Le Sezioni unite si pronunciano sul “travisamento della prova”

nota a Cass., Sez. un., 5 marzo 2024, n. 5792, Pres. Virgilio, Est. Di Marzio

Di Biagio Limongi -

Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale” (principio di diritto).

È possibile denunziare in sede di legittimità (ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale) l’errore in cui sia incorso il giudice di merito quando, trattandosi di “fatto probatorio” controverso tra le parti, abbia supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Per “fatto probatorio” si intende non già il fatto storico che per mezzo dell’istruzione probatoria deve accertarsi, bensì l’oggetto della percezione del giudice (il documento, la foto, la dichiarazione, l’indizio etc.). Quando, invece, il giudice sia incorso in una svista sul “fatto probatorio” in sé, ed esso non era controverso tra le parti, la sentenza è impugnabile, in concorso dei presupposti richiesti, con revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.” (massima non ufficiale).

 

1. La vicenda – Cass., Sez. un., 5 marzo 2024, n. 5792 si pronuncia attorno alla possibilità di denunziare in sede di legittimità il “travisamento della prova” nel quale sia incorso il giudice di merito. L’intervento del massimo organo nomofilattico era stato sollecitato da due ordinanze di rimessione: la prima della Sezione lavoro (Cass., ord. int., 29 marzo 2023, n. 8895)[1] e la seconda della Sezione terza (Cass., ord. int., 26 aprile 2023, n. 11111)[2], sul presupposto del perdurante contrasto nella giurisprudenza delle diverse sezioni. La sentenza in epigrafe è resa in risposta alla seconda delle ordinanze citate.

È bene muovere dal caso concreto. Gli eredi di un noto pittore agivano nei confronti di una galleria d’arte per la restituzione di un quadro. In primo grado la domanda era accolta, avendo il giudice ritenuto (per quanto qui interessa) che due lettere provenienti dalla galleria avessero valore confessorio. La Corte d’appello però andava di contrario avviso, negando che alle dichiarazioni contenute nelle missive potesse riconoscersi tale efficacia (in estrema sintesi: la prima – risalente al 1967, quando il pittore era ancora in vita – non era indirizzata all’artista né a un suo rappresentante, e comunque non menzionava espressamente il dipinto di cui è causa; la seconda, del 2012, in quanto «non concerneva, univocamente, un fatto sfavorevole al preteso confitente, e favorevole agli eredi»). Dunque, esaminati pure gli ulteriori elementi istruttori, la Corte territoriale ribaltava la decisione.

Gli eredi interponevano ricorso per cassazione, denunziando, per quanto qui interessa: la violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2730, 2733 e 2735 c.c., per avere la Corte apprezzato liberamente una prova legale; il vizio di motivazione (motivazione inesistente, ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c.) nella parte in cui la Corte aveva negato che la seconda lettera della galleria avesse valore confessorio; la violazione dell’art. 115 c.p.c. per travisamento della prova, avendo utilizzato «informazioni probatorie del tutto diverse ed inconciliabili»[3] con quelle contenute nelle due comunicazioni della galleria.

Nell’ordinanza di rimessione (n. 11111/2023) il collegio investito del ricorso manifesta di ritenere che la Corte territoriale fosse non soltanto incorsa nel vizio di motivazione, ma anche «nella violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. […] laddove ha palesemente travisato il contenuto oggettivo delle prove documentali, nonostante il relativo significato univocamente dimostrativo della titolarità del dipinto in capo al pittore e, conseguentemente, non ha riconosciuto valore di confessione stragiudiziale» alle più volte menzionate lettere, in particolare «non attribuendo alla parola ‘prestito’ e all’invito a ritornare ‘in possesso del dipinto’ l’unico significato giuridicamente ed oggettivamente percepibile, e cioè quello, da un canto, dell’esistenza di un diritto dominicale in capo all’autore, dall’altro, della qualità di mero comodatario»[4] della galleria. Conclusioni, queste, che avrebbero condotto all’accoglimento delle censure avanzate dai ricorrenti, ma che evidentemente si reggono sull’idea che sia possibile censurare per cassazione il c.d. travisamento della prova.

Idea, come anticipato, non condivisa però da altra parte della giurisprudenza[5]: da qui, la rimessione alle Sezioni Unite.

2. L’orientamento “aperturista” (in particolare, l’ord. int. Cass., n. 11111/2023) – L’ordinanza interlocutoria n. 11111/2023 sposa una linea secondo la quale vi è uno spazio che residua tra l’errore percettivo che dà luogo a revocazione (art. 395, n. 4, c.p.c.) e l’errore di valutazione «nell’apprezzamento dell’idoneità dimostrativa della fonte di prova», che non è mai censurabile in sede di legittimità: si tratta dall’errore di percezione «che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova[6], qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti». Un tale errore sarebbe censurabile per cassazione attraverso l’art. 115 c.p.c., perché esso stabilisce l’illegittimità dell’evenienza in cui «il giudice di merito abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistevano nel processo e che tuttavia comunque sostengono illegittimamente la decisione che ha definito il giudizio di merito»[7].

Peraltro, viene precisato, non ci sarebbe sovrapposizione tra travisamento del fatto e travisamento della prova: il primo richiederebbe al giudice di legittimità di «esaminare più atti per interpretarli e coordinarli tra loro con un’operazione di ricostruzione logica e argomentativa, che tipicamente appartiene al merito» (e dunque non è mai deducibile ex art. 360 c.p.c.); il secondo, invece, richiederebbe una «quasi meccanica» operazione di raffronto di testi.

L’errore – il travisamento della prova – di cui si tratta consiste nell’aver il giudice utilizzato illegittimamente un’informazione probatoria, in quanto tale informazione non esiste nel processo, a causa di un errore qualificato come percettivo[8]. Si fanno i casi delle fonti mai dedotte in giudizio (ad es. una testimonianza mai escussa) oppure – ciò che sarebbe accaduto nel caso di specie – di dati informativi elaborati a partire da una fonte effettivamente appartenente al giudizio (ad es., un documento) «ma che si sostanziano nell’elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferirle»[9]; informazioni delle quali «risulti preclusa alcuna connessione logico-significativa con le fonti o i mezzi di prova cui il giudice ha viceversa inteso riferirle», e sempre che siano decisive[10].

L’ordinanza interlocutoria ritiene inaccettabile che in siffatte ipotesi – nelle quali il giudice avrebbe utilizzato informazioni inesistenti nel processo – non sia dato alla parte alcun rimedio: ne risulta, secondo questa lettura, «un’inemendabile forma di patente illegittimità della decisione», con lesione del principio (costituzionale e convenzionale[11]) di effettività della tutela giurisdizionale. Tale errore del giudice, infatti, non rientra nella previsione dell’art. 395, n. 4, c.p.c., perché quest’ultima si riferisce a un errore commissivo[12] e, soprattutto, perché ne è escluso l’impiego quando il punto sia controverso[13]; né in quella dell’art. 360, n. 5, c.p.c., come interpretato da una stabile giurisprudenza di legittimità, inaugurata da Cass., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054[14]; né, infine, nel vizio della motivazione, nella misura in cui sia censurabile in sede di legittimità secondo l’insegnamento della sentenza ult. cit. (e cioè, nella misura in cui «l’anomalia motivazionale» «si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé»[15] e sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata).

Pare fuori di dubbio, infatti, che nel regime antecedente al 2012 (prima cioè che il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, modificasse il tenore dell’art. 360, n. 5, c.p.c.) il controllo della Suprema Corte, in un caso come quello esaminato, sarebbe certamente stato ammesso sotto le insegne del sindacato sulla insufficienza della motivazione, per il profilo dell’inidoneità del percorso argomentativo seguito in punto di fatto a fondare la decisione[16]. Oggi – lo dice chiaramente l’ordinanza interlocutoria – l’impossibilità di attivare il controllo della Suprema Corte rappresenta un arretramento rispetto alla situazione ante 2012, determinando un vuoto di tutela: così può spiegarsi, in ultima analisi, la riacquisita centralità del concetto di travisamento della prova[17].

Secondo Cass., n. 11111/2023, in conclusione, il travisamento della prova, inteso nei termini già esposti[18], sarebbe censurabile in sede di legittimità, sempre che concorrano le ulteriori condizioni già puntualizzate dalla giurisprudenza antecedente: a) che le parti abbiano discusso in giudizio del contenuto oggettivo della prova[19]; b) che l’errore sia decisivo[20]; c) il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso in termini «di assoluta certezza». L’affermazione e la dimostrazione di tali requisiti è, naturalmente, un onere che ricade sulla parte ricorrente.

3. L’orientamento “rigoroso” (in particolare, l’ord. int. Cass., n. 8895/2023) – Si è detto più volte che l’orientamento che ammette la doglianza del travisamento della prova si scontra con altra (più cospicua) parte della giurisprudenza di legittimità. Tale maggioritaria e “rigorosa” posizione è ribadita, da ultimo, dall’altra ordinanza di rimessione sopracitata, Cass., ord. int., n. 8895/2023.

Secondo questa tesi, tra errore percettivo (revocatorio) ed errore valutativo (o di giudizio) tertium non datur[21]: se l’errore cade sulla percezione o ricezione della prova da parte del giudice del merito, si tratta di vizio denunziabile con la revocazione; se invece il giudice, esattamente percepito il fatto, abbia però omesso di valutarlo o lo abbia valutato, ma in modo insufficiente o illogico, allora si versa in errore di giudizio, non più censurabile in sede di legittimità dopo la novella del 2012[22].

Non vi sarebbe spazio, dunque, in questo ambito, per l’impiego dell’art. 115 c.p.c. quale norma parametro del sindacato della Corte, perché l’errore cui si allude con l’espressione “travisamento della prova” ridonderebbe sempre in un errore di giudizio: ciò che sul piano del ragionamento giudiziale si giustifica sia sul presupposto che non esistono «prove chiare»[23], sia con il fatto che, trattandosi di un punto controverso tra le parti, «la presenza del contrasto dimostrerebbe che il giudice ha dovuto comunque operare una scelta tra posizioni contrapposte, esprimendo così un giudizio sul punto, con un errore di valutazione insindacabile in sede di legittimità»[24].

Sul piano istituzionale, si aggiunge, ad ammettere il travisamento della prova si rischierebbe lo scivolamento della Suprema Corte «verso una inconsapevole trasformazione in un tribunale di terza istanza»[25].

4. Il percorso argomentativo delle Sezioni unite – Nell’ampia motivazione le Sezioni unite dichiarano di aderire alla tesi restrittiva.

La posizione proposta da Cass. n. 11111/2023 è confutata anzitutto sul piano logico: essa sarebbe inaccettabile in quanto contraddittoria. La contraddizione consisterebbe in ciò: nella definizione di travisamento della prova proposta dalla Sezione terza (aver il giudice utilizzato «dati informativi riferibili a fonti mai dedotte» e «dati informativi che si riferiscono a fonti appartenenti al processo […] ma che si sostanziano nell’elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferibile») si anniderebbe la mescolanza dell’errore di percezione con quello valutativo; ma, secondo il Supremo collegio, il fraintendimento «del contenuto informativo ricavabile dal dato probatorio» non si può qualificare come errore percettivo (e dunque, in ultima analisi, come errore “revocatorio”)[26]. Ciò potrebbe sostenersi soltanto negando la «cesura» tra significante e significato; ma tale cesura vi è sempre: allora l’errore sul significato (errore valutativo) non può mai confondersi con l’errore sul significante (errore percettivo, “revocatorio”).

Le Sezioni unite ritengono che il problema del travisamento della prova non sia sorto dopo la riforma del 2012: richiamano, come pure Cass., n. 8895/2023 (e tutte le altre pronunce che si iscrivono al filone “rigoroso”), una risalente tradizione giurisprudenziale[27] che nega l’accesso alla doglianza per travisamento della prova. Ma, se è certamente vero che il controllo della motivazione in sede di legittimità è oggetto di secolari ed inevitabili tensioni («nihil sub sole novi») fra le diverse concezioni di “cassazione”, è altrettanto vero che oggi la questione assume la sua specificità per effetto della novella del 2012, che ha visto sparire ogni riferimento al controllo sulla motivazione nell’art. 360 c.p.c.: sicchè, anche in presenza di un orientamento maggioritario incline a interpretare restrittivamente l’art. 360, n. 5, c.p.c., è fisiologico, di fronte a ritenuti “casi limite”, che la giurisprudenza tenti di incunearsi nella strettoia tra il “minimo costituzionale” e l’“omesso esame circa un fatto”.

Ma la pronuncia in epigrafe si pone a difesa dell’intervento legislativo del 2012, ritenendo che l’orientamento aperturista si risolva «nel palesato intento, confliggente con la stessa funzione istituzionale della Corte di cassazione di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge»[28]; meritano anzi, secondo il Supremo collegio, di essere preservati gli scopi che il legislatore del 2012 intendeva realizzare, individuati nel contrasto al rischio di «randomizzazione del giudizio» (che si anniderebbe nella latezza della nozione di insufficienza della motivazione) e nella volontà di frenare «l’assedio dei ricorsi», dall’altro.

Quanto all’esigenza di giustizia della decisione, che, lo riconoscono le stesse Sezioni unite, sta evidentemente al fondo della tesi ricusata, Cass., n. 5792/2024 replica che dalla posizione restrittiva non sorge pericolo alcuno: se si è verificato un errore di percezione del dato probatorio, la “giustezza” della decisione è preservata dal mezzo di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., se ne ricorrono tutte le condizioni; se si è verificato un errore di giudizio, residua il controllo della motivazione, anche in sede di legittimità, nel limite del “minimo costituzionale”.

 

5. Se accade l’“imponderabile” – È però proprio «l’esigenza di giustizia» (sotto il profilo dell’esistenza di un adeguato strumento di controllo della decisione, della «preoccupazione» «del consolidarsi di un’inemendabile forma di patente illegittimità della decisione») che sembra animare gli ultimi passi della motivazione.

Quid se l’errore percettivo cada su un fatto probatorio controverso – quando cioè le parti abbiano dibattuto su di esso e il giudice abbia accolto in proposito la prospettazione di una di esse – e, perciò, non sia denunziabile con la revocazione? L’esempio fatto è il seguente. Una parte produce una fotografia assumendo rappresenti un autoveicolo; la controparte sostiene invece che la foto raffiguri altro, ad es. un fiume; il giudice aderisce alla prospettazione della seconda. Quid, allora, se accade ciò che la Corte definisce «l’imponderabile» e cioè che il giudice cada in una «svista» perché ad essere rappresentato nella foto è proprio l’autoveicolo?

Ora, se ben si comprende, a seguire il ragionamento di Cass., n. 5792/2024 nell’esempio si verserebbe in un errore – per quanto abnorme – di giudizio: e cioè il giudice avrebbe consultato una certa fonte effettivamente acquisita nel processo desumendone un dato informativo palesemente errato. Sembra, cioè, trattarsi proprio di quel «dat[o] informativ[o] che si riferisc[a] a font[e] appartenent[e] al processo […] ma che si sostanz[i] nell’elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferibile» di cui parla l’ordinanza n. 11111/2023. È possibile censurare un siffatto errore – che il dibattito giurisprudenziale etichetta (insieme ad altre ipotesi[29]) con il nome di “travisamento della prova” – attraverso il ricorso per cassazione?

Stando alla ricostruzione sintetizzata nel paragrafo precedente, si tratterebbe di un errore la cui denuncia con ricorso per cassazione sarebbe da giudicare inammissibile. Le Sezioni unite, però, vedono nella situazione descritta un’ipotesi in cui «il giudice ha pur sempre supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; il fatto posto a sostegno della decisione, quantunque il giudice abbia deciso, non esiste nei termini in cui egli lo abbia recepito; si tratta, diremmo, di un non-fatto, un fatto la cui considerazione, nella sua effettiva oggettività, è stata in fin dei conti omessa». Con una precisazione, che è collocata nelle pagine antecedenti al principio di diritto: il “fatto controverso” di cui si tratta è esclusivamente il «fatto probatorio rilevante ai fini del giudizio» e non anche il fatto storico eventualmente controverso[30].

Si potrebbe obiettare – nell’ottica dell’orientamento cui mostra di aderire la sentenza in epigrafe – che una tale conclusione postuli proprio l’esistenza di quella «prova chiara» (la fotografia che incontestabilmente mostra un autoveicolo e non un fiume) che è il presupposto (ritenuto fallace dalle stesse Sezioni unite) del ragionamento di Cass. n. 11111/2023[31]. In verità, il riferimento alla «prova chiara» non pare davvero dirimente. Come è stato efficacemente scritto, «la valutazione discrezionale di un testo probatorio dovrebbe sempre rispettare dei confini, che sono propriamente identificabili con il perimetro di tutti i significati possibili di un testo che rispondono a una logica spiegabile, aperta alla condivisione collettiva»[32].

E infatti, è lo stesso Supremo collegio a ritenere che tale vizio sia denunziabile anche in sede di legittimità, a seconda del caso con il mezzo di cui all’art. 360, nn. 4 o 5, c.p.c. Se riferito a fatti processuali (attraverso il n. 4), o a fatti sostanziali (attraverso il n. 5) il caso in cui «il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita» è infatti ritenuto dalla pronuncia in commento denunziabile in cassazione, in quanto determini nel giudizio un errore di carattere omissivo; non tanto – par di capire – perché vi sia «omesso esame di un fatto» (l’autoveicolo), quanto perché si sia affermato appunto un «non-fatto» (il fiume)[33].

È a questa particolare situazione a cui il principio di diritto, enunciato a chiusura dell’ampia motivazione, si riferisce – è da ritenersi – quando afferma che il travisamento della prova è vizio da farsi valere in sede di revocazione, aggiungendo però che «ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale»: ossia, nella misura in cui l’errore sia consistito nella «supposizione di un non-fatto», e cioè, riprendendo le parole della sentenza, nell’affermazione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Per tornare all’esempio: quando il giudice – a valle del contraddittorio tra le parti – abbia riconosciuto un fiume nella foto di un autoveicolo.

Ne risulta allora un’apertura alle ragioni dell’orientamento rappresentato da Cass., n. 11111/2023, ancorchè espressamente rigettato, più di quanto non si evinca dal principio di diritto; apertura giustificata dal fatto che, come riconoscono le Sezioni unite, non ammettendo in questo caso il ricorso per cassazione, si verificherebbe un vuoto di tutela in precedenza colmato dalla possibilità – negata dal vigente art. 360, n. 5, c.p.c. – di denunziare il vizio di motivazione.

In chiusura di queste brevissime note, è bene segnalare che il principio di diritto affermato non trova alcuna applicazione nel caso concreto. La Corte osserva che nel caso di specie non vi è stata alcuna «dispercezione», ma, al più un errore valutativo attorno alla possibilità di riconoscere una confessione nelle dichiarazioni provenienti dalla galleria e prodotte in giudizio. La sentenza impugnata, infatti, non tradisce l’avvenuta «supposizione di un non-fatto», ma si è limitata, con motivazione rispettosa del “minimo costituzionale” e dunque insindacabile in sede di legittimità, ad escludere la valenza confessoria dei due documenti.

[1] In Riv. dir. proc., 2023, 1253 ss., con nota di V. Capasso, Sul travisamento della prova nel processo civile; v. anche il saggio di R. Poli, Logica del giudice e travisamento della prova (a proposito di Cass. 29 marzo 2023, n. 8895), in Judicium, 2023, 111 ss.

[2] In Riv. dir. proc., 2023, 1211 ss., con nota di G. Raiti, Il travisamento della prova nel processo civile e la sua controversa censurabilità in cassazione e in Ius processo civile, 2023, con nota di R. Metafora, Alle Sezioni unite la questione della ricorribilità in cassazione del c.d. travisamento della prova.

[3] V. Cass., n. 5972/2024, § 8.3.

[4] V. Cass., n. 11111/2023, § 3.4.

[5] I presupposti del dibattito e le singole questioni che in esso si agitano sono efficacemente riassunti da M. Pagnotta, Note a margine di un recente dibattito, in questa Rivista, 2023, passim.

[6] L’errore cade sul «demostratum» e non sul «demostrandum»: così Cass., n. 11111/2023, § 6.2.

[7] Sebbene la nozione di travisamento della prova sia tutt’altro che recente, le condizioni dell’attuale dibattito sono state poste – come si dirà anche infra nel testo – dalla novella che nel 2012 ha modificato l’art. 360, n. 5, c.p.c. Per prima Cass., 5 maggio 2015, n. 10749 ha affermato che, ferma restando l’incensurabilità del travisamento del fatto, diversa è l’evenienza in cui si censuri il travisamento della prova «che implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale»: il giudice di legittimità deve, in tali casi, accertare che l’esistenza di «un dato probatorio inequivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi ed alternativi» (in altri termini, che l’informazione dedotta dal giudice non sia in alcun modo reperibile nella fonte probatoria), al ricorrere delle ulteriori condizioni della decisività dell’informazione e che al ricorso venga allegato l’atto a mezzo del quale è acquisita l’informazione al processo. La «convinta adesione» ai principi di Cass., n. 10749/2015 è professata da Cass., 9 marzo 2022, n. 12971 e Cass., 3 maggio 2022, n. 13918, su cui v. infra. Gli argomenti esposti nell’ordinanza n. 11111/2023 sono approfonditamente svolti da Cass., 21 dicembre 2022, n. 37382. Per ulteriori precedenti favorevoli alla censura per travisamento della prova in sede di legittimità, con indicazioni attorno alla fattispecie concreta e alla rilevanza dell’affermazione di principio nella soluzione dei singoli casi, v. R. Poli, Logica del giudice e travisamento della prova, cit., 113 ss., testo e note. Sull’impiego dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., quale strumento per dedurre il travisamento della prova, v. Cass., 12 aprile 2017, n. 9356, che pone in evidenza la figura dell’errore percettivo (percettivo in quanto «altro è ricostruire il valore di un fatto od atto […] altro è individuarne il contenuto oggettivo») caduto su una circostanza che è stata oggetto di discussione tra le parti: tale errore, che “non passa” né nell’art. 395, n. 4, c.p.c., né nell’art. 360, n. 5, c.p.c., determina una violazione dell’art. 115 c.p.c., che «implicitamente vieta di fondare la decisione su prove “immaginarie”, cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte». Nel senso di fondare la censura sull’art. 115 c.p.c. I. Pagni, Travisamento della prova, difetto di motivazione ed errore revocatorio, in Riv. dir. proc., 2023, 576; R. Poli, Logica del giudice e travisamento della prova, cit., 121 ss.; appare nel complesso sfavorevole G. Raiti, Il travisamento della prova, cit., 1225.

[8] V. chiaramente ad es., Cass., n. 9356/2017 e Cass., n. 37382/2022.

[9] Cass., n. 11111/2023, § 4.3.

[10] Cass., n. 11111/2023, § 6.1.1.

[11] Si richiama il diritto a che i limiti all’accesso all’organo giudiziario d’impugnazione non siano «tali da inciderne la sostanza».

[12] «La supposizione del fatto o della sua inesistenza ‘non può essere implicita, ma dev’essere espressa’, sicchè il giudice deve ‘dichiarare espressamente che un atto o documento di causa esista o abbia un determinato contenuto’».

[13] Oltre alla sentenza citata in nota precedente, molto chiara sul punto anche Cass., 4 marzo 2022, n. 7187: «il discrimine tra la denuncia della nullità processuale in sede di legittimità ex art. 360, n. 4, c.p.c., e del vizio revocatorio dinanzi al giudice che ha emesso la sentenza va individuato, rispettivamente, nell’essere controverso o meno il fatto in questione». Questo aspetto appare, in verità, non poco scivoloso: in particolare ciò che non appare univoco è se sia sufficiente, per mandare l’errore esente da revocazione (e così generare quel “vuoto di tutela” che l’orientamento aperturista si propone di colmare), che il punto controverso sia il fatto storico da accertare attraverso la prova o il contenuto oggettivo della prova stessa. Da quanto si dirà subito infra nel testo, pare trattarsi della seconda alternativa; ma se si ha riguardo al caso concreto, emerge che controverso non era il contenuto oggettivo della prova – era incontroverso cioè il contenuto delle missive – ma era controverso il fatto storico o, al più, il valore probatorio da attribuire alle dichiarazioni.

[14] In Riv. dir. proc., 2014, 1594 ss., con nota di F. Porcelli, Sul vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo”.

[15] È il c.d. “minimo costituzionale” della motivazione, che è violato in presenza di una di queste ipotesi: mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, «motivazione apparente, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella motivazione «perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; è invece negata la rilevanza della semplice “insufficienza”.

[16] D’altro canto, all’indomani del d.l. 83/2012 (conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134), in dottrina si era da subito evidenziato che, lungi dal fruttare l’auspicata riduzione del carico di lavoro della Suprema Corte, la modifica dell’art. 360, n. 5, c.p.c. attuata nel 2012 ponesse «più problemi di quanti non ne risolva»: così B. Sassani, Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla sua (in)controllabilità in cassazione, in Corr. giur., 2013, 849; ancora, per tutti, C. Consolo, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di “svaporamento”, in Corr. giur., 2012, 1133 ss.

[17] Sul rapporto tra la reviviscenza del dibattito sul travisamento della prova e l’ultima riscrittura dell’art. 360, n. 5, c.p.c. – rapporto che è chiaramente evidenziato da entrambe le ordinanze di rimessione (v. pag. 8 dell’ord. n. 8895/2023 e i §§ 5 ss. dell’ord. n. 11111/2023) – in dottrina v. I. Pagni, Travisamento della prova, difetto di motivazione ed errore revocatorio, cit., passim e spec. 568 ss.

[18] La pluralità di situazioni che si possono ricondurre all’espressione “travisamento della prova” è chiaramente rappresentata da R. Poli, Logica del giudice e travisamento della prova, cit., passim.

[19] Sottolinea particolarmente questo aspetto G. Raiti, Il travisamento della prova, cit., 1216, 1222 ss., quale presupposto che impedisce nel caso di specie l’impiego della revocazione. V. comunque retro, nota 13.

[20] «In quanto la motivazione sarebbe stata diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi oggettivamente risultanti dal materiale probatorio ed inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito».

[21] In realtà, come sottolinea anche G. Raiti, Il travisamento della prova, cit., 1218, l’orientamento “aperturista” non riconduce il travisamento ad un tertium genus tra errore percettivo e valutativo, ma lo incasella nell’errore percettivo.

[22] L’ordinanza si richiama a Cass., 3 settembre 2020, n. 24395, la quale si è confrontata per prima con il nuovo orientamento aperturista e in particolare con la tesi della deducibilità del travisamento attraverso l’art. 115 c.p.c. Secondo tale pronuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. va intesa in senso rigoroso, limitandola all’ipotesi in cui il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte ex officio fuori dai limiti tracciati dalla legge, ovvero ancora abbia assoggettato al suo libero apprezzamento prove legali, o viceversa abbia considerato come tali prove soggette a valutazione. L’errore di percezione sul contenuto oggettivo della prova di cui parla la citata Cass., n. 9356/2017, non sarebbe deducibile in cassazione tramite l’art. 115 c.p.c.: se esso è davvero errore di percezione e il punto non è controverso tra le parti, allora sarà da utilizzare il rimedio della revocazione; se esso cade invece su un punto controverso, semplicemente non è errore di percezione, poiché «su quel fatto ci sarà sempre un giudizio, che potrà essere errato o meno e dunque censurabile secondo la legge propria dei mezzi d’impugnazione predisposti per gli errori di giudizio». Agli argomenti di Cass., 3 settembre 2020, n. 24395, hanno replicato Cass., n. 12971/2022 e Cass., n. 13918/2022, ribadendo l’adesione della Terza sezione all’orientamento aperturista.

[23] Oppure – aggiunge l’ord. int. n. 8895/2023, riprendendo testualmente Cass., n. 24395/2020 – «che esista un “fatto” distinto dal giudizio di fatto, cioè al di fuori della sola interpretazione giuridicamente rilevante di quel fatto, che è quella propria del giudice di merito».

[24] Così riassume efficacemente il punto I. Pagni, Travisamento della prova, difetto di motivazione ed errore revocatorio, cit., 2023, 573.

[25] Rischio tutt’altro che remoto, secondo Cass., n. 8995/2023: lo dimostrerebbero alcune pronunce citate, adesive all’orientamento favorevole al travisamento della prova, dalle quali appare come «l’ambito della censura ex artt. 115 e 116 c.p.c. sia stato ampliato ben al di là del rigoroso perimetro di legittimità». Si tratta di Cass., 21 dicembre 2022, n. 37382 e di Cass., 12 aprile 2017, n. 9356.

[26] Cass., 5792/2024, § 10.5.

[27] Viene richiamata anche la dottrina formatasi nel vigore del vecchio codice.

[28] Con il rischio di scivolamento «verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata ma sull’intero compendio delle ‘carte’ processuali».

[29] V. nota seguente.

[30] V. Cass., n. 5792/2024, § 10.14. La precisazione è importante se messa in relazione con quanto rilevato alla precedente nota 13: in altri termini, le Sezioni unite precisano che l’apertura al ricorso per cassazione è limitata all’ipotesi in cui sia controverso il fatto probatorio (se la foto rappresenti un fiume o un’automobile); mentre secondo la pronuncia qui in commento non è possibile articolare censura in sede di legittimità se il fatto probatorio non sia controverso ma sia controverso il fatto storico. Si prenda ad esempio il caso deciso dalla citata Cass., n. 9356/2017. La Corte territoriale aveva ritenuto che il bene dei pretesi danneggiati da un allagamento non fosse in buono stato di conservazione, desumendo la prova di ciò da «foto precedenti agli eventi meteorici». I ricorrenti avevano denunziato che le foto riproducessero invece le condizioni dell’immobile dopo e non prima degli allagamenti. Osserva la Corte, «dall’esame degli atti, consentito a questa Corte dalla natura del vizio denunciato, si rileva che tutte le foto allegate agli atti, e relative allo stato dell’opera prima del danneggiamento, evidenziano un immobile in normale stato di conservazione, non certo in stato di ‘vetustà e cattiva conservazione’, come affermato dalla Corte d’appello». Da questi dati sembrerebbe evincersi, dunque, che non vi era stata “controversia” tra le parti sul “contenuto obiettivo del fatto probatorio”; controversia invece evidentemente doveva esservi sul fatto storico. Applicando il criterio enunciato da Cass., n. 5792/2024, allora, dovrebbe concludersi che nel caso di specie vi era travisamento della prova denunziabile non con ricorso per cassazione, bensì con revocazione: controverso tra le parti era il fatto da provare, non anche il fatto probatorio.

[31] V. però le considerazioni di R. Poli, Logica del giudice e travisamento della prova, cit., 122 ss. e quelle di I. Pagni, Travisamento della prova, cit., 575.

[32]Così M. Pagnotta, Note a margine di un recente dibattito, cit., 4, aggiungendo: «Al di fuori di quel perimetro disegnato dagli imperativi della logica e del ragionamento argomentativo, le scelte del giudice nell’attribuzione di significati al testo non costituiscono più l’esercizio di una valutazione discrezionale, ma sono solo l’esplicazione di un imprevedibile e incontrollabile arbitrio in forza del quale sarebbe possibile inventare qualunque significato dei testi probatori disponibili»; v. anche M. Dell’Utri, Note minime sulla questione del travisamento della prova nel ricorso per cassazione, testo dell’intervento svolto all’incontro di studi organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione, dal titolo “Errare humanumtravisare diabolicum. La questione del travisamento nel ricorso per cassazione”, tenutosi a Roma, nell’Aula Magna della Corte di cassazione il 14 marzo 2023, in www.giustiziansieme.it.

[33] In un certo senso, la logica che presiede all’art. 360, n. 5, c.p.c. nell’attuale sua formulazione, è estesa dall’ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti”, a quella in cui la decisione di merito è fondata su un fatto oggetto di discussione tra le parti estraneo al quadro fattuale. In entrambi i casi – quello espressamente tipizzato dal legislatore e quello esaminato dalla sentenza in epigrafe – si verifica uno snaturamento del giudizio che deriva dall’ignorare un elemento decisivo.