Mancata allegazione della certificazione del passaggio in giudicato ex art. 124 disp. att. c.p.c. e rilievo d’ufficio del giudicato esterno: un’ordinanza interlocutoria.

Di Margherita Pagnotta -

1.Con l’ordinanza interlocutoria n. 5383 del 29 febbraio 2024, la Corte di cassazione ha deciso di rinviare la trattazione della causa in pubblica udienza, ritenendo di dover affrontare con maggiore attenzione la questione, introdotta con il terzo motivo di ricorso, relativa alla possibilità o meno per il giudice di rilevare d’ufficio il giudicato esterno nel caso in cui manchi la certificazione che attesti l’intervenuto passaggio in giudicato ex art. 124 delle disp. att. c.p.c.

Per quello che qui interessa, il ricorrente con il terzo motivo di ricorso censurava la decisione della Corte territoriale nella parte in cui aveva ritenuto di non poter accogliere l’eccezione di giudicato esterno dallo stesso formulata in sede di precisazione delle conclusioni, dal momento che, aveva ritenuto la Corte, si trattava di un documento nuovo che non poteva essere prodotto per la prima volta in appello e dal momento che in ogni caso mancava la prova del passaggio in giudicato della sentenza, essendo la copia prodotta priva della relativa certificazione.

La questione relativa all’incidenza della certificazione di cui all’art.124 disp. att. c.p.c. per il rilievo d’ufficio da parte del giudice del giudicato esterno è stata ritenuta dalla Cassazione una questione di diritto di particolare rilevanza.

Sul punto, nella giurisprudenza della Suprema Corte è rinvenibile, infatti, un contrasto; secondo  l’orientamento più tradizionale, la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di fornire la prova della relativa formazione dello stesso, da soddisfare non soltanto producendo la sentenza ma anche corredandola della relativa certificazione del cancelliere. Secondo tale orientamento “affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c.” (Cfr. Cass. 6024/2017).

L’attestazione del cancelliere sarebbe, pertanto, un mezzo di prova indispensabile ai fini della corretta deduzione del giudicato all’interno del giudizio e ciò a prescindere dalla mancata contestazione della controparte sull’effettivo passaggio in giudicato. La mancanza di tale contestazione, secondo questo orientamento, non può significare, infatti, una ammissione di tale circostanza né può ritenersi onere della controparte dimostrare che la sentenza è ancora impugnabile (sul punto cfr. ex multis Cass. s.u. n. 460/1999; Cass. n. 1680/1984; Cass. n. 20438/2006; Cass. n. 19883/2013; Cass. s.u. n. 7701/2016; Cass. n. 20974/2018; Cass. n. 6868/2022).

Di conseguenza, nel caso in cui manchi la suddetta certificazione, il giudice, si ritiene, non potrebbe neppure rilevare d’ufficio l’esistenza del giudicato esterno, essendo lo stesso privo di un elemento che ne attesti con certezza l’incontrovertibilità.

A questo orientamento se ne contrappone un altro secondo cui, invece, il giudicato esterno sarebbe rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui manchi la certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., dovendosi ritenere che il giudicato esterno non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, che possono a loro piacimento decidere di tenerne conto o meno, ma corrisponde ad “un preciso interesse pubblico”, finalizzato ad evitare il sorgere di un contrasto tra giudicati di segno opposto.

Per queste ragioni il giudice sarebbe, dunque, libero di rilevare e valutare d’ufficio il giudicato esterno anche nel caso in cui risultasse privo della rituale certificazione del cancellerie (cfr. in questo senso Cass. n. 1554/1971; Cass. n. 16695/2022; Cass. 16589/2021).

A queste due interpretazioni si affianca poi una terza, secondo cui la parte che eccepisce il giudicato esterno non avrebbe l’onere di allegazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. solamente nel caso in cui la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato eccepito (cfr. Cass. n. 4803/2018 : nella specie, la Corte ha ritenuto sufficiente, al fine di ritenere provata la definitività di una sentenza pronunciata in altro giudizio, la produzione di una copia della decisione, pur non dotata dell’attestazione del cancelliere circa l’intervenuto passaggio in giudicato, perché la controparte aveva esplicitamente ammesso la suddetta circostanza).

Una minoritaria parte della giurisprudenza (più risalente nel tempo e oramai superata) riteneva, infine, che “la parte che eccepisce la preclusione del giudicato esterno assolve l’onere probatorio a suo carico mediante l’allegazione della sentenza, o di altro provvedimento giudiziale idoneo ad assumere autorità di giudicato, mentre grava sulla controparte, che eccepisce la pendenza del giudizio d’impugnazione contro detta decisione, l’onere di dare adeguata dimostrazione di tale fatto impeditivo, producendo idonea certificazione. In particolare, la prova del non passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado per l’effetto della proposizione contro di essa del ricorso per cassazione non è data dalla sola produzione del ricorso notificato, essendo, a tal fine, necessario dimostrare anche la pendenza del relativo giudizio mediante certificazione della cancelleria” (cfr. Cass. n. 6952/1987; Cass. n. 1883/1998) .

2.Qualche riflessione.

In primo luogo, occorre rilevare che l’efficacia del giudicato consegue ope legis, ai sensi dell’ art. 324 c.p.c., al verificarsi di uno degli eventi ivi dedotti (inutile decorrenza dei termini per l’impugnazione), quindi la certificazione ad opera del cancelliere dell’avvenuto passaggio in giudicato del provvedimento non svolgerebbe alcuna funzione costitutiva, ma al massimo avrebbe una  funzione meramente dichiarativa e ricognitiva di qualcosa che si è già verificato automaticamente in seguito alla mancata impugnazione della sentenza.

Le risultanze della verifica svolta dal cancelliere prima del rilascio della certificazione di cui all’art. 124 disp att. c.p.c., inoltre, non possono neppure ritenersi assolutamente incontestabili: potrebbero, infatti, sussistere elementi che sfuggono alla conoscenza del cancelliere che attesta l’avvenuto passaggio in giudicato, come ad esempio che un’impugnazione sia stata proposta senza che il cancelliere del giudice a quo ne abbia avuto notizia; così come, al contrario, che l’appello non sia stato iscritto a ruolo, ovvero che l’appellante vi abbia rinunciato.

In questo senso occorre tenere presente quanto evidenziato sul punto dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, secondo cui “è  vero che tale certificazione ha lo scopo di fungere da prova del passaggio in giudicato; ma ai fini del relativo accertamento non è una prova risolutiva, e neppure indispensabile. […] Tutto ciò che egli abbia certificato (o in senso positivo, o in senso negativo) è suscettibile di prova contraria, non perché abbia attestato il falso, ma perché vi sono elementi che sfuggono alla sua conoscenza ed alla sua competenza. […] Ciò comprova che la certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. non è inoppugnabile, e non è neppure indispensabile: se rilasciata, può essere data la prova contraria; se non rilasciata, la prova può essere data in altro modo. […] Spetta al giudice, davanti al quale venga dedotta l’esistenza di un giudicato per basarvi una domanda o un’eccezione, accertare pregiudizialmente se in realtà un giudicato vi sia e quali ne siano il contenuto e gli effetti sulla materia del contendere nell’ambito di quel processo” (cfr. Cons. di Stato, n. 1464/2012).

Ora, tenendo presente l’esigenza di semplificare i procedimenti e di evitare, mediante strumenti diretti a favorire la realizzazione del simultaneus processus, che possano pendere nello stesso momento più giudizi sulla medesima questione o formarsi giudicati contrastanti, risulta difficile propendere per una interpretazione che dà un tale rilievo alla disposizione dell’art. 124 disp att. c.p.c. da impedire al giudice a cui consti per altra via l’esistenza di un giudicato esterno sulla questione oggetto di giudizio, di rilevarlo se privo della suddetta certificazione.

Non c’è dubbio, come ritenuto da Cass. n. 4803/2018 che, di fronte al riconoscimento esplicito del giudicato esterno proveniente dalla controparte, la questione della certificazione di cancelleria perde di rilievo, perché il fatto in questo caso sarebbe da considerarsi pacificamente ammesso agli atti e, quindi, non necessiterebbe di alcuna prova.

Anche la mancata contestazione determina, alla stregua di quanto disposto a norma dell’art. 115 c.p.c., il venir meno dell’onere probatorio relativamente al fatto non contestato. I fatti non espressamente contestati dalla parte avverso la quale sono prodotti devono considerarsi, infatti, esclusi dalla formazione del thema probandum in quanto implicitamente ammessi. La  contestazione costituisce un presupposto dell’onere probatorio e, di conseguenza, la non contestazione dell’altra parte dispensa colui che allega ed eccepisce determinati fatti dall’onere di provarli. L’introduzione del principio di non contestazione ha in questo modo determinato una semplificazione del procedimento, che espunge dal thema probandum i fatti allegati che non risultino specificatamente ex adverso contestati.

Si potrebbe allora prospettare la necessità di allegare la certificazione solo nel caso in cui, in seguito all’eccezione di giudicato esterno, la controparte si opponga al riconoscimento degli effetti di tale giudicato, sostenendo che la sentenza è oggetto di  impugnazione.

Ed ancora, qualora, invece, il giudicato esterno venga solo allegato e non eccepito dalla parte, non provocando alcuna risposta della controparte sul punto, non dovrebbe comunque riconoscersi, anche in caso di mancanza della certificazione di cui all’art. 124 disp att. c.p.c., l’autonomo potere di rilievo d’ufficio del giudice?

Come è noto, la giurisprudenza di legittimità è oramai costante nel ritenere che il giudicato esterno debba essere trattato allo stesso modo del giudicato interno e ne ammette, quindi, la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. s.u. 226/2001; Cass. n. 13916/2006; Cass. 7 ottobre 2010, n. 20802; Cass. 15 aprile 2011, n. 8614; Cass. n 6102 del 17 marzo 2014; Cass. n. 11365 del 01 giugno 2015;  Cass. 5 maggio 2016, n. 9059). Tale regola si fonda sull’assimilazione del giudicato alla norma di diritto, da tenere necessariamente in considerazione nella formazione del giudizio.

Le ragioni che hanno portato all’affermazione di questo orientamento sono di ordine pubblicistico e si fondano sulla necessità di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di mantenere la stabilità delle decisioni, quale interesse dell’intera collettività.

Nella prima metà degli anni ’90 era ancora consolidato l’orientamento secondo cui il giudicato esterno potesse essere rilevato solo su istanza di parte. Con Cass. s.u. n. 226/2001 la giurisprudenza ha riqualificato l’eccezione di giudicato esterno come eccezione rilevabile d’ufficio, purché la parte interessata all’effetto avesse provato il passaggio in giudicato attraverso l’attestazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. Pertanto, all’epoca residuava ancora una differenza tra giudicato interno ed esterno: il primo era automaticamente acquisito agli atti e, quindi, era rilevabile anche in assenza di specifiche produzioni documentali; il secondo, invece, dal momento che veniva qualificato come fatto extraprocessuale e non come elemento di diritto tout court, doveva essere specificamente allegato e provato. Da questa impostazione, discendeva la non trascurabile conseguenza per cui il giudicato esterno non poteva dedursi per la prima volta in sede di legittimità, neppure se formatosi successivamente al decorso dei termini per la proposizione del ricorso e tuttavia prima della pronuncia della Cassazione.

Tale limitazione è stata superata da Cass. s.u. n. 13916/2006, che qualificando anche il giudicato esterno come elemento di diritto e non di fatto, ha riconosciuto al giudice di legittimità il potere di conoscerne pienamente e, di conseguenza, la facoltà della parte interessata di dedurlo, anche qualora si fosse formato in pendenza dei termini di impugnazione, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., o al massimo sino all’udienza di discussione, se sopravvenuto alla proposizione del ricorso.

L’inquadramento del giudicato esterno come elemento normativo dovrebbe, di conseguenza, consentirne la rilevabilità d’ufficio a prescindere dalla presenza o meno della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. (così come avviene per il giudicato interno), dal momento che la necessità di tale certificazione si giustificava proprio alla luce del fatto che il giudicato esterno precedentemente non veniva considerato come elemento di diritto, autonomamente conoscibile dal giudice anche a prescindere dalle allegazioni delle parti (iura novit curia), bensì come elemento fattuale da provare.

Si potrebbe quindi, forse più correttamente, ritenere che, rilevata d’ufficio l’eccezione di cosa giudicata, il giudice, assegnando un termine alle parti per dedurre sul punto, potrebbe, in caso di contestazione, consentire alla parte interessata di produrre il certificato di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. In ogni caso, però, la presenza di tale certificazione non dovrebbe considerarsi come l’unica condizione per poter porre il giudicato alla base della decisione ma solo come una delle possibili prove che si possono offrire per dimostrarne l’intervenuta incontrovertibilità.

Limitare oggi la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno ai soli casi in cui lo stesso risulti munito della suddetta certificazione sarebbe, infatti, in evidente contrasto con la ratio pubblicistica sottesa al principio di rilevabilità d’ufficio dello stesso.  Si rischia in questo modo di subordinare ad un eccesivo formalismo la tutela dell’interesse primario alla stabilità delle decisioni.

Non pare, infine, condivisibile quanto statuito dalla Corte territoriale in merito alla non ammissibilità della deduzione del giudicato esterno in sede di precisazione delle conclusioni. Qualificando l’eccezione di giudicato esterno come eccezione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, la giurisprudenza maggioritaria è, infatti, oramai concorde nel ritenere che in sede di gravame tale eccezione non subisca le limitazioni di cui all’art. 345 c.p.c. per le nuove prove in appello, potendo il giudicato essere rilevato o dedotto fino all’ultimo momento utile prima della decisione. Tale ultimo momento coincide con l’ultima occasione per sottoporre il tema rilevabile d’ufficio al contraddittorio delle parti, che generalmente viene proprio individuato nella fase della precisazione delle conclusioni (cfr. Cass. n. 12754/2022; Cass. n. 48/2021; Cass. n. 16847/2018; Cass. n. 15737/2017; Cass. n. 17069/2014; Cass. n. 8175/2012; Cass. 413/2006; Cass. 4392/2000).

Peraltro, l’impossibilità di far valere l’esistenza del giudicato nel corso del giudizio di appello dovrebbe confrontarsi con la previsione del motivo di revocazione ordinaria di cui all’art. 395, n. 5 c.p.c. Le suddette preclusioni implicherebbero, infatti, che il giudice dell’appello risolverebbe la controversia senza tenere conto di un giudicato che la parte interessata potrebbe far valere in seguito riaprendo il giudizio con il mezzo ad hoc della revocazione.

Tale limitazione non sarebbe neppure logicamente conciliabile con la possibilità di rilevare d’ufficio il giudicato esterno nel giudizio di cassazione, dove, per l’appunto, tale rilevabilità si ammette tanto nel caso in cui il giudicato emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, che nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.