L’esercizio del case management nel processo civile riformato, tra principi generali e giudizio di primo grado nel rito ordinario e nel nuovo rito semplificato di cognizione.

Di Enrico Fanesi -

Sommario: 1.Premessa: il rinnovato rilievo del case management giudiziale alla luce della Riforma Cartabia e degli obiettivi del PNRR. – 2. Spunti in chiave comparata. – 3. Segue: e in chiave interna. – 4. Le novità in tema di disposizioni generali: la direzione dell’udienza. – 5. Il “nuovo” procedimento ordinario di cognizione. – 5.1. Segue: le verifiche preliminari. – 5.2. Segue: il calendario del processo. – 5.3. Segue: il passaggio dal rito ordinario al rito semplificato. – 5.4. Segue: la fase decisoria. – 6. Il nuovo procedimento semplificato di cognizione. – 6.1. Segue: la transizione dal rito semplificato all’ordinario. – 6.2. Segue: l’appendice scritta. – 7. Rilievi conclusivi, anche sul ruolo assegnato agli addetti Upp.

 1.Premessa: il rinnovato rilievo del case management giudiziale alla luce della Riforma Cartabia e degli obiettivi del PNRR.

Il moto riformatore della giustizia civile, che ha preso avvio con la l. 26 novembre 2021, n. 206, attuata poi con il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, è collocato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) tra le modifiche orizzontali o di contesto, miranti ad introdurre innovazioni strutturali dell’ordinamento, tali da interessare tutti i settori di intervento del Piano[1].

Come è noto, il PNRR individua nella lentezza in ordine alla realizzazione di azioni strutturali un limite al potenziale di crescita del nostro Paese e, al fine di perseguire l’obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, prevede, da un lato, l’introduzione di riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa e, dall’altro, il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell’intero sistema giudiziario[2].

In disparte i profili attinenti al piano organizzavo, di cui si terrà conto in sede conclusiva, va osservato che il PNRR sollecita un’azione volta a concentrare maggiormente, per quanto possibile, le attività tipiche della fase introduttiva del processo civile; sopprimere le udienze potenzialmente superflue; ridurre i casi nei quali il tribunale è chiamato a giudicare in composizione collegiale e ridefinire meglio la fase decisoria.

Conseguentemente, nell’ottica di «assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo»[3], così da raggiungere la «semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile», il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, è intervenuto tanto sulle disposizioni generali quanto sul primo grado del processo ordinario di cognizione, con lo scopo di giungere alla prima udienza con la già avvenuta definizione del thema decidendum e del thema probandum, consentendo al giudice un più esteso case management, conseguibile anche mediante la possibilità di un più agevole passaggio dal rito ordinario al rito semplificato[4].

L’esigenza di attribuire al giudice più penetranti poteri di direzione della lite permea, altresì, la disciplina del nuovo rito semplificato di cognizione, nonché la ivi prevista passerelle, inversa rispetto a quella poc’anzi citata, dal procedimento semplificato a quello ordinario.

È necessario quindi, in via preliminare, decodificare la nozione di case management giudiziale e, successivamente, comprendere come il legislatore abbia declinato tale concetto nell’ambito della riforma del processo civile.

In linea di principio, la tecnica del case management può essere letta sotto un duplice angolo prospettico: da un lato, quale mezzo per introdurre strumenti di accelerazione processuale, idonei ad assicurare che venga fatta giustizia a costi ed in tempi ragionevoli, mediante un uso proporzionato delle risorse; dall’altro, quale volontà di assicurare a ciascuna controversia il percorso ad essa più confacente, così da dare risposta alle differenti esigenze poste dal variabile grado di complessità delle cause[5].

Da entrambi i punti di vista si tratta di un metodo volto alla razionalizzazione del processo.

Nel primo caso, esso si traduce nell’attribuzione al giudice di incisivi poteri/doveri officiosi afferenti all’approfondimento di questioni insorte nel corso del processo, al piano istruttorio, all’onere di segnalazione alle parti della necessità di integrare/modificare le proprie allegazioni, così da fornire risposta all’esigenza di elaborare regole processuali che diano al giudice la facoltà di dirigere la scansione del processo, senza soggiacere passivamente alle iniziative (talora anche potenzialmente ostruzionistiche) delle parti[6].

Nel secondo si configura quale criterio volto ad adattare la disciplina procedimentale alle peculiarità del caso concreto, in ossequio al principio di elasticità processuale[7].

Quale che sia la prospettiva da cui si guarda questo fenomeno, a monte vi è l’obiettivo, in linea con gli scopi prefissati dal PNRR, di assicurare la ragionevole durata del processo, in uno con il contenimento dei costi e, dunque, con una corretta allocazione delle risorse disponibili[8].

Peraltro, è stato condivisibilmente rilevato come il case management sia in grado di esplicare efficacemente i suoi benefici se innestato in ordinamenti in cui sussista una cultura di forte compartecipazione tra giudice e parti nella determinazione dell’incedere della procedura[9].

Muovendo da tali premesse, il presente studio si concentrerà sulla seconda delle tecniche di case management innanzi enucleate e, in particolare, sulle disposizioni della c.d. Riforma Cartabia che mirano al conseguimento del canone di flessibilità processuale, in modo da garantire che il percorso seguito sia ritagliato sulle caratteristiche della singola lite, ponendo, peraltro, specifica attenzione ai legami che si intessono tra i poteri di direzione della lite in capo al giudice e l’autonomia delle parti nella gestione del processo.

2.Spunti in chiave comparata.

L’analisi che ci si accinge a compiere non può prescindere dal preliminare approfondimento del tema in chiave comparata, con particolare riferimento a quegli ordinamenti in cui risulta più  spiccata la sensibilità verso l’affidamento al giudice di poteri di case management.

Nell’impossibilità di affrontare funditus la materia, l’esame sarà circoscritto, in modo paradigmatico, all’ordinamento inglese, quale esempio di sistema di common law, e a quello francese, quale esempio di sistema di civil law.

In riferimento al primo, va evidenziato come la riforma processuale civile inglese del 1999 abbia eletto il case management a strumento essenziale per perseguire gli obiettivi in essa fissati[10].

In particolare, l’intento è quello di porre i giudici in condizione di trattare le cause secondo giustizia[11], curandone la speditezza, in proporzione al valore, alla complessità e alle condizioni economiche delle parti, nonché assicurando, al contempo, la parità delle stesse e la riduzione dei costi, mediante l’utilizzo di mezzi proporzionati alle risorse[12].

Il giudice viene così inteso quale soggetto preposto a garantire il concreto svolgimento del processo[13], e, ferma la tradizionale struttura bifasica, nella quale il dibattimento (trial) è preceduto da una fase pre-trial, ad esercitare i poteri di case management, mediante i quali scegliere il percorso più confacente alla singola controversia[14].

Dopo una fase introduttiva uguale per ogni controversia, il procedimento di primo grado si può dunque sviluppare su tre binari diversi (small claims track; fast track; multi track[15]), in ragione delle caratteristiche di ogni singola lite[16].

La scelta del binario è rimessa al giudice[17], secondo un uso proporzionato delle risorse, che si basi sia sui profili economici sia sul perseguimento di risultati giusti[18]; invero, dato che le cause non sono tutte ugualmente complesse, si ritiene irrazionale impiegare indiscriminatamente le risorse del sistema processuale, prescindendo dalle caratteristiche individuali di ogni singola lite[19].

Tale attività, definita allocation, che viene effettuata dal giudice del pre-trial, si basa sulle informazioni contenute negli atti introduttivi e su quelle supplementari eventualmente fornite dalle parti nelle direction questionnaires (in precedenza allocation questionnaires), consistenti in un modulo inviato alle stesse dalla corte per determinare il track su cui preferibilmente posizionare la controversia e nel quale le parti indicano una serie di informazioni tra cui, in particolare, il numero dei testimoni, la eventuale richiesta di esperti, la lunghezza stimata dell’udienza finale[20].

Se il giudice ritiene di non avere informazioni sufficienti può fissare, altresì, un’udienza perché le parti compaiano e, nel contraddittorio, forniscano le suddette informazioni ed esprimano posizione sul punto[21].

Il giudice, cui spetta comunque la decisione finale circa il track più appropriato, gode di una certa discrezionalità, potendo scegliere in considerazione della complessità e delle risorse processuali di cui necessita la controversia.

Tuttavia, qualora le parti non condividano il percorso individuato dal giudice, possono chiedere la c.d. re-allocation della causa, che può essere disposta anche d’ufficio, in caso di sopravvenuti mutamenti nelle circostanze[22].

Volgendo lo sguardo al sistema processuale francese, va osservato come lo stesso sia attualmente investito, con la loi n. 2019-2022 de programmation 2018-2022 et réforme pour la justice (réform Belloubet), da un rilevante intervento riformatore[23], che si prefigge l’obiettivo di offrire une justice plus rapide, plus efficace et plus moderne au service des justiciables[24].

Il programma contempla un ampio novero di azioni, da realizzare nell’arco di cinque anni, tra le quali: la riorganizzazione degli uffici di prima istanza; il perseguimento della consensualità, intesa quale potenziamento dei modi alternativi di regolamento delle liti e della gestione degli aspetti operativi; la modifica della fase introduttiva del processo; le modifiche dell’istituto del référé[25].

Permane ed è enfatizzata dalla riforma la tendenza, già immanente a tale ordinamento, alla flexibilisation della procedura.

Invero, il processo francese è connotato da un atteggiamento di collaborazione e valorizzazione dell’esperienza dei diversi operatori, in un contesto nel quale emergono l’organizzazione interconnessa delle procedure, la collaborazione tra le parti (e loro rappresentanti) e giudice nella gestione del processo, nonché l’uso di specifici e caratteristici istituti, quali il référé e la passerelle, che consentono una gestione delle controversie calibrata sulla variabile complessità del caso concreto[26].

L’idea di elasticità, intesa sia come facoltà del giudice di scegliere le regole procedimentali più adatte alla trattazione di una certa lite, sia come pluralità della scelta tra differenti procedimenti, informa la concezione del processo francese, tanto di cognizione quanto sommario[27].

In particolare, il sistema si articola in circuiti procedurali (circuit court; circuit moyen; circuit long), che si snodano in tre percorsi differenziati di trattazione della causa, a seconda della maggiore o minore complessità delle controversie, assicurando a ciascuna di esse il cammino più adatto alla relativa tutela[28].

La scelta del circuito a cui assegnare la causa avviene nella Conférence du Président[29], udienza che si colloca nella fase iniziale del giudizio, nella quale il Presidente discute sullo stato della controversia con gli avvocati delle parti presenti[30].

L’elasticità domina anche lo svolgimento del processo in quanto il giudice, mediante il meccanismo della c.d. passerelle, può disporre, in base all’evoluzione della causa, il passaggio da un circuito all’altro, ovvero da una procedura di référé al procedimento a cognizione piena, o da un giudice unico a una giurisdizione collegiale[31].

Inoltre, al fine di assicurare alle parti uno spazio dialettico con il giudicante, l’ordinamento francese disciplina la possibilità dei c.d. contrats de procédure, mediante il quale il giudice, in accordo dei difensori delle parti, fissa le cadenze temporali dell’iter procedimentale, così da permettere a quest’ultime di avere contezza dei tempi prevedibili del giudizio, sino alla data di pronuncia della decisione[32].

Dalla breve analisi condotta in chiave comparata emerge come le tecniche di case management siano declinate mediante l’attribuzione al giudice di poteri di direzione interni alla causa e da esercitarsi (per lo più) in limine litis, con l’obiettivo di favorire un proporzionato impiego delle risorse giurisdizionali anche grazie al virtuoso confronto con le parti.

3.Segue: e in chiave interna.

È necessario a questo punto chiedersi se, in ambito interno, le numerose riforme processuali susseguitesi nel tempo, sino alla più recente, si inseriscano nel quadro tracciato e, segnatamente, siano riconducibili al tentativo di assicurare a ciascuna controversia il percorso ad essa più adeguato, sulla base di una cooperazione costante tra giudice e parti.

Ebbene, in chiave storica, va rammentato che il principio di elasticità o adattabilità della lite, al variabile grado di complessità[33] che può connotarla, non è certo una novità dei nostri giorni,  ravvisandosene una consapevole elaborazione in una autorevole dottrina che aveva tempo addietro segnalato come «le liti sono diverse l’una dall’altra come le malattie; né alcun medico penserebbe a prescrivere per tutti i malati lo stesso metodo di cura»[34].

Parimenti nota era anche la necessità che il governo del processo non fosse affidato unicamente alla direzione autoritaria del giudice, ma si fondasse sul principio della collaborazione nei rapporti tra giudice e parti, declinabile nel dialogo, secondo le rispettive posizioni, dei soggetti operanti nel processo[35].

Tuttavia, piuttosto che concepire un modello processuale unitario, ma flessibile, capace di adeguarsi alle esigenze delle diverse cause[36] il legislatore, a più riprese, ha optato per moltiplicare i modelli processuali, rimanendo fedele al dogma della predeterminazione rigida delle forme e dei termini.

Il rimedio al progressivo aumento della durata del processo ordinario di cognizione, infatti, è stato per lungo tempo ricercato nell’introduzione di nuovi riti speciali a cognizione piena[37]: sennonché, al crescere dei processi speciali, sono cresciute, fatalmente, le difficoltà di conoscenza e applicazione dei medesimi, con conseguente incremento della litigiosità su questioni processuali, che hanno comportato un aumento delle pronunce sul rito e una dilazione della definizione della causa nel merito[38].

Ricondotti, con il d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, i plurimi riti speciali extracodice ai tre noti modelli di riferimento, è rimasto insoluta la questione relativa alla mancanza di flessibilità all’interno del singolo processo.

Anche la riforma attuata con il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, può dirsi a vario titolo ispirata all’applicazione del principio di elasticità del procedimento.

Si è opportunamente osservato, tuttavia, che quest’ultimo non appare concepito, nella riforma, con il nobile intento di meglio ritagliare la controversia sulle esigenze del caso concreto, favorendone una decisione qualitativamente migliore perché resa in un processo concentrato e immediato, quanto piuttosto in chiave di realizzazione ad ogni costo del principio di proporzionalità nell’impiego della risorsa giudiziaria nella singola controversia, che pare oggi asservito all’ossessione quantitativa della riforma processuale perenne[39].

Fatte tali premesse, è dunque opportuno calare lo studio sul piano concreto e, in particolare, sulle novità della riforma che, nell’intentio legis, aspirerebbero ad un più esteso esercizio del case management e, correlativamente, ad una maggiore elasticità procedimentale nel primo grado del processo ordinario di cognizione e del nuovo rito semplificato, nonché su quelle che, trasversalmente, toccano entrambi i procedimenti.

4.Le novità in tema di disposizioni generali: la direzione dell’udienza.

Partendo proprio da queste ultime, l’attenzione va posta sulla novellata disciplina della direzione dell’udienza.

In particolare, il legislatore ha  stabilmente introdotto nel tessuto del codice di rito, con gli artt. 127 bis e 127 ter c.p.c.[40], due strumenti finalizzati a disciplinare modalità e presupposti per lo svolgimento delle udienze in forma alternativa a quella tradizionale[41].

Com’è noto, l’esigenza di celebrare le udienze mediante collegamenti audiovisivi ovvero in forma cartolare si è posta con l’avvento della pandemia, ai fini di contenimento dei contatti interpersonali.

Tuttavia, con la riforma, venuta inevitabilmente meno tale ragione giustificatrice, la ratio degli strumenti va identificata proprio nel perseguimento del già citato canone di elasticità processuale, in modo da permettere al processo di adeguarsi alla variabile complessità della controversia[42].

In disparte i profili tecnici suscitati dall’applicazione delle singole disposizioni, corre l’obbligo di chiedersi se le novità introdotte favoriscano o meno l’auspicata flessibilità.

Orbene, l’attribuzione al giudice di penetranti poteri di direzione dell’udienza si inserisce, astrattamente, nell’obiettivo di assicurare a ciascuna controversia il «vestito»[43] ad essa più adatto e, dunque, di garantire un più esteso utilizzo del case management[44].

Tuttavia, se dai declamati intenti si passa all’analisi del dettato normativo, emerge come tali strumenti presentino l’inconveniente di affidare quasi interamente al giudice la gestione di tale potere[45].

Invero, nell’ipotesi descritta dall’art. 127 bis, lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto, discrezionalmente, dal giudice, mentre ciascuna parte costituita può unicamente opporsi a tale decisione, chiedendo la celebrazione in presenza, ma non può (almeno stando al testo della disposizione) formulare essa stessa istanza per lo svolgimento dell’udienza da remoto.

Diversamente, nella fattispecie  della c.d. “udienza cartolare”, coesistono la facoltà del giudice di disporre la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte e quella delle parti di opporsi (con istanza che tuttavia non vincola il giudice) ed è consentita, altresì, la sicura celebrazione dell’udienza in forma cartolare quando la richiesta sia concordemente formulata dalle parti.

Dal rapido esame della lettera delle norme, emerge come la prima fattispecie sia concepita, quasi esclusivamente, nella prospettiva del giudicante, sacrificando la compartecipazione dialettica tra giudice e parti nella decisione sulla modalità di svolgimento dell’udienza.

L’art. 127 ter, viceversa, sancisce un potere delle parti di formulare richiesta congiunta di trattazione scritta, vincolando il giudice al rispetto di questa modalità.

Tuttavia, l’ipotesi in cui l’invito a celebrare l’udienza in modalità cartolare provenga da tutte le parti costituite appare di difficile realizzazione, in quanto, sovente, il giudice fissa udienza a scioglimento di una riserva precedentemente assunta e la domanda congiunta, in questi casi, dovrebbe pertanto nascere a seguito di un difficoltoso dialogo extra-processuale tra gli avvocati.

D’altro canto, in caso di decisione assunta dal giudice per la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte, l’eventuale opposizione della parte non obbliga il giudice a disporre la celebrazione in presenza, potendo anzi confermare il proprio iniziale intendimento con decisione insindacabile per la parte.

Sarebbe stato più opportuno, pertanto, amplificare i poteri di intervento delle parti, in linea con le indicazioni desumibili dalla legge delega in base alla quale era lecito ipotizzarsi che l’opposizione formulata da una sola delle parti fosse sufficiente a ricondurre la controversie nell’alveo delle modalità tradizionali di celebrazione dell’udienza[46].

In conclusione, il più vivace scambio dialettico tra i protagonisti del processo avrebbe garantito una più efficace valorizzazione delle tecniche in esame, con una migliore adattabilità del procedimento alle caratteristiche concrete della controversia.

5. Il “nuovo” procedimento ordinario di cognizione.

Seguendo la direzione tracciata, lo studio si concentrerà ora sulle novità apportate dal d.lgs. n. 149/2022 al primo grado del procedimento ordinario di cognizione e, nello specifico, sulle disposizioni da cui si evince l’obiettivo di espandere le tecniche di case management.

Gli snodi principali attengono a:

-verifiche preliminari;

-calendario del processo;

-passaggio dal rito ordinario al rito semplificato;

-fase decisoria.

 

5.1. Segue: le verifiche preliminari.

In merito al primo punto, come è noto, la Riforma Cartabia ha rimodellato la fase introduttiva del processo ordinario di cognizione, collocando la prima udienza e, dunque, il primo contatto diretto tra giudice e parti a valle di una serie di adempimenti preliminari[47].

In particolare, le triplici memorie che nel vecchio art. 183, comma 6°, c.p.c. seguivano lo svolgimento della prima udienza, sono oggi, da un lato anticipate rispetto alla celebrazione dell’udienza stessa e, dall’altro, fanno seguito ad una fase di verifiche preliminari, disciplinate dal nuovo art. 171 bis c.p.c., corrispondenti a quanto il giudice era chiamato a fare in apertura dell’udienza di prima comparizione e trattazione nel regime previgente.

Nell’intenzione del legislatore, l’anzidetta disposizione è necessaria in un sistema che aspira a realizzare il canone della concentrazione e per il quale, dunque, la causa deve tendenzialmente giungere all’udienza con il perimetro del thema decidendum e del thema probandum già definito, così da consentire al giudice di poter valutare meglio quale direzione imprimere al processo (in specie, effettuare l’interrogatorio libero delle parti, il tentativo di conciliazione, disporre l’eventuale mutamento nel rito semplificato, ammettere le prove e procedere alla relativa assunzione, a meno che la causa non sia immediatamente decidibile sulla base di una questione preliminare o pregiudiziale)[48].

L ’esercizio delle verifiche preliminari è funzionale, dunque, a garantire un’efficace esercizio, in sede di prima udienza, delle tecniche di case management[49].

Tuttavia, se si scende alla concreta analisi della nuova architettura della fase introduttiva del primo grado del rito ordinario, questo si rivela, in modo cristallino, eccessivamente ingessato ed inidoneo ad adattarsi alle esigenze della singola lite.

Invero, la soluzione immaginata dal legislatore nel disciplinare gli artt. 171 bis e 171 ter si presta ad una serie di inconvenienti, che rischiano di essere maggiori degli auspicati benefici[50].

In particolare, per quanto attiene alle verifiche preliminari, dato che tale fase si svolge in totale assenza del contraddittorio, è di palmare evidenza il pericolo di pronuncia, da parte del giudice, di provvedimenti inappropriati o superflui, specie nei casi in cui le verifiche dipendano da puntuali apprezzamenti sulle domande delle parti e sul thema decidendum, che necessitino dei chiarimenti dei difensori, ovvero implichino integrazioni documentali (si considerino, quanto al primo caso, gli ordini di chiamata ex art. 102 e 107 c.p.c., e, quanto al secondo, la verifica sulla nullità della notifica)[51].

Si è del resto a più riprese evidenziato come un proficuo utilizzo degli strumenti di case management passi, indefettibilmente, da una vivace collaborazione (in questo caso del tutto assente) tra giudice e parti nella direzione della lite[52].

Le criticità del nuovo sistema emergono, del più, dal meccanismo di cui al nuovo art. 171 ter, che disciplina le memorie integrative, da depositare, come detto, a monte della prima udienza.

Senza voler scendere nell’analisi dettagliata del loro contenuto, ciò che interessa evidenziare ai fini del presente scritto è l’eccessiva rigidità di questa fase e l’eventualità che il sistema congegnato, invece che imprimere un’accelerazione all’iter procedimentale, produca, per converso, l’opposto risultato (paradigmatici in tal senso sono i casi di chiamata in causa del terzo da parte dell’attore[53], per ordine del giudice[54] o su iniziativa del terzo chiamato, in cui si determinerebbero differimenti di udienza e duplicazione delle memorie ex art. 171 ter[55], ovvero l’ipotesi di costituzione in udienza del convenuto già dichiarato contumace[56], che implicherebbe la necessità di uno spostamento dell’udienza al fine di consentire la replica dell’attore[57]).

Sono questi, dunque, inconvenienti che nascono dall’aver concepito un rito la cui la fase preparatoria dovrebbe svolgersi interamente prima dell’udienza, ma in cui di fatto (data la possibile rilevabilità nel corso di tutto il giudizio o quanto meno fino all’udienza di alcune questioni) non vi è alcuna garanzia che le suddette verifiche preliminari solitariamente compiute dal giudice siano esaustive[58].

In definitiva, il canone di concentrazione cui è ispirata la fase introduttiva del nuovo rito ordinario, lungi dal garantire flessibilità e semplificazione processuale, determina, al contrario, una eccessiva rigidità del procedimento, privo, almeno nella fase iniziale, di mezzi idonei ad imprimere una accelerazione al processo, tali da incidere sulla durata dei procedimenti.

 

5.2. Segue: il calendario del processo.

L’attribuzione in capo al giudice di più ampi poteri di direzione del giudizio, al fine di favorire una definizione più spedita delle controversie, si scorge anche nell’istituto del calendario del processo, concepito, sin dalla sua introduzione, sulla falsariga dell’esperienza francese[59].

Il d. lgs. n. 149/2022 è intervenuto sullo strumento de quo, sopprimendo il primo periodo dell’art. 81 bis, comma 1°, disp. att. e trasponendone gran parte del contenuto all’interno dell’art. 183 c.p.c., con l’intento, presumibilmente, di conferire maggior rilievo all’istituto.

Ai sensi del novellato art. 183, comma 4°, c.p.c., all’udienza di prima comparizione e trattazione, il giudice, nel decidere sulle richieste istruttorie precedentemente formulate, «predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse», il tutto «tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa».

La ratio sottesa all’istituto in esame è quella di favorire una più razionale organizzazione delle controversie, in modo da consentire alle parti di conoscere ex ante la durata complessiva della causa, anche al fine di valutare se sia opportuno insistere per la definizione giudiziale della lite ovvero accedere ad una sua soluzione negoziata[60].

Tuttavia, l’apparente attenzione mostrata dal legislatore alle esigenze delle parti si scontra con il dettato normativo e, in particolare, con il mancato richiamo nel nuovo art. 183, comma 4°, dell’inciso «sentite le parti», contenuto, viceversa, nella vecchia formulazione dell’art. 81 bis disp. att.: ne consegue un’evidente negazione di quel principio di collaborazione che dovrebbe essere sotteso alla migliore fissazione dell’incedere del processo.

Sebbene, infatti, l’omesso riferimento al predetto inciso abbia risolto negativamente il dubbio precedentemente postosi circa l’eventuale nullità del calendario (per inidoneità al raggiungimento dello scopo) in caso di mancata audizione delle parti[61], la soluzione adottata dal legislatore non appare convincente.

Invero, nell’ottica di potenziare lo strumento in esame, non sembra essersi colta l’occasione di introdurre nel nostro ordinamento, in ossequio a quanto previsto in ambito francese, la possibilità di un vero e proprio accordo, concluso tra giudice e parti (rectius avvocati), avente ad oggetto la sistemazione nel tempo di talune attività processuali (non circoscritte alla sola attività istruttoria, come parrebbe dalla lettera della norma), favorendo, per tale via, una maggiore collaborazione e flessibilità nella gestione del processo.

L’intervento riformatore, viceversa, sembra allontanare ancor più l’istituto in esame dalla disciplina tipica del calendrier[62], con il concreto rischio di decisioni solitarie dei giudice, volte a fissare le udienze successive alla prima in modo del tutto slegato dalle esigenze delle parti e dai concreti tempi di svolgimento[63].

 

5.3. Segue: il passaggio dal rito ordinario al rito semplificato.

Diverse perplessità, in relazione al tema in oggetto, suscita anche la disciplina del mutamento del rito da ordinario in semplificato, sulla quale il legislatore sembra aver riposto particolari aspettative, in vista del raggiungimento degli auspicati obiettivi di celerità e razionalizzazione del processo civile[64].

Ai fini dell’inquadramento dell’istituto in esame, va premesso che l’art. 171 bis c.p.c. impone al giudice, in sede di verifiche preliminari, di invitare le parti a discutere intorno alla «sussistenza dei presupposti per procedere con la conversione del rito», in modo che la questione sia trattata dalle parti nelle memorie integrative di cui al successivo art. 171 ter c.p.c.[65].

Non mancano, tuttavia, in sede di prima applicazione, provvedimenti in cui il giudice non si è limitato a svolgere una mera sollecitazione alle parti, ma ha ritenuto di poter direttamente disporre in questa fase (prima dello scambio delle memorie) la conversione del rito da ordinario a semplificato[66].

Tale eventualità, però, si scontra frontalmente con la lettera dell’art. 183 bis c.p.c., che sancisce la possibilità di mutare il rito non prima dell’udienza di trattazione, solo all’esito quindi delle memorie di cui all’art. 171 ter, e dopo aver sentito le parti.

Il congegno costituisce indubbiamente un forte ostacolo alla  convertibilità del rito.

Se, infatti, nel disegno della riforma, la posticipazione del mutamento del rito al cristallizzarsi del quadro fattuale e probatorio di riferimento dovrebbe agevolare l’esercizio dei poteri del giudice di direzione della lite e, dunque, di individuazione del percorso processuale più adatto alle caratteristiche della singola controversia, tale soluzione finisce per vanificare i vantaggi che si vorrebbero conseguire in termini di semplificazione/accelerazione mediante la conversione nel procedimento semplificato[67].

A differenza di quanto avveniva nella previgente disciplina, ove la conversione aveva il pregio di garantire una semplificazione procedimentale, consistente nella possibilità di istruttoria deformalizzata e dalle più celeri dinamiche decisorie che connotavano il rito sommario, l’attuale assetto normativo è improntato ad una sostanziale sovrapponibilità delle fasi concernenti l’istruzione probatoria e la fase decisoria tra rito ordinario e semplificato[68].

E’ quindi concreto il rischio che lo strumento in esame non trovi concreti spazi applicativi[69].

Pertanto, a fronte dell’impossibilità di accogliere l’impostazione secondo cui il mutamento di rito sarebbe ammissibile già in sede di verifiche preliminari e in assenza di contraddittorio sul punto[70], il sistema così delineato, al di là delle enunciazioni di principio[71], si rivela in realtà contrario ad un uso esteso del case management, in quanto, una volta scelta la via del rito ordinario, difficilmente il giudice, anche di fronte a cause meno complesse, disporrà il passaggio al procedimento semplificato, senza ottenere alcuna concreta semplificazione/accelerazione dell’iter procedimentale.

Per garantire una effettiva adattabilità del rito alle caratteristiche della controversia, il legislatore avrebbe più opportunamente potuto prevedere, all’esito delle verifiche preliminari e in caso di sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato, la fissazione di un’apposita udienza, antecedente al deposito delle memorie ex 171 ter, in cui permettere a giudice e parti di discutere sulla questione, con possibilità di disporre la prosecuzione del processo nelle forme semplificate (con integrale applicazione in questo dell’art. 281 duodecies c.p.c., ivi inclusa l’eventuale concessione di appendice scritta).

 

5.4. Segue: la fase decisoria.

Dal tentativo di razionalizzazione del processo civile, mediante la valorizzazione del principio di flessibilità, non va esente la fase decisoria del rito ordinario di cognizione[72].

Due sembrano le principali novità che, nell’intentio legis, dovrebbero impattare sulle tematiche in esame.

La prima attiene alla volontà di semplificare l’iter giudiziale, tramite la soppressione dell’udienza di precisazione delle conclusioni[73], attività da espletare, salvo il caso di precisazione in udienza ancora previsto dall’art. 281 sexies, mediante il deposito di apposite note, e la previsione di termini per scritti conclusivi finali a ritroso rispetto all’udienza di rimessione della causa in decisione[74].

Tuttavia, se può essere valutata favorevolmente la soppressione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, l’esigenza del giudice di programmare i tempi del deposito della sentenza in proporzione al carico  del ruolo implicherà, verosimilmente, la fissazione della nuova udienza di rimessione della causa in decisione a notevole distanza di tempo dall’effettivo esaurimento della trattazione ed istruzione (a mo’ di quanto avveniva con la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni)[75].

La novella, dunque, non appare idonea ad assicurare una tangibile semplificazione e velocizzazione della fase decisoria.

Il secondo aspetto attiene alla sistematizzazione dei modelli decisori, nell’ottica di garantire una maggiore uniformità delle regole da seguire avanti all’organo giudicante, sia esso collegiale o monocratico.

In particolare, l’attenzione va posta sull’estensione del modello di decisione a seguito di trattazione orale – sino ad oggi riservata ex art. 281 sexies c.p.c. alle controversie assegnate al giudice in composizione monocratica – anche alle cause soggette a riserva di collegialità ex art. 275 bis c.p.c., con l’intento di pervenire ad un modello di decisione più rapido e flessibile.

Tuttavia, al di là degli scopi programmatici, la disciplina concepita presenta forti analogie con quella a trattazione mista, in quanto, da un lato, vengono comunque assegnati alle parti i termini per il deposito di note contenenti la precisazione delle conclusioni nonché di note conclusionali (corrispondenti alle comparse conclusionali) e, dall’altro, è consentita la pronuncia della sentenza sia in udienza, all’esito della discussione, sia in via differita (con deposito nei successivi sessanta giorni)[76].

È dunque arduo individuare una concreta differenza tra i due modelli ed è preconizzabile uno scarso utilizzo di questa nuova modalità decisoria[77].

Con finalità semplificatoria, sarebbe stato più appropriato valorizzare un modello a trattazione puramente orale (secondo lo schema di cui all’art. 281 sexies) in alternativa a quella scritta, eliminando il farraginoso meccanismo della trattazione mista[78].

Le novità introdotte non sembrano quindi in grado di garantire una maggiore flessibilità della fase decisoria del rito ordinario di cognizione, che pare connotata, viceversa, da una rigidità finanche superiore a quella della disciplina antecedente e, come tale, sembra inadeguata a conseguire quel target di contenimento della durata media dei procedimenti sotteso all’intervento riformatore.

 6.Il nuovo procedimento semplificato di cognizione.

Al fine di ridurre i tempi del giudizio mediante la semplificazione dei procedimenti, il d. lgs. n. 149/2022 è intervenuto, altresì, tramite il rafforzamento di un modello processuale esistente (il procedimento sommario di cognizione), ora denominato procedimento semplificato di cognizione[79], disciplinato dai nuovi artt. 281 decies c.p.c. ss., reso obbligatorio per ogni controversia, anche di competenza del tribunale in composizione collegiale[80], quando i fatti di causa non siano controversi oppure quando la domanda sia fondata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque richieda un’attività istruttoria non complessa[81].

Anche la promozione del nuovo rito, in alternativa all’ordinario, nel disegno riformatore, mira ad estendere le tecniche di case management giudiziale, in quanto, da un lato, esso risulterebbe idoneo a garantire un percorso processuale più veloce per le cause semplici, e, dall’altro, consentirebbe alla controversia di seguire, in caso di rilevata complessità, l’iter ad essa più confacente, tramite il passaggio al procedimento ordinario.

L’attenzione va posta, segnatamente, su due snodi procedurali del rito: la conversione da semplificato a ordinario; l’eventuale concessione di due memorie scritte a valle dell’udienza.

6.1. Segue: la transizione dal rito semplificato all’ordinario.

L’art. 281 duodecies, comma 1°, c.p.c., prescrive che qualora il giudice reputi necessario disporre la transizione del rito da semplificato in ordinario, avendo riscontrato, per la domanda principale o per la riconvenzionale, il difetto dei presupposti di cui all’art. 281 decies, comma 1°, c.p.c. (fatti di causa non controversi, domanda fondata su prova documentale o di pronta soluzione o che richiede un’istruzione non complessa)[82], ovvero la ricorrenza dei presupposti di complessità della lite e dell’istruzione probatoria[83] debba disporre, con ordinanza non impugnabile, la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario, con fissazione dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., in relazione alla quale decorrono i termini per le memorie previste dall’art. 171 ter c.p.c.

Sebbene l’impianto normativo così descritto sembrerebbe garantire all’ipotesi de qua maggiori spazi applicativi rispetto al caso disciplinato dall’art. 183 bis, in quanto, una volta mutato il rito, la possibilità di depositare le memorie di cui all’art. 171 ter appare idonea a consentire la trattazione delle cause complesse nelle più distese forme ordinarie, la conversione del rito è nondimeno contraddistinta da profili problematici, che parrebbero ostacolare il perseguimento dell’anelato traguardo di elasticità delle forme processuali.

Infatti, qualora il giudice ritenga che la causa debba essere trattata nelle forme del rito ordinario, dovrebbe provvedere con ordinanza non impugnabile, nell’esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile[84].

Tuttavia, affinché la conversione del rito si traduca in un efficace strumento di gestione processuale, idoneo a garantire flessibilità al procedimento, è indispensabile che la questione sia vagliata nel contraddittorio con le parti, in ossequio al principio di leale collaborazione tra queste e il giudice[85], secondo quanto previsto, difatti, nella diversa ipotesi di passaggio del rito da ordinario a semplificato.

Diversamente ragionando, il mutamento del rito si tradurrebbe, unicamente, in un mezzo per consentire al giudice di meglio programmare l’iter procedimentale in relazione al carico del suo ruolo, giustificando, dunque, il passaggio alla trattazione della causa con i ritmi del processo ordinario, anche a fronte di cause non complesse[86], con il conseguente rischio di ritardi nella trattazione della causa.

Pertanto, la norma de qua, per elementari ragioni di simmetria, deve essere interpretata conformemente al dettato dell’art. 183 bis, consentendo al giudice di disporre il passaggio al rito ordinario solo dopo aver sentito le parti e, quindi, provocando il contraddittorio sul punto[87].

In questo modo si garantirebbe un più bilanciato rapporto tra il potere del giudice di convertire il rito e quello delle parti di dimostrare quale sia il percorso processuale migliore per la singola controversia[88].

 

6.2. Segue: l’appendice scritta.

Nel solco delle tematiche esaminate si pone anche la novità introdotta dall’art. 281 duodecies, comma 4°, c.p.c., relativa alla eventuale concessione, in caso di richiesta delle parti e di sussistenza di un «giustificato motivo», di due termini per appendice scritta di trattazione, a valle della prima udienza[89].

Al di là dei poteri esercitabili per il tramite delle memorie ivi previste[90], va sottolineato come la possibilità che il rito semplificato segua due binari processuali differenziati, a seconda delle caratteristiche di maggiore o minore complessità della lite sembrerebbe garantire una maggiore capacità del procedimento in parola, rispetto a quello ordinario, a realizzare i ricercati obiettivi di semplificazione e flessibilità del procedimento.

Del resto, l’inciso «se richiesto» parrebbe presupporre un effettivo dialogo tra parti e giudice nella concessione o meno delle memorie e, quindi, nella determinazione dell’incedere della procedura.

Non pochi dubbi suscita, tuttavia, l’eccessiva discrezionalità concessa al giudice in ordine alla valutazione della sussistenza del «giustificato motivo», che, appartenendo al novero dei concetti giuridici indeterminati, implicherà un notevole impegno esegetico nell’enucleazione di una casistica[91], e susciterà prevedibili contrasti applicativi, anche interni al medesimo ufficio.

Allo stato, possono già segnalarsi due differenti filoni interpretativi.

Una prima lettura, restrittiva, muovendo dalla ratio ispiratrice del rito semplificato, identificabile con l’intento di favorire la speditezza dei processi nelle cause connotate da minore complessità[92], ricostruisce la concessione delle due memorie quale ipotesi affatto eccezionale rispetto alla possibilità del giudice di considerare, già in prima udienza, la causa matura per la decisione[93], ovvero procedere immediatamente all’ammissione e assunzione dei mezzi di prova richiesti e depositati con gli atti introduttivi o in prima udienza.

Secondo una diversa interpretazione, andrebbe favorita una nozione più ampia del «giustificato motivo», con l’intento di garantire l’effettiva tutela del contraddittorio di cui al novellato art. 101 c.p.c. [94] , così da ripristinare, là dove occorra, «la parità delle armi» in capo alle parti[95].

Questa soluzione assicurerebbe un utilizzo più diffuso del rito semplificato, destinato, per scansioni processuali e ampiezza delle prerogative difensive concesse alle parti, a diventare il nuovo modello «ordinario» di introduzione della lite[96].

Quanto pronosticato appare avvalorato dall’esame del dettato normativo del nuovo rito ordinario, che sembra poco limpido in punto di fase introduttiva, specie in merito allo snodo delle verifiche preliminari e alla previsione delle memorie integrative anticipate[97].

In definitiva, nonostante le esposte criticità interpretative, la possibilità che la lite segua percorsi processuali differenziati, all’esito di una valutazione sulla sua concreta complessità, operata di concerto tra giudice e parti, appare comunque idonea a conseguire l’auspicato canone di elasticità procedimentale.

7. Rilievi conclusivi, anche sul ruolo assegnato agli addetti Upp.

Lo scritto si è concentrato sul tentativo di introdurre, mediante l’intervento riformatore del processo civile, tecniche di case management giudiziale, al fine di perseguire una maggiore flessibilità delle forme processuali, in relazione alle esigenze poste dalla singola controversia.

Tuttavia, se dalle enunciazioni di principio si passa all’analisi concreta delle singole disposizioni, appare chiaro che nella disciplina del nuovo rito ordinario il conditor non abbia posto adeguata ponderazione nella ricerca di un punto di equilibrio tra i poteri del giudice di direzione della lite e l’autonomia delle parti nella gestione del processo[98], così da favorire, per tale via, maggior dialogo e collaborazione tra tutti gli attori in gioco[99].

Del resto, fermo che l’adeguato bilanciamento dei rapporti tra giudice e parti appare la precondizione per qualsivoglia riforma (sia strettamente processuale sia strutturale), le novità in punto di elasticità procedimentale del rito non sembrano neppure idonee a centrare, più prosaicamente, il target dell’abbattimento della durata media dei processi[100].

Viceversa, maggiori prospettive di successo nell’ottica qui indagata appare garantire il procedimento semplificato, che si dimostra meno rigido di quello ordinario, in quanto idoneo, a seconda della concessione o meno dell’appendice scritta, a snodarsi in percorsi processuali differenziati in ragione delle caratteristiche di complessità della singola lite.

È tuttavia opinione condivisa quella secondo cui la riscrittura delle regole del processo abbia un’incidenza limitata sulle performance del servizio giustizia, qualora non venga supportata da opportuni investimenti sul piano strutturale[101].

In quest’ottica, va ascritto alla Riforma Cartabia un tentativo di incidere anche su tali aspetti, principalmente attraverso la valorizzazione dell’Ufficio per il processo[102].

Invero, l’art. 5, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 151, recante la disciplina speciale dell’ufficio per il processo, nell’individuazione dei compiti spettanti agli addetti, include alla lett. a) lo svolgimento di «attività preparatorie e di supporto ai compiti del magistrati, quali: studio dei fascicoli, compilazione di schede riassuntive, preparazione delle udienze e delle camere di consiglio, selezione dei presupposti di mediabilità della lite, ricerche di giurisprudenza e dottrina, predisposizione di bozze di provvedimenti, assistenza alla verbalizzazione»; alla lett. b) attività di «supporto al  magistrato nello svolgimento delle verifiche preliminari previste dall’articolo 171-bis del codice di procedura civile nonché nell’individuazione dei procedimenti contemplati dall’articolo 348-bis del codice di procedura civile».

In via generale, dunque, il ruolo disegnato dalla riforma per gli addetti alla suddetta struttura organizzativa contempla certamente un’opera di ausilio per il magistrato nella razionalizzazione delle attività processuali e, quindi, nell’individuazione dell’ordine delle questioni da trattare e risolvere[103].

Inoltre, in virtù di quanto prescritto dalla lett. e) dell’anzidetto art. 5, che attribuisce a tali figure il compito di «supporto per l’attuazione dei progetti organizzativi finalizzati ad incrementare la capacità produttiva dell’ufficio, ad abbattere l’arretrato e a prevenirne la formazione», gli addetti potrebbero svolgere una funzione chiave anche nell’analisi del grado di complessità delle controversie, funzionale all’efficiente allocazione e gestione dei fascicoli, così da agevolare il giudice nella direzione delle udienze e nella programmazione delle proprie attività.

L’accurato studio della controversia[104], con la segnalazione dei profili di complessità eventualmente emergenti, consentirebbe di avere un’idea immediata del «peso» del fascicolo, in modo da organizzare in maniera più razionale le energie necessarie (e sufficienti) alla sua gestione[105].

In proposito, atteso che gli elementi che influenzano l’andamento del processo sono suscettibili di manifestarsi non solo nella fase iniziale, ma durante il suo svolgimento, gli addetti potrebbero contribuire all’opera di organizzazione complessiva del carico di lavoro del giudice[106].

Con particolare riferimento al processo ordinario di cognizione non sembra azzardato supporre un ruolo attivo degli addetti Upp nella rimodulata fase preparatoria, così da supportare il giudice sia nell’espletamento delle verifiche preliminari ex art. 171 bis, sia nel delineare l’iter procedimentale e, in particolare, nel segnalare la possibilità di procedere mediante una soluzione conciliativa, ovvero tramite conversione nel rito semplificato[107].

Analoghe funzioni di ausilio potrebbero essere espletate nell’ambito del rito semplificato mediante, in particolare, la segnalazione dei fattori di complessità che giustificherebbero il passaggio al rito ordinario ovvero la prosecuzione nelle forme semplificate, nonché l’ausilio nell’opera di individuazione delle situazioni legittimanti il «giustificato motivo» per la concessione dell’appendice scritta ex art. 281 duodecies, comma 4°, c.p.c.

Al fine di consentire agli addetti Upp l’acquisizione delle competenze per adempiere i suddetti compiti, sono già stati organizzati dalle Università partecipanti ai progetti presentanti nell’ambito del P.O.N. Governance 2014-2020 corsi di formazione aventi ad oggetto la riforma del processo civile e, in particolare, le incombenze affidate ai vari componenti dell’Ufficio, e, pro futuro, potranno trovare spazio anche nell’ambito dei corsi di laurea attività laboratoriali e seminariali volte a formare gli addetti del domani.

In conclusione, è d’obbligo evidenziare che condizione imprescindibile affinché questo intervento strutturale possa avere un impatto effettivo è il compimento di un cambio di paradigma, che si traduca nella consapevolezza da parte del giudice della funzione manageriale a cui è oggi chiamato[108], nel coordinamento di uno staff di lavoro in cui un ruolo chiave è assegnato agli addetti Upp, non relegati (come avviene in talune realtà) al mero disbrigo di lavoro di cancelleria, ma destinati all’espletamento di funzioni preparatorie della decisione, con l’obiettivo di favorire lo smaltimento dell’arretrato e la migliore gestione delle sopravvenienze[109].

* Il presente scritto è stato realizzato nell’ambito del progetto “Modelli Organizzativi e Innovazione Digitale: il Nuovo Ufficio per il Processo per l’Efficienza del Sistema – Giustizia (MOD-UPP)” – Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Teramo.

[1] V., Le misure per la Giustizia nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, in https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1256082.pdf?_1696846304121.

[2] Sugli obiettivi del piano nazionale di ripresa e resilienza per la giustizia civile, v. M. Fabri, La giustizia civile nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (pnrr), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2022, 927 ss.

[3] Secondo quanto prescritto dall’art. 1, comma 5°, lett. a), l. 26 novembre 2021, n. 206.

[4] Cfr. la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, in Supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale, n. 245, del 19 ottobre 2022, 7.

[5] V. in tema M. De Cristofaro, Case management e riforma del processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in Riv. dir. proc., 2010, 282 ss.; D. Dalfino, Case management e ordine delle questioni, in Studi in onore di Modestino Acone, Napoli, 2010, 847 ss.; B. Ficcarelli, Fase preparatoria del processo civile e case management giudiziale, Napoli, 2011; M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione. Un embrione di case managementall’italiana?, Bologna, 2018.

[6] M. De Cristofaro, Case management, 282 s.

[7] In quest’ottica il case management va letto come tecnica posta a servizio di una razionalizzazione del processo, in funzione del grado di complessità della causa, non più secondo un modello prêt à porter, ma piuttosto secondo un modello su misura, così, efficacemente, L.Cadiet, Complessità e riforme del processo civile francese, in Riv. trim. dir. proc., 2008, 1316 ss. e in (a cura di) A. Dondi, Elementi per una definizione di complessità processuale, Milano 2011, 103 ss., spec. 119 s.

[8] Sul tema della proporzionalità tra forze a disposizione e risultati da conseguire, v., senza pretesa di completezza, R. Caponi,  Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 389 ss.; L. P. Comoglio,  L’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» (aggiornamenti e prospettive), in Riv. dir. proc., 2017, 331 ss.; I. Pagni, Principio di proporzionalità e regole minime tra rito ordinario, rito del lavoro e tutela sommaria, in La tutela dei diritti e le regole del processo, in Quaderni dell’Associazione italiana tra gli studiosi del processo civile Bologna, 2019, 113 ss.; P. Biavati, Il nuovo rito a cognizione semplificata ma esauriente, in Giur. merito, 2010, 2168 ss.; cfr. peraltro sul punto A. Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, V, 1 ss.; Id., La crisi dei processi a cognizione piena e una proposta, in Riv. dir. proc., 2016, 100 ss.

[9] M. De Cristofaro, Case management, cit., 300; D. Dalfino, Case management, 847 ss. Osserva G. Costantino,Il processo civile tra riforme ordinamentali, organizzazioni e prassi degli uffici (una questione di metodo), in Riv. trim. dir. proc., 1999, 77 ss., spec. 88, che tra le regole processuali generali ed astratte del singolo giudice di dirigere il processo esistono spazi che possono e devono essere colmati con il contributo di ciascuno degli operatori del diritto.

[10] Sul sistema processuale inglese v. M. Taruffo, Diritto processuale civile nei paesi anglosassoni, in  Dig., sez. civ., VI, Torino, 1990, 324 ss.; C. Crifò, La riforma del processo civile in Inghilterra, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 511 ss.; L. Passanante, La riforma del processo civile inglese: principi generali e fase introduttiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1353 ss.; Id. Processo civile inglese, in Enc. Dir. Annali, Milano, 2010, III, 960 ss.; J. A. Jolowicz, Il nuovo ruolo del giudice del «pre-trial» nel processo civile inglese, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 1263 ss.; R. Donzelli, La fase preliminare del nuovo processo civile inglese e l’attività di case management giudiziale, in (a cura di) L. Lanfranchi, A. Carratta, Davanti al giudice. Studi sul processo societario, Torino, 2005, 515 ss.; M. De Cristofaro, Case management, cit., 298 ss.; nella letteratura inglese v. in particolare A. A. S. Zuckerman, Zuckerman on Civil Procedure: Principles of Practice, London, 2013; N. Andrews, Andrews on civil process. Court Proceedings, Arbitration & Mediation, London, 2013; cfr. Anche l’interpretazione autentica data alle norme dallo stesso Lord H. Woolf, Acces to Justice, Interim Report to the Lord Chancellor on Civil Justice System in England and Wales, London, 1995; nonchè Id., Civil Justice in the United Kingdom, in The American Journal of Comparative Law 45, no. 4, 1997, 709 ss.

[11] Cfr. sul punto L. Passanante, La riforma del processo civile inglese, cit., 1362, nota 55, secondo il quale il termine «justly» sembra esprimere insieme un concetto di giustizia e adeguatezza.

[12] L. Passanante, La riforma del processo civile inglese, cit., 1362; A. Tedoldi, Procedimento sommario di cognizione, in (a cura di) S. Chiarloni, Commentario del Codice di Procedura Civile, Torino, 2016, 73; M. Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione e la disciplina della conversione del rito, Milano, 2017, 62.

[13] Cfr. CPR rule 1.4, disponibile in https://www.justice.gov.uk/courts/procedure-rules/civil/rules/part01#1.4.

[14] Sul perfezionamento delle tecniche di preparazione dei procedimenti complessi, specie nelle fasi pre-trial presso la Commercial Court, per la gestione della c.d. “monster litigation”, v.  N. Andrews, Controversie civili e complessità – L’esperienza inglese, in (a cura di) A. Dondi, Elementi, cit., 81 ss.

[15] V., sulle caratteristiche dei diversi tracks, L. Passanante, Processo civile inglese, cit., 980 ss.; R. Donzelli, La fase preliminare, cit., 558 ss.; A. Tedoldi, Procedimento sommario di cognizione, cit., 77 ss.; M. Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione, cit., 64 ss.; M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 25.

[16] M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 24.

[17] V. amplius, N.Andrews, Controversie civili e complessità, cit., 69 ss., l’A. individua tre funzioni principali dell’attività di case management: a) sollecitare le parti alla mediazione quando possibile; b) impedire l’eccessiva lentezza e inefficienza della controversia; c) assicurare il corretto proporzionamento delle risorse economiche e umane disponibili.

[18] M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 21.

[19] L. Passanante, Processo civile inglese, cit., 971.

[20] Cfr. sul punto M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 24-25.

[21] L. Passanante, Processo civile inglese, cit., 980.

[22] M. Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione, cit., 63.

[23] V. sul punto C. Silvestri, Tra cultura e impegno riformatore. Il «sistema processo» francese e il procedimento di référé, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 1135 ss., che evidenzia come l’intervento riformatore sia tra più rilevanti, per organicità e ampiezza, tra le numerose modifiche di cui il processo civile francese è stato oggetto.

[24] V. così https://www.gouvernement.fr/action/reforme-de-la-justice.

[25] V. amplius,C. Silvestri, Tra cultura e impegno riformatore, cit., 1138 ss.

[26] C. Silvestri, Tra cultura e impegno riformatore, cit., 1138; Id.,L’esperienza francese della “elasticità” del processo civile. Un esempio per il legislatore italiano, in La tutela dei diritti e le regole del processo, cit., 433 ss. L. Cadiet – E. Jueland, Droitjudiciaireprivé, Paris, 2020, 813, parlano di ecosistema «magistrats, avocats, greffier, huissiers de justice et l’ensamble des autres auteurs du procès dont les interactions façconnent l’écosystéme de la justice».

[27] C. Silvestri, L’esperienza francese, cit., 442.

[28] Sulla modulazione del processo civile francese v. L. Cadiet, Complessità e riforme del processo civile francese, cit., 1311 ss.; M. De Cristofaro, Case management, cit., 298; C. Silvestri, L’esperienza francese, cit., 443; A. Tedoldi, Procedimento sommario di cognizione, cit., 60 ss.; M. Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione, cit., 66 ss.; M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 26 ss.

[29] M. A. Lupoi, Tra flessibilità e semplificazione, cit., 27, definisce la conferenza del Presidente come l’incontro tra il presidente di sezione e gli avvocati per chiarire la necessità della preparazione del caso e la scelta del binario su cui instradare la lite.

[30] C. Silvestri, L’esperienza francese, cit., 447; M. Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione, cit., 66.

[31] Sul punto v. L. Cadiet, Complessità e riforme del processo civile francese, cit., 1316, che evidenzia la necessità del sistema della giustizia di poter offrire a ogni tipo di controversia il percorso che meglio le si adatta in funzione dell’evoluzione della causa; nello stesso senso C. Silvestri, L’esperienza francese, cit., 447; A. Tedoldi, Procedimento sommario di cognizione, cit., 62; M. Abbamonte, Il procedimento sommario di cognizione, cit., 68.

[32] Sul calendario del processo nell’ordinamento francese, cfr. M. De Cristofaro, Case management, cit., 299 ss.; D. Torquato, Di alcuni clichés in tema di calendrier du procès e calendario del processo. Qualche puntualizzazione in merito al nuovo art. 81-bis disp. att. , in Giusto proc. civ. , 2010, 1233 ss. In chiave interna v. infra, § 5.2.

[33] Sulla complessità v. R. Caponi, Processo civile e nozione di controversia «complessa», in Foro it., 2009, V, 136 ss.; C. Gamba, «Standars» di decisione e complessità dei fatti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 259 ss.; P. Biavati, Elasticità e semplificazione: alcuni equivoci, ivi, 2019, 1151 ss.; Id., Le recenti riforme e la complessità trascurata, ivi, 2020, 435 ss. Per approfondimenti, anche in chiave comparata, v. A. Dondi (a cura di), Elementi per una definizione di complessità processuale, cit.

[34] Così F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958, 156 s.; Id., Studi di diritto processuale, IV, Padova, 1939, 398; Id., Istituzioni del processo civile italiano5, Roma, 1956, XXI.

[35] E. Grasso, La collaborazione nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1966, 580 ss. Sul tema v. anche D. Dalfino, Case management, cit., 847 ss.

[36] V. sul punto l’efficace metafora di F. Cipriani, Il processo civile italiano tra efficienza e garanzie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 1243 ss., spec. 1256: «Indi, il processo, una volta ricompattato, va reso elastico, come tale capace di adeguarsi automaticamente alle esigenze di tutte le cause. In diverse e più chiare parole, il processo non deve essere un grande pullman capace di trasportare anche due persone, ma una 500 o, se si preferisce, una Smart suscettibile, all’occorrenza, di allargarsi e ospitare anche 100 persone. Quindi, a parer mio, dopo che per tutto il XX secolo si è vanamente inseguito il mito della c.d. oralità (che tuttavia in Italia, per fortuna, sembra definitivamente superato, tant’è vero che nessuno osa più invocarlo), è sperabile che in questo nuovo secolo sia rivalutato e attuato il principio carneluttiano della elasticità, che in verità fotografa molto bene la necessità che il processo si adegui alle necessità della singola causa».

[37] V. A. Proto Pisani, Tutela giurisdizionale differenziata e nuovo processo del lavoro, in Foro it., 1973, V, 205 ss.; Id. Dai riti speciali alla differenziazione dei riti, ivi, 2006, V, 85 ss.

[38] F. Carpi, La semplificazione dei modelli di cognizione ordinaria e l’oralità per un processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1283 ss. Sul principio per cui il processo deve tendere ad una decisione di merito v. Corte cost. 16 ottobre 1986, n. 220, in Foro it. 1986, I, 2669; Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77, ivi,2007, I, 1009, con nota di R. Oriani; Corte cost., 19 luglio 2013, n. 223, ivi, 2013, I, 2690.

[39] In questi termini G. G. Poli, Il processo senza voce: considerazioni a margine della trattazione cartolare delle udienze civili (I), in Giusto proc. civ., 699 ss.

[40] V. sul punto, G. G. Poli, op. cit.; C. Delle Donne, Udienze (artt. 127-127 ter c.p.c.), in La riforma Cartabia del processo civile, cit., 72 ss.; Id., La nuova disciplina delle udienze dopo la Riforma Cartabia, in Judicium, 2023, 145 ss.; C. Cecchella,  Il processo telematico, in (a cura di) C. Cecchella, Il processo civile dopo la riforma, Bologna, 2023, 84 ss.; S. Rusciano, Modalità alternative di svolgimento dell’udienza: l’udienza da remoto e l’udienza fantasma, in (a cura di) D. Dalfino, La riforma del processo civile, in Foro it., Gli speciali, n. 4 del 2022, 62 ss.

[41] G. G. Poli, op. cit., § 1.

[42] G. G. Poli, op. cit., § 2.

[43] Riprendendo l’immagine della disciplina procedimentale come un abito tagliato su misura descritta da L. Cadiet, Complessità e riforme del processo civile francese, cit., 1316 s.

[44] S. Rusciano, op. cit., 65, osserva come gli strumenti in esame rappresentano una modalità di gestione del procedimento che consente di modulare lo stesso alle effettive esigenze del caso concreto.

[45] Sul tema del rapporto dialettico tra poteri del giudice e autonomia delle parti v. G. Costantino, Il processo civile, cit.. 77 ss.

[46] Cfr. art. 1, comma 17°, lett. l), m), l. 26 novembre 2021, n. 206.

[47] S. Menchini, E. Merlin, Le nuove norme sul processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, in Riv. dir. proc., 2023, 578 ss.; C. Delle Donne, La fase introduttiva, la prima udienza e i provvedimenti del giudice istruttore, in La riforma Cartabia del processo civile, cit., 288 ss.; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado. Introduzione, preclusioni, trattazione e decisione, in Il processo civile dopo la riforma, cit., 84 ss.; G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, in La riforma del processo civile, cit., 93 ss.

[48] V. Relazione illustrativa, 23.

[49] Cfr. sul punto C. Delle Donne, La fase introduttiva, cit., 288.

[50] S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 588.

[51] S. Menchini, E. Merlin, ibidem.

[52] Evidenzia questo aspetto in relazione al tema in esame D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, cit., 51.

[53] Ipotesi ritenuta di rara applicazione dal legislatore, tanto che « Non si è invece ritenuto di attuare la delega nella parte della lett. f che prevede la anticipata facoltà anche per l’attore di chiamare in causa un terzo (se l’esigenza sorge dalle difese del convenuto), in quanto tale facoltà, che peraltro corrisponde a una situazione nella prassi e statisticamente assai rara, avrebbe comportato indistintamente per tutti i giudizi un allungamento dei tempi incongruo rispetto ai benefici perseguiti e soprattutto incompatibile con le finalità di semplificazione e celerità poste dalla delega quali obiettivi generali di tutta la riforma», v. così, Relazione illustrativa, 24.

[54] Va osservato, peraltro, che la chiamata iussu iudicis può avvenire, ex art. 107 c.p.c., in ogni momento, e, quindi, anche successivamente alla prima udienza, con il conseguente possibile nuovo scambio di memorie integrative.

[55] Cfr. artt. 183, 269 c.p.c.

[56] La relativa verifica va compiuta dal giudice ex art. 171 bis c.p.c.

[57] C. Delle Donne, La fase introduttiva, cit., 304; G. Reali, op. cit., 117.

[58] Cfr., amplius, S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 602 ss., là dove, peraltro, si evidenzia (602, nota 67) come il nuovo procedimento metta in queste ipotesi in mostra le sue carenze dal punto di vista della semplificazione e dell’accelerazione del processo.

[59] Sul calendario del processo v. N. Vicino, Note brevi sulla riforma in materia di «calendario del processo»: cambia tutto per non cambiare nulla?, in www.judicium.it, 2023, e, prima della riforma, C. M. Cea, Il calendario del processo, in Foro it ., 2012, V, 154 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, Il calendario del processo , in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1393 ss.; M. F. Ghirga, Le novità sul calendario del processo: le sanzioni previste per il suo mancato rispetto, in Riv. dir. proc ., 2012, 166 ss.; E. Picozza, Il calendario del processo , ivi, 2009, 1650 ss.; D. Torquato, op. cit., 1233 ss. Sull’ordinamento francese v. supra, § 2.

[60] V. sul punto, N. Vicino, op. cit., § 3; E. Picozza, op. cit., 1652.

[61] In questo senso, nella disciplina previgente, E. Picozza, op. cit., 1654 s.

[62] Il calendrier previsto dall’ordinamento francese si sostanzia, invece, in una sorta di programmazione ex ante del processo che viene posta in essere non già in via esclusiva dal giudice, bensì a seguito di un effettivo confronto con le parti, tale da renderlo un esempio di contrat de procédure, v. sul punto N. Vicino, ibidem; e, precedentemente alla riforma, E. Picozza, op. cit., 1651;  D. Torquato, op. cit., 1241 s.

[63] Nel senso che il mancato richiamo dell’inciso «sentite le parti» non possa implicare che il giudice si impadronisca dei tempi del processo ignorando le parti, v. D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, cit., 64; nonché M. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile alla vigilia della riforma del processo civile di primo grado, in Riv. dir proc., 2023, 199 ss., secondo cui il giudice deve necessariamente confrontarsi con le parti nella determinazione del calendario del processo.

[64] Cfr. Relazione illustrativa, 7, 25. Sulle analoghe finalità di flessibilità e semplificazione del rito perseguite dal legislatore nella disciplina del vecchio art 183 bis c.p.c., v. A. Ansanelli, Flessibilità, proporzionalità ed efficienza. Il nuovo art. 183 bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc., 2015, 339 ss.

[65] A. Motto, Prime osservazioni sul procedimento semplificato di cognizione, in www.judicium.it, 2023, § 2; R. Tiscini, Il ruolo del giudice e degli avvocati nella gestione delle controversie, in aispc.it, 44.

[66] Trib. Piacenza, 1° maggio 2023, in www.judicium.it, con nota di B. Limongi.

[67] V. sul punto F. Noceto,  Ambiguità e discrasie nella disciplina del nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, 941 ss., spec. 954 s.

[68] A. Motto, Prime osservazioni, cit., §; R. Tiscini, Il ruolo del giudice, cit., 44; F. Noceto, op. cit., 956; osserva A. Giussani, Le nuove norme sul rito semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, 633, che la conversione del rito ordinario in semplificato ai sensi del nuovo art. 183 bis c.p.c., disposta a seguito dell’esaurimento della fase introduttiva, si riflette solo nel limitare le opzioni disponibili per lo svolgimento della fase decisoria, nella logica della prevedibilità, oltre che dei termini, dei tempi.

[69] Cfr. R. Tiscini, Passaggio dal rito ordinario,cit., 395 ss.; S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 606.

[70] Del resto, il momento in cui il provvedimento può essere adottato (l’udienza) è intrinsecamente vocato al contraddittorio e l’art. 183 bis impone al giudice di sentire le parti prima di provvedere, v. in tal senso, B. Limongi, Conversione del rito (da ordinario a semplificato) per chiamata in causa del terzo. Prime applicazioni del novellato art. 183-bis c.p.c. (Trib. Piacenza, 1° maggio 2023), in www.judicium.it, 2023, §; 5; M. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile, cit., 209, ad avviso dell’A. il contributo delle parti è determinante ai fini della decisione circa il mutamento del rito. In senso contrario, v. Trib. Piacenza, 1° maggio 2023, cit., secondo cui il giudice può disporre d’ufficio la conversione in sede di verifiche preliminari, anche in assenza di contraddittorio sul punto.

[71] Cfr. Relazione illustrativa, 7.

[72] In tema, v., S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 609 ss.; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, cit., 67 ss.; G. Tombolini, Il passaggio alla fase decisoria. La fase decisoria, in La riforma Cartabia del processo civile, cit., 338 ss.; E. Italia, I modelli decisori nel d.leg. 10 ottobre 2022 n. 149: una sfida all’oralità in nome della efficienza, in La riforma del processo civile, cit., 139 ss.

[73] Udienza individuata in via di prassi che rappresenta il confine tra la fase di trattazione e quella decisoria, che generalmente veniva fissata a notevole distanza di tempo dalla chiusura dell’istruttoria.

[74] Cfr., Relazione illustrativa, 7.

[75] In questo senso, v. S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 609 s.

[76] Cfr. art. 275 bis, comma 4°, c.p.c. V. sul punto G. Tombolini, Il passaggio alla fase decisoria. La fase decisoria, cit., 357, secondo cui è altamente elevato il rischio che se il collegio dovesse sovente preferire tale opzione alla pronunzia immediata, il modello decisorio in commento finirebbe per essere in toto sovrapponibile a quello dell’art. 275 c.p.c.

[77] V. in questi termini, S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 611, nota 84.

[78] In termini v. E. Italia, I modelli decisori, cit., 150 ss., che individua nello schema orale di cui all’art. 281 sexies c.p.c. quello che conferisce alla celerità il valore aggiunto dell’oralità, pervenendo ad un accettabile equilibrio tra l’imperativo dell’efficienza e l’irrinunciabile valore del contraddittorio effettivo ed esaustivo.

[79] Sul nuovo procedimento semplificato v. G. Balena, Il procedimento semplificato di cognizione, in La riforma del processo civile, cit., 155 ss.; Id., Il (semi)nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Giusto proc. civ., 2023, 1 ss.; A. Carratta, Due modelli processuali a confronto: il rito ordinario e quello semplificato, in Giur. it. 2023, 697 ss.; F. P. Luiso, Il nuovo processo civile, Milano, 2023, 125 ss.; R. Tiscini, Il procedimento semplificato di cognizione(artt. 281-decies, 281-undecies, 281-duodecies, 281-terdecies c.p.c.), in La riforma Cartabia del processo civile, cit., 405 ss.; A. R. Mignolla, Il processo semplificato, in Il processo civile dopo la riforma, cit., 169 ss.; G. P. Califano, Il «rito semplificato» di cognizione, Bologna 2023, passim; A. Motto, Prime osservazioni, cit.; A. Graziosi, Le nuove norme sul rito semplificato di cognizione, in Riv. dir. proc., 2023, 632 ss.; B. Gambineri, Il procedimento semplificato di cognizione (o meglio il “nuovo” processo di cognizione di primo grado), in Quest. giust., 2023, 67 ss.; P. Sordi, Il nuovo rito semplificato di cognizione, in Prev. for., 2023, 64 ss.; F. Noceto, Ambiguità e discrasie, cit., 941 ss.

[80] Giova ricordare che l’abrogato art. 702 bis c.p.c. prescriveva la possibilità di utilizzare il procedimento sommario di cognizione unicamente nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica.

[81] Cfr. Relazione illustrativa, 7 s.

[82] L’art. 281 decies, comma 1°, dispone che il giudizio debba essere introdotto nelle forme del procedimento semplificato «Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa».

[83] Questa ipotesi dovrebbe ricorrere nei casi di cui all’art. 281 decies, comma 2°, secondo cui, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere sempre proposta nelle forme del procedimento semplificato. Sulle difficoltà interpretative in punto di facoltatività del rito, prima dell’approvazione d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, v. R. Tiscini, Nuove proposte di tutela sommaria tra il Progetto Luiso e il suo «brutto anatroccolo», in Nuove leggi civ., 2021,1217 ss. Sulla nozione di complessità della lite e dell’istruzione probatoria sia consentito il rinvio a E. Fanesi, Prove costituende e profili di complessità della controversia nel procedimento sommario e nel nuovo procedimento semplificato di cognizione, in Foro it., 2023, I, 1629 ss.

[84] Così G. Balena, Il procedimento semplificato, cit. 158.

[85] V. sul punto, R.Tiscini, Il ruolo del giudice, cit., 45.

[86] Osserva G. Balena, Il procedimento semplificato, cit. 158, che l’opzione del giudice per la prosecuzione col rito ordinario, basata sulla complessità «della lite e dell’istruzione probatoria», dovrebbe fondarsi su criteri più rigidi e considerarsi, dunque, alquanto eccezionale. In assenza di sanzioni, tuttavia, nulla vieta che il giudice muti il rito anche in casi in cui in concreto non siano riscontrabili i citati presupposti.

[87] Cfr, in questo senso M. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile, cit., 208, secondo cui il dialogo e l’approfondimento che si avrà tra parti e giudice in occasione della prima udienza costituisce un passaggio fondamentale onde stabilire se in concreto la causa richieda trattazione con il rito «formale» e, pertanto, s’imponga la fissazione di nuova udienza ex art. 183 c.p.c. con assegnazione dei termini per le memorie ex art. 171-ter c.p.c., in quanto, ad avviso dell’A., la chiarificazione dei presupposti che giustificano il mutamento del rito deve essere necessariamente il frutto di un contributo dialettico di tutta la «comunità processuale».

[88] Su queste tematiche v., amplius, R. Tiscini, Il ruolo del giudice, cit., 42 ss.

[89] Va ricordato che l’abrogato art. 702 ter c.p.c. non prevedeva nel procedimento sommario di cognizione la concessione di termini per il deposito di memorie scritte.

[90] In tema di preclusioni nel nuovo procedimento semplificato v. M. Rendina, Rito semplificato e preclusioni ( … cercando Itaca), in Giusto proc. civ., 2023, 829 ss.

[91] V. sul punto G. Balena, Il procedimento semplificato, cit., 162; per analoghe considerazioni, in tema di mediazione, v. M. Bove, La mancata comparizione innanzi al mediatore, in Società 2010, 759 ss.

[92] Invero, dalla Relazione illustrativa, cit., 30 si ricava come, nel delineare la struttura del rito semplificato, in ossequio al principio di delega, «(…) sono state mantenute le principali caratteristiche di concentrazione e snellezza proprie del rito sommario, in quanto compatibili con la sua natura di giudizio a cognizione piena».

[93] La causa è decisa, ai sensi dell’art. 281 terdecies, c.p.c., a norma dell’art. 281 sexies, o ex art. 275 bis, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale.

[94] Una indicazione a favore della soluzione di tale soluzione può rinvenirsi nella posizione espressa sul punto dal Tribunale di Milano che, al fine di garantire l’effettiva tutela del contraddittorio di cui al novellato art. 101 c.p.c. (su cui v. R. Donzelli, Note sul nuovo art. 101 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2023,214 ss.; C. Delle Donne, Principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), in La riforma Cartabia del processo civile, cit., 59 ss.) ha ritenuto opportuno interpretare il requisito del «giustificato motivo» in senso estensivo, così da incentivare l’uso del procedimento in parola, rendendo «(…) ancora più effettivo il diritto di difesa delle parti anche nel procedimento semplificato di cognizione». L’indicazione data dal Tribunale di Milano è disponibile in www.ilprocessocivile.it, 20 marzo 2023.

[95] V. in questo senso, Relazione illustrativa, 17.

[96] A favore di questa soluzione depone l’evoluzione del quadro legislativo; il riferimento è, in ordine cronologico, al d.d.l. approvato dalla Camera dei Deputati il 10 marzo 2016, contenente la «Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile» e approdato al Senato (A.S. n. 2284), la cui approvazione è stata impedita dalla fine della legislatura; al d.d.l. recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie» (A.S. n. 1662), il cui iter di riforma è stato portato a compimento dalla l. 26 novembre 2021, n. 206 e dal relativo decreto attuativo, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. In dottrina, sull’intentio legis di progressiva trasformazione del rito sommario in rito ordinario di cognizione dinanzi al tribunale in composizione monocratica v. A. Tedoldi, La conversione dal e nel sommario, in Giur. it., 2020, 461 ss., spec., 474 s.

[97] V. così A. Carratta, Due modelli, cit., 701; G. Balena, Il procedimento semplificato, cit., 165; F. Rosada, Procedimento semplificato di cognizione e barriere preclusive: segnale distensivo della decima sezione civile del Tribunale di Milano, in www.ridare.it, 17 marzo 2023. Sulla fase introduttiva del nuovo rito ordinario v. G. Reali, La fase introduttiva e della trattazione, in La riforma del processo civile, cit., 77 ss.; D. Buoncristiani, Il processo di primo grado, cit., 49 ss.; C. Delle Donne, La fase introduttiva, cit. 288 ss.; S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 578 ss.

[98] In senso contrario appare M. De Cristofaro, L’avvocato e il giudice civile, cit., 199 ss., spec. 205, secondo il quale la necessità di leale collaborazione tra (difensori delle) parti e giudice viene esaltata, se non sublimata, negli spazi tracciati dal decreto legislativo di riforma del c.p.c.

[99] Sulla ricerca di un equilibrato bilanciamento tra poteri del giudice ed autonomia delle parti, cfr., amplius, G. Costantino, Il processo civile, cit. 95 ss.

[100] I target finali per la giustizia civile ordinaria da conseguire entro la metà del 2026 sono l’abbattimento dell’arretrato civile del 90 % in tutti i gradi di giudizio; la riduzione del 40 % della durata media dei procedimenti civili. V. sul punto A. Di Florio, L’ufficio per il processo, in (a cura di) G. Costantino, La riforma della giustizia civile, Bari, 2022, 121 ss.; spec. 131.

[101] Su questi aspetti, di recente, v. S. Menchini, E. Merlin, op. cit., 578, là dove si evidenzia come le regole processuali influiscono poco o nulla sulla durata del processo, dipendendo quest’ultima da due fattori: l’organizzazione degli uffici giudiziari; i tempi necessari per la decisione della causa.

[102] Il riferimento è al d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 151. Sull’ufficio per il processo v., senza pretesa di completezza, F. Auletta, S. Rusciano (a cura di), Ufficio per il processo,inCommentario del Codice di Procedura Civile, cit., 2023; R. Caponi, Un orizzonte aperto su una nuova forma di vita giudiziaria: l’ufficio per il processo, in www.questionegiustizia.it; M. Brunialti, L’ufficio per il processo, in La riforma del processo civile, cit.,601 ss.; A. Di Florio, op. cit., 121 ss.; A. Alfieri, L’ufficio per il processo: una possibile rivoluzione culturale nell’organizzazione degli uffici giudiziari, in Giusto proc. civ., 2022, 1197 ss.;L. R. Luongo, Le funzioni degli «addetti» all’ufficio per il processo nel sistema della giustizia ordinaria, in www.judicium.it, 2022; M. L. Guarnieri, La morfologia dell’ufficio per il processo e il ruolo dell’addetto Upp nelle dinamiche del giudizio di cognizione riformato, ivi, 2023; G.Parisi, L’ufficio per il processo civile e l’ufficio del processo di esecuzione forzata dopo il d. lgs. n. 151/2022, in Riv. esec. forzata , 2023, 681 ss.

[103] V. in tema D. Dalfino, Case management, cit., 851 ss.; G. Fanelli, L’ordine delle questioni di rito nel processo civile di primo grado, Pisa, 2020.

[104] Sull’importanza di un attento studio del fascicolo da parte degli addetti all’Ufficio per il processo, v. I. Pagni, L’Ufficio per il processo: l’occasione per una (ulteriore) osmosi virtuosa tra teoria e pratica, con uno sguardo alle riforme processuali in cantiere, in Questione giustizia, 17 novembre 2021, § 3.

[105] Su tali aspetti v., E. Borselli, L. Dani, L’organizzazione del lavoro del giudice alla luce della riforma del processo civile. Pesatura dei fascicoli e gestione della complessità delle controversie, in www.judicium.it, 2023. Per approfondimenti in tema di pesatura dei procedimenti, v. M. Fabri, Metodi per la pesatura dei procedimenti giudiziari in Europa, in www.questionegiustizia.it, 23 novembre 2020; Id.,Quando uno non vale uno. Gli effettivi carichi di lavoro degli uffici giudiziari attraverso la pesatura dei procedimenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2023, 1011, ss.

[106] Cfr., E. Borselli, L. Dani, op. cit., § 5.

[107] Del resto già la Commissione Luiso, aveva evidenziato come, sul piano organizzativo, «l’ufficio per il processo costituisce un tassello fondamentale per aiutare il giudice che dovrà poi decidere la controversia a svolgere in modo più efficiente tutto il lavoro preparatorio della decisione stessa», v. Proposte normative e note illustrative, cit., 2.

[108] Sul punto v. già le conclusioni cui perveniva la Commissione Luiso, Proposte normative e note illustrative, cit., 8.

[109] Sulla questione cfr. i rilievi di M. Brunialti, op. cit., 601 s.