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L’urgente dichiarazione di inefficacia dell’ordinanza di assegnazione per fatti sopravvenuti estintivi del diritto di credito
Di Vito Amendolagine -
Trib. Bari, Sez. II, decreto, 27 gennaio 2025.
Va ordinata con decreto inaudita altera parte – apprezzandosi il pericolo concreto che nel tempo occorrente alla preventiva costituzione del contraddittorio il pregiudizio patito dal ricorrente si possa aggravare, attesa la modesta retribuzione percepita dal medesimo ricorrente – al creditore di astenersi dal continuare a porre in esecuzione l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. emessa nel processo di espropriazione presso terzi ormai estinto, poiché sprovvista di diritto e/o validi titoli di credito, per l’effetto, ordinandosi al terzo pignorato di sospendere i pagamenti in favore del suddetto creditore assegnatario del credito.
La fattispecie
In forza di un decreto ingiuntivo emesso nel 2015 – successivamente divenuto provvisoriamente esecutivo – emesso nei confronti del portiere part-time di uno stabile condominiale, nel 2016 veniva azionata nei confronti del condominio, quale datore di lavoro del medesimo debitore, la procedura espropriativa presso terzi, terminata con l’ordinanza di assegnazione delle somme riconosciute alla parte creditrice.
La decisione del tribunale di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo veniva gravata da appello terminato con la riforma dell’impugnata decisione del giudice di prime cure per effetto della rideterminazione del credito e la revoca del decreto ingiuntivo – sulla cui scorta era stata emessa l’ordinanza di assegnazione nel successivo giudizio di espropriazione presso terzi – con il diritto del debitore a ripetere nei confronti del creditore le maggiori somme percepite in applicazione dell’art. 336 c.p.c.
A seguito della pronuncia in grado di appello, da un lato, il condominio, quale datore di lavoro del debitore, nel 2020 sospendeva la trattenuta mensile dalla busta paga del proprio dipendente, e dall’altro, quest’ultimo agiva in via monitoria per ripetere le somme pagate in eccesso all’originario creditore, ottenendo la provvisoria esecuzione nelle more dell’azionato giudizio di opposizione – per l’importo ex adverso indebitamente percepito.
La decisione del giudice di seconda istanza veniva successivamente ricorsa dinanzi alla Suprema corte, la quale nel 2024, la cassava con rinvio dinanzi al giudice di appello in diversa composizione, dinanzi al quale, veniva quindi riassunto il relativo giudizio ex art. 392 c.p.c.
La sentenza emessa dalla Cassazione ha dunque travolto ex art. 393 c.p.c. tutte le precedenti pronunce emanate nel corso dei vari gradi dello stesso processo civile, ragione per cui, allo stato attuale delle cose difetta l’esistenza di un valido titolo esecutivo, considerata altresì l’intervenuta revoca del decreto ingiuntivo sulla cui scorta, l’originario creditore aveva azionato il processo esecutivo al termine del quale, era stata emessa l’ordinanza di assegnazione delle somme.
La quaestio juris sottoposta al vaglio del giudice della cautela
Il creditore originario sulla base dell’ordinanza di assegnazione di somme ottenuta al termine della procedura esecutiva presso terzi estinta nell’ormai lontano 2016, formula istanza per la riattivazione a carico del condominio, quale terzo pignorato del proprio dipendente, della trattenuta mensile dalla busta paga, unitamente alla corresponsione degli arretrati maturati dal 2020, data in cui vi era stata la sospensione della stessa trattenuta per effetto della sentenza del giudice di appello successivamente cassata.
Il dipendente gravato dal ripristino della suddetta trattenuta mensile dallo stipendio disposta unilateralmente dal condominio quale terzo pignorato, sulla scorta della richiamata permanenza di ultrattività dell’ordinanza di assegnazione, in assenza di ulteriori rimedi tipici per paralizzare le conseguenze in executivis della citata ordinanza di assegnazione, promuove ricorso d’urgenza al fine di conseguire già con provvedimento inaudita altera parte la sospensione della trattenuta mensile dallo stipendio.
La questione verte infatti sull’ammissibilità dello strumento residuale d’urgenza nella presente fattispecie in cui il diritto del ricorrente è minacciato dal pregiudizio imminente ed irreparabile durante il tempo occorrente per farlo valere in via ordinaria (In particolare, quanto alle posizioni giuridiche soggettive tutelabili, la riserva di residualità con cui apre la disposizione dell’art. 700 c.p.c. preclude l’utilizzabilità dei provvedimenti d’urgenza soltanto quando si voglia per il loro tramite tutelare un diritto da un periculum in mora già contemplato nel prevedere una misura cautelare tipica. Pertanto il ricorso alla tutela cautelare innominata resta inammissibile allorquando l’istante possa concretamente disporre di un’azione cautelare tipica in grado di raggiungere un equivalente grado di abilità ad assicurare gli effetti della decisione di merito, cfr. Trib. Catanzaro, ord., 14 luglio 2014, in www.ilcaso.it; in dottrina E. Brandolini, G. Cassano, Tutela urgente dei diritti ex art. 700 c.p.c., Milano, 2017, 5 e ss.).
Le ragioni poste nel ricorso d’urgenza a base del fumus e del periculum in mora
La situazione kafkiana – di cui non constano, in letteratura, precedenti giurisprudenziali editi nei medesimi termini – in relazione alla quale si è reso necessario adire il giudice della cautela, attiene al curioso caso in cui il ricorrente risulta, da un lato, ancora formalmente debitore nei confronti dell’originario creditore per effetto dell’ultrattività dell’ordinanza di assegnazione emessa nel lontano 2016 sebbene non più sorretta da un valido titolo esecutivo, atteso il travolgimento della decisione del giudice di prime cure per effetto del doppio successivo pronunciamento da parte del giudice di seconda istanza e di legittimità, e dall’altro lato, risultando egli stesso creditore nei confronti della medesima controparte creditrice, per effetto della vigenza all’attualità del decreto ingiuntivo medio tempore emesso nelle more da altro giudice, sulla scorta della sentenza con la quale la corte d’appello aveva riformato la decisione del tribunale.
In effetti, a ben vedere, nella fattispecie concreta scrutinata dal giudice barese adito in via d’urgenza, il ricorrente non ha un’azione tipica per paralizzare senza ritardo gli effetti in executivis derivanti dall’ultrattività dell’ordinanza di assegnazione (l’ordinanza di assegnazione pur costituendo titolo esecutivo per l’assegnazione del credito – cfr. Cass. 3 giugno 2015, n. 11493; Cass. 18 marzo 2003 n. 3976, in Riv. esec. forzata, 2003, 708 – dall’orientamento dominante nella giurisprudenza emerge che la stessa è inidonea a conseguire gli effetti propri del giudicato, cfr. Cass., 17 ottobre 2014, n. 22050; Cass., 13 aprile 2012, n. 5895; Contra cfr. Cons. di Stato, ad. plen., 10 aprile 2012, n. 2, in Riv. Dir. Proc., 2012, 1350; in dottrina A. Bonafine, L’ordinanza di assegnazione di crediti ex art. 553 c.p.c.: natura e possibili rimedi, in Riv. esec. forzata, 2013, 2, 382 ss.; B. Capponi, Il giudice dell’esecuzione e la tutela del debitore, in Riv. Dir. Proc., 2015, 6, 1447), attesa l’estinzione già nel 2016 del processo esecutivo nel corso del quale la stessa ordinanza era stata emessa, ragione per cui, allo stato delle cose non è più possibile attivare il procedimento di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., nonostante il successivo caducarsi del titolo esecutivo che pure aveva giustificato “a monte” la sua relativa emanazione (sui rimedi esperibili avverso l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. e sul regime di ultrattività della stessa R. Siciliano, La sopravvivenza dell’ordinanza di assegnazione alla successiva dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, in Riv. esec. forzata, 2020, 968 e ss.; V. Baroncini, Regime ed efficacia dell’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., in GiustiziaCivile.com, 2018, 26).
Si tratta in buona sostanza di un vero e proprio “vuoto normativo” per il malcapitato debitore che durante il tempo occorrente per fare valere le proprie ragioni non dispone di altra tutela all’infuori di quella atipica e residuale del provvedimento d’urgenza, per evitare di subire nelle more del giudizio di cognizione (G. Ricci, Sui rimedi esperibili avverso l’ordinanza di assegnazione dei crediti ex art. 553 c.p.c., in 18 luglio 2017, in www.eclegal.it), le conseguenze del pregiudizio imminente ed irreparabile derivante dal comportamento dell’originario creditore le cui ragioni non sono più assistite dalla validità del titolo esecutivo sulla cui scorta, era stato ab origine azionato il processo di espropriazione presso terzi – estintosi nel 2016 – nel cui contesto era stata emanata la relativa ordinanza di assegnazione delle somme da parte del g.e.
In buona sostanza, al fine precipuo di impedire che il ricorrente – durante il tempo occorrente per fare valere in via ordinaria il proprio diritto ad accertare che il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario dell’originario credito ormai non più esistente, ottenendo la relativa declaratoria di inefficacia dell’ordinanza di assegnazione (avverso la quale, laddove esistente il processo di espropriazione sarebbe potuto azionarsi unicamente l’opposizione ex art. 615 c.p.c., in quanto, eccetto il caso di cui all’art. 548, comma 2, c.p.c., non è previsto espressamente il rimedio generale dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso l’ordinanza di assegnazione del credito emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c. In dottrina su questa tematica R. Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, in Dig. Civ., VIII, Torino, 1992, 107 ss.; G. Della Pietra, Le vicende del pignoramento e dell’assegnazione di crediti, in Le espropriazioni presso terzi, a cura di A. Auletta, Bologna, 2011, 37 e ss.; R. Tiscini, 13 aprile 2012, Considerazioni intorno a natura, effetti e regime dell’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., in www.judicium.it, 19, la quale, si sofferma sui rimedi esperibili avverso l’ordinanza di assegnazione, individuandola precipuamente nell’opposizione agli atti esecutivi, sia quando il provvedimento è viziato per ragioni puramente formali, sia quando di esso si deducono vizi relativi al suo “contenuto decisorio”.) – possa subire un pregiudizio grave ed irreparabile non esiste altra forma di tutela al di fuori di quella innominata d’urgenza, volta ad impedire nell’immediatezza all’originario creditore di continuare a fare valere nei confronti del medesimo odierno ricorrente e del terzo pignorato un diritto di credito ormai divenuto inesistente per effetto delle intervenute circostanze modificative e/o estintive.
Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ordinanza di assegnazione dei crediti pignorati, in quanto atto che non necessita di attuazione, non è mai revocabile o modificabile dal giudice dell’esecuzione che l’ha emessa (Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 20 febbraio 2007, n. 3958; Cass. Civ., Sez. III, 16 giugno 1992, n. 7399) e che, una volta che il procedimento di espropriazione presso terzi di crediti si sia concluso con l’ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c., non è più ammissibile neanche una opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. da parte del debitore, dovendo quest’ultimo, in tale caso, instaurare un ordinario processo di cognizione per fare eventualmente accertare che il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito (Cass. Civ., Sez. III, 21 aprile 2022, n. 12690).
In ordine agli strumenti processuali a disposizione del debitore per fare valere eventuali fatti sopravvenuti che abbiano inciso sugli effetti di detta ordinanza di assegnazione, va opportunamente precisato che, in ragione del carattere solo rescindente della sentenza emessa all’esito dei gradi di giudizio successivi a quello del giudice di prime cure sulla cui scorta era stato azionato il processo esecutivo al termine del quale era stata emessa l’ordinanza ex art. 553 c.p.c., può solo essere dichiarata l’eventuale illegittimità di quest’ultima, con la sua conseguente inefficacia laddove non conforme alla legge, dovendo, di regola, essere proprio il giudice dell’esecuzione a prendere atto di tale pronuncia ed eventualmente emettere i conseguenti provvedimenti necessari per il prosieguo del processo esecutivo esso laddove fosse stato pendente.
Sta di fatto però che, nella fattispecie concreta scrutinata dal giudice barese, neppure tale strada risulta percorribile perché, nella peculiare situazione che ha dato luogo alla presente controversia, deve invece tenersi conto dell’ulteriore circostanza che il processo esecutivo era stato già chiuso e definito con l’originaria ordinanza di assegnazione, ragione per cui il giudice dell’esecuzione aveva ormai già definitivamente esaurito la sua funzione e con essa, speso definitivamente il relativo potere (su tale questione, cfr. Cass. Civ., Sez. III, 12 aprile 2023, n. 9736).
In tale senso depone il noto orientamento giurisprudenziale secondo cui non può essere legittimamente emesso un provvedimento di sospensione dell’esecuzione dal giudice di un’esecuzione che più non sussiste, come del resto sarebbe ugualmente improponibile un’opposizione avverso un’esecuzione che più non sussiste (Cass. Civ., 28 febbraio 2006, n. 4507; Cass. Civ., 20 ottobre 1997, n. 10259, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1998, I, 518, da cui si evince che l’opposizione all’esecuzione può essere esperita soltanto finché non sia esaurito il processo esecutivo e, cioè, nell’ipotesi di espropriazione presso terzi, finché non sia emessa l’ordinanza di assegnazione. In dottrina R. Metafora, Brevi osservazioni sulla natura dell’ordinanza di assegnazione dei crediti e sui rimedi esperibili avverso di essa in GiustiziaCivile.com, 2019, 3).
Infatti la tutela cognitoria data dall’opposizione all’esecuzione e la connessa tutela cautelare data dalla sospensione del processo esecutivo sono esperibili sino a quando il processo esecutivo pende e la loro esperibilità si esaurisce quando il processo esecutivo si chiude, il che, nell’espropriazione forzata di crediti, avviene con l’emissione della ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. (Cass. Civ., 14 luglio 1967, n. 1768).
Le suddette considerazioni trovano conferma nel fatto che la causa di opposizione ad esecuzione non può avere finalità o scopo diversi dal processo esecutivo cui accede, atteso che, il processo esecutivo è teso a garantire al creditore consacrato nel titolo il bene della vita in esso descritto, essendo funzionale all’attuazione forzata del diritto come consacrato nel titolo esecutivo, in cui tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione tendono alla realizzazione coattiva di quanto vincolativamente per quel medesimo giudice – è statuito nel titolo (Corte cost., 12 novembre 2002, n. 444).
Conseguentemente, la continuità funzionale del processo esecutivo rispetto a quello di cognizione si estrinseca in una tendenziale subordinazione del primo al secondo, resa evidente dalla necessità che a base di quello sia sempre ed indefettibilmente, per tutta la sua durata, un titolo, che ne fonda la legittimità, accertando in modo vincolante l’esistenza del diritto del creditore di agire in via esecutiva, al contempo delimitandone però in modo insuperabile l’ambito (Cass. Civ., Sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4505).
Il dies a quo del termine decennale di prescrizione dell’ordinanza di assegnazione
In forza del provvedimento di assegnazione emesso ex art. 553, comma 1, c.p.c. il terzo diviene debitore diretto del creditore assegnatario delle somme, realizzandosi in buona sostanza, una sostituzione dal lato attivo nel rapporto obbligatorio, ravvisabile in un fenomeno di cessione pro solvendo del credito.
Ciò premesso, quid juris per quanto attiene al permanere degli effetti giuridici nel tempo dell’anzidetta ordinanza emessa ex art. 553 c.p.c.?
Sulla questione è intervenuta la Suprema corte affermando il principio che l’ordinanza di assegnazione di un credito pignorato non è in alcun modo equiparabile ad una sentenza di condanna – tanto meno ad una sentenza di condanna del terzo debitor debitoris – costituendo solo un provvedimento giudiziale esecutivo atto a trasferire la titolarità del medesimo credito pignorato dal debitore esecutato al creditore procedente, tant’è che, l’ordinanza di assegnazione – in quanto atto meramente esecutivo – non è suscettibile né di appello né di passaggio in giudicato (Cass. Civ., Sez. III, 5 marzo 2020, n. 6170).
Sul piano della prescrizione del credito oggetto di assegnazione, si è altresì affermato che non possa ritenersi decorrente dal momento in cui l’ordinanza diventa inoppugnabile ma dal momento in cui, in base ad essa, il creditore ha la facoltà di esercitare il diritto a lui assegnato e cioè, di regola, dal momento in cui l’ordinanza stessa viene emessa e resa pubblica, quindi, più precisamente, dal momento della sua pronuncia in udienza ovvero da quello del suo deposito in cancelleria, se emessa fuori udienza (Cass. Civ., Sez. III, 11 giugno 2021, n. 16607, secondo cui, la prescrizione ricomincia a decorrere dal momento in cui il diritto di credito può essere esercitato dal creditore assegnatario e, cioè, di regola, dalla pronuncia dell’ordinanza di assegnazione se emessa in udienza, ovvero dal suo deposito se resa fuori udienza).
In tale ottica, la comunicazione dell’ordinanza di assegnazione emessa fuori udienza, da parte della cancelleria non assume alcun rilievo, in quanto essa non costituisce condizione per l’esercizio del diritto di credito oggetto di assegnazione da parte del creditore.
La mancata conoscenza dell’avvenuto deposito di detta ordinanza potrebbe costituire al più un ostacolo od un impedimento di mero fatto, per il creditore assegnatario, all’esercizio del diritto stesso.
Il che di regola non avrebbe però alcun effetto sul decorso della prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 c.c., in quanto l’impossibilità di fare valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 31 luglio 2019, n. 20642; Cass. Civ., Sez. lav. 11 settembre 2018, n. 22072; Cass. Civ., Sez. lav., 29 agosto 2018, n. 21371; Cass. Civ., Sez. III, 19 luglio 2018, n. 19193; Cass. Civ., Sez. lav., 26 maggio 2015, n. 10828; Cass. Civ., Sez. I, 15 aprile 2015, n. 7609; Cass. Civ., Sez. III, 6 ottobre 2014, n. 21026; Cass. Civ., Sez. VI, 7 marzo 2012, n. 3584; Cass. Civ., Sez. lav., 27 giugno 2011, n. 14163).
Considerazioni finali
Il decreto emesso dal Tribunale di Bari ordina al creditore di astenersi dal continuare a porre in esecuzione l’ordinanza di assegnazione, poiché sprovvisto di diritto e/o titoli di credito, e per l’effetto, ordina altresì al terzo pignorato – condominio in persona dell’amministratore pro-tempore – quale datore di lavoro del debitore individuato nel portiere dello stabile di sospendere i pagamenti al creditore assegnatario del credito.
Nei precedenti giurisprudenziali editi si controverteva invece unicamente sulle contestazioni di merito – con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. – per dedurre fatti impeditivi, estintivi o modificativi della pretesa del creditore assegnatario sopravvenuti all’ordinanza di assegnazione (Cass. Civ., 3 giugno 2015, n. 11493) od il venire meno del titolo esecutivo su cui si fondava l’esecuzione conclusa con l’ordinanza di assegnazione, nell’ambito dello stesso processo esecutivo (Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4505 cit., affermandosi che in tale ottica, se si intenda contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata, anche nell’esecuzione presso terzi, il rimedio esperibile è quello dell’opposizione all’esecuzione, essendosi quindi ribadito il principio che, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione può controllare la persistenza della validità di quest’ultimo e, quindi, attribuire rilevanza a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività).
In linea generale, la Cassazione ha esaminato il regime giuridico dell’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate di cui all’art. 553 c.p.c., nonché i rimedi giurisdizionali esperibili avverso tale provvedimento (Cass. Civ., Sez. III, 5 maggio 2017, n. 10912; in dottrina, G. Parisi, Espropriazione presso terzi: i rimedi esperibili contro l’ordinanza di assegnazione, 14 giugno 2018, in Ius il processo civile.it).
Diverso è invece il caso esaminato dal giudice barese con il decreto che si annota in cui l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. è stata emessa nel processo di espropriazione presso terzi ormai estinto da anni, controvertendosi dei relativi effetti tutt’ora prodotti nonostante il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza del diritto di credito originariamente azionato – posto a base di quella stessa ordinanza di assegnazione – in grado di produrre ancora i relativi effetti per la sua autonoma ultrattività rispetto allo stesso diritto di credito che pure ne aveva giustificato l’emissione.
Infatti nel caso in cui l’ordinanza di assegnazione abbia contenuto decisorio, fermo restando che la denuncia delle invalidità dell’atto sono precluse dalla chiusura dell’espropriazione presso terzi per effetto dell’art. 2929 c.c., l’inattitudine al giudicato del medesimo provvedimento consente che la sua ingiustizia sia contestabile anche in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c. intrapresa in occasione di una nuova esecuzione iniziata contro il terzo debitore assegnato, atteso che gli effetti dell’assegnazione non precludono certo la contestabilità – una volta chiuso il processo esecutivo – del diritto a procedere ad esecuzione forzata (F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2011, III, 170-173).
In particolare, secondo la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. III, 21 aprile 2022, n. 12690), una volta che il procedimento di espropriazione presso terzi di crediti si sia concluso con l’ordinanza ex art. 553 c.p.c., non è più ammissibile l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., dal momento che il diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere contestato solo fintanto che è minacciato o viene esercitato dal creditore e non già dopo che il processo esecutivo si sia definitivamente concluso, potendo, in tale caso, il debitore instaurare un ordinario processo di cognizione per accertare che il terzo pignorato non è più tenuto ad effettuare pagamenti al creditore assegnatario del credito e, se del caso, ottenere la restituzione delle somme già incassate in ragione di circostanze modificative o estintive sopravvenute alla conclusione del processo esecutivo.
Il problema è sorto in tutta la sua concretezza nel constatare che, il debitore che – nelle more dei gradi successivi dei giudizi di merito svoltisi durante e dopo l’estinzione del processo esecutivo nel cui ambito era stata emessa l’ordinanza di assegnazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c. – scopre di non essere debitore delle somme portate nel detto titolo giudiziale, ma egli stesso creditore della parte avversa, avendo corrisposto a quest’ultima più di quanto spettava, e che, ciò nonostante, nell’immediatezza continua a restare esposto agli effetti promananti dalla citata ordinanza, dovendo attendere anni per accertarne con la cognizione piena – non importa sotto tale aspetto se nelle forme ordinaria o semplificata – l’inefficacia.
In tale contesto fattuale, emerge ictu oculi che l’irreparabilità del pregiudizio che legittima il ricorso al procedimento di cui all’art. 700 c.p.c. deve ritenersi sussistente allorché per effetto della decurtazione della trattenuta mensile dallo stipendio si realizzi un grave ed irreparabile danno al sostentamento della persona del debitore e del di lui nucleo familiare, in tale modo frustrando alla radice la possibilità di realizzare il diritto alimentare da parte del percettore di tale reddito attesa la sua modesta entità paragonabile a quella della pensione sociale.
Sotto tale ultimo aspetto della vicenda, appare altresì innegabile come esista allora anche un’ulteriore lacuna nell’ordinamento che, da un lato, all’art. 545, comma 7, c.p.c. dispone che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro, e, dall’altro, non prevede una simile tutela per gli stipendi di analoga portata.
In una situazione come quella deputata alla cognizione del giudice adito in via d’urgenza, premessa l’indubbia esistenza del fumus boni juris sulla scorta delle innanzi addotte ragioni, appare altresì evidente come l’ingiusta decurtazione di una somma in ragione di un quinto dallo stipendio erogato in misura pari a quella della pensione sociale, integra una situazione giustificatrice del periculum richiesto dall’art. 700 c.p.c. costituito dalla sostanziale impossibilità per il percettore di tale reddito – in linea di fatto prossimo alla soglia di indigenza – di potere adempiere, con cadenza mensile, all’obbligo di alimentare sé stesso ed il di lui nucleo familiare (come sembra di potersi evincere finanche dalla stringatissima ma al tempo stessa chiarissima motivazione resa nel decreto inaudita altera parte in commento).