].
Tornando al nostro tema, ne ricaviamo che se la vendita è effettuata dal liquidatore, la nullità dell’atto di vendita o degli atti del sub-procedimento di vendita deve essere fatta valere con il reclamo ex art. 133. L’avere previsto (con l’introduzione dell’art. 94-bis da parte del secondo correttivo) l’esperibilità del reclamo ex art. 133 avverso gli atti del liquidatore, oltre a risolvere la questione della individuazione dello strumento utilizzabile per fare valere i vizi degli atti della sequenza di vendita[91], configura l’onere dell’impugnazione, con le conseguenze di cui si è detto.
Sempre a mezzo del reclamo dell’art. 133, facendo applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale, devono essere fatti valere anche l’impugnazione per aliud pro alio e per vizi della volontà dell’acquirente, che si ritengono esperibili anche avverso la vendita forzata[92].
Invece, se la vendita sia compiuta dal debitore, i vizi di invalidità dell’atto e i difetti di funzionamento del sinallagma possono (e debbono) essere fatti valere con (e secondo la disciplina de) gli ordinari rimedi previsti dalla disciplina di diritto civile per l’impugnazione del contratto di compravendita (azioni di nullità, annullamento, azione di garanzia per l’evizione, azioni edilizie, azione di risoluzione); e, sempre secondo le regole ordinarie, è altresì ammesso da parte dell’acquirente l’esercizio della domanda di risarcimento del danno nei confronti del debitore (ad esempio, per i vizi della cosa, ex art. 1494 c.c.), salvo deroghe per patto espresso tra le parti.
8. Segue: c) applicazione delle prelazioni (legali e convenzionali) e delle prescrizioni in tema di regolarità urbanistica e conformità catastale degli immobili.
Come si è visto in premessa, la giurisprudenza teorica e pratica ritiene che la questione della natura giuridica (coattiva o volontaria) della vendita concordataria assuma rilievo anche ad altri fini.
Quanto alla applicazione delle prelazioni, legali o convenzionali, come è stato convincentemente dimostrato, occorre guardare alle singole fattispecie e alla disciplina per ciascuna dettata, senza peraltro che possa assumere rilievo discriminante la fonte (legale o convenzionale) della prelazione[93]. Non vi è infatti alcuna incompatibilità oggettiva, né sotto il profilo strutturale, né sotto quello funzionale, tra prelazione (legale o convenzionale) e vendita forzata, e tutto dipende dalle scelte compiute di volta in volta dal legislatore[94]. Per limitarsi a tre soli esempi, mentre la prelazione legale ex art. 38 l. 392/1978 – essendo prevista per il caso in cui il locatore “intenda” trasferire a titolo oneroso l’immobile – si ritiene applicabile alla sola vendita volontaria e non alla vendita forzata[95], la prelazione statutaria (e, quindi, convenzionale) concernente il trasferimento delle partecipazioni di società a responsabilità limitata opera anche in caso di espropriazione forzata e di liquidazione giudiziale (come previsto dall’art. 2471 c.c., richiamato dall’art. 215, comma 2); e laddove il legislatore ha previsto una prelazione legale in caso di “trasferimento a titolo oneroso”, senza connotazione circa il carattere volontario o coattivo dello stesso, per escluderne l’applicazione in caso di vendita forzata e di fallimento (oggi, liquidazione giudiziale), lo ha espressamente sancito con una disposizione ad hoc (v. l’art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590, in tema di prelazione agraria).
Quale criterio di massima, ci pare che possa essere enunciato il seguente: laddove sia previsto che la prelazione operi in caso di vendita volontaria, ma non di vendita forzata, essa si applica in caso di vendita effettuata dal debitore (trattandosi di vendita volontaria), mentre non opera in relazione alla vendita concordataria effettuata dal liquidatore (che è una vendita coattiva).
Questo criterio fa riferimento al profilo strutturale, ed è per questo che lo si è definito di massima: non può essere escluso, infatti, che, dall’analisi delle singole fattispecie, emerga che l’esclusione dell’operare della prelazione, nella specifica ipotesi, sia in realtà da porre in relazione (non con la struttura, bensì) con la funzione (come sopra definita) che la vendita forzata esplica; e, pertanto, risponda alla volontà del legislatore di privilegiare la tutela del credito e il soddisfacimento delle ragioni dei creditori nel procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale, rispetto agli interessi (privati e, nelle prelazioni legali, talvolta, anche generali o pubblici) protetti dalla prelazione. In tali casi, deve pertanto escludersi l’operare della prelazione, anche se la vendita sia fatta dal debitore, data l’identità di funzione esplicata.
L’ultimo profilo di rilevanza segnalato in premessa (ma di cui non ci risulta che la giurisprudenza si sia sino ad oggi occupata) attiene alla comminatoria di nullità dell’atto di trasferimento dei beni immobili privo dell’indicazione del riferimento ai titoli edilizi (art. 46 d.p.r. 380/2001) e della dichiarazione di conformità catastale (art. 29, comma 1-bis, l. 52/1985), la quale non si applica (per espressa previsione di legge la prima, e, in via interpretativa, la seconda) “agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali” (art. 46, comma 5, d.p.r. 380/2001).
In linea di principio, anche a questo riguardo riteniamo valido il criterio di massima sopra enunciato, con l’avvertenza formulata: e pertanto, se si ritenga che le previsioni di esenzione delle vendite compiute nell’ambito di procedure esecutive, individuali o concorsuali, siano da porre in relazione con il (dal legislatore ritenuto) prevalente fine di tutela delle ragioni dei creditori nei procedimenti di attuazione della responsabilità patrimoniale, rispetto agli interessi tutelati dalla prescrizione derogata (ossia, la comminatoria di nullità dell’atto di trasferimento), è possibile ipotizzare, in via di interpretazione estensiva, che l’esenzione valga anche per le vendite compiute dal debitore dopo il deposito della domanda di concordato in continuità e in esecuzione di questo.
9. Conclusioni.
Nel caso deciso dall’ordinanza che ha costituito occasione della nostra indagine, la vendita dell’azienda era stata effettuata, all’esito negativo della procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall., dal debitore, con la autorizzazione del tribunale a norma dell’art. 161, comma 7, l. fall.
Si trattava, quindi, di una vendita volontaria (non coattiva), conclusa per effetto dell’incontro tra la proposta del terzo e l’accettazione della società debitrice, ma la cui funzione nondimeno atteneva (esattamente come se si fosse trattato di una vendita coattiva) alla attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore mediante liquidazione di un bene del suo patrimonio.
Pertanto, se si concorda con la ricostruzione compiuta, la vendita in questione non era soggetta all’art. 2922 c.c., e avrebbe dovuto applicarsi la garanzia per i vizi, secondo la ordinaria disciplina della compravendita. E la esclusione della garanzia avrebbe potuto argomentarsi (a nostro avviso, esclusivamente) sulla base della espressa deroga alla sua applicazione che, secondo quanto riferisce l’ordinanza, era contenuta nel provvedimento autorizzatorio alla vendita (debitamente recepita nel contratto di compravendita); deroga, la quale – come detto – deve ritenersi ammessa ai sensi dell’art. 1490, comma 2, c.c., alle condizioni e nei limiti previsti da questa disposizione.
Invece – volendo compiere una considerazione a chiusura del ragionamento – se si fosse posta la questione relativa alla responsabilità dell’acquirente dell’azienda per i debiti anteriori al trasferimento ex art. 2560, comma 2, c.c., la si sarebbe dovuta risolvere negativamente, in ragione della funzione della vendita, a meno di una espressa previsione contraria, contenuta nel provvedimento di autorizzazione del tribunale, recepita nel contratto di compravendita stipulato dalla società debitrice con il terzo acquirente.
La ricostruzione compiuta testimonia la difficoltà di inquadrare le vendite concordatarie (e l’osservazione è valida, più in generale, per le vendite forzate) in schemi concettuali rigidi.
Occorre reagire alla tendenza di adottare impostazioni che guardino solo al lato privatistico o, all’opposto, solo al lato pubblicistico: la materia non consente di sacrificare all’unità del concetto la ricerca di regole idonee a ricomporre adeguatamente gli interessi in gioco e reclama quindi l’individuazione di regole duttili, come si confida di avere dimostrato.
[1] Per tutte, da ultimo, Cass., 24 gennaio 2023, n. 2064.
[2] Per orientamento consolidato, l’esclusione della garanzia per i vizi della cosa, sancita dall’art. 2922 c.c. per la vendita forzata compiuta nell’ambito dei procedimenti esecutivi, riguarda le fattispecie disciplinate agli artt. da 1490 a 1497 c.c. (per molte, Cass., 12 luglio 2017, n. 14165).
[3] Cass. 12 luglio 2016, n. 14165; Cass., 10 dicembre 2008, n. 28984; per ulteriori riferimenti, v. A. Crivelli, Le vendite fallimentari, in Fall., 2021, 696 ss., specie 706-707.
[4] Conf., in dottrina, G.U. Tedeschi, Proposte e offerte concorrenti di concordato preventivo, in Dir. Fall., 2016, I, 1387 ss., specie 1435 ss.; F. Carosi, La disciplina delle offerte competitive nel concordato preventivo: tra legge fallimentare e il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dir. Fall., 2022, I, 932 ss., specie 957 ss. In giurisprudenza, Trib. Latina, decr. 28 gennaio 2020, in ilcaso.it.
[5] Su cui, per tutti, V. Zanichelli, Le Sezioni Unite risolvono il contrasto: solo l’utilizzo di modalità tipiche della liquidazione competitiva dei beni in ambito fallimentare legittima il potere purgativo del giudice delegato, in Fall., 2024, 918 ss.
[6] V., in generale, oltre agli scritti richiamati nel prosieguo: B. Quatraro, La liquidazione nel concordato preventivo per cessione dei beni, in Giur. Comm., 1989, I, 50 ss., specie 78; G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, Padova 1996, 97 ss., specie 113 ss.; Id., L’esecuzione del concordato preventivo, in Fall., 2006, 1094 ss., specie 1101 ss.; G. Lo Cascio, Natura giuridica della liquidazione postconcordataria, in Fall., 2008, 1399 ss., specie 1400-1401; Id., Il concordato preventivo, 8° ed., Milano 2011, 655 ss.; C. Ferri, Le nullità delle vendite concorsuali, in Riv. Dir. proc., 2003, 432 ss., specie 439-440; C. Cavallini-B. Armeli, Art. 182, in Commentario alla legge fallimentare diretto da C. Cavallini, Milano 2010, 739 ss., specie 780 ss.; G.P. Macagno, Natura giuridica della liquidazione nel concordato preventivo, in Fall., 2010, 19 ss., specie 21 ss.; M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Milano 2009, 362 ss.; Id., Concordato preventivo, in Commentario del Codice civile e Codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, Bologna 2014, 738 ss.; Id., La “programmazione” della liquidazione nel concordato preventivo da parte del debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fall., 2012, 906 ss., specie 917; G. Bozza, La fase esecutiva del concordato con cessione dei beni, in Fall., 2012, 767 ss., specie 774, 782-783; L. Mandrioli, Le vendite nel concordato preventivo, in dirittodellacrisi.it, specie 11 ss. Con riguardo all’omologo tema della “natura” delle vendite fallimentari effettuate dal curatore tramite procedure competitive, A. Castagnola, La natura delle vendite fallimentari dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 2008, I, 372 ss.; M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, in Giur. comm., 2009, I, 680 ss., specie 682 ss., 696 ss. Per un inquadramento generale del tema, sono ancora attuali i penetranti rilievi di V. Tavormina, Alcune riflessioni sulle vendite forzate nelle procedure concorsuali “amministrative”, in Riv. Dir. proc., 1988, 615 ss., specie 616 ss., 622 ss.
[7] La giurisprudenza e la dottrina avevano avuto modo di occuparsi, in specie, dell’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia. Infatti, l’art. 182 l. fall., nella sua versione originaria, nulla prevedeva al riguardo; solo con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 sarebbe stato aggiunto (senza però sopire il dibattito) il comma 5, con il quale fu prevista l’applicazione in quanto compatibili degli artt. da 105 a 108 ter l. fall. sulle vendite fallimentari, comma che il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. nella l. 6 agosto 2015, n. 83 avrebbe poi sostituito, chiarendo, per quanto qui rileva, che la cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni era effettuata su ordine del giudice, salva diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione. Qualificata la vendita effettuata dal liquidatore come vendita forzata, si affermava che il giudice delegato avesse il potere di disporre la cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni gravanti sull’immobile, come le iscrizioni ipotecarie (Trib. Reggio Emilia, 8 novembre 1986, in Fall., 1987, 978 ss., con nota di V. Cantele, Le vendite forzate nel concordato preventivo con cessione di beni sono vendite forzate?; Trib. Acqui Terme, 8 marzo 2012, in Fall., 2012, 815 ss., con commento di L. Abete, La natura della vendita nella fase esecutiva del concordato preventivo per cessione dei beni: spunti e riflessioni; U. Apice, Le vendite nelle procedure concorsuali e gli effetti sostanziali e processuali sulle garanzie reali concesse ai creditori, in Fall., 1987, 299 ss., specie 304); invece, qualificata la vendita del liquidatore come vendita di natura privata, si riteneva che, in caso di mancato assenso alla cancellazione del creditore iscritto, l’acquirente avrebbe dovuto rivolgersi all’autorità giudiziaria in via autonoma per ottenere la cancellazione ex art. 2884 c.c. (Trib. Perugia, 5 novembre 1991, in Fall., 1992, 539; Trib. Viterbo 19 gennaio 1991, ivi, 1991, 1076: Trib. Cassino 30 novembre 1990, in Dir. fall. 1992, II, 1060; B. Quatraro, op. cit., 78-79; G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, cit., 1996, cit., 127 ss.; Id., L’esecuzione del concordato preventivo, 2006, cit., 1102). Su questo dibattito, nei termini indicati, si vedano, anche per ulteriori riferimenti, F. Mancinelli, La vendita di beni immobili gravati da ipoteca nel concordato preventivo, in Dir. Fall., 1990, I, 726 ss.; A. Bonsignori, Processi concorsuali minori, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, XXIII, Padova 1997, 341-342; P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, 5° ed. a cura di M. Bocchiola e A. Paluchowsky, Milano 1998, 676 in nota 117; M. Fabiani, Concordato preventivo, cit., 747-748; L. Abete, op. cit., 817 ss.; G.P. Macagno, op. cit., 21 ss.; N. Rocco di Torrepadula, Concordato preventivo, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., III, Torino 2007, 255 ss., specie 281; S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Padova 2009, 140; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, cit., 669-670; C. Cavallini-B. Armeli, op. cit., 780 ss.; M. Perrino, op. cit., 682 ss., 699 ss.; A. Coppola (-S. Pacchi – L. D’Orazio), Il concordato preventivo, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di A. Didone, II, Milano 2008, 1740 ss., specie 1923-1924.
[8] Così, adottando la seconda soluzione, A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, Studio n. 14-2020-E del Consiglio Nazionale del Notariato, p. 36; L. Mandrioli, op. cit., 11.
[9] In questo senso, A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., 36; L. Mandrioli, op. cit., 11; in giurisprudenza, per l’esclusione dell’applicazione dell’art. 2922 c.c. alla vendita compiuta dal liquidatore nel concordato con cessione di beni, in quanto vendita coattiva, Trib. Genova, 30 ottobre 2002, in Fall. 2003, 875 ss., con nota adesiva di V. Zanichelli, Natura coattiva della liquidazione dei beni.
[10] In relazione alla prelazione: a) urbana, prevista dall’art. 38 l. n. 392/1978 e applicabile solo in caso di trasferimenti volontari, di cui si affermava (Cass., 1° giugno 1988, n. 913) o negava (Cass., 6 aprile 1990, n. 2900; Cass., 14 gennaio 1994, n. 339; Cass., 18 maggio 2012, n. 7931) l’operatività, a seconda della qualificazione della vendita compiuta da liquidatore nel concordato con cessione dei beni come vendita volontaria o vendita coattiva; b) agraria, di cui all’art. 8 l. 26 maggio 1965, n. 590, non applicabile per espressa previsione di legge in caso di vendita forzata e fallimento, se ne è affermata l’operatività in caso di vendita compiuta dal liquidatore nel contratto con cessione dei beni, “costituendo detta vendita una normale ipotesi di alienazione volontaria (giacché non prescinde dalla volontà del proprietario concedente)” (Cass., 2 marzo 2010, n. 4935); c) convenzionale, se ne è affermata la operatività in relazione alla vendita effettuata dal liquidatore nel concordato con cessione dei beni, sul presupposto (anche) della riconducibilità dell’istituto alla figura generale della cessione dei beni ai creditori ex art. 1977 c.c., da Cass., sez. un., 27 luglio 2004, n. 14083, in Fall., 2005, 131 ss., con nota di G. Lo Cascio, Concordato preventivo e prelazione convenzionale nella vendita di immobili. In dottrina, su questo tema e con l’impostazione indicata nel testo, A. Crivelli, La prelazione legale e convenzionale nelle vendite concorsuali, in Fall., 2023, 973 ss.; G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, cit., 1996, cit., 131 ss.; Id., L’esecuzione del concordato preventivo, 2006, cit., 1102; V. Sollazzo – N.Borella, La prelazione urbana e commerciale nelle vendite concorsuali, in dirittodellacrisit.it., 2025, 5 ss.
[11] A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., 34.
[13] Cass., 1° dicembre 1998, n. 12185: “La vendita in un immobile all’incanto disposta in esecuzione di un concordato preventivo con cessione di beni è totalmente assimilabile a quella disposta nell’ambito della procedura fallimentare perché non è ricollegabile ad una libera determinazione del debitore; quindi, rimane assoggettata alla disciplina processuale fissata negli artt. 107 e ss. L.Fall. (v. Cass., 18 luglio 1996 n. 6478) ed in particolare – e contrariamente a quanto sostiene la ricorrente – anche alla possibilità della sua sospensione quando il giudice ritenga che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto prevista dall’art. 108 comma 3 L. Fall. (v. Cass. 13 luglio 1994 n . 6560)”.Conformi (oltre alle citate Cass., 18 luglio 1996, n. 6478 e Cass., 12 luglio 1994, n. 6560), Cass., 29 agosto 1998, n. 8666; Cass., 18 febbraio 2009, n. 3903. In dottrina, in modo analogo, G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, 2006, cit., 1102.
[15] Da un lato, l’elisione dell’inciso “se non dispone diversamente”, contenuto nell’art. 182, comma 1, l. fall., e l’utilizzo del tempo indicativo (il tribunale “nomina”) comportano che, in caso di concordato liquidatorio, la nomina del liquidatore è necessaria (per tutti, A. Audino, Scopi e modalità delle cessioni di beni nel concordato liquidatorio e nel concordato in continuità aziendale, in Osservatorio sulle Crisi di Impresa, 9; L. Panzani, Le liquidazioni e le vendite nel Codice della crisi: caratteristiche e ragionevole durata delle procedure, in Fall., 2023, 1165 ss., specie 1170); da un altro lato, la riformulazione del comma 1 dell’art. 114 da parte del secondo correttivo, il quale ora prevede che il liquidatore sia nominato “nel concordato liquidatorio, anche con cessione dei beni” (anziché “se il concordato consiste nella cessione dei beni”), chiarisce che la nomina del liquidatore è obbligatoria in tutte le fattispecie di concordato liquidatorio, sia prevista o meno la cessione dei beni (G. D’Attorre, L’esecuzione del concordato e le modificazioni del piano, in Proc. conc., 2025, 69 ss., specie 70), e non solo nel caso di concordato liquidatorio con cessione dei beni (come proposto da parte della dottrina nel vigore del previgente testo della disposizione: M. Fabiani, La liquidazione dei beni nel concordato preventivo, in Fall., 2023, 1191 ss., specie 1192-1193).
[16] Non dispone invece l’applicazione delle disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili, a differenza dell’art. 114, comma 4. Non è possibile in questa sede approfondire le ragioni e valutare la portata del mancato rinvio, né interrogarsi circa le implicazioni che esso può avere, in ordine alla disciplina processuale applicabile alle vendite compiute nel concordato in continuità dal liquidatore nominato dal tribunale. Ci limitiamo ad osservare che: a) manca l’espresso rinvio all’art. 216, ossia alla disposizione sulle modalità della liquidazione, che prevede (tra l’altro) che le vendite avvengano secondo procedure competitive; in luogo del rinvio all’art. 216, il comma 1 dell’art. 114-bis prescrive che il liquidatore, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazione di liquidazione assicurandone l’efficienza e la celerità, nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza; dunque, il liquidatore deve attuare il principio della competitività (e pertanto le vendite devono avvenire con le modalità e presentare i requisiti che sono necessari al fine di assicurare tale principio), ma non è disposta la diretta applicazione delle regole di cui all’art. 216; b) manca il rinvio all’art. 217, comma 1, che prevede e disciplina i poteri del giudice delegato di sospendere le operazioni di vendita o di impedire il perfezionamento della vendita; e ci si può quindi chiedere se il mancato rinvio sia indice della volontà del legislatore di escludere i poteri di intervento del giudice delegato o se sia frutto di un mero difetto di coordinamento, a cui occorre sopperire in via interpretativa.
Peraltro, se si volesse allargare il campo di osservazione, il raffronto tra le due disposizioni (art. 114 e art. 114-bis) consentirebbe di rilevare anche altre differenze: a) l’art. 114, comma 2 e 3, indica le disposizioni applicabili al liquidatore, mentre tale indicazione manca all’art. 114-bis; b) l’art. 114, ai commi 5 e 6, prevede e disciplina gli obblighi informativi e di rendiconto del liquidatore, e anche tale regolamentazione manca all’art. 114-bis.
Infine, vi è il problema di capire se, in che misura e a quali condizioni, altre disposizioni, che attribuiscono e disciplinano i poteri e le attribuzioni del liquidatore, siano applicabili al liquidatore nominato nel concordato in continuità per la vendita di singoli beni non strategici e dell’azienda, e non per liquidare un patrimonio nella sua interezza; prima tra tutte, l’art. 115, oggi intitolato alle Azioni del liquidatore giudiziale, con l’elisione della specificazione “in caso di cessione di beni” (al riguardo, v. G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 73 ss.).
[17] Finalità che, secondo la Relazione al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, era sottesa anche all’originario art. 114, ma che era rimasta non compiutamente realizzata, probabilmente perché era affidata a una interpretazione a contrario della disposizione; l’art. 114 – si legge nella Relazione – “detta la disciplina per la liquidazione dei beni prevista nel piano di concordato, quando il concordato consiste nella cessione dei beni e dunque quando è ascrivibile al genus del concordato liquidatorio. Dunque, la norma chiarisce definitivamente che, nel concordato in continuità aziendale che preveda la liquidazione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell’attività, la liquidazione avviene a cura del debitore, il cui unico obbligo è quello di assicurare ai creditori le utilità promesse e sulle quali essi hanno espresso la loro adesione”.
[18] L’art. 84, comma 8, aggiunto dal d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, di attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 (direttiva Insolvency), prevedeva che, “quando il piano prevede la liquidazione del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato, il tribunale nomina un liquidatore che, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l’efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza. Si applicano gli articoli da 2919 a 2929 del codice civile”. La dottrina, che si era incaricata del compito di individuare l’ambito di operatività della disposizione, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 114, aveva affermato che essa si applicasse ai trasferimenti di beni e dell’azienda nel concordato in continuità aziendale (F. Lamanna, Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano 2022, 452; A. Audino, Sub Art. 84, in Commentario breve alle legge su crisi di impresa e insolvenza, diretto da Maffei Alberti, Padova 2023, 610-611; Id., Scopi e modalità delle cessioni di beni, cit., 10-11; G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2° ed., Torino 2022, 126; S. Sanzo, Finalità del concordato preventivo e tipologie di piano, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, Commentario sistematico diretto da M. Irrera e S.A. Cerrato, Bologna 2024, 1528 ss., 1551 ss.; così, ma con la precisazione che il tribunale avrebbe dovuto nominare il liquidatore, solo nel caso in cui il debitore non avesse previsto nel piano le modalità di liquidazione dei beni, anche M. Fabiani, La liquidazione, cit., 1195). La Relazione al d.lgs. 136/2024 spiega l’abrogazione del comma 8 e (del comma 9) dell’art. 84, “in quanto contenenti disposizioni che trovano una migliore collocazione sistematica all’interno delle norme che si occupano della liquidazione nel concordato preventivo, ed in particolare nell’articolo 114-bis di nuova introduzione con il presente schema di decreto”.
[19] I. Pagni, Il decreto correttivo 13 settembre 2024, n. 136: una guida alla lettura, in dirittodellacrisi.it, 2024, 13; G. D’Attorre, L’esecuzione del concordato e le modificazioni del piano, in Proc. conc., 2025, 69 ss., specie 70.
[20] Così, la Relazione Illustrativa del secondo correttivo.
[21] Così, M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi di impresa, 2° ed., Piacenza 2024, 219: “il tribunale può nominare il liquidatore e il comitato dei creditori ed in tal caso le vendite sono espressamente ricondotte alla categoria delle vendite forzate con coerente applicazione degli artt. 2919-2929 c.c. e del regime di purgazione dei gravami; quando, invece, il piano di concordato prevede che la liquidazione sia gestita dal debitore (e il tribunale non ritenga di decidere diversamente) il regime delle vendite è quello privatistico, non diversamente da quanto accade per le vendite di ciò che è generato dalla continuità di impresa”; G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 73.
[22] Il riferimento è a M. Fabiani, La liquidazione dei beni nel concordato preventivo, in Fall., 2023, 1191 ss., specie 1199-1200. Interpretazioni analoghe, che distinguono natura ed effetti della vendita, a seconda che sia compiuta dal debitore o dal liquidatore, erano avanzate da parte della dottrina, anche nel vigore dell’art. 182 l. fall.: cfr., oltre a M. Fabiani (del quale v. Concordato preventivo, cit., 725); G.P. Macagno, op. cit., 23-24; A. Coppola, op. cit., 1918-1919, 1923; A. Audino, Art. 114, in Commentario breve alle legge su crisi di impresa e insolvenza, diretto da Maffei Alberti 816 ss., specie 829 e ivi ulteriori riferimenti.
[23] E’ opportuno riportare, nei limiti in cui rilevano ai fini del discorso svolto nel testo, alcuni passaggi della motivazione di Cass., sez. un., n. 7337/2024. Secondo le Sezioni Unite, l’art. 108, comma 2, l. fall. (ossia la disposizione che prevedeva l’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia, come stabiliva per le vendite nel concordato l’art. 182, comma 5, l. fall., dopo avere sancito l’applicazione degli artt. da 105 a 108 ter, in quanto compatibili) “presuppone la c.d. vendita fallimentare” compiuta ai sensi dell’art. 107 l. fall., e “l’elemento centrale di una tale vendita è ravvisabile nella natura esecutiva (e procedimentale) della vendita coattiva (forzata)”, come già ritenuto, per la cessione dei beni nel concordato, da Cass., sez. un., n. 19506/2008, cit. (§§XI e XII); è pertanto ritenuto requisito essenziale, ai fini dei provvedimenti purgativi del giudice delegato, il tipo di vendita presupposta, “che è e resta una vendita procedimentalizzata”, perché questa, e solo questa, ossia la vendita compiuta ai sensi dell’art. 107 l. fall., è la “vendita forzata”, legittimante l’effetto purgativo dei diritti di ipoteca sul bene trasferito (§ XIII e § XVI). Per queste ragioni, la Corte ha affermato (§ IX) che è esclusa l’applicazione dell’art. 108, comma 2, l. fall. – e l’esercizio del potere purgativo del giudice delegato – nei diversi casi, in cui il curatore agisca, ex art. 72, ult. comma, l.fall., quale sostituto del fallito nell’adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita; in applicazione di questo principio, le Sezioni Unite hanno negato, in un caso in cui il curatore aveva stipulato il contratto di compravendita in esecuzione del preliminare, trascritto prima del fallimento e nel quale era subentrato (ex lege), che il giudice delegato potesse disporre la cancellazione dell’ipoteca sull’immobile, iscritta prima della trascrizione del preliminare. In questa ipotesi, osserva la Corte, la vendita effettuata dal curatore “non possiede natura coattiva, né funzione liquidatoria dell’attivo” e in essa “rileva il subentro del curatore nel contratto preliminare, al quale consegue (art. 72, primo comma) l’assunzione di “tutti i relativi obblighi”; ragion per cui la vendita esula dall’ambito di applicazione dell’art. 108 l. fall., che “riguarda – in sé e per sé – la vendita esecutiva. Codesta è la vera vendita forzata e non ogni vendita che avviene in ambito fallimentare può essere considerata tale” (§ XV). In sintesi, “l’esecuzione del preliminare, da un lato, è sempre tecnicamente qualificabile come vendita negoziale (e non come vendita esecutiva concorsuale), e dall’altro non è in grado (ontologicamente) di garantire la realizzazione dell’effetto pratico che la vendita concorsuale persegue per il tramite della sua procedimentalizzazione” (§ XVIII). Su tali premesse, le Sezioni Unite hanno riconosciuto all’art. 173, comma 4, CCII portata innovativa, escludendo pertanto che la nuova disposizione possa rilevare ai fini della interpretazione della disciplina contenuta nella legge fallimentare (§§ XIX-XXIII).
[24] Così, infatti, M. Fabiani, op. ult. cit., 1199-1220, che, coerentemente con la propria impostazione (v. la nota 22), conclude affermando che le vendite compiute dal debitore “non potranno godere dei benefici delle vendite forzate” (op. ult. cit., 1200).
[25] In questo senso, si vedano: G. D’Attorre, op. ult. cit., 126; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, 5° ed., Bologna 2021, 415 (secondo cui l’art. 114, comma 4, “stabilendo la cancellazione dei vincoli sui beni oggetto di trasferimento, su ordine del giudice delegato (o secondo le modalità stabilite nella sentenza di omologazione), chiarisce una volta per tutte la natura coattiva delle vendite concordataria, indipendentemente dalla tipologia – liquidatorio o in continuità – del concordato proposto”); A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., 3-4 e 6 (ove la condivisibile precisazione che l’applicazione dell’art. 114 al concordato con continuità non presupponeva né implicava la necessità della nomina del liquidatore); F. De Santis, Relazioni normative e interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, in Fall., 2023, 1261 ss., specie 1266; L. Panzani, Le liquidazioni, cit., 1170 (ma v. 1171). In senso contrario, per l’applicazione dell’art. 114, comma 4, al solo concordato consistente nella cessione dei beni, R. Brogi, L’esecuzione del concordato preventivo nel Codice della crisi, in Fall., 2020, 1322 ss., specie 1327-1328, la quale tuttavia riteneva applicabile alle vendite nel concordato in continuità l’art. 118, comma 7 e 8, disciplinanti, rispettivamente, l’effetto purgativo e l’esonero del cessionario dell’azienda da responsabilità per i debiti pregressi.
[27] Così, la Relazione illustrativa alla l. 6 agosto 2015, n. 132, di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83. Per la verità, l’applicazione dell’art. 182, comma 5, l. fall. a concordati che non prevedessero la cessione di tutti i beni del debitore, come i concordati in continuità con cessione di singoli beni non strategici, non era pacifica, ma l’interpretazione a nostro avviso più persuasiva la affermava (in dottrina: M. Simeon, Le modifiche all’art. 182, in Giur. It., 2017, 523 ss., specie 525; A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., 3-4; L. Panzani, La liquidazione dei beni nel fallimento e nel concordato, in Fall., 2017, 1129 ss., specie 1133; A. La Malfa, Le offerte concorrenti, in osservatorio-oci.org, p. 3; L. Mandrioli, op. cit., 6; A. Usai, Esecuzione, risoluzione e annullamento del concordato preventivo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso e L. Panzani, III, Milano 2016, 3729 ss., specie 3762; in giurisprudenza: Cass., 22 ottobre 2020, n. 23139).
[28] Conf., G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 72. Non neghiamo che la scelta del tribunale sia in concreto guidata dal prudente apprezzamento delle circostanze del caso concreto, e neppure che, ai fini di tale valutazione, assumano un importante rilievo, se formulata, la richiesta dell’imprenditore e le relative motivazioni; ciò non toglie, però, che la disposizione non indica (neppure facendo ricorso a clausole generali) i presupposti e i criteri che dovrebbero orientare l’esercizio della discrezionalità del tribunale, e tantomeno vincola l’esercizio del potere in ordine alla nomina del liquidatore alla richiesta del debitore; se il legislatore avesse voluto condizionare la nomina del liquidatore alla richiesta dell’imprenditore, avrebbe previsto non che “il tribunale può nominare uno o più liquidatori”, bensì che “il tribunale, su istanza di parte, nomina uno o più liquidatori”.
[29] Rileva il problema interpretativo anche G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 73.
[30] In precedenza, l’interpretazione probabilmente prevalente, e a nostro avviso più persuasiva, affermava l’applicabilità dell’art. 114, comma 4, come già prima dell’art. 182, comma 5, l. fall., alla liquidazione dei beni non strategici e dell’azienda nel concordato in continuità, effettuata sia in esecuzione del concordato (da parte dell’imprenditore o del liquidatore se nominato), sia nel corso della procedura dall’imprenditore stesso (tra il deposito della domanda e la sentenza di omologazione): A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., 3-4, 6, 16-17; A. La Malfa, op. cit., 3; L. Panzani, Le liquidazioni, cit., 1170; Id., La liquidazione, cit., 1133; M. Simeon, op. cit., 525; A. Nigro-D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, 5° ed., Bologna 2021, 415; A. Guiotto, Il trasferimento d’azienda nelle procedure concorsuali, in Fall, 2023, 1201 ss., specie 1210; L. Mandrioli, op. cit., 6; così, ancora oggi, M. Fabiani, Sistema, cit., 230; in giurisprudenza, oltre a Cass., 21 febbraio 2025, n. 4652 (che ha dato occasione alla nostra indagine), Cass., 22 ottobre 2020, n. 23139.
Nel vigore della legge fallimentare, in modo specifico per l’applicazione alla vendita eseguita dall’imprenditore all’esito della procedura competitiva in caso di offerte concorrenti (art. 163-bis l. fall.) dell’art. 182, comma 5, l. fall. (e, quindi, per la affermazione che alla vendita segue la cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli e che, in caso di cessione dell’azienda, l’acquirente non è responsabile per i debiti anteriori al trasferimento), nonché, più in generale, per la qualificazione come “coattiva” della vendita, G.U. Tedeschi, Proposte e offerte concorrenti, cit., 1435 ss.; F. Carosi, La disciplina, cit., 958-959 (con conferma di questa soluzione anche alla luce dell’art. 114, comma 4); P.G. Cecchini, Concordato preventivo: le offerte concorrenti al microscopio, in Dir. fall., 2016, 1179 ss., specie 1194; T. Iannaccone, Le offerte concorrenti, in Giur. It., 2017, 508 ss., specie 512-513; M. Simeon, op. cit., 526-527; in giurisprudenza, oltre a Cass., 21 febbraio 2025, n. 4652, Cass., 22 ottobre 2020, n. 23139; Trib. Latina, decr. 28 gennaio 2020, cit.
[31] Così, con riferimento all’art. 118, comma 8, G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 73.
[32] Su questo dibattito rinviamo alla dottrina e giurisprudenza citate alle note da 6 a 14, a cui aggiungiamo, anche per ulteriori riferimenti e quale espressione degli opposti orientamenti, G. Canale, Il procedimento di liquidazione dei beni ceduti nel concordato preventivo, Padova 1996, 23 ss. (che configura la liquidazione dei beni “essenzialmente come un procedimento di attuazione forzosa della responsabilità patrimoniale”: op. cit., 23) e M. Cassiani, La vendita forzata nel concordato preventivo per cessione, Padova 1999, 74 ss. (che, a dispetto del titolo dell’opera, nega la qualificazione della vendita nel concordato per cessione come atto di esecuzione forzata e la configura come attività di natura privatistica condotta da liquidatore: op. cit., 78, 94), in linea con la posizione di G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, 1996, cit., 97 ss.
[34] Per una indicazione di metodo analoga a quella qui seguita, seppure con svolgimenti non sovrapponibili, A. Castagnola, op. cit., 375 ss.; M. Fabiani, La “programmazione” della liquidazione, cit., 920.
[35] Per una ricognizione delle diverse tesi nel vigore della legge fallimentare, ed anche per riferimenti al dibattito anteriore, rinviamo, per tutti, a M. Cassiani, op. cit., 65 ss.; G. Canale, op. cit., 6 ss.
[37] Cass., 21 febbraio 2025, n. 4652, da cui hanno preso le mosse le nostre riflessioni, adotta, in linea con una interpretazione che sembra emergere con sempre più nettezza nella giurisprudenza (v. Cass., sez. un.., n. 7337/2024, ed anche Cass., 22 ottobre 2020, n. 23139; Cass., 16 maggio 2018, n. 11957) e nella dottrina specialistiche (per tutti, con particolare chiarezza, A. Crivelli, La prelazione, cit., 975-976; Id., La cessione di beni nel concordato, cit., 29; G. Bozza, op. cit., 774, 782), una nozione di coattività diversa, e più ampia, di quella elaborata nella teoria generale, la quale ricollega il carattere della coattività alla procedimentalizzazione della vendita in ambito concorsuale e all’applicazione delle regole sulla competitività. Questa nozione, tuttavia, si incentra non tanto sul profilo strutturale, quanto su quello funzionale, ossia sulle finalità a cui è preordinata la vendita, alle quali si ricollegano i profili di disciplina posti in rilievo. Non è privo di interesse rilevare che la stessa Corte di cassazione, in relazione alla vendita nella espropriazione individuale, adotta la nozione, propria della teoria generale (v. la nota seguente), “secondo cui la vendita forzata, costituendo una fattispecie complessa, avviene indipendentemente dalla volontà del debitore esecutato, ricollegandosi al provvedimento del giudice dell’esecuzione” (così, con particolare chiarezza, Cass., 2 aprile 2014, n. 7708).
[38] Osserva S. Pugliatti, nel suo fondamentale Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, 171, che “il trasferimento coattivo è un trasferimento (di diritti) tra vivi, normalmente a titolo oneroso, effettuato senza il concorso della volontà del titolare (e quindi anche contro di essa)”; posta questa premessa di teoria generale, ne discende che è un trasferimento coattivo la vendita forzata nella espropriazione singolare, in quanto “il proprietario espropriato, cioè il debitore, non manifesta la sua volontà nel senso di trasferire il diritto sulla cosa ad altri, come avviene nella vendita volontaria” (op. cit., 301, 313). Questa dottrina completava la ricostruzione, affermando che la vendita forzata (caratterizzata, in negativo, da ciò che non si attua per volontà del titolare del diritto), richiede un elemento positivo, ossia un atto di volontà promanante da un organo pubblico, il provvedimento del giudice, che costituisce esercizio del potere giurisdizionale espressione dello ius imperii (S. Pugliatti, op. cit., 172, 301 ss., 314 ss.; nella dottrina successiva: G.A. Micheli, Esecuzione forzata, in Commentario del Codice civile, in Commentario del Codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, 2° ed., Bologna-Roma, 1964, 107, 108-109). In realtà, ai fini della qualificazione della vendita come coattiva, è necessario, ma anche sufficiente (v. anche V. Tavormina, op. cit., 616 ss., 622 ss.), che il trasferimento del diritto avvenga a prescindere dalla volontà del titolare del diritto, mentre non occorre che esso sia attuata dal provvedimento del giudice o di un altro pubblico potere (pubblica amministrazione). Pertanto, è coattiva, perché prescinde dalla volontà del titolare del diritto sul bene, anche la vendita compiuta per iniziativa del creditore, nelle speciali ipotesi in cui la legge prevede l’esecuzione forzata stragiudiziale per autorità privata (Gius. Tarzia, L’oggetto del processo di espropriazione, Milano 1961, 24; L. Montesano, La condanna nel processo civile, Napoli 1957, 91 ss.; G. Bongiorno, L’autotutela esecutiva, Milano 1984, 14 ss.), che condividono con l’espropriazione forzata la funzione, essendone scopo pur sempre la realizzazione del credito, e il carattere forzato, in quanto avvengono a prescindere (e anche contro) la volontà del debitore (R. Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino 1983, 49). E’ il caso del pegno, per il quale, salva la facoltà per il creditore di ricorrere alla ordinaria procedura espropriativa giudiziale, l’art. 2797 c.c. prevede una procedura stragiudiziale di espropriazione forzata del bene dato in pegno (contra, per il carattere processuale, R. Vaccarella, op. cit., 50 ss.), attuata attraverso la vendita coattiva della cosa, senza che occorra un titolo esecutivo, e a cui si procede in sede stragiudiziale, per iniziativa ed autorità del creditore, il quale vende la cosa per mezzo di un pubblico ufficiale a tale fine incaricato, oppure direttamente, se le parti abbiano convenuto tale modalità; la vendita è coattiva, perché il trasferimento è promosso dal creditore e prescinde dalla volontà del titolare del diritto, dato che il momento pattizio si ha soltanto all’atto della costituzione del pegno (C.M. Bianca, Diritto civile, 7, Milano 2012, 211, 2014-215; E. Gabrielli, Il pegno, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Milano 2005, 305 ss., 316 ss., 331 ss.; A. Bonsignori, Esecuzione forzata in genere, in Dig. Disc. Priv., VII, Torino 1991, § 8; G. Bongiorno, op. cit. 129). Anche il privilegio che assiste i crediti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento (art. 2756 c.c.) e i crediti di cui all’art. 2761 c.c. attribuisce al creditore (per quanto qui rileva) il diritto di vendere direttamente la cosa, osservando le disposizioni sul pegno (art. 2756, comma 3, c.c., a cui rinvia l’art. 2761, comma 5, c.c.).
[39] In base a questa impostazione, costituisce, invece, una vendita coattiva, la vendita posta in essere dal liquidatore nel concordato liquidatorio e, se sia nominato dal tribunale, nel concordato in continuità. Certamente dipendono dalla volontà del debitore l’accesso alla procedura di concordato e (salvo il caso della omologazione della proposta concorrente) la predisposizione della proposta e del piano che prevede la liquidazione; ma ciò non toglie che, nella vendita compiuta dal liquidatore, il trasferimento prescinde da una manifestazione di volontà del debitore, titolare del diritto sul bene, di trasferirlo ad altri (come nella esecuzione pignoratizia dipende dal creditore, sebbene il pegno sia costituito per volontà del titolare del diritto sul bene). Pertanto, se non si vuole affermare che la vendita avviene contro la volontà del debitore, si deve riconoscere, quantomeno, che essa è compiuta a prescindere dalla sua volontà, e ciò è sufficiente per qualificarla come vendita coattiva (G. Bozza, op. cit., 782; S. Ambrosini, op. cit., 140; contra, nega che si tratti di vendite forzate “perché non avvengono contro la volontà del debitore”, M. Fabiani, Sistema, cit., 263; Id., La “programmazione” della liquidazione, cit., 920; Id., Concordato preventivo, cit., 747; conf., G. Rago, L’esecuzione del concordato preventivo, cit., 97 ss.).
[40] Non riteniamo quindi di condividere l’opinione, secondo cui la vendita nel concordato si qualifica come coattiva, perché, essendo compiuta in esecuzione del concordato, è un atto dovuto del debitore (cfr. A. Crivelli, la cessione di beni nel concordato, cit., 29-30, 31).
[41] Cass., sez. un., 16 luglio 2008, n. 19506, § 3.1 della motivazione.
[42] Non crediamo occorra dimostrare che il provvedimento giudiziale di autorizzazione, di per sé, non incide sul carattere volontario della vendita, e non è sufficiente, da solo, per renderla coattiva: ad esempio, le vendite dei beni dei minori (artt. 473.bis.65 e 473.bis.66 c.p.c., già artt. 733 e 734 c.p.c.) e dei beni ereditari (artt. 747 e 748 c.p.c.), anche quando siano autorizzate dall’autorità giudiziaria (anziché dal notaio, come oggi consentito dall’art. 12 d.lgs. 149/2022), sono vendite volontarie (G.A. Micheli, op. cit., 119; A. Bonsignori, Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano 1988, 28-29; S. Mazzamuto, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 20, Torino 1985, 187 ss., specie 245, che conferma l’opinione nel più recente Esecuzione forzata, in Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, Bologna 2020, 429). In relazione alle vendite dei beni dei minori, il rinvio alle norme che disciplinano l’esecuzione forzata, nel caso in cui nel provvedimento di autorizzazione sia disposto che essa sia fatta ai pubblici incanti, è circoscritta alle modalità da seguire per la liquidazione dei beni dell’incapace, trattandosi di una vendita finalizzata all’esclusivo interesse del minore e non a soddisfare le ragioni dei creditori, come invece avviene nell’espropriazione forzata; ragion per cui, la dottrina esclude l’applicazione degli effetti sostanziali della vendita forzata (G.A. Micheli, op. cit., 119; S. Mazzamuto, L’esecuzione, cit., 245; A. Bonsignori, op. ult. cit., 29).
[43] Che anche la liquidazione dei beni in ambito concordatario attui la responsabilità patrimoniale del debitore, nel senso chiarito nel testo, può considerarsi pacifico; v. comunque, G. Canale, op. cit., 23, anche in nota 53; M. Fabiani, Sistema, cit., 263.
[44] Cass., sez. un., n. 19506/2008, § 3.1: “la vendita dei beni formanti oggetto della cessione, ove pure vi provveda direttamente l’imprenditore non spossessato (ed, a maggior ragione, quando essa è affidata ad un liquidatore di nomina giudiziale), si realizza in un contesto proceduralizzato dai dettami del concordato omologato, attraverso atti che il medesimo debitore non sarebbe più ormai libero di non compiere, per finalità satisfattorie dei creditori del tutto analoghe a quelle della procedura esecutiva fallimentare ed in un ambito di controlli pubblici del pari destinati a garantire il raggiungimento di tale finalità”.
[45] Che le vendite effettuate dal curatore nella liquidazione giudiziale all’esito delle procedure competitive di cui all’art. 216 (e, ieri, di cui all’art. 107 l. fall.), nonostante abbiano forma (ma non sostanza) contrattuale, siano vendite forzate, a cui conseguono gli effetti sostanziali propri delle vendite coattive, è un punto che può considerarsi assolutamente pacifico; in giurisprudenza, Cass., sez. un., 7337/2024, cit.; in dottrina, per tutti, ed anche ulteriori riferimenti: A. Castagnola, La natura delle vendite fallimentari dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 2008, I, 372 ss.; A. Crivelli, Le vendite fallimentari, cit., 704; M. Perrino, La liquidazione dei beni nel fallimento e nei concordati mediante cessione, cit., 682 ss., 696 ss.; P. Farina, L’aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate, Napoli 2012, 371 ss.
[47] Trib. Reggio Emilia, 8 novembre 1986, cit.; in modo analogo, in dottrina, U. Apice, op. cit., 304, secondo cui anche la vendita del liquidatore nel concordato con cessione dei beni “è sempre qualificabile come vendita forzata, poiché il carattere giudiziale e coattivo della vendita è ricollegabile non alle modalità adottate, ma alla circostanza che l’atto è inserito in un processo esecutivo concorsuale di cui costituisce momento determinante per le aspettative di soddisfacimento dei creditori”, deducendone che “alla vendita conseguirà automaticamente l’effetto purgativo”.
[48] Osserva M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi di impresa, 2° ed., cit., 207 che il concordato preventivo “è anche una procedura concorsuale, non imposta ma negoziata, quindi non contro la volontà del debitore. Il concordato non assume i toni della procedura espropriativa ma rappresenta comunque uno strumento affinché sia assicurata la garanzia patrimoniale, posto che l’attuazione della garanza può avvenire sia con mezzi coattiva che con mezzi spontanei. La cessione dei beni ai creditori secondo lo schema civilistico della cessio bonorum è esattamente un modo per realizzare la garanzia patrimoniale”; per la definizione del concordato come “procedura concorsuale volontaria per soddisfare i creditori”, S. Pacchi, Concordato preventivo di liquidazione, in Enc. Dir. I tematici, VIII, Crisi d’impresa, diretto da F. Di Marzio, Milano 2024, 209 ss., specie 209.
[49] V. Andrioli, Raffronti fra cessione dei beni ai creditori ed espropriazione forzata, in Riv. Dir. proc., 1961, 478 ss., specie 480 ss.; G. Verde, Il pignoramento, Napoli, 1964 ss., 201; R. Miccio, Cessione dei beni ai creditori, in Enc. Dir., VI, Milano 1960, 834 ss., specie 838-839: G. Iudica, Cessione dei beni ai creditori, in Dig. Disc. Pric. Sez. civ., II, Torino 1988, §§ 2 e 3; A. Castana, Cessione dei beni ai creditori, in Enc. Giur., VI, Roma 1988, 4, 6; G. Bongiorno, op. cit., 107 ss.; L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, in Il Codice Civile. Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano 1991, 104.
[50] In questo modo, con grande chiarezza: C.M. Bianca, op. cit., 4-5; E. Roppo, Responsabilità patrimoniale, in Enc. Dir., XXXIX, Milano 1988, 1041 ss., specie 1043-1044; M. Fragali, Garanzia e diritti di garanzia, in Enc. Dir., XVIII, Milano 1969, 448 ss., specie 452-453, 461-462; C. Miraglia, Responsabilità patrimoniale, in Enc. Giur., XXVII, Roma 1991, 2-3, 11; L. Barbiera, op. cit., 17 ss. Per un recente riesame del tema, alla luce della disciplina del diritto della crisi di impresa e dell’insolvenza, F. Macario, Il concorso dei creditori nell’evoluzione della responsabilità patrimoniale: appunti per una riflessione generale tra diritto generale delle obbligazioni e nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, in dirittodellacrisi.it, 2025, passim.
[51] In generale, per l’osservazione che il concetto di responsabilità patrimoniale non è indissolubilmente legato all’azione giurisdizionale (e all’esecuzione forzata processuale), G. Bongiorno, op. cit., 13 ss. e già L. Montesano, La condanna nel processo civile, cit., 91 ss.
[52] Per tutti, G. D’Attorre, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, in Riv. dir. comm., 2014, I, 359 ss., specie 362 ss.
[53] Affermazione indiscussa nella versione originaria del concordato preventivo (M. Cassiani, op. cit., 15; G. Canale, op. cit., 13), mentre oggi parte della dottrina ritiene che l’imprenditore nel piano di concordato liquidatorio possa prevedere di destinare al soddisfacimento dei creditori solo parte del suo patrimonio (al riguardo, vedi, per tutti, G. D’Attorre, op. ult. cit., 370 ss. e ivi ulteriori riferimenti).
[54] In giurisprudenza, per la distinzione indicata nel testo e il differente regime giuridico che ne consegue, si veda la fondamentale Cass., 22 ottobre 2020, n. 23139, in Fall., 2021, 19 ss., con commento adesivo di A. Luminoso, Alienazioni non coattive in sede fallimentare (o concordataria) e cancellazione delle ipoteche: i giudici di legittimità ci ripensano; in dottrina, oltre al citato lavoro di A. Luminoso, M. Simeon, op. cit., 525-526; A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., 5; G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 73; L. Mandrioli, op. cit., 5, 15.
[55] La cui teoria dell’atto-procedimento (per la quale v. Esecuzione forzata, cit., 175 ss., specie 184, ) sistema la materia, ricomponendo pubblico e privato in modo efficace e rigoroso; per una sintesi di questo dibattito, anche nelle sue evoluzioni successive, A. Cerino Canova (agg. C. Consolo), Vendita forzata, in Enc. Giur., XXXII, Roma 1994, 1 ss.; A. Bonsignori, Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, cit., 4 ss., 21 ss.; P. Farina, op. cit., 3 ss.; S. Mazzamuto, L’esecuzione, cit., 224 ss., del quale si v. anche il più recente Esecuzione forzata, cit., 402 ss.
[56] L’art. 686 c.p.c. prevedeva che “la vendita all’incanto trasferisce nel compratore soltanto i diritti che appartenevano sui beni immobili al debitore espropriato”, mentre l’art. 648 c.p.c., per i beni mobili, almeno prima facie, sembrava ispirarsi al principio della originarietà dell’acquisto, indipendentemente dalla buona fede dell’acquirente (M.T. Zanzucchi, L’azione in opposizione del terzo nel processo esecutivo, Milano 1910, 230 ss., rispetto a cui si v. la serrata critica di W. Bigiavi, La separazione tardiva, in Riv. Dir. comm., 1936, I, 68 ss., specie 70 ss.).
[57] In passato, la questione relativa alla tipologia di acquisto era prevalentemente impostata muovendo dal presupposto che acquisto a titolo derivativo significasse acquisto consensuale, mentre acquisto a titolo originario significasse acquisto coattivo (cfr., ad esempio, S. Satta, L’esecuzione, 1° ed., Padova 1937, 192, secondo cui il carattere originario dell’acquisto “è una conseguenza del fatto che il trasferimento avviene non nell’esercizio di un potere del debitore, ma di un potere autonomo come quello dell’organo”). Costituisce uno dei punti qualificanti della ricostruzione di S. Pugliatti (come notava anche W. Bigiavi, op. cit., 86), la dimostrazione che nella vendita forzata si realizza un trasferimento, che, nonostante sia coattivo (in quanto consegue al provvedimento del giudice), realizza lo stesso effetto del trasferimento volontario (avente titolo un atto privato), ossia un acquisto titolo derivativo, dato che l’aggiudicatario acquista i diritti sul bene che spettavano all’esecutato (S. Pugliatti, op. cit., 171 ss., 301 ss.).
[58] La disposizione, posta a chiusura della disciplina della garanzia per i vizi nella vendita, prevedeva che “l’azione redibitoria non ha luogo nelle vendite giudiziali”; l’esclusione della rescissione per lesione della vendita giudiziale era invece stabilita dall’art. 1536, comma 2, c.c. 1865.
[59] Cfr. S. Pugliatti, op. cit., 255 ss., 357 ss.
[60] E’ in effetti sintomatico che tutta l’opera di S. Pugliatti (Esecuzione forzata e diritto sostanziale, cit.), incentrata sulla ricostruzione della natura giuridica della vendita forzata e degli effetti sostanziali della stessa, dedichi a questo profilo un’attenzione tutto sommato limitata, assumendolo come un dato presupposto e non problematico; e questo rilievo acquista ancora maggiore significato, se si tiene conto che Pugliatti configura la vendita forzata come un trasferimento a titolo derivativo, e l’effetto purgativo dell’ipoteca prodotto dalla vendita forzata costituisce quella che talvolta si definisce una “deroga” (F. Mazzarella, Vendita forzata, in Enc. Dir., XLVI, Milano 1993, 552 ss., specie 581) o addirittura un “vistoso elemento di contraddizione” (S. Mazzamuto, L’esecuzione, cit., 238) rispetto alla regola della derivatività (il che, però, non legittima la deduzione contraria, ossia che l’acquisto a titolo originario del diritto sul bene immobile mediante usucapione, che comporta il venire meno del pregresso diritto dominicale, determini necessariamente anche l’estinzione dell’ipoteca iscritta sul bene).
[61] G.A. Micheli, op. cit., 116; S. Mazzamuto, op. ult. cit., 238. Naturalmente, l’effetto purgativo rileva quale effetto proprio della vendita forzata rispetto ai privilegi speciali, che sarebbero opponibili ai terzi che acquistano diritti posteriormente al sorgere di essi (art. 2747, comma 2, c.c.).
[62] Il decisivo prevalere delle esigenze funzionali della vendita forzata è sotteso anche all’opinione secondo cui, se è disposta la cancellazione dell’ipoteca nonostante sia mancata la preventiva notificazione ai creditori iscritti (art. 498 c.p.c.), comunque l’effetto purgativo si produce (S. Mazzamuto, op. ult. cit., 238; G.A. Micheli, op. cit., 116; F. Mazzarella, op. cit., 582) e a loro favore residua la tutela risarcitoria nei confronti del creditore procedente (Cass., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387, punto 60 della motivazione; Cass., 27 agosto 2014, n. 18336).
[63] S. Mazzamuto, op. ult. cit., 223; A. Cerino Canova, op. cit., 4.
[64] Principio pacifico: G.A. Micheli, op. cit., 113 ss.; S. Mazzamuto, op. ult. cit., 230 ss.; F. Mazzarella, op. cit., 580; A. Tedoldi, Vendita e assegnazione forzata, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XIX, Torino 1999, 653 ss., specie 666; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Il processo esecutivo, 14° ed., Milano 2024, 164; A. Cerino Canova, Vendita forzata ed effetto traslativo, in Riv. Dir. civ., 1980, I, 137 ss., specie 183.
[65] A. Cerino Canova, Vendita forzata, in Enc. Giur., cit., 9.
[66] G.A. Micheli, op. cit., 129; S. Mazzamuto, op. ult. cit., 232; il riferimento nel testo è alla elaborazione di S. Pugliatti, op. cit., 358 ss.
[67] L’art. 2922 c.c. esclude anche la rescissione per lesione, riproducendo l’art. 1536, comma 2, c.c. 1865. La ragione della esclusione è in parte diversa da quella sottesa alla esclusione della garanzia per i vizi, e la dottrina unanimemente rileva la superfluità della disposizione: la rescissione per lesione presuppone lo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, ma nella vendita forzata, che avviene tramite l’esecuzione, per la qualità del soggetto che attua il trasferimento, non può configurarsi l’approfittamento (F.P. Luiso, op. cit., 177; G.A. Micheli, op. cit., 133; S. Mazzamuto, op. ult. cit., 236).
[68] G.A. Micheli, op. cit., 127-128, 132; S. Mazzamuto, op. ult. cit., 232; S. Satta, op. cit., 194; S. Pugliatti, op. cit., 358 ss.
[69] S. Mazzamuto, op. ult. cit., 232; S. Satta, op. cit., 194; S. Pugliatti, op. cit., 358; A. Cerino Canova, op. ult. cit. 183.
[70] Che la vendita effettuata nell’ambito di un procedimento di attuazione della garanzia patrimoniale, indipendentemente dalla forma che riveste, debba, innanzitutto, garantire la purgazione delle ipoteche e dei pegni, è affermato da A. Castagnola, op. cit., 375, 376 ss.; altri, in modo analogo, osservano che la deroga al principio della derivatività sancita dalla cancellazione dei pignoramenti e delle ipoteche è “coerente con la funzione del processo esecutivo, giacché i titolari delle ipoteche e gli autori degli altri pignoramenti in esso trovano la loro soddisfazione” (A. Saletti, Tecniche ed effetti delle vendite forzate immobiliari, in Riv. Dir. proc., 2004, 1038 ss., specie 1058). Si v. anche la dottrina citata alle note 60-62.
[71] Osserva M. Fragali, op. cit., risp. 454 e 461: “La garanzia descritta nell’art. 2741 è allora un quid che spezza la pari situazione dei creditori a favore di uno o di alcuni di essi; onde si è potuto dire che la garanzia misura la situazione di ciascun creditore rispetto agli altri”; “(…) nella garanzia, si vede delineata la situazione di ciascun creditore di fronte agli altri creditori, riguardo al potere di aggressione dei beni del comune debitore e quindi una situazione che si svolge all’interno del gruppo creditorio (….) si qualifica garanzia il diritto soggettivo del creditore a concorrere sui beni del debitore o ad escludere altri dal concorso sugli stessi”; v. anche L. Barbiera, op. cit., 30 ss.
[72] E’ una vendita coattiva, in quanto disposta a prescindere, e anche contro, la volontà del titolare del diritto, quella disposta dall’autorità giudiziaria nel giudizio di divisione ex artt. 787 e 788 c.p.c. (Cass., 17 gennaio 2017, n. 918, che per tale ragione ha escluso l’applicazione della prelazione agraria ex art. 8 l. 590/1965). Questa vendita segue le regole della esecuzione forzata, ma, al di là della omogeneità delle regole applicabili, ha una funzione profondamente diversa rispetto alla vendita forzata nella espropriazione, in quanto, a differenza di questa, non è realizzata per la attuazione della garanzia patrimoniale, al fine di soddisfare i creditori (G. Pavanini, Divisione giudiziale, in Enc. Dir., XIII, Milano 1964, 439 ss., specie 473; L. Di Cola, L’oggetto del giudizio di divisione, Milano 2011, 412); ragion per cui la dottrina esclude che essa realizzi l’effetto purgativo, proprio, invece, della vendita forzata nella espropriazione (conf. G.A. Micheli, op. cit., 119). E’ un trasferimento coattivo, anche quello realizzato dalla sentenza ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento dell’obbligo (legale o convenzionale) di concludere il contratto ad effetti reali, ed è assolutamente pacifico che questa sentenza non produca l’effetto purgativo della ipoteca eventualmente gravante sul bene immobile.
[73] S. Pugliatti, op. cit., 380; C.M. Bianca, op. cit., 17-18 e 45, 324; M. Fragali, op. ult. cit., 464.
[74] Gius. Tarzia, op. cit., 26-27 delinea la figura dei processi volontari di liquidazione dei beni, all’interno della quale individua quelli destinati alla tutela dell’interesse dei creditori, “nei quali effettivamente si compie la realizzazione dei crediti garantiti da un singolo bene o da un patrimonio”, in funzione della attuazione della responsabilità del debitore (o di un terzo); per questa ragione, ossia “sulla scorta di quella analogia di funzione, si può forgiare una categoria convenzionale di processi volontari di esecuzione”. All’interno della categoria rientrano, secondo l’A., i processi di liquidazione dell’eredità giacente e dell’eredità accettata con beneficio di inventario, nonché di liberazione degli immobili dalle ipoteche. Sul carattere volontario della vendita compiuta in una procedura di liquidazione di una eredità beneficiata, Cass., 12 ottobre 1982, n. 5264, in Giust. civ., 1983, I, 475 ss., con nota di R. Triola, Vendite all’asta disposte dall’autorità giudiziaria e diritto di prelazione, che per tale ragione (il carattere volontario e non imposto della liquidazione) ha affermato l’applicazione della prelazione agraria ex art. 8 l. 26 maggio 1965, n. 590 del 1965; in dottrina, C. Vocino, Inventario (Beneficio di), in N.mo Dig. It., IX, Torino 1968, 13 ss., specie 28-29; P. Lorefice, L’accettazione con beneficio d’inventario, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, Padova 1994, 264 ss., specie 296, il quale rileva che “al compimento degli atti relativi alla liquidazione concorsuale, provvede direttamente l’erede beneficiato, il quale è peraltro assistito da un notaio (…)”.
[75] C. Vocino, op. cit., 28; P. Lorefice, op. cit., 296; G. Azzariti, Accettazione con beneficio d’inventario, in Trattato di diritto privato, 5, a cura di P. Rescigno, 2° ed., Torino 1997, 133 ss., specie 170; M. Ferrario Hercolani, L’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, I, Milano 2009, 1259 ss., specie 1331.
[76] La protezione dei creditori garantiti da privilegio e ipoteca è assicurata dalla legge escludendo l’estinzione di questi diritti per effetto dell’alienazione; tuttavia, è previsto che l’estinzione possa aversi, se l’acquirente utilizzi il prezzo per il pagamento dei creditori collocati nello stato di graduazione, ovvero lo depositi a tale fine; questi creditori, se non sono integralmente soddisfatti con il ricavato del bene oggetto della garanzia, concorrono sui restanti beni con i chirografari, per la somma residua (F. Zabban, in F. Delfini, A. Pellegrino, F. Zabban, Delle successioni, in Commentario al codice civile, Milano, 1993, 98; L. Cavalaglio, Art. 499, in Delle successioni, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Commentario del Codice civile diretto da E. Gabrielli, Milano 2009, 316 ss., specie 318-319; G. Azzariti, op. cit., 173; M. Ferrario Hercolani, op. cit., 1337). Cass., 9 luglio 1975, n. 2674, in Foro It., 1976, I, c. 79, ha affermato che “In tema di liquidazione concorsuale dell’eredità beneficiata, avvenuto il regolare deposito del prezzo di una vendita di beni ereditari debitamente autorizzata ed effettuata, i privilegi gravanti sui beni stessi rimangono, a sensi dell’art 499 cod. civ., irrevocabilmente estinti, ancorché successivamente, dopo il definitivo esaurimento della procedura di liquidazione, venga accertato il difetto delle condizioni necessarie per l’acquisto o la conservazione del beneficio d’inventario”.
[77] Cass., sez. un., n. 19506/2008, cit., § 3.1 della motivazione.
[78] In modo conforme, per la compatibilità tra vendita volontaria (compiuta in un procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale) e l’effetto purgativo delle garanzie, M. Fabiani, Sistema, cit., 263; Id., Concordato preventivo, cit., 747. Per la qualificazione delle vendite effettuate dal debitore ai sensi degli artt. 71 e 81 come vendite coattive, in coerenza con la propria impostazione (v. le note 37 e 40), A. Crivelli, L’approvazione del concordato. La fase esecutiva del piano e del concordato minore, in Crisi e insolvenza dopo il Correttivo ter, cit., 1380 ss., risp. 1390-1391 e 1424-1425.
[79] L’art. 2878 c.c., che indica le cause di estinzione dell’ipoteca, prevede che l’ipoteca si estingua a seguito della espropriazione del bene ipotecato e, precisamente, a seguito del provvedimento che trasferisce il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche (art. 2878, comma 1, num. 7, c.c.); pertanto, in questo caso (e non solo in questo), la cancellazione interviene a seguito della estinzione della ipoteca e non è – la cancellazione – essa stessa autonoma causa di estinzione (C.M. Bianca, op. cit., 488-489; Cass., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387, punto 59 della motivazione).
[80] In ragione della funzione della vendita compiuta dal debitore e degli effetti che ne conseguono, occorre compiere due precisazioni circa le modalità della liquidazione. A) All’effetto purgativo dei diritti reali di garanzia prodotto dalla vendita forzata è ricollegato, dalla disciplina dell’espropriazione forzata (art. 498 c.p.c.) e della liquidazione giudiziale (art. 216, comma 2), l’obbligo del preventivo avviso ai creditori il cui diritto di prelazione risulti dai pubblici registri (oltre che al creditore sequestratario, ex art. 158 disp. att. c.p.c.) e, nella liquidazione giudiziale, più ampiamente a tutti i creditori con privilegio sul bene, affinché essi siano messi in grado di far valere il loro diritto di prelazione nel procedimento di attuazione della responsabilità patrimoniale, all’esito del quale il diritto è destinato a estinguersi; occorre dunque ritenere, data l’identità dell’effetto prodotto dalla vendita compiuta dal debitore, che omologo avviso debba essere notificato a cura del debitore a ciascuno di tali creditori prima di procedere alla vendita. B) Il debitore deve compiere le vendite previste dal piano (e per le quali non vi sia l’offerta di un soggetto individuato, nel quale caso si applica l’art. 91, ex art. 114-bis, comma 2) mediante procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, e sotto il controllo del commissario giudiziale, assicurando, mediante adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati (come del resto espressamente prevedono per le vendite compiute dal debitore gli artt. 71, comma 1 e 81, comma 1, richiamati nel testo).
[81] G. Bozza, La vendita dell’azienda nel fallimento, in Fall., 1987, 283 ss., specie 296-297.
[82] Vale anche a questo riguardo, mutato quel che devesi, la precisazione di cui alla lett. B) della nota 80, in ordine all’applicazione dei principi della competitività.
[83] Conf. G.U. Tedeschi, op. cit., 1437; Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in Dir. Fall. 2016, II, 1003 ss., con nota di G. Rugolo; G. D’Attorre, L’esecuzione, cit., 73.
[84] Questa previsione costituisce un adattamento alla vendita forzata della regola generale per cui “il compratore che decida di tenere fermo l’acquisto, dovrà versare al proprietario espropriato il prezzo non ancora pagato al venditore. Nel conflitto tra venditore abusivo e terzo proprietario espropriato s’impone infatti come prevalente l’esigenza di tutela del titolare sacrificato” (C.M. Bianca, Diritto civile. 6. La proprietà, 2° ed., Milano 2017, 611).
[85] G.A. Micheli, op. cit., 126; W. Bigiavi, op. cit., 97.
[87] V. le note 67 e 68 per gli opportuni riferimenti; si rinvia alla nota 66, in ordine alla ratio della esclusione della impugnazione per lesione sancita dall’art. 2922 c.c.
[88] Con l’essenziale precisazione, che “non vi è possibilità che residuino atti nulli del processo esecutivo nella fase anteriore alla vendita. Ex artt. 530 e 569 c.p.c., nell’udienza fissata per determinare le modalità di vendita o di assegnazione, occorre che siano fatte valere tutte le nullità degli atti esecutivi fino a quel momento verificatesi. Se sono fatte valere, il giudice non può disporre la vendita fino a che la controversia non sia risolta. Quindi la fase del processo anteriore all’udienza di vendita è sicuramente <<ripulita>> da tutte le nullità formali” (F.P. Luiso, Diritto, III, cit., 178); in modo analogo, P. Farina, op. cit., 49.
[89] F.P. Luiso, Diritto, III, cit., 178; F. Mazzarella, op. cit., 584; mentre le nullità formali riguardano vizi propri del singolo atto del processo e sono per regola generale rilevabili solo a istanza di parte (artt. 156 e 157 c.p.c.), le nullità extraformali attengono ai presupposti processuali del processo esecutivo; queste ultime, per regola generale rilevabili in ogni stato e grado del processo, hanno la caratteristica di inficiare ogni singolo atto del procedimento, e quindi si riproducono anche in relazione agli atti compiuti posteriormente all’udienza di vendita (tuttavia, segnaliamo che questa conclusione non è pacifica; in senso contrario, per l’irrilevanza delle nullità extraformali: A. Saletti, op. cit., 1055 ss.; P. Farina, op. cit., 49 ss.).
[90] Così, F.P. Luiso, Diritto, III, cit., 178-179; in giurisprudenza, per l’enunciazione e l’applicazione di questo principio: Cass., n. 7708/2014, cit.; Cass., 20 ottobre 2020, n. 22854; Cass., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387.
[91] Su tale questione, in passato controversa, si rinvia, per tutti, A. Crivelli, La cessione di beni nel concordato, cit., p. 25.
[92] In relazione all’espropriazione forzata, per l’affermazione della rilevanza dell’aliud pro alio e che esso va fatto valere con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., da proporre nel termine perentorio previsto dalla legge (decorrente dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui è stata conseguita, o avrebbe dovuto essere conseguita secondo ordinaria diligenza, la conoscenza del vizio), si vedano, con particolare chiarezza: Cass., n. 7708/2014, cit.; Cass., 11 maggio 2017, n. 11729; Cass., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387.
[93] Cfr. Cass., sez. un., 27 luglio 2010, n. 14083; in dottrina, per tutti, A. Crivelli, La prelazione legale e convenzionale nelle vendite concorsuali, cit., 973 ss.
[95] Trib. Roma, 2 febbraio 2023, in Fall., 2023, 969 ss. (che costituisce l’occasione dello scritto di A. Crivelli ricordato alla nota precedente), con riferimento alla vendita del bene locato in sede fallimentare.