Le istanze di tutela nel nuovo codice dei contratti pubblici, tra principio dispositivo e interesse pubblico: prime riflessioni

Di Giovanni Pesce -

Premessa

Con il nuovo codice dei contratti pubblici (d. lgs. 36/2023) entrano in vigore (il 1° aprile 2023, sebbene con efficacia dal 1° luglio 2023: art. 229) alcune disposizioni di diritto sostanziale e processuale che interessano direttamente ed indirettamente non solo la giustizia amministrativa ed il suo codice, ma più in generale gli strumenti di tutela delle posizioni soggettive delle parti che hanno stipulato il contratto.

L’obiettivo “dei legislatori” (Governo, Parlamento e forse la Commissione che ha stilato l’articolato?) dovrebbe essere, quanto all’impatto sul processo amministrativo, in primo luogo, l’efficienza. L’efficienza che passa da un’idea di fondo: deflazione del contenzioso; concentrazione dei processi; accelerazione dei riti. È la stessa idea che pervade da tempo i riformatori del processo civile, con esiti tutti da dimostrare. Accanto a questi propositi, che trovano copertura generale nel principio costituzionale della ragionevole durata del processo (oltre che nel combinato disposto degli artt. 24 e 113 Cost.), si colloca un altro obiettivo: la sostenibilità del debito pubblico, cui tutte le amministrazioni pubbliche (e quindi i committenti pubblici) sono tenute per espressa previsione costituzionale (art. 97, comma 1, Cost.).

In astratto, ben può convenirsi con questa tesi: misure che riducono le occasioni di contenzioso possono rendere più efficiente il sistema nel suo complesso, nel senso che la macchina della giustizia viene messa nelle condizioni di girare meglio e con l’impiego di minori risorse economiche.

Ma non si tratta di idee che possono valere in senso assoluto, specie se mettono a rischio altri diritti, o la stessa tenuta del processo[2].

Se nella precedente riforma della contrattualistica pubblica, operata dal d. lgs. n. 50/2016, le innovazioni in tema di tutela giurisdizionale erano di immediata percepibilità ed interessavano, essenzialmente, l’art. 120 c.p.a., nel quadro delineato dal nuovo codice gli aspetti processuali sembrano essere maggiormente integrati nelle stesse norme sostanziali. Nel codice del 2016, infatti, le novità più importanti interessavano la tutela “precontenziosa” affidata all’ANAC e la relativa impugnabilità dei provvedimenti davanti al g.a., secondo una logica di razionalizzazione e speditezza delle procedure e di pienezza della tutela giurisdizionale (sin dalla fase cautelare)[3].

In ogni caso, il nuovo codice non sembra porsi in radicale discontinuità con le riforme che, storicamente, l’hanno preceduto: sin dal d. lgs. n. 163 del 2006 (del quale, dati del Consiglio di Stato alla mano, soltanto il 42% degli articoli, in dieci anni di vigenza, ha superato la prova di resistenza ed è rimasto invariato), passando per il Testo del 2016, di certo non esente da profili di criticità, e fino all’odierna Novella, gli interventi normativi si sono modellati sulla base delle esigenze di sistematicità e chiarezza, in prospettiva della “buona regolazione” promossa dal diritto europeo[4].

Di seguito alcune notazioni “a caldo”, che ovviamente non daranno conto dell’ampio dibattito sviluppatosi nella vigenza dei precedenti codici e relative direttive di riferimento[5].

Le principali novità

1) Una prima considerazione deve essere svolta con riferimento alla rilevanza dei principi generali, specialmente, ai nostri fini, quelli di cui ai primi tre articoli del nuovo Codice: il principio del risultato, il principio della fiducia, il principio dell’accesso al mercato. In astratto, detti principi potrebbero rilevare in quanto, a norma dell’art. 4, “le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3”: comprese, quindi, le disposizioni del Libro V, Parte I, Titolo I e II (rispettivamente, sul contenzioso e rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale). Tuttavia, non sembra che la Parte I, dedicata ai principi generali, per quanto ritenuta una novità del nuovo Codice[6], rappresenti una significativa guida per l’interpretazione ed applicazione degli istituti processuali[7]. Da un lato, infatti, le norme processuali presenti nel nuovo Codice dei contratti pubblici devono ritenersi sottoposte ai principi propri del codice del processo amministrativo (art. 1: la tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo; art. 2: i principi della parità delle parti, del contraddittorio, della ragionevole durata del processo, secondo il canone del giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione). Dall’altro lato, le norme oggetto dei principi generali del nuovo Codice dei contratti pubblici sono norme di diritto sostanziale[8], dirette a regolare tra stazioni appaltanti e concorrenti la fisiologia del contratto pubblico nelle sue varie fasi (la progettazione, l’affidamento e l’esecuzione)[9], rappresentando invece il processo amministrativo il luogo in cui si passa alla patologia delle predette fasi, nel quale il giudice e sì chiamato a garantire la corretta applicazione delle norme sostanziali senza tuttavia che ciò possa influire (se non in via indiretta)[10] sulle regole proprie del giudizio[11].

Due ulteriori principi che forniscono una chiave di lettura interessante della riforma sono contenuti all’art. 5, quasi fossero un’endiadi: buona fede e tutela dell’affidamento. Tale principio ha una ricaduta sul piano processuale: la sindacabilità dell’esercizio del potere, come si vedrà in sede di analisi dell’art. 124, rileva, per l’operatore economico incolpevole, esclusivamente in termini di responsabilità e risarcimento per “danno da lesione dell’affidamento”[12].

Ancora, una considerazione preliminare può essere svolta sul rilievo attribuito alla discrezionalità, intesa come decisione amministrativa sul se, quando e come ricorrere al mercato, pur nei confini delineati dalla legge[13]: il nuovo Codice, in ossequio al principio di risultato, governa ed orienta l’esercizio del potere discrezionale della p.a., sotto la vigile lente del giudice amministrativo, lasciando all’agire amministrativo gli spazi vuoti per una regolazione ad hoc.

2) Venendo ora al cuore delle norme processuali, il codice dedica alcune disposizioni del libro V al “contenzioso” nel cui contesto, al Titolo I, viene inserito un articolo, l’art. 209, che contiene modifiche al codice del processo amministrativo.

Non è in realtà la sola norma che incide sul processo perché anche in altre parti del codice si registrano disposizioni che incidono sul processo o che danno rilievo all’intervento del giudice amministrativo[14], dalle quali è opportuno partire.

Così, per esempio, l’art. 17, comma 10, nel contesto delle fasi delle procedure di affidamento, stabilisce un principio secondo cui la pendenza di un contenzioso non giustifica mai la sospensione della procedura o dell’aggiudicazione, salvi poteri cautelari del giudice amministrativo (o di autotutela della stazione appaltante): il che vorrebbe dire subordinare la sospensione della procedura all’iniziativa della parte ricorrente, previa richiesta al giudice, in linea con il principio dispositivo.

Se, da un lato, è da accogliere positivamente l’intervento del legislatore nell’ottica dell’implementazione della speditezza delle procedure, d’altro lato, tuttavia, non può non allarmare la (necessitata) salvezza delle prerogative di riedizione del potere. Non risulta complesso immaginare, nel quadro normativo che viene delineandosi, un uso sovrabbondante (già in essere a prescindere dalla riforma) delle istanze cautelari, con tutto ciò che l’attivazione di tale tutela comporta sul piano strettamente processuale (e non solo). In tal modo, forse, si rischierebbe di neutralizzare la ratio sottesa alla norma stessa, ma bisogna dire che quantomeno sul piano del bilanciamento e della ponderazione degli interessi in gioco, la disposizione in commento presenta profili d’apprezzabilità.

3) Un altro esempio si può ricavare dall’art. 18, comma 2, secondo cui il contratto dev’essere stipulato entro 60 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione efficace anche in pendenza di un contenzioso: si dovrebbe intendere, quindi, fatti salvi i poteri cautelari del giudice. Disposizione che poi viene precisata al comma 4, secondo cui il ricorso avverso l’aggiudicazione con domanda cautelare inibisce la stipula del contratto dal momento della notificazione dell’istanza cautelare fino alla pubblicazione della sentenza cautelare di primo grado (ma ciò non costituisce una novità).

4) Ancora, un altro esempio riguarda l’art. 36 sulla disciplina dell’accesso agli atti della procedura nell’ipotesi in cui la Stazione appaltante decida di oscurare parti delle offerte. Questa decisione dev’essere impugnata ai sensi del 116 c.p.a. con termini ristrettissimi, entro 10 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione (sia la notificazione che il deposito). In questo caso, il rito è super-accelerato perché il ricorso in questione viene fissato d’ufficio (dunque anche in assenza di domanda di fissazione udienza: vedi art. 55, comma 4) in Camera di Consiglio nei termini dimezzati rispetto a quelli del 55 c.p.a. (misure cautelari collegiali). La fissazione avviene entro 10 giorni dall’ultima notifica e quindi sostanzialmente si procede secondo il rito appalti. Il ricorso dev’essere deciso con sentenza in forma semplificata da pubblicarsi entro 5 giorni dall’udienza di discussione. Interessante notare sul punto che la motivazione della sentenza può consistere in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie. Ciò vuol dire che in qualche modo viene data speciale rilevanza al “fatto” più che “al diritto” e cioè alla sussistenza dei presupposti della segretezza. Sembra peraltro poco chiaro il riferimento “agli argomenti delle parti” (cfr. art. 74 c.p.a., che non li menziona nel contesto della pur collaudata “sentenza in forma semplificata”): qui appare manifesta l’esigenza di velocità del giudizio, quasi che al giudice interessi fino ad un certo punto il tema di merito, cioè la segretezza delle pari oscurate. Per un verso, può rilevarsi che questo articolo presenta profili di modernità apprezzabili: la norma alleggerisce il dovere di motivazione analitica che incombe sul Giudice a (irrinunciabile) garanzia dei diritti degli amministrati, consentendogli di far proprie le argomentazioni di parte, qualora le condivida. Ciò a mio avviso non genera un vulnus nel diritto di difesa del privato, bensì recepisce una prassi che agevola il Giudice nella decisione e illumina il lavoro svolto dagli avvocati.

5) Passiamo ora all’art. 209, che modifica il rito di cui all’art. 120 (cd. rito appalti). Innanzitutto, viene inserito espressamente nel contenzioso in esame anche l’istituto della concessione. Non si notano particolari differenze se non alcune “vessazioni” come quella che prevede che in tutti gli atti di parte e in tutti i documenti del giudice debba essere identificato il CIG (codice identificativo gara). Nel caso in cui non dovesse essere indicato, evidentemente dalla parte che introduce il ricorso per prima (il privato), cui tale incombente viene diretto, si rinvia addirittura al procedimento per la correzione dell’errore materiale (86 comma 1). Qui il legislatore ha codificato una prassi degli uffici che nel modulo di deposito telematico del ricorso già richiedevano l’indicazione del CIG. Ma di certo non si è al cospetto di una “semplificazione”, almeno per il ricorrente.

È previsto, inoltre, che il termine per l’impugnazione degli atti di gara decorra dalla comunicazione (digitale) dell’aggiudicazione di cui all’art. 36, commi 1 e 2 o dalla comunicazione di cui all’art. 90. La disposizione ha il chiaro fine di scongiurare la prassi dei ricorsi cd. “al buio” e di assicurare l’effettività delle garanzie di difesa degli operatori economici partecipanti alla gara. Sono fatti salvi i termini per le impugnazioni incidentali, di cui all’art. 42 c.p.a., e per i ricorsi avverso avvisi e bandi di gara immediatamente lesivi, che decorrono dal momento della loro pubblicazione.

La norma dell’art. 209 poi afferma chiaramente, superando annose diatribe tra avvocati e segreterie (fino alle commissioni tributarie), questa volta favorevolmente per la parte privata (e indirettamente per la p.a. in caso di soccombenza), che per i motivi aggiunti non si deve versare il contributo unificato (comma 7).

Una novità interessante si rinviene al comma 5 della detta norma, ove si rafforza il principio dispositivo all’interno del processo perché si rimette alle parti la possibilità di richiedere congiuntamente al giudice l’esame di un’unica questione. E come se il legislatore -in tal modo- avesse inteso liquidare il “contenzioso appalti” alla luce del principio dispositivo, che si rafforza all’interno del processo. Ciò pone a mio avviso, forse, qualche problema e qualche riflessione. Se è vero che l’interesse legittimo normalmente è “disponibile” (da parte del titolare che può non ricorrere, rinunciare al ricorso, farlo perimere, scegliere i motivi di ricorso, rinunciare ad alcuni motivi etc. etc.), qui la disponibilità viene esaltata ancora di più. A sua volta, la P.A., che il ricorso subisce, ha sicuramente interesse a che l’esame sia limitato ad un’unica questione perché in questo modo il rischio di soccombenza si riduce. Prevale così l’interesse alla speditezza del rito, passando da una disponibilità frutto di accordo tra le parti in fase contenziosa. D’altra parte, è chiaro che se a seguito di questa attività dispositiva ci fosse un danno per la p.a., la questione potrà passare al vaglio della Corte dei conti per il caso di rinuncia alla completa disamina dei motivi, per cui non è detto che l’istituto funzioni. Più in generale, il legislatore non ha colto l’occasione, invece, per individuare sistemi alternativi al contenzioso, andando così in controtendenza rispetto al modello del processo civile: se, infatti, le parti possono decidere di affidare al giudice l’esame di una sola questione (magari perché di pronta e facile decisione), forse si sarebbe potuto prevedere un istituto simile alla conciliazione o agli accordi di cui all’art. 11 della l.n. 241/90, in casi del genere, per evitare contenziosi.

E’ vero però che anche nella disposizione in commento dell’art. 209 si potrebbe cogliere una certa familiarità con gli accordi sostitutivi del provvedimento amministrativo, come se tale fattispecie ne costituisse la traduzione sul piano processuale. In questo caso, sicuramente ci sarebbe margine per sostenere che la P.A., addivenendo ad un accordo in sede contenziosa, fornirebbe una sorta di acquiescenza e di rinuncia (implicita) anche a coltivare un’eventuale richiesta di risarcimento danni.

Si passa poi al comma 6: in caso di istanza cautelare (il che avviene praticamente sempre in questo tipo di contenziosi) all’esito dell’udienza in c.c. ed anche in caso di rigetto dell’istanza il giudice provvede ai necessari approfondimenti istruttori. Che cosa vuol dire? Come sappiamo l’istruttoria viene sempre demandata al giudice secondo il criterio del metodo acquisitivo. Qui sembrerebbe volersi dire o che in vista della preparazione dell’udienza di merito il giudice anticipa la fase istruttoria; oppure, meglio, potrebbe voler dire che il giudice può prescindere dall’approfondimento istruttorio in sede cautelare anche se ve ne fosse necessità. Ciò per esigenze di accelerazione della decisione della cautelare cui è rimessa la efficacia del contratto: con relativo esonero in via normativa di qualunque doglianza possa essere svolta dalla parte che lamenta il difetto di motivazione relativo al mancato approfondimento istruttorio sulla decisione cautelare. Sul punto si registra una tendenza nota al rito civile: si veda l’art. 669 sexies c.p.c. La norma comunque appare opportuna: perché anticipa l’istruttoria dell’udienza di merito al momento immediatamente successivo alla pronuncia cautelare (quale che sia il contenuto di quest’ultima).

6) L’art.121 sull’efficacia del contratto non contiene particolari novità.

7) Invece, piuttosto rilevante è l’integrazione all’art. 124 sulla tutela per equivalente, in quanto viene previsto un ampiamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella misura in cui il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie (prima ipotesi) e di quelle di rivalsa (seconda ipotesi) proposte dalla Stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo. Questa è un’ipotesi nuova, che codifica e sviluppa un principio stabilito dalla Plenaria n. 2/2017. Si legge nella relazione del Consiglio di Stato al nuovo codice che “L’innovazione punta a rafforzare la tutela risarcitoria sia del terzo pretermesso, leso dall’aggiudicazione illegittima, il quale può agire direttamente, oltre che nei confronti della stazione appaltante, anche nei confronti dell’operatore economico che, contravvenendo ai doveri di buona fede, ha conseguito una aggiudicazione illegittima; sia della stessa stazione appaltante, che può agire in rivalsa nei confronti di quest’ultimo o dell’eventuale terzo concorrente che abbia concorso con la sua condotta scorretta a determinare un esito della gara illegittimo. La nuova disposizione sviluppa una soluzione già prefigurata dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 12 maggio 2017 n. 2 (§ 22 e 30 e ss.) e si raccorda con l’art. 41 comma 2 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nella parte in cui prevede che «Qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo». L’innovazione rimanda, inoltre, al comma 4 dell’art. 5 rubricato “Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento”, il quale prevede che «Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con una condotta contraria ai doveri di buona fede»”.

A tale riguardo si osserva che l’espansione della giurisdizione amministrativa si riconnette al principio di concentrazione, che viene esaltato in nome degli interessi in gioco (non è la prima volta). Cerchiamo di capire meglio il perimetro.  L’azione sembra essere una: l’azione di rivalsa della Stazione appaltante, secondo l’art. 5 comma 4 e secondo il nuovo art. 124 c.p.a. (come modificato dall’art. 209). Però la norma, l’art. 124, introduce anche l’azione risarcitoria proposta dalla Stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico: non più in via di rivalsa ma in via diretta. Non si parla di azione del terzo pretermesso nei confronti dell’operatore economico che ha illegittimamente concluso l’appalto. Quindi, in sostanza, avremmo: i) l’azione di risarcimento del danno promossa dal pretermesso nei confronti della Stazione appaltante; ii) l’azione di rivalsa della Stazione appaltante nei confronti del concorrente. Azioni, queste, che sono pacificamente attratte alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Poi abbiamo una ipotesi di responsabilità di chi ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con comportamento illecito che si traduce in un’azione risarcitoria (art. 124, comma 1, c.p.a.), ma quest’ultima azione, che può essere promossa tra privati (cioè tra il terzo pretermesso e l’operatore economico) dovrebbe esulare dalla giurisdizione esclusiva del g.a. perché manca, o è davvero molto flebile, la spendita di potere pubblico, che sarebbe quell’indice che la Consulta (con le note sentenze Vaccarella) richiede per l’attrazione nella sfera del g.a.: la sent. n. 204/2004 ha spiegato bene che “può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990)”.

Peraltro, non mi sembra modificato l’art. 41, comma 2, del codice dei contratti pubblici, secondo cui qualora sia proposta azione di condanna il ricorso è altresì notificato ai beneficiari dell’atto illegittimo (ma solo ai fini della notifica). Quindi, comunque sia, su questo aspetto rimane un dubbio, che si ricollega alle proverbiali criticità delle nostre leggi, che ciclicamente tornano nel nostro ordinamento: la norma è ondivaga, e genera una confusione che sarà con tutta probabilità risolta dal ruolo suppletivo della giurisprudenza.

Sul punto si segnala anche, per quanto si tratti di una ipotesi diversa, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III., n. 3896/2023, relativa alla sorte della domanda di “accertamento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale”, cioè del ristoro per equivalente dei danni patiti in conseguenza del vizio (istruttorio e motivazionale) del provvedimento: “Alla luce del riferito inquadramento della fattispecie (…), la situazione giuridica soggettiva della ricorrente, lesa dal potere autoritativo dell’amministrazione (che si assume essere stato illegittimamente esercitato), va inequivocamente qualificata come di interesse legittimo: non già in ragione della prospettazione, ma piuttosto quale conseguenza dell’applicazione al caso di specie delle categorie enucleate dalla plurisecolare giurisprudenza del giudice regolatore della giurisdizione in punto di causa petendi”[15].

Il Consiglio di Stato, cioè, dopo aver ricordato che alla dicotomia diritti/interessi – essendo vigente la legge abolitrice del contenzioso amministrativo ed avendo la Costituzione recepito l’assetto ordinamentale pre-repubblicano (Corte costituzionale, sentenza n. 204 del 2004) – si fa tuttora riferimento come criterio di riparto, osserva che non va trascurato che il legislatore, nella norma che attualmente regola il riparto della giurisdizione, ha spostato l’accento sull’ “esercizio o il mancato esercizio del potere” (art. 7, comma 1, cod. proc. amm.). Ciò, probabilmente, allo scopo di ridurre le conseguenze derivanti dalle difficoltà classificatorie in punto di individuazione della situazione giuridica soggettiva (ed i connessi limiti ad una efficace tutela del cittadino derivanti dall’incertezza nell’individuazione della regola di riparto),

Tale disposizione si inserisce nell’evoluzione del sistema italiano di giustizia amministrativa, non abrogando ma integrando la precedente disciplina del riparto.

Sempre nell’ottica di non trascurare la rilevanza del precetto positivo, la stessa sentenza avverte che la violazione del principio di “concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi” (art. 7, comma 7, cod. proc. amm.), trattandosi di principio riferito all’articolata nozione di giusto processo, potrebbe far sorgere dubbi di legittimità costituzionale di un diritto vivente che da tale parametro si discostasse (sussistendo il legame con il potere).

Con riferimento a questa (seconda) domanda, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’art. 7, comma 4, del codice del processo amministrativo devolve alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, tra l’altro, le controversie “relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.

Quando il danno lamentato è conseguenza del cattivo esercizio del potere la posizione del danneggiato è di interesse legittimo e la relativa domanda risarcitoria non può che essere conosciuta dal giudice amministrativo.

Alcune considerazioni sui rimedi alternativi.

8) Non si registrano particolari novità nei rimedi alternativi (accordo bonario; transazione; arbitrato), fatto salvo il Collegio consultivo tecnico, che era presente nel vecchio codice, ma i cui poteri oggi sono rinforzati nella duplice ottica della prevenzione del contenzioso e della mediazione finalizzata alla celere esecuzione degli appalti pubblici (non solo di opere) e la cui costituzione è obbligatoria per gli appalti “sopra soglia”. I poteri di conciliazione sono espressamente previsti dall’art. 215, comma 1, che riconnette al CCT funzioni e compiti diretti a prevenire le controversie o consentire la rapida risoluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell’esecuzione dei contratti.

Funzioni e compiti che il CCT disimpegna con diversi atti: pareri, determinazioni e, salvo espressa volontà contraria manifestata dalle parti, anche decisioni “aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile”: con ciò rivitalizzandosi l’istituto dell’arbitrato irrituale[16]. In quest’ultima ipotesi, il collegio ha però un vincolo: se la pronuncia assume valore di lodo contrattuale, l’attività di mediazione e conciliazione è comunque finalizzata “alla scelta della migliore soluzione per la celere esecuzione dell’opera a regola d’arte”. L’importanza del CCT, nei piani del legislatore, si scopre al terzo comma dell’art. 215, con un warning alle parti. L’inosservanza dei pareri o delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali. Al contrario, l’osservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico è causa di esclusione della responsabilità per danno erariale, salva l’ipotesi di condotta dolosa.

La disciplina in esame finisce per assegnare alle determinazioni del CCT un valore assimilabile alle “linee guida”[17] che, se osservate, possono avere conseguenze virtuose. Naturalmente, resta aperta la questione della rilevanza di tale conseguenza in caso di disamina della stessa questione affrontata dal CCT da parte del giudice, che ritenga però di esprimere un diverso avviso rispetto a quello del CCT. E’ verosimile immaginare, allora, che più elevata ed autorevole sarà la componente tecnico-giuridica del CCT, minore sarà la probabilità che il giudice possa esprimere un disaccordo rispetto al contenuto delle determinazioni del CCT.

9) Di rilievo è anche l’art. 220, comma 2, che estende la legittimazione ad agire in capo all’ANAC.  Il potere conferito all’Autorità sin dall’art. 211, comma 1-bis, del Codice del 2016, presenta caratteri di affinità con quello spettante all’AGCM di cui all’articolo 21-bis della legge n. 287/1990, che configura la legittimazione “speciale” dell’AGCM in materia di provvedimenti amministrativi lesivi delle norme a tutela della concorrenza.

Come rilevato dalla stessa Autorità nella Relazione sull’articolo 211 commi 1-bis e 1-ter del d.lgs. 50/2016, sia la legittimazione ANAC che quella AGCM rispondono alla medesima finalità e sono governate dalla stessa impostazione concettuale: l’attribuzione della tutela di interessi superindividuali, come nel caso degli interessi diffusi, a soggetti pubblici indipendenti ed imparziali.

10) Anche le modifiche intervenute sulla disciplina delle cause di esclusione (ora esplicitamente divise in automatiche e non automatiche, agli artt. 94 e 95) sembrano militare a favore dell’obiettivo di deflazione del contenzioso. Si pensi, a titolo esemplificativo, al venir meno della rilevanza della sentenza di patteggiamento o dei cd. “cessati dalla carica” e del “socio di maggioranza”, che, rimossi dalle cause escludenti, sfoltiscono considerevolmente il contenzioso.

Ancora, la minuziosa disciplina di cui all’art. 96, relativa alle modalità operative delle clausole di esclusione e, in particolare, l’estensione, in linea con la Direttiva europea, delle misure c.d. di self-cleaning, sono limpidamente volte a favorire – oltre che la concorrenza, il favor partecipationis e la parità di trattamento – una più efficace gestione amministrativa dei profili potenzialmente idonei a costituire occasioni di apertura di un contenzioso.

Nella medesima prospettiva si può intendere anche l’ampliamento del soccorso istruttorio, attraverso la previsione della possibilità, fino al giorno di apertura delle offerte, di rettificare gli errori materiali contenuti nell’offerta tecnica e nell’offerta economica di cui l’operatore economico si sia avveduto dopo la presentazione dell’offerta (a condizione che la rettifica non comporti la presentazione di una nuova offerta o la modifica sostanziale e che sia garantito l’anonimato, v. art. 101, comma 4).

Conclusioni

La tendenza è chiara: ridurre i margini della fisiologica dinamica processuale e in qualche misura schermare l’operato della p.a. Le norme in esame, in qualche modo, esaltano la sommarietà del rito e affidano le sorti del processo alla iniziativa delle parti, più che in passato[18]. Il rito sommario, all’epoca delle riforme del c.p.c. del 1865, era definito anche “il procedimento delle sorprese”, molto desiderato dal ceto forense che, così, poteva di volta in volta calibrare la difesa in udienza. Volendo provare a dare qualche spunto di classificazione, potremmo dire che questa è una novella di stampo liberale: anche se, come ogni riforma, gli effetti sono imprevedibili. E qui si potrebbe concludere con le perplessità di Salvatore Satta[19], sull’idea che il processo possa realizzare lo scopo della legge: il processo però ha dinamiche proprie, il cui unico scopo, è solo il giudizio. Sicché, provare a modificare la disciplina dei contratti pubblici incidendo sul processo, potrebbe avere effetti imprevisti e magari opposti a quelli immaginati dal legislatore.

[1] Il presente contributo riproduce l’intervento dell’Autore al Convegno della Camera amministrativa tenutosi a Lecce il 26 maggio 2023.

[2] M.A. Sandulli, Il rito speciale sui contratti pubblici nel primo decennio del c.p.a.: tra progresso e involuzione, in Dir. proc. amm., 2021, 183 e ss..

[3] Per un’analisi accurata delle novità introdotte dal Codice del 2016, si può vedere M. Lipari, La tutela giurisdizionale e “precontenziosa” nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in federalismi.it, 11 maggio 2016.

[4] Sul punto, più approfonditamente, si veda, A. Massera – F. Merloni, L’eterno cantiere del Codice dei contratti pubblici, in Diritto Pubblico, n. 2/2021.

[5] Si potrebbe partire dall’impatto della direttiva 18/2004, su cui si veda S. Arrowsmith, An assesment of the new legislative package on public procurement, in CMLR, 2004, 41, pp. 1277-1325 e R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2004, p. 227 ss; M.A. Sandulli-R.De Nictolis-R. Garofoli (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, vol. II, Milano, 2008; per passare agli interventi più recenti ove l’impatto con i temi processuali è divenuto più rilevante; cfr. G. Greco (a cura di), Il sistema della giustizia amministrativa degli appalti pubblici in Europa, Milano, 2010; M.A. Sandulli, Le principali novità nel rito speciale in materia di appalti pubblici, in Astrid-online.it, 17/2011. Si ricorda altresì il decreto legge 24 giugno 2014 con il quale sono entrate in vigore nell’ordinamento alcune disposizioni che interessavano direttamente la giustizia amministrativa ed il suo codice: l’attuazione del processo telematico (art. 38), la semplificazione ed accelerazione del contenzioso in materia di appalti pubblici (artt. 39-40), il contrasto all’abuso del processo (art. 41). Più di recente, M. Lipari, Giurisdizione, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. Sandulli e R. De Nictolis, vol. V,  Milano,  2019,  592.

[6] S. Perongini, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici, in www.lamministrativista.it, 2 gennaio 2023.

[7] E ciò anche per ragioni sistematiche: L.R. Perfetti, Sul nuovo Codice dei contratti pubblici. In principio, in Urb. e app., 2023, 5 ss

[8] Cfr. F. Saitta, I principi generali del nuovo Codice dei contratti pubblici, in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/2799-i-principi-generali-del-nuovo-codice-dei-contratti-pubblici?hitcount=0, secondo il quale, peraltro, la portata dei principi generali dovrebbe essere ridimensionata e riferita ad alcuni singoli istituti: ad esempio, andranno interpretati ed applicati in base al principio del risultato (ed al correlato principio di economicità) il soccorso istruttorio; mentre il principio della fiducia potrà a sua volta fungere da criterio interpretativo ed applicativo anche di altri istituti chiave, come il conflitto di interessi, le cause di esclusione e  il contratto di avvalimento.

[9] Sul tema, cfr. S. Dettori, Il ruolo dei principi nella disciplina dei contratti pubblici, in Nuove autonomie, 2012, 89 ss.

[10] “Indiretta” nel senso che il giudice è ovviamente ben consapevole che la regola del giudizio dovrà calarsi nei principi classici di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza, proporzionalità, oggi sintetizzati nell’espressione codicistica “dell’accesso al mercato”. Vedi già sul punto R. Caranta, Transparence et concurrence, in Comparative Law on Public Contracts, a cura di R. Noguellou e U. Stelkens, Bruxelles, 2010, 145 ss.

[11] Invoca il ricorso alle sia pur non agevoli e sfuggenti “tecniche di bilanciamento”, F. Saitta, I principi generali, ult. cit.

[12] Sul punto, si può vedere G. Tulumello, Il diritto dei contratti pubblici fra regole di validità e regole di responsabilità: affidamento, buona fede, risultato, in Giustizia amministrativa, 7 giugno 2023.

[13] Come ha rilevato anche F. Caringella, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: riforma o rivoluzione?, in Giustizia Amministrativa, 19 giugno 2023.

[14] M. A. Sandulli, Procedure di affidamento e tutele giurisdizionali: il contenzioso sui contratti pubblici nel nuovo Codice, in Federalismi.it, 8/2023.

[15] Come ricordato dalla Ad. Plenaria n. 20/2021, la stessa Corte costituzionale ha in seguito precisato che non è vero che la giurisdizione è devoluta giudice ordinario «per ciò solo che la domanda proposta dal cittadino (nei confronti della pubblica amministrazione) abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno», dal momento che il risarcimento non è oggetto di un diritto soggettivo, ma è un rimedio (uno tra quelli previsti dall’ordinamento giuridico) a tutela delle posizioni giuridiche soggettive riconosciuto al singolo (sentenza 11 maggio 2006, n. 191)”.

[16] Sul punto, B. Sassani, L’arbitrato irrituale, in Scritti scelti, Torino, 2023, p. 16, che illustra l’istituto evidenziando in chiave critica la posizione della dottrina che vede in tale attività un arbitrato solo apparente, un surrogato dell’arbitrato.

[17] Non mancano nell’ordinamento esempi analoghi: la legge 24/2017 (cd Gelli-Bianco) interviene su questo punto all’articolo 5, stabilendo che gli esercenti professioni sanitarie debbano attenersi “salve le specificità del caso concreto” a linee guida, con i relativi effetti positivi.

[18] Ciò forse accresce quelle criticità che intrinsecamente connotano il nostro modello di tutela giurisdizionale nell’ambito della contrattualistica pubblica, ove si rinviene l’aspetto paradossale, quasi “schizofrenico”, derivante dall’attribuzione alle imprese partecipanti alla gara del ruolo aggiuntivo di “sentinella” dell’interesse pubblico. In tal senso, ed in prospettiva comparatistica del sistema italiano con quello francese, modellato sulla figura del recours pour excés de pouvoir (per quanto, nel tempo, temperata e contaminata), cfr. L. Viola, Il contenzioso dei contratti pubblici in Italia e in Francia: una (prima) comparazione, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 2/2019.

[19] S. Satta, Il Mistero del Processo, in Riv. Dir. Proc., 1949, I, p. 273, ss..