Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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L’opposizione tardiva “consumeristica” dopo – e oltre – i dicta delle Sezioni Unite n. 9479/2023 (Tribunale Ivrea, 16 Maggio 2023).
Di Beatrice De Santis -
1.L’ordinanza del giudice dell’esecuzione del tribunale di Ivrea del 16 maggio 2023 è una delle prime pronunce della giurisprudenza di merito a dare applicazione a quanto stabilito da Cass. SU 6 aprile 2023, n. 9479.
L’ordinanza ritiene che il rilievo officioso della nullità di protezione nell’ambito del processo esecutivo, ed il conseguente potenziale esperimento del rimedio dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. – per come riletta in ottica “consumeristica” – siano possibili anche a seguito del rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, nel caso in cui l’abusività delle clausole non sia stata eccepita dalla parte opponente o rilevata dal giudice.
Nel caso di specie il consumatore esecutato, dopo aver subito l’opposizione a decreto ingiuntivo, aveva chiesto la concessione dei termini ex art. 650 c.p.c. per proporre opposizione tardiva, deducendo l’abusività della clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c. contenuta nel contratto di fideiussione alla base del giudizio monitorio promosso dal creditore. In particolare, a sostegno dell’istanza formulata, aveva dedotto la nullità della clausola contenuta al punto 5) del contratto di fideiussione posto a sostegno dell’azione monitoria, clausola che, in deroga al disposto dell’art. 1957 c.c., si sarebbe posta in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 33 e 34 comma quarto cod. cons. Chiedeva quindi assegnarsi termine per proporre opposizione tardiva, al fine di dedurre tale nullità e conseguentemente eccepire la decadenza della controparte per non aver proposto entro il termine di sei mesi le azioni nei confronti della società debitrice principale.
L’istanza viene accolta, e viene concesso il termine per proporre opposizione tardiva, con ordine al professionista delegato di non procedere alla vendita.
2.Pur muovendosi nel contesto affrontato dalle Sez. Un., la questione decisa dal Tribunale di Ivrea si discosta da quella risolta da queste.
La pronuncia della Suprema Corte n. 9479/2023, originata dalle ormai ben note quattro sentenze del 17 maggio 2022 (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco), afferma che la stabilità del decreto ingiuntivo non opposto dal consumatore può essere messa in discussione quanto alla questione (implicita o deducibile) dell’assenza di clausole abusive nel contratto consumeristico, in assenza di esplicita motivazione sul punto del decreto ingiuntivo. La pronuncia delle Sezioni Unite, dunque, oltre ad imporre per il futuro al giudice del monitorio un obbligo cognitivo e motivazionale rafforzato in ordine all’assenza di clausole abusive, ha previsto che, in mancanza, la nullità delle clausole vada rilevata anche d’ufficio in sede esecutiva fino al momento della vendita o dell’assegnazione, con avviso al consumatore della possibilità di proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., nell’ambito della quale la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo può essere sospesa ex art. 649 c.p.c.
Si tratta di quelle situazioni (che auspicabilmente si verificheranno solo per i decreti ingiuntivi già emessi) che, secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite, integrano il caso fortuito o la forza maggiore, circostanza che rende possibile ricorrere al rimedio dell’opposizione tardiva nonostante al consumatore fosse stato regolarmente notificato il decreto ingiuntivo sulla cui base è stata, poi, intrapresa l’esecuzione. Pertanto, l’opposizione tardiva exart. 650 c.p.c. viene interpretata creativamente, in ottica euro-unitaria: il caso fortuito e la forza maggiore, che di solito giustificano la proposizione dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo nel caso in cui si verifichino eventi esterni al procedimento monitorio – eventi, cioè, che non dipendono dalla inerzia del giudice o dalla volontà (o mancata volontà) dell’ingiunto – possono essere ritenuti esistenti anche in casi differenti. Le Sezioni Unite, difatti, ritengono integrato il caso fortuito o la forza maggiore anche nei casi di eventi che colpiscono dall’interno il processo, consistendo in una nullità processuale per violazione dell’art. 6 della Dir. 93/13/CEE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, e che giustifica ex se la proposizione dell’opposizione tardiva (in questo senso, v. E. D’Alessandro, Decreto ingiuntivo – Dir. 93/13/CEE e decreto ingiuntivo non opposto: le Sez. un. cercano di salvare l’armonia (e l’autonomia) del sistema processuale nazionale attraverso una lettura creativa dell’art. 650 c.p.c., in Giur. Italiana, n. 5/2023, p. 1053 ss.).
Se, però, nel caso affrontato dalle Sezioni Unite quantomeno il rimedio fornito dall’art. 650 c.p.c. viene esteso, sia pure creativamente, ad ipotesi in di mancata proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, il caso deciso dal tribunale di Ivrea si va oltre. Nella specie, infatti, l’opposizione era stata già proposta e rigettata: nonostante ciò, il giudice dell’esecuzione assegna comunque al debitore un termine per proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., motivando sulla base di una estensione anche alla suddetta fattispecie dei principi di diritto contenuti nella sentenza delle Sezioni Unite al giudice del merito.
La differenza con la fattispecie normata dalle Sez. Unite è tutt’altro che trascurabile.
L’ordinanza in commento ha infatti ritenuto che i principi enunciati dalle Sezioni Unite debbano trovare applicazione non solo al cospetto di ipotesi di c.d. giudicato implicito formatosi a seguito di decreto ingiuntivo non opposto, ma anche nel caso – diverso – dell’opposizione già consumata in cui però la questione dell’abusività delle clausole nel contratto a monte non sia stata eccepita dal debitore ovvero rilevata d’ufficio.
3.Peraltro, alla conclusione l’ordinanza giunge facendo leva sulla interpretazione estensiva della nozione di consumatore secondo la quale nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati solo con riguardo al contratto di garanzia, senza considerare il rapporto principale (Corte di Giustizia 19 novembre 2015, C-74/15).
La lettura a cui mostra di aderire il giudice di Ivrea si inserisce nel solco della ipotesi ricostruttiva patrocinata dal Sostituto Procuratore Generale presso la Cassazione, il quale, nella propria requisitoria, aveva ritenuto che i principi enunciati dalle decisioni del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul superamento del giudicato implicito avrebbero dovuto trovare applicazione anche nell’ipotesi di decreto ingiuntivo opposto per motivi differenti da quelli della violazione delle norme poste a tutela del consumatore. Detta strada, però, non è stata seguita dalle Sezioni Unite.
Difatti, la decisione della Suprema Corte n. 9479/2023 è stata resa all’esito di una querelle che aveva visto contrapporsi due distinti orientamenti. Una prima ricostruzione riteneva di poter applicare i principi enunciati dalla Corte di Giustizia sull’interpretazione della Direttiva 93/13/CEE non solo ai decreti ingiuntivi non opposti ma anche alle decisioni emesse ad esito del processo a cognizione piena, e ciò aderendo all’orientamento secondo cui il giudice nazionale deve sempre rilevare d’ufficio l’applicabilità di detta direttiva ad un determinato contratto, anche in caso di contumacia del consumatore (in questo senso Corte di Giustizia UE, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen VZW v. Susan Romy Jozef Kuijpers. 17 maggio 2018, C-147/16).
Diverso l’esito cui pervenivano, invece, i fautori della seconda ricostruzione, per i quali il controllo officioso sull’abusività delle clausole in sede esecutiva non sarebbe stato più possibile a seguito della celebrazione del processo a cognizione piena, e ciò anche nei casi di contumacia del consumatore, trovando applicazione il principio giurisprudenziale per il quale il giudice non può e non deve supplire alla completa inerzia del consumatore (Asturcom Telecomunicaciones SL v. Cristina Rodríguez Nogueira, 6 ottobre 2009, C-40/08), venendo in rilievo, in una simile ipotesi, non l’operatività delle preclusioni proprie del rito monitorio, bensì la regola, non derogabile, recata dall’art. 161 c.p.c., secondo cui i vizi di nullità si convertono in motivi di gravame.
Le Sezioni Unite n. 9479/2023 mostrano di aderire a tale ultima soluzione poiché prendono esclusivamente in esame il caso di decreto ingiuntivo non opposto dal consumatore. E neppure ci sono obiter dicta che permetterebbero una applicazione estensiva – se non anche addirittura creativa – dei principi enunciati. Difatti, all’esito di un contemperamento tra le diverse esigenze in gioco (detto banalmente, la tutela della parte debole e la certezza del diritto conseguente alla stabilità – da assicurare quanto più possibile – di decisioni qualificate come definitive dal diritto interno), le Sezioni Unite si mostrano caute, volendo assicurare agli interpreti che questa soluzione si applichi al solo caso del decreto ingiuntivo non opposto nella situazione descritta dalla pronuncia. La decisione infatti è stata resa ricorrendo allo strumento di cui all’art. 363 c.p.c., e pertanto, nel circoscrivere il perimetro della pronuncia, le Sezioni Unite precisano che il principio di diritto nell’interesse della legge debba necessariamente legarsi alla fattispecie concreta oggetto di cognizione (dunque, nel caso di specie, l’esecuzione a valle del decreto ingiuntivo non opposto (cfr. Cass. 9479/2023, par. 3.1, pag. 8). Certo c’è da dire anche che la stessa Corte sembrerebbe, poi, tra le righe in parte disattendere la premessa programmatica che si era data, dal momento che dalla lunga ed articolata motivazione della sentenza in parte si trascendono i limiti che la stessa si era auto-attribuita.
Ed è in questi confini evanescenti che si inserisce la sentenza del Tribunale di Ivrea. Che è tanto interessante quanto problematica poiché rende ulteriormente intricato il dibattito tra le già ricordate esigenze di tutela della parte debole – per come imposte dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea – con istituti processuali fondamentali del diritto interno, ma anche euro-unitario, quali il giudicato.
La questione non è ovviamente semplice; i principi in gioco tutt’altro che marginali, le soluzioni sono tanto articolate quanto fragili, gli interessi e i loro centri di rilevanza sono in aperto conflitto. Le Sezioni Unite hanno tentato di fare il punto, ma la pratica a distanza di poche settimane va oltre, e l’ordinanza del g.e. l’asseconda utilizzando estensivamente le regole offertele. Ciò inevitabilmente innesca un problema che trascende la pronuncia in commento e che sarà destinato a porsi in termini rinnovati anche a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite, nell’attesa di comprendere se vi sarà uniformità di soluzioni o se si renderà necessario un nuovo intervento nomofilattico o del legislatore.
Le prospettive si aprono necessariamente a riflessioni (ancora) più ampie: a sfuggire ad un completo giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 c.c. non è solo il decreto ingiuntivo non opposto, ma può addirittura esserlo la sentenza di merito frutto di cognizione piena (quale è la sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto).