Le prove atipiche nell’attualità del processo civile

Di Ruggero Siciliano -

Sommario: 1. Premessa. – 2. Casistica delle prove atipiche. – 3. Ammissibilità ed efficacia delle prove atipiche nel processo civile. –– 4. Interrogativi e spunti di riflessione.

1. Premessa.

L’indiscutibile centralità magnetica rivestita dall’istruzione probatoria[1] nel processo civile ed il vitale apporto dell’esperienza empirica costituiscono la spinta propulsiva per la presente riflessione. Orientata, così, la scelta del perimetro maggiore e allo scopo, in subiecta materia, di restringere quanto più possibile il campo d’indagine, a destare particolare interesse, sì da venire rapidamente in risalto come un oggetto luminoso poggiato su un fondale marino, è il tema delle prove c.d. atipiche o innominate[2].

Com’è noto, il concetto di atipicità della prova è assai controverso. Fornirne una definizione unitaria e che appaia meritevole di raccogliere consensi in modo inequivoco e trasversale è un compito arduo; è piuttosto opportuno evidenziare la sua eterogeneità e la sua ampiezza[3]. Per prove atipiche possono intendersi sia, secondo una prima accezione, quelle non previste dalla legge (es. gli scritti provenienti da terzi, le perizie stragiudiziali e le sentenze civili o penali, che non sono contemplati dalla legge sostanziale o dal codice di rito come mezzi di prova), sia, per altra lettura, quelle che rientrano tra i tipi conosciuti dalla legge ma che trovano ingresso nel processo attraverso una via di acquisizione in deroga alle regole che presiedono al meccanismo dell’assunzione. Non si tratta, in ossequio a quest’ultima interpretazione, di prove nuove o diverse rispetto a quelle conosciute dalla legge ma di mezzi probatori che si caratterizzano per le loro modalità di assunzione che sfuggono agli ordinari criteri previsti dal legislatore[4].

Occorre dire sin d’ora che ci si trova di fronte ad un terreno a lungo arato dagli studiosi e dai consistenti risvolti applicativi; sicché, accostarsi ad un simil argomento senza avere la pretesa di aggiungere novità comporta allora, per un verso, una necessaria ricognizione dello scenario composto dal dibattito che si è alimentato per diversi decenni intorno ad esso, per un altro, il dover porsi interrogativi vari collocandoli nel contesto processuale odierno.

2. Casistica delle prove atipiche.

Va premesso che è assai difficile ridurre concettualmente ad unità le molteplici prove atipiche conosciute dall’esperienza giurisprudenziale e non è precipuo compito del presente scritto illustrare singolarmente la loro totalità. Nel tentativo di mettere ordine in questo affollato mosaico, anche in funzione di quanto si dirà con riguardo alla loro ammissibilità ed efficacia, si possono annoverare tre le prove atipiche: gli scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale; le perizie stragiudiziali; i chiarimenti resi al CTU, le informazioni da lui assunte, le risposte eccedenti il mandato; gli atti dell’istruttoria penale o amministrativa; le CTU rese in altri giudizi fra le stesse od altri verbali; i verbali di prove espletate in altri giudizi tra le stesse parti o altre[5]; le sentenze rese in altri giudizi civili o penali[6], comprese le sentenze di patteggiamento.

Non ci soffermerà in dettaglio sulle tipologie di prove appena menzionate, ma si darà atto delle medesime nel contesto più ampio dell’analisi del tema della loro ammissibilità ed efficacia che ci si accinge a svolgere.

3. Ammissibilità ed efficacia delle prove atipiche nel processo civile.

L’evoluzione[7] verificatasi nel tempo sul piano sociale e della cultura giuridica ha fatto sì che la categoria delle prove cominciasse ad ascrivere al suo interno anche quelle atipiche. La prassi applicativa ha infatti intercettato gradualmente le svariate esigenze in funzione probatoria avvertite nella dinamica processuale che hanno condotto, di volta in volta, all’assunzione di elementi di fatto che hanno finito per scardinare la tradizionale concezione del modello di acquisizione delle prove da parte del giudice.

Data la necessità di coniugare le istanze provenienti dalla prassi con l’assetto dogmatico, la problematica è stata così percepita come reale dalla dottrina, la quale ha indirizzato l’analisi verso due distinti piani ma tra loro complementari: quello dell’ammissibilità delle prove atipiche e, ove consentita quest’ultima, quello della relativa efficacia.

Con riferimento al primo dei due criteri d’esame, l’ammissibilità delle prove atipiche è stata argomentata in special modo alla luce dell’assenza di una norma di chiusura nella categoria delle prove[8] anche tenuto conto dell’esistenza delle presunzioni semplici (artt. 2727, 2729 cod. civ.)[9] nel sistema normativo[10]. Già in tempi risalenti[11] alcuni autorevoli studiosi avevano, tra l’altro, evidenziato la difficoltà di enucleare un numerus clausus dei mezzi di prova che, invero, non è tutt’ora rinvenibile nel nostro ordinamento.

Ulteriori fattori in favore dell’ammissione delle prove atipiche sono stati individuati sia nella flessibilità – nel rispetto del sistema delle preclusioni – del concetto di produzione documentale[12], sia dell’affermazione del diritto alla prova (costituzionalmente garantito)[13] e del correlativo principio del libero convincimento del giudice[14]. Da tutto ciò, a ben vedere, pur non potendosi evincere un unico criterio elettivo per l’ammissibilità delle prove atipiche, la dottrina e la giurisprudenza[15] sono giunte, in ogni caso, alla negazione dell’idea che l’elencazione delle prove nel processo civile possa essere considerata come tassativa[16]. Non sussiste, pertanto, un’unica ragione privilegiata per legittimare l’ammissione di siffatte prove che appare supportata, al contrario, da un criterio misto frutto della compresenza di diversi fattori.

La stessa giurisprudenza, pur contribuendo all’ingresso delle prove atipiche nel processo in considerazione dell’inesistenza di una norma di chiusura che fungesse da barriera nei confronti di quest’ultime, ha, in verità, messo in risalto anche altri rilievi in favore dell’atipicità. Si tratta, nello specifico, di quei principi fondamentali – tanto nell’ambito dei criteri regolatori della materia, quanto in materia d’istruzione probatoria – quali la garanzia del diritto alla prova desumibile dall’art. 24 Cost., l’obbligo di accertamento della verità all’interno del processo[17] e il libero apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c.[18]

L’intenso dibattito non è stato, tuttavia, un coro unanime di voci e non sono mancate opinioni di contrario avviso che hanno, dal canto loro, negato l’ammissibilità delle prove atipiche[19].

In questo solco, una delle più comuni critiche alla teoria delle prove atipiche è stata quella secondo la quale il catalogo delle prove predisposto dal legislatore avrebbe un indissolubile carattere tassativo e non meramente esemplificativo[20]. Non è tutto. A sostegno della tesi della tassatività dei mezzi di prova è stato altresì addotto che l’ammissibilità delle prove atipiche si pone in evidente contrasto con la disciplina dell’art. 111 Cost. in ordine alla riserva di legge posta a garanzia del giusto processo che, di conseguenza, dovrebbe coprire anche il momento della formazione del giudizio di fatto ossia l’ammissione e la successiva valutazione delle prove[21]. In questa prospettiva è stato puntualmente osservato che la tutela delle garanzie di difesa delle parti nella fase processuale di formazione della prova non è demandata alla discrezionalità del giudice, bensì è affidata a disposizioni inderogabili che, qualora violate, darebbero luogo a delle compressioni non giustificate degli artt. 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost[22].

Altra ricorrente obiezione mossa alla teoria che accredita l’importanza delle prove atipiche è quella secondo cui attraverso esse il giudice tenderebbe ad introdurre nel giudizio dei mezzi non previsti dalla legge finendo per orientare la decisione in un senso o in un altro[23].

Ancora, su questa scia, meritano di non essere sottovalutati quei rilievi della dottrina volti a negare l’ammissione delle prove atipiche in ragione dell’assenza di contraddittorio al momento della loro formazione che avviene fuori dal giudizio e, quindi, senza la partecipazione di entrambe le parti. Questa modalità di assunzione dei mezzi di prova atipici farebbe sì[24] che la decisione derivi non da quanto raccolto nel contraddittorio delle parti, ma da autonome ed incontrollate scelte del giudice che compie una discrezionale attività di selezione del materiale istruttorio versato in atti favorendo in alcuni casi il fenomeno delle c.d. sentenze della «terza via»[25].

Al riguardo è stato infatti sottolineato[26] che non bisogna cadere nell’equivoco di asserire che l’attività di ricerca della verità nel processo civile – come argomentato dai sostenitori della tesi favorevole all’ammissibilità delle prove atipiche (v. supra) – possa spingersi fino ad essere considerata priva di vincoli o limitazioni, anzi è necessario giungere ad un efficace bilanciamento del valore della verità processuale con altri principii, tra i quali spicca quello del contraddittorio.

Dal quadro delle differenti opinioni sulla questione è lecito ritenere che la tutela del diritto alla prova e l’accertamento della verità nel processo siano valori da ritenersi prevalenti rispetto alle criticità evidenziate dalla dottrina contraria all’ammissione delle prove atipiche, attesa la mancanza sia di una norma di chiusura del catalogo delle prove sia di un rischio concreto di lesione del contraddittorio (v. sul punto, amplius, § successivo).

Sgombrato il campo dalla questione dell’ammissibilità delle prove in discorso, risolta in senso positivo anche grazie all’input ricevuto dalla giurisprudenza, vale la pena soffermarci sull’efficacia probatoria attribuita alle stesse.

Preliminarmente va detto che il riconoscimento delle prove atipiche compiuto dalla dottrina, pure anteriormente all’entrata in vigore del codice di rito del 1942, non era stato accompagnato dall’enunciazione di un criterio per la loro valutazione lasciando, pertanto, in eredità alle generazioni successive il problema[27].

Nell’ambito del dibattito instauratosi, coloro che si sono interrogati al fine di individuare l’efficacia delle prove atipiche possono suddividersi in tre orientamenti principali: quello della negazione totale di ogni validità di siffatti mezzi; coloro che hanno assimilato le prove atipiche alle presunzioni o indizi e la tesi della degradazione ad argomenti di prova.

In particolare, all’interno della posizione più radicale, improntata al voler negare qualsiasi efficacia alle prove atipiche, il pensiero di Bruno Cavallone[28] è stato quello maggiormente contrario all’idea di operare una selezione preventiva delle prove poiché equivale a «favorire il perpetuarsi di distorsioni giurisprudenziali», ritenendo che parlare di «prova irritualmente ammessa» equivalga a dire «prova processualmente inefficace».

Nel panorama delle opinioni che hanno, invece, acconsentito all’ammissione delle prove atipiche la dottrina si è adoperata per darne una spiegazione sul piano del diritto positivo. E così l’opzione che ha visto negli argomenti di prova il contraltare delle prime in termini di efficacia ha fatto leva su due dati normativi, ossia l’art. 116, co. 2, e l’art. 310, co. 3, c.p.c.[29], mentre quella che ha assimilato le prove atipiche alle presunzioni semplici si è basata sull’applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.[30]

Sul versante dell’ammissibilità delle prove atipiche è però interessante richiamare anche un’altra interpretazione del fenomeno, quella elaborata da Giovanni Verde il quale ritiene che più che una prova inferiore, quella innominata sia utilizzabile in via sussidiaria e cioè in mancanza di altra prova e in mancanza di elementi che la contrastino.

Sempre rimanendo sul piano dell’efficacia delle prove atipiche, è opportuno riassumere anche la lettura della questione offerta dalla giurisprudenza in tre indirizzi principali con la macro-differenza che i giudici, sia di merito sia di legittimità, non contemplano tendenzialmente l’ipotesi dell’inammissibilità nel processo delle prove atipiche. All’interno, infatti, della vasta produzione giurisprudenziale che afferma la generale ammissibilità delle suddette prove, questo è in sintesi il quadro: talora la giurisprudenza depotenzia il valore delle prove atipiche facendole degradare al rango di indizi o presunzioni[31], alle volte le equipara ad argomenti di prova[32], in altri casi – nel riconoscere efficacia alle prove atipiche – assimila gli argomenti di prova alle presunzioni[33] e, da ultimo, giunge perfino all’assunto che anche soltanto su di esse si può fondare anche l’intera decisione[34].

4. Interrogativi e spunti di riflessione.

Gran parte dei nodi semantici che hanno contrassegnato il dibattito intorno alle prove atipiche appaiono oggi probabilmente più sfumati. A dire il vero anche tra gli stessi autori che si sono opposti all’ammissibilità delle prove atipiche v’è stato chi ha notato come la discussione sia stata contrassegnata da un’eccessiva enfasi rispetto all’effettiva portata del problema[35]. Detto ciò, nell’indagine che precede s’è dato conto degli approdi della dottrina e della giurisprudenza con i quali oggi ci si deve confrontare nel calibrare l’incidenza del fenomeno dal punto di vista pratico; il che induce, adesso, alcune ulteriori riflessioni.

La questione dell’ammissibilità delle prove innominate sconta, di fatto, in primis una certa relatività in funzione dell’evoluzione del contesto sociale, culturale, tecnologico e giuridico[36]. Basti pensare, in proposito, come si è avuto modo di rammentare, che alcuni elementi in passato esclusi dal novero delle prove – come, ad esempio, la testimonianza scritta resa fuori dal processo o i documenti informatici[37] – hanno in seguito trovato cittadinanza nel codice in ragione dell’evoluzione della normativa, divenendo vere e proprie prove. Gli interventi del legislatore in materia si collocano progressivamente, pertanto, in funzione di recepimento delle elaborazioni giurisprudenziali e finiscono per stemperare, di conseguenza, le impostazioni più rigide e formali della disciplina propense nel tempo a sbarrare la strada all’ingresso di prove (che prima erano) atipiche.

Il diritto alla prova – quale sottoinsieme del diritto di difesa – matura, pertanto, nel tempo nuove esigenze e va per racchiudere al suo interno rinnovati elementi in considerazione dell’evoluzione normativa e di quella, via via sempre maggiore, tecnologica alla quale deve adeguarsi.

Nel quadro di questo ragionamento sembra quantomai opportuno, ancora una volta, condividere la riflessione svolta da Giovanni Verde, secondo il quale «non possono essere disperse a cuor leggero prove che possono contribuire alla formazione del convincimento giudiziale», sicché «nell’epoca attuale il sacrificio di prove rilevanti (e spesso decisive) per effetto di regole di inutilizzabilità o di esclusione non codificate da norme processuali, si avverte come un prezzo socialmente troppo elevato». «Non ci può essere giudizio senza processo e quindi senza prova acquisita nel processo attraverso strumenti ogni giorno di più razionali e rispettosi delle esigenze della difesa. Il processo è un valore a sé stante, da difendere con ogni energia. Nel farlo non dobbiamo, però, cadere nell’eccesso opposto e avallare che, per un suo culto eccessivo, si finisca con l’avere una prevalenza del processo sul giudizio o addirittura un processo incapace di pervenire al giudizio»[38].

Questo rilievo dischiude tutta la sua valenza ove non vi sia per ciascuna delle parti la possibilità di avvalersi di prove utili al di fuori di quelle, per l’appunto, tipizzate. In tali eventualità il diritto sostanziale dei soggetti rischierebbe di essere fortemente dimidiato qualora il sistema alzasse un muro nei confronti dell’ammissibilità delle prove atipiche[39].

Nella ricerca del difficile baricentro della questione, dalla garanzia del diritto alla prova costituzionalmente tutela a quella del principio del contraddittorio e di parità delle armi – stelle polari soprattutto nelle posizioni critiche nei confronti delle prove innominate – il passo è breve. Nel guado dell’ammissibilità delle prove atipiche va sempre tenuta presente la necessità di conciliare questi valori, che altro non sono che due volti della stessa medaglia, al fine di non incorrere in letture ambigue e che possano ingenerare dubbi o ulteriori incertezze applicative nell’utilizzo di siffatti strumenti probatori.

In verità, a modesto avviso di chi scrive, non si riscontrano gravi minacce per il contraddittorio. In ordine all’osservanza del suddetto principio al momento dell’assunzione di prove raccolte in altri processi, si può assumere che esso venga rispettato a monte, sussistendo una presunzione della sua osservanza nel processo in cui la prova si è formata. Non resta, pertanto, che garantire alle parti del processo ad quem la dialettica reciproca sulla rilevanza della prova stessa. Per strumenti probatori atipici differenti, quali perizia stragiudiziale, il principio in esame viene invece garantito a valle lasciando le parti, nel rispetto delle preclusioni, nella facoltà di contraddite intorno ad esse e, al contempo, il giudice nella piena libertà di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento e motivarne la relativa scelta in un senso o in un altro[40].

Ultimo rilievo, ma non per importanza, da non trascurare è poi quello concernente le evidenti ragioni di economia processuale proprio all’atto dell’assunzione di prove raccolte in altri processi.

Una volta oltrepassato il limite dell’ammissibilità, passaggio percepito ad oggi quasi scontato[41], si può ritenere di affermare che l’interrogativo in ordine all’efficacia da attribuire alle prove atipiche assume nell’epoca attuale valore non del tutto dirimente. Vediamo perché.

Il dato inequivocabile su cui porre l’attenzione è che la giurisprudenza[42] ammette oramai che si possano provare fatti e circostanze anche mediante argomenti di prova o presunzioni, il che equivale a dire che su di essi si può fondare anche l’intera decisione. Le pronunce di legittimità e di merito non ne fanno da questo punto di vista un mistero. Di qui appare verosimile ripensare la qualificazione in termini di efficacia che si vuole attagliare alle prove atipiche.

Comprendiamo che ciò potrebbe significare spostare di molto in avanti la linea di frontiera nell’architettura del ragionamento del giudizio di fatto, specialmente agli occhi di chi ha impostato con impeccabile rigore scientifico le ricostruzioni della disciplina delle prove innominate, talora optando per riconoscere a quest’ultime un’efficacia (presunzioni/indizi)[43] in luogo di un’altra (argomento di prova)[44] e talvolta, se del caso, negandone anche qualsivoglia valore[45].

L’inevitabile confronto con l’avvenuta ammissibilità delle prove atipiche, da leggersi in chiave evoluzionistica del diritto alla prova, ci spinge pertanto a ridimensionare il problema della definizione della loro efficacia, atteso che sarà caso per caso il giudice ad attribuire alle stesse il valore di presunzione o di argomento di prova finendo, indirettamente, per considerarle prove decisive qualora, in assenza di altri elementi utili a disposizione, fondi su di queste il suo convincimento.

A chi potrebbe facilmente obiettare che una simile lettura aumenterebbe l’alea dell’indeterminatezza dei margini della decisione, rendendo sproporzionato il potere del giudice di orientare la decisione in un senso o in un altro, si può replicare che è nella motivazione della sentenza che convergono i diversi – e soltanto apparentemente contrari – principi, vale a dire quello del diritto di difesa (incluso in esso il diritto alla prova) e quello del principio del contraddittorio. La motivazione della sentenza riveste così in quest’ottica una funzione riequilibratice idonea a fungere da ago della bilancia tra trasparenza della formazione del giudizio di fatto e diritto della parte ex art. 24 Cost.

Se alcuni profili controversi sembrano essersi dissolti sono però altri gli aspetti che possono tenere vivo l’interesse per la tematica che si sta affrontando in queste pagine.

Ebbene, si è detto che è ammessa la possibilità che il giudice ponga a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito «purché sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione»[46]. Sembra però un paradosso che proprio la motivazione della sentenza non sia da ritenere in assoluto un mantello protettivo capace di azzerare ogni criticità in ordine all’impiego delle prove atipiche. L’impianto normativo attuale – unito alla prevalente giurisprudenziale – rischia di alterare l’agognato equilibrio di cui si è poc’anzi detto, se si considera che ove vi fosse una motivazione della sentenza adottata dal giudice di merito che non dia adeguatamente conto dei passaggi logici attraverso i quali poter desumere la rilevanza della prova atipica ai fini della formazione del suo convincimento, nessun ulteriore controllo, in sede di legittimità, potrebbe trovare spazio.

Il d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito con modificazione dalla l. 7 agosto 2012, n. 134) ha sostituito il n.5 dell’art.360 cpc, riscrivendo così il quinto motivo di ricorso in cassazione per transitare dall’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» all’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»[47]. Dalla nuova formulazione della previsione deriva che, al di fuori dell’ipotesi appena illustrata, il controllo di legittimità non avrà ad oggetto gli accertamenti fattuali e le relative valutazioni compiute dal giudice di merito sotto il profilo della motivazione[48] la cui insufficienza e contraddittorietà non potrà essere dedotta sotto quale censura nel ricorso per cassazione[49]. Il residuo margine per il sindacato sulla legittimità della motivazione rimane circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale contemplato dall’art. 111, co. 6, Cost. individuabile nelle ipotesi – che si convertono nella violazione dell’art. 132, co 2, n. 4, c.p.c. – che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta di tale requisito di validità[50]. Segnatamente, il vizio di motivazione previsto dal combinato disposto degli artt. 132, co. 2, n. 4, 111 Cost. sussiste quando la pronuncia rilevi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo[51]. Finisce così per essere oggi denunciabile soltanto il vizio motivazionale che si traduca in una violazione dei principi costituzionali e, pertanto, in un’assenza assoluta di motivazione[52].

Applicate tali regole alla questione che ci occupa, il problema si pone in una prospettiva ambivalente: tanto nel caso di adozione della prova atipica quanto nel caso di suo mancato utilizzo da parte del giudice ai fini della decisione. L’assenza di motivazione su entrambi i profili rischia davvero di incrinare le garanzie di un processo che, pur essendo in evoluzione, non può scardinare le sue fondamenta.

Come è dato evincersi, pertanto, la questione è tutt’altro che apparentemente in equilibrio e, all’esito dell’analisi svolta, quel che è certo è che il tema delle prove atipiche continua a costituire motivo d’interesse in quanto punto nevralgico d’intersezione tra principi esistenti a tutela dei diritti fondamentali delle parti e profili dogmatici posti a garanzia della dinamica processuale nella fase della formazione del giudizio di fatto.

[1] In generale sul concetto di prova, senza pretesa di completezza, v. C. Lessona, Trattato delle prove in materia civile, V, Firenze, 1924; V. Andrioli, Prova in genere (dir. civ.), in Nuovo Dig. it., X, Torino, 1939, 813; F. Carnelutti, La prova civile2, Roma, 1947; G. La Serra, La prova civile, Napoli, 1957; V. Andrioli, Prova (dir. proc. civ.), in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, 260; M. Taruffo, Studi sulla rilevanza delle prove, Padova, 1970; Id., Il diritto alla prova nel processo, in Riv. dir. proc., 1984, 74; S. Patti, Prove, disposizioni generali, in Commentario del cod. proc. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1987; G. Verde, Prova (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 579; B. Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991; M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992; Id., Prova (in generale), in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, 3; L.P. Comoglio, Le prove civili3, Torino, 2010; B. Cavallone, Forme del procedimento e funzione della prova (ottant’anni dopo Chiovenda), in Riv. dir. proc., 2006, 417; Id., Istruzione probatoria e preclusioni, in Riv. dir. proc., 2014, 1036; A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2003, 28; L. Dittrich, L’assunzione delle prove nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 2016, 590; A. Panzarola, Il notorio, la judical notice e i concetti di prova, in Riv. dir. proc., 2016, 610; R. Poli, Gli standard di prova in Italia, in Giur. it., 2018, 2517; B. Cavallone, Le prove nel nuovo millennio. Programmi per il passato, in Riv. dir. proc., 2022, 525.

[2] Sulle prove atipiche cfr. M. Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, 389; B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, in Riv. dir. proc., 1978, 679; L. Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980, 233; G.F. Ricci, Le prove atipiche, Milano, 1999, 73; Id., Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 412; G. Maero, Le prove atipiche nel processo civile, Padova, 2001; G. Verde, Prove nuove, in Riv. dir. proc., 2006, 35; L. Lombardo, Profili delle prove civili atipiche, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2009, 1447; L.P. Comoglio, Le prove civili3, cit., 59; A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011; R. Tiscini, L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, in Judicium.it; A. Castagnola, L’accertamento dei fatti fuori dal giudizio, in Riv. dir. proc., 2020, 981.

[3] Per G.F. Ricci, Le prove atipiche, cit., 50, vanno ricompresi «sotto un unico angolo visuale fenomeni differenti, ma aventi una problematica di fondo comune».

[4] B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano9, Milano, 2023, 338, il quale pone in risalto la “relatività” nel tempo dell’estensione della categoria delle prove atipiche, vale a dire mezzi di prova che un tempo erano inquadrati come atipici in seguito alla loro regolamentazione nel codice di rito sono divenuti atipici (es. la testimonianza scritta o il documento informatico); L. Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, cit., 234; G. Verde, Prove nuove, cit., 50; per L.P. Comoglio, Le prove civili3, cit., 48, l’atipicità deve essere intesa come un mero difetto di inserimento delle prove atipiche tra quelle contemplate dal legislatore nel processo; tuttavia, tali mezzi di prova non sono del tutto ignoti all’ordinamento trattandosi di «prove precostituite…formate al di fuori di qualsiasi processo e, perciò, rientrano nell’ampio genus della prova documentale. Ma come avviene per i mezzi probatori derivanti da un altro processo, ben si può anche trattare di prove che, essendo ab origine orali e costituende, siano state formate ed assunte nel «contraddittorio» di quel diverso processo, sì che la loro utilizzazione in un nuovo giudizio viene a tradursi necessariamente nell’acquisizione del documento processuale (o, per meglio dire, del processo verbale), da cui è ufficialmente consacrata, con i limiti di efficacia probatoria dell’atto pubblico, la loro formazione o assunzione; L. Dittrich, L’assunzione delle prove nel processo civile italiano, cit., 590; osserva in senso critico rispetto a quest’impostazione A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 712, per il quale la prova atipica si presenta, invero, sotto «le vesti di un documento rappresentativo di un esperimento istruttorio avvenuto fuori dal processo».

[5] V. Capasso, L’elaborato peritale alieno: contributo allo studio della circolazione della consulenza tecnica e della perizia disposte inter alios, in Il Processo, 2021, 113; A. Castagnola, L’accertamento dei fatti fuori dal giudizio, in Riv. dir. proc., 2020, 981; B. Cavallone, Forma del procedimento e funzione della prova (ottant’anni dopo Chiovenda), cit., 424; A. Romano, L’efficacia probatoria degli atti dei procedimenti arbitrali, in Riv. arb., 2011, 49.

[6] A. Carratta, Accertamento fattuale del giudice penale ed efficacia nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2020, 1442.

[7] V. Denti, L’evoluzione del diritto delle prove nei processi civili contemporanei, in Riv. dir. proc., 1965, 31; M. Taruffo, Problemi e linee evolutive nel sistema delle prove civili in Italia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1977, 1558.

[8] Secondo M. Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, Milano, 1962, 270, «in un ordinamento…nel quale sia configurato un sistema probatorio “chiuso” – numerus clausus di (tipici) mezzi di prova – la norma che assume valore fondamentale e determinante è quella che pone, appunto, quella chiusura, escludendo a priori ogni effetto probatorio di quegli atti, fatti, cose o argomenti, che pur non essendo specificamente configurati come prove dalla legge, potrebbero tuttavia, nel caso concreto, essere in grado di esplicare un più o meno penetrante influsso sul convincimento del giudice laddove vigesse effettivamente il principio del libero convincimento giudiziale». L’A. osserva che una norma di siffatta natura non esiste nel nostro ordinamento e ciò lo si desume dall’art. 2729 cod. civ. e dall’art. 116 c.p.c.

[9] Sulle presunzioni, senza intenti di esaustività, V. Andrioli, Presunzioni (dir. civ. e dir. proc. civ.), in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1957, 766, secondo il quale non vi sarebbe alcuna differenza tra indizio e presunzione; F. Cordopatri, Presunzioni (teoria generale e diritto processuale), in Enc. Dir., XXXV, Milano, 1986, 276; S. Patti, Probatio e praesumptio: attualità di un’antica contrapposizione, in Riv. dir. civ., 2001, 475; M. Taruffo, Presunzioni (dir. proc. civ.), in Enc. giur., XXIV, Roma, 1991, 1; Id., sub art. 2727, in Comm. cod. civ., diretto da P. Cendon, VI, Torino, 1991, 209; Id., Certezza e probabilità nelle presunzioni, in Foro it., 1974, V, 83; F. Danovi, Le presunzioni nel sistema delle fonti di prova e nei rapporti con la prova contraria, in Foro pad., 2006; G. Fabbrini, Presunzioni, in Dig. civ., XIV, Torino, 1996, 279.

[10] In particolare, M. Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, cit., 389, aveva in un primo tempo argomentato l’ammissibilità delle prove atipiche facendo leva sul valore delle presunzioni e degli indizi che avrebbe avuto come effetto quello di consentire l’introduzione nel giudizio di ogni elemento munito di efficacia probatoria e, al contempo, di escludere «ogni regola di tassatività che non risulti positivamente e specificamente enunciata»; contra B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 700; lo stesso M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici, cit., 377, ha sostenuto successivamente che il fondamento della prova atipica andasse ravvisato nel principio del prudente apprezzamento del giudice, contra L.P. Comoglio, Le prove civili3, cit., 59, il quale ha obiettato che il principio del libero convincimento del giudice assume valenza in ordine alla valutazione delle prove e non alla loro ammissibilità. Sulla questione dell’efficacia delle prove atipiche v. infra in questo §.

[11] C. Lessona, Trattato delle prove in materia civile, cit., 311, il quale osservò che sotto la vigenza del codice del 1865 non era contenuta una enunciazione dei mezzi di prova accompagnata da una dichiarazione di tassatività; secondo L. Mortara, Commento del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1923, 540, «il nome prova serve a designare concretamente alcuni istituti giuridici che sono classificati e riconosciuti dalla legge come idonei, ora in tutti i casi, ora con talune restrizioni, ora in casi particolari soltanto, allo scopo della prova giudiziaria, vale a dire che possono essere usati dalle parti nel processo per convincere il magistrato della verità ed esattezza dei fatti sui quali fanno fondamento in modo rispettivo, per giustificare il diritto dell’una contro l’altra vantato e di cui invocano la protezione dall’ufficio giurisdizionale»; per l’illustre A. «va dunque eliminata fino dal principio la credenza che la prova giudiziaria non possa derivare se non dai mezzi legali di accertamento classificati e riconosciuti, come dianzi dicevo, dalla legge».

[12] In questo senso S. Chiarloni, Riflessioni sui limiti del giudizio di fatto nel processo civile, cit., 834, il quale sostiene la natura documentale delle prove atipiche e di conseguenza osserva che sembrerebbe incongruo porre il problema della loro ammissibilità poiché esse potrebbero essere acquisite al processo come documenti mediante il semplice deposito, sicché il giudizio di ammissibilità e rilevanza andrebbe circoscritto alle sole prove costituende; sulla natura documentale delle prove atipiche v. anche L.P. Comoglio, Le prove civili3, cit., 48; di opposto avviso G. Tarzia, Problemi di contraddittorio nell’istruzione probatoria civile, in Riv. dir. proc., 1984, 638. Per l’A. il vaglio di ammissibilità si pone come imprescindibile anche per le prove precostituite, con la particolarità che si svolge soltanto in un momento successivo a quello dell’istruttoria.

[13] Inteso in senso espansivo il diritto alla prova assume il significato di diritto della parte di impiegare tutte le prove di cui può in concreto disporre al fine di dimostrare la verità dei fatti che fondano la sua pretesa; in questa prospettiva la teoria della tassatività dei mezzi di prova andrebbe a collidere con il diritto sancito dalla Costituzione. Sul tema v. all’interno di una vasta letteratura, in modo non esaustivo, L.P. Comoglio, Le prove civili3, cit., 55; Id., Preclusioni istruttorie e diritto alla prova, in Riv. dir. proc., 1998, 977; Id., La garanzia costituzionale dell’azione e il processo civile, Padova, 1970, 148; A. Proto Pisani, Chiose sul diritto alla prova nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Foro it., 2008, V, 81; A. Graziosi, L’esibizione istruttoria nel processo civile italiano, Milano, 2003, 11; E.F. Ricci, Su alcuni aspetti problematici del «diritto alla prova», in Riv. dir. proc., 1984; V. Denti, Armonizzazione e diritto alla prova, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, 673; M. Taruffo, Il diritto alla prova nel processo civile, cit., 74; N. Trocker, Processo civile e costituzione, Milano, 1974, 509; M. Cappelletti, I diritti costiuzionali delle parti nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1971, 637.

[14] Considera le prove atipiche una manifestazione del principio del libero convincimento del giudice M. Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, cit., 270; attribuisce, invece, una valenza neutra al suddetto principio G.F. Ricci, Le prove atipiche, cit., 117.

[15] Per l’ammissibilità delle prove atipiche v., ex multis, Cass. 1° febbraio 2023, n. 2947; Cass. 19 luglio 2019, n. 19521; Cass. 2 settembre 2005, n. 17698; nel merito, più recenti, Corte App. Bologna 16 gennaio 2024; Trib. Reggio Emilia 6 febbraio 2020.

[16] Secondo F.P. Luiso, Diritto processuale civile15, II, Milano, 2024, 88, «il legislatore in concreto prevede tutti i mezzi di prova astrattamente idonei. Pertanto il principio di tipicità della prova di fatto non esclude strumenti probatori che potrebbero essere utilmente utilizzati, ma esclude quei mezzi di prova che, secondo la communis opinio, non sono attendibili»; si è espressa a favore dell’ammissibilità delle prove atipiche anche sia nel processo di cognizione sia nei procedimenti sommari R. Tiscini, L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, cit.; più prudentemente nel senso dell’ammissibilità, anche, N. Picardi, Manuale del processo civile5, aggiornamento a cura di R. Martino, A. Panzarola, L. Picardi, Milano, 2025, 355.

[17] In parallelo all’apporto fornito al dibattito dalla giurisprudenza, in dottrina v’è stato chi ha condensato nella base legittimante l’ammissibilità delle prove atipiche proprio: il diritto di difesa ex art. 24 Cost.; l’indizio come fonte di prova; il principio dell’accertamento della verità effettiva, cfr. G.F. Ricci, Le prove atipiche, cit., 223, il quale sostiene che il sistema non può respingere le prove atipiche in quanto non costituiscono «mezzi istruttori raccolti contro lo schema», bensì «mezzi non previsti dallo schema»; v. anche L.P. Comoglio, Le prove civili3, cit., 3 ss., per il quale il diritto alla prova si ricollega direttamente alla tendenza, propria delle moderne costituzioni, a porre le premesse per un processo equo e giusto.

[18] F. Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1939, 746; M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici, cit., 377; L. Lombardo, Profili delle prove civili atipiche, cit., 1447.

[19] Cfr. G. Laserra, Critica delle cosiddette “prove innominate”, in Giur. it, 1960, I, 838, secondo il quale «la tassatività del catalogo legislativo dei mezzi di prova…è implicita nella stessa minuziosità e categoricità e severità della regolamentazione legislativa della struttura e del procedimento dei mezzi tipici catalogati, perché il rigore di questa regolamentazione sarebbe del tutto inutile, e anzi ridicolo, se gli si potesse così facilmente sfuggire col semplice mettersi fuori di ogni tipo catalogato»; E. Grasso, Dei poteri del giudice, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, II, Torino, 1973, 1305.

[20] E. Grasso, Dei poteri del giudice, cit., 1305; per B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 687 e 732, «non si comprende che senso abbia parlare di chiusura o di apertura di un qualsiasi repertorio, quando non si sia preliminarmente verificata l’omogeneità logica degli elementi che lo compongono», e 696, «il problema dei limiti di utilizzabilità di queste prove – un problema tanto trascurato quanto serio e grave, che potenzialmente investe i caratteri di fondo del metodo istruttorio, e il suo funzionamento pratico – non può essere affrontato in base a considerazioni superficiali e povere di significato come quelle che attengono alla presunta tassatività o non tassatività del repertorio legale delle prove; bensì esige una cauta analisi che tenga conto, in relazione a ciascuna fattispecie, dei pur scarsi dati rintracciabili nel diritto positivo (come quelli ricavabili dagli artt. 310, 3° comma e 698 cod. proc. civ., che per l’appunto disciplinano casi particolari di prove raccolte “altro”), e della compatibilità delle regole seguite nella formazione della prova con le norme ed i principi del processo ad quem». L’A. sostiene che al catalogo delle prove deve essere riconosciuta, la funzione di evocare in forma sintetica la disciplina dell’istruzione probatoria vigente in un determinato ordinamento alla quale il giudice dovrà fare guardare per decidere di volta in volta in concreto se fondare il suo convincimento anche sulle c.d. prove atipiche. In fin dei conti, per Cavallone può farsi a meno di qualsiasi teoria delle prove atipiche, trattandosi di fenomeni eterogenei che «non si prestano ad essere assoggettati ad una disciplina unitaria, né sotto il profilo (pregiudiziale) della loro ammissibilità e/o utilizzabilità ai fini del giudizio, né sotto quello (subordinato ed eventuale) della loro efficacia».

Perplessità sono state altresì espresse da A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, cit., 48, secondo il quale giustificare le prove atipiche in nome dell’art. 116 c.p.c. significa ammettere nel novero delle prove elementi che per il legislatore non vanno considerati tali, segnatamente «voglio dire che al fine di stabilire se le fonti del convincimento del giudice siano (debbano essere) solo quelle selezionate dal legislatore o se invece lo stesso giudice possa selezionarne di nuove o di diverse non mi pare si possa partire dalla regola fissata dall’art. 116 c.p.c. (libero o prudente convincimento non coincide con libera o prudente scelta delle prove), in quanto quest’ultimo fa riferimento espresso ai criteri che il giudice deve seguire nella valutazione dei risultati probatori e non anche nella individuazione delle fonti del suo convincimento».

[21] A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, cit., 53.

[22] A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 708, secondo il quale «le prove atipiche non possono avere accesso nel processo civile…ammettere che tali documenti possano essere utilizzati dal giudice per maturare il proprio convincimento in punto di fatto, equivale ad ammettere che il modello legale di formazione della prova non ha carattere imperativo, ma può sempre essere unilateralmente sostituito con altri schemi procedurali scelti ad libitum e unilateralmente da ognuna delle parti».

[23] Per G. Monteleone, Diritto processuale civile, I, Padova, 2012, 272, le prove atipiche, benché utilizzate, non sono previste dalla legge e non sono delle vere e proprie prove potendo essere al più utilizzate entro margini molto ristretti. L’A. ritiene che sia un errore ammettere in modo indiscriminato le prove atipiche sulla scorta del principio della libera valutazione del giudice, il quale, accogliendo un simile assunto, diverrebbe «incontrollato arbitro, al di fuori di ogni regola certa, nello stabilire di volta in volta cosa debba intendersi per prova da porre a fondamento della decisione, con il risultato di sorprendere ed intaccare notevolmente la difesa di una delle parti. In altri termini, qualunque sia il concetto che si abbia sulle fonti di prova, sia esso ricavato dalla legge o da postulati logici, esso è sempre predeterminato rispetto al giudizio, e non si può scambiare la libera valutazione di esse con la libera creazione».

[24] Per L. Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, cit., 234, la contrapposizione tra prove tipiche e atipiche si coglie in modo significativo se la si pone in relazione al principio costituzionale della difesa paritaria; sul tema v. F. De Santis, Valori costituzionali ed effettività delle tutele nel pensiero di Luigi Montesano, in Riv. dir. proc., 2019, 770; secondo B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 698 l’idea dell’acquisizione atipica delle prove con il solo limite del rispetto del contraddittorio è erronea e pericolosa e «non si può dire, infatti, che i limiti discendenti dal contraddittorio valgano a rendere praticamente trascurabile questo pericolo».

[25] C. Viazzi, La riforma del processo civile e alcune prassi giurisprudenziali in materia di prove: un nodo irrisolto, in Foro it., V, 106, particolarmente critico nei confronti dell’orientamento giurisprudenziale che tende ad ammettere nel processo in modo indiscriminato le prove atipiche.

[26] A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 696 auspica una pari tutela tra il valore della verità processuale ed altri quali l’osservanza delle prove legali, la formazione della prova nel contraddittorio, il rispetto delle preclusioni, il principio dispositivo e il divieto di scienza privata del giudice (art. 97 disp. att. c.p.c.); analogamente A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, cit., 52, secondo il quale «se si ammettesse l’utilizzabilità di prove atipiche si lascerebbe al giudice di stabilire discrezionalmente se nel caso sottoposto al suo esame debba prevalere l’obiettivo della formazione del convincimento giudiziale o altri valori altrettanto rilevanti».

[27] Osserva G.F. Ricci, Le prove atipiche, cit., 65 come nelle ricostruzioni di illustri studiosi, quali Lessona e Mortara, difetti in realtà l’enunciazione di un preciso criterio attraverso il quale dovessero essere valutate le prove non previste dalla legge.

[28] B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 708 ss. ha negato l’attribuzione di efficacia indiziaria alle prove atipiche, teoria che appare sbagliata «sia per difetto che per eccesso», avuto riguardo che in presenza di prove non regolate dalla legge, «l’interprete non soltanto non dovrebbe attribuire con tanta leggerezza al risultato di quelle prove il ruolo di fatto noto ai sensi dell’art. 2727 cod. civ., ma nemmeno dovrebbe porsi il problema della loro efficacia, senza prima essersi chiesto, con tutto il rigore e la diffidenza possibili, se davvero esse possano essere in qualche modo utilizzate dal giudice. Altro, insomma, è il problema della legittimità di una prova, altro è quello della sua efficacia, e pretendere di risolvere, scontandole nell’ambito del secondo, le incertezze che si prospettano nell’ambito del primo – così rovesciando il rapporto di pregiudizialità che li lega – è tanto poco razionale quanto il voler superare i dubbi sulla genuinità di una moneta da cento, attribuendole il valore di cinquanta». Parimenti per l’A. attribuire alle prove atipiche efficacia di argomento di prova per B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 715, potrebbe apparire, almeno in astratto, l’opzione più plausibile anche sulla scorta del dato normativo ricavabile dall’art. 310, co. 3, c.p.c. Nonostante ciò, anche questa soluzione non sembra attagliarsi a tutte le ipotesi di prove atipiche in quanto contrasterebbe a sua volta con la constatazione «che al risultato di una prova non disciplinata dalla legge non può essere attribuito alcun grado di efficacia, fino a che non sia stata verificata la legittimità della sua utilizzazione», giacché significherebbe rovesciare il rapporto di pregiudizialità che lega la questione dell’efficacia a quella della sua legittimità.

Per G. Monteleone, Diritto processuale civile, cit., 272, «le c.d. prove atipiche non possono incanalarsi in qualcuna delle fonti di prova previste dalla legge, quali le presunzioni o indizi, o quali argomenti di prova ex art. 116, 2° comma, esse non possono essere poste a fondamento della decisione. Se ciò avviene, si ha una grave violazione di legge». Esse possono al più fornire qualche ulteriore ed aggiuntivo elemento se le prove “vere” lasciano dei margini di dubbio. Contrari ad assegnare ogni forma di validità alle prove atipiche anche A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 708 e A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, cit., 52.

[29] L. Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, cit., 249, ritiene le prove atipiche compatibili con il sistema attraverso il combinato disposto artt. 116, co. 2, e 310, co. 3, c.p.c. riducendosi ad argomenti di prova; G.F. Ricci, Le prove atipiche, passim; Id., Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, cit., 409, quando l’A. ha argomentato anche sulla base della disciplina contenuta nell’art. 198 c.p.p.; M. Scalamogna, L’efficacia probatoria degli argomenti di prova, in Riv. dir. proc., 2009, 1175.

[30] Per tutti M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici, cit., 377, salvo poi attribuire alle prove atipiche valore indiziario; sembra del pari propenso a riconoscere l’efficacia di presunzioni alle prove atipiche anche N. Picardi, Manuale del processo civile5, cit., 355; contra A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 709, secondo il quale la tesi dell’equiparazione della prova atipica alla presunzione semplice, legata alla c.d. atipicità dell’indizio, non può trovare accoglimento perché «vanifica la distinzione tra i fatti rappresentativi … ed i fatti secondari…che invece costituisce la pietra angolare su cui è incentrata tutta la disciplina delle prove, la quale riguarda i fatti rappresentativi e non i fatti secondari».

[31] Cass. 19 luglio 2019, n. 19521; Cass. sez. un. 23 giugno 2010, n. 15169.

[32] Trib. Bologna 14 febbraio 2002.

[33] Corte App. Bologna 16 gennaio 2024, cit.; Trib. Reggio Emilia 18 novembre 2021; Trib. Reggio Emilia 2 luglio 2014 e 1° dicembre 2014, in Quot. giur., 18 dicembre 2014, con nota di P. Licci, Quali prove atipiche possono trovare ingresso nel processo civile?, e in Giur. it., 2015, 624, con nota di C. Maggio, La prova nel processo civile: i poteri del giudice nella valutazione delle prove atipiche.

[34] Cass. 1° febbraio 2023, n. 2947, cit., ha affermato che «in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento le prove “atipiche” (tra cui anche le risultanze di atti delle indagini preliminari svolte in sede penale) se idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che sia configurabile la violazione del principio ex art. 101 c.p.c., dal momento che il contraddittorio sui mezzi istruttori si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti di farne oggetto di valutazione critica e di stimolare la valutazione giudiziale»; secondo Cass. 5 marzo 2010, n. 5440 «nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, è ammessa la possibilità che egli ponga a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione, rimanendo, in ogni caso, escluso che tali prove “atipiche” possano valere ad aggirare preclusioni o divieti dettati da disposizioni sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda il necessario ricorso ad adeguate garanzie formali»; Corte App. Roma 31 ottobre 2024, 6854; Corte App. Bologna 16 gennaio 2024, cit.

[35] A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 693, il quale alla nota 1 richiama anche A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 437 che ha definito la questione perfino «un falso problema».

[36] B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano9, cit., 338.

[37] Si consideri l’enorme impatto avuto nel sistema delle prove dall’ammissione da parte della giurisprudenza degli screenshot di conversazioni whatsapp (o chat assimilate) come documento informatico. Risultato di non poca importanza in special modo nell’ambito delle controversie in materia di famiglia, societarie o di lavoro. Cfr. Cass. ord. 18 gennaio 2025, n. 1254 ha affermato che i messaggi di whatsapp e gli sms, conservati nella memoria di un telefono cellulare, costituiscono prova documentale e possono essere acquisiti mediante semplice riproduzione fotografica subordinandone l’utilizzabilità alla verifica della provenienza e dell’attendibilità del contenuto, principio già enunciato da Cass. sez. un. 27 aprile 2023, n. 11197, in Giur. it., 2023, 2623, con nota di G. Gioia, Il valore probatorio dello screenshot tra processo civile e processo penale; qualora venga contestata l’autenticità della comunicazione il giudice ha il potere di valutare l’attendibilità del documento attraverso l’acquisizione di altri elementi probatori (cfr. Cass. 21 febbraio 2019, n. 5141); in dottrina sulla prova documentale digitale v. L. Montesano, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile e nella forma negoziale, in Riv. dir. proc., 1987, 1; G. Verde, Prova documentale (dir. civ.), in Enc. giur., XXV, Roma, 1991, 1; A. Graziosi, Premesse ad una teoria probatoria del documento informatico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 481; M. Gradi, Le prove, in Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, a cura di G. Ruffini, Milano, 2019, 466, F. Novario, Le prove informatiche nel processo civile, Torino, 2014, 193; F. Rota, Il documento informatico, in La prova nel processo civile, a cura di M. Taruffo, Milano, 2012, 728.

[38] G. Verde, Prove nuove, cit., 52.

[39] Trib. Palermo 13 gennaio 2022 in una fattispecie di responsabilità sanitaria ha ritenuto provata una lesione nervosa nel paziente-attore anche sulla base delle risultanze di una perizia stragiudiziale del danneggiato deceduto nel corso del giudizio anteriormente all’ammissione delle indagini d’ufficio essendo pertanto precluso il suo esame obiettivo all’ausiliare del giudice; Trib. Palermo 14 novembre 2024 ha affermato che la prova fornita in relazione ad altri soggetti dalle sentenze e dalle consulenze in atti della presenza di amianto non bonificato nell’azienda datrice di lavoro esaminata dai CTU – luogo non più materialmente esistente – è idonea a costituire prova dell’esposizione qualificata all’amianto del ricorrente per il periodo di lavoro indicato.

[40] Nel senso del testo anche la giurisprudenza, cfr. Cass. 31 ottobre 2023, n. 30298; Cass. 1° febbraio 2023, n. 2947, per la quale il contraddittorio in ordine alle relative emergenze istruttorie si instaura con la loro formale produzione nel giudizio civile e la conseguente possibilità per le parti dello stesso di farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di esse; conf. Cass. 21 marzo 2022, n. 9055; Cass. 4 novembre 2021, n. 31600; Cass. 19 luglio 2019, n. 19521, cit.; Cass. 1° settembre 2015, n. 17392.

[41] R. Tiscini, L’accertamento del fatto nei procedimenti con struttura sommaria, cit.

[42] Cass. 7 novembre 2023, n. 30992; Cass. 14 settembre 2022, n. 27016; Cass. 2 aprile 2009, n. 8066; Cass. 22 agosto 2006, n. 18224; Cass. 16 luglio 2002, n. 10268.

[43] M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici, cit., 377.

[44] L. Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, cit., 249.

[45] A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e atipiche nel processo civile, cit., 708; A. Carratta, Prova e convincimento del giudice nel processo civile, cit., 55 ss.; B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, cit., 715.

[46] Cass. 5 marzo 2010, n. 5440, cit.

[47] Sulla riforma del ricorso per cassazione 2012, senza pretesa di completezza, v. G. Balena, Questioni processuali e sindacato del «fatto» in Cassazione, in Giusto proc. civ., 2012, 837; M. Bove, Giudizio di fatto e sindacato della corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5 c.p.c., in questa Rivista; D. Buoncristiani, Quaestio facti e quaestio iuris. Il profilo statico e il profilo dinamico dell’allegazione dei fatti, in Riv. dir. proc., 2020, 820; R. Caponi, La modifica dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., in questa Rivista; B. Capponi, L’omesso esame del n.5) dell’art. 360 c.p.c. Secondo la Corte di cassazione, in questa Rivista; M. Taruffo, Brevi note sulla motivazione della sentenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2018, 622; V. Colesanti, Note in tema di crisi e «rinascenza» della motivazione, in Riv. dir. proc., 2017, 1399; C. Rasia, La crisi della motivazione nel processo civile, Bologna, 2016, passim; L. Passanante, Le sezioni unite riducono al «minimo costituzionale» il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 179; L. Piccininni, I motivi di ricorso per cassazione dopo la modifica dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in Riv. dir. proc., 2013, 407; B. Sassani, La logica del giudice e la sua scomparsa in cassazione, in questa Rivista, per il quale il motivo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è stato eliminato «con un colpo di penna»; Id., Variations sérieuses sul riesame della motivazione, in Judicium, 2017, 120; Id., Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla sua (in)controllabilità in cassazione, in Corr. giur., 2013, 849; Id., La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, in Riv. dir. proc., 2019, 48; F. Santangeli, Il controllo del giudizio di fatto in Cassazione e le sentenze delle Sezioni Unite, in questa Rivista; R. Tiscini, Commento all’art. 360 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, IV, a cura di L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, Milano, 2013, 592; R. Poli, Le modifiche relative al giudizio di Cassazione, in Il processo civile. Sistema e problematiche. Le riforme del quadriennio 2010-2014, a cura di C. Punzi, Torino, 2014, 271; G.F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, Torino, 2013, 159.

[48] Ex multis, recente, Cass. 11 luglio 2024, n. 19069 ha affermato che deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti ad un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme.

[49] Cass. 3 marzo 2022, n. 7090.

[50] Cass. 27 aprile 2021, n. 11059; Cass. 25 settembre 2019, n. 23854; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053, in Foro it., 2015, I, 210, con nota di P. Quero, aveva a suo tempo affermato che «la riformulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione “al minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione».

[51] Cass. 26 settembre 2023, n. 27407.

[52] In linea con la pronuncia delle sezioni unite del 2014, v. Cass. 5 settembre 2022, n. 26011, che indica le ipotesi di assenza assoluta di motivazione: a) la mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico; b) la motivazione apparente; c) il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili; d) la motivazione perplessa ed oggettivamente incomprensibile.