Limiti della giurisdizione del giudice ordinario e pubblica amministrazione. Contributo di dogmatica ad uno studio costituzionalmente orientato

Di Paolo Cotza -

Sommario: Premessa. – (I) 1. Stato attuale della giurisprudenza. – (II) 2. ‘Rivisitazione’ di metodo dei discorsi tradizionali sul potere amministrativo e di teoria delle situazioni giuridiche soggettive. – 2.1. Rilevanza del ‘potere pubblico’ per via delle sue dinamiche. – 2.2. Dalla legittimazione del potere a quella dell’interesse (‘pubblico concreto’ / ‘legittimo’). – 2.3. Primato del dovere(-obbligo) sul diritto soggettivo e riflessi teoretici in punto di situazioni giuridiche. – 2.4. Ritrascrizione ‘in positivo’ delle situazioni giuridiche, soggettive … – 2.5. … e residue precomprensioni in punto di riparto di giurisdizione.  – (III) 3.1. Collaudo di un ‘approccio’ dogmatico. – 3.2. Implicazioni in punto di disapplicazione degli atti amministrativi.

Premessa

La trattazione esige un discorso introduttivo su certo approccio teorico col quale accostarsi all’assetto (formale e logico-sistematico) della principale normativa di riferimento, contenuta negli artt. 1-5, all. ‘E’, L. 20 marzo 1865, n. 2248 (‘Per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia – Legge sul contenzioso amministrativo’): il primo alla radice della ‘capacità di resistenza’ della seconda, tale da consentirle di sopravvivere lungamente al contesto nel quale è venuta alla luce. Ci si riferisce a quello (ideologico e politico-istituzionale) dello Stato liberale ‘post-unitario’, con particolare riguardo: ai principi della separazione dei poteri dello Stato e della giurisdizione unica; nonché, alle correlate criticità, in termini sia di bilanciamento tra ‘riserve’ (per quel che rileva nella circostanza, di giurisdizione e di amministrazione), sia di poteri (di sindacato e decisione) riconoscibili in capo all’Autorità giudiziaria (ovvero, nell’angolo prospettico del cittadino, circa i modi e limiti della tutela)[1].

Da tempo la dottrina si è peritata d’imbastire quel discorso.

Così, innanzitutto, ci si riferisce al rispondere, la separazione fra i vari poteri dello Stato, ad un modello ideale non raggiungibile appieno anche per una intrinseca contraddizione, la prima: non potendo sussistere, in alcun organismo politico, come staticamente intesa; necessariamente finendo col tradursi in una condizione di equilibrio in corrispondenza della quale prevale, di volta in volta, l’un potere piuttosto che l’altro. Tant’è che, esempl.: in un’ottica liberale alla base dell’esperienza nazionale, sensibile all’attuazione delle massime garanzie del cittadino di fronte all’azione governativa, ci si è dimostrati maggiormente inclini verso il potere giudiziario; laddove, nel caso dell’esperienza francese, l’equilibrio si è risolto a favore del potere esecutivo (con la conseguenza di riconoscere ai tribunali la sola prerogativa d’interpretare i regolamenti, non anche di controllarne la validità, essendo all’uopo competente la sola giurisdizione amministrativa)[2].

D’altro canto, la medesima dottrina ha avuto cura di osservare che, intesa la giurisdizione unica quale principio per cui il Giudice dei privati è anche Giudice dell’Amministrazione: se, logicamente, ciò dovrebbe condurre a rinvenire nel Giudice, rispetto all’Amministrazione, gli stessi poteri che spettano al primo nei confronti dei privati; nondimeno, in favore dell’Autorità amministrativa, ‘parte’, possono essere previste limitazioni di potere in capo al Giudice[3].

Tale duplice istanza, dalla L. abol. cont. amm. è stata così tradotta: recependo il principio politico dell’unità della giurisdizione a vantaggio del cittadino (artt. 1 e 2); dando corpo alle tendenze fautrici dell’Autorità amministrativa, col disporre determinati divieti in capo al all’Autorità giudiziaria (art. 4).

Nel contesto testé riassunto, l’attenzione di quella dottrina si è prevalentemente concentrata: sui modi di essere della ‘non conformità’ (in senso lato) dell’atto amministrativo rispetto alla legge (a partire dalla controversa distinzione fra inesistenza-nullità ed invalidità); nonché, con riguardo alle correlate implicazioni sui piani effettuale e processuale (inapplicazione-disapplicazione/annullamento)[4].

Invece, il presente scritto:

pur lungo la medesima falsariga e muovendo dall’apporto del ‘formante’ giurisprudenziale[5];

ha preferito occuparsi dell’incidenza che, sul medesimo problema di giurisdizione, ha esercitato certo reinquadramento sistematico, ‘evolutivo’.

Ciò, dal momento che l’originario assetto del contenzioso amministrativo in punto di ‘diritti’ ha dovuto fare i conti: sia con l’istituzione di una giurisdizione amministrativa, per cui gli ‘affari non diritti’ (gli interessi dalla protezione giuridica amministrativa) hanno assunto la consistenza di paradigma di confronto (‘interesse legittimo’); sia con la necessità di un approccio costituzionalmente orientato al problema della tutela giurisdizionale[6]. Su questa falsariga, all’uopo ed a mo’ di precipuo tratto di ‘originalità’, si è trattato di stabilire preliminarmente in quale misura possa incidere una ‘rivisitazione’ (organica ed epistemologicamente aggiornata) dei concetti sui quali (di volta in volta) ha finito col vertere la comprensione-applicazione del pertinente complesso disciplinare a partire dalla considerazione della ‘non conformità’ dell’atto amministrativo. Ci si riferisce: alla correlazione ‘diritto-fatto’, in quanto conosce il suo precipitato ideale nella sede del processo, fra l’altro condizionando il rapporto tra condizioni dell’azione e questioni di merito; a quelli di ‘diritto soggettivo’ e di ‘potere (autoritativo)’ nonché, ai correlati, d’‘interesse legittimo’ e d’‘interesse pubblico’.

Di tal fatta, il presente si svolge sulla falsariga di ulteriori studi di recente confezionamento: in tema di ‘riparto’; ‘giurisdizione amministrativa esclusiva’, ‘legittimazione ed interesse all’azione’[7]; accomunati non solo da un’impronta di metodo, ma anche dal preciso intento di offrire altrettante risposte di sintesi. Ciò, nella (rinnovata) consapevolezza che anche il problema di giurisdizione testé in esame vada trattato: nel contesto di una più generale riflessione del sistema delle tutele del cittadino nei confronti della pubblica Amministrazione[8]; a partire dal rapporto fra limiti ‘esterni’ (stante il difficile equilibrio di riparto con la giurisdizione del Giudice amministrativo[9]), principio di effettività e giusto processo (certezza)[10]; in un’ottica di prevalenza dell’ordinamento giuridico sostanziale sugli assetti (e le ‘strettoie’) di quello processuale (quanto impone una costante ‘calibratura’ fra le diverse istanze)[11].

Tanto più che, salva la questione relativa alle implicazioni che quel discorso dogmatico può presentare con riguardo ai limiti ‘interni’ della giurisdizione del Giudice ordinario (per cui si rinvia al par. di chiusura)[12]:

per un verso, l’art. 103 Cost. non risulta di per sé d’ostacolo al conferimento al Giudice ordinario, da parte del Legislatore statale, della giurisdizione su interessi legittimi; consentendogli financo di annullare atti amministrativi eppertanto, d’incidere sui relativi rapporti secondo le diverse tipologie d’intervento giurisdizionale apparecchiate dall’ordinamento[13];

per altro verso, il dato globale di esperienza giuridica, relativo alla previsione di una giurisdizione amministrativa esclusiva, insegna che, quand’anche s’intendesse procedere secondo un pari ‘riparto per materie’ a favore del Giudice ordinario, non ne risulterebbero risolte le questioni d’interpretazione-applicazione; trattandosi (in entrambi i casi) di pseudo-criterio (come si tenterà di spiegare nel corso della trattazione).

Ma tutto ciò, in definitiva, nel fermo convincimento che il problema giuridico testé affrontato, per la priorità rivestita in un contesto processuale improntato ai canoni della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di parte e per la sua dignità di rango costituzionale (essendo sotteso alla garanzia di pienezza-effettività della tutela), debba rendersi accessibile ai cittadini prima che agli studiosi ed agli operatori del diritto. Gli è infatti che: pur al cospetto di un ipotetico intervento normativo di aggiornamento ed anche ‘al netto’ delle ‘materie’ sottoposte a giurisdizione amministrativa esclusiva; in difetto di una ricostruzione dogmatica ‘ab imis’ ed aggiornata; lo specifico problema di riparto, (anche) per il Giudice ordinario, è destinato a permanere, come si evince da una triplice verifica interattiva.

Per un verso, proprio per via del fondamento costituzionale del relativo riparto, non solo non è ammessa la derogabilità della giurisdizione, benché ‘convenzionalmente pattuita’[14]; ma, addirittura, neppure allo stesso Legislatore sarebbe dato di affidare al Giudice ordinario, senza preclusioni di sorta, controversie in punto d’interessi legittimi[15].

Per altro verso, del persistente problema sono una riprova le insidie ‘di riflesso’ derivate da conflitti instauratisi, sulle questioni di riparto, fra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato, sul presupposto che la questione concernente la configurabilità o meno di un interesse legittimo, suscettibile di tutela giurisdizionale dinanzi al Giudice amministrativo, integra un problema di giurisdizione, in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice eppertanto, è deducibile con ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione[16]. Ci si riferisce:

sia al condizionamento dalla prima esercitato nel modificare l’assetto (costituzionale – art. 103 cit. –) in senso monista (giurisdizione funzionalmente unica), avvalendosi della sua prerogativa di sindacare le sentenze del secondo; in ispregio al limite strutturale (rappresentato dall’art. 111 Cost., comma 8) dei motivi inerenti alla giurisdizione e facendo leva sulla sua interpretazione ‘evolutiva’[17];

sia alla ‘singolare’ concomitanza, di certo incremento di quell’‘offensiva’ della Cassazione, con l’ampliarsi dello spazio attribuito alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo[18].

È, infatti, intuitivo che i termini di quel sindacato, quando si tratti di accertare la possibilità di cognizione giurisdizionale di una data controversia, dipendono largamente dalla Corte di Cassazione e dal modo in cui la medesima intende: sia la figura dell’interesse legittimo (il labile confine fra accertamenti, in astratto ed in concreto, di tale situazione giuridica)[19]; sia (in forma complementare) il confine fra discrezionalità e merito (per via dei principi e delle norme che regolano l’esercizio del potere discrezionale, implicando la definizione di ‘spazi liberi’ dell’attività amministrativa)[20]; sia la distinzione fra applicazione e creazione di norme giuridiche che, a sua volta, dipende (a monte) da come s’intende l’operazione interpretativa[21].

Innegabilmente il disagio che ne è scaturito (per violazione della garanzia della tutela giurisdizionale – art. 24 Cost. -) ha indotto a ipotizzare soluzioni di armonizzazione delle funzioni nomofilattiche, del tipo di quella d’integrare la composizione delle Sez. Un. con magistrati del Consiglio di Stato, ogniqualvolta quelle siano chiamate a pronunciarsi su questioni di giurisdizione. Salvo obiettare che l’art. 106 Cost. non consente di adottare consimili ‘ripieghi’, dal momento che limita la possibilità di chiamata all’ufficio di ‘Consigliere di Cassazione’ ai soli professori ordinari di università in materie giuridiche nonché, agli avvocati iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, vantanti almeno 15 anni di servizio.

L’apporto di dogmatica può infine tornare utile avuto riguardo alle criticità insite in certo ‘limite funzionale’ del criterio di riparto della giurisdizione alternativo al ‘petitum sostanziale’ (segn., quale richiesta di accertamento del diritto o di annullamento di un atto amministrativo[22]): il riferimento alla ‘domanda’ in termini di prospettazione (‘si faccia questione d’un diritto … che si pretende leso’) e, corrispondentemente, di accertamento giudiziale in astratto[23], risultando poco edificante alla luce del contributo epistemologico, dal momento che rende sterile l’apporto valutativo del giudice, come indissociabile dalla questione di merito[24]. Altrettanto può concludersi con riguardo all’omologa disciplina relativa alla determinazione della giurisdizione amministrativa (art. 7, c.p.a.).

Pertanto, lo scritto muove da una rassegna ‘critica’ della più recente giurisprudenza orbitante attorno ai principali dati ‘positivi’ di riferimento in punto di riparto di giurisdizione fra Giudice ordinario e Giudice amministrativo; coll’intento di verificare gli esiti della prima, anche alla luce dei mutati scenari processuali nei quali la disciplina più risalente s’innesta.

I

1.Stato attuale della giurisprudenza

Il contributo della giurisprudenza, nel forgiare il bilanciamento fra riserve, di giurisdizione e di amministrazione (per l’appunto introdotto dalla Legge del 1865), si è contraddistinto per una (sia pur travagliata) progressione quanto all’estensione del sindacato e delle prerogative di decisione; cui, tuttavia, ha corrisposto un moto non del tutto rigoroso in punto di riparto tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo: fatto di un’alternanza di spinte e contrappunti.

Così, solo in seguito al conferimento, alla Corte di Cassazione di Roma, della competenza sui conflitti (L. 31 marzo 1877, n. 3761), cominciò coll’estendersi la giurisdizione del Giudice ordinario ad ogni causa nella quale fosse interessata la pubblica Amministrazione, indipendentemente dal tipo di atto emanato (non solo ‘di gestione’, ma anche ‘di impero’).

Sulla medesima falsariga, si colloca il superamento della tesi interpretativa secondo la quale il sindacato dell’Autorità giudiziaria potesse cadere solamente sull’‘effetto’ dell’atto emesso dalla pubblica Amministrazione, e non su quest’ultimo in sé stesso. Stavolta, sulla scorta dell’argomento logico per cui il Giudice ordinario non può conoscere, delle conseguenze giuridiche derivanti dalla lesione dell’interesse protetto come diritto soggettivo, se gli viene precluso d’indagare e decidere sulla legittimità dell’atto amministrativo che si vuole causa del pregiudizio stesso[25].

Ancora:

l’acquisita consapevolezza dell’indirizzamento impresso dalla Costituzione repubblicana (art. 24, come rafforzato dall’art. 113), nel senso che la tutela dei diritti soggettivi, al pari di quella da riservare agli interessi legittimi, nanti gli organi di giurisdizione ordinaria od amministrativa (principio di immanenza ordinamentale), debba essere la più ampia e completa possibile, onde garantire l’effettività;

conduce ad un’interpretazione dell’art. 4, L. cont. amm. cit., tale da escludere che preclusioni e divieti possano estendersi oltre un’attività sostitutiva del Giudice ordinario rispetto all’esercizio di potestà pubblicistiche spettanti alla pubblica Amministrazione.

Dunque, «mentre nel sistema della l. cont. amm. la riserva di amministrazione prevista dalla norma dell’art. 3 l. cont. amm. è definibile in contrappunto alla riserva di giurisdizione prevista dalla norma dell’art. 2 l. cont. amm. e disciplinata dalla norma dell’art. 4 l. cont. amm.; nel sistema dell’ordinamento costituzionale la riserva di amministrazione è assorbita dal principio della immanenza della giurisdizione; principio che poi si atteggia nel riparto complessivo delle giurisdizioni come riserva incomprimibile di giurisdizione del giudice ordinario»[26].

D’altro canto, però, gioca un ruolo deleterio la circostanza per cui, proprio a partire dalla L. cont. amm., si è dibattuto (od equivocato) in ordine al rapporto fra sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi e riserva di amministrazione sul potere autoritativo: talvolta, riferendo quest’ultima al solo esercizio discrezionale; talaltra, intendendola come onnicomprensiva[27].

Ciò ha specularmente determinato un’incidenza negativa, quanto alla questione dei limiti ‘esterni’ della Giurisdizione del Giudice ordinario, dal momento che è stata traslata in quella di ‘riparto’ interno al potere giurisdizionale: rispetto alla giurisdizione del Giudice amministrativo.

A tal punto, esigenze di compiutezza espositiva suggeriscono di assumere, quale primo termine di confronto, statuizioni giurisprudenziali di portata generale: come tali, senza mezzi termini riferibili al complessivo dato normativo in punto di riparto di giurisdizione; ormai sedimentate, benché talvolta collidenti.

Si legge così, sol per citare alcune delle più recenti espressioni ‘di massima’ (ordinate in modo da comporre una fedele ed organica rappresentazione dell’attuale ventaglio di tesi), che:

«la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ciò che rileva è [non già la prospettazione delle parti, bensì] il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della natura giuridica della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico sotteso alla pretesa avanzata»[28];

«spetta al giudice ordinario decidere quando non si contesti l’esercizio di un potere amministrativo ma la lesione di un diritto soggettivo, con l’unica eccezione dei casi che rientrano nell’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva»[29];

«l’art. 7 del D.Lgs. n. 104 del 2010 afferma la sussistenza della giurisdizione amministrativa di legittimità quando sono impugnati atti emessi nell’esercizio del potere pubblico, e dunque autoritativi, non rilevando che si tratti di un potere discrezionale o vincolato»[30];

«tutte le volte in cui una controversia abbia ad oggetto il controllo giudiziale sulla legittimità di una scelta discrezionale operata dall’Amministrazione, la situazione giuridica dedotta in giudizio non può che appartenere alla categoria degli interessi legittimi, la cui tutela è demandata per regola generale al Giudice Amministrativo, cui spetta il controllo del potere amministrativo ai sensi dell’art. 103 Cost. Quando, infatti, la Pubblica Amministrazione, nei limiti delle proprie prerogative costituzionali, esercita un potere pubblico, a questo di norma corrisponde proprio una situazione di interesse legittimo»[31];

«in caso di attività vincolata, che si verifica allorquando le condizioni e i presupposti fattuali sono già stabiliti dalla legge, … la situazione soggettiva del privato è di diritto soggettivo e la controversia è della giurisdizione ordinaria, mentre nel caso di attività discrezionale sussiste un interesse legittimo e la controversia è della giurisdizione amministrativa»[32].

Salvo osservare (a titolo esemplificativo) certo seguito impresso ratione materiae:

«il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse»[33];

«ogni questione relativa al possesso dei requisiti morali di cui all’art. 120 del D.Lgs. n. 285/1992, prescritti per il conseguimento del titolo di abilitazione alla guida, spetta alla cognizione dell’A.G.O., trattandosi di accertamento avente natura vincolata e con vincolo posto nell’esclusivo interesse privato, la cui posizione giuridica va qualificata in termini di diritto soggettivo perfetto. Infatti, i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 120 del D.Lgs. n. 285/1992, dato che incidono su diritti soggettivi non degradabili ad interessi legittimi per effetto della loro adozione, né inerenti a materia riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sono riservati alla cognizione del giudice ordinario»[34].

«la giurisdizione del giudice ordinario, con riguardo a una domanda proposta dal privato nei confronti della P.A., non può essere esclusa per il fatto che la domanda medesima contenga (anche) la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, perché, ove tale richiesta si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo, in considerazione della dedotta inosservanza di norme di relazione da parte dell’amministrazione, quella giurisdizione va affermata, fermo restando il potere del giudice ordinario di provvedere alla sola disapplicazione dell’atto amministrativo nel caso concreto, in quanto lesivo di detto diritto soggettivo»[35]; «in tema di edilizia residenziale pubblica, la controversia introdotta da chi si opponga ad un provvedimento dell’Amministrazione comunale di rilascio di immobili ad uso abitativo occupati senza titolo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, essendo contestato il diritto di agire esecutivamente e configurandosi l’ordine di rilascio come un atto imposto dalla legge e non come esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, la cui concreta applicazione richieda, di volta in volta, una valutazione del pubblico interesse. Tale principio va affermato anche qualora sia dedotta l’illegittimità di provvedimenti amministrativi (diffida a rilasciare l’alloggio e successivo ordine di sgombero), dei quali è eventualmente possibile la disapplicazione da parte del giudice, chiamato a statuire sull’esistenza delle condizioni richieste dalla legge per dare corso forzato al rilascio del bene»[36];

«l’azione risarcitoria è regolata dalla disciplina sostanziale sua propria, con l’ulteriore conseguenza che, quanto alla giurisdizione, la regola di riparto non può che essere quella generale secondo cui appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda risarcitoria proposta dal privato nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni derivati da comportamenti che non si siano tradotti in atti autoritativi dell’amministrazione medesima»[37];

«la tutela possessoria contro atti della Pubblica Amministrazione può essere richiesta al Giudice ordinario ove la condotta della Pubblica Amministrazione non sia ricollegabile ad un provvedimento amministrativo, cosicché essa abbia agito in via di mero fatto realizzando una attività meramente materiale. Ove invece il comportamento dell’Amministrazione sia ricollegabile a un formale provvedimento, la giurisdizione dovrà essere incardinata innanzi al Giudice amministrativo, indipendentemente dalla legittimità o meno del provvedimento ovvero dal corretto esercizio del potere autoritativo»[38].

Tirando le somme di quel duplice ordine di rassegne, innanzitutto, a livello di affermazioni generali, si distinguono (sia pur sommariamente) almeno tre impostazioni: l’una, vertente sulla situazione giuridica soggettiva; l’altra, sul potere autoritativo correlato alla situazione soggettiva (che, come tale, tenta di riprodurre l’operazione integrativa avanzata dal Legislatore del 1865 e dal c.p.a.); l’altra ancora, che s’incentra sulla presenza (o meno) di un esercizio discrezionale. Salvo rilevare (per intanto): da un lato, la tendenza a dare ‘per scontata’ la distinzione fra situazioni giuridiche soggettive; d’altro canto, certa incongruenza (concettuale e sistematica) riferita all’esercizio amministrativo (a seconda che il ‘potere autoritativo’ venga inteso, indifferenziatamente o meno, come discrezionale o vincolato).

Laddove, quando si valuti il sottostante livello ‘applicativo’, pare che la Giurisprudenza chiamata ad esprimersi in punto di ‘riparto’:

ondivagamente indulga ad una sorta di favor verso l’un criterio (situazione giuridica soggettiva) o l’altro (collegamento della fattispecie con un formale provvedimento amministrativo);

peraltro, stante la natura (come univocamente intesa) di tutela complementare rispetto al rimedio principale, per ‘forza attrattiva’ trascinando la soluzione relativa alle questioni risarcitorie per pregiudizi derivati da atti autoritativi[39]; salvo dover ‘stigmatizzare’ sulle incertezze che si determinano nell’assumere, quale causa petendi dell’azione di danno, l’illegittimità del provvedimento della pubblica amministrazione (se debba ricorrere o meno un nesso ‘causale’, immediato e diretto)[40].

Non paiono puntualizzazioni dirimenti, con riguardo al criterio del collegamento della fattispecie con un formale provvedimento amministrativo: né il riferimento (omologo) all’atto autoritativo come (generico) ‘oggetto’ della controversia[41]; né quello al rapporto (diretto od indiretto) col pregiudizio, corrispondentemente identificando l’oggetto principale della cognizione nell’atto autoritativo od altrimenti. Così, è dato di leggere che, «al giudice ordinario non è attribuita la cognizione di controversie aventi come oggetto principale la legittimità di provvedimenti amministrativi che siano la fonte diretta della lesione lamentata. Di talché, ne consegue che in siffatte ipotesi il giudice ordinario non possa neanche disapplicare il provvedimento che viene in considerazione non in via indiretta, nell’ambito di un rapporto il cui oggetto principale è altro, bensì come fonte diretta della lesione»[42]. Infatti, onde segnare i termini di confine del riparto di giurisdizione, anche senza contare l’assetto impresso dal vigente dettato costituzionale, sarebbe (quantomeno) anacronistico l’argomento che mutui pedissequamente una disciplina (artt. 2, 4 e 5, L. 20 marzo 1865 n. 2248, all. ‘E’, sul contenzioso amministrativo):

apprestata ben prima che si affermasse la giurisdizione amministrativa e si forgiasse la figura dell’interesse legittimo;

eppertanto, inerente ad un difetto di giurisdizione non ‘relativo’, ma ‘assoluto’ (come anticipato, al cospetto di una rigida considerazione del principio di separazione dei poteri dello Stato e del contrappunto della riserva di amministrazione).

Ragion per cui:

in un contesto ordinamentale nel quale è ormai superata la preclusione (in genere) di un sindacato giurisdizionale condotto in via principale sugli atti amministrativi; così che, non trattandosi di fronteggiare un problema di indipendenza fra poteri-funzione dello Stato, ne risulta assecondata un’impostazione meno rigida anche del riparto di giurisdizione;

rivisitato il rilievo della ‘prospettazione’ in un contesto epistemologicamente evoluto di considerazione delle condizioni dell’azione[43];

andrebbe più meditatamente valutato se sia preferibile (a partire dalla circostanza di presentare minori controindicazioni) l’adozione (generalizzata ed assorbente) del criterio fondato sulla natura della situazione giuridica soggettiva.

Di siffatte criticità, parzialmente si è dato conto in precedenti scritti (nanti menzionati in nota del par. d’esordio), proponendo una ‘chiave di lettura’ revisionista, di estrazione dogmatica. Anche stavolta, si tratta di traslare quel discorso di metodo onde ottimizzare una ricostruzione interpretativa, organica e costituzionalmente orientata, della (ratio della) disciplina del 1865: in modo da liberarla dalle tradizionali precomprensioni nonché, da restituirla a quella pienezza di potenzialità che le discende proprio dall’anticipato rigore formale e logico cui deve una tale longevità. Segnatamente, per quanto riferito, l’attenzione verrà incentrata sui due punti (concettualmente e sistematicamente) ‘deboli’ messi in mostra dalla precedente disamina di Giurisprudenza: del potere (autoritativo) e delle situazioni giuridiche soggettive.

II

2. ‘Rivisitazione’ di metodo dei discorsi tradizionali sul potere amministrativo e di teoria delle situazioni giuridiche soggettive

Il moltiplicarsi delle occasioni di contatto fra la sfera d’interessi del singolo ed i ‘pubblici poteri’, riscontrabile nel contesto di esperienza recato dalla ‘modernità’, implica una adeguata ‘complessità incrementale’ dell’ordinamento (specie in termini di ‘apertura al futuro’) e, con essa, un pari sostegno concettuale e di sistema. Quest’ultimo, pur senza misconoscere il ‘valore’ di cui si fa portatrice (di volta in volta) la Legge, assume ormai il problema come fondamentale criterio euristico: principio di organizzazione (funzionale) di un dato ‘positivo’ (per quanto accennato in termini di ‘apertura’) sempre più improntato allo schema ‘consequenzialista’ (come alternativo a quello ‘ipotetico-casuistico’), giacché assolve a compiti di regolazione d’interessi dalla progressiva definizione ‘sul campo’ (a misura di altri) ed è sensibile agli effetti concreti. Ciò, evidentemente, anche sul versante della tutela eppertanto, processuale[44].

2.1. Rilevanza del ‘potere pubblico’ per via delle sue dinamiche

Su queste basi, può cominciare col dirsi che non torna utile di avvalersi in genere di una nozione di potere ‘in senso statico’ (comunque riconducibile a quella di condizione del soggetto che non ha il dovere di omettere l’atto, di compiere quello contrario), tenuto conto che: pur avuto riguardo alla sua matrice sociale[45]; ‘in positivo’, non va oltre un rilievo giuridico ‘di senso’, riconducibile alla «posizione [o attitudine] del soggetto (o organo) che è in grado, secondo l’ordinamento, di produrre unilateralmente effetti cui il destinatario dell’atto [consapevole] di esercizio del potere medesimo non può sottrarsi»[46].

Ciò non significa necessariamente che l’idea di potere sia inconferente sul piano giuridico:

né in termini assoluti, benché resti ancora controverso se vi possa trovar utile compendio una fenomenologia tanto estesa ed eterogenea da ravvisarvi persino il tratto saliente (quando non consustanziale) della ‘grande dicotomia’ pubblico/privato[47]; tanto più che, persino sotto il primo versante, complice il diffondersi di forme contrattualizzate, si registra certa tendenza a convertirlo parzialmente (da autoritativo) in ‘servizio’ (rectius, ‘funzione’), quale attività svolta nell’interesse altrui (del cittadino);

né relativamente alla tematica che occupa il presente scritto.

Anzi, proprio in corrispondenza di quest’ultimo versante, pare proficuo di concentrare la speculazione: sulle relative ‘dinamiche di legittimazione’ (potere quale fenomeno – se non ‘pura energia’ – reggente in genere i processi di trasformazione dell’ordinamento[48]); pur senza spingersi sulle accezioni (esposte all’obiezione di risolversi in tecnicismi) di ‘situazione soggettiva’ come di ‘diritto di azione’[49].

Ciò, in vista: di un riscontro (sul piano dell’idoneità funzionale) da parte dei destinatari; come (in definitiva) della calibratura del sindacato, utile onde definire (in termini più precisi) i confini fra giurisdizioni. Temi, questi ultimi, sui quali ultimamente il dibattito si è riacceso, ma: con esiti discutibili; in particolare, senza riuscire a superare le consuete formule evocative (effettività e/o pienezza della tutela) del termine (oggetto) cui il precetto giudiziale si riferisce, in modo da verificare i margini attuali di un riesercizio del potere pubblico[50].

Procedendo per gradi, valga di osservare preliminarmente che le formule di legittimazione del potere possono (in linea di massima) così distinguersi: «… la legittimazione a base “soggettiva” sostiene in realtà, più che ogni singola decisione assunta, il complesso delle decisioni che il “legittimo” titolare del potere abbia occasione di emettere durante tutto il suo mandato.

Le formule di legittimazione oggettiva non possono che attenere invece, in senso stretto, a ciascuna singolarmente delle decisioni adottate dal titolare di un potere che, per quanto dotato di una incontestabile investitura, non è in grado di ottenere efficacemente, su questa sola base, adesione e consenso. Il plafond legittimativo richiesto dalle tecniche a base oggettiva appare inoltre (qualunque esso sia) più difficile da conseguire, sicché il suo effettivo raggiungimento ad opera della singola decisione si presta, sempre in linea di massima, a maggiori dubbi e contestazioni»[51].

Per quel che maggiormente rileva ai fini della presente trattazione, valga di sostare su di un ulteriore ordine (immediatamente susseguente) d’implicazioni della vicenda di oggettivazione del potere: di particolare rilievo sul versante pubblicistico ed attinente al porsi, accanto ad una questione di ‘effettività’ (capacità di fare), di una di ‘efficienza’ (quanto a possibilità di ottenere)[52]. Segnatamente, risponde alla questione di ‘efficienza’, nell’esperienza pubblicistica del moderno Stato di diritto, un aggiornamento dell’autorità-competenza, parimenti muovendo dal suo rilievo sociale (in quanto esercitata sui membri di una collettività eppertanto, forma di potere). Quel concetto di per sé esprime il riconoscimento di quanti vantino un ‘sapere’, come tale, sostanziantesi in valori giacché consistente nella capacità di esercitare influenza sulla base ed in favore della ‘verità’; eppertanto, distinguentesi dal potere in senso stretto, dal momento che quest’ultimo, pur implicando conoscenza, si limita a circoscriverla (ai mezzi strumentali) al ‘fine’ da conseguire, senza ambire a verità (al primato del fondamento e della dimostrazione) eppertanto, ad un’adesione delle menti (alla persuasione)[53]. L’accennato aggiornamento consiste in ciò che:

«Quel che appare definitivamente consumata, insomma, è l’originaria capacità del potere pubblico di ottenere legittimazione, attraverso il richiamo alla corretta investitura del titolare, per una serie indefinita di decisioni – potenzialmente: per tutte quelle adottate entro i confini della propria “competenza” dal legittimo detentore –. Che è poi … la saliente caratteristica – operativa, quindi definitoria – del potere legittimato soggettivamente. In questo senso, l’identificazione tra potere pubblico e potere legittimato obiettivamente risulta … già oggi plausibile»[54];

in quanto (per ciò solo) funzionalizzato id est, ‘doverosamente’ diretto allo scopo di cura dell’interesse pubblico, se ne impone una ‘rivisitazione’ al pari della ‘buona amministrazione’ sul piano (piuttosto che della doverosità) del vincolo modale di esercizio[55].

2.2. Dalla legittimazione del potere a quella dell’interesse (‘pubblico concreto’ / ‘legittimo’)

Quanto esposto, pur assolvendo al compito di superamento di certa nozione di potere, almeno come metafora da impiegare nel misurarsi col problema della giurisdizione amministrativa, non è certo sufficiente al fine di fondare la pars construens del relativo discorso. Peraltro, all’uopo: se il progressivo prevalere di modalità dell’azione amministrativa su base oggettiva ha finito col rispondere ad istanze di ‘garanzia invertita’ (in favore del cittadino); ben s’intuisce come mai la centralità del problema si sia spostata (ed allargata) sul tema della legittimazione (an prima che quomodo) dell’interesse pubblico corrispondentemente al punto di vista dell’amministrato cui ci si può momentaneamente riferire in termini di ‘legittimo interesse’ (in senso lato) per rifarsi ad una locuzione di marca prettamente ‘comunitaria-unionista’ che scongiura il rischio di condizionamenti derivanti dal proprium dell’esperienza italiana.

Taluni hanno obiettato che, «non sembra in definitiva osservare l’esigenza di certezza del diritto una situazione nella quale la titolarità della situazione giuridica sostanziale fatta valere in giudizio non risulta conoscibile ex ante, sulla base delle norme sostanziali, ma soltanto all’esito di un iter processuale che si conclude soltanto [con] un giudizio di cassazione»[56].

A quel punto, però, potendo controdedursi che ormai ci si è addentrati in una fase storica in corrispondenza della quale, ad una società tecnicizzata ed in rapida trasformazione, hanno corrisposto:

sia una relativizzazione del problema ‘strutturale’ di disciplina posto dall’indeterminabilità del futuro;

sia un tendenziale avvicendarsi al fondazionalismo del proceduralismo[57]; da quest’ultimo risultando traibile persino una parte dei valori etici e politico-costituzionali, dominanti[58].

In quest’ottica, si potrebbe convenire su di un progressivo emanciparsi dall’indicato approccio ‘volontaristico’ (fondato sulla voluntas legis).

Beninteso, si è consapevoli che: il dato ‘positivo’ vada costantemente inteso quale principale ‘formante’ di riferimento; altrimenti, restandosi esposti alla censura d’‘inversione di metodo’ (cioè, d’introduzione surrettizia di principi di ‘giudizi determinativi’ avvalendosi di concetti – tradendo la loro vocazione di ‘meri’ strumenti orientativi, d’impostazione dei problemi –)[59]. Nondimeno, ben si dovrebbe cogliere (giurisprudenza ‘alla mano’) la centralità che assumono, sul piano della qualificazione, le differenti ‘sedi’ (applicative) presso le quali viene traslato (risolvendovi il contesto globale di esperienza giuridica[60]) l’intreccio dell’ordinamento giuridico (alla stregua di un complesso di regole) con la trama delle relazioni fra i portatori degli interessi ed i beni o le situazioni (accessibili). Ciò, corrispondentemente a quanto risulta avvalorato dai più avanzati studi di ermeneutica giuridica in termini di rapporto (non lineare, sul presupposto di un significato oggettivo, pre-esistente cui l’interprete avrebbe accesso, bensì) circolare fra diritto e fatto, quale imprescindibile argine al dilagare delle precomprensioni[61].

D’altronde, che l’interpretazione come co-artefice d’interessi giuridicamente rilevanti sia finalizzata all’applicazione di disposizioni ad una realtà delimitata e circoscritta, trova conferma nell’art. 12 delle ‘preleggi’ al cod. civ. (rubricato ‘interpretazione della legge’) ove così si esordisce: «nell’applicare la legge…»[62]. Gli è allora che resta comune il fondamento della comprensione nel processo applicativo: esso si traduce in quel ‘nesso dialettico’ (moto circolare) che dal ‘diritto’ (quaestio juris) conduce al ‘fatto’ (quaestio facti) per tornare al primo. In altri termini, ogni giudizio (quale esso sia) è prospettabile non come un quid a sé stante, bensì come il risultato di un’attività (non solo sotto un aspetto statico, ma anche in una visuale dinamica): considerando la comprensione come un momento ‘essenziale ed ineliminabile’ nella complessa operazione di applicazione della legge ad un caso concreto[63]. Solo aderendo allo schema logico-circolare di comprensione-applicazione, si è in grado di apprezzare che il giudizio logicamente non anticipa la determinazione volitiva, ma con essa s’identifica, progressivamente definendosi. Altrimenti, nell’ottica della teoria logicistica della decisione (che la equipara ad un sillogismo pratico[64]), la duplicazione delle fasi (posizione della regola del caso concreto e determinazione della susseguente decisione) si rivela non solo una inutile complicazione[65], ma (quel che è peggio) un’aberrazione del processo.

Tentando di ricavare una sorta di ‘precipitato’ specialistico dalle osservazioni sinora condotte, pare di poter sostenere che l’indiscriminato riferimento legislativo al ‘potere’ (di cui all’art. 7 cit. c.p.a.) è ultroneo: nella misura in cui stride con i canoni di teoria della norma secondo i quali, quando quest’ultima si conformi allo schema ipotetico-casuistico, cui corrispondono l’azione amministrativa vincolata ed il ‘contraltare’ della situazione di diritto soggettivo, vi è spazio solo per il rapporto ‘norma-fatto’[66]; dunque, con esclusione del ‘potere’ (che, come tale, non può che essere discrezionale). In quest’ottica, il riferimento all’esercizio autoritativo non è però superfluo: nella misura in cui serve a ricondurre tendenzialmente la giurisdizione amministrativa a norme rispondenti allo schema consequenzialista (‘norma-potere-fatto’) eppertanto, ad un agire discrezionale cui è correlata la figura dell’interesse legittimo. In quest’ottica, va inteso il riferimento ad “atti costituenti esercizio di poteri autoritativi e discrezionali[67].

A tal punto, una compiuta elucidazione del dato normativo sotto osservazione, onde farne emergere tutte le potenzialità, esige un consono reinquadramento di teoria delle situazioni giuridiche soggettive. Ma, poiché queste ultime si connotano per certa ‘trasversalità’ rispetto alla somma partizione ‘pubblico/privato’, e la giurisdizione amministrativa è imperniata sull’interesse legittimo, occorre domandarsi come il medesimo si atteggi alla luce del principio di legalità e rispetto all’interesse pubblico.

In tale contesto, vien fatto d’interrogarsi quanto alle espressioni ‘teoricamente possibili’ della legalità: se esse siano compendiabili secondo l’alternativa ‘esecutiva’/‘teleologica’, come deporrebbe anche il dato ‘positivo’ laddove sancisce (all’art. 1, L. n. 241/1990) il risolversi della legalità nel perseguimento dei ‘fini determinati dalla legge’[68]; se (altrimenti), per quel che rileva nello studio in esame, il ‘problema politico’ non sia risolvibile esclusivamente nella sede legislativa (sì da tradursi in ‘problema amministrativo’[69]). Così: assumendo centralità lo scopo d’interesse pubblico ‘non di parte’ (in quanto espressione di un punto di vista che non è quello dell’‘apparato’ – astrattamente dell’atto-attività, del potere –)[70]; altresì, potendo assumere rilevanza, nel concreto, interessi ulteriori. Non per caso, tale evenienza non si configura fintantoché restano insuperate le tradizionali precomprensioni (non solo teoretiche, con riferimento allo schema normativo di riferimento, ma altresì) epistemologiche, quanto alla trascuratezza del giurista verso l’interesse pubblico, per via di certa propensione a “trattarne” separatamente rispetto all’interesse legittimo sostanzialmente inteso[71]. Ciò, a sua volta, si spiega con due ordini di ragioni.

Innanzitutto, per via della teorica in forza della quale nel processo amministrativo (giuridicamente) si farebbe questione del solo interesse pubblico ‘di parte’ o dell’interesse legittimo come coincidente col primo (da cui “riceve[rebbe] la vita”), così riducendo il secondo al rango di mera prerogativa di reazione nei confronti del provvedimento illegittimo (tale da “sdoganare” la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dell’interessato[72]). Risponde al vero che tale tesi ha raccolto un seguito minoritario[73]; pur trattandosi della più raffinata fra quelle originatesi dalla medesima costola, per cui l’unica situazione giuridica, soggettiva, sostanziale, logicamente ammissibile, sarebbe il diritto soggettivo[74]. Ma ciò si spiega in ragione delle obiezioni tradizionali che si appuntano: su di una concezione rigidamente compartimentale (“a tenuta stagna”) quanto alla distinzione tra ‘norme di relazione’ e ‘norme di azione’, e quindi tra illiceità ed illegittimità; sull’asserto secondo cui il processo amministrativo tutela soltanto l’interesse pubblico individualizzato nell’amministrazione[75]. In particolare, da decenni (ormai) la dottrina ha posto l’accento sulla giuridica implausibilità sia della tesi secondo la quale le norme ‘di azione’ sarebbero poste a tutela del solo interesse pubblico, sia di quella per cui l’interesse sostanziale dell’individuo possa ridursi a mero fatto di legittimazione[76].

Il secondo ordine di spiegazioni di una trattazione separata dell’interesse pubblico rispetto all’interesse legittimo sostanzialmente inteso, può così articolarsi: per via della connotazione “anfibologica” di un raffronto (l’interesse legittimo designando una situazione giuridica, l’interesse pubblico – atecnicamente – un’utilità per l’amministrazione[77]); altrimenti, identificando l’interesse legittimo con un sotteso interesse sostanziale, privato, in ragione dell’inammissibilità di una “correlazione” con un interesse (quello pubblico) individuato normativamente, dato che «laddove arriva la legge la definizione del rapporto fra gli interessi è per intero assorbita al suo livello senza spazi residui» (subordinazione dell’uno o dell’altro) eppertanto, sarebbe da escludere una situazione giuridica strutturalmente distinta dal diritto soggettivo[78]. Gli è tuttavia che quest’ultima tesi neutralizza la (possibilità di) correlazione (al pari dell’idea d’interesse pubblico in concreto) con meri espedienti verbali (es., ‘vincolo di scopo’, inteso come volto a perseguire non un interesse pubblico, ma interessi obiettivati e già formalizzati in una regola – legge o atto amministrativo –, a prescindere dai singoli e concreti aspetti che costituiscono i motivi della manifestazione di volontà dell’amministrazione[79]); sì da concludere risolutamente nel senso dell’“irrilevanza della nozione di interesse pubblico nella qualificazione delle situazioni soggettive”[80]. Così facendo, però, il medesimo costrutto pare prestar il fianco a due ordini di obiezioni.

Innanzitutto, se l’art. 97 Cost. fonda, ad un tempo, la compiuta risoluzione dell’interesse pubblico nell’ordinamento e, mediante la nozione di legittimità ‘allargata’, il contenuto dell’interesse legittimo (“che non è possibile definire che in relazione all’interesse pubblico siffattamente risolto”): non solo vi si coglie l’essenzialità della prospettiva di giustizia per la comprensione del diritto amministrativo[81]; ma ne risulta ‘sconfessata’ qualunque interpretazione ritualistica della legalità, sì da farne emergere gli aspetti sostanziali[82]. In buona sostanza, si tratta di condurre l’interesse legittimo dalla condizione di ‘testa di ponte’ della legittimità in certa area del merito (secondo quanto verrà esposto a proposito della ragionevolezza) a strumento di massimizzazione della legalità stessa in chiave di tutela (intervenendo principalmente su entrambe le leve – processuale e procedimentale –) sino ad annettervi (almeno in prospettiva) un più penetrante sindacato sull’opportunità.

In secondo luogo, quella tesi ‘tradisce’ una concezione di regola giuridica invariabilmente attestata secondo lo schema (imperativo – al più nella sua versione finalistica – id est) ipotetico-casuistico[83]. La risposta al dilemma concettuale di partenza sembra allora doversi ricercare altrove: prendendo spunto dall’irriducibilità, allo schema testé indicato, delle disposizioni di matrice ‘consequenzialista’; sì da dover ricorrere ad una nozione epistemologicamente ‘matura’ d’interesse pubblico: non come appartenente (in via esclusiva) all’amministrazione, bensì visto nella dinamica della sua determinazione e quindi nella confluenza dei vari interessi che in tale dinamica sono coinvolti, compresi quelli degli amministrati; quale quella suffragata dalle accennate logiche dei meccanismi decisionali (interpretativo-applicativi) e del “circolo ermeneutico”[84].

Detto altrimenti, come conferma il dato globale di esperienza, non esiste alcun interesse, individuato da qualche disposizione normativa, che, nel contesto dell’agire concreto, non si trovi variamente connesso ad altri (i quali ultimi, a loro volta, anche in mancanza di una previsione normativa, non possono non essere ponderati da chi è tenuto ad operare la scelta)[85]. È, allora intuitivo (e plausibile) che «fissare il rilievo e l’importanza di un interesse entro o di fronte una costellazione di altri interessi non è opera di ragione, anche se soggettiva: è già optare per un valore piuttosto che per un altro, equivale già alla scelta e cioè in ultima analisi alla volizione»[86]. Dunque, «non ha proprio alcun senso pretendere, come talora s’è fatto, che l’interesse pubblico individuato dalla norma come essenziale, costituisca il fine immutabile e predeterminato, un limite o un vincolo, esterno o interno che sia, dell’attività discrezionale»[87]. Laddove, la sola considerazione del processo ermeneutico-applicativo, secondo uno schema ‘circolare’ (trovando favorevole sponda epistemologica nell’apporto del ‘razionalismo critico’ al problema della ‘calcolabilità’ delle conseguenze della decisione), può garantire al ‘farsi’ dell’atto una riconducibilità al dato globale di esperienza, (fra l’altro) con corrispondente massimizzazione delle adesioni da parte degli ‘interessati’[88].

Convenendo con quanto esposto, la conclusione cui può provvisoriamente pervenirsi è che:

se quello pubblico non è (ormai) un interesse “che incorpora o nega gli interessi privati”[89];

se, in altri termini, l’interesse pubblico si delinea sempre più nitidamente (e legittimamente) via via che si arricchisce l’esercizio dell’interesse legittimo (da parte dei suoi portatori) a cominciare dal piano sostanziale[90]; ed in quest’ottica, trova favorevole sponda quell’autorevole dottrina secondo la quale (a differenza della coppia diritto-obbligo) «entrambe le situazioni (potere autoritativo e interesse legittimo) vivono nell’ambito di una vicenda dinamica, che mena alla definizione di un (nuovo) assetto di interessi, nel quale si colloca la soddisfazione dell’interesse pubblico e può trovare posto la soddisfazione dell’interesse privato»[91];

se ciò si rende possibile (solo) in quanto, sul presupposto della (prolungata) assenza di una compiuta disciplina sostanziale (del tipo di quella – in primis codicistica – dedicata ai diritti soggettivi), è anche al processo (alle sue forme ed ai suoi contenuti) che occorre attingere onde ricostruire i caratteri dell’interesse legittimo[92];

se l’ordinamento si contraddistingue in tal senso per il riconoscimento (sia pur in forme e sedi diverse) della ‘plurisoggettività dell’interesse legittimo’ e di uno strumentario di tutela consono alla varietà del sistema[93];

cade il duplice assunto (ancora ricorrente) di una estrazione esclusivamente ‘volontaristica’ dell’interesse legittimo; al pari di una trattazione separata dell’interesse pubblico rispetto al primo.

A tal punto, pare potersi giungere ad una prima conclusione in ordine all’oggetto del giudizio amministrativo: come non giova l’identificazione con metafore, quale quella del potere amministrativo; tale deve reputarsi piuttosto (l’interesse pubblico concreto come indissociabile dal)l’interesse legittimo (in quanto di quello esprime il punto di vista del cittadino).

2.3. Primato del dovere(-obbligo) sul diritto soggettivo e riflessi teoretici in punto di situazioni giuridiche

Tutto ciò però implica, sempre in chiave di correlazione, anche il superamento di una pregiudiziale differenziazione assoluta dell’interesse legittimo rispetto al diritto soggettivo; senza per questo dover sposare una soluzione ‘negazionista’, stanti la dicotomia strategica “delle regole / della funzione” (per l’appunto, quale riflesso dell’‘orizzonte normativo’ di riferimento), come pure l’infondatezza della tesi che vorrebbe escludere la possibilità di differenze a livello strutturale per via di certa omologazione delle tecniche di tutela (sulla scia dell’insegnamento del Guicciardi).

Gli è, piuttosto, che ad un ormai variegato dato globale di esperienza non può non corrispondere un’articolazione delle situazioni soggettive, giuridiche, sui versanti tanto del diritto soggettivo, quanto dell’interesse legittimo[94]. Solo che quella diversificazione deve essere reimpostata, in chiave unitaria, alla luce del superamento di una concezione ‘obiettiva’ e ‘rigida’ delle norme giuridiche, come già di alcune delle relative superfetazioni (es., l’‘interesse semplice’ o ‘discrezionalmente protetto’) la cui connotazione anacronistica ne risulta più evidente[95].

Così sviluppando il discorso sulla centralità che assumono, in una trattazione sulla giurisdizione amministrativa, le situazioni giuridiche soggettive, pare possa tornar di qualche utilità una rivisitazione di ordine teoretico delle relative questioni: posto che la distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi «continua a dar filo da torcere alla giurisprudenza, perché i criteri usualmente utilizzati a questo fine non si prestano ad un’applicazione univoca»[96]. Ci s’avvede infatti: della ‘relatività positiva’ del diritto soggettivo (anche la ‘pubblicistica’ avendo concordato – riscontri normativi ‘alla mano’ – che sotto tale nomen iuris ha finito ormai per compendiarsi una gamma d’interessi ampia – sotto diversi profili –[97]); nonché, del reciproco condizionamento con le ‘ulteriori’ figure (così che ridefinirne una implica la ‘ricollocazione’ delle altre). Tuttavia, gli esperimenti condotti tendenzialmente hanno solo contribuito ad assecondare, nei discorsi sull’‘interesse legittimo’ (come situazione soggettiva tendenzialmente ‘deminuta’) un ‘taglio tecnicistico’ (anche quando dogmaticamente pregevole): per le relative implicazioni, di assimilabilità disagevole da parte dell’‘individuo qualunque’[98].

Si è dell’avviso, invece, che il dichiarato ‘approccio’ d’indagine possa aver miglior fortuna, consentendo d’impostare più proficuamente quello specifico contesto di esperienza giuridica felicemente sintetizzato come ‘problema (del rapporto) amministrativo’.

Dovendo procedere con gradualità, va rilevato innanzitutto come da tempo paia doversi superare (secondo i dettami del formalismo giuridico) l’assunto tradizionale che seguita a riconoscere al diritto soggettivo la dignità di situazione giuridica, “primaria”, oltre al dovere ed alla facoltà: dal momento che la disciplina comportamentale non consente di uscire dai termini di quell’alternativa; laddove l’interesse assume rilievo pressoché esclusivamente quale elemento teleologico del dovere(-obbligo)[99]. Beninteso, non che s’intenda optare (neppure) per una centralità esclusiva di quella dicotomia. Gli è, infatti, che: si renderebbe problematica la nozione di dovere e si risolverebbe in una “singolare idea” quella della sua preminenza, se non si soggettivizzasse e personalizzasse l’ordinamento[100]; assume altresì rilievo la distinzione fra dovere giuridico (a tenere un determinato comportamento) e dovere finale (laddove l’ordinamento vuole che non conseguano certi effetti qualora il comportamento non venga tenuto)[101]; il ruolo dell’elemento teleologico resta comunque fondamentale, giacché se l’ordinamento impone, ad un soggetto, certo comportamento, è per uno scopo che altro non può essere se non la tutela di un interesse; salvo stabilire esaustivamente le tipologie di quest’ultimo[102].

Nondimeno (ed in definitiva), quell’inquadramento può tornar utile sotto più versanti.

Così, il diritto soggettivo gode di una sua dignità giuridica in quanto:

benché non rientri fra le situazioni giuridiche, primarie (il ‘dovere’ e la ‘facoltà’ che – per l’appunto – guadagnano il centro del sistema giuridico ontologicamente, sulla base dell’osservazione per cui la disciplina del comportamento non consente di uscire dall’alternativa fra necessità e possibilità di tenerlo);

è collocato comunque in correlazione diretta con una di quelle, il dovere; rectius, con la parte di quell’area meglio denominata ‘obbligo’ (per distinguerla dal dovere in senso lato), a sua volta segnata dal dato ‘positivo’[103].

Ciò – sempre per quanto anticipato -, stante il connotato tipicamente relazionale del diritto soggettivo stesso: presupponente un rapporto fra soggetti ben determinati[104].

Ma, per quel che maggiormente rileva nel presente studio, l’inquadramento d’esordio può tornar utile onde emanciparsi:

dall’idea che, al di fuori di quella qualificazione, non vi sia altro spazio che per l’interesse di fatto (od al più semplice), sul presupposto che alla situazione ‘(in-)attiva’ non possa che corrispondere (oltreché una differenziazione/differenziabilità ‘a parte debitoris’) la certezza di attingere al ‘bene della vita’[105]; al più risultando registrabili esclusivamente varietà tipologiche di ‘carattere esteriore’ (es., diritti soggettivi ‘a regime amministrativo’ – a garanzia delle posizioni vantate dagli altri consociati –[106]);

corrispondentemente, dall’assunto per cui la discrezionalità non potrebbe condividere una natura doverosa; nonché, dall’espediente (risolventesi, per l’appunto, in un giuoco di formule al pari di quanto rilevato a proposito dei ‘precedenti’ rappresentati dal diritto alla legittimitàliceità come da quello all’osservanza di un ‘vincolo di scopo’) per cui il c.d. interesse legittimo altro non sarebbe che una pretesa cui corrisponde un ‘obbligo specifico’ (gravante sul titolare del potere) «ad una completa ed adeguata presa in considerazione dell’interesse [sostanziale] in funzione della sua realizzazione»[107].

2.4. Ritrascrizione ‘in positivo’ delle situazioni giuridiche, soggettive …

A tal punto, sgomberato il campo dai fattori di ‘precomprensione’, trattandosi di offrire una soluzione ‘in positivo’, alla luce dell’orientamento epistemologico impresso ad un discorso impostato sull’‘approccio’ teoretico (in senso lato), la distinzione fra situazioni giuridiche soggettive può così riformularsi (assecondando una lettura costituzionale) nel senso (del riconoscimento, rectius) della riconoscibilità di un pari rango dogmatico (istituto) a ciascuna.

Il diritto soggettivo è qualificazione tendenzialmente riferibile a qualunque rapporto, fra centri d’imputazione d’interessi giuridicamente rilevanti (anche fra privati ed amministrazione pubblica), retto da disposizioni normative improntate ad uno schema ipotetico-casuistico (ancorché nella versione ‘finalistica’). Con correlata predeterminazione ‘di massima’ dell’interesse sostanziale, prevalente, come tale fronteggiante un obbligo[108]; salvo quel margine di riserva connesso alla circostanza in cui concorra una pluralità di disposizioni da conciliare mediante attività interpretativa; e fermo restando che ciò non significa (viceversa), a fronte dell’esercizio di un’attività vincolata, la necessaria presenza di un diritto soggettivo (quanto dipende dal tipo normativo di problema)[109]. In altri termini, il problema giuridico è corrispondentemente impostato secondo una predefinizione ‘positiva’ dell’interesse dominante: in assoluto o rispetto ad una data ‘scala’ spazio-temporale di riferimento. A questa stregua, risultano altresì comprese le ipotesi in corrispondenza delle quali (per quel che maggiormente rileva ratione materiae) l’ordinamento sia in grado di risolvere ‘a monte’ il concorso di disposizioni riconducibili a principi antinomici o che si presentino come tali: mediante strategie di gerarchizzazione-confinazione sistemica od avvalendosi di ‘concetti-valvola’[110]; operazione complessificatasi dal momento che l’ordinamento nazionale è andato progressivamente compenetrandosi con quello ‘comunitario-unionista’.

Laddove l’interesse legittimo ricorre ogniqualvolta sia sottesa, ai menzionati rapporti, una disposizione orientata secondo il criterio consequenzialista; come tale, integrante (l’esercizio di) un’attività discrezionale non solo sul presupposto della necessaria dipendenza, del soddisfacimento del titolare, da un contegno altrui[111], ma anche perché implicante una comparazione fra interessi, non una ‘mera’ scelta degli strumenti satisfattivi[112]. Dunque, una situazione giuridica ‘trasversale’ rispetto ai due emisferi ordinamentali. Stavolta il problema giuridico è normativamente impostato (non secondo una predefinizione dell’interesse dominante, bensì) in base ad ‘economie di scala’, ad indeterminabilità delle contingenze ed a risultati che ne possano derivare[113]. Ne consegue che non è interesse legittimo il diritto soggettivo ‘compresso’ a condizioni predefinite o ‘di garanzia’ rispetto all’esercizio discrezionale[114].

Sempre per quanto già esposto, resta inteso che:

pur essendo riconducibile ad uno schema normativo in corrispondenza del quale la relazione fra interessi è del tipo della complementarità (piuttosto che della funzionalità), sì da assecondare la tesi per cui all’interesse legittimo corrisponde un equilibrio in fieri (piuttosto che un rapporto di forza predeterminato, tipico del diritto soggettivo);

accedendo alla tesi per cui la discrezionalità condivide la medesima natura dell’operazione interpretativa delle disposizioni (testi); potrà registrarsi (nel concreto dell’operazione applicativo-attuativa della norma[115]) un contributo costruttivo dell’interprete, dal ‘tasso’ non necessariamente superiore rispetto alle ‘fattispecie’ in cui la legalità (nella specie, amministrativa) è improntata ad uno schema ipotetico-casuistico (in corrispondenza del quale l’ordinamento è tendenzialmente improntato a prevedibilità).

Dunque:

premesso che, sul piano dinamico, l’interesse legittimo, in quanto trasposizione del ‘circolo ermeneutico’ nella versione dialogica del rapporto (conflittuale di libertà) fra individuo ed autorità, si risolve allo stesso modo del diritto soggettivo: nel suo aspetto di possibile trasformazione[116];

si tratta di verificare la possibilità di restituire all’interesse legittimo il rango di situazione giuridica, sostanziale, da ‘trasversale’ (rispetto ai due emisferi ordinamentali) a figura di rilievo ‘identitario’ dell’ambito di pertinenza del diritto amministrativo (sì da giustificare certa specialità in punto di tutela giurisdizionale).

Diversamente, si spiega la circostanza dell’essersi fatta strada persino la tesi favorevole all’articolazione di una sola situazione giuridica sostanziale, senza per questo dover necessariamente mutuare la categoria dottrinale dei diritti pubblici soggettivi (dal momento che problema centrale non è più di sostenere la posizione del cittadino verso o contro lo Stato, onde plasmarne la struttura su quella base bensì, di difenderla in concreto)[117]. Potendo così optarsi per certa polisemia all’insegna dell’interscambiabilità delle locuzioni (diritto soggettivo quale interesse legittimo dell’ordinamento generale, interesse legittimo quale diritto dell’ordinamento amministrativo).

Ciò, complice il contrarsi progressivo del momento propriamente discrezionale, almeno nella misura in cui ci si approssimi allo stadio giudiziale, stanti certo tecnicizzarsi di quell’ambito dell’attività amministrativa e l’ampliarsi del novero delle occasioni ‘giustiziali’ offerto al cittadino già sul piano procedimentale[118]; e, comunque, in considerazione:

sia di una progressiva occupazione dello spazio di tutela degli interessi individuali da parte di una torrentizia produzione di disposizioni (primarie e secondarie) volte soprattutto a regolare competenze e procedure[119];

sia di un graduale assorbimento dei ‘tipi’ delle situazioni soggettive, giuridiche, nazionali, corrispondenti ad un agire discrezionale in senso stretto, da parte dei modelli di garanzia concepiti dall’ordinamento dell’Unione europea[120].

Per l’intanto, valga solo di osservare che tali ultime connessioni si sono prestate ad almeno un ordine di sviluppi, nel senso che: «se non vi sono distinzioni tra diritto ed interesse, ma solo materie nelle quali si sviluppano i rapporti tra pp.aa. e cittadini, la giurisdizione esclusiva è il modello di riparto del tutto coerente con tale percorso. Dovrebbe anzi dirsi che giurisdizione esclusiva per materie è l’unico criterio razionale di riparto delle giurisdizioni»[121].

Nondimeno, pare doversi salvaguardare un rilievo ‘identitario’, dell’ambito di pertinenza del diritto amministrativo, alla situazione giuridica soggettiva in esame, stante la sua relazione comparativa con l’interesse pubblico, che non può essere neutralizzata dal configurare la prima (al pari del diritto soggettivo) come ‘quadro riassuntivo’ di una tutela ‘positivamente’ data[122]. Così da giustificare: oltre ad una larga diffusione dell’interesse legittimo (di là dai nominalismi) anche al di fuori dell’ordinamento domestico[123]; certa specialità a livello giurisdizionale (in termini, non di ostacolo all’effettività e pienezza della tutela del privato nei confronti dell’Amministrazione, ma neppure di parificazione integrale della protezione assicurata alle diverse situazioni giuridiche soggettive), trattandosi di far corrispondere, alla disomogeneità delle situazioni giuridiche soggettive, una diversità di contenuti, grado ed intensità della tutela giurisdizionale, non più una pluralità di azioni distinte ed incompatibili fra loro a seconda del discrimine fra situazioni soggettive[124].

Ciò, benché quella connotazione, calandosi nel contesto di esperienza pubblicistica, nazionale, non sempre risulti perspicua; quanto dipende dalla circostanza che le norme di relazione (riconducibili all’ordinamento generale) sovente tendono ad occupare spazi che competerebbero a quelle d’azione, sì da ingenerare una ingiustificata ‘ipervalutazione’ dell’interesse pubblico ‘di parte’ rispetto a quello dell’individuo[125].

In quest’ottica, dunque, non sembra potersi trasporre, nella presente trattazione, quanto sostenuto a proposito della giurisdizione ‘piena’ (come attualmente trasfusa, per via di materie, in quella esclusiva, in un contesto di generale rafforzamento delle prerogative del Giudice amministrativo), nel senso che:

come vi si fa valere (non tanto una singola e ben qualificabile situazione giuridica soggettiva, quanto) la propria complessiva pretesa sostanziale nei confronti dell’Amministrazione; così il carattere unitario dell’azione non consentirebbe né di scindere la tutela di alcune situazioni soggettive rispetto alle altre, né di differenziare i termini per l’esperibilità delle rispettive forme di tutela[126];

la pienezza della cognizione sul fatto e sul rapporto controverso sottenderebbe ad una tutela reintegratoria tendenzialmente piena delle pretese sostanziali avanzate in giudizio, indipendentemente dalle situazioni soggettive della cui lesione ci si duole[127].

Da qui, si ribadisce, la predilezione da riservare alle ragioni per le quali una situazione giuridica ‘trasversale’ (rispetto ai due emisferi ordinamentali), nell’ambito di pertinenza del diritto amministrativo, si sia contraddistinta per aver assunto un rilievo ‘identitario’ (di là dal giustificare certa specialità in punto di tutela giurisdizionale). Ciò implica una riflessione ulteriore.

Non si tratta solo di tornare sui rapporti fra interesse legittimo ed interesse pubblico (astratto-primario-concreto). Quel che in ultimo pare doversi osservare è che siffatta prospettazione risulta meno ‘eversiva’ di quanto possa apparire prima facie, sol che si ponga attenzione sulla sua consustanzialità col profilo di tutela giurisdizionale e sulla singolarità (‘inversione di metodo’) di una situazione giuridica soggettiva nata onde giustificare l’istituzione di una giurisdizione speciale. Infatti:

‘al netto’ della vicenda storica che ha condotto ad optare per un sistema dedicato a determinate situazioni giuridiche soggettive qualificabili come interessi, ma non come diritti, parallelo e tendenzialmente pariordinato a quello di tutela giudiziaria dei diritti soggettivi[128];

l’evolversi della giurisdizione del Giudice amministrativo, nel senso di un progressivo incremento dello strumentario di tutela, ha finito col dare corpo ad un sistema che si discosta sempre meno dall’idea alternativa a quella (risultata prevalente) improntata al paralellismo con la giurisdizione del Giudice ordinario; cioè, ad un rafforzamento del sistema di tutela giudiziaria originato dalla l. cont. amm., onde garantire effettivamente, mediante opportune garanzie processuali, la tutela dei diritti e dei diritti-interessi dei cittadini nei confronti della pubblica Amministrazione.

Ed a ciò ha senz’altro concorso il dato costituzionale:

per un verso, vietando qualsiasi limitazione al sindacato giurisdizionale sugli atti della pubblica Amministrazione, e garantendo il più largo accesso ai mezzi di tutela giurisdizionale nei confronti della medesima;

per altro verso, incentrando il controllo giurisdizionale degli atti della pubblica Amministrazione sul potere di annullamento, riservando alla legge il compito d’individuare il giudice;

con un radicale mutamento di prospettiva rispetto al principio contenuto nell’art. 4, 2° co., l. cont. amm.; dal momento che cade il divieto, per il Giudice ordinario, di annullare gli atti amministrativi (prerogativa non più esclusiva del Giudice amministrativo).

Non per caso si è osservato che: «La Costituzione tende pertanto a porre in rilievo la conformazione e il contenuto del potere cognitivo e decisorio del giudice rispetto alla qualità soggettiva dello stesso, secondo un processo di immanente verifica giudiziale sull’atto amministrativo. … Principio di sviluppo della giurisdizione amministrativa [artt. 103 e 113 Cost.] e principio della giurisdizione unica (art. 102 Cost.) si intrecciano dialetticamente nell’ordinamento costituzionale, rappresentando opposte tendenze in continuo rimescolamento»[129].

2.5. … e residue precomprensioni in punto di riparto di giurisdizione

Potrebbe obiettarsi che la linea di confine fra giurisdizioni così tracciata (avuto riguardo alle implicazioni, sulla ‘qualificazione’ degli interessi ‘individuali’, del ‘modo di essere della produzione giuridica di diritto amministrativo’) risulta in parte contraddetta dal dato ‘positivo’ e, in definitiva, assai labile.

Quanto alla prima obiezione, laddove fondata sul riscontro per cui, anche a fronte di disposizioni che regolano la competenza e/o la procedura, si è concluso di rinvenire interessi legittimi, può agevolmente replicarsi che essa sarebbe frutto di travisamento: posto che prende le mosse da quell’‘inversione di metodo’ che storicamente ha ‘giustificato’ il riparto di giurisdizione mediante una sedicente distinzione fra situazioni giuridiche; laddove a quest’ultime corrispondono (solo) differenti schemi normativi[130]. Prova ne sia che le disposizioni che regolano la competenza e/o la procedura, tendenzialmente improntate ad uno schema ipotetico-casuistico, sono la risultante di una vicenda storica di progressivo depauperamento di spazi che furono di pertinenza di norme d’azione (dell’ordinamento amministrativo) eppertanto, della discrezionalità amministrativa, cristallizzando consolidati criteri di esercizio ed organizzativi, per rispondere a logiche interne agli enti di amministrazione, piuttosto che di garanzia[131]. Ergo, se e nella misura in cui non assolvono indiscutibilmente a (prevalenti) istanze di tutela d’interessi individuali, si dovrebbe concludere che sottendano (ancora) ad interessi legittimi[132]; ed in quest’ottica andrebbe letto il ‘combinato disposto’ dell’art. 7 c.p.a., c. 1 e dell’art. 29 c.p.a. (tenendo presente che quest’ultima disposizione ha ormai ‘metabolizzato’ un ondivago atteggiamento del Legislatore, tra istanze di buon andamento e di garanzia, di cui l’art. 21-octies, L. n. 241/1990, c. 2, rappresenta solo l’ultima – non è detto definitiva – espressione).

Quanto alla seconda obiezione, basti replicare che, ad un discorso di ‘rivisitazione’, quale testé avanzato, non deve necessariamente corrispondere l’esaustività. Sennonché, tale limite va semplicemente accettato (in una logica operazionale di “costi/benefici”) sul presupposto che l’esercizio discrezionale condivide la medesima natura del circolo ermeneutico. Laddove certa connessione, fra situazioni giuridiche e schemi normativi, può (se non altro) giovare all’interprete quale approccio orientativo ‘di massima’.

III

3.1. Collaudo di un ‘approccio’ dogmatico

Alla luce di quel che precede, pare potersi mettere alla prova la bontà di un costrutto dogmatico, sull’identificazione della giurisdizione: che ha ‘corretto’ l’incidenza del concetto di potere riservandogli un ruolo più contenuto; sussumendola alla natura della situazione giuridica azionata[133].

Quanto al Giudice ordinario, la giurisdizione sarebbe ravvisabile ogniqualvolta:

al cospetto di una condotta vincolata dell’Amministrazione pubblica id est, non riconducibile all’esercizio (potere) discrezionale (o non più tale[134]), in considerazione della dedotta inosservanza di ‘norme di relazione’ (rectius, rispondenti allo schema ipotetico-casuistico) da parte della prima;

la domanda giudiziale si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo; ciò, «anche qualora sia dedotta l’illegittimità di provvedimenti amministrativi … dei quali è eventualmente possibile la disapplicazione da parte del giudice, chiamato a statuire sull’esistenza delle condizioni richieste dalla legge» perché quelli vengano adottati[135].

Mentre, la giurisdizione del Giudice amministrativo andrebbe così ravvisata. Quanto all’incidenza del concetto di potere:

non nel senso che quello amministrativo sia il giudice del ‘pubblico potere’;

bensì onde escludere, dal sindacato di quel giudice speciale, un generico coinvolgimento del pubblico interesse nella controversia o la mera partecipazione di un’Amministrazione pubblica al giudizio;

radicando la giurisdizione (tendenzialmente) in corrispondenza dell’esercizio discrezionale (eppertanto, della formazione dell’interesse pubblico concreto)[136].

Dunque, la giurisdizione amministrativa s’intende ravvisabile quando:

al cospetto di una condotta riconducibile all’esercizio di potere (discrezionale), in considerazione della dedotta inosservanza di ‘norme di azione’ (quantomeno quelle rispondenti allo schema consequenzialista ‘norma-potere-fatto’);

la domanda giudiziale si ricolleghi alla tutela (dell’interesse pubblico, concreto come reso, secondo il punto di vista dell’amministrato, dall’istituto) dell’interesse legittimo.

Così (solo) instaurandosi un rapporto interattivo fra le due ‘coordinate’ fornite dal Legislatore; non ostandovi l’aggiunta delle questioni d’incompetenza e violazione di legge, in quanto (come anticipato) sviluppo ‘garantista’ di un assetto altrimenti discrezionale.

Fermo restando che il medesimo criterio dovrebbe sovrintendere alla disciplina del ‘riparto’, in caso di mancato esercizio amministrativo: Giudice ordinario, corrispondentemente ad un dovere vincolato (obbligo); Giudice amministrativo, a fronte di un dovere di scelta discrezionale[137].

Sempre sulla scorta del precedente discorso dogmatico, niente esclude la possibilità di alternative alla conservazione (di una giurisdizione amministrativa imperniata sul criterio-nozione) dell’interesse legittimo cui è approdato il presente scritto avvalendosi dell’ausilio metodologico. Se non che, non pare che le opinioni avanzate al riguardo (spintesi sino a neutralizzare quella figura facendola confluire nell’alveo del diritto soggettivo) abbiano condotto a risultati (se non inequivoci, quantomeno) plausibili sul piano concettual-sistematico e soddisfacenti su quello ‘operativo’[138].

Invece, quel che sembra doversi escludere, nella disciplina del ‘riparto’, è innanzitutto di accordare rilievo al generico potere autoritativo, in quanto non solo ‘di scelta’, ma anche ‘costitutivo dell’effetto’[139]; potendosi obiettare che tale tesi sconta, l’indubbio rigore concettuale, sul piano ermeneutico-funzionale e di logica ‘operazionale’ (in termini di costi/benefici). Ciò, per via di un intorbidamento che ne deriverebbe alla questione di ‘riparto’:

nella sua impostazione in sé, come fondata sulla causa petendi, sulla natura della situazione giuridica soggettiva (dal momento che non è dato di comprendere, teoria della norma ‘alla mano’, per quale ragione ad un esercizio vincolato corrispondano interessi legittimi[140]) ed orientata dal principio di ‘unicità’ (che risulterebbe violato sottraendo al Giudice ordinario le controversie corrispondenti ad un esercizio vincolato);

nonché (e corrispondentemente), nella sua appendice della previsione normativa di una giurisdizione esclusiva che perderebbe di autonomo rilievo sistematico (specie a partire dal conferimento al Giudice amministrativo di prerogative generali di piena giurisdizione[141]) per finire mortificata da un (pseudo)criterio d’identificazione per ‘materie’.

A fortiori, sempre per il tramite del generico riferimento al potere autoritativo, non pare condivisibile che si riconosca un ruolo surrogatorio (rispetto al criterio del tipo di situazione giuridica soggettiva) al collegamento (o meno) della fattispecie con un formale provvedimento amministrativo (in quanto tale e non per la sua natura discrezionale); semmai, essendo il criterio della natura della situazione giuridica soggettiva ad assumere un ruolo assorbente al cospetto di atti autoritativi[142].

Ciò, sul piano sistematico, a conferma:

di un rapporto di gerarchizzazione fra i due criteri che, di regola (per via dell’unicità della giurisdizione), dovrebbe determinare una sostanziale neutralizzazione del rilievo di quel collegamento (limitato a legittimare una cognizione incidentale e, a livello decisorio, la disapplicazione in capo al Giudice ordinario);

di un rapporto invece di confinazione, circoscritto ai casi di esercizio discrezionale cui si correla il criterio della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo.

Dunque, una soluzione che storicamente affonda la propria giustificazione in ragioni metagiuridiche: sol considerato che, in origine, la stessa insindacabilità, da parte del Giudice ordinario, degli aspetti discrezionali dei provvedimenti incidenti su diritti soggettivi, si spiegava per via, non di una giurisdizione amministrativa, bensì di una sfera di poteri riservati all’Amministrazione.

Allo stesso modo, in termini di confinazione, si spiega l’affidamento, al Giudice amministrativo:

di questioni d’incompetenza e violazione di legge, in quanto sviluppo ‘garantista’ di un assetto altrimenti discrezionale in origine eppertanto, giustificato secondo ‘concentrazione-specializzazione’;

altresì, delle controversie derivanti da azioni di annullamento ed avverso il silenzio della pubblica Amministrazione (accertamento dell’obbligo di provvedere e condanna al rilascio del provvedimento richiesto), quando si tratti di attività vincolata[143].

Sempre in termini di (progressiva) confinazione si spiegano:

l’affidamento, al Giudice amministrativo, di una porzione di giurisdizione in via esclusiva; nonché, al di fuori di tale ambito, della cognizione incidentale delle questioni pregiudiziali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale;

la sottrazione al Giudice amministrativo, con correlata riserva all’Autorità giudiziaria ordinaria, delle questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso.

D’altronde, solo aderendo alla perorata prospettazione, si è in grado di porre rimedio alla frizione generatasi fra l’art. 2, L. n. 2248/1865, all. ‘E’ e l’art. 7 c.p.a., dal momento che, quanto alla devoluzione delle controversie: l’uno, spinge a favore del Giudice ordinario pur al cospetto di provvedimenti amministrativi; l’altro, invece, verso il Giudice amministrativo quando quelle riguardino provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio del potere amministrativo. Laddove, l’accessibilità (al cittadino ed all’operatore giuridico) del criterio di ‘riparto’ è adeguatamente garantita per il solo fatto che il riferimento della disciplina più risalente riguarda i provvedimenti vincolati, mentre quello della disciplina più recente attiene alle determinazioni discrezionali. Il che si ripercuote in punto di poteri di cognizione: al giudice ordinario (oramai) non negandosi la conoscenza della causa dell’atto lesivo del diritto soggettivo, purché quello sia vincolato.

Ciò, trova conferma anche laddove la questione di giurisdizione si ponga in seno a controversie introdotte dal privato a fini risarcitori, nel senso che si distingue (sia pur senza particolare rigore dogmatico) a seconda che il danno consegua: all’esercizio (ancorché omesso) di un potere discrezionale, ‘ai sensi dell’art. 7 cod. proc. amm.’, così colpendo un interesse legittimo; altrimenti, a comportamenti dell’Amministrazione pubblica che non si siano tradotti in ‘scelte od atti autoritativi’, così vulnerando un diritto soggettivo[144]. Salvo osservare che:

quanto ai comportamenti, parrebbe opportuno distinguere fra quelli (meramente) ‘materiali’ o ‘sine titulo’, e quelli ‘amministrativi’ (es., scorretta gestione del procedimento, ritardo nella definizione del medesimo, cattivo o mancato esercizio del potere di vigilanza)[145];

onde scongiurare il rischio d’introdurre, per questa via, un criterio ulteriore (nullità anziché vizio sotteso all’annullamento), sarebbe preferibile riferirsi al parametro dell’esercizio discrezionale piuttosto che a quello del (generico) potere (della sua manifestazione);

correlativamente, sulla scorta del correttivo adottato nel presente studio, in caso di lesione determinata da un atto autoritativo vincolato, la giurisdizione dovrebbe restare in capo al Giudice ordinario, eccezion fatta per le ipotesi di giurisdizione esclusiva.

Persino quando ci s’imbatta in una situazione giuridica soggettiva che, come nel caso dell’‘affidamento incolpevole’ del privato, esula dal binomio ‘diritto – interesse legittimo’ in senso stretto, pare improprio (non pertinente) l’assumere a termine di riferimento, onde giustificare la giurisdizione del Giudice ordinario, l’assenza di un collegamento fra il comportamento pregiudizievole dell’Amministrazione pubblica (tenuta all’osservanza dei principi di correttezza e buona fede, perizia, prudenza, diligenza) e l’esercizio del potere autoritativo[146]. Ciò, giacché, al cospetto di un provvedimento iniziale, ancorché illegittimo, favorevole (come tale, non impugnato), ma legittimamente annullato d’ufficio, è opinabile concludere che il danno non derivi (eziologicamente) dal provvedimento illegittimo. A tal punto, però, quand’anche si convenga che il provvedimento illegittimo, una volta annullato, verrebbe convertito in comportamento, pare risolversi in un espediente l’argomento opposto secondo il quale dovrebbe distinguersi a seconda che il comportamento stesso assuma o meno connotati amministrativi: in quanto, riesumando il medesimo criterio per cui sarebbe determinante il rapporto diretto della situazione di affidamento con il potere (facendo così rientrare dalla finestra la tesi che si è cacciata dalla porta), patisce dei medesimi limiti di quello.

Per cui, secondo l’ottica avanzata nel presente studio, la circostanza rilevante pare che quella situazione sia riconducibile ad una norma rispondente allo schema ipotetico-casuistico, sì da renderla più vicina al diritto soggettivo che non all’interesse legittimo; a quel punto, finendo coll’operare il principio di unicità della giurisdizione. Laddove, nel caso in cui l’affidamento faccia capo ad una norma rispondente allo schema consequenzialista, cui si ricollega un esercizio discrezionale, la tutela del medesimo non potrà che spettare al Giudice amministrativo: per ciò solo, in quanto stavolta quella situazione soggettiva sarà più prossima all’interesse legittimo; senza bisogno di riferirsi al collegamento né con un (generico) provvedimento (favorevole), né con comportamenti amministrativi riconducibili (anche mediatamente) al potere amministrativo (genericamente inteso)[147]; altresì, senza bisogno di ‘scomodare’ previsioni legislative di giurisdizione esclusiva (che, anzi, per via della ‘concentrazione’ delle questioni, eludono il problema)[148].

Il contributo dogmatico, quale esteso al ‘filtro’ del rapporto fra condizioni dell’azione e questioni di merito, torna altresì utile nel superare la tesi giurisprudenziale secondo cui l’oggetto della domanda andrebbe colto dal Giudice per come formulato (‘prospettato’) dalla parte (segn., in termini di richiesta, ‘in via diretta’ o meno, di annullamento di un atto amministrativo); dal momento che la teorica del ‘circolo ermeneutico’:

come implica, da parte dell’interessato, una strutturazione della domanda mai astratta;

così, concede pari sostegno scientifico a quell’apporto valutativo del giudice (in quanto indissociabile dal profilo di merito anche quando emerga una questione di giurisdizione) che la tesi avversata renderebbe sterile[149].

Si è già accennato del superamento della tesi interpretativa secondo la quale il sindacato dell’Autorità giudiziaria può cadere solamente sull’‘effetto’ dell’atto emesso dalla pubblica Amministrazione, e non su quest’ultimo in sé stesso. Anche stavolta il contributo dogmatico può risultare significativo: dal momento che la teorica del ‘circolo ermeneutico’ contribuisce a sostenere epistemologicamente l’argomento addotto nella circostanza, per cui il Giudice ordinario non può conoscere, delle conseguenze giuridiche derivanti dalla lesione dell’interesse protetto come diritto soggettivo, se gli viene precluso d’indagare e decidere sulla legittimità dell’atto amministrativo che si vuole causa del pregiudizio stesso.

Infine, alla luce delle riportate puntualizzazioni, si può reimpostare un discorso sulla ratio generale della ‘giurisdizione amministrativa esclusiva’ nonché, sui rapporti con la giurisdizione del Giudice ordinario[150].

3.2. Implicazioni in punto di disapplicazione degli atti amministrativi

Il discorso testé improntato pare riservare interessanti implicazioni anche in funzione del trattare dei limiti ‘interni’ della giurisdizione del Giudice ordinario.

All’uopo, valga di muovere, ancora una volta, dal principale dato ‘positivo’ di riferimento il cui (specifico) senso (funzionale) è stato così sintetizzato: «il giudice [ordinario] non potrà annullare, revocare, modificare, gli atti amministrativi, dei quali potrà, quindi, solo dichiarare la non conformità alle leggi (art. 4); senonché tale declaratoria, importante ai fini del giudizio sul dovere dell’amministrazione di conformarsi al giudicato, ha in sé un valore limitato: occorre, pertanto, un rimedio, che, pure facendo salvo il principio dell’art. 4, difenda in maniera più efficace di una semplice declaratoria i diritti lesi da un atto amministrativo; l’articolo 5 appresta il rimedio: il potere di non applicare gli atti amministrativi non conformi a legge»[151]. Stavolta, l’‘invarianza’ ultrasecolare del dato ‘positivo’ si vorrebbe spiegata (anche nella prassi pre-esistente) per via del principio secondo il quale il giudice non dovrebbe applicare gli atti amministrativi illegittimi[152].

Prima di cimentarsi nel compito di svolgere le preannunciate considerazioni di approfondimento funzionale, valga di offrire un inquadramento, concettuale e sistematico, della disapplicazione riferita ai Tribunali ordinari[153]. Preliminarmente, deve riferirsi che l’istituto è stato studiato con riguardo a due ipotesi fondamentali, relative: alla competenza principale dell’Autorità giudiziaria; altrimenti, a quella relativa alle questioni pregiudiziali (c.d. competenza occasionale). Soffermandosi su quest’ultima, in astratto sono possibili tre assetti di disciplina processuale per il giudice della controversia principale: che non possa conoscere della pregiudiziale (competenza occasionale, esclusa), dovendo perciò sospendere il giudizio e rimetterla al giudice competente; che ne debba conoscere (competenza necessaria); che possa conoscerne, essendo in sua facoltà di rimetterla al Giudice competente (competenza facoltativa). Avuto riguardo alla pregiudiziale relativa alla conformità dell’atto amministrativo alle leggi, la competenza occasionale del Giudice ordinario è necessaria.

Sviluppando tale affermazione, innanzitutto è dibattuta la giustificazione di quella natura occasionale: in quanto disposta dall’art. 5 cit. (volto a precludere che la questione sulla legittimità si trasformi in una controversia che sottrarrebbe al Giudice ordinario di conoscere della legittimità dell’atto); altrimenti, in quanto scaturente dai principi di cui agli artt. 1 e 2 della medesima L. abol. cont. amm. (segnatamente di quello della giurisdizione unica) ed in assenza di una disposizione che imponga la sospensione del giudizio ordinario e la rimessione delle parti al Giudice amministrativo.

Quanto poi alla questione se il Giudice ordinario debba disapplicare d’ufficio l’atto illegittimo, o non possa procedervi nell’inerzia della parte interessata, pare plausibile la tesi secondo cui: «il criterio per risolvere il problema deve … trarsi dalla considerazione delle norme e degli interessi finali ai quali le norme e gli interessi strumentali … si riconnettono.

Ne deriva che i principi da applicare sono diversi, secondo che gli interessi finali siano leciti o funzionali.

Nel caso in esame, si versa in questa ultima ipotesi. Sembra, infatti, più esatto ritenere che, quando una norma concerne la legittimità di un atto amministrativo, essa si colleghi sempre ad un interesse finale pubblico, precisamente a quel particolare interesse, in riguardo al quale di volta in volta si esplica la potestà dal cui esercizio deriva l’atto amministrativo.

Il carattere funzionale degli interessi, che questo necessariamente coinvolge, ancorché venga ad incidere su rapporti privati, si ripercuote sull’esercizio dell’attività giurisdizionale e rende obbligatorio esercitare il sindacato di cui si tratta, beninteso, alla stregua delle risultanze processuali, secondo i poteri istruttori spettanti all’autorità giudiziaria»[154].

In questi termini, dunque, il Giudice ordinario conosce: in via principale, dei soli atti illeciti, non di ogni atto illegittimo; in via pregiudiziale, non degli atti da cui discenda immediatamente la lesione di un diritto soggettivo, bensì di quelli cui contrasta il comportamento lesivo dell’amministrazione o di un privato.

Stante quanto riferito, come anticipato in Premessa, l’attenzione della dottrina si è concentrata: sui modi di essere della ‘non conformità’ (in senso lato) dell’atto amministrativo rispetto alla legge (a partire dalla controversa distinzione fra inesistenza-nullità ed invalidità); nonché, con riguardo alle correlate implicazioni sui piani effettuale e processuale (inapplicazione – disapplicazione / annullamento)[155]. Quanto a quest’ultimo profilo, la tesi è che: mentre il Giudice ordinario potrebbe disapplicare l’atto illecito solo annullandolo (art. 5); non può procedere all’eliminazione formale dell’efficacia del medesimo (art. 4). «Ne consegue che una disapplicazione in senso proprio, che possiamo denominare diretta, non è ammissibile: il giudice potrà disporre soltanto quei provvedimenti che riparino agli effetti dell’atto illecito, senza che in tal modo l’atto riesca formalmente eliminato e cessi dal produrre i propri effetti dannosi, ai quali si pone rimedio mediante il risarcimento dei danni.

Con questo congegno si raggiunge l’effetto di disapplicare l’atto nel caso concreto nei limiti consentiti dal sistema»[156].

Stavolta si tratta di verificare se un utile apporto strumentale possa provenire dal riferito discorso dogmatico e costituzionalmente orientato.

All’uopo, valga di muovere dal dato comune della distinzione fra ‘sindacato’ e ‘disapplicazione’: il primo, quale giudizio critico e, nello specifico, sulla legittimità dell’atto amministrativo; la seconda, consistente in un comportamento pratico e, nello specifico, in un agire come se un determinato atto amministrativo, riscontrato illegittimo, non esistesse. «La disapplicazione presuppone il sindacato o, con più esattezza, un particolare risultato del giudizio in che il sindacato consiste: si disapplica l’atto (perché riscontrato) illegittimo»[157].

Ciò chiarito, può tornare utile, ad una valorizzazione specialistica del discorso dogmatico, l’impostazione impressa al problema, postosi storicamente, se la figura dell’eccesso di potere possa rientrare fra le ‘non conformità’ alle leggi, degli atti amministrativi e dei regolamenti generali e locali, sì da giustificarne la disapplicazione da parte del Giudice ordinario corrispondentemente ad una competenza occasionale: ossia, quando il vizio di eccesso di potere si ascrivi a quelli (non di illiceità, bensì) di illegittimità. Risalente (quanto autorevole) dottrina si era espressa fermamente in senso positivo, osservando che la ‘chiave di volta’ non poteva che ricercarsi, a fronte dell’eterogeneità delle formule di legge, sul piano teorico: per cui, la circostanza che la L. abol. cont. amm. abbia tolto la possibilità di adire un giudice per la tutela degli interessi ‘non diritti’, non ha escluso che di essi possa conoscere incidenter tantum il Giudice ordinario, quando sia condotto alla sua cognizione quel rapporto giuridico che, per la connessione con l’atto amministrativo illegittimo, renda giuridicamente tutelabile i suddetti interessi[158]. Ma, per quel che maggiormente rileva, ai fini di un discorso evolutivo, si legge, in termini argomentativi, che preliminarmente occorre stabilire se la rispondenza dell’atto amministrativo ai requisiti di legittimità debba essere riscontrata soltanto rispetto alle norme che disciplinano l’atto, o anche con riguardo ai concreti interessi tutelati dalle suddette norme. Nella circostanza, si muove dalla tesi per cui gli atti amministrativi sono dovuti in quanto l’amministrazione è tenuta ad emetterli onde soddisfare l’interesse pubblico[159]; per soffermarsi sul senso annessovi per cui, in ossequio a quel dovere l’atto sarebbe valido, pur se viziato sotto altri aspetti. Di tal fatta, «la legittimità si identificherebbe con la effettiva soddisfazione del dovere, ponendosi per tal modo un’antitesi tra la maniera corrente d’intendere la legittimità in senso formale, riferendola, cioè, alla rispondenza dell’atto rispetto alle norme che lo disciplinano, e la diversa maniera di profilare la legittimità in senso sostanziale, intesa come rispondenza dell’atto soltanto all’interesse concreto, il cui perseguimento forma il contenuto del dovere, in adempimento del quale l’atto viene emanato.

… [Tale] ipotesi contrasterebbe con il principio stabilito nell’art. 5 della legge sul contenzioso, secondo cui la validità dell’atto amministrativo dipende soltanto dalla conformità di quest’ultimo alle leggi …

Questa opinione non deve ingenerare timori di eccessivo formalismo. Non si nega la rilevanza degli interessi concreti, ma si vuol stabilire che tale rilevanza è mediata, attraverso la norma, e non immediata. Di quest’ultima potrà ben parlarsi in tema di giudizio sul merito: in tal caso l’interesse è rilevante anche immediatamente, oltre che mediatamente»[160].

Dunque, l’assunto di base è che «le norme sulla legittimità degli atti giuridici sono poste nell’interesse obiettivo.

… Quando si dice che i limiti posti dalle norme suddette non possono essere che a favore degli interessi soggetti alla potestà, si dà come ovvio ciò che tale non sembra, giacché nulla vieta di considerare che quei limiti siano posti nell’interesse puramente obiettivo della certezza e della sicurezza delle relazioni giuridiche»[161].

Se non che, il discorso di metodo avanzato nel presente scritto ha consentito di far emergere, a fronte di disposizioni normative improntate ad un modello (non ipotetico-casuistico, bensì) consequenzialista: una legittimità sostanziale (in corrispondenza della quale assume connotato legittimante il protocollo di formazione ‘circolare’ dell’interesse pubblico concreto e la discrezionalità non s’identifica col merito): corrispondentemente, un eccesso di potere come vizio che trascende da situazioni sintomatiche ed una considerazione dell’interesse legittimo non meramente strumentale. Ragion per cui:

in un contesto di disciplina processuale, quale quello domestico, in corrispondenza del quale la separazione e l’equilibrio fra i vari poteri dello Stato risulta modulato secondo sensibilità verso l’attuazione delle massime garanzie del cittadino di fronte all’azione governativa, con corrispondente inclinazione verso il potere giudiziario;

alla stregua di un sostegno di rango costituzionale all’istanza di tutela (all’insegna della massimizzazione);

può concludersi nel senso che il sindacato del Giudice ordinario sugli atti amministrativi può spingersi sino (al vizio di eccesso di potere nell’integrità delle sue manifestazioni comprese quelle inerenti) alla discrezionalità amministrativa[162]; tanto più che vi corrisponde un potere (non di annullamento, bensì) di disapplicazione con effetti che non integrano la ‘cosa giudicata’.

Dunque: fermo restando che la competenza occasionale del Giudice ordinario incontra una limitazione quando le questioni che dovrebbero formare oggetto della cognizione incidenter tantum siano attribuite alla competenza esclusiva di altra giurisdizione e sia altresì stabilito l’obbligo del giudice della causa pregiudicata di sospensione e conseguente rimessione al giudice a competente a conoscere in via esclusiva della questione pregiudiziale[163]; nei termini ‘aggiornati’, la cognizione del Giudice ordinario può estendersi all’esercizio (di merito nel senso di) discrezionale. Può invece serbarsi qualche dubbio sul riconoscimento di una pari prerogativa di sindacato (sia pur incidentale) estesa (conformemente al principio di effettività della tutela) alla bontà dei risultati (conseguiti o da raggiungere), derivante da una sempre più accentuata riconduzione della sfera del merito a quella della legittimità quando ciò sia assecondato dalla (multi-)polarità della disciplina di riferimento, complici i maggiori poteri istruttori. Infatti:

– se, l’elemento scriminante dovrebbe essere quello della condizione giuridica sostanziale dell’atto amministrativo illegittimo;

– ne discende la possibilità di distinguere fra:

una “contrarietà all’interesse pubblico non sostenibile” (rectius, invalidità-illegittimità ‘allargata’ in quanto sostanziale) dell’atto amministrativo; fermo restando che, per via dell’”effettività – normale annullabilità” del provvedimento, esso (in linea di massima) dispiega la propria efficacia giuridica, ancorché invalido, finché non venga rimosso[164];

una “contrarietà all’interesse pubblico, sostenibile” dell’atto medesimo, in quanto in posizione mediana fra l’atto (legittimo o, ancorché illegittimo formalmente) conforme all’interesse pubblico (eppertanto, non annullabile) e l’atto (illegittimo, ma altresì) non rispondente all’interesse pubblico (eppertanto, da annullare).

A quel punto: pur concordando sul principio per cui la cognizione del giudice occasionale, in quanto si sostituisce a quello ‘naturale’ della questione, è da escludere che debba essere più ristretta di quella spettante al giudice istituzionalmente competente a giudicare sulla questione in via principale[165]; quando ci s’imbatta in una illegittimità ‘sostenibile’ pare sia più plausibile concludere che solo il giudice ‘speciale’, in quanto competente a conoscere dell’atto in via principale, possa valutare illegittima, oltre alla scelta fondata su inesattezze-inattendibilità od altrimenti irragionevole, anche quella (fra una molteplicità di soluzioni ragionevoli, compiutamente prospettate) che si riveli meno premiante rispetto al problema affrontato dall’amministrazione. Ciò presenta l’ulteriore, duplice pregio:

di concorrere a “sdoganare”, dalle più diffuse precomprensioni concettuali, l’ulteriore categoria della “giurisdizione di merito” del Giudice amministrativo, anche in relazione ai limiti ‘esterni-interni’ dell’Autorità giudiziaria;

di ‘mitigare’ la portata dell’art. 4 L. abol. cont. amm., ove si prevede il dovere dall’Amministrazione di conformarsi al giudicato dei tribunali ordinari per quanto concerne il caso deciso.

[1] E. Cannada Bartoli, La tutela giudiziaria del cittadino verso la p.a., Milano, 1964, p. 153 s.

[2] E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, rispett. pp. 8-9 e 10-11.

[3] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 159.

[4] Per cui, ancora una volta, può rinviarsi a E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 23 s.

[5] R. Sacco, Formante, in Dig. disc. priv. – sez. civ. –, VIII, Torino, 1992, p. 438 s.: agli “insiemi di regole, coesistenti in un unico ordinamento” può darsi il nome di “formanti” (legale, giurisprudenziale, dottrinale, etc.). Questi non sono tra loro equivalenti: mutando nel tempo e rispetto ai diversi ordinamenti, essi innanzitutto danno luogo a fenomeni d’interazione; inoltre si modificano nella loro importanza comparativa (maggiore o minore capacità di ciascuno di essi di influire sugli altri).

[6] Evidentemente, salvo (per il momento) quanto previsto dalla Costituzione in ordine all’individuazione degli organi deputati all’esercizio della funzione giurisdizionale (segn. art. 102 – per cui quest’ultima è esercitata da magistrati ordinari e regolata dalle norme sull’ordinamento giudiziario – ed art. 103 – in forza del quale il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica Amministrazione e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi -), ci si riferisce (con testo riprodotto solo a fini di comodità di lettura, in relazione alle successive connessioni di commento):

all’art. 1 c.p.c. (rubricato ‘Giurisdizione dei giudici ordinari’), per cui «la giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice»; ed all’art. 2907 c.c. (rubricato ‘Attività giurisdizionale’), per cui «alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte»; così sancendo il principio della tendenziale unicità della giurisdizione quando si domandi la tutela di diritti soggettivi;

all’art. 37 c.p.c. (rubricato ‘Difetto di giurisdizione’), per cui (innanzitutto) «il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo o dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado»;

all’art. 386 c.p.c. (rubricato ‘Effetti della decisione sulla giurisdizione’), per cui «la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda …»;

all’art. 7 (rubricato ‘Giurisdizione amministrativa’), D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. Codice del processo amministrativo) che, al comma 1, così esordisce: «sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni».

[7] Rispettivamente: P. Cotza, Sulla giurisdizione amministrativa. Riflessioni dogmatiche intorno al dato ‘positivo’ (‘oggetto’ e ‘riparto’), in Arch. Giur. Filippo Serafini, 2023, 1, p. 103 s.; P. Cotza, Sulla giurisdizione amministrativa esclusiva. Implicazioni di una riflessione intorno ai principali criteri fondanti in punto di ‘riparto’, in Federalismi.it, 2024; P. Cotza, Nuove frontiere della legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo (con particolare riguardo alla materia ambientale), in Rivista giuridica dell’ambiente, 2024.

[8] F.G. Scoca, Scossoni e problemi in tema di giurisdizione del giudice amministrativo, in Il processo, 2021, p. 1 s.

[9] Cfr.: M. Nigro, A. Corasaniti, S. Giacchetti, A. Romano, F. Piga, F.G. Scoca, V. Caianiello, C. Ruperto, G. Verbari, A. Valente, G. Abbamonte, M. Calabrese, G. Barone, L. Moscarini, E. Cardi, F. Mangano, M.A. Sandulli, Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di ripartizione della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, in Foro amm., 1981, I, p. 2140; F. Figorilli, Giurisdizione piena del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione, Torino, 2002.

[10] Con particolare riguardo all’ammissibilità del conferimento, al Giudice ordinario, di una giurisdizione ‘esclusiva’, estesa alla cognizione d’interessi legittimi, R. De Nictolis, Giurisdizione ordinaria e pubblica amministrazione: limiti esterni, in Enc. giur. Treccani (diritto on line), 2013.

[11] E. Picozza, Il difficile equilibrio tra le giurisdizioni, in Il processo, 2021, p. 47 s.

[12] Quanto ai limiti ‘interni’, ossia ai poteri che il Giudice ordinario può esercitare nei confronti dell’Amministrazione, nell’ambito della propria giurisdizione, con precipuo riferimento alla questione se il Legislatore ordinario possa attribuire al Giudice ordinario il potere di annullare gli atti amministrativi (giurisdizione ‘piena’) limitatamente ai casi in cui quest’ultimi siano lesivi di diritti soggettivi, R. De Nictolis, Giurisdizione ordinaria e pubblica amministrazione: limiti interni, in Enc. giur. Treccani (diritto on line), 2013. Cfr. pure: S. Tassone, I poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione, in R. Caranta (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, Bologna, 2011, p. 73 s.; F. Cintioli, Commento all’art. 5, l. n. 2248/1865, all. E, in Morbidelli, G., a cura di, Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2008, p. 1156 s.; F. Carlesi, Commento all’art. 4, l. n. 2248/1965, all. E, in S. Battini, B.G. Mattarella; A.Sandulli e G. Vesperini (a cura di), Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, p. 189 s.; F.  Mattasoglio, Commento all’art. 5, l. n. 2248/1965, all. E, in S. Battini-B.G. Mattarella, A. Sandulli, G. Vesperini (a cura di), Codice ipertestuale della giustizia amministrativa, Torino, 2007, p. 208 s.; C. Buonauro, La disapplicazione degli atti amministrativi tra prassi e dottrina, Napoli, 2004; F. Cintioli, Giurisdizione amministrativa e disapplicazione dell’atto amministrativo, in Dir. amm., 2003, p. 43 s.; P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, IV ed., Milano, 2003; F. Figorilli, Giurisdizione piena del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione, Torino, 2002; L. Verrienti, Commento agli artt. 2, 4, 5, l. n. 2248/1865, all. E, in A. Romano (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2001, p. 8 s.; S. Giacchetti, Disapplicazione? No, grazie, in Dir. proc. amm., 1997, p. 716 s.; S. Cassarino, Problemi della disapplicazione degli atti amministrativi nel giudizio civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, p. 864; A. Romano, La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice civile, in Dir. proc. amm., 1983, p. 22 s.; R. Villata, Disapplicazione dei provvedimenti amministrativi e processo penale, Milano, 1980; E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950.

[13] Cfr. Cass., sez. un., 14 aprile 2011, n. 8487 a proposito dell’art. 152, D.Lgs, 30 giugno 2003, n. 126 in tema di protezione dei dati personali.

[14] Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 2023, n. 4271.

[15] In tal senso, Corte cost., n. 204/2004. Per una dettagliata ricostruzione critica di quella disputa può rinviarsi a R. Villata, Scritti in tema di questioni di giurisdizione. Tra giudice ordinario e giudice amministrativo, Cedam, 2019.

[16] A norma dell’art. 362 c.p.c. Così Cass. civ., sez. un., Ord. 9 gennaio 2024, n. 786.

[17] Beninteso, quanto testé perorato attiene al problema del riparto, rispetto al quale diversamente va impostata e trattata la questione dei motivi inerenti alla giurisdizione che pure investe (ma sotto altro profilo) il relativo concetto. Tale distinguo è ben reso dalla stessa Corte di Cassazione (19 settembre 2020, n. 19598). Cfr. pure le puntualizzazioni recate da: Cass. civ., sez. un., Ord. 6 giugno 2023, n. 15934; Ord. 19 maggio 2023, n. 13791; Ord. 2 maggio 2023, n. 11444; Ord. 5 giugno 2023, n. 15706; Ord. 27 gennaio 2023, n. 2497; Ord. 24 gennaio 2023, n. 2196; Ord. 16 gennaio 2023, n. 1157.

Cfr. pure F.G. Scoca, Scossoni e problemi in tema di giurisdizione del giudice amministrativo, in Il processo, 2021, p. 1 s., segn. pp. 4-5, 9-10 sulla ‘lettura evolutiva’ della nozione di (motivi inerenti alla) giurisdizione (a partire da Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254): avuto riguardo, oltre che al riparto tra gli ordini di giudici (per situazioni soggettive e settori di materia), anche alle forme di tutela impartibili onde assicurare la protezione nonché, ai presupposti del loro esercizio.

[18] Sul punto, F.G. Scoca, op. ult. cit., p. 8 s.

[19] Sul punto, D. Palazzo, I motivi inerenti alla giurisdizione tra diritto europeo ed effettività della tutela, in Dir. proc. amm., 2023, p. 93 s., segn. p. 121.

[20] Palazzo, I motivi inerenti alla giurisdizione tra diritto europeo ed effettività della tutela …, 2023, pp. 123-124.

[21] Sempre Palazzo, I motivi inerenti alla giurisdizione tra diritto europeo ed effettività della tutela …, 2023, pp. 125-126.

[22] Cons. Stato, sez. VII, 7 febbraio 2023, n. 1324.

[23] A. Romano (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 2001, p. 30 s.

[24] Ultimamente il concetto è ribadito da Trib. Lamezia Terme, sez. unica, 1° settembre 2023, n. 691. Riferimenti più espliciti si rinvengono: in Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 2023, n. 4271 (ove si ribadisce che la valutazione della giurisdizione va effettuata “sulla base della domanda”), ma soprattutto in Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 2023, n. 4273 (ove si esclude espressamente che, ai fini del riparto, rilevi la ‘prospettazione delle parti’, dovendosi avere riguardo invece al ‘petitum sostanziale’ in funzione della ‘causa petendi’ ossia dell’intrinseca natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio). Cfr. pure Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2023, n. 3754 («pur ribadendo il principio secondo cui le uniche sentenze sulla giurisdizione vincolanti sono quelle delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tuttavia anche le sentenze di altri giudici sono suscettibili di acquistare autorità di giudicato esterno in tema di giurisdizione, e di spiegare i loro effetti anche al di fuori del processo nel quale siano state adottate, quando la decisione, sia pure implicita, sulla giurisdizione si rapporti, ad essa collegandosi, con la statuizione di merito»).

[25] Così Cass., sez. un., 7 gennaio 1904, in Giur. it., 4, I, col. 234 s.

[26] A. Romano, (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Cedam, 2001, p. 68.

[27] Tale incongruenza si coglie anche fra i commentatori. Così, è dato di leggere:

per un verso, «la contrapposizione nel rapporto tra le norme degli artt. 2 e 3 l. cont. amm. era tra giurisdizione sui diritti soggettivi e riserva di amministrazione, sia pure contenziosa, sugli affari non diritti: invero nell’ambito della norma dell’art. 4, 1° co. l. cont. amm. emerge il risvolto oggettivo della medesima contrapposizione tra sindacato giurisdizionale sugli atti dell’amministrazione e riserva all’amministrazione del potere discrezionale; come sfugge al giudice ordinario la giurisdizione sulle posizioni giuridiche soggettive non qualificabili come diritti soggettivi, così è preclusa al giudice ordinario la conoscenza ovvero la cognizione giudiziale della causa dell’atto lesivo del diritto soggettivo, cioè delle ragioni dell’amministrazione ovvero dell’essenza del potere discrezionale dell’amministrazione, secondo una rigorosa logica di equilibri e di contrappunti» (A. Romano – a cura di -, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Cedam, 2001, p. 69);

per altro verso, «la norma dell’art. 4 l. cont. amm. è intimamente pervasa dalla stessa rigorosa logica dell’intero sistema della l. cont. amm., che attribuisce la giurisdizione definendo il diritto soggettivo in contrappunto al potere giuridico dell’amministrazione; l’art. 4, 1° co. l. cont. amm. definisce il potere così attribuito dalla norma dell’art. 2 l. cont. amm., come potere di cognizione limitato agli effetti dell’atto, garantendo da un lato l’autonomia del potere dell’amministrazione, dall’altro la tutela del soggetto leso dall’atto dell’amministrazione: la definizione del potere di cognizione del giudice è dunque proporzionale all’autonomia del potere dell’amministrazione: la norma recepisce il contrappunto tra potere di cognizione del giudice e tra potere di autonomia dell’amministrazione; autonomia dell’amministrazione, nell’ambito della problematica critica della norma dell’art. 4 l. cont. amm., significa potere dell’amministrazione di decidere, non importa se in modo vincolato o discrezionale, incidendo sulla posizione giuridica del soggetto: dinanzi alla decisione estrinsecantesi nell’atto, la norma impone prioritariamente al giudice di conoscere, cioè di valutare il rapporto di incidenza tra la decisione dell’amministrazione di emanare l’atto e la lesione del diritto soggettivo, senza decidere, cioè senza esercitare alcun potere; solamente sulla base della cognizione giudiziale sugli effetti dell’atto, cioè sulle conseguenze giuridiche derivanti dalla lesione dell’interesse protetto, il giudice potrà esercitare i poteri attribuiti dalla legge, cioè dalla norma dell’art. 4, 2° co. l. cont. amm.» (ivi, p. 70).

[28] Trib. Lamezia Terme, sez. unica, 1° settembre 2023, n. 691. Cfr. pure: Trib. amm. reg. Puglia, Bari, 5 dicembre 2023, n. 1401; Trib. Catanzaro, sez. II, Ord. 27 giugno 2023; Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 2023, n. 4273; tradendo certa equivocità, Cons. Stato, sez. VII, 8 febbraio 2023, n. 1410.

[29] Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2069.

[30] Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 2023, n. 2916. Cfr. pure Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2069.

[31] Trib. amm. reg. Molise, Campobasso, sez. I, 28 marzo 2023, n. 90.

[32] Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7929. Cfr. pure Trib. amm. reg. Campania, Napoli, sez. VI, 24 luglio 2023, n. 444.

[33] Trib. amm. reg. Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2023, n. 9511.

[34] Trib. amm. reg. Campania, Napoli, sez. V, 11 gennaio 2023, n. 242.

[35] Cass. civ., sez. I, Ord. 3 novembre 2023, n. 30517.

[36] Cass. civ., sez. un., Ord. 9 febbraio 2023, n. 4012.

[37] Cass. civ., sez. un., Ord. 18 ottobre 2023, n. 29009. Cfr. pure (benché ne vada stigmatizzato un improprio riferimento alla giurisdizione esclusiva) Trib. amm. reg. Sicilia, Catania, sez. II, 3 febbraio 2023, n. 339 («l’occupazione effettuata in via di mero fatto costituisce mero comportamento materiale non collegato all’esercizio, pur se illegittimo, del relativo potere. Ne consegue che sull’istanza di risarcimento e sulla condanna alla cessazione dell’occupazione senza titolo, è competente a conoscerne il giudice ordinario, non venendo in rilievo posizioni di interesse legittimo, né sussistendo il collegamento concreto con l’esercizio del potere quale condizione all’incardinarsi della giurisdizione esclusiva»).

[38] Cass. civ., sez. un., Ord. 22 settembre 2023, n. 27197.

[39] Salvo l’orientamento complementare, esempi del quale sono riportati nella nt. seg., valga di rinviare a: Cass. civ., sez. un., Ord. 6 febbraio 2023, n. 3486; Cass. civ., sez. un., 30 giugno 2023, n. 18540.

[40] Cfr.: Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2069; Cass. civ., sez. un., Ord. 7 aprile 2023, n. 9528.

[41] Cass. civ., sez. I, Ord. 8 maggio 2023, n. 12019.

[42] Così Trib. Catanzaro, sez. II, Ord. 27 giugno 2023. Cfr. pure Cass. civ., sez. un., Ord. 6 febbraio 2023, n. 3496.

[43] Cfr. ultimi capoversi del par. 3 nonché, P. Cotza, Nuove frontiere della legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2024.

[44] Sia consentito di rinviare a P. Cotza, “Viatico” di metodo per un diritto amministrativo della modernità. Ridislocazione del punto di vista dottrinale sul versante della tecnica (dalla fattispecie estensionale alla discrezionalità pura, passando attraverso il “tipo normativo di problema”), Cagliari, Edizioni Giuridiche, 2023.

[45] Nella duplice accezione per cui: «1) non v’è società (collettività stabile e organizzata) senza potere, come non vi è potere senza società; 2) una società può venir (ed è) descritta come un sistema articolato di poteri, provenienti tanto dall’alto quanto dal basso» (così S. Cotta, Potere e Autorità, in Il problema del potere – atti del seminario di studi dell’Unione giuristi cattolici italiani, raccolti in Quaderni di Iustitia –, Milano, 1986, p. 9 s.).

[46] E. Capaccioli, Manuale di diritto amministrativo, I, Padova, 1983, p. 247. Cfr. pure A. Cerri, Potere e potestà, in Enc. giur., Roma, p. 2.

[47] A. Romano Tassone, A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua legittimazione, in Dir. amm., 2013, p. 559 s.

[48] A. Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive (dir. amm.), in Enc. dir., Agg. II, Milano, 1998, p. 966, segn. p. 980; Id., Note sul concetto di potere giuridico, in Annali Messina, 1981, p. 406; Id., Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, in Dir. soc., 1991, p. 51 s.

  1. Paolantonio, Esistenza dell’interesse legittimo? Rileggendo Franco Ledda, in Dir. amm., 2015, p. 1 s., segn. pp. 43-45.

Per una concezione del potere come “energia” in senso dinamico, G. Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968, p. 266 s. Sul collegamento fra potere giuridico e atto amministrativo, E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, p. 82 s.

[49] Fra i giuspubblicisti che configurano il potere come situazione giuridica, soggettiva: A. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, p. 122 s.; M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, 165 s. F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, p. 92 s. ne parla come di quella situazione giuridica soggettiva (in definitiva, una “forza” – ivi, p. 96 –) che caratterizza la “fattispecie-atto” nel soggetto che pone in essere quest’ultimo (a sua volta, esercizio di un potere giuridico – ivi, p. 104 –). Cfr. pure E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, p. 95 s.

Nell’ambito della ‘dogmatica’ moderna è merito di A. Thon, Rechtsnorm und subjectives Recht, Weimar, 1878, p. 325 l’aver distinto il potere di disporre dal diritto soggettivo (la forza che scaglia il sasso dal sasso medesimo, secondo la sua suggestiva metafora) fino a quel momento confusi nel concetto, generico ed unitario, di “signoria della volontà” (per cui cfr. B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, 2 ed., I, Frankfurt am Main, 1906, p. 856, il quale muove nella direzione di un assorbimento del potere giuridico nel diritto; all’opposto di L. Duguit, L’Etat et le droit objective, Paris, 1901). Per una netta differenziazione del potere (in quanto fattispecie normativa, di un genere di atti – dunque, schema astratto di dinamiche rappresentate da comportamenti umani, liberi – i cui singoli tipi si chiamano negozi, provvedimenti, leggi) rispetto alle situazioni soggettive, giuridiche ed al diritto soggettivo in particolare (che invece attengono alla posizione del soggetto, per cui loro contenuto non è un comportamento ma un rapporto): G. Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubbl., 1949, p. 241, segn.  pp. 238-239, 241-242-243 (ivi, nntt. 7-8), 247, 249, 253. Puntualizza lo stesso G. Guarino, Atti e poteri amministrativi, Milano, 1994, p. 101 (già in Dizionario amministrativo – a cura di G. Guarino -, I, Milano, 1983, p. 101) che le fattispecie normative di comportamenti riconducibili al termine “potere” «presentano la duplice caratteristica: di implicare una scelta tra due o più soluzioni astrattamente possibili e di produrre, oltre ad altri effetti determinati dalla legge anche nel contenuto, effetti il cui contenuto è viceversa determinato dalla legge con riferimento proprio alle scelte, tra le varie possibili, compiute dal soggetto titolare del potere».

Osserva A. Cerri, Potere e potestà…, che: «Il potere astratto …fuori dai casi in cui sia collegato ad un diritto soggettivo…, non è di per sé giuridicamente tutelabile, nel senso che il diritto di azione (art. 24 Cost.), nelle varie forme in cui si esplica (azione di accertamento, di condanna, costitutiva), presuppone una situazione giuridica soggettiva di diritto o di interesse legittimo …e, dunque, una relazione specifica fra soggetto e “bene della vita”» (ivi, p. 3 con ampia rassegna di pronunzie della Consulta; il concetto è ribadito ivi, alla p. 6, ove si conclude che: «Solo ove il potere medesimo costituisca oggetto di un diritto subiettivo o di una “libertà” o di un interesse legittimo sono invocabili tutti gli strumenti in difesa del sistema, secondo i suoi principi, ai sensi dell’art. 24, 1° co., Cost.»).

Avuto riguardo al profilo di esistenza dell’“energia giuridica” piuttosto che a quello di esercizio cui è riconducibile il concetto di funzione cfr., di recente, L. Ferrara, Statica e dinamica nell’interesse legittimo: appunti, in Dir. amm., 2013, p. 465, ora anche in Colloquio sull’interesse legittimo -atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig – Milano, 19 aprile 2013-, Napoli, 2014, p. 105 s., segn. pp. 109-110.

Cfr. pure: E. Garbagnati, Diritto soggettivo e potere giuridico, in Jus, 1942, p. 226; E. Cannada Bartoli, Vanum disputare de potestate: riflessioni sulle origini del diritto amministrativo, in Scritti in onore di M. S. Giannini, III, Milano, 1988, p. 189; G. Azzariti, Dalla discrezionalità al potere (la prima scienza del diritto amministrativo in Italia e le qualificazioni teoriche del potere discrezionale), Padova, 1989; G. Di Gaspare, Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992. Sul concetto di potere amministrativo, più recentemente sono tornati: G. Poli, Potere pubblico, rapporto amministrativo e responsabilità della P.A. L’interesse legittimo ritrovato, Torino, 2012, p. 115 s.; A. Lener, Potere (in generale). b) Diritto privato, in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, p. 610 s., pp. 640-641. Sull’eterogeneità delle tesi in punto d’interesse legittimo, quali orbitanti attorno alla nozione di potere, A. Fioritto, Gli interessi legittimi come fonte dell’ingiustizia amministrativa, in Catelani-Fioritto-Massera, La riforma del processo amministrativo. La fine dell’ingiustizia amministrativa?, Napoli, 2011, p. 35 s., segn. pp. 39-40.

[50] Cfr. nell’ordine: M. Trimarchi, L’inesauribilità del potere amministrativo, Napoli, 2018; A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel processo amministrativo. I. Situazioni giuridiche soggettive e modello procedurale di accertamento (Premesse allo studio del processo amministrativo), Torino, 2020; M. Trimarchi, A proposito di Potere e situazioni soggettive nel processo amministrativo. I. Situazioni giuridiche soggettive e modello procedurale di accertamento (Premesse allo studio del processo amministrativo) di Andrea Carbone, in Dir. proc. amm., 2021, p. 831 s.; A. Carbone, Dialogo sul potere con Michele Trimarchi, in Dir. proc. amm., 2022, p. 244 s.

[51] Romano Tassone, A proposito del potere…, p. 568.

[52] Cotta, Potere e Autorità…, p. 11.

[53] Cotta, Potere e Autorità…, p. 12. Cfr. pure A. Romano Tassone, Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, in Dir. soc., 1991, p. 51.

[54] Romano Tassone, A proposito del potere…, pp. 572-573.

[55] A partire dalle riflessioni di base di E. Casetta, Attività e atto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1957, p. 293 s., segn. pp. 300, 302, 306.

[56] M. Clarich, Il dualismo giurisdizionale nel sistema della giustizia amministrativa: un equilibrio perennemente instabile, in Dir. proc. amm., 2021, p. 215 s., segn. pp. 226-227.

[57] L. Lombardi Vallauri, Introduzione filosofica generale, in L.R. Perfetti (a cura di), Procedura, procedimento, processo, atti del convegno tenutosi ad Urbino, nei giorni 14 e 15 giugno 2007, Milano, Cedam, 2010, p. 3 s.

[58] A. Giuliani, Ordine isonomico e ordine asimmetrico: “nuova retorica” e teoria del processo, in Soc. dir., 1986, p. 81 s.

[59] La locuzione “inversione di metodo” è ripresa da Ph. Heck, Begriffsbildung und Interessenjurisprudenz, Tübingen, 1932, p. 92 s. Cfr. pure L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 50 ove, con terminologia ricavata dalla teoria del giudizio, così si osserva: «In quanto hanno un’origine empirica, essendo derivati per induzione dai concetti legali, i concetti ordinatori formati dalla dogmatica non possono fornire principî di giudizi determinativi – sussuntivi di casi particolari sotto una regola data –, ma soltanto principî di riflessione su casi che devono essere tematizzati ai fini della ricerca della soluzione secundum ius».

[60] Evidentemente, ci si riferisce in primis a quella processuale, nella quale (per l’appunto) si rinvengono sia il diritto che il fatto concreto: dinamicamente (e così) indissociabili, «perché l’accertamento del fatto è già diritto, o se si vuole il fatto è intrinsecamente giuridico» (S. Satta, Giurisdizione ‒ II. Nozioni generali, in Enc. dir., XIX, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 218-219). Ma altrettanto può concludersi con riguardo alla sede procedimentale, “al netto” della circostanza per cui l’operazione logico-decisionale non si traduce in un giudizio (necessariamente nella composizione di una controversia – op. ult. cit., p. 223 –).

[61] Migliorini, Alcune considerazioni, cit., p. 290.

Peraltro, si è progressivamente infoltita la schiera di quanti propendono a favore di uno schema non lineare (sul presupposto di un significato oggettivo, preesistente cui l’interprete avrebbe accesso: M.S. Giannini, L’interpretazione, cit. – di cui dà conto F.G. Scoca, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl. 2000, p. 1045 ss., segn. pp. 1046 e 1053 ss. -; G. Tarello, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale -dir. da Cicu-Messineo-, Milano, Giuffrè, 1980), bensì circolare (respinge recisamente l’assunto di un significato oggettivo, preesistente che l’interprete sarebbe chiamato a svelare, E. Casetta, Riflessioni in tema di discrezionalità amministrativa, attività vincolata e interpretazione, in Dir. econ., 1998, p. 503 ss., segn. p. 505) per via di un “dialogo coerente”, nella consapevolezza del reciproco condizionamento (anche in termini di “precomprensione” del giurista”) fra la disposizione normativa ed il contesto in cui trova applicazione, dal quale non può artificiosamente dissociarsi (Galetta, Violazione, cit., p. 95). All’uopo, per i relativi riferimenti, sia consentito di rinviare a P. Cotza, Potere autoritativo e modelli consensuali nel diritto dell’amministrazione pubblica (contributo metodologico), Napoli, 2007, Jovene, par. 1.6. Sulla difficoltà ad operare una separazione fra valutazioni dell’interesse pubblico e completamento od integrazione della norma da applicare: M. Lipari, I principi generali dell’istruttoria nel processo amministrativo dopo la legge 205/2000 (le trasformazioni del giudizio e gli indirizzi della giurisprudenza), in Dir. proc. amm. 2003, p. 55 ss., segn. p. 106 ss.; nonché P.M. Vipiana, Gli atti amministrativi, cit., p. 293 ss.).

Attualmente il problema ermeneutico non è più inteso solo come di analisi delle condizioni di validità dei processi conoscitivi delle “scienze dello spirito”, e l’ermeneutica non si definisce più soltanto come arte dell’interpretazione, complesso di regole tecniche che guidano alla comprensione di espressioni di vita fissate nella scrittura. Essa si spinge oltre, per “scoprire le condizioni propriamente ontologiche del comprendere”: prioritaria non è più la domanda “come si conosce”, quali sono le regole metodologiche del sapere ermeneutico, ma la domanda (più radicale) “quali sono le condizioni (a priori) di possibilità della comprensione”. Alla filosofia ermeneutica ed all’ermeneutica generale, spintesi al di là dell’obiettivo di costituirsi in sapere scientifico, si devono: tanto la scoperta che le condizioni ontologiche del comprendere non sono tutte riconducibili nell’ambito di un “procedimento” o di un metodo, quanto la ritrascrizione del circolo ermeneutico (non più fra “parti” e “tutto”, bensì) tra la “precomprensione” (anticipazione precognitiva) che l’interprete già possiede del senso della “cosa” (nella circostanza, il testo normativo) e quest’ultima. All’uopo, può rinviarsi, rispettivamente, a: M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it. Torino, 1969; nonché F. Schleiermacher, Etica ed ermeneutica, tr. it. Napoli, 1985 e H.G. Gadamer, Verità e metodo, tr. it. Milano, 1988 – sul cui pensiero si sofferma G. Zaccaria, Ermeneutica e giurisprudenza -i fondamenti filosofici nella teoria di Hans Georg Gadamer-, Milano, 1984 -. Occorre prendere atto che la conoscenza, intesa come evento, quale ne sia la forma (spiegazione causale per le scienze naturali, comprensione -a seguito d’interpretazione- per le scienze dell’uomo), è preceduta e determinata costantemente dalle “progettazioni di senso” discendenti, se non dalla “soggettività”, dalla partecipazione dell’individuo ad un “senso comune” fatto di giudizi e concetti che, rappresentandone il suo “habitat sociale”, profondamente lo influenzano. La sua produttività ermeneutica è tanto meglio garantita quanto più l’interprete è riuscito a spezzare “il cerchio delle proprie private presupposizioni”. L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, 1996, p. 19: «Nella situazione ermeneutica propria del giurista positivo gli elementi non giuridici o pregiuridici (ideologici in senso ampio) della precomprensione sono filtrati dalla tradizione dogmatica del ceto professionale cui appartiene, dal deposito di nozioni teoriche, di orientamenti sistematici, di forme linguistiche tecnicizzate, di massime di applicazione accumulato dalla riflessione dottrinale e dall’esperienza giurisprudenziale precedenti, cioè da elementi (concettuali e linguistici) specificamente giuridici, che condizionano l’approccio ai testi normativi e il modo di intenderne il senso». L’“analitica esistenziale”, riconoscendo a tali progettazioni un “carattere ontologico originario della vita umana stessa” (Gadamer, Verità…, pp. 265 e 307), le compendia con il sintagma “comprensione originaria” o “precomprensione”, a significare che su tale elemento costitutivo dell’esistenza umana (modo di essere dell’“esserci”), avente appunto la struttura del progetto, si fonda (esistenzialmente), al pari dello “spiegare”, la comprensione “come risultato dell’interpretazione” (Mengoni, Ermeneutica…, p. 3: «Corrispondentemente l’ermeneutica nel senso di “metodologia delle scienze storiche dello spirito” è un modo derivato dell’ermeneutica nel senso primario (ontologico) di “fenomenologia dell’Esserci”. Questo significato “primario” è sotteso all’affermazione che “l’interpretazione si fonda esistenzialmente sulla comprensione e non nasce quindi questa da quella”»). In base alla propria “precomprensione”, l’interprete interroga la “cosa”; ma solo se la domanda è adeguata la “cosa si lascia comprendere” (cioè, fornisce una risposta appropriata). Altrimenti la domanda torna all’interprete senza una risposta positiva, purtuttavia accrescendo la “precomprensione”, di modo che il primo sarà in grado di rivolgere alla “cosa” una domanda più adeguata. L’interpretazione, pertanto, consiste in (ed opera mediante) un circolo di domande e risposte sempre più adeguate, che, producendo un dialogo coerente con la “cosa”, ne consente, in ultimo, una comprensione autentica.

[62] Sia consentito di rinviare a P. Cotza, Dell’interesse pubblico e di altri “incidenti” nell’annullamento d’ufficio e nella convalida delle fattispecie precettive di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 2012.

[63] Cfr.: L. Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, Giuffrè, 1996, pp. 10-12, 19-20; Gadamer, Verità, cit., pp. 350 ss., 360 ss.; T. Ascarelli, Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, in Riv. dir. proc., 1957, nonché -con aggiunte- in Problemi giuridici, I, Milano, Giuffrè, 1959, p. 140 ss. Cfr. pure: G. Zaccaria, Indirizzi della filosofia e della teoria giuridica contemporanea: una mappa, in L’arte dell’interpretazione. Saggi sull’ermeneutica giuridica contemporanea, Padova, Cedam, 1990, pp. 19 e 164, ove l’a. aderisce alla teoria esposta da J. Esser in Vorverständnis und Methodenwahl in der Rechtsfindung. Rationalitätsgrundlagen richterlicher Entscheidungspraxis, Frankfurt a.M., 1972 (tr. it., Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazione del diritto: fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice, a cura di Patti-Zaccaria, Napoli, Esi, 1983); F. Levi, L’attività conoscitiva, cit., p. 201 ss.

[64] E. Cannada Bartoli, Decisione amministrativa, in Nov.mo Dig. it., V, Torino, Utet, 1960, p. 268.

[65] Cfr.: B. Croce, Filosofia della pratica: economica ed etica, Bari, Laterza, 1923, segn. pp. 27-28, 328; ma cfr. pure, Id., La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1965. Per la rilevanza del pensiero crociano sui problemi di storia e scienza del diritto, Cfr. pure: P. Calamandrei, Il giudice e lo storico, ora in Studi sul processo civile, V, Padova, Cedam, 1947, p. 41; Luigi (Gino) Gorla, L’interpretazione del diritto, Milano, Giuffrè, 1941, ove coerentemente se ne fa seguire la rivalutazione dei casi concreti e l’approfondimento (filologico potrebbe definirsi) dei testi legislativi, giurisprudenziali e dottrinali; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano, Giuffrè, 1970, p. 41.

[66] In linea, con riguardo a controversie inerenti alla concessione e revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche, Trib. amm. reg. Puglia, Bari, sez. II, 2 settembre 2023, n. 1095 secondo cui “sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge”, “mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione”.

[67] Tale sintagma si rinviene, ex multis, in Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7929.

[68] A. Cioffi, Il problema dell’interpretazione nel diritto amministrativo, in Dir. amm., 2020, pp. 127-128.

[69] A. Romeo, Dalla forma al risultato: profili dogmatici ed evolutivi della decisione amministrativa, in Dir. amm., 2018, pp. 551 s., 554-555.

[70] Santi Romano, L’interpretazione delle leggi di diritto pubblico, ora in Scritti minori, Milano, 1950, I, pp. 90 s., 96.

[71] E. Cannada Bartoli, Interesse (diritto amministrativo), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 1 s.

[72] E. Guicciardi, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa (prolusione al corso di diritto amministrativo pronunciata il 14 dicembre 1936), in Arch. dir. pubbl., 1937, p. 51 s. (ora in Id., Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, p. 10).

[73] A. Gleijeses, Profili sostanziali del processo amministrativo, Napoli, 1962, pp. 27-29, segn. p. 32 s., parla dell’interesse legittimo come (di una situazione soggettiva) coincidente con quello pubblico.

[74] F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d. (1910), p. 3.

[75] S. Cassarino, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, pp. 251-255.

Quanto alla dubbia accettabilità della distinzione fra norme di azione e di relazione sul piano della teoria generale: M.S. Giannini e A. Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, p. 229 s., segn. p. 282.

[76] A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962, I, pp. 6-7 s.

[77] M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, p. 76, pp. 80-81.

[78] A. Orsi Battaglini e C. Marzuoli, La Cassazione sul risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione: trasfigurazione e morte dell’interesse legittimo, in Dir. pubbl., 1999, p. 487 s., segn. pp. 496-497. Cfr. pure: R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, in Foro it., 1999, I, p. 3201 s., segn. p. 3212 («anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo l’interesse effettivo che l’ordinamento intende proteggere è pur sempre l’interesse ad un bene della vita»); M. Proto, La responsabilità dell’amministrazione per lesione di (meri) interessi legittimi: aspettando la Consulta, nota a Corte cost., ord. 8 maggio 1998 n. 165, in Resp. civ., 1998, p. 966 s.

[79] Così, sia pur nei confronti di atti di diritto privato, C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982, pp. 160-164. Sia consentito di rinviare, al riguardo, a P. Cotza, Potere autoritativo e modelli consensuali nel diritto dell’amministrazione pubblica (contributo metodologico), Napoli, 2007, par. 3.9.3.

[80] Cfr., al riguardo, A. Orsi Battaglini, “L’astratta e infeconda idea”. Disavventure dell’individuo nella cultura giuspubblicistica (a proposito di tre libri di storia del pensiero giuridico), in La necessaria discontinuità. Immagini del diritto pubblico (AA.VV.), Bologna, 1990, p. 11 s., segn. p. 73.

[81] E. Cannada Bartoli, Interesse (diritto amministrativo), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 18.

[82] E. Cannada Bartoli, Interesse…, pp. 9 e 19.

[83] L. Migliorini, Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1968, p. 274 s., segn. p. 290.

[84] L. Benvenuti, Lingua e potere nel diritto dell’amministrazione pubblica, Milano, 2017, pp. 122 s., 289. In tal senso, già A. Piras, Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, p. 65, segn. p. 77.

[85] M.S. Giannini, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1950, p. 97. Cfr. pure A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, Giuffrè, 1962, II, p. 320, nt. 111.

[86] F. Levi, L’attività conoscitiva, cit., p. 220 ss., segn. pp. 226-227.

[87] A. Piras, Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., XIII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 65 ss., segn. p. 77.

[88] F. Levi, L’attività conoscitiva, cit., pp. 227-228. Sul ruolo della scienza nel far convergere “legge” ed “azione”, nonché sull’apporto del “razionalismo critico” in ordine al problema della “calcolabilità” delle conseguenze, sia consentito di rinviare a P. Cotza, Potere autoritativo, cit., parr. 1.2.1. e 1.4. (ivi, testo corrispondente a nt. 188).

[89] M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit., p. 122; R. Marrama, Rinuncia all’impugnazione ed acquiescienza al provvedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1987, p. 84 ss.

[90] F.G. Scoca, Interessi protetti -dir. amm.-, in Enc. giur., XIX, Roma, Treccani, 1990, p. 11.

[91] F.G. Scoca, Attualità dell’interesse legittimo?, in Dir. proc. amm., 2011, pp. 399-400. Sul procedimento quale luogo per eccellenza della dinamica, G. Pastori, Il procedimento amministrativo tra vincoli formali e regole sostanziali, in U. Allegretti, A. Orsi Battaglini e D. Sorace (a cura di), Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini, Maggioli, 1987, p. 805 ss.

[92] Ex pluribus L. Iannotta, Atti non autoritativi, cit., pp. 57, 84-86 e 90.

Cfr. pure G. Correale, Struttura del processo amministrativo e situazione fatta valere, Caserta, Russo, 1978.

[93] G. Abbamonte, Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea, in Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea, atti del XXXVIII convegno di studi di scienza dell’amministrazione (Varenna 1992), Milano, Giuffrè, 1994, p. 137 ss., segn. pp. 137-138.

[94] Da tempo, si è espresso in questi termini Sorace, Notazioni, cit., p. 3914. Cfr. pure: A. Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive (dir. amm.), cit., p. 978; M. Nigro, Ma che cos’è questo interesse legittimo?, cit., segn. p. 473.

[95] G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, I, Milano, Giuffrè, 1958, p. 190.

[96] Così sempre Clarich, Il dualismo giurisdizionale…, p. 227 s.

[97] Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive…, p. 984 s.

[98] Significativamente L. Iannotta, Atti non autoritativi ed interessi legittimi. Il sindacato sul comportamento della p.A. nella giurisdizione sul pubblico impiego, Napoli, 1984, pp. 262-263.

[99] S. Cassarino, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, pp. 4-6, 11 s., 39 s., 46, 100, 102, 117 e 272.

[100] S. Palazzolo, Rapporto giuridico, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, p. 289 s., segn. pp. 294-295.

[101] Cassarino, Le situazioni giuridiche…, pp. 218 e 18 s.

[102] Cassarino, Le situazioni giuridiche…, pp. 39 s., 297.

[103] Russo, Diritto soggettivo…, p. 5.

  1. Ross, Diritto e giustizia, Torino, 1958, prima del capitolo dedicato a “Il concetto di diritto soggettivo” (ivi, p. 160 s.), dimostra il primato logico e concettuale del dovere sul diritto (ivi, p. 153 s.), costruendo le modalità giuridiche (dunque, classificando le situazioni soggettive) sulla base (in funzione) dei doveri (ivi, p. 149 s.). Nicolò, Istituzioni…, p. 19 s., accentua, quale base del diritto soggettivo, la modalità del dovere (in senso stretto) di astensione o del dovere di cooperazione al soddisfacimento dell’interesse protetto. Nel senso del derivare il diritto soggettivo dall’obbligo e quest’ultimo, a sua volta, dal diritto oggettivo, già R. Alessi, La crisi attuale…, pp. 312, 319 ove l’a. ne trae le implicazioni sul piano del rapporto giuridico: come corrente «da un lato, tra norma giuridica e soggetto obbligato (dando luogo al vincolo), e dall’altro tra norma e titolare del diritto soggettivo (dando luogo alla garanzia)». Sul diritto soggettivo come concetto “derivato” (potere di pretendere l’adempimento dell’obbligo): H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, Torino, 1966, p. 157; A. Peczenik, On Law and Reason, Dordrecht-Boston-London, 1989, p. 70 s.

[104] Cfr. le illuminanti (sia pur risalenti) connessioni di S. Cassarino, Le situazioni giuridiche …, pp. 4-6, 11 s., 39 s., 46, 100, 102, 117 e 272; con Santi Romano, Poteri, potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983, p. 172 s. nonché, ivi, del medesimo a., Doveri, obblighi, p. 91 s.

[105] L. Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione…, Introduzione, p. VII s. Cfr. pure, ivi, pp. 105, 132 e 175.

[106] Per cui può rinviarsi a E. Boscolo, I diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della legge 241/90 e altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001, pp. 8-11 (e relative nntt.), segn. pp. 218-219. Cfr. pure, op. ult. cit., pp. 365 e 373.

[107] Così L. Iannotta, Atti non autoritativi…, pp. 95, 101, 102-105, 182, 7, 26, 28, 219 s. e segn. 238.

[108] A. Romano, Conclusioni, in Colloquio sull’interesse legittimo – atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig, svoltosi in Milano, il 19 aprile 2013 –, Napoli, 2014, p. 171 s., segn. p. 193. Che, in coincidenza dei vincoli (obblighi) della p.a., al privato spettino diritti soggettivi, C. Cudia, Appunti sulla discrezionalità amministrativa (nello Stato di diritto), in Colloquio sull’interesse legittimo – atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig – Milano, 19 aprile 2013 –, Napoli, 2014, p. 131 s., segn. p. 145.

[109] Come già rilevato da: G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, I, Milano, Giuffrè, 1958, p. 189; P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1976, p. 49 ss. L’esempio tradizionalmente addotto è quello della situazione riconducibile al vincitore di concorso pubblico: qualificata come d’interesse legittimo, rispetto al potere di assunzione, quantunque quest’ultimo risulti del tutto vincolato (eccezion fatta per il profilo dell’an). Cfr. pure: Stella Richter, L’aspettativa, cit., p. 36 e G. Bergonzini, L’attività del privato nel procedimento amministrativo, Padova, Cedam, 1975, p. 108.

[110] L’ordinamento consta di una molteplicità di rationes (i principi) in grado di ridurre la complessità del contesto di riferimento mediante la predisposizione di soluzioni (ciascuna delle quali potenzialmente incondizionata) ai problemi di quest’ultimo. La co-esistenza di quella molteplicità, entro il medesimo ordinamento, esige meccanismi di “confinazione” (una differenziazione, dell’ambito problematico corrispondente a ciascun principio, in sotto-ambiti problematici, distinti, cui riferire principi diversi) e/o “gerarchizzazione” (ulteriori differenziazioni funzionali, per effetto delle quali si stabilisce quando ‒ entro il medesimo ambito problematico, o i sotto-ambiti nei quali il primo è stato scomposto ‒ un principio “vale” o deve arretrare dinnanzi ad altro). «Confinazione e gerarchizzazione avvengono, peraltro, secondo il “senso” del sistema, sono esito del suo processo di differenziazione funzionale, che si esplica sul piano longitudinale e verticale. Sicché un ordinamento costituisce un sistema di principi (= rationes) costruito secondo un “senso”, è la sistemazione dei principi secondo una programmazione. A questa stregua, ogni norma di un ordinamento è espressione di un principio. Ma nella norma il principio, di per sé incondizionato, si presenta, invece, come condizionato» (M. Barcellona, Diritto, sistema, senso, Torino, 1996, p. 324). Lo strumento organizzativo della complementarizzazione «è costituito, in ogni caso, dalla fattispecie, e cioè dalla determinazione delle condizioni di applicazione di un principio regolativo, la quale vale, al tempo stesso, a determinarne l’ambito di applicazione. Le relazioni di competenza, specializzazione, gerarchizzazione, ecc., secondo le quali si organizza la complementarità di principi altrimenti concorrenti/antinomici, sono istituite determinando ambiti distinti per ciascuno di essi, ossia riconducendo ciascuno di essi a fattispecie diverse e tra loro alternative.

La fattispecie, perciò, è, ad un tempo, la tecnica specifica di organizzazione del sistema giuridico ed il criterio di smistamento delle complessità ambientali verso principi regolativi distinti, e cioè il medium tra sistema e [contesto]» (ivi, p. 175). «Le complessità marginali, pretermesse o sopravvenute provenienti dal [contesto], proprio in quanto non incontrano fattispecie atte a selezionarle adeguatamente, trovano difficoltà ad essere smistate verso i principi che potrebbero congruamente regolarle. Esse, perciò, producono quella che si potrebbe chiamare una crisi organizzativa, la quale richiede, per essere superata, la produzione di ulteriore organizzazione. E poiché il sistema giuridico si dà organizzazione attraverso la tecnica della fattispecie, il superamento della crisi organizzativa consiste, essenzialmente, in rideterminazioni delle fattispecie, tali da riassorbire il “caso organizzazionale”, per via del quale la crisi si è manifestata. Ma, rideterminando le fattispecie, si riassettano, al tempo stesso, le complementarizzazioni dei principi regolativi già istituite, nelle quali consiste il sistema giuridico» (ivi, pp. 175-176).

Quanto ai “concetti-valvola”, si tratta di “formule problematiche” (es., clausola rebus sic stantibus, fiducia, rischio, pericolo, necessità, caso fortuito, etc.) atte a regolare, nei rapporti giuridici, la responsabilità per il futuro.

[111] Convenendo su di un elucidato ‘senso sostanziale’ della discrezionalità del comportamento del soggetto agente, Bigliazzi Geri, Contributo, cit., p. 69 conclude nel senso che «essa vale a caratterizzare l’essenza tipica dell’interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva attiva (e cioè di vantaggio) inattiva». Cfr. pure, ivi, pp. 79-80.

Sull’interesse legittimo quale «riflesso di una certa disciplina dell’attività amministrativa, della configurazione del potere della p.a. come discrezionalità e non come libertà», Cudia, Appunti, cit., p. 133. Cfr. pure (fatte salve le specifiche accezioni connesse al termine “potere”): D. Sorace, Gli “interessi di servizio pubblico” tra obblighi e poteri delle amministrazioni, in Foro it., 1988, V, p. 205; G. Sigismondi, Interesse legittimo e discrezionalità amministrativa, in Colloquio sull’interesse legittimo -atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig – Milano, 19 aprile 2013-, Napoli, Jovene, 2014, p. 147 ss. Per un accostamento (di teoria generale) dell’interesse legittimo alla discrezionalità (come tale coinvolgente il diritto privato), L. Iannotta, Atti non autoritativi, cit., p. 258.

[112] Prendendo spunto dai cc.dd. “diritti sociali” da soddisfarsi mediante le prestazioni dei “pubblici servizi” Sorace, Notazioni, cit., pp. 3917-3918.

[113] Resta inteso, per quanto anticipato, che può tornar utile, onde lumeggiare in ordine ai caratteri dell’interesse legittimo nel campo del diritto amministrativo, anche una disamina delle forme di tutela accordate ad omologhe figure (in termini di pretese ad una completa ed adeguata presa in considerazione dell’interesse al bene in vista del suo possibile soddisfacimento) individuate nell’ambito del diritto privato (per un esperimento di tal fatta, pur coi dovuti aggiornamenti, può rinviarsi a L. Iannotta, Atti non autoritativi…, pp. 104-105 s.).

[114] Per quest’ultimo aspetto può rinviarsi a A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – I. Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, 2000, p. 234 s.

[115] R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, Giuffrè, 2004, p. 13.

Come noto, al contributo di M.S. Giannini si deve sia la distinzione della discrezionalità dalle manifestazioni dell’attività interpretativa (L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica generale dell’interpretazione, Milano, 1939), sia la tesi secondo cui l’attività amministrativa (anche quando si presenti con le fattezze della discrezionalità) resta (sostanzialmente cura d’interessi, ma formalmente e) “fondamentalmente un’attuazione di legge” (Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, pp. 13-14, 22).

[116] F. La Valle, L’interesse legittimo come profilo di ulteriore rilevanza delle libertà e dei diritti, in Riv. trim. Dir. pubbl., 1969; Id., La tutela dinamica del diritto soggettivo secondo le sue potenzialità di trasformazione, in Giur. it., 1969, I, 1, p. 1973 ss.

[117] Cfr.: Santi Romano (La teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in Trattato di diritto amministrativo -a cura di Orlando-, I, Milano, 1900; G. Jellinek (Sistema dei diritti pubblici soggettivi, tr. it. Milano, 1912; E. Casetta, Diritti pubblici subbiettivi, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, pp. 792, 796-797; C.F. von Gerber, Über Öffentliche rechte, Tübingen, 1852 e Id., Grundzüge des deutschen Staatsrechts, Leipzig, 1865; G. Di Gaspare, Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992, p. 55; recentemente B. Spampinato, Interesse legittimo e dintorni, in Dir. amm., 2019, p. 275 s.

[118] A. Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive -dir. amm.-, cit., pp. 980-981; D. Sorace, Notazioni in tema di posizioni giuridiche soggettive e tecniche di tutela nella giustizia amministrativa, in Foro amm., 1988, p. 3914 ss., segn. pp. 3915-3916. Sul tema cfr. pure G. Greco, L’accertamento autonomo, cit., 97; F. Brignola, Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea, in Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea, atti del XXXVIII convegno di studi di scienza dell’amministrazione (Varenna 1992), Milano, Giuffrè, 1994, p. 7 ss., segn. p. 9; E. Casetta, Profili della evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea, atti del XXXVIII convegno di studi di scienza dell’amministrazione (Varenna 1992), Milano, Giuffrè, 1994, pp. 19 ss., segn. p. 28.

[119] A. Romano, Conclusioni, cit., p. 198.

[120] Brignola, Potere discrezionale, cit., p. 8.

[121] A. Cariola, Ragioni e percorsi della giurisdizione amministrativa esclusiva, in Nomos, 2021, par. 5. Sull’illogicità della tecnica di isolamento preventivo dei diritti e degli interessi ai fini del riparto di giurisdizione, sul suo mantenimento da parte del giudice esclusivo e sui relativi ‘fardelli extraprocessuali’, V. Domenichelli, Giurisdizione esclusiva e processo amministrativo, Padova, Cedam, 1988, p. 119.

[122] A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – I. Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, 2000, p. 21. D’altronde, la medesima dottrina riconosce che non vi è alcuna necessità (o residua utilità) di negare la (concettualmente) ‘ontologica’ differenza intercorrente tra le diverse situazioni giuridiche soggettive, dal momento che, a fronte dell’interesse del singolo, si erga un momento di autorità pubblicistico (così A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – II. Contributo alla teoria dell’azione nella giurisdizione esclusiva, Padova, 2001, p. 518 s.).

[123] F.G. Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, p. 54.

[124] A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – II. Contributo alla teoria dell’azione nella giurisdizione esclusiva, Padova, 2001, p. 526 s., ove l’a. ribadisce che i problemi di effettività della tutela non derivano dalla coesistenza di distinte figure soggettive, bensì dall’inadeguatezza dell’azione giurisdizionale che sia prevista dall’ordinamento a tutela degli interessi legittimi: sì da spostare il baricentro, da una tutela del bene della vita indiretta (di annullamento per motivi di legittimità), ad una tutela diretta (riparazione o reintegrazione di un danno ingiustamente causato dall’Amministrazione).

[125] A. Romano, Interesse legittimo e ordinamento amministrativo, in Atti del convegno celebrativo del 150° anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, Milano, Giuffrè, 1983, p. 95 ss., segn. pp. 99-100, 205.

[126] A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – I. Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, 2000, p. 152; Id., Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – II. Contributo alla teoria dell’azione nella giurisdizione esclusiva, Padova, 2001, pp. 384-385.

[127] A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – I. Profili teorici ed evoluzione storica della giurisdizione esclusiva nel contesto del diritto europeo, Padova, 2000, pp. 177-178; Id., Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – II. Contributo alla teoria dell’azione nella giurisdizione esclusiva, Padova, 2001, pp. 4, 9, 19 e (quanto al rapporto fra effettività della tutela e cognizione piena) 39.

[128] Evidentemente ci si riferisce:

all’iniquità dei limiti della tutela giudiziaria a fronte di uno Stato unitario contraddistinto da una crescente estensione ed intensificazione dell’azione amministrativa;

ad un’applicazione riduttiva della Legge del 1865, dal momento che i Tribunali ordinari tesero ad escludere la propria giurisdizione ogniqualvolta fosse stata richiesta la pronuncia a tutela di un diritto sul quale un’autorità amministrativa avesse esercitato un potere comportante la compressione o l’estinzione del diritto medesimo per ragioni di pubblico interesse;

nonché, all’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato (già di per sé garantista dell’immunità dell’Amministrazione dagli influssi politici del Governo), in funzione della sostituzione della disciplina contenuta nell’art. 3 l. cont. amm., quale giudice preposto alla tutela degli interessi non protetti come diritti; sì da rafforzare, con l’una, gli altri.

[129] A. Romano (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Cedam, 2001, p. 14.

[130] In tali connessioni paiono drammaticamente risuonare più nette riflessioni di C. Marzuoli, Diritti e interessi legittimi: due categorie in cerca di identità, in Questione diritto, 2009, p. 34 ss., segn. pp. 47-48, circa la funzione che sarebbe attualmente riconoscibile all’interesse legittimo.

[131] E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova, Cedam, ed. 1942, p. 34 (ed. 1954, p. 37). Di diverso avviso E. Capaccioli, Manuale di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1980, p. 266. Nell’ottica testé prospettata pare doversi “leggere” lo specifico contributo sistematico offerto da M.S. Giannini, Diritto amministrativo, II, Milano, Giuffrè, 1993, p. 82. Tale prospettiva è nitidamente offerta da A. Romano, Conclusioni, in Colloquio sull’interesse legittimo -atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig – Milano, 19 aprile 2013-, Napoli, Jovene, 2014, p. 171 ss., segn. pp. 198-199. Sul punto cfr. pure C. Marzuoli, Diritti e interessi legittimi: due categorie in cerca di identità, in Questione diritto, 2009, 34 ss., segn. pp. 47-48, circa la funzione che sarebbe attualmente riconoscibile all’interesse legittimo. Sia altresì consentito di rinviare a P. Cotza, Sulla giurisdizione amministrativa. Riflessioni intorno ai principali criteri fondanti ed alle implicazioni in punto di riparto, in Arch. Giur. Serafini, p. 103 s., segn. pp. 155-156.

Sulla ‘dequotazione dell’incompetenza’ sia consentito di rinviare a P. Cotza, Il ‘merito amministrativo’ nell’attualità del ‘sistema di giustizia’ (un approccio dogmatico-epistemologico), Cagliari, Edizioni giuridiche, 2025, par. 4.

[132] Tale prospettiva è nitidamente offerta da A. Romano, Conclusioni, in Colloquio sull’interesse legittimo -atti del convegno in memoria di Umberto Pototschnig – Milano, 19 aprile 2013-, Napoli, Jovene, 2014, p. 171 ss., segn. pp. 198-199.

[133] Per un inquadramento generale può ultimamente rinviarsi anche a Trib. amm. reg. Puglia, Bari, sez. II, 2 settembre 2023, n. 1095.

[134] Cass, civ., sez. un., Ord. 6 luglio 2023, n. 19160 («in tema di misure volte a fronteggiare i danni causati da eccezionali calamità atmosferiche, il procedimento amministrativo per l’attribuzione dell’indennità in favore del privato richiedente, con la conseguente nascita del diritto soggettivo, si esaurisce con l’adozione del provvedimento di concessione del beneficio da parte dell’amministrazione incaricata dell’istruttoria, senza che rilevi l’eventuale ratifica o meno da parte dell’ente erogatore del contributo. Pertanto, una volta che l’ente delegato per legge abbia individuato il singolo beneficiario con un formale provvedimento, la controversia promossa dal privato per ottenere la condanna al pagamento del contributo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. In altri termini, fino a quando residua in capo all’Amministrazione un potere discrezionale, la posizione del privato è di interesse legittimo; una volta che l’Amministrazione, invece, abbia assunto la propria decisione, la posizione è di diritto soggettivo»).

[135] Trib. amm. reg. Lombardia, Milano, sez. IV, 8 marzo 2023, n. 599, a proposito di una controversia introdotta da quanti si siano opposti ad un provvedimento amministrativo di rilascio di un immobile di edilizia residenziale pubblica, occupato senza titolo. Cfr. pure Trib. amm. reg. Campania, Napoli, sez. VII, 7 marzo 2023, n. 1467.

[136] Cfr.: G. Guarino, Atti e poteri amministrativi, in Dizionario amministrativo (a cura di G. Guarino), I, Milano, 1983, p. 101 s.; F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 371 s.; O. Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Milano, 1934, p. 166 s.; E. Capaccioli, Disciplina del commercio e problemi del processo amministrativo, in Dir. e proc., Padova, 1978, p. 301 s., segn. p. 310; A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Dir. proc. civ., 1988, p. 3 s.

[137] Cons. Stato, sez. III, 25 maggio 2023, n. 5139. Item, Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2023, n. 4415.

[138] Ex pluribus possono segnalarsi: A. Romano Tassone, Giudice amministrativo e interesse legittimo, in Dir. amm., 2006, p. 273; C. Cudia, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012; G. Mannucci, La tutela dei terzi nel diritto amministrativo, Rimini, 2016; F.G. Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017; P. Cotza, L’‘interesse legittimo’ alla luce di un discorso teoretico-giuridico sul rapporto amministrativo ed il suo processo, Napoli, ESI, 2017; F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo attraverso il filtro dell’interesse a ricorrere: il caso della vicinitas, in Dir. proc. amm., 2017, p. 771 s.; M. Magri, L’interesse legittimo oltre la teoria generale, Rimini, 2017; S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, 2018; G. Greco, Interesse legittimo ed effettività della tutela (a proposito della sentenza 1321/19 del Consiglio di Stato), in sipotra.it, 14 gennaio 2020; R. Bin, È scoppiata la terza ‘guerra tra le Corti’? A proposito del controllo esercitato dalla Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione, in federalismi.it, 18 novembre 2020; G. Montedoro e E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in Questione giustizia, 11 dicembre 2020; B. Giliberti, Contributo alla riflessione sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2020; M.A. Sandulli, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 19598 del 2020, in Giustizia insieme, 30 novembre 2020; A. Travi, La Cassazione sottopone alla Corte di giustizia il modello italiano di giustizia amministrativa, in Foronews (Foro it.), 12 ottobre 2020; G. Tropea, Il Golem europeo e i ‘motivi inerenti alla giurisdizione’, in Giustizia insieme, 7 ottobre 2020; I. Piazza, L’imparzialità amministrativa come diritto, Rimini, 2021; P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff, Napoli, 2021; A. Carratta, Limiti esterni di giurisdizione e principio di effettività, in Id., (a cura di), Limiti esterni di giurisdizione e diritto europeo, Roma, 2021; F. Francario, il Pasticciaccio parte terza. Prime considerazioni su Corte di Giustizia UE, 21 dicembre 2021 C-497/20, Randstad Italia s.p.a., in federalismi.it, 9 febbraio 2022; M. Mazzamuto, Il dopo Randstad: se la Cassazione insiste, può sollevarsi un conflitto?, in Giustizia insieme, 16 marzo 2022.

[139] In tal senso F.G. Scoca, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, p. 1 s., segn. p. 31 s.

[140] Del resto, alla dottrina (della quale rende conto A. Romano, – a cura di -, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Cedam, 2001, p. 21) secondo la quale «le situazioni legittimanti al ricorso giurisdizionale amministrativo sono corrispondenti a norme dell’ordinamento amministrativo, o più specificamente a norme procedimentali di azione, di organizzazione e di regolazione del potere della pubblica amministrazione», può obiettarsi che quella regolazione (‘al netto’ delle norme di azione ed organizzazione) corrisponde proprio all’esercizio discrezionale. Allo stesso modo, avuto riguardo alla tesi (riportata sempre in A. Romano, – a cura di -, Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Cedam, 2001, p. 31) secondo la quale «appartiene alla giurisdizione civile la domanda di tutela di un interesse individuale, la quale si basa sulla contestazione della stessa esistenza, o spettanza all’amministrazione, del potere di cui il provvedimento lesivo di tale interesse è esplicazione (o, meglio, ne vuole essere); viceversa, appartiene alla giurisdizione amministrativa una domanda avente il medesimo contenuto, la quale si basa sulla più circoscritta contestazione della sola illegittimità dell’esercizio nel quale consiste il medesimo provvedimento, del potere di cui è espressione, di cui il ricorrente non nega, perciò, l’esistenza, o la spettanza all’amministrazione».

[141] In tal senso, anteriormente al vigente Codice del processo amministrativo, V. Domenichelli, Giurisdizione esclusiva e processo amministrativo, Padova, Cedam, 1988, p. 269: «… la giurisdizione esclusiva avrà un futuro se riuscirà a trasformarsi da appendice “ibrida” del processo di legittimità, di cui ripete ambiguamente forma e sostanza, in una giurisdizione “piena” sia nel senso … per cui i poteri del giudice si colleghino alla domanda di giustizia, senza che la configurazione preliminare delle situazioni soggettive precluda questa o quella domanda, in una considerazione unitaria dell’azione giurisdizionale; sia riconoscendo al giudice amministrativo esclusivo tutti i poteri che consentono di soddisfare pienamente l’interesse fatto valere dal ricorrente, adeguando la pronunzia alla domanda giudiziale». Cfr. pure: A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione al giudice amministrativo – II. Contributo alla teoria dell’azione nella giurisdizione esclusiva, Padova, 2001; Id., La giurisdizione del giudice amministrativo è piena, ma non è più esclusiva, in Giorn. dir. amm., 2004, p. 974 s.; recentemente, F.G. Scoca, Scossoni …, 2021, p. 32.

[142] Trib. amm. reg. Veneto, Venezia, sez. III, 24 luglio 2023, n. 1111 secondo cui «quando la pubblica amministrazione decide di procedere alla revoca di un atto, il potere di autotutela partecipa dello stesso potere esercitato con l’atto revocato con la conseguenza che a fronte del diritto soggettivo del ricorrente ad ottenere un permesso provvisorio in attesa dell’esame della sua domanda di protezione internazionale, il potere esercitato in sede di revoca di tale permesso è destinato a incidere sulla stessa tipologia di situazione giuridica soggettiva, la cui tutela deve essere pertanto ricondotta nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario». Item: Trib. amm. reg. Veneto, Venezia, sez. I, 18 luglio 2023, n. 1076 (« il ricorso avverso il provvedimento con il qual è stato ordinato al titolare della patente di abilitazione alla guida di sottoporsi all’esame di idoneità tecnica nel caso di azzeramento dei punti partecipa della medesima natura di sanzione accessoria propria della perdita dei punti, applicata in conseguenza delle singole violazioni alle norme di comportamento nella circolazione stradale, rientra nella giurisdizione del Giudice Ordinario»); Trib. amm. reg. Campania, Salerno, sez. II, 14 luglio 2023, n. 1700 («il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si determina non già in base ai vizi dei vari atti amministrativi adottati dall’amministrazione ed alle pronunce richieste su di essi (annullamento piuttosto che disapplicazione), bensì in relazione alla natura della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio»; «allorché una controversia riguardi l’accertamento della proprietà di un compendio immobiliare controverso, la giurisdizione è del giudice ordinario, a nulla rilevando che le doglianze di quest’ultimo siano dirette a denunciare i vizi procedurali per carenza e incompletezza dell’attività istruttoria ovvero errori di valutazione»).

[143] Il riferimento cade evidentemente sull’art. 21-octies, L. n. 241/1990 e sugli artt. 31 e 34 c.p.a. Sul tema può rinviarsi a M.C. Cavallaro, Attività vincolata dell’amministrazione e sindacato giurisdizionale, in Il processo, 2020, p. 1 s.

[144] In tal senso Cass. civ., sez. un., Ord. 14 aprile 2023, n. 10063 che, nell’ottica prospettata nel presente studio, necessiterebbe di una rettifica circa il riferimento agli atti autoritativi: dovendosi distinguere fra quelli a contenuto discrezionale o vincolato (tenendo conto di quanto anticipato a proposito della natura delle – fatte salve – questioni di competenza e di violazione di legge). Cfr. pure Cass. civ., sez. un., Ord. 16 marzo 2023, n. 7737. Cfr. pure Cass. civ., sez. un., Ord. 13 aprile 2023, n. 9837 («la domanda di risarcimento del danno alla salute nei confronti della P.A., avendo ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo inviolabile (come tale, insuscettibile di affievolimento da parte di provvedimenti amministrativi) appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, a meno che non si verta in un’ipotesi di giurisdizione esclusiva, tornando, peraltro, ad applicarsi la regola generale della giurisdizione del giudice ordinario allorquando, anche nelle materie riservate alla giurisdizione esclusiva, la lesione della salute sia stata provocata non dall’adozione d’un provvedimento amministrativo, bensì da una mera attività materiale della P.A.»).

[145] In tal senso, fornisce utili spunti Cass., sez. un., 9 giugno 2004, n. 10978. Cfr. pure L. Cameriero, Giurisdizione esclusiva e diritto alla salute, in Urb. e app., 2008, p. 598.

[146] Cass. civ., sez. un., Ord. 27 aprile 2023, n. 11083.

[147] Trib. amm. reg. Sicilia, Palermo, sez. III, 14 aprile 2023, n. 1235 («è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione dell’affidamento sul provvedimento favorevole, posto che in base all’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. la giurisdizione generale amministrativa di legittimità include i comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni, e nelle particolari materie indicate dalla legge di giurisdizione esclusiva essa si manifesta attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela, anche dei diritti soggettivi, oltre che dell’affidamento sulla legittimità dei provvedimenti emessi dall’amministrazione»). S’intende, nella circostanza, sul presupposto che il risarcimento del danno ingiusto non costituisce materia di giurisdizione esclusiva, ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio (Cass. civ., sez. un., Ord. 7 aprile 2023, n. 9528).

[148] Cfr. Trib. amm. reg. Sicilia, Palermo, sez. III, 14 aprile 2023, n. 1235.

[149] Su tali tematiche sia consentito di rinviare a P. Cotza, Nuove frontiere della legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2024.

[150] Per cui sia consentito di rinviare a P. Cotza, Sulla giurisdizione amministrativa esclusiva. Implicazioni di una riflessione intorno ai principali criteri fondanti in punto di ‘riparto’, in federalismi.it, 2024.

[151] E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, p. 17.

[152] Per una trattazione (in gran parte rimasta ancora attuale) di tale disciplina, può rinviarsi a E. Cannada Bartoli, op. ult. cit.

[153] Quale attinto a E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 127 s.

[154] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 133.

[155] Per cui, ancora una volta, può rinviarsi a E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 23 s.

[156] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 160 s.: «il limite che la disapplicazione incontra è puramente negativo: non può essere eliminata formalmente l’efficacia dell’atto. Nulla vieta che si possa ravvisare nella disapplicazione un carattere costitutivo, limitatamente, beninteso, alla remozione degli effetti dell’atto.

… Quando la disapplicazione diretta non può verificarsi senza incidere sull’atto, ossia senza cessare di essere disapplicazione, vi si sostituisce la sentenza di condanna, la quale, riparando le conseguenze dell’atto, ha riguardo solo agli effetti e non all’atto, l’efficacia del quale non risulta menomata».

[157] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., pp. 135-136: «… l’atto amministrativo viene in rilevanza come antecedente logico-giuridico della decisione sulla controversia principale: se esso è legittimo, le conseguenze che se ne possono trarre s’inseriscono in quella che appare la catena sillogistica che porta al giudizio finale; se, invece, risulta illegittimo, questo inserimento non ha luogo perché l’atto viene considerato irrilevante rispetto alla fattispecie che costituisce l’oggetto del giudizio e quindi da esso non si trae alcuna conseguenza, pur lasciandolo sussistere nella sua efficacia».

[158] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 46 s. riferisce di una dottrina dominante propensa ad escludere che il giudice ordinario possa conoscere dell’eccesso di potere (in senso proprio) degli atti amministrativi. Di diverso avviso il medesimo a. secondo cui ‘sarebbe davvero una singolare forma di invalidità dell’atto amministrativo, se, per ragioni intrinseche alla sua natura, escludesse la figura dell’eccesso di potere, vizio attinente all’elemento formale dell’atto amministrativo, cioè … al potere, in virtù della causa’ (ivi, pp. 109-110, cfr. pure p. 167 s.).

[159] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 53 ove si richiama V. Ottaviano, Studi sul merito degli atti amministrativi, in Annuario dir. comp., 1948, pp. 347 e 351.

[160] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., pp. 54-55. Per l’identificazione della discrezionalità col merito, ivi, pp. 174, 176, 182.

[161] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 57 s., segn. pp. 75 e 77-78.

[162] Diversamente, E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 184 s.: «… appare forse utile considerare l’eccesso di potere come un vizio che riguardi il contenuto dell’atto nella sua efficienza funzionale rispetto all’interesse assunto nella causa del potere, non anche rispetto agli altri interessi non compresi nella previsione normativa concernente il potere, giacché la valutazione della funzionalità del contenuto dell’atto in ordine a tali interessi riguarda il merito».

[163] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 153 s.

[164] Si tratta del retaggio storico di una “strutturale” (e mai sopita) aspirazione dei titolari di quel potere a garantirsi una sostanziale immunità dall’osservanza di stringenti regole d’azione. Cfr. A. Romano Tassone, A proposito del potere, pubblico e privato, e della sua legittimazione, in Dir. amm., 2013, p. 559 s., segn. p. 578.

[165] E. Cannada Bartoli, op. ult. cit., p. 171.