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Lo strano caso dell’udienza pubblica in Cassazione
Di Giuseppe Fichera -
Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.149-Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, pubblicato sulla G.U. del 17 ottobre 2022, com’è noto ha riformato grandemente il vigente Codice di procedura civile.
Con riguardo al tema che ci interessa e cioè l’udienza pubblica celebrata innanzi alla Corte di Cassazione, è noto che l’art. 4, comma 28, lett. c), d) ed e), del d.lgs. n. 149 del 2022, modificando gli artt. 377, 378 e 379 c.p.c., ha stabilito che: i) l’udienza pubblica si svolge sempre in presenza; ii) il termine entro cui deve essere comunicato alle parti e al pubblico ministero il decreto presidenziale che fissa la data dell’udienza è elevato da venti a sessanta giorni; iii) i termini per il deposito delle conclusioni scritte del pubblico ministero – novità questa, pure introdotta dalla riforma – e delle memorie illustrative delle parti sono fissati, rispettivamente, non oltre venti e non oltre dieci giorni prima dell’udienza.
L’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2022 – come da ultimo interamente rinovellato dall’art. 1, comma 380, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 –, poi, nel regolare la disciplina transitoria applicabile, stabilisce che i ridetti artt. 377, 378, 379 c.p.c., come modificati appunto dal d.lgs. n. 149 del 2022, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 – quindi a tutti quelli pendenti a quella data – «per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio».
Ciò significa, chiaramente, che a partire dal 1° gennaio 2023, il decreto di fissazione dell’udienza pubblica dovrà essere comunicato alle parti almeno 60 giorni prima; che l’udienza si svolgerà sempre in presenza, senza possibilità innanzi alla S.C. di ricorrere alla c.d. “udienza cartolare” (oggi codificata dal novellato art. 127-ter c.p.c.) e che il pubblico ministero potrà depositare le sue conclusioni scritte almeno venti giorni prima dell’udienza, mentre le parti potranno depositarle almeno dieci giorni prima (in luogo degli originari cinque giorni).
Ora, è noto che durante il periodo dell’emergenza pandemica, in forza della disciplina introdotta dal comma 8 bis dell’art. 23 del d.l. 28 ottobre 2020, n.137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, è stata introdotta davanti alla Corte di cassazione, in sostituzione dell’udienza pubblica, la c.d. “cartolare pandemica”.
In forza della suddetta disposizione, invero, per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica, a norma degli artt. 374, 375, ultimo comma, e 379 c.p.c., la Corte doveva procedere sempre in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, salvo che una delle parti o il procuratore generale avesse fatto richiesta di discussione orale.
La richiesta di discussione orale poteva essere formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore di una delle parti, almeno entro venticinque giorni liberi prima dell’udienza.
Se nessuna delle parti avesse richiesto la trattazione orale, entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il procuratore generale doveva formulare le sue conclusioni scritte, mentre i difensori delle parti, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, potevano depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Siffatta disciplina, in origine imposta dall’emergenza sanitaria in atto nel nostro paese, da ultimo, in virtù dell’art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni alla legge 25 febbraio 2022, n. 15, continuava ad applicarsi in Cassazione – anche dopo la fine dello stato di emergenza – fino al 31 dicembre 2022.
Di fronte al quadro normativo sopra descritto, è sorto subito il dubbio su quale sia la disciplina applicabile alle udienze pubbliche già fissate sotto il regime della c.d. “cartolare pandemica”, cioè con decreto adottato dal Primo presidente o dal presidente della sezione entro il 31 dicembre 2022, che debbano essere celebrate dopo il 1° gennaio 2023, cioè quando questa disciplina eccezionale avrebbe cessato di essere efficace, essendo scaduto il termine fissato dal ridetto decreto-legge n. 228 del 2021.
Era oggettivamente controvertibile, infatti, se per le udienze da svolgere dopo il 1° gennaio 2023, dovesse trovare applicazione ancora la disciplina dettata dall’art. 23 comma 8-bis del d.l. n. 137 del 2020 – pure privata ormai di efficacia normativa –, ovvero quella del Codice di rito, come novellato dal d.lgs. n. 147 del 2022, ovvero ancora la pregressa disciplina dettata dagli originari artt. 377, 378 e 379 c.p.c., come introdotti nel lontano 1940.
Ed ecco, allora, che allo scopo evidente di dissipare siffatti dubbi, sul finire dello scorso anno è intervenuto il legislatore urgente, con l’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022 n. 198, ancora in corso di conversione (l’ormai tradizionale decreto-legge c.d. “milleproroghe”), entrato in vigore il 30 dicembre 2022.
Con riferimento specifico all’udienza pubblica innanzi alla Corte di cassazione, la norma in commento stabilisce oggi che «Anche in deroga alle disposizioni di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.149», le disposizioni di cui all’articolo 23, commi 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, del d.l. n.137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020, «continuano ad applicarsi, rispettivamente, alle udienze e alle camere di consiglio da svolgere fino al 30 giugno 2023».
Soggiunge il medesimo comma 8 dell’art. 8 che resta fermo «quanto disposto dall’articolo 35, comma 1, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.149».
Ora, una cosa è certa: la norma che ci occupa, formulata con il preciso intento di sciogliere i descritti nodi interpretativi, a sua volta ne ha generati altri, forse ancora più problematici.
Tuttavia, la reale portata della norma in commento può essere ricostruita, sia pure con uno sforzo dell’interprete, partendo anzitutto da quelle parti del suo dettato che appaiono meno equivoche.
È consentito infatti affermare, con sufficiente tranquillità, che l’art. 8, comma 8, del d.l. n. 198 del 2022, oggi stabilisce che dopo il 1° gennaio 2023:
1.è consentita («anche in deroga») una eccezione alle disposizioni del d.lgs. n. 149 del 2022, che hanno previsto l’udienza pubblica sempre in presenza in Cassazione, senza possibilità di ricorso alla c.d. “cartolare”;
2.è immutata («fermo restando») la disciplina transitoria dettata dal d.lgs. n. 149 del 2022 e, in particolare, la disposizione dell’art. 35, comma 6, che prevede l’applicazione della nuova disciplina dettata per l’udienza pubblica, in relazione ai ricorsi «per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio».
Se si parte da questi due punti fermi, allora, su può approdare alla soluzione del quesito ermeneutico: la disciplina introdotta dal decreto-legge c.d. “milleproroghe” riguarda i soli ricorsi per i quali è stata fissata udienza pubblica prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 149 del 2022, id est quelli fissati fino al 31 dicembre 2022.
Per questi ricorsi, sottratti ex lege alla nuova disciplina dettata dal d.lgs. n. 149 del 2022, con la norma in esame si stabilisce semplicemente che continua ad applicarsi il regime della c.d. “cartolare pandemica” (comunque solo fino al 30 giugno 2023); per i restanti ricorsi, per i quali invece l’udienza pubblica non è stata ancora fissata, a decorrere dal 1 gennaio 2023 si applicheranno le nuove norme dettate dal ridetto d.lgs. n. 149 del 2022, in perfetto ossequio alla sua norma transitoria contenuta nel suo art. 35, comma 6.
Più in dettaglio, per tutti i ricorsi che saranno fissati a partire dal 1° gennaio 2023, troverà applicazione la regola che prevede la comunicazione della data dell’udienza almeno 60 giorni prima della sua celebrazione, quella che stabilisce la necessità che l’udienza si svolga sempre in presenza e, infine, quella che accorda al pubblico ministero e alle parti termini diversi per il deposito delle rispettive conclusioni e memorie illustrative.
Che quella appena descritta sia l’interpretazione – tra le possibili – sicuramente preferibile, del resto, si ricava anche dalla lettura della relazione illustrativa al d.l. n. 198 del 2022, laddove è scritto testualmente che «Per quanto riguarda le udienze e le camere di consiglio, in particolare, si specifica che la disposizione si applica alle udienze già fissate (in quanto per quelle non ancora fissate si applicheranno dal 1° gennaio 2023 le norme di cui al decreto legislativo n.149 del 2022) e che saranno svolte sino al 30 giugno».
Inopinatamente, con un provvedimento datato 3 gennaio 2023 ed indirizzato ai presidenti delle sezioni civili e ai direttori delle cancellerie civili, il Primo presidente della Corte di cassazione ha stabilito che tutte le udienze pubbliche – sia quelle già fissate che quelle ancora da fissare a partire dal 1° gennaio 2023 – si celebreranno con il rito “cartolare pandemico” sino al 30 giugno 2023, sostituendo l’udienza in presenza con lo scambio delle conclusioni del pubblico ministero (da depositare almeno quindici giorni prima dell’udienza) e delle memorie delle parti (entro cinque giorni prima).
Il medesimo provvedimento, poi, stabilisce che per le udienze pubbliche già fissate fino al 29 gennaio 2022, non essendo più possibile per il pubblico ministero e per le parti – in difetto materiale del termine dilatorio di 25 giorni, pure richiesto dalla norma emergenziale – avanzare istanza per la trattazione in presenza, in luogo dell’udienza cartolare, la trattazione avverrà sempre in presenza; per tutte le udienze successive, cioè quelle fissate dopo il 29 gennaio 2023, quale che sia la data che reca il decreto di fissazione, troverà invece applicazione la c.d. “cartolare pandemica”.
Orbene, siffatta interpretazione del dettato normativo sembra in insanabile contrasto con quanto stabilito dal legislatore urgente del 2022, almeno per come è dato ricavare dalla, sia pure non piana, lettura del testo; contrasto vieppiù insanabile con quanto affermato chiaramente, per quello che vale, anche dalla relazione illustrativa al decreto-legge in discussione.
E invero, il decreto-legge del ‘22, in continuità con la norma transitoria dettata dall’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2022, voleva che le udienze pubbliche già fissate entro il 31 dicembre del 2022, si celebrassero tutte in forma cartolare; invece il provvedimento del Primo presidente – almeno per quelle già fissate fino al 29 gennaio 2023 – dispone che si proceda in udienza pubblica.
Il medesimo legislatore, facendo mostra di volere introdurre un doppio regime rispetto alla novella del Codice del ’22 solo per un breve periodo transitorio («anche in deroga»), aveva confermato che le udienze ancora da fissare, a partire dal 1° gennaio 2023, si celebrassero sempre in presenza e, invece, il Primo presidente dispone che, almeno fino al 30 giugno 2023, le udienze pubbliche saranno tutte celebrate in forma c.d. “cartolare”, salvo diversa richiesta formulata dalle parti o dal pubblico ministero.
Un’ultima considerazione.
La soluzione adottata dall’organo di vertice della S.C., per un verso, sospende l’applicazione del rito c.d. “cartolare pandemico” per ventinove giorni (dal 1° gennaio al 29 gennaio 2023), così scegliendo una soluzione di continuità con il pregresso regime della c.d. “cartolare pandemica” e, per altro verso, lo estende indiscriminatamente per ulteriori cinque mesi (fino al 30 giugno 2023), in relazione ad udienze che potrebbero riguardare, in thesi, anche ricorsi depositati addirittura dopo l’entrata in vigore della novella del Codice del ’22. Occorre chiedersi se una simile soluzione appaia ragionevole: la risposta ai lettori di questa nota.