Luci e ombre del nuovo procedimento semplificato di cognizione

Di Gianpaolo Caruso -

Sommario: 1. – Caratteri ontologici del nuovo procedimento semplificato. – 2. Le nuove norme che disciplinano il rito. –  3. Il mutamento del rito ordinario in quello semplificato. – 4. Criticità del nuovo art. 183-bis c.p.c. – 5. Il mutamento del rito semplificato in quello ordinario.

1.Tra i vari interventi riformatori al codice di rito, il d.lgs 149 del 2022 ha sostituito il procedimento sommario di cognizione, collocato precedentemente alla riforma al Capo III-bis del Libro IV del Codice di procedura civile[1], con il c.d. procedimento semplificato di cognizione, che trova oggi, invece, collocazione al nuovo Capo III-quater del Libro II, nello spazio immediatamente successivo a quello dedicato al giudizio di cognizione.

Con tale nuova collocazione, il legislatore ha voluto sottolineare l’alternatività[2] – e non la specialità – del nuovo procedimento semplificato rispetto al giudizio pieno di cognizione, differenziandosi il rito semplificato rispetto a quello ordinario solo per quello che riguarda la semplificazione dello sviluppo del procedimento[3], dal momento che la semplificazione riguarda esclusivamente le forme attraverso le quali il processo si svolge, ma non il contenuto dell’accertamento posto alla base della decisione.

Sebbene il procedimento semplificato di cognizione abbia mantenuto molte delle principali caratteristiche del precedente rito sommario[4], nel disciplinare il nuovo istituto il legislatore ha tenuto conto delle pronunce giurisprudenziali[5] che hanno di volta in volta integrato la disciplina del vecchio rito sommario ex art. 702-bis e ss. del codice di rito[6], rimanendo ancorato ai criteri di delega[7].

L’obiettivo previsto nella riforma, è fare in modo che le controversie civili sottoponibili in primo grado al rito ordinario sino solo quelle complesse[8].

Chiaramente, l’intervento riformatore dell’istituto del rito semplificato di cognizione si ispira ai principi di semplicità, concentrazione, effettività della tutela e ragionevole durata del processo di cui all’art. 1, comma 5°, lett. A, della stessa l. 206 del 2021, caratterizzato (non dissimilmente dal vecchio rito sommario di cognizione), da un iter procedimentale ispirato alla concentrazione e alla snellezza, destinato alle cause che richiedono un’istruttoria non complessa[9]. È stata estesa, di conseguenza, l’applicabilità del nuovo istituto sia ai giudizi di competenza del giudice di pace – prevedendo il nuovo art. 316 c.p.c. che la domanda si proponga nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibili, determinando così la riconduzione a un rito unitario delle controversie trattate dal giudice di pace – che ai casi in cui la competenza è del tribunale in composizione collegiale[10], alla presenza però, in questo ultimo caso, dei requisiti indicati dall’art. 281-decies, comma 1°, c.p.c.

In particolare, se ante riforma la scelta del rito sommario ai sensi dell’abrogato art. 702-bis c.p.c. era rimessa sostanzialmente alla facoltà discrezionale dell’attore, il nuovo rito semplificato si presenterebbe oggi come un percorso obbligato per tutte le controversie che presentino uno dei seguenti presupposti[11]: i) i fatti di causa non sono controversi, ii) la domanda è fondata su prova documentale, iii) di pronta soluzione, ovvero iv) non richieda una istruttoria complessa[12].

Di seguito alla riforma, invece, il rito semplificato resta facoltativo a quello ordinario, quando il tribunale giudica in composizione monocratica potendo (e non dovendo) la domanda essere proposta nelle forme del procedimento semplificato ai sensi dell’art. 281-decies, comma 2° c.p.c. Deve poi evidenziarsi che, in caso di connessione ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. tra causa sottoposta al rito semplificato di cognizione e causa sottoposta a rito speciale diverso da quello di cui alle cause di lavoro e previdenziali ex artt. 409 e 442 c.p.c., le cause debbono essere tutte trattate e decise con il rito semplificato di cognizione.

Invero, le dinamiche sottese all’applicabilità del rito scontano di una valutazione incompleta dell’attore dal momento che, nell’introdurre il giudizio, dovrà compiere l’analisi sulla complessità della lite, non conoscendo ancora le difese del convenuto, in assenza nel nostro ordinamento dell’istituto della discovery predibattimentale. Di conseguenza, la proseguibilità del processo nelle forme del rito semplificato necessiterà di una valutazione, caso per caso, solo ex post del giudice sulla complessità[13] o meno della lite (sia nell’ipotesi prevista dal comma primo dell’art. 281-duodecies c.p.c. che dal nuovo articolo 183-bis c.p.c.).

Il legislatore ha mantenuto quindi ferma la discrezionalità del giudice, ai sensi del primo comma dell’art. 183-bis e 281-duodecies c.p.c., di valutare i presupposti per continuare nel rito scelto dall’attore, sbiadendosi di conseguenza l’obbligatorietà dell’applicazione del rito semplificato, che continua a esistere in via residuale in ragione di specifiche materie[14], restando di conseguenza un miraggio[15].

2.L’art. 281-undecies c.p.c. disciplina i tempi e le modalità di introduzione del nuovo rito semplificato. La domanda, come nel vecchio rito (art. 702-bis, comma 1° c.p.c.), si propone con ricorso contenente i medesimi elementi previsti dall’art. 163 c.p.c. per l’atto di citazione (art. 281-undecies, comma 1° c.p.c.).

Le modalità di introduzione di detto procedimento rimangono per lo più identiche al precedente giudizio sommario di cognizione.

Quanto al contenuto del ricorso, sono previsti requisiti analoghi a quelli introdotti dalla riforma ai nn. 3-bis e 7 dell’art. 163 c.p.c. È utile qui ricordare che, riguardo all’abrogato procedimento sommario di cognizione, già il giudice di legittimità[16] ha ritenuto che, in caso di inosservanza della disciplina relativa sia all’editio actionis che alla vocatio in ius, è applicabile l’istituto della rinnovazione dell’atto introduttivo nullo ai sensi dell’art. 164 c.p.c. con l’assegnazione, da parte del giudice, di un termine perentorio per provvedere a una nuova notificazione, in tutti quei casi in cui la costituzione del convenuto non sani il vizio, principio giurisprudenziale che continuerebbe ad applicarsi anche nella nuova disciplina.

Nell’emettere il decreto di fissazione udienza per la comparizione delle parti, il giudice, successivamente al deposito del ricorso, dovrà tener conto dei termini di difesa, ovvero che intercorrano termini liberi non minori di quaranta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all’estero (art. 281-undecies, comma 2° c.p.c.).

La disposizione introduce dunque una novità rispetto al precedente art. 702-bis, comma 3° c.p.c., che prevedeva invece la notifica del ricorso unitamente al decreto di fissazione udienza al convenuto almeno trenta giorni primi dalla data fissata per la sua costituzione.

Quanto al contenuto della comparsa di costituzione, in armonia con il principio di chiarezza e sinteticità[17] degli atti cristallizzato oggi nel novellato art. 121 c.p.c., rileva la tecnica di redazione della comparsa di costituzione. Tuttavia, rispetto all’art. 121 del codice di rito, l’art. 281-undecies, comma 3° c.p.c. impone che il convenuto debba prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda[18], e non già un onere di chiarezza e specificità, avvicinando il dettato al più generale disposto di cui all’art. 115 c.p.c.[19].

Al pari di quanto già previsto dall’abrogato art. 702-bis, comma 5° c.p.c., la chiamata in causa di terzo[20], ovvero la proposizione di domanda riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio a pena di decadenza, devono essere proposte nella comparsa di costituzione.

La relazione illustrativa anticipava, come in attuazione dei principi di delega, che la disciplina del rito semplificato avrebbe dovuto coniugarsi con la necessità di prevedere una scansione processuale in cui maturano in modo chiaro e prevedibile le preclusioni, consentendo così di prevedere i tempi di trattazione del procedimento con questo rito, fermo restando il necessario rispetto del principio del contraddittorio.

Nel nuovo procedimento semplificato, dunque, il legislatore ha inteso stabilire ex ante le regole del processo, indicando i poteri processuali che le parti possono esercitare, con le relative modalità e i relativi termini, non avendo più il giudice il potere di regolare nel modo ritenuto opportuno lo svolgimento del giudizio. Scompare, di conseguenza, la libertà discrezionale del giudice di stabilire quale siano le forme più idonee per il procedimento, che invece caratterizzava l’abrogato rito sommario, essendo ora previsti dalla legge i termini in cui le parti devono svolgere le proprie attività difensive.

La disciplina del nuovo rito semplificato prevede di conseguenza che, alla prima udienza ex art. 281-duodecies commi 2° e 3° c.p.c., le parti devono, a pena di decadenza, proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti[21].

Sempre alla prima udienza, le parti possono chiedere che il giudice conceda, laddove sussista un giustificato motivo[22], un primo termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, nonché un ulteriore termine – non superiore a dieci giorni – per replicare e dedurre prova contraria.

Ne deriva che al primo termine deve ancorarsi il momento ultimo per l’esercizio del potere di contestazione[23].

Il giudice può quindi modulare l’assegnazione di termini anche più brevi rispetto a quelli massimi previsti dalla norma, residuando dunque la consapevolezza del legislatore di lasciare al giudice un ampio margine di manovra nel governare i tempi in relazione all’oggetto della causa e proporzionalmente alla semplicità.

Il procedimento presenta due ulteriori novità: la modalità di decisione e l’aver previsto la sentenza[24], in luogo della ordinanza assunta all’esito del previgente rito sommario di cognizione, quale provvedimento che definisce il giudizio.

Per quando riguarda le modalità di decisione, nelle cause in cui la decisione spetta al tribunale monocratico, la definizione del giudizio avviene secondo il modello della previsto dal novellato art. 281-sexies c.p.c., che prevede la facoltà del giudice – al termine della discussione orale, in alternativa alla lettura contestuale della sentenza e del dispositivo – di riservare il deposito della sentenza nei successivi trenta giorni; nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, invece, la decisione è adottata a norma dell’art. 275-bis c.p.c. ossia, anche in tal caso, a seguito di discussione orale davanti al collegio, con facoltà dell’organo giudicante di depositare la sentenza nel termine di sessanta giorni.

Il provvedimento decisorio ha naturalmente valore di titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., oltre a poter essere titolo idoneo per l’iscrizione ipoteca giudiziale, ovvero per la trascrizione (art. 281-terdecies, comma 1° c.p.c.), ed è impugnabile nei modi ordinari[25].

3.In forza del nuovo art. 183-bis c.p.c., la disciplina del procedimento semplificato di cognizione (al pari di quanto già avveniva con il vecchio rito sommario) può innestarsi quale modalità di continuazione nei casi in cui la scelta dell’attore di introdurre il processo con le forme del rito a cognizione piena si presenti – avuto riguardo alla complessità della causa – sovrabbondante dal punto di vista delle attività che lo caratterizzano.

La riforma offre al giudice, alla prima udienza, una serie di soluzioni diversificate[26] al fine di trattare la lite, rievocando alla mente l’allocation hearing[27] propria del sistema processuale inglese, dal momento che mediante l’art. 183-bis c.p.c. il giudice è tenuto a individuare il percorso (track) processuale che appare più adeguato, riconducendo, con uno sforzo interpretativo,  le difese delle parti ex art. 171-ter c.p.c. e dando  rilevanza all’inciso «sentite le parti» presente nell’art. 183-bis c.p.c.,  a quella che nel processo inglese è la direction questionnaire[28].

È evidente che il nuovo art. 183-bis c.p.c. deve oggi essere riletto coordinandolo alle nuove norme che disciplinano la fase di introduzione del rito ordinario.

L’attuale assetto della fase introduttiva del processo civile prevede, ai sensi dell’art. 171-bis, comma 1° c.p.c., che il giudice, spirati i termini dettati per la costituzione del convenuto di cui all’art. 166 c.p.c. debba verificare, tra le altre cose, la sussistenza dei presupposti per procedere con il rito semplificato.

Tuttavia, la sussistenza dei requisiti per procedere al mutamento del rito ordinario in quello semplificato dovrà essere trattata, stante l’espressa previsione dell’ultimo periodo del comma primo dell’art. 171-bis c.p.c. dalle parti nelle memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c.

Sembrerebbe di conseguenza che alle parti non sia dunque precluso in alcun modo di ampliare il thema decidendum e quello probandum, salvo sollevare problemi di legittimità costituzionale per disparità di trattamento e lesione del diritto di difesa e del giusto processo.

Pertanto, solo all’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c il giudice dispone[29], ai sensi di quanto disposto nel nuovo art. 183-bis c.p.c., con ordinanza non impugnabile, la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato.

È evidente dunque che il giudice (ri)affronterà la questione circa la sussistenza dei presupposti per il mutamento del rito ex art. 183-bis c.p.c. solo successivamente al momento in cui la disclosure dei fatti di causa e dei mezzi di prova delle parti sarà stata piena e completa, ovvero nel momento successivo al deposito delle note integrative, posto che i mezzi di prova e le relative prove contrarie sono ora  indicate dalle parti in forza dell’art. 171-ter c.p.c. che decorre ex art. 171-bis c.p.c. (dunque in un momento in cui il giudice è definitivamente in grado di apprezzare il carattere di complessità o meno della causa[30]).

Di conseguenza, la conversione del rito ordinario in quello semplificato, avuto riguardo alle preclusioni già maturare, sarà limitata al solo svolgimento della fase decisoria[31], salvo quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 281-duodecies, c.p.c. che prevede, anche per il rito sommario, l’ipotesi in cui la causa non sia matura per la decisione e in eventuale presenza di richieste istruttorie di procedere all’assunzione delle stesse[32].

Deve infatti escludersi che, attesa la possibilità delle parti di fare richieste istruttorie ex art. 171-ter c.p.c., in ipotesi di mutamento del rito, le parti possano proporre le eccezioni di cui al comma terzo dell’art. 281-duodecies c.p.c., ovvero richiedere il termine previsto dal comma quarto per precisare o modificare le domande e per indicare altri mezzi di prova.

Pertanto, in caso di mutamento del rito da ordinario a semplificato, il giudice procede esclusivamente ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 281-duodecies c.p.c., stante l’espresso richiamo nell’art. 183-bis c.p.c.

4.Emerge tuttavia diffidenza verso il nuovo impianto costruito ex art. 183-bis[33] c.p.c. rispetto al continuum del processo introdotto nelle forme del rito ordinario con la disciplina del procedimento semplificato di cognizione[34], in ordine all’efficienza del mutamento del rito avuto riguardo ai principi di economia processuale.

È evidente che la fase decisoria del rito semplificato viene celebrata, atteso l’espresso richiamo contenuto nell’art. 281-terdecies c.p.c., con il rinvio a quanto disposto dall’art. 281-sexies c.p.c. per le cause di competenza del tribunale monocratico e, all’art. 275-bis c.p.c., per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale.

Invero, a eccezione di quei casi in cui il rito semplificato sia obbligatorio[35] (configurando in tale caso un errore di rito l’introduzione della causa con citazione in ragione della materia), esiste sempre la possibilità per il giudice del rito pieno di rinviare per la decisione nelle forme dell’art. 281-sexies o dell’art. 275-bis c.p.c.

In ossequio al principio di economia processuale, che imporrebbe di non appesantire il procedimento mutandone il rito, il giudice potrebbe già alla prima udienza disporre ai sensi dell’art. 281-sexies ovvero 275-bis c.p.c., ovvero avvalersi dei rimedi previsti dall’art. 183-ter e 183-quater c.p.c. (ricorrendone l’istanza di parte e di presupposti), ovvero ancora delle ordinanze ex art. 186-bis, ter e quater c.p.c., trattandosi di istituti processuali idonei a definire il procedimento rapidamente.

Di conseguenza, l’ipotesi di preferire il rinvio per la discussione orale in luogo di disporre il mutamento del rito nelle forme di quello semplificato per le cause non complesse sembrerebbe da preferirsi ogni qual volta la causa si presenti alla nuova prima udienza di comparizione ex art. 183 c.p.c. “semplice”, o comunque matura per la decisione in assenza di pluralità delle parti, delle questioni da decidere, della molteplicità dei documenti da esaminare[36].

Resta poi, da una parte, l’ipotesi della complessità della lite come criterio per far proseguire il processo nelle forme ordinarie, ipotesi che può legittimamente (rectius discrezionalmente[37]) essere richiamata dal giudice per la scelta del rito, ogni volta che insindacabilmente lo riterrà opportuno, anche per ragioni che non attengono alla controversia in sé, ma anche per ragioni che riguardano la gestione del suo “ruolo” da parte del giudice stesso.

Infine, tanto nel rito ordinario che in quello semplificato, il provvedimento che definisce il giudizio è la sentenza e non più l’ordinanza; pertanto andrà motivato ai sensi dall’art. 132 c.p.c., non avendo il legislatore seguitato con l’idea che l’ordinanza impegnasse di meno il giudice, non favorendo, come accadeva per l’abrogato rito sommario, la pronuncia con un provvedimento succintamente motivato a contenuto decisorio anche di merito[38].

In definitiva, la disciplina prevista dall’art. 183-bis c.p.c., con buona probabilità, avrà scarso utilizzo se non nei casi in cui la via del rito semplificato sia obbligata in ragione della materia.

5.– Il comma primo dell’art. 281-duodecies c.p.c. disciplina l’ipotesi del mutamento del rito semplificato in quello ordinario di cognizione, ponendosi speculare a quanto disposto dall’art. 183-bis c.p.c., mantenendone inalterati i poteri discrezionali del giudice.  Infatti, anche nell’ipotesi in cui la causa sia stata introdotta nelle forme del rito semplificato, il giudice istruttore, dopo l’eventuale integrazione del contradittorio (e, in presenza di giusti motivi, dopo aver concesso i termini previsti dal comma quarto dell’art. 281-duodecies c.p.c., cfr. infra), procede al controllo dei requisiti previsti dall’art. 281-decies, comma 1°, c.p.c. per l’accesso al rito semplificato.

La disposizione cui all’art. 281-duodecies c.p.c. va necessariamente coordinata con quanto disposto dall’art. 281-decies c.p.c. A ben vedere, il legislatore ha individuato nell’ultimo periodo del comma primo dell’art. 281-duodecies c.p.c. il caso in cui il mutamento del rito deve essere disposto in tutti quei casi in cui la lite risulti essere complessa. Ciò implica una scelta caso per caso da parte del giudice da operarsi sia nei casi in cui il rito semplificato sia obbligatorio, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 281-decies, comma 1° c.p.c., sia nel caso in cui la scelta del rito semplificato sia stata effettuata discrezionalmente dal ricorrente, ai sensi dell’art. 281-decies, comma 2° c.p.c., ma non risulti opportuna in relazione alle caratteristiche della controversia.

Di conseguenza, lungi dallo sperimentare una vera obbligatorietà del rito, il procedimento semplificato può essere utilmente coltivato solo nei casi in cui la lite non presenti elementi di complessità, demandando di conseguenza all’insindacabile discrezionalità[39] del giudice i casi in cui la lite può definirsi tale. Pertanto, l’obbligatorietà prevista dal legislatore ex ante dal comma primo dell’art. 281-decies c.p.c. va inevitabilmente a impattarsi con la discrezionalità ex post attribuita dalla legge al giudice nella valutazione della complessità della lite.

Le dinamiche relative al mutamento del rito semplificato devono poi essere confrontate con l’esercizio dello ius variandi, ovvero la possibilità di formulare istanze istruttorie e di modificare le domande in quanto laddove considerati ammissibili tali diritti nel nuovo rito semplificato sono di certo idonei a rilevare sulla complessità della causa.

Ai sensi del comma terzo dell’art. 281-duodecies c.p.c., sembrerebbe che il legislatore abbia inteso restringere lo ius variandi dal momento che subordina la concessione del termine per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre i documenti, nonché per replicare e dedurre la prova contraria all’esistenza di un giustificato motivo, ovvero all’effettiva necessità di compiere quegli atti.

Tuttavia, sembrerebbe escludersi che sulle parti gravi l’onere, a pena di decadenza, di formulare già negli atti introduttivi le richieste istruttorie.

È pur vero che il comma quarto dell’art. 281-duodecies c.p.c. prevede la concessione del doppio termine se richiesto dalle parti e laddove sussista un giustificato motivo, ma è altrettanto vero che il giustificato motivo potrebbe risiedere nell’impossibilità dell’attore di non avere potuto articolare le prove e le difese conseguenti all’attività del resistente, in un momento in cui ancora non è definito il thema decidendum e quello probandum; di conseguenza, l’inciso rischia di diventare una mera clausola di stile utilizzabile dal giudice per concedere detti termini.

Inoltre, lo ius variandi si applicherebbe al più  in relazione all’allegazione dei fatti e non alle richieste istruttorie[40], stante per di più la possibilità che si intravede nel comma quinto dell’art. 281-duodecies c.p.c., di seguito la concessione dei termini per la deduzione dei mezzi di prova di cui al comma quarto dell’art. 281-duodecies c.p.c., di rideterminare successivamente al deposito delle memorie delle parti (con un’apposita udienza, anche cartolare, ex art. 127-ter c.p.c.) la pronuncia sul mutamento del rito[41] ai sensi del comma primo.

Si può dunque ritenere non necessario che la deduzione dei mezzi di prova (anche delle prove costituende), debba avvenire non oltre la prima udienza, potendo il giudice avere a disposizione tutti gli elementi necessari per decidere se far proseguire il processo nelle forme del rito semplificato ovvero nelle forme di quello ordinario, successivamente all’indicazione dei mezzi di prova richiesti dalle parti ai sensi del comma quarto dell’art. 281-duodecies c.p.c., diversificando il procedimento semplificato dal quello previsto per le controversie in materia di lavoro in ordine alle preclusioni processuali previste in ragione della specialità del rito.

In ogni caso, il potere discrezionale del giudice si traduce nella non impugnabilità del provvedimento che dispone la scelta del rito, in quanto non decisoria[42]. A bene vedere[43], infatti, la trattazione della controversia da parte del giudice con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento o della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa[44].

In definitiva, il legislatore ha compiuto la scelta di accentuare il controllo dell’autorità giudiziaria nella scelta del rito più adatto per la definizione della controversia in primo grado.

In caso di mutamento del rito da semplificato a ordinario, il giudice è tenuto a fissare l’udienza ex art. 183 c.p.c. rispetto alla quale decorrono, ex lege, i termini per le memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c.; in questa maniera vengono recuperate tutte le attività proprie del nuovo processo di cognizione, in ragione anche delle nuove preclusioni che si vengono a formare in virtù del thema probandum e decidendum[45].

Inoltre, dal momento che  l’art. 281-duodecies c.p.c. fa espressamente riferimento alla fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c. per la prosecuzione con il nuovo rito ordinario, il  rito semplificato di cognizione  continuerebbe a essere incompatibile con il rito lavoro e locatizio, in ragione del diverso regime delle preclusioni, soprattutto istruttorie, atteso che il nuovo art. 281-duodecies  c.p.c. fissa delle barriere preclusive meno rigide di quelle che caratterizzano invece il rito del lavoro e quello locatizio[46].

[1] La sostituzione ha rideterminato, atteso l’organico riordino della materia, l’intera abrogazione del Capo III-bis del Libro IV, precedente rubricato «del procedimento sommario di cognizione» che trovava spazio all’interno del codice di rito nella sezione dedicata invece ai procedimenti speciali. Tuttavia il riferimento al procedimento sommario di cognizione non scompare definitivamente, potendosi rinvenire nell’art. 840-quinquies, comma 2° c.p.c. relativo alla disciplina della fase di accertamento dell’azione di classe. Giussani, op. cit. 2023 p. 632. L’A. ritiene di conseguenza arduo prospettare la lettura come rinvio mobile e non ricettizio.

[2] Che il nuovo rito sommario di cognizione si ponga alla stregua di rito alternativo a quello pieno lo si può evincere, oltre che dall’art. 281-decies, comma 1° c.p.c., dal nuovo art. 183-bis c.p.c., il quale disciplina il passaggio da rito ordinario a quello semplificato. Nella circostanza in cui la lite appaia semplice, la disciplina del rito semplificato andrebbe a prevalere, laddove l’attore abbia inteso iniziare la controversia per le vie della citazione, sulle norme dettate per il procedimento ordinario. Non risulta comunque agile la definizione di causa semplice poiché elastica e indeterminata. Cfr. Tiscini, Commento agli artt. 183-bis e 281-decies – 281-terdecies, in Aa. Vv. La riforma Cartabia del processo civile, a cura di Tiscini, Pisa, 2023, p. 411 e ancora Tiscini, Nuove proposte di tutela sommaria tra il progetto Luiso e il suo “brutto anatroccolo”, in Nuove leggi civ. comm., 2021, 5, p. 122.

[3] La rivisitazione integrale del procedimento ha poi eliminato quei dubbi originariamente sorti con riferimento al procedimento ex art. 702-bis c.p.c., in ordine alla sommarietà o meno della cognizione – dubbi che, tuttavia, la giurisprudenza – anche di legittimità – aveva da tempo superato, trattandosi di rito avente natura cognitiva e non cautelare e riconoscendo che la sommarietà caratterizzante il procedimento sommario era afferente esclusivamente all’istruttoria e non alla cognizione. In particolare, Cass., sez. un., ord. n. 11512/2012 ha ritenuto ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione afferente a procedimento ex art. 702-bis c.p.c.; cfr. anche Cass., sez. un., sent. n. 28975/2022.

[4] Cfr. Luiso, Commento all’art. 281-duodecies, in Il nuovo processo civile, Milano, 2023, p. 142, secondo cui la differenza tra il vecchio sommario (e, in particolare, con quanto previsto dall’abrogato art. 702-ter, comma 5°, c.p.c., al cui disposto il legislatore non ha dato continuità nei nuovi art. 281-decies e ss. c.p.c.) e il nuovo semplificato sta nel fatto che in quest’ultimo «le prove sono assunte nei modi previsti dal codice civile e dal codice di procedura civile, ed hanno l’efficacia prevista dalle norme che disciplinano il rito ordinario».

[5] Il legislatore della riforma ha recepito, tra le tante sentenze che hanno interessato il rito sommario di cognizione, quanto disposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 253/2020 nel procedimento in cui la Corte era stata chiamata a sindacare la legittimità costituzionale dell’art. 702-ter, comma 2°, ultimo periodo c.p.c, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui la norma imponeva al giudice adito con ricorso sommario di cognizione di dichiarare inammissibile – con ordinanza non impugnabile – la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto nel caso in cui essa rientri nell’ambito applicativo del rito ordinario e ciò anche qualora, mediante la domanda riconvenzionale, sia stata introdotta una causa pregiudicante rispetto a quella proposta in via principale. Inoltre è stata eliminata anche l’ipotesi della separazione dalla domanda principale di quella riconvenzionale richiedente un’istruttoria non sommaria, disciplinata dal previgente comma quarto dell’art. 702-ter c.p.c. che rappresentava una deroga al principio del simultaneus processus, risolvendo il mancato coordinamento tra le pronunce.

[6] Cfr. Balena, Il procedimento semplificato di cognizione, in La riforma del processo civile, a cura di Dalfino, Foro it., Gli speciali, n. 4/2022, p. 155 ss.; Califano, Il rito semplificato di cognizione davanti al tribunale e al giudice di pace, Bologna, 2023; Carratta, Le riforme del processo civile, Torino, 2023, p. 54 ss.; Luiso, Commento agli artt. 281-decies – 281-duodecies, in Il nuovo processo civile, Milano, 2023, p. 132 ss.; Giussani, Le nuove norme sul rito semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, p. 632 ss.; Tiscini, Commento agli artt. 183-bis e 281-decies – 281-terdecies, in Aa. Vv. La riforma Cartabia del processo civile, a cura di Tiscini, Pisa, 2023, p. 395 ss.

[7] Invero, la commissione Luiso aveva riservato l’applicazione del rito semplificato alle cause di competenza del tribunale in composizione monocratica e a quelle di competenza del giudice di pace, alle quali il rito semplificato veniva esteso quale rito obbligatorio, in coerenza con la prevista riduzione delle ipotesi di collegialità, da individuarsi esclusivamente in considerazione dell’oggettiva complessità giuridica e della rilevanza economico-sociale della controversia; la l. 206/21 ha però recepito solo in parte la proposta della commissione.

[8] Si tratterebbe, in pratica, di identificare la complessità della cognizione da un lato e, dall’altro, una complessità dei diritti, di natura tale e coinvolgenti interessi tali da non poter prescindere dall’adozione di una cognizione piena e completa. Cfr. Della Vedova, Alcune riflessioni intorno all’art. 183-bis del codice di rito civile ed al giudizio sommario di cognizione, par. 1 b) in judicium.it.

[9] Cfr. Cass. civ., sez. un., sent. n. 28975/2022; Cass civ., sent. n. 16893/2018; Cass. civ., sent. n. 11465/2013, cui la sommarietà mira a definire la lite con rapidità, in ragione della più o meno manifesta fondatezza o infondatezza della domanda e della dipendenza del relativo accertamento da poche e semplici acquisizioni probatorie (Cass., sent. n. 4485/2014). La sommarietà, in sostanza, è da riferire non alla decisione, bensì alla trattazione e all’istruzione della causa, le quali risulterebbero – a differenza del rito ordinario caratterizzato da specifiche fasi processuali – semplificate e deformalizzate, così favorendosi l’accelerazione dell’esercizio dei poteri cognitivi decisori (Cass., sez. un., sent. n. 11512/2012). Alle medesime conclusioni è pervenuta peraltro anche la Corte costituzionale con la sentenza già richiamata n. 253/2020.

[10] L’estensione del rito semplificato alle controversie di competenza del tribunale in composizione collegiale, peraltro, non appare incoerente con l’idea che a quest’ultimo organo siano riservate le cause più complesse: invero, la previsione della decisione collegiale discende da una valutazione in astratto circa la maggiore complessità della controversia. Cfr. Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma del processo civile: note a prima lettura, in DPCIeC n. 3, 2022, p. 25.

[11] I presupposti si pongono in alternativa tra loro, potendo ognuno di essi essere idoneo all’obbligatorietà del rito. Cfr. Tiscini, Passaggio dal rito ordinario al procedimento semplificato di cognizione (art. 183-bis c.p.c), op. cit. 2023, p. 411.

[12] Il riferimento all’istruttoria non complessa, distinto da quello della prova documentale, consente di affermare che l’istruttoria semplificata sia quella non necessariamente basata sulle sole prove documentali, potendo essere articolate anche prove costituende. Cfr. Fabiani, Le prove nei processi dichiarativi semplificati, in Riv. dir. proc. civ., 2010, p. 812.

[13] La complessità è un concetto che, pur ricorrendo in varie disposizioni di legge, non risulta di conseguenza essere definito: non avendo una connotazione giuridica a priori, la complessità della lite può discendere da una varietà di circostanze, quali il numero di rapporti processuali che si costituiscono davanti al giudice (pluralità di domande, di parti, di procedimenti), le caratteristiche della materia controversa (complessità dei fatti, delle questioni, degli accertamenti istruttori necessari), le particolari esigenze della trattazione, potendosi determinare dal giudice in base alla entità e qualità dei fatti controversi, o comunque da provare, e alle esigenze di trattazione. Dondi, Aspetti della complessità e riscontri nella nozione di complessità processuale, in Elementi per una definizione di complessità processuale, a cura di Dondi, Milano, 2011, p. 3 ss.

[14] In merito, si vedano in particolare le opere: Sassani, Tiscini, La semplificazione dei riti, Roma, 2011; Fabiani, Semplificazione dei riti: il modello sommario, in Foro It., 2012, V, p. 202 ss.; Bove, Su alcune controversie regolate dal rito sommario di cognizione, in Giusto proc. civ., 2012, p. 975 ss.; Proto Pisani, La riduzione e la semplificazione dei riti (d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150), Note introduttive, in Foro It., 2012, V, p. 73 ss.; Consolo, Prime osservazioni introduttive sul d.lgs n. 150/2011 di riordino (e relativa “semplificazione”) dei riti speciali, in Corr. giur., 2011, p. 11 ss.; Saletti, La semplificazione dei riti civili, in Riv. dir. proc., 2012, p. 727 ss.; Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, III, Torino, 2020, p. 381 ss., spec. pp. 385-387; Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2021, p. 104.

[15] Cfr. Tiscini op.cit., p. 412.

[16] Nel procedimento disciplinato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c., in caso di inosservanza dei requisiti afferenti tanto all’editio actionis che alla vocatio in ius, è applicabile – sempre che il convenuto non si costituisca sanando il vizio rilevato – la regola della rinnovazione dell’atto introduttivo nullo ai sensi dell’art. 164 c.p.c. con l’assegnazione, da parte del giudice, di un termine perentorio per provvedere a una nuova notificazione. Cfr. Cass. civ., sent. n. 5517/2017.

[17] È importante rilevare altresì che, analogamente al novellato art. 167 c.p.c. per il rito ordinario, è stato previsto anche per il rito semplificato che il convenuto, nella propria comparsa di risposta, prenda posizione «in modo chiaro e specifico» sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. Inoltre, è espressamente previsto l’onere del convenuto, a pena di decadenza, di proporre domande riconvenzionali e di sollevare eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.

[18] Cfr. Cass. civ., sent. n. 5517/2017.

[19] Cfr. Tiscini, op. cit., p. 423, Panzarola, Principi e regole in epoca di utilitarismo processuale, Bari, 2022, p. 113.

[20] In ordine alla previsione contenuta nel comma quarto dell’art. 281-undecies c.p.c. che, nel disciplinare la facoltà del convenuto di chiamare in giudizio un terzo, il legislatore non distingue più tra chiamata in causa e chiamata in garanzia. In proposito, il comma quinto dell’art. 702-bis c.p.c. faceva letteralmente riferimento alla sola fattispecie della chiamata in garanzia, e non anche alla più generica ipotesi della comunanza di causa contemplata dall’art. 106 c.p.c. per la quale l’intervento coatto a istanza di parte è pacificamente ammesso ai sensi degli artt. 167, ult. cpv., e 269 c.p.c. Tuttavia, in assenza di tale specificazione da parte del legislatore, non sarebbe stato peregrino il richiamo al latinetto minus dixit quam voluit, cfr. Cass. civ., sent. n. 516/2020.

[21] La disciplina del regime delle preclusioni assertive e istruttorie introdotta dall’art. 281-duodecies c.p.c. tenta di colmare la lacuna rinvenibile nel rito sommario di cognizione, che aveva sollevato alcuni dubbi interpretativi. In tema di preclusioni istruttorie si erano affermati due diversi orientamenti. Il primo prevedeva l’impossibilità di formulare nuove richieste istruttorie successivamente alla eventuale pronuncia, da parte del giudice, dell’ordinanza di mutamento del rito (Cass. civ., sent. n. 46/2021.). Il secondo riteneva necessario, al fine di non incorrere in preclusioni, dedurre nell’atto introduttivo e nella comparsa tutte le istanze istruttorie, consentendo così al giudice di valutare se fosse necessaria un’istruzione non sommaria, con conseguente conversione del rito. Cfr. Guariso, Nuovo rito sul licenziamento e D. Lgs. 150/2011: spunti di riflessione, in Riv. crit. dir. lav., 2012, p. 308.

[22] Che è rimessa alla libera valutazione discrezionale del giudice alla luce delle esigenze concrete delle parti rispetto alla controversia.

[23] La mancata tempestiva contestazione dei fatti allegati dall’attore, sin dalle prime difese, è comunque ritrattabile nei termini previsti per il compimento delle attività processuali consentite dall’art. 183 c.p.c. (cfr. Cass. civ., 2020, sent. n. 9690/2020 e n. 31402/2019), qui dall’art. 281-duodecies, c.p.c.

[24] Sembra potersi ritenere che la decisione con sentenza non escluda la forma dell’ordinanza nel rito semplificato per la declaratoria di incompetenza, ai sensi degli artt. 44 e 279, comma 1° c.p.c, salvo nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, per la quale la corte di legittimità ha affermato la necessità della sentenza, trattandosi di decisione con duplice contenuto, di accoglimento in rito dell’opposizione e di caducazione, per nullità, del decreto. Cass. civ., ord. n. 15579/2019.

[25] La previsione dell’impugnabilità della sentenza nei modi ordinari risolve la questione emersa in relazione all’art. 702-quater c.p.c., ovvero l’individuazione delle disposizioni del procedimento di appello da applicarsi successivamente al rito sommario.

[26] La riscrittura dell’art. 183-bis c.p.c. va poi letta sistematicamente con i nuovi istituti previsti dagli artt. 183-ter e quater del codice di rito. Le tre norme, coerentemente alla ratio ispiratrice della riforma, consentono: di definire il giudizio in termini più rapidi segnatamente nei casi in cui, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, dispone la prosecuzione del processo istaurato nelle forme del rito ordinario in quelle delle forme del rito semplificato (art. 183-bis c.p.c.); di definire il processo con la forma dell’ordinanza non suscettibile di passare in giudicato, accogliendo la domanda quando i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate (art. 183- ter c.p.c.); di pronunciare ordinanza di rigetto quando la domanda è manifestamente infondata o risulta incerto il requisito previsto dall’art. 163, comma 3° c.p.c. (art. 183-quater c.p.c.). Si consenta sul tema il rinvio a Caruso, Le nuove ordinanze provvisorie, in Il processo, 2023, p. 355 ss. Si segnala che, con espresso riferimento all’art. 183-quater c.p.c., sembrerebbe che la disciplina relativa alle ordinanze di rigetto, in forza del richiamo formulato nell’art. 183-quater all’udienza ex art. 183 c.p.c. e dell’autonomia del rito semplificato e delle modalità acceleratorie previste, non sia applicabile al nuovo rito semplificato. Cfr. Giussani, op. cit., p. 640.

[27] Cfr. Rule 26 C.P.R. In particolare, la Rule 26.8 C.P.R. provvede all’elencazione di nove criteri sulla base dei quali il giudice è tenuto a operare la propria scelta. Tra questi, oltre al criterio del valore della causa (the financial value, if any, of the claim), posto quale primo riferimento della scelta, diffuso è il richiamo al tema della complessità della controversia, da considerarsi sia sotto il profilo soggettivo (the number of parties or likely parties), sia in termini oggettivi (the likely complexity of the facts, law or evidence) e sia, ancora, con riguardo all’attività istruttoria (the amount of oral evidence which may be required). Le differenze con l’ordinamento italiano appaiono certo rilevanti, benché si possano comunque riscontrare alcune limitate analogie: a norma dell’art. 281.duodecies, comma 2° c.p.c., la valutazione inerente il percorso processuale entro cui instaurare la controversia è rimessa, quantomeno in un primo momento, alla scelta autonoma della parte attrice che, sulla base di proprie considerazioni discrezionali, essendo libera di optare tanto per le forme del rito ordinario quanto per quelle del rito semplificato. Cionondimeno, tale decisione può essere rimessa in discussione da successive valutazioni del giudice civile il quale, a norma dell’art. 281-duodecies, comma 1° c.p.c., ovvero a norma dell’art. 183-bis c.p.c. nel caso in cui il procedimento sia stato introdotto nelle forme del rito ordinario, può modificare il percorso processuale entro il quale la controversia viene a essere istruita. Tale attività costituisce tuttavia già una forma di riallocazione della controversia, intervenendo, all’evidenza, in un momento successivo a quello in cui la parte attrice ha operato la propria scelta. È da escludersi tuttavia che il giudice, laddove abbia ritenuta la causa semplice, possa revocare l’ordinanza di mutamento del rito riconvertendo nuovamente il rito.

[28] Si segnala anche nel rito semplificato la necessità che le parti rispettino il principio di cooperazione (senza però definire alcuna sanzione) individuando il thema probandum e quello decidendum, rivestendo qui il giudice il ruolo di manager del rito, che richiede chiarimenti e stimola il contraddittorio solo sui fatti controversi e bisognosi di istruzione probatoria, in attuazione del principio di collaborazione e di cooperazione tra i soggetti. Cfr. Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013, p. 266 ss.

[29] A differenza di quanto stabiliva il previgente art. 183-bis, al ricorrere dei presupposti indicati, il giudice «dispone» – e non «può disporre» – la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato.

[30] Il raccordo del nuovo art. 183-bis, avuto riguardo alle modifiche relativo al nuovo impianto introduttivo del processo civile, è certamente migliorato – stante i nuovi artt. 171-bis e 171-ter del c.p.c., rispetto al vecchio assetto che prevedeva il mutamento del rito all’udienza di trattazione, ovvero al compimento delle verifiche preliminari, e non anche dopo, in un momento in cui le parti potevano, in forza del comma quarto del previgente art. 183 c.p.c., ancora ampliare il thema decidendum e probandum. Cfr. sul tema, rispetto al rito sommario di cognizione, quanto già avuto modo di rilevare Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione e la disciplina della conversione del rito, Milano, 2017, p. 361.

[31] Giussani, op. cit., p. 633.

[32] Non vi è alcuna ragione per ritenere che il disposto di cui al comma quinto dell’art. 281-duodecies c.p.c. non sia applicabile anche nelle ipotesi di mutamento del rito da pieno a semplificato, che fonda maggiormente i dubbi di applicabilità in concreto dell’art. 183-bis c.p.c. cfr. infra par. 4.

[33] Invero, anche la formulazione dell’art. 183-bis c.p.c., per come introdotto dalla l. 162 del 2014, in generale, è stata accolta dalla dottrina con scettiscismo. Si vedano, in particolare, i contributi di Tedoldi, La conversione del rito ordinario nel rito sommario ad nutum iudicis (art. 183-bis c.p.c.), in Riv. dir. proc., 2015, p. 490 ss.; Ansanelli, Flessibilità, proporzionalità ed efficienza. Il nuovo art. 183-bis c.p.c., Riv. trim. proc. civ., 2015, p. 339 ss.; Mastrangelo, Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, in Misure urgenti per la funzionalità e l’efficienza della giustizia civile, a cura di Dalfino, Torino, 2015, p. 109 ss..; Consolo, Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sullo equivoco della «degiurisdizionalizzazione», in Corr. giur., 2014, p. 1177 ss.; Scarselli, Il nuovo art. 183-bis c.p.c., in Foro it., V, 2015, p. 54 ss.; Basilico, Art. 183-bis: passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, in Giur. it., 2015, p. 1749 ss. Santangeli, La nuova riforma del processo civile, Napoli, 2015, p. 157; Martino, Conversione del rito ordinario in sommario e processo semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2015, p. 916 ss.

[34] Limongi Conversione del rito (da ordinario a semplificato) per chiamata in causa del terzo. Prime applicazioni del novellato art. 183-bis c.p.c. (Trib. Piacenza, 1° maggio 2023), in judicium.it.

[35] Sembrerebbe che, anche in ipotesi di errore di rito, la nuova formulazione dell’art. 183-bis c.p.c., abiliti l’atto di citazione alla produzione degli effetti della litispendenza. Cfr. Giussani, op. cit., p. 635.

[36] La scelta di mutare il rito rientra nella discrezionalità del giudice, il quale è tenuto a verificare, in relazione all’intero complesso delle difese svolte, se la controversia sia compatibile con un’istruttoria semplificata, la quale non impone di decidere in base alle sole prove documentali, potendo essere articolate anche prove costituende, da assumersi con modalità deformalizzate. Cfr., in tema dell’abrogato rito sommario, l’ordinanza n. 14734 del 10/05/2022. La Corte di legittimità ha qui ritenuto contrario agli artt. 702-bis e ss. il rigetto delle invocate prove costituende, perché comportanti un’attività istruttoria complessa, e la contestuale negazione del mutamento del rito, sul presupposto che il ricorrente fosse vincolato al rito prescelto, con conseguente rigetto delle domande da lui proposte per l’insufficienza della documentazione prodotta.

[37] La decisione ultima circa l’allocazione della causa competa al giudice – al pari di quanto previsto nella Rule 26.5.(1) C.P.R. che esplicitamente statuisce: «The court will allocate the claim to a track».

[38] Cfr.- Capponi, Note sul procedimento sommario di cognizione, p. 10, in judicium.it. Invero, anche l’ordinanza con la quale si concludeva il rito sommario di cognizione, nonostante la veste formale diversa dalla sentenza, è un provvedimento decisorio su diritti, con attitudine al giudicato sostanziale (cfr. Cort. cost., sent. 89/2022 e Cort. cost., sent. 253 del 2020). Di conseguenza, la differenza tra la sentenza che definisce il giudizio ordinario e l’ordinanza che definiva l’abrogato rito sommario era solo formale e non sostanziale.

[39] Il quale è tenuto a verificare, in relazione all’intero complesso delle difese svolte, se la controversia sia compatibile con il rito semplificato (sembra attinente, ancora, Cass. civ, sent. n. 14734/2022) posto che la verifica della compatibilità tra istruzione e fattispecie concretamente portata in giudizio va effettuata con riferimento non alle sole deduzioni probatorie formulate dalle parti (come invece sembrerebbe ricavarsi dal richiamo letterale alla «istruzione non sommaria» di cui al comma terzo dell’art. 702-bis c.p.c.), bensì all’intero complesso delle difese e argomentazioni che vengono svolte in quel dato giudizio, tenendo conto, tra l’altro, della complessità della controversia, nonché del numero e della natura delle questioni in discussione (Cass., 14 marzo 2017, n. 6563). In linea con la richiamata giurisprudenza, l’ultimo periodo del comma primo dell’art. 281-duodecies c.p.c. rimetterebbe al giudice la valutazione prognostica della complessità della lite, oltre che dell’istruzione probatoria, ai fini di una eventuale statuizione di mutamento del rito (conformemente, peraltro, a quanto già disposto dall’art. 183-bis c.p.c. in relazione all’ipotesi inversa di passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione). In proposito, deve ritenersi che la complessità della lite sarà configurabile per quei giudizi che, anche se di natura esclusivamente documentale o comportanti un’attività istruttoria contenuta, implichino l’esame e la soluzione di questioni tecniche o giuridiche di una certa complessità che possono richiedere una trattazione non semplificata, sia per l’esigenza delle parti di svolgere e puntualizzare le proprie difese sulla base di quelle della controparte, sia per quella del giudice di far chiarire alle parti i rispettivi assunti nello svolgimento successivo delle udienze, formando in maniera graduale il proprio convincimento.

[40] Tiscini, op. cit., pp. 435-436.

[41] La valutazione, da parte del giudice ai fini della conversione del rito, presuppone pur sempre che le parti abbiano dedotto tutte le istanze istruttorie che ritengano necessarie per adempiere all’onere probatorio ex art. 2967 c.c., potendosi attribuire alla decisione di concedere i termini di cui al comma quarto dell’art. 281-duodecies c.p.c. la funzione di rimettere le parti nei termini per la formulazione delle deduzioni istruttorie, che siano state omesse o insufficientemente articolate in limine. Cfr. Giussani, op. cit., 2023 p. 638, rimandando a Corte cost., sent. n. 253/2020. L’A. ritiene, ancora, la convertibilità della lite anche dopo la prima udienza in forza della mancata previsione corrispondente a quella di cui all’art. 419 c.p.c., non escludendo che novità assertive possano introdurre elementi tali da revocare la precedente qualificazione della lite come di pronta soluzione. Cfr. p. 639.

[42] Tiscini, op. cit., 2023, p. 431.

[43] Cfr. Cass. civ., sent. n. 14175/2016.

[44] Cfr, Cass. civ., ord. n. 23682/2017.

[45] Cass. civ., sent. n. 13879/2020, cfr. Mengali, Ancora su preclusioni e processo sommario di cognizione – nota a Cass. 6 luglio 2020, n. 13879, su judicium.it.

[46] Qualora venga disposto il mutamento del rito, le preclusioni maturate nel corso del procedimento semplificato non trovano applicazione nel rito ordinario successivo, stante il rinvio all’art 171-ter c.p.c. Del resto, tale principio risulta già essere stato affermato dai giudici di legittimità con riguardo al vecchio rito sommario. Cfr. Cass., 6 luglio 2020, n. 13879. Già con riferimento all’abrogato processo sommario di cognizione cfr. Vidiri, Procedimento sommario di cognizione e rito del lavoro tra “provvedimenti presidenziali” ed “osservatori sulla giustizia civile”, in Corr. giur., 2010, p. 1379 ss., in part. 1381. Nello stesso senso, Dalfino, Sull’inapplicabilità del nuovo procedimento di cognizione alle cause di lavoro, in Foro it., V, 2009, p. 394; Lombardi, Il procedimento sommario di cognizione generale, in Gius. proc. civ., 2010, p. 477, per la quale estendere il procedimento sommario di cognizione alle controversie di lavoro significa attestare il fallimento del rito di cui agli artt. 409 e seguenti.

In senso contrario, cfr. così Trib. Latina, 3 marzo 2011, in Giust. civ., 2011, p. 2719; Trib. Napoli, 25 gennaio 2011, in Foro it., I, 2011, p. 941 ss., secondo cui il procedimento sommario previsto dall’art. 702-bis e ss. può trovare applicazione anche per le controversie soggette al rito del lavoro; Trib. Sulmona, 3 marzo 2011, in Giust. civ., 2011, p. 2719, con nota di Porreca; Trib. Sulmona, 6 ottobre 2010, in Giur. it., 2012, p. 388 secondo cui, in assenza di un’espressa regola di esclusione dell’operatività del procedimento sommario di cognizione, la valutazione della compatibilità tra rito sommario di cognizione, rito speciale e materia trattata è rimessa al potere discrezionale del giudice, il quale esprime il proprio giudizio sul punto in base ai principi dell’ordinamento giuridico e alla ratio della riforma legislativa, ispirata dall’intento di generalizzare l’applicazione del rito sommario di cognizione a ogni controversia a istruttoria non complessa affidata allo ius decidendi del Tribunale in composizione monocratico; Trib. Lamezia Terme, 12 marzo 2010, in Foro it., 2011, I, p. 941 ss.