L’organizzazione del lavoro del giudice alla luce della riforma del processo civile. Pesatura dei fascicoli e gestione della complessità delle controversie

Di E. Borselli – L. Dani -

Sommario: 1. Introduzione – 2. La pesatura dei fascicoli: stato dell’arte e applicazioni concrete – 3. Spunti per la valorizzazione del grado di complessità delle controversie nel sistema giudiziario italiano – 4. La necessità di una migliore organizzazione del lavoro come presupposto della riforma del processo civile – 5. Un nuovo metodo di lavoro fondato sulla sinergia tra giudice e Ufficio per il processo.

1.Introduzione

La scienza giuridica del nuovo millennio ha acquisito consapevolezza del fatto che per indagare il tema della giustizia e dell’organizzazione negli uffici giudiziari occorre ampliare il campo di studio, guardando anche a settori del sapere diversi dal diritto[2]. Sotto il profilo delle riforme, tale consapevolezza dovrebbe tradursi in interventi sul piano tecnologico e soprattutto organizzativo[3].

Al fine di rendere più efficiente il sistema della giustizia italiana – tramite l’abbattimento dell’arretrato attualmente pendente e la riduzione della durata media dei procedimenti – si è dato avvio a un trasversale processo di riforma. L’impulso a questo cambiamento di prospettiva si deve all’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)[4], il quale si fonda sull’idea che l’obiettivo di una giustizia più effettiva, efficiente e giusta debba essere perseguito tramite azioni, tra loro complementari, che incidano sul processo ma anche sull’organizzazione della giustizia nel suo insieme[5]. A questo fine, il Piano ha inteso promuovere – oltre a un massiccio intervento di digitalizzazione – proprio l’apporto di professionalità tecniche diverse da quelle di matrice esclusivamente giuridica, ritenute essenziali per il miglioramento delle prestazioni degli uffici giudiziari. Difatti, il d.l. n. 80/2021, la legge delega n. 206/2021 ed il decreto delegato n. 151/2022 hanno previsto l’implementazione dell’Ufficio per il processo, tramite il reclutamento di funzionari ad hoc e la specifica indicazione delle mansioni loro assegnate.

Al contempo, come accennato, l’intervento riformatore si è focalizzato su una significativa revisione del codice di procedura civile. In particolare, la legge delega n. 206 e il decreto delegato n. 149/2022 prevedono una riforma organica delle regole che governano il processo civile, ispirata ai principi di semplicità, concentrazione, effettività e ragionevole durata del processo.

In questo contesto, è opportuno anche valutare come i nuovi addetti all’Ufficio per il processo – soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della riforma del codice di rito – possano contribuire a una gestione ottimale del lavoro dei magistrati, tenendo presente che una proficua utilizzazione di tali risorse richiede un modello operativo-organizzativo che si fondi sul lavoro di gruppo, sul confronto costante e sulla continua interazione delle competenze[6].

2.La pesatura dei fascicoli: stato dell’arte e applicazioni concrete

L’attuale sistema organizzativo nei nostri uffici giudiziari civili, con riferimento alla gestione del lavoro e delle risorse, si fonda essenzialmente su parametri che tengono conto del personale a disposizione e del carico di lavoro pendente e in entrata, ossia su dati meramente quantitativi, senza che venga dato rilievo a criteri di tipo qualitativo, ossia basati sulla pesatura dei fascicoli[7].

Al riguardo, pare opportuno verificare se una valutazione qualitativa dei fascicoli – che tenga conto, cioè, del peso derivante dalla complessità della singola controversia – possa consentire ai magistrati di organizzare il proprio lavoro in maniera più efficiente. Pertanto, occorre chiarire brevemente in cosa consiste la pesatura dei fascicoli e per quali scopi essa viene comunemente utilizzata, al fine di appurare se – e in che misura – sia compatibile con le caratteristiche del nostro sistema giudiziario.

La pesatura dei fascicoli, nata negli Stati Uniti[8] e attualmente in uso in molti ordinamenti europei[9] consiste nella valutazione del grado di complessità di alcune classi di procedimenti al fine di assegnare a ciascuna di esse un punteggio indicativo del tempo necessario per la loro trattazione[10]. In altri termini, una volta raggruppati i procedimenti in categorie omogenee, si assegna al relativo fascicolo un coefficiente di complessità idoneo a individuare il numero di ore necessarie per la sua definizione, sulla base di indici e criteri predefiniti[11]. In questa logica, il fattore temporale, rapportato con il personale in servizio e con le ore che ciascun giudice dedica all’attività giurisdizionale, rileva come valore indicativo della complessità della causa e permette, in seconda battuta, di individuare il c.d. «punto di saturazione» dell’ufficio, della sezione o del singolo magistrato, ossia il numero di procedimenti oltre il quale il carico di lavoro diventa insostenibile[12] e il tempo di risoluzione delle controversie eccessivo[13].

I metodi utilizzati negli ordinamenti che, in ambito civile, adottano la pesatura dei fascicoli sono essenzialmente due: il metodo Delphi e lo Studio dei tempi di lavoro, ambedue declinabili diversamente a seconda delle modalità applicative utilizzate e comunque combinabili tra loro[14].

Entrambi questi sistemi si compongono di diversi momenti, ma hanno in comune la partizione in tre fasi: una, iniziale, in cui un gruppo di esperti (per lo più giudici) individua le categorie di procedimenti da pesare, una, successiva, di stima o misurazione dei tempi e, una, finale, in cui, in base ai dati così ottenuti, si procede a un nuovo raggruppamento “per peso”, ossia si formano classi di procedimenti omogenee sotto il profilo dei tempi di definizione.

Il metodo Delphi[15] si fonda sulla stima dei tempi di definizione dei procedimenti effettuata da un gruppo di professionisti sulla base della loro esperienza[16]. Si distinguono tre sotto-articolazioni del metodo Delphi:

a)Metodo Delphi con stima dei tempi e/o conversione dei tempi in punteggi: il tempo stimato per la risoluzione dei procedimenti di una categoria rappresenta il peso da assegnare alla categoria stessa[17];

b)Delphi con solo punteggi di complessità: viene espresso un indice numerico della complessità delle categorie di procedimenti analizzate, senza considerarne specificatamente il tempo di trattazione;

c)Delphi con iniziale stima dei tempi e integrazione con fattori di complessità: si opera una prima valutazione con il metodo della stima dei tempi in base alla categoria di appartenenza dei procedimenti, e poi si procede ad un aggiornamento in itinere tenendo conto delle specifiche caratteristiche del singolo fascicolo, così da moltiplicare il peso originario per fattori di complessità predeterminati. Gli elementi di complessità con cui operare questa seconda stima possono ricavarsi sia dagli atti introduttivi che dalle varie fasi del procedimento e permettono, dunque, di conoscere la reale (ed attuale) complessità dei casi[18].

Mentre la pesatura dei fascicoli mediante il metodo Delphi si basa, come si è visto, su delle stime, l’altra tecnica utilizzata, ossia il c.d. time study, fonda la valutazione del peso dei procedimenti sull’osservazione empirica dei tempi medi effettivamente impiegati in passato dai giudici per definire controversie simili, rientranti nelle varie categorie. Questo sistema presuppone, dunque, una fase – che può richiedere anche molto tempo – di raccolta dati su un campione più o meno ampio di giudici e di fascicoli[19], così da ricavare un valore medio indicativo, da utilizzare per la futura pesatura.

Anche in questo caso, lo studio dei tempi di lavoro può essere effettuato tramite diverse modalità:

i)Studio dei tempi di lavoro per eventi: viene analizzata la frequenza con cui un dato evento (ad esempio, un certo tipo di udienza, l’assunzione delle prove testimoniali, ecc.) si verifica nell’iter processuale e si calcola il tempo che ciascun giudice dedica a tale evento;

ii)Studio dei tempi di lavoro per procedimento: in questo caso ad essere ponderati non sono degli eventi specifici, ma i procedimenti nel loro complesso (c.d. black box), di cui vengono misurati i tempi di definizione delle cause[20];

iii)Studio dei tempi di lavoro e valutazione qualitativa: i pesi individuati mediante i due metodi appena descritti vengono sottoposti ad una successiva valutazione qualitativa per verificarne l’affidabilità in relazione all’esperienza dei giudici[21].

Negli ordinamenti ove è in uso, la pesatura dei fascicoli rileva essenzialmente nell’organizzazione degli uffici giudiziari, ossia per una migliore ripartizione dei ruoli e delle risorse[22]. Infatti, oltre che per la rilevazione delle situazioni critiche degli uffici e per la conseguente progettazione di interventi volti a ridurre i tempi dei procedimenti, si fa ricorso alla pesatura dei fascicoli anche, ad esempio, per determinare l’ammontare del personale necessario per far fronte alla domanda di giustizia[23], per allocare le risorse umane in modo efficiente, per assegnare i fascicoli in maniera bilanciata all’interno dell’ufficio[24], per valutare la produttività degli uffici e/o dei singoli magistrati, nonché per determinare il costo dei procedimenti e lo stanziamento del budget ai singoli enti[25]. Ne deriva che la pesatura ha una valenza esclusivamente nella gestione degli uffici giudiziari – consentendo un (più) equo bilanciamento tra risorse disponibili e carico di lavoro –, mentre non assume rilevanza nella gestione delle singole controversie da parte dei magistrati.

Un sistema in cui la pesatura è funzionale alla distribuzione delle cause in ingresso, infatti, tiene conto essenzialmente di quei parametri che emergono già dall’atto introduttivo, cioè la materia oggetto della controversia. Si prescinde invece, almeno tendenzialmente[26], dalla valutazione delle peculiarità processuali dei singoli procedimenti per come essi si configurano durante il loro svolgimento.

L’obiettivo è dunque quello di garantire l’efficienza dell’ufficio giudiziario nel suo insieme, tramite una valutazione prospettica dei tempi di occupazione delle risorse e non quello di consentire ai magistrati una più ragionata organizzazione del proprio lavoro.

Pertanto, occorre valutare se, al mutare dello scopo per cui la pesatura può essere utilizzata, si debbano adottare dei diversi metodi di misurazione della complessità e quindi se anche le caratteristiche processuali delle singole controversie possano acquisire una loro rilevanza.

3.Spunti per la valorizzazione del grado di complessità delle controversie nel sistema giudiziario italiano

Le tecniche di pesatura già sperimentate in altri contesti consentono di trarre alcuni spunti per un loro possibile trapianto anche nella realtà giudiziaria italiana.

Pertanto, occorre subito stabilire a quali scopi la pesatura del fascicolo potrebbe essere impiegata nel contesto domestico. Al di là della sua utilità nell’assegnazione inziale delle cause, che richiederebbe un cambiamento nell’elaborazione dei criteri tabellari[27], il potenziale della pesatura pare emergere sotto due diversi profili: a) come supporto al giudice per programmare in modo razionale il proprio complessivo carico di lavoro e b) per consentirgli di esercitare al meglio i propri poteri di direzione nell’ambito delle singole controversie.

In particolare, per quanto riguarda il profilo sub a) si può osservare che l’adozione di un’agenda intelligente consentirebbe ai magistrati di organizzare le proprie attività in maniera più efficiente. Infatti, affinché il giudice possa correttamente pianificare il proprio lavoro, appare necessario, da una parte, che egli conosca il grado di complessità e lo stato delle varie controversie e, dall’altra, che abbia una panoramica generale delle cause che pendono sul proprio ruolo.

Per quanto riguarda, invece, il profilo sub b), la pesatura del fascicolo potrebbe costituire, nelle varie fasi di svolgimento del procedimento, un supporto al case management del giudice, ossia all’utilizzo dei suoi poteri di direzione[28]. Come meglio si vedrà, una delle strade da percorrere per realizzare l’efficienza del processo civile è quella di rendere la procedura più flessibile, in modo tale che sia proporzionata (cioè appropriata, necessaria e adeguata) alle esigenze della specifica controversia[29].

Dunque, se anche questi sono gli scopi per cui potrebbe essere impiegata la pesatura dei fascicoli, è probabilmente opportuno creare un sistema di misurazione che si fondi, più che sulla classificazione dei procedimenti in ragione della materia oggetto della controversia, sull’individuazione di elementi di complessità schiettamente processuali. Per rintracciarli occorre confrontarsi con il concetto stesso di complessità. Il tema è stato più volte al centro di indagine da parte della dottrina che, nella ricerca di linee guida per individuare un modello di rito in grado di assicurare effettività della tutela ed efficienza del sistema, ritiene di dover utilizzare proprio il parametro della complessità[30]. Negli anni passati, l’idea dominante in Italia era quella di differenziare le forme di tutela in ragione della situazione giuridica fatta valere in giudizio[31]; è così che sono stati delineati, oltre al rito del lavoro, altri specifici riti a cognizione piena (si pensi a quello societario, poi abrogato) e svariati procedimenti sommari di tipo non cautelare. L’esperienza di altri Paesi europei mostra, invece, che la tendenza delle ultime decadi è quella di costruire un iter processuale unico ma flessibile, in grado di adeguarsi alla specificità del caso concreto: per far questo si guarda non più a classi di procedimenti omogenee sotto il profilo dell’oggetto, ma alla complessità della singola controversia[32].

Anche la nostra recente dottrina mostra di credere in questo nuovo approccio[33], ma rileva come l’individuazione di concreti elementi di complessità processuale sia tutt’altro che agevole[34]. Il legislatore dell’ultima riforma del processo civile ha abbandonato la strada di una loro formulazione legislativa[35], sebbene il riferimento alla «complessità» compaia in più di un’occasione nella normativa di nuovo conio[36].

Volendo tentare di individuare alcuni elementi che possono rendere più o meno complesso un certo procedimento, si considerino: l’alto numero di rapporti processuali coinvolti derivante da un cumulo oggettivo di cause (creatosi ab origine o in corso di causa per effetto, ad esempio, della proposizione di domande riconvenzionali); la molteplicità di parti coinvolte (che rende di per sé sola, a prescindere cioè dai legami di connessione fra i rapporti di cui esse sono titolari, il processo più difficile da gestire, stante la più consistente mole di atti redatti e di argomentazioni difensive svolte); l’alto numero delle questioni controverse; l’elevato ammontare delle prove da assumere (rileva a questo proposito la presenza di svariate prove costituende, a maggior ragione quando è necessario l’ausilio di un interprete, ma anche la quantità di documenti depositati e il loro tecnicismo o la necessità di integrare le conoscenze del giudice tramite il sapere tecnico di un consulente). Allo stesso tempo, si deve tener conto di ulteriori elementi, come la materia controversa e il valore economico della causa; l’effettiva costituzione delle parti o l’eventuale loro contumacia; la necessità di applicare una legge straniera o sovranazionale e in generale la presenza di un collegamento con ordinamenti stranieri; la sopravvenienza di un accordo transattivo (che può talvolta semplificare l’oggetto del processo e della cognizione del giudice, oppure, al contrario, generare complicazioni nell’individuazione delle posizioni da stralciare); la natura delle questioni di fatto o di diritto (a renderle più o meno semplici da trattare e da risolvere contribuiscono la loro serialità, la presenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati o oscillanti, la chiarezza o l’oscurità della normativa o della riflessione dottrinale e giurisprudenziale, il minore o maggiore tecnicismo di un istituto o di un concetto).

La «prova del nove» per verificare l’effettiva idoneità di ciascuno degli elementi richiamati a rendere più complessa una controversia potrebbe passare da un controllo informatico-statistico sulle cause già definite. Si potrebbe pensare di mettere a confronto tali parametri con alcuni indici estrinseci, rivelatori della complessità, come la durata o il numero delle udienze di un procedimento, in modo tale da instaurare una correlazione fra i primi e i secondi. Da un’operazione di tal specie ci si aspetta di ricavare, ad esempio, dati di questo tipo: un processo con un numero di parti compreso fra 3 e 5 richiede mediamente un tempo di definizione x volte maggiore rispetto a quello a due sole parti; ancora, un processo con numero di parti compreso fra 6 e 10 richiede mediamente un tempo y volte maggiore e così via. All’esito di tale operazione, ottenuti simili risultati, si potrebbe non solo avere la conferma che l’elemento in esame rappresenta un parametro utile per valutare il grado di complessità della controversia, ma si potrebbe anche osservare, in maniera particolareggiata, il suo tasso di incidenza sulla difficoltà di gestione del procedimento. Allo stesso modo occorrerebbe procedere con riferimento agli altri elementi e indici estrinseci sopra descritti, cosicché, combinando i relativi dati, si otterrebbe il livello di complessità generale del fascicolo[37].

Certo, è evidente che un’accurata stima della complessità emergerà solo una volta che i diversi elementi saranno effettivamente maturati: così, sempre per fare degli esempi, il numero di parti emergerà una volta che i terzi siano intervenuti; l’effettiva entità dell’istruttoria risulterà una volta che le prove siano state ammesse, ecc. Questo rappresenta un limite, ma al tempo stesso un vantaggio della pesatura così congegnata: se viene aggiornata nel corso di tutto il procedimento, mostrerà in ogni momento l’effettiva complessità del fascicolo, via via che la causa progredisce ed emergono le sue peculiarità nella fase di riferimento[38].

4.La necessità di una migliore organizzazione del lavoro come presupposto della riforma del processo civile

Come è noto, la filosofia che ha ispirato il legislatore della riforma è quella del raggiungimento di una maggiore efficienza del sistema. Quest’ultima non può che passare per una migliore organizzazione del lavoro del giudice, vista la riduzione dei termini processuali e dei tempi di svolgimento delle attività previsti nel novellato rito.

Sebbene il legislatore abbia abbandonato la strada di costruire un procedimento di cognizione flessibile e modellabile sulla specifica controversia[39], non mancano momenti in cui il giudice può scegliere la direzione da imprimere al procedimento e nei quali, dunque, è più avvertita l’esigenza di una rilevazione qualitativa dell’effettivo grado di complessità della controversia.

Lo si osserva innanzitutto nella fase introduttiva, ove si aderisca – come pare indispensabile – a una lettura delle nuove norme ispirata alla flessibilità. Come noto, in adempimento alla legge delega n. 206/2021, il d. lgs. n. 149/2022 antepone alla prima udienza lo scambio delle memorie, secondo la scansione dettata dall’art. 171-ter c.p.c. Inoltre, l’art. 171-bis c.p.c. prevede che, subito dopo la costituzione del convenuto, il fascicolo venga attentamente esaminato, affinché siano intercettati eventuali vizi processuali e individuate eventuali questioni rilevabili d’ufficio. Si tratta di una norma chiave della nuova fase introduttiva, il cui miglior sfruttamento prelude ad uno svolgimento rapido ed efficiente del processo.

Diventa dunque necessario che il giudice arrivi preparato a tale momento, sicché risulta essenziale una precedente attività di studio del fascicolo. In questo modo possono essere individuate subito alcune questioni, così da evitare che vengano compiute attività inutili o che il processo debba retrocedere quando si trova in una fase già avanzata di svolgimento[40]. Si tratta, in primo luogo, delle questioni di rito menzionate appunto dall’art. 171-bis c.p.c., attinenti in sostanza alla regolare instaurazione del contraddittorio, con l’aggiunta della verifica dell’eventuale chiamata in causa del terzo ad opera del convenuto. Ci sono poi le altre questioni pregiudiziali di rito e le questioni preliminari di merito astrattamente idonee a definire il giudizio (come potrebbe essere la prescrizione di un credito azionato o la nullità di un contratto di cui è chiesto l’adempimento o la risoluzione).

A valle delle verifiche di rito il giudice emana i provvedimenti con cui dispone solitamente la sanatoria di un vizio – ove possibile – oppure chiude il processo. Nella disciplina della riforma, la rilevazione delle questioni che dovesse esser fatta solo al momento della prima udienza risulterebbe tardiva e dunque diseconomica, poiché compiuta a seguito di una serie di attività (lo scambio delle memorie) che dovrebbero essere svolte solo dopo che vi è la certezza della regolare instaurazione del contraddittorio e della partecipazione dei diversi soggetti al procedimento[41]. È per questo, del resto, che il legislatore ha previsto l’esame del fascicolo prima dello scambio delle memorie[42].

Nell’ottica di sfruttare al meglio la fase delle verifiche preliminari, gli interpreti e gli operatori immaginano che il giudice possa utilizzare strumenti di case management: ad esempio, in virtù del generale potere di direzione del procedimento previsto dall’art. 175 c.p.c., potrebbe disporre un’interlocuzione con le parti, assegnando loro dei termini per eventuali integrazioni o addirittura convocandole avanti a sé, per una sorta di «pre-trial» o «udienza preliminare»[43]. L’utilizzo di tali strumenti dipende evidentemente dalle caratteristiche della singola controversia e dal suo grado di complessità, elementi che dunque devono essere estrapolati dal fascicolo in vista delle incombenze previste dall’art. 171-bis c.p.c.

Giunti alla prima udienza, poi, il giudice dovrebbe aver già chiaro il fulcro della lite[44]: in questo modo non solo è nella condizione di dirigere in maniera più efficace la prima udienza (art. 127 c.p.c.) e di sfruttare al meglio l’audizione delle parti – la quale, con la riforma, è tornata obbligatoria[45] – ma è anche in grado di utilizzare strumenti deflattivi, quali l’invio in mediazione ai sensi del nuovo art. 5-quater d. lgs. n. 28/2010 e la formulazione di un’eventuale proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c.[46].

Anche nella fase di trattazione e istruzione, al giudice è richiesto di adeguare la procedura alle concrete esigenze della singola controversia. Il riferimento è in particolare al calendario del processo, che il legislatore della riforma prevede, ex art. 183, comma 4 c.p.c., che venga approntato in prima udienza[47]. Tale disposizione è affiancata dall’introduzione di un termine pari a novanta giorni entro cui il giudice deve disporre l’udienza di assunzione dei mezzi di prova. Anche in questo contesto, strumenti che quantifichino la complessità della fase istruttoria e ne riassumano le incombenze, possono giocare un ruolo importante di supporto al giudice nella redazione del calendario. Inoltre, è evidente che questa operazione di programmazione del lavoro deve essere compiuta alla luce dell’intero carico, in modo tale che l’attività richiesta dalla causa sottoposta al giudice sia coordinata con quella di tutti gli altri fascicoli pendenti sul ruolo. Per i procedimenti non ancora calendarizzati o non ancora inseriti in agenda, il giudice potrebbe contare sull’indicazione del peso del fascicolo come dato orientativo dell’ulteriore lavoro in avvicinamento.

Infine, strumenti di rilevazione della complessità della causa possono aiutare il giudice a sfruttare i propri poteri di case management anche nell’ingresso e nello svolgimento della fase decisoria. Già nel corso delle prime battute del procedimento potrebbe emergere la presenza di una questione preliminare o pregiudiziale astrattamente idonea a definire il giudizio che, se subito intercettata, può condurre ad una rimessione anticipata della causa in decisione ex art. 187, commi 2 e 3 c.p.c. Dopo la fase introduttiva, poi, il giudice può valutare la causa matura per la decisione ai sensi dell’art. 187, comma 1 c.p.c. Con la riforma, è stata abrogata l’udienza di ammissione dei mezzi di prova ex art. 184 c.p.c. ed è stato previsto che il giudice decida sulle relative istanze direttamente all’esito dell’udienza ex art. 183 c.p.c. Se l’istruttoria non si dovesse rivelare necessaria, il giudice potrebbe dunque disporre la rimessione della causa in decisione già in prima udienza, potendo scegliere il modello di discussione orale – già previsto dall’art. 281-sexies c.p.c. e utilizzabile ora anche dal Tribunale in composizione collegiale ex art. 275-bis c.p.c. – ovvero la trattazione scritta. Inoltre, il giudice potrebbe ora optare, sempre che vi sia un’istanza di parte in tal senso, anche per l’adozione di un’ordinanza di accoglimento o di rigetto ex artt. 183-ter e 183-quater c.p.c.

In sintesi, l’utilità della conoscenza del grado di complessità della controversia si mostra anche in questa fase, quando il giudice deve compiere le seguenti attività: a) valutare la maturità o la rimessione anticipata della causa in decisione (o addirittura la decisione immediata a mezzo di ordinanza provvisoria[48]); b) scegliere il modello da adottare tra quello più semplice della decisione a seguito di discussione orale e quello più complesso della decisione a seguito dello scambio di memorie; c) fissare l’udienza di rimessione della causa in decisione. Con particolare riferimento a quest’ultimo punto è opportuno ricordare che l’udienza di precisazione delle conclusioni prima e l’udienza di rimessione in decisione ora, rappresentano uno snodo importante della fase conclusiva del procedimento, poiché è da qui che decorrono i termini per il giudice per la redazione e il deposito della sentenza. È possibile pensare che quest’ultimo possa fissare tali udienze con l’obiettivo di scadenzare il proprio lavoro complessivo, anticipando la decisione delle cause più «leggere» e riservando invece più tempo per lo studio di quelle più «pesanti». Di nuovo, si ha a che fare con uno strumento di case management e di flessibilità, che consente di organizzare meglio l’intero carico di lavoro del magistrato e che dunque rileva anche ai fini della tenuta della sua agenda.

Una fotografia della complessità della controversia può inoltre essere utile al giudice anche per disporre il passaggio dal rito semplificato di cognizione di cui all’art. 281-decies ss. c.p.c. a quello ordinario e viceversa[49].

Infine, nel nuovo giudizio d’appello il giudice è chiamato a imprimere direzioni diverse al procedimento in ragione delle peculiarità e del peso del fascicolo che ha di fronte. Il presidente della corte d’appello può, se non ritiene di nominare il giudice istruttore, a fronte di una causa semplice, eleggere direttamente il relatore e fissare la comparizione delle parti per la discussione orale (art. 349-bis c.p.c.)[50]. Nella prima udienza di trattazione il giudice può disporre la discussione orale della causa se intende dichiarare l’appello manifestamente infondato o manifestamente fondato «o comunque quando lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa» (art. 348-bis, 350, comma 3, 350-bis c.p.c.). Inoltre, la riforma conferma la possibilità che la causa venga decisa in fase di gravame secondo il modello di cui all’art. 281-sexies c.p.c. già all’esito dell’udienza in camera di consiglio in cui il giudice si pronuncia sulla sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado (art. 351, comma 4 c.p.c.). Qualora invece non abbia seguito una di queste vie, il giudice procede disponendo l’assunzione delle prove eventualmente ammesse e, in ogni caso, fissando l’udienza di rimessione della causa in decisione, che sarà preceduta dallo scambio delle note di precisazione delle conclusioni, delle comparse conclusionali e delle note di replica (art. 352 c.p.c.).

È evidente dunque come anche – rectius ancor più – a seguito delle novità introdotte dalla recente riforma, sia fondamentale per il giudice conoscere i livelli di complessità e le caratteristiche delle cause che ha sul tavolo, per poter adeguare di conseguenza il procedimento, naturalmente nei limiti previsti dalla legge.

5.Un nuovo metodo di lavoro fondato sulla sinergia tra giudice e Ufficio per il processo

Dalle pagine che precedono emerge che l’obiettivo di una giustizia più efficiente passa attraverso una migliore organizzazione degli uffici giudiziari ma anche – e soprattutto – del lavoro dei giudici[51]. In questa logica, del resto, pare poter essere letta l’implementazione dell’Ufficio per il processo avvenuta con il d.l. 80/2021, convertito dalla l. 6 agosto 2021, con cui, prendendo spunto dalle esperienze di altri ordinamenti[52], si è inteso dotare i magistrati di una squadra di supporto.

I giudici sono dunque passati, non sempre senza difficoltà o riluttanza[53], da un lavoro tendenzialmente individuale a un lavoro di gruppo, nel quale devono avvalersi della collaborazione di altri soggetti, chiamati a offrire un importante contributo per l’abbattimento dell’arretrato e l’abbassamento della durata media dei procedimenti.

Del resto, l’attività dell’Ufficio per il processo è stata pensata per sgravare i giudici dal compimento di operazioni meccaniche che spesso sottraggono tempo prezioso dallo studio di questioni delicate e difficili; al contempo, però, i funzionari potrebbero giocare un ruolo chiave anche nell’analisi del grado di complessità delle controversie, funzionale – come più volte osservato – all’efficiente gestione dei fascicoli.

In effetti, è proprio sotto questi profili che l’emersione del grado di complessità della controversia potrebbe agevolare il giudice nell’esercizio dei propri poteri di direzione delle udienze ex art. 127 c.p.c. e, in generale, delle singole controversie, oltre che nella programmazione razionale delle proprie attività (si pensi, a quest’ultimo riguardo, al calendario del processo di cui all’art. 183, comma 4, c.p.c., che dovrebbe essere redatto in ragione della complessità della causa). In particolare, la possibilità di influenzare l’andamento del processo sussiste in corrispondenza dei suoi snodi principali, che – come si è visto – sono: le verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c., l’udienza ex art. 183 c.p.c., la fase conclusiva dell’istruttoria e antecedente alle note di precisazione delle conclusioni nonché, naturalmente, la fase decisoria.

Il contributo dell’Ufficio per il processo può farsi apprezzare proprio nell’imminenza di questi avvenimenti, quando si rivela utile un accurato studio della controversia[54] e, in particolare, la segnalazione al giudice dei profili di complessità eventualmente emergenti.

A questo scopo possono essere sfruttate le schede riassuntive della causa, la cui predisposizione è menzionata, del resto, tra i compiti dell’Ufficio per il processo[55] e che non sono di certo una novità nel panorama giudiziario italiano[56]. Tali strumenti, anziché essere impiegati unicamente per fotografare lo stato di avanzamento dei lavori – com’è attualmente – potrebbero servire anche per intercettare gli eventuali elementi di complessità della causa ed esprimere un giudizio su di essi. Ad esempio, siccome – si è visto – il numero delle parti e le loro posizioni processuali sono indicativi del grado di complessità della controversia (infatti, un numero elevato di soggetti rende più gravoso il lavoro del giudice, in particolare quando sono portatori di posizioni tra loro contrastanti), l’addetto all’Ufficio per il processo potrebbe pesare il fascicolo sulla base di tale parametro, tenendo conto del complessivo numero delle parti, ma anche dell’eventuale contumacia di talune e del livello di antagonismo tra le loro posizioni processuali[57].

Così, applicato questo procedimento a ciascun indicatore di complessità e combinati i relativi dati, la scheda del procedimento consentirebbe di rilevare e, al contempo, di esprimere, anche in termini numerici, la complessità del fascicolo, permettendo al giudice di avere un’idea immediata del peso della causa e di orientarsi in maniera più razionale nella sua gestione[58].

Inoltre, come si è visto, gli elementi capaci di influire sul peso del fascicolo non emergono necessariamente tutti al momento della proposizione della domanda giudiziale, né sono immutabili, ma, all’opposto, sono suscettibili di manifestarsi anche in momenti successivi, così come di evolvere durante lo svolgimento del processo. Pertanto, i risultati della pesatura iniziale dovrebbero essere costantemente aggiornati proprio in corrispondenza degli snodi processuali di cui si è detto e comunque ogni volta in cui ciò si renda opportuno in ragione della specifica dinamica processuale. Riprendendo l’esempio del numero delle parti, è possibile immaginare che, nel corso del processo, esso vari a seguito di alcuni eventi, come l’intervento di un terzo – che, oltretutto, potrebbe mettere le parti originarie nella condizione di aggiornare le proprie linee difensive[59] – oppure, in senso contrario, l’estromissione di una parte. Ecco, allora, che, verificatasi la circostanza capace di incidere sulla complessità dell’indice in questione, anche il relativo giudizio dovrebbe essere adeguato, attraverso la correzione del valore inizialmente assegnato[60].

Così, una volta compiute le operazioni di pesatura e organizzato di conseguenza il fascicolo, risulterà facilitata anche l’organizzazione complessiva del carico di lavoro del giudice[61].

Da tempo, infatti, alcuni studi empirici hanno dimostrato come, a parità di risorse, la durata media dei procedimenti è inferiore se i giudici lavorano in modo sequenziale, ossia su pochi casi contemporaneamente prima di aprire nuovi fascicoli, mentre aumenta se lavorano in parallelo su molti casi, esaurendoli più lentamente e accumulando, così, un carico pendente sempre maggiore[62]. Al fine di valorizzare il lavoro sequenziale, si ritiene che l’adozione di un’agenda del giudice – specie se in formato elettronico – consentirebbe ai magistrati di organizzare le proprie attività in maniera più efficiente. Affinché il magistrato possa correttamente pianificare il proprio lavoro, così da concentrarsi su pochi procedimenti per volta, appare necessario, da una parte, che egli conosca il grado di complessità e lo stato delle varie controversie (emergente proprio dalle schede) e, dall’altra, che abbia una panoramica generale sulle cause che pendono sul proprio ruolo. Ecco, dunque, che un’agenda intelligente e costantemente aggiornata, dalla quale il giudice possa attingere non solo le attività da svolgere e la loro programmazione, ma anche le caratteristiche di ciascun processo (e, dunque, anche il relativo peso e l’indice di priorità) potrebbe consentire al magistrato di pianificare in modo più consapevole il proprio lavoro[63].

[1] I paragrafi 2 e 5 sono da attribuire a Leonardo Dani, mentre i paragrafi 3 e 4 sono da attribuire a Edoardo Borselli. Il paragrafo 1 è stato redatto da entrambi congiuntamente.

[2] Il riferimento è alle scienze economiche (in particolare l’analisi economica del diritto, la scienza dell’organizzazione dell’amministrazione e la scienza dell’organizzazione del lavoro), a quelle statistiche e sociologiche, all’ingegneria gestionale e, dato l’avvento delle nuove tecnologie, all’informatica. Competenze di tipo interdisciplinare dovrebbero giovare non solo al legislatore quando elabora in astratto le regole di organizzazione della giustizia, ma anche a coloro che nel quotidiano sono chiamati a far funzionare con efficienza gli uffici giudiziari: in primo luogo i direttivi e i semi-direttivi nello svolgimento dei loro ruoli manageriali, poi i singoli giudici nella gestione del proprio lavoro e nel coordinamento con i colleghi e, oggi, anche il loro team di supporto, l’Ufficio per il processo. Sulla necessità di integrare la scienza processualcivilistica con altri saperi cfr. F. Auletta, Per una nuova educazione al diritto giudiziario, in Foro it., 2019, p. 207 ss.; S. Zan, Fascicoli e tribunali. Il processo civile in una prospettiva organizzativa, Bologna, 2003, p. 10 ss.; G. Di Federico, Scienza dell’amministrazione e ordinamento giudiziario. Stato degli studi e metodo della ricerca sul campo, Roma, 1974, p. 9 ss.; M.F. Ghirga, L’ufficio del processo: una sfida, in Riv. dir. proc., 2022, p. 177 ss. Sull’impatto delle valutazioni economiche sul sistema giustizia e sui limiti di questo approccio v. F. Auletta, Una lezione di analisi economica del diritto processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 633 ss.; G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo: studio critico, Napoli, 2015, p. 247 ss.; K.F. Röhl, Justiz als Wirtschaftsunternehmen, in DRiZ, 2000, p. 220 ss.

[3] P. Biavati, La riforma del processo civile: motivazioni e limiti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, p. 46. Ma già A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile6, Napoli, 2014, p. 29; S. Zan, Fascicoli e tribunali, cit., p. 10 ss.

[4] Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contiene la previsione degli investimenti e le riforme richieste per accedere alle risorse del programma Next Generation EU predisposto dall’Unione europea per far fronte all’emergenza economica derivante dalla crisi pandemica. In questo contesto, la riforma del sistema giudiziario rappresenta uno dei punti cardine del Piano, che vede nell’inefficienza della giustizia un ostacolo allo sviluppo economico del Paese. Ad influenzare le politiche pubbliche nazionali sono altresì i rapporti della CEPEJ (Commission européenne per l’efficacité de la justice) sull’efficienza dei sistemi giustizia dei diversi Paesi europei, nonché i rapporti Doing Business della Banca mondiale, in particolare nell’indice relativo all’enforcing contracts. In commento sul punto v. P. Biavati, op. ult. cit., 47 ss.

[5] Cfr. Piano nazionale di ripresa e resilienza, in www.governo.it, p. 57 ss.

[6] M.G. Civinini, Il “nuovo ufficio per il processo” tra riforma della giustizia e PNRR. Che sia la volta buona!, in Questione giustizia, 8 settembre 2021, p. 3.

[7] Cfr. C. Castelli, Standard, carichi esigibili, carichi sostenibili: discussione infinita o indicazioni di lavoro concrete?, in Questione giustizia, 24 giugno 2015; L. Minniti, L’organizzazione del lavoro negli uffici giudiziari, in Questione giustizia, 4, 2008, p. 19 ss.

[8] Cfr. H.P. Gramckow, Estimating Staffing Needs in the Justice Sector, in Justice&development working paper series,19/2012, disponibile al seguente indirizzo: http://documents.worldbank.org/curated/en/958421468324281209/Estimating-staffing-needs-in-the-justice-sector.

[9] Per una panoramica degli ordinamenti che adottano il metodo della pesatura dei fascicoli ai fini dell’organizzazione degli uffici giudiziari, v. European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting in judicial systems, in Cepej Studies no. 28, luglio 2020.

[10] Cfr. European Commission for the Efficiency of Justice, CEPEJ Glossary, as adopted at the 33rd plenary meeting, Strasbourg, 5-6 December 2019, CEPEJ 2020, p. 10, reperibile all’indirizzo https://rm.coe.int/cepej-2019-5final-glossaire-en-version-10-decembre-as/1680993c4c.

[11] M. Kleiman, R.Y. Schauffler, B.J. Ostrom, C.G. Lee, Weighted caseload: a critical element of modern court administration, in International Journal of the Legal Profession, 2019, vol. 26, n. 1, p. 22.

[12] Sul tema dei c.d. carichi sostenibili, v. D. Carlino, La possibile individuazione dei carichi sostenibili: un percorso di approfondimento tra standard di rendimento e carichi esigibili, in Il diritto vivente, 28 gennaio 2021; C. Castelli, Standard, carichi esigibili, carichi sostenibili, cit.

[13] Cfr. M. Fabri, Metodi per la pesatura dei procedimenti giudiziari in Europa, in Questione giustizia, 23 novembre 2020, p. 1.

[14] Cfr. Gruppo di lavoro per la individuazione degli standard medi di definizione dei procedimenti, CSM, Quarta Commissione, Relazione finale – Settore civile, Catania – Roma, 2009, p. 37.

[15] Il metodo Delphi venne sviluppato negli anni Cinquanta da un’organizzazione di ricerca e consulenza statunitense, la RAND Corporation, al fine di prevedere i possibili obiettivi strategici di un eventuale attacco nucleare dell’Unione Sovietica. Cfr., O. Helmer, Analysis of the future: the Delphi method, Santa Monica, California, 1967, reperibile all’indirizzo https://www.rand.org/pubs/papers/P3558.html.

[16] European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., p. 34.

[17] Ad esempio, se il tempo medio di trattazione di un procedimento in materia di responsabilità extracontrattuale è stimato in 20 ore, il peso della categoria, espresso in punteggi, è di 20. Cfr., M. Fabri, op. cit., p. 5.

[18] Rileva M. Fabri, op. cit., p. 6 che questo metodo di pesatura dei procedimenti consente di ottenere un buon livello di bilanciamento nell’assegnazione dei fascicoli nell’ufficio, in quanto esprime l’effettivo e reale grado di complessità dei vari casi, che non è possibile conoscere al momento dell’iscrizione. Inoltre, rileva l’A. che la modifica del peso inizialmente assegnato una volta che il procedimento sia stato definito viene utilizzata da alcune amministrazioni giudiziarie anche al fine di valutare l’effettiva produttività degli uffici e la relativa allocazione di risorse per l’anno successivo.

[19] Cfr. M. Fabri, Metodi per la pesatura, cit., pp. 7 e 13; European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., p. 31 ss.

[20] Cfr. European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., p. 51.

[21] Una simile operazione può essere svolta da un gruppo di lavoro composto da giudici, oppure da esperti selezionati che, attraverso una delle tecniche descritte supra, formino le varie classi di procedimenti, però, dai dati raccolti mediante lo studio dei tempi di lavoro, così da fondare la stima su una base empirica ampiamente descrittiva della realtà. In argomento, cfr. M. Fabri, op. cit., p. 8 ss.; M. Kleiman, R.Y. Schauffler, B.J. Ostrom, C.G. Lee, Weighted caseload, cit., p. 27.

[22] Si noti, inoltre, che sia il metodo Delphi che lo studio dei tempi di lavoro non sono esenti da critiche, giacché da una parte i dati raccolti e le stime effettuate, che sono il frutto di un’autovalutazione da parte dei soggetti coinvolti, possono essere sovrastimati; dall’altra, perché essi si limitano a rilevare la realtà esistente (in modo più o meno influenzato da valutazioni soggettive), ossia i tempi necessari per la risoluzione delle controversie, senza individuare eventuali buone pratiche utilizzabili per la riduzione della durata dei procedimenti. Cfr., European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., p. 19; M. Fabri, op. cit., p. 3.

[23] È il caso, ad esempio, degli ordinamenti olandese, belga, austriaco e danese. Cfr., European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., pp. 8-9, tabella 1.

[24] Il ricorso alla pesatura soddisfa tale scopo, ad esempio, in Germania, Belgio, Serbia, Ucraina e Romania. Cfr., European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., pp. 8-9, tabella 1.

[25] Come avviene, ad esempio, in Olanda e in Danimarca. In merito, cfr. M. Kleiman, R.Y. Schauffler, B.J. Ostrom, C.G. Lee, op. cit., pp. 28-29; M. Fabri, op. cit., pp. 2 e 10; European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., p. 5, pp. 8-9, tabella n. 1, p. 11 ss. e pp. 21 e 31.

[26] Invero in alcuni casi vengono utilizzati taluni correttivi, com’è a dirsi per il metodo “Delphi con iniziale stima dei tempi e integrazione con fattori di complessità” (cfr. supra, sub c), oppure per il metodo del time study con successiva valutazione qualitativa (cfr. supra, sub iii). Tali sistemi vengono impiegati, ad esempio, in Finlandia, Romania, Lituania e, in una certa misura, Austria e Germania, dove si impiegano coefficienti di ponderazione che consentono di dare rilievo a elementi di complessità più strettamente processuali, come il numero delle parti, il numero di atti o il numero delle prove testimoniali da assumere. Si tratta, come meglio si dirà, di elementi suscettibili di emergere via via che il procedimento progredisce. In merito, v. European Commission for the Efficiency of Justice, Case weighting, cit., p. 51.

[27] Ciò, tuttavia, non esclude che il sistema della pesatura possa già allo stato avere una qualche rilevanza nell’organizzazione dell’ufficio giudiziario. Il dirigente dell’ufficio giudiziario potrebbe essere facilitato nelle operazioni di riequilibrio dei ruoli – da esercitarsi pur sempre nei limiti, secondo la procedura e alle condizioni di cui agli artt. 167 ss. della Circolare sulla formazione delle tabelle attualmente in vigore. Infatti, i risultati emergenti dalle operazioni di pesatura dei fascicoli potrebbero essere impiegati dai dirigenti nell’esercizio dei loro poteri di riorganizzazione dell’ufficio e delle sezioni, ad esempio, per le seguenti finalità: a) elaborare un piano di rientro sostenibile, a fronte di un carico di lavoro del magistrato che si riveli eccessivo (art 172, comma 2 della Circolare CSM sulle tabelle triennio 2020/2022); b) prevedere un esonero temporaneo dall’assegnazione di nuovi affari o di nuove attività, sempre qualora il magistrato si trovi in affanno (art. 173, comma 1 della Circolare CSM sulle tabelle triennio 2020/2022); c) valutare il collocamento di nuovi giudici o il ricollocamento dei giudici all’interno delle articolazioni dell’ufficio; d) sopperire all’assenza di un magistrato in caso di maternità o malattia. In queste ipotesi, a ben vedere, potrebbe risultare utile tenere in considerazione il carico di lavoro, quale somma dei pesi dei vari procedimenti, sia del magistrato assegnatario che di quello i cui fascicoli devono essere ricollocati (art. 167, comma 2, della Circolare CSM sulle tabelle triennio 2020/2022).

[28] Sull’importanza delle funzioni di case management del giudice al fine di rendere il processo più rispondente ai principi di ragionevole durata, effettività ed efficienza v. M. De Cristofaro, Case Management e riforma del processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc., 2010, p. 282 ss.; B. Ficcarelli, Fase preparatoria del processo civile e case management giudiziale, Napoli, 2011, 28 ss.; S. Zan, Fascicoli e tribunali, cit., p. 69 s.; H. Prütting, sub § 272, in Münchener Kommentar zur ZPO, Monaco 2020, Rn. 1.

[29] Sui principi di effettività, efficienza e proporzionalità all’interno del processo civile v., su tutti, I. Pagni, voce Effettività della tutela giurisdizionale, in Enc. dir., Annali, X, 2017, p. 355 ss.; Ead., Principio di proporzionalità e regole minime tra rito ordinario, rito del lavoro e tutela sommaria, in La tutela dei diritti e le regole del processo, Atti del XXXI Convegno nazionale dell’Associazione italiana fra studiosi del processo civile: Padova, 29-30 settembre 2017, Bologna, 2019, p. 113 ss.; R. Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 389 ss.; L.P. Comoglio, L’economia dei giudizi come «principio ad assetto variabile» (aggiornamenti e prospettive), in Riv. dir. proc., 2017, pag. 331 ss.

[30] Oltre a quello che si dirà nel prosieguo (testo e note successive), v. A. Dondi, Aspetti della complessità e riscontri nella nozione di complessità processuale, in Aa.Vv., Elementi per una definizione di complessità processuale, a cura di A. Dondi, Milano, 2011, p. 3 ss.; L. Cadiet, Complessità e riforme del processo civile francese, trad. it. a cura di D. Torquato, ivi, p. 103 ss.; N. Andrews, Controversie civili e complessità – L’esperienza inglese, trad. it. a cura di M. Bonci, ivi, p. 65 ss.

[31] V. al riguardo A. Proto Pisani, Sulla tutela giurisdizionale differenziata, Atti del XIII Convegno nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile: Catania 28-30 settembre 1979 in Riv. dir. proc., 1979, p. 536 ss.

[32] V. B. Ficcarelli, Fase preparatoria del processo civile, cit., sui modelli di case management nella fase preparatoria del processo civile adottati con le riforme della fine del secolo scorso e dei primi anni 2000 in Francia (p. 45 ss.) e Inghilterra (p. 91 ss.) proprio in ragione della complessità della controversia; R. Caponi, Rigidità e flessibilità del processo civile, in Riv. dir. proc., 2016, p. 1442 ss.; Id., Processo civile e nozione di controversia complessa: impieghi normativi, in Foro it., 2009, V, 136 s.; A. Dondi, Obiettivi e risultati della recente riforma del processo civile. La disciplina della cognizione a una prima lettura, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2021, 932 ss.; H. Prütting, sub § 272, cit., Rn. 1 ss. e R. Caponi, Poteri probatori delle parti e del giudice nel processo civile tedesco, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 253 ss., ora in Id., Dogmatica giuridica e vita, Studi di giustizia civile, I, Milano, 2022, p. 291 ss., spec. 294 ss. sul modello tedesco dell’udienza principale e delle possibili diverse declinazioni dell’attività preparatoria diretta dal giudice.

[33] Cfr., oltre allo stesso A. Proto Pisani, Riflessioni critiche sulla cosiddetta tutela giurisdizionale differenziata, in Lavoro e diritto, 2014, p. 538 ss. e anche Id., Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., V, 1 ss., che è tornato più di recente a riflettere su quanto già oggetto dell’intervento del 1979 (cfr. supra, nt. 30); I. Pagni, Principio di proporzionalità, cit., p. 116; R. Caponi, Processo civile e nozione di controversa «complessa», cit., c. 137; B. Ficcarelli, op. cit., p. 28 ss., 167 ss.; M.A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione. Un embrione di case management all’italiana?, Bologna, 2018, p. 5 ss., 57 s.

[34] V. P. Biavati, Elasticità e semplificazione: alcuni equivoci, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, p. 1152 ss.; Id., Le recenti riforme e la complessità trascurata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, p. 435 ss. V. comunque le osservazioni di A. Tedoldi, sub art. 702-ter, in Procedimento sommario di cognizione. Commentario al codice di procedura civile a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2016, p. 481 ss. che propone alcuni parametri di valutazione della complessità, principalmente riferibili all’istruttoria, sebbene affermi che essa debba essere valutata con riferimento a tutte le questioni che il giudice deve affrontare per decidere la controversia.

[35] Fatta eccezione, forse, per quanto previsto dall’art. 281 decies, comma 1 c.p.c., in relazione al nuovo «procedimento semplificato di cognizione» che sembra fornire alcuni rudimentali elementi di semplicità. Per un commento critico al modo in cui il legislatore italiano della riforma ha inteso la complessità A. Dondi, Obiettivi e risultati della recente riforma, cit., 936 ss.; I. Pagni, Gli obiettivi del disegno di legge delega tra efficienza del processo, effettività della tutela e ragionevole durata, in Politica dir., 2021, 583 ss.

[36] Cfr., con riferimento alla prima udienza di comparizione, il nuovo art. 183, comma 4 c.p.c. («Se non provvede ai sensi del secondo comma il giudice provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse»); con riferimento al rito semplificato di cognizione, l’art. 281 decies, comma 1 c.p.c. («Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato»); con riferimento alla trattazione in appello, l’art. 350, comma 3, secondo periodo c.p.c. («Quando rileva che ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 348 bis il giudice, sentite le parti, dispone la discussione orale della causa ai sensi dell’articolo 350 bis. Allo stesso modo può provvedere quando l’impugnazione appare manifestamente fondata, o comunque quando lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa»); con riferimento ai criteri redazionali degli atti, l’art. 46, comma 5, secondo periodo disp. att. c.p.c. («Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti»).

[37] Sarebbe tuttavia necessario, onde evitare di ottenere un risultato falsato, che il campione rappresentativo di procedimenti sul quale operare tale verifica fosse epurato delle cause nelle quali si sono verificati eventi anomali, capaci di incidere sulla durata del processo e sul numero delle udienze, ma non espressivi del diverso grado di complessità (c.d. outlier), come, ad esempio, la sostituzione del giudice per maternità o trasferimento, oppure i rallentamenti della giustizia dovuti alle misure di contenimento della pandemia da covid-19.

[38] Per alcune proposte applicative di quanto prospettato, v. infra, § 5.

[39] La Commissione Luiso aveva elaborato una prima proposta secondo la quale il giudice avrebbe potuto decidere se assegnare o meno i termini per le memorie a seconda del grado di complessità della controversia. Tale proposta, come è noto, è stata però scartata (cfr. la Relazione finale del 24 maggio 2021, p. 35 ss.); v., inoltre, B. Capponi, Note sulla fase introduttiva del nuovo rito di ordinaria cognizione, in giustiziacivile.com, 26 ottobre 2022, p. 6 s. e R. Donzelli, Riforma del processo civile: le disposizioni generali e il processo di cognizione, in giustiziacivile.com, 22 novembre 2022, p. 7, i quali criticano la scelta del legislatore di non aver percorso la via della flessibilità.

[40] Sulla necessità di intercettare tempestivamente le questioni decisive cfr. P. Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 1301 ss., spec. p. 1318 ss.

[41] Si tratta di un controllo che mancava nell’abrogato rito societario dove, a mente dell’art. 11 d. lgs. n. 5/2003, le parti, per provocare una pronuncia del giudice su questioni preliminari o pregiudiziali dovevano chiedere la fissazione della prima udienza, precisando tutte le conclusioni.

[42] Rendere l’art. 171-bis c.p.c. norma «ineffettiva» (come paventato da B. Capponi, Note sulla fase introduttiva, cit., 5), frustrerebbe le intenzioni del legislatore; è dunque indispensabile sfruttare tutte le risorse in modo tale da mettere il giudice nella condizione di svolgere tali controlli.

[43] Cfr. il Resoconto della riunione dell’Osservatorio milanese sulla giustizia civile del 1° febbraio 2023, gruppo “processo civile di cognizione riformato”, disponibile sul sito www.milanosservatorio.it, p. 4 s.

[44] Si noti che a seguito della riforma l’art. 163, comma 3 n. 4 c.p.c. prevede che la citazione contenga l’esposizione «in modo chiaro e specifico» dei fatti e delle ragioni di diritto a sostegno della richiesta, in modo tale da facilitare l’eventuale contestazione del convenuto, che a sua volta deve essere chiara e specifica (art. 167, comma 1 c.p.c.). La redazione degli atti rispettosa di tali canoni dovrebbe favorire anche l’emersione dei fatti effettivamente controversi.

[45] Art. 183, comma 3 c.p.c.

[46] Cfr. I. Pagni, L’Ufficio per il processo: l’occasione per una (ulteriore) osmosi virtuosa tra teoria e pratica, con uno sguardo alle riforme processuali in cantiere, in Questione giustizia, 17 novembre 2021, par. 3. Sul ruolo della prima udienza come momento principale in cui il giudice esercita il case management v. C. Cavallini, Verso il nuovo modello del procedimento ordinario di cognizione, in Riv. dir. proc., 2022, 167, 171 ss., nell’ambito di uno studio di comparazione fra il nuovo modello italiano e quello dei paesi anglosassoni. V. anche la relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione sul d. lgs. n. 149/2022 (rel. n. 110/2022), pp. 45, 51 dove si afferma chiaramente «il legislatore delegato ha apportato una serie di modifiche al Titolo I del Libro II del codice di rito, intervenendo sulla fase introduttiva, al fine di garantirne una maggiore concentrazione. Lo scopo è di giungere alla prima udienza in una situazione in cui il giudice sia in grado di valutare al meglio quale direzione imprimere al processo (effettuare il tentativo di conciliazione, disporre il mutamento nel rito semplificato, ammettere le prove e procedere alla relativa assunzione ovvero valutare che la causa sia matura per la decisione)» (p. 45).

[47] Questo strumento già previsto dall’art. 81-bis disp. att. c.p.c., è stato nella prassi finora poco sfruttato, ma è dotato di forte potenziale, come sottolinea I. Pagni, Principio di proporzionalità e regole minime, cit., p. 154 e come dimostra la valorizzazione che ne intendeva dare il Protocollo per le udienze civili del Tribunale di Firenze, redatto nel maggio del 2008 nell’ambito degli Osservatori della giustizia civile, al punto 10.

[48] Non è facile comprendere quale potrà essere l’effettivo ambito di applicabilità di queste ordinanze. Già prima dell’emanazione dei decreti delegati, infatti, la dottrina aveva espresso numerose riserve: cfr. in particolare G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in Giustizia insieme, 24 maggio 2021 e M. Gattuso, La riforma governativa del primo grado: le ragioni di un ragionevole scetticismo e alcune proposte organizzative ancora possibili, in Questione giustizia, 14 settembre 2021, pag. 8 che evidenzia «l’evidente contraddizione fra la previsione di un rito tendenzialmente a udienza unica, e la previsione di ordinanze interlocutorie, quasi che lo stesso legislatore non creda nell’efficacia acceleratoria della sua riforma» e poi afferma nello specifico: «non è chi non veda come le controversie menzionate dalla norma (quelle dove «i fatti costitutivi sono provati e le difese del convenuto appaiono manifestamente infondate» oppure dove la domanda proposta «è manifestamente infondata» ovvero è nulla) rappresentano esattamente le domande per cui, più verosimilmente, il giudice potrà invitare le parti a precisare e discutere la causa a prima udienza, senza che la redazione di una ordinanza provvisoria possa suggerire un qualche significativo risparmio di tempo». Con riferimento all’ordinanza di rigetto v. anche B. Capponi, Sulla nuova ordinanza di rigetto – art. 183 quater c.p.c., in Foro it., 2022, V, p. 299 ss., che dubita che la disposizione troverà un concreto spazio applicativo; S. Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma del processo civile: note a prima lettura, in DPCIeC, 3, 2022, p. 268 ss.; A. Briguglio, Avanti con la ennesima riforma del rito civile purché sia solo (tutt’altro che decisiva ma) modestamente utile e non dannosa, editoriale del 28 giugno 2021, p. 9 ss..

[49] Anche se i primi commentatori della riforma hanno messo in luce la scarsa utilità che potrebbe avere il mutamento dal rito ordinario di cognizione a quello semplificato, posto che esso sarebbe disposto in prima udienza, in un momento in cui lo scambio di memorie è già avvenuto (cfr. A. Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato di cognizione, in Judicium, 16 gennaio 2023, par. 2; R. Donzelli, Riforma del processo civile, cit., p. 7; S. Boccagna, Le norme sul giudizio di primo grado nella delega per la riforma, cit., p. 257 s.).

Occorre però rilevare che la nuova disciplina del procedimento semplificato si mostra in controtendenza rispetto alla direttiva generale di attribuzione di un maggior peso ai poteri di case management: basti pensare che la previsione per cui il giudice «procede nel modo che riteneva più opportuno agli atti di istruzione rilevanti» cui faceva riferimento l’art. 702 ter c.p.c. è stata sostituita con la previsione per cui quando la causa necessita dell’istruttoria «il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione», secondo dunque le disposizioni del libro II del codice di rito (cfr. sul punto R. Masoni, Il procedimento semplificato di cognizione, in giustiziacivile.com, 7 dicembre 2022, p. 9).

[50]  Cfr. la Relazione illustrativa del d. lgs. 149/2022, dove si dice, a proposito dell’introduzione dell’art. 349 bis c.p.c. che «si è inteso assicurare la possibilità di adattare le forme del rito alle effettive esigenze dello specifico procedimento, in modo da privilegiare la snellezza e la celerità della decisione quando ciò sia opportuno, riservando modelli processuali più articolati alle cause il cui grado di complessità lo richieda».

[51] In questo senso già S. Zan, Fascicoli e tribunali, p. 10 ss., il quale, a ben vedere, rilevava l’importanza del profilo organizzativo in un periodo in cui le tecnologie informatiche non avevano ancora fatto la loro comparsa negli uffici giudiziari. Ad oggi, invece, il processo civile telematico ha reso i fascicoli non più fisici, ma digitali, così che molte delle problematiche poste da una gestione di tipo esclusivamente cartaceo possono dirsi superate. Al contempo, però, è dato rilevare che le potenzialità delle tecnologie informatiche potrebbero essere sfruttate in massima misura se venissero utilizzate al fine di apportare significativi miglioramenti all’organizzazione del lavoro dei giudici.

[52] Cfr. G. Reali, L’ufficio per il processo, in Lavoro Diritti Europa, 3, 2021, p. 10. Nel panorama europeo sono numerose le figure assimilabili ai funzionari dell’Ufficio per il processo, seppur con significative differenze quanto a compiti e organizzazione. In particolare, la posizione degli addetti all’Ufficio per il processo richiama i c.d. judicial assistants presenti negli uffici giudiziari inglesi e svizzeri – derivanti dal law clerk statunitense – i quali hanno principalmente funzioni di assistenza al giudice, con lo scopo di aiutarlo a fronteggiare l’arretrato e garantire una maggiore efficienza e speditezza del processo. In realtà, anche in Francia i giudici sono dotati di un team di supporto (i c.d. assistants de justice), con compiti in parte assimilabili a quelli dell’Ufficio per il processo – dato che sono incaricati, tra le altre, di svolgere attività preparatorie alle udienze e redigere le bozze di provvedimenti – e un inquadramento affine – visto che lavorano in forza di contratti a termine e a tempo parziale. Sul tema, cfr., V. Fanchiotti, Il PNRR e l’ufficio del processo nella giustizia penale, in Dir. pen. proc., 2022, p. 278 ss.; A. Sanders, Judicial Assistants in Europe – A Comparative Analysis, in www.iacajournal.org, § 3.1; F. Auletta, L’ufficio del processo, in DPCIeC, 3, 2021, p. 241 ss.

[53] Cfr. M.G. Civinini, Il “nuovo ufficio per il processo”, cit., pp. 9-10 e 12; G. Vecchi, Uffici per il processo e modelli organizzativi nelle sezioni della Corte d’Appello di Milano. Una prima analisi a seguito dell’inserimento degli addetti finanziati dal PNRR, in Questione giustizia, 15 dicembre 2022, reperibile all’indirizzo https://www.questionegiustizia.it/articolo/upp-organizzazione.

[54] Sull’importanza di un attento studio, da parte degli addetti all’Ufficio per il processo, sia della giurisprudenza che dei risultati cui è pervenuta la dottrina, cfr. I. Pagni, L’Ufficio per il processo, cit., par. 4.

[55] Cfr. art. 5, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 151.

[56] Da tempo, infatti, non mancano realtà virtuose – come, tra le altre, il Tribunale di Pisa – ove le schede riassuntive della controversia vengono utilizzate per agevolare il giudice nello studio delle questioni rilevanti. In merito, cfr. A. De Durante, Un esempio pratico di ufficio per il processo. L’esperienza pisana, in Questione giustizia, 3/2021., p. 186 ss.

[57] Se, poi, al momento del compimento di questa operazione, dovesse disporre dei risultati degli studi sulle cause già definite, potrebbe applicare i punteggi di complessità individuati dai rapporti statistici (cfr. supra, § 3). Al riguardo, un decisivo contributo potrebbe derivare dall’impiego delle tecnologie informatiche basate sull’Intelligenza Artificiale (IA). Del resto, anche la CEPEJ, nella sezione dedicata all’ICT (Information and Communication Tecnology) del report del 2022 (European Commission for the Efficiency of Justice, European Judicial Systems – Cepej Evaluation Report – 2022 Evaluation cycle (2020 data), p. 111 ss., reperibile all’indirizzo https://www.coe.int/en/web/cepej/special-file-report-european-judicial-systems-cepej-evaluation-report-2022-evaluation-cycle-2020-data-?p_p_id=56_INSTANCE_Pec933yX8xS5&p_p_lifecycle=0&p_p_state=normal&p_p_mode=view&p_p_col_id=column-4&p_p_col_pos=1&p_p_col_count=2), non ha mancato di evidenziare i benefici derivanti dall’applicazione delle nuove tecnologie alla giustizia, sia con riferimento all’aggressione dell’arretrato che al miglioramento del case management dei giudici e dell’allocazione delle risorse presso gli uffici giudiziari. Volendo dunque ipotizzare taluni impieghi delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, occorre precisare che non si tratta di individuare le ipotesi in cui le macchine si sostituiscono alle attività intellettive dell’uomo, ma quelle in cui esse costituiscono piuttosto degli strumenti di supporto e semplificazione del lavoro del giudice, in particolare sotto il profilo organizzativo. In questa prospettiva, al fine di individuare il grado di complessità delle controversie e creare un sistema di pesatura dei fascicoli oggettivo ed efficiente, potrebbero essere sfruttate, proprio nella lettura degli atti processuali, le capacità di natural language processing tipiche dell’intelligenza artificiale. Infatti, una volta somministrato all’applicazione un campione di fascicoli da cui ricavare dati statistici sufficientemente attendibili, la macchina potrebbe associare le caratteristiche della controversia capaci di incidere sulla sua complessità (il valore, il numero delle parti coinvolte, la natura delle questioni giuridiche da affrontare, ecc.) agli indicatori estrinseci da cui si desume la difficoltà della sua gestione (come la durata del processo, il numero delle udienze celebrate, ecc.) in modo tale da cogliere la concreta incidenza di ciascun elemento sulla complessità della causa ed elaborare un giudizio obiettivo sul peso del fascicolo. Sull’applicazione delle tecnologie di machine learning al settore giustizia, cfr. «Digitalizzazione della giustizia nell’Unione europea. Un pacchetto di opportunità», Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 2 dicembre 2020 (reperibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0710) ove, nel sottolineare l’importanza dell’informatizzazione dei sistemi giudiziari, si è posto l’accento sulla qualità e sull’affidabilità dei dati impiegati nella fase di addestramento delle macchine e sulla necessità per gli Stati membri di studiare modelli di raccolta e utilizzo di dati, leggibili da parte dei dispositivi automatici, da mettere poi al servizio delle autorità giudiziarie e degli operatori della giustizia (p. 13 ss.).

[58] Si noti, peraltro, che l’aggiornamento della Consolle del giudice del 20 dicembre 2022 consente all’utente di indicare il «peso del fascicolo» in un range da 1 a 10 (cfr. Ministero della Giustizia, Reingegnerizzazione ed evoluzione degli applicativi del settore civile della Giustizia finalizzata al Processo telematico. Manuale utente del Magistrato, par. 9.3.10.3.4).

[59] Oppure si pensi all’ipotesi in cui durante il processo alcune soltanto delle più parti in causa giungano a un accordo su talune questioni: un simile evento, se da un lato può semplificare l’oggetto della cognizione, dall’altro può complicare il lavoro del giudice, che si troverà a dover individuare quali posizioni processuali devono essere stralciate e quali questioni continuano a dover essere trattate.

[60] Peraltro, un procedimento caratterizzato da un elevato grado di complessità richiede, verosimilmente, lo studio e la gestione di una mole consistente di atti processuali e prove, un ammasso di «carte» che hanno bisogno di essere razionalizzate e disposte in maniera logica e funzionale all’attività che, in ogni specifico momento processuale, il giudice è chiamato a compiere. A tal fine si può ipotizzare che in corrispondenza degli snodi principali del processo, gli addetti all’Ufficio per il processo allestiscano il tavolo di lavoro del giudice con i vari documenti del fascicolo – ordinati logicamente – e con eventuali altri elementi che possano tornargli utili (come ricerche giurisprudenziali e dottrinali su talune questioni). Ad esempio, si pensi al momento in cui devono essere svolte le verifiche ex art. 171-bis c.p.c.: il funzionario potrebbe estrapolare dal fascicolo i documenti necessari per appurare la regolare instaurazione del contraddittorio e, qualora sia necessario, presentare al giudice una sintesi delle ricerche dottrinali e giurisprudenziali svolte sul punto, così da facilitare l’adozione dei provvedimenti opportuni. Oppure, si consideri il caso in cui il giudice deve valutare l’ammissibilità dei mezzi di prova: dal fascicolo potrebbero emergere, tra le altre, la presenza di taluni indici di mediabilità della lite e alcune istanze di ammissione di prova per testi. In questo caso l’addetto all’Ufficio per il processo potrebbe predisporre uno schema di raffronto fra i capitoli di prova testimoniale e i fatti a cui si riferiscono, sia a favore che contrari, oltre a uno specchietto riassuntivo degli indici di mediabilità emersi (che potrebbe servire al giudice per disporre, se del caso, l’invio in mediazione e per evitare il compimento dell’istruttoria).

[61] Come si è accennato supra § 3, lett. a).

[62] Il riferimento è agli studi di D. Coviello, A. Ichino e N. Persico svolti sui dati forniti dai Tribunali di Milano e Torino, poi confluiti in Giudici in affanno, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2012; Id., The Inefficiency of Worker Time Use, in Journal of the European Economic Association, 3 settembre 2014; Id., Time Allocation and Task Juggling, in American Economic Review, vol. 104, n. 2, February 2014, p. 609 ss. Nella dottrina processualcivilistica cfr. I. Pagni, Gli obiettivi del disegno di legge delega, cit., pp. 584-585, la quale rileva come le criticità organizzative derivanti dal lavoro in parallelo (e non in sequenza) emergano soprattutto nel momento in cui il giudice è chiamato a redigere la sentenza, visti il tempo e la maggiore attenzione richiesti da una simile attività.

[63] Spunti significativi erano già stati proposti dall’agenda A-Lex, sviluppata nell’ambito del Progetto Themis promosso dalla Fondazione Giuseppe Pera, e confluito nel lavoro di D. Coviello, A. Ichino e N. Persico, Giudici in affanno, cit.