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Le azioni sullo status filiationis e il nuovo procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie
Di Sara Barone -
Sommario: 1. L’applicabilità del procedimento unitario. 2. Il ruolo del curatore speciale e del pubblico ministero nella tutela del minore. 3. La ricerca della verità e l’interesse del minore alla conservazione del rapporto parentale. 3.1. (segue) l’accertamento della verità nell’azione di disconoscimento della paternità. 4. Il rito unitario come sede processuale idonea ad agevolare il cumulo di domande relative all’accertamento dello status di figlio. 5. I provvedimenti sull’affidamento resi dal giudice dell’azione di stato (in particolare nel giudizio ex art. 250, co. 4, c.c.).
1. L’applicabilità del procedimento unitario
Il presente contributo vuole evidenziare alcuni risvolti applicativi del nuovo rito ex artt. 473-bis e ss., introdotto dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, alle azioni di stato[1], con attenzione particolare a temi e questioni processuali bisognosi di apposita sistemazione alla luce del rinnovato procedimento[2].
La pacifica applicabilità del procedimento unitario di cui al nuovo Titolo IV bis “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie” del c.p.c. alle azioni di stato, stante il chiaro disposto dell’art. 473-bis[3], non è di per sé sufficiente a sopire i dubbi nascenti dall’adattamento di tali azioni al procedimento in parola, concepito e disciplinato come un «poderoso tentativo di uniformazione e al contempo di differenziazione degli strumenti di tutela giurisdizionale dedicati alle controversie oggi rientranti nell’ambito di applicazione delle nuove norme»[4]. Il Titolo IV bis, infatti, si apre con il capo I dedicato alle “disposizioni generali”, passando per il capo II sul “procedimento”, per arrivare al capo III sulle “disposizioni speciali”, tra cui, però, significativamente, non vengono dettate norme specifiche per le azioni di stato, che, anche per gli aspetti più tipicamente processuali, continuano a trovare disciplina nel codice civile, in particolare ex art. 243-bis e ss. per l’azione di disconoscimento della paternità; artt. 239 e ss. per le azioni di reclamo e contestazione dello stato di figlio; art. 250, co. 4, per il ricorso volto ad ottenere la sentenza che tenga luogo del consenso del genitore che si opponga al riconoscimento dell’altro genitore; art. 252, per il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio di uno dei due coniugi; artt. 263 e ss. per l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità; artt. 269 e ss. per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.
Merita attenzione anche la nuova regola di individuazione del giudice competente, incentrata sul minore, e da ritenersi valida anche per le azioni di stato.
Stante il disposto dell’art. 9 c.p.c., nonché dell’art. 38 disp. att. c.c. che, pure all’esito delle ultime modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022, continua a prevedere una competenza generale del tribunale ordinario per l’adozione di provvedimenti relativi ai minori per i quali non sia espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria (i.e.: il tribunale per i minorenni)[5], le azioni di stato sono devolute alla competenza del tribunale ordinario, individuato, se del caso, in base al luogo di residenza abituale del minore: così l’art. 473-bis.11 c.p.c., a meno che – in deroga all’art. 5 c.p.c. – si sia verificato un trasferimento non autorizzato del minore anteriormente all’instaurazione del giudizio e non sia ancora decorso un anno dall’evento: in questo ultimo caso sarà competente il tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore prima di tale trasferimento.
È stato giustamente osservato che la norma si adegua allo standard europeo – così l’art. 7 reg. UE n. 1111/2019 per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore[6] – e punta altresì a prevenire abusi prorogando la competenza del tribunale della residenza originale per un periodo di tempo ritenuto congruo, superando la giurisprudenza di legittimità che, ai fini della determinazione del foro competente, riteneva sufficiente che il trasferimento unilaterale di un minore non avesse finalità abusive o comunque di sottrazione del minore all’altro genitore[7].
Ove, dunque, l’azione di stato coinvolga un minore, non può esservi alcun dubbio sul radicamento della competenza innanzi al giudice del luogo di residenza del minore stesso, dovendosi intendere quale foro esclusivo e non concorrente con quello generale del convenuto[8].
2. Il ruolo del curatore speciale e del pubblico ministero nella tutela del minore
La riforma Cartabia ha recepito nel codice di rito la crescente centralità del minore, del resto già ben presente alla elaborazione giurisprudenziale, da tempo sensibile alle istanze sovranazionali (a capo la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo), tese a garantire la considerazione del minore nel processo non più solo come soggetto passivo, meramente destinatario di protezione, bensì come titolare di diritti, soggetto autonomo sebbene vulnerabile[9], nella prospettiva dichiaratamente “paidocentrica”[10]. Da qui la crescente valorizzazione dell’ascolto del minore.
Nel nostro ordinamento, già con la L. 10 dicembre 2012, n. 219, era stato introdotto nel codice civile l’art. 315-bis, a norma del quale «il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano». Tra le disposizioni generali del nuovo procedimento unitario, il diritto all’ascolto del minore è sancito all’art. 473-bis.4 c.p.c. (oltre che minutamente procedimentalizzato al successivo art. 473-bis.5), ove, con formula persino più perentoria di quella usata nel menzionato art. 315-bis, si prescrive che il minore di anni dodici o addirittura di età inferiore se capace di discernimento è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano».
In tutte le azioni aventi ad oggetto lo status filiationis, quali procedimenti in cui per definizione vengono adottati provvedimenti che riguardano il minore, egli dovrà essere ascoltato, essendo a tal fine irrilevante che sia parte attrice o meno, poiché in ogni caso parte necessaria (fermo restando che ove pure non fosse additato come parte necessaria resterebbe soggetto direttamente inciso dai suddetti procedimenti).
Le nuove norme inserite nel rito di cui agli artt. 473-bis e ss. c.p.c. recepiscono dunque un dato già ampiamente acquisito sull’ascolto del minore come «tecnica di tutela ulteriore, diretta a ‘rafforzare’ il diritto al contraddittorio e alla difesa nel processo che, quantomeno sul piano formale, il minore-parte ha già acquisito per mezzo della costituzione in giudizio»; «una tecnica di garanzia ulteriore, volta a ‘correggere’ la fragilità di un soggetto naturalmente ‘debole’ e, al contempo, ad equiparare, per quel che si rivela possibile, la sua ‘forza’ processuale a quella dei soggetti adulti implicati nella medesima crisi familiare»[11].
Se, da un lato, dunque, la costruzione della “capacità processuale” del minore passa per un progressivo consolidamento del diritto all’ascolto del minore stesso, dall’altro, essa trova una sempre più vigorosa espressione nella figura chiave del curatore speciale[12]. Il nuovo art. 473-bis.8 c.p.c. elenca una serie di ipotesi – tra cui non si ritrovano, almeno direttamente, anche le azioni di stato – in cui il giudice provvede d’ufficio, e a pena di nullità, alla nomina del curatore speciale del minore. Alla lett. d), in particolare, è previsto che il giudice nomini il curatore speciale «quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni»: si attribuisce al minore ultraquattordicenne (persona “complessa”[13]) un “frammento di capacità processuale”[14], e si costituisce così la premessa e il presupposto per la proposizione delle azioni di stato. Come è stato già attentamente osservato in dottrina, il minore ultraquattordicenne potrebbe ora reputarsi legittimato a conferire ad un suo legale di fiducia il mandato per proporre l’istanza di nomina del curatore speciale per proporre un’azione di stato[15], venendosi quasi ad abbattere la distanza rispetto all’ipotesi del figlio che abbia raggiunto la maggiore età, ovviamente legittimato a proporre l’azione senza l’intermediazione del curatore speciale (v. l’art. 244, co. 5 e 6, c.c., per il disconoscimento della paternità).
A chiusura del sistema restano sempre l’art. 78, co. 2, c.p.c., che continua a prevedere la nomina del curatore speciale nel caso di conflitto di interessi, e che troverà applicazione solo quando non la trovi l’art. 473-bis.8[16]; e l’art. 80, co. 1, c.p.c., come modificato dalla riforma Cartabia, ai sensi del quale «se la necessità di nominare un curatore speciale sorge nel corso di un procedimento, anche di natura cautelare, alla nomina provvede, d’ufficio, il giudice che procede»[17].
Sul fronte del ruolo del pubblico ministero, bisogna osservare che la riforma Cartabia, pur lasciando inalterato l’assetto dell’intervento del pubblico ministero[18] – che, ai sensi dell’art. 70, co. 1, n. 3), c.p.c., deve intervenire a pena di nullità rilevabile d’ufficio nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone[19] – introduce nel nuovo rito unitario, tra le disposizioni generali, l’art. 473-bis.3 sui “poteri del pubblico ministero”, attribuendogli «nell’esercizio dell’azione civile e al fine di adottare le relative determinazioni» poteri di «assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti, anche avvalendosi della polizia giudiziaria e dei servizi sociali e assistenziali», senza tuttavia distinguere tra le ipotesi in cui il P.M. è titolare dell’azione da quelle in cui è interventore necessario[20].
In ogni caso, nell’inquadrare il ruolo del P.M. nei giudizi aventi ad oggetto lo status filiationis, un punto su cui soffermarsi non è tanto il coordinamento tra nuovo rito e disposizioni già prescritte nel c.p.c., quanto piuttosto quello tra le norme processuali complessivamente intese e le norme dettate dal codice civile per le singole azioni di stato, nelle quali si rinviene un profilo comune di legittimazione del pubblico ministero a farsi promotore dei giudizi sullo status filiationis, all’insegna di un grado di coinvolgimento che non sembra essere concepito come vera e propria legittimazione ad agire[21].
Con disposizione che ricorre invariata nelle diverse norme, infatti, si prevede che «l’azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni ovvero del pubblico ministero o dell’altro genitore, quando si tratti di figlio di età inferiore» (enfasi aggiunta): così, l’art. 244, co. 6, c.c., per l’azione di disconoscimento di paternità, a cui fanno rinvio sia l’art. 248, co. 5, c.c., in materia di azione di contestazione dello stato di figlio, che l’art. 249, co. 5, c.c., dettata per l’azione di reclamo dello stato di figlio; ma anche l’art. 264 c.c., che disciplina l’ipotesi di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità da parte del figlio minore, e ove pure si fa riferimento alla possibilità che la sollecitazione rivolta al curatore speciale perché promuova l’azione provenga dal pubblico ministero in alternativa all’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio.
Sembra di intravedere i caratteri di una legittimazione ad agire – se così può dirsi – “diffusa” e “condivisa”[22], ove la proposizione dell’azione nell’interesse del minore con meno di 14 anni si presenta come il risultato di una fattispecie complessa, avviata con l’iniziativa del pubblico ministero che spetta, poi, al curatore speciale promuovere e portare a compimento. In merito a tale iniziativa, è stato osservato in dottrina che la disposizione è «laconica, prevedendo l’assunzione di sommarie informazioni solo con riferimento alla nomina da parte del giudice, e non specificamente con riguardo alla precedente istanza del pubblico ministero» e che sul punto «la prassi ha evidenziato situazioni nelle quali il pubblico ministero – a seguito di notizie riferitegli per lo più dal preteso padre naturale circa una sua relazione con la madre – chiede puramente e semplicemente al tribunale di disporre la nomina del curatore». Prassi giustamente criticata, all’insegna dell’interesse del minore a che venga rimossa la paternità legale, non potendo il pubblico ministero avanzare istanze generiche e quindi del tutto esplorative[23].
Non ci si trova dunque dinanzi ad ipotesi in cui il pubblico ministero può considerarsi vero e proprio “agente” ai sensi dell’art. 69 c.p.c. Del resto, le disposizioni che vengono tradizionalmente incluse nel novero di casi tassativi in cui il P.M. ha un vero e proprio potere d’azione lo contemplano espressamente come legittimato a promuovere il giudizio, come, ad esempio, per l’impugnazione del matrimonio ai sensi degli artt. 117 o 125 c.c.[24]; così come la giurisprudenza, ormai costantemente, afferma che, in materia di azioni di stato, il P.M. deve intervenire a pena di nullità, ma è privo della legittimazione a impugnare, non essendo titolare del potere di azione[25].
Si può notare, peraltro, che l’introduzione nell’elenco dell’art. 70 c.p.c., al nuovo n. 3-bis), della ulteriore ipotesi di intervento necessario del P.M. nelle «cause in cui devono essere emessi provvedimenti relativi ai figli minori», in parte sovrapponibili con l’insieme delle azioni riguardanti lo status filiationis, potrebbe rappresentare l’occasione per rivedere quell’orientamento giurisprudenziale, già criticato da una parte della dottrina, che ritiene sufficiente la comunicazione della pendenza del giudizio al P.M. affinché possa dirsi soddisfatta la condizione, prescritta a pena di nullità, del suo intervento necessario, a prescindere dalla sua effettiva partecipazione e dalla formulazione di conclusioni[26], auspicando invece una partecipazione effettiva del pubblico ministero.
3. La ricerca della verità e l’interesse del minore alla conservazione del rapporto parentale
Nel complesso equilibrio tra favor veritatis e favor legitimitatis, col tempo è andata sempre più affermandosi la preminenza dell’interesse del minore alla conservazione dello status acquisito, di talché la verità perseguita tramite l’esperimento delle azioni di stato non può più intendersi come coincidente con la verità biologica, quanto piuttosto con quella che si potrebbe definire la verità consolidatasi attraverso la relazione parentale[27]. Emerge, dunque, la prevalenza indiscussa del principio secondo cui «nelle azioni di stato, in caso di divergenza tra identità biologico-genetica e identità legale, il giudice è chiamato ad un bilanciamento degli interessi in gioco, anche a tutela di quello dei minori alla conservazione dello stato acquisito»[28].
Il bilanciamento, tuttavia, implica proprio che l’interesse del minore alla conservazione o all’acquisizione di uno stato di filiazione non corrispondente alla verità biologica non possa considerarsi in assoluto prevalente, restando pur sempre di primaria importanza l’accertamento della verità genetica sul rapporto genitoriale, e dovendosi pur sempre valutare anche l’interesse degli altri soggetti coinvolti[29]. Da ultimo, la Corte Costituzionale ha ribadito che «l’assetto normativo codicistico rappresentato dagli artt. 250 [riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio] e 269 [dichiarazione giudiziale di paternità e maternità] cod. civ. pone come presupposto (necessario e sufficiente) per l’accoglimento dell’istanza di dichiarazione giudiziale di paternità l’accertamento del legame biologico tra genitore e figlio. Ciò è, del resto, ribadito dalla Corte di cassazione, la quale costantemente afferma che «l’art. 269 c.c. […] attribuisce la paternità naturale in base al mero dato biologico» (così, ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32308)»[30].
È altresì necessario considerare che tale bilanciamento tra l’interesse alla conservazione dello status derivante dal rapporto e il favor veritatis si connota in modo decisamente diverso nell’ipotesi del figlio nato da procreazione medicalmente assistita eterologa (il cui divieto, dapprima impresso nella l. 40/2004, è venuto meno all’esito della storica pronuncia di C. Cost., 10 giugno 2014, n. 162), per il quale vale quanto disposto in particolare dagli artt. 8 e 9 della stessa l. 40/2004, vigendo addirittura il divieto di disconoscimento da parte del genitore non genetico. In questo caso, dunque, non opera alcun bilanciamento, o meglio il bilanciamento è effettuato a monte dal legislatore che ha scelto di considerare sempre prevalente la verità legale su quella biologica, assumendo che la scelta di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita «impone una responsabilità genitoriale della coppia nei confronti del nato, che non può venire meno in nessuna circostanza»[31].
Sullo sfondo della oscillazione tra gli interessi contrapposti, alcune delle norme del nuovo procedimento “unitario” in materia di istruzione probatoria concepiscono, in nome del superiore interesse dei minori, un procedimento in cui, da un lato, il giudice è dotato di importanti poteri di iniziativa officiosa, e dall’altro, le parti sono tenute ad osservare più stringenti doveri di verità e collaborazione.
Tanto per cominciare l’art. 473-bis.2 c.p.c., rubricato appunto “Poteri del giudice”, stabilisce che il giudice possa, a tutela dei minori, (oltre che nominare d’ufficio il curatore speciale nei casi previsti dalla legge e adottare i provvedimenti ritenuti opportuni anche in deroga all’art. 112 c.p.c.) anche – per quel che più interessa in questo specifico frangente – disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile (e così in particolare a quelli di cui agli art. 2721 ss. c.c.). Non è una disposizione nuova all’ordinamento processuale, trovando anzi un celebre precedente nell’art. 421 c.p.c. dettato per il processo del lavoro, la cui interpretazione quale norma di contemperamento del principio dispositivo, ma mai di superamento dell’ambito di allegazioni di parte con finalità di perseguimento della verità giudiziale, può ragionevolmente valere anche per il nuovo art. 473-bis.2 c.p.c.[32].
Vi è poi l’art. 473-bis.12, spec. co. 3 e 4, c.p.c., sul contenuto del ricorso introduttivo, là dove prescrive l’allegazione puntuale e veritiera di fatti e circostanze necessari affinché il giudice provveda su domande di contenuto economico o in presenza di figli minori o in generale nei procedimenti relativi ai minori; e soprattutto l’art. 473-bis.18 c.p.c., rubricato “Dovere di leale collaborazione”, ai sensi del quale «il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116, nonché ai sensi del primo comma dell’articolo 92 e dell’articolo 96», e che impone così alle parti un vero e proprio dovere di verità, inteso quale obbligo di collaborazione all’accertamento dei fatti[33].
3.1. (segue) l’accertamento della verità nell’azione di disconoscimento della paternità
Il tema dell’accertamento della verità assume una ovvia importanza nell’azione di disconoscimento della paternità ex art. 243-bis c.c. È appena il caso di ricordare brevemente che, in origine, i casi di proponibilità dell’azione di disconoscimento erano tassativi e condizionati cioè alla prova di una delle circostanze indicate nell’allora vigente art. 235 c.c.: mancata coabitazione tra i coniugi nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita; impotenza del marito; adulterio della moglie; celamento della gravidanza e della nascita del figlio al marito. La norma, peraltro, imponeva degli stringenti limiti probatori. In particolare, non era libera la prova per il marito che voleva dimostrare l’adulterio della moglie, da cui il concepimento con altro uomo; e soprattutto la prova dell’adulterio era reputata condizione necessaria all’esame e conseguente utilizzabilità della prova genetica, unica in grado di fornire la prova del difetto di paternità biologica del marito agente, con l’effetto per cui «difettando la prova dell’adulterio, anche in presenza della dimostrazione che il figlio presentava caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, l’azione di disconoscimento di paternità doveva essere respinta»[34].
Bisognerà attendere la pronuncia di Corte cost., 6 luglio 2006, n. 266 prima e l’intervento riformatore del 2013 poi per vedere consacrata la piena possibilità di far prevalere la verità biologica su quella legale, purché sempre nell’interesse del minore[35], il che venne a tradursi, sul piano probatorio, nella prova finalmente libera della non paternità attraverso l’esperimento delle prove tecniche genetiche ed ematologiche. Oggi l’art. 243-bis, co. 2, c.c., statuisce infatti che «chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste il rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre» e, come afferma costantemente la giurisprudenza, l’accertamento ematico-genetico è divenuto la prova principale in questi giudizi, destinata a formare argomento di prova nel caso di rifiuto della parte di sottoporsi all’esame[36].
A questo proposito, conviene comunque precisare quanto può apparire scontato, e cioè che il già richiamato art. 473-bis.2 c.p.c., nell’ammettere che il giudice disponga mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, non possa essere forzato al punto da consentire l’esecuzione coattiva dell’esame genetico o ematologico, a cui la parte opponga rifiuto, valendo pur sempre quanto stabilito dall’art. 118, co. 2, del codice di rito, in materia di ispezione corporale (a cui l’esame emato-genetico è assimilato[37]), secondo cui dal rifiuto, sanzionabile con pena pecuniaria, si possono desumere al più argomenti di prova.
4. Il rito unitario come sede processuale idonea ad agevolare il cumulo di domande relative all’accertamento dello status di figlio
Con la decisione di Cass. civ. SU, 22 marzo 2023, n. 8268[38], resa a valle della pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Scalzo c. Italia[39], il giudice di legittimità ha chiarito che i giudizi di disconoscimento della paternità e di dichiarazione giudiziale di altra paternità sono in un rapporto di pregiudizialità, per cui, in caso di contemporanea pendenza dei due procedimenti, il secondo deve essere sospeso ex art. 295 c.p.c., non dovendosi invece, come pure si riteneva secondo un certo orientamento, dichiarare l’inammissibilità della domanda. Era, quest’ultima, una conseguenza tratta dal combinato disposto degli artt. 269 e 253 c.c., a norma dei quali la paternità e la maternità possono essere dichiarate giudizialmente soltanto nei casi in cui è ammesso il riconoscimento, a sua volta possibile quando non si ponga in conflitto con lo stato in cui il figlio già si trova.
L’arresto delle Sezioni Unite rappresenta, dunque, il tentativo di superare il c.d. sistema binario o duale, che esige un doppio procedimento giudiziale, il primo volto alla eliminazione dello stato già esistente di modo che (solo) poi si possa provvedere all’accertamento del nuovo status; tentativo che, tuttavia, non riesce comunque a legittimare un contesto unitario entro cui realizzare un vero e proprio “scambio di paternità”[40], che potrebbe essere agevolato da alcune previsioni del nuovo procedimento unitario.
In particolare, l’art. 473-bis.19, co. 1, c.p.c. dispone che «le decadenze previste dagli articoli 473-bis.14, 473-bis.16 e 473-bis.17 operano solo in riferimento alle domande aventi a oggetto diritti disponibili». Oltre in generale ai diritti del minore[41], sono da ritenersi indisponibili i diritti di accertamento dello status filiationis[42], i cui relativi giudizi dovranno dunque considerarsi scevri dalle consuete barriere preclusive, di talché «ogni attività assertiva e probatoria […] potrà essere compiuta durante tutta la fase decisoria»[43].
Si segnala, inoltre, che la norma così come riportata è stata modificata dal d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 (il noto “Correttivo” alla riforma Cartabia) che ha opportunamente aggiunto il riferimento esplicito all’art. 473-bis.16, chiarendo che nelle cause su diritti indisponibili non si applica la regola sulle decadenze che colpiscono il convenuto che non si costituisca tempestivamente. Ciò implica che in questi giudizi senza preclusioni, il convenuto potrà proporre una domanda riconvenzionale anche nel corso della trattazione e fino alla rimessione in decisione[44]. Può trattarsi, ad esempio, di una domanda di mantenimento da parte del figlio maggiorenne del cognome paterno, proponibile in via riconvenzionale dal figlio convenuto nel giudizio di disconoscimento della paternità e che a tale disconoscimento intenda opporsi[45]; come pure di una domanda di dichiarazione giudiziale di altra paternità (con contestuale chiamata in causa del terzo presunto genitore: art. 276 c.c.) proponibile dal figlio convenuto in giudizio ex art. 243-bis c.c. con azione di disconoscimento da colui che è attualmente riconosciuto come padre. Si realizzerebbe così l’effetto di introdurre nello stesso giudizio già pendente anche l’azione volta al conseguimento del nuovo status, all’insegna di un maggiore rispetto della tutela dell’identità personale, ricompresa nel concetto di vita privata ex art. 8 Cedu, e dell’interesse del minore.
5. I provvedimenti sull’affidamento resi dal giudice dell’azione di stato (in particolare nel giudizio ex art. 250, co. 4, c.c.)
In un ambito, quale quello della giustizia minorile, in cui le decisioni restano sempre modificabili a fronte di sopravvenienze, secondo la regola rebus sic stantibus[46], resta invece salda l’attitudine dei giudizi sullo status filiationis alla formazione di un giudicato assoluto (tanto da valere erga omnes) e irretrattabile.
Nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento o la contestazione dello status filiationis, però, fermo l’anelito alla formazione del giudicato sullo stesso, può insorgere l’esigenza di adottare provvedimenti, anche temporanei e urgenti sull’affidamento della prole.
Come è stato già osservato in dottrina, con alcune delle norme del nuovo rito, e così in particolare con gli artt. 473-bis.38 e 473-bis.39 c.p.c., il legislatore si è prefissato l’obiettivo di risolvere gli “annosi problemi di attuazione-esecuzione” di siffatti provvedimenti, quale, ad esempio, e su tutti, quelli che impartiscono l’obbligo di consegna del minore, per sua natura assai difficile da assicurare nelle forme della esecuzione diretta[47], anche per il caso di inadempienze o violazioni che mettano a repentaglio il corretto svolgimento dell’affidamento.
Non viene invece affrontato il diverso problema – la cui soluzione può e deve però essere ricavata dal sistema – relativo al regime di efficacia di tali provvedimenti, la cui immediata effettività ed attuazione non può evidentemente essere condizionata al passaggio in giudicato della decisione sullo status[48].
L’art. 277, co. 2, c.c., ad esempio, in materia di azione per la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità, statuisce che «il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l’affidamento, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui». La norma prevede l’ipotesi in cui i provvedimenti relativi ai figli siano resi contestualmente alla sentenza, quantomeno di primo grado, che accerta lo status filiationis, ma non chiarisce se essi possano produrre effetti prima del passaggio in giudicato della pronuncia dichiarativa[49].
La previsione in cui il legislatore (anche da ultimo con le più recenti modifiche) ha disciplinato con maggiore grado di dettaglio il rapporto tra la pronuncia sullo stato e gli eventuali provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli è l’art. 250, co. 4, c.c.[50].
In breve, la disposizione, come modificata dal D. Lgs. n. 149/2022[51], prevede che il consenso del genitore che abbia già riconosciuto il minore di anni 14 possa essere rifiutato solo ove ciò risponda all’interesse del figlio[52]; nel caso in cui vi sia ingiustificata opposizione al riconoscimento, il genitore che ha intenzione di riconoscere il figlio può proporre ricorso al giudice competente secondo le norme del procedimento unitario che, pacificamente, si applicano anche ai procedimenti relativi allo stato delle persone.
Come si evince anche dalla Relazione illustrativa con particolare riguardo all’armonizzazione dell’art. 250, comma 4, c.c., con i principi che reggono il nuovo rito unitario, il giudice potrà adottare, «in ogni momento, e dunque anche prima della decisione sullo status i provvedimenti ritenuti opportuni per instaurare la relazione tra il figlio e colui che ha richiesto il riconoscimento»[53]. Si contempla in particolare la possibilità di adottare «eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione» dopo aver «assunt[o] ogni opportuna informazione» e «disposto l’ascolto del minore».
Il tenore della disposizione, nel riferimento ai provvedimenti temporanei e urgenti (a cui non c’è richiamo, quantomeno non espresso, nell’art. 277 c.c.) evoca il disposto dell’art. 473-bis.22; ma, diversamente dalla norma sul rito, esige l’ulteriore requisito della delibazione di “non palese fondatezza” della difesa del genitore opponente. Dunque, per adottare provvedimenti temporanei e urgenti volti all’instaurazione della relazione parentale, il giudice dovrà compiere una valutazione particolarmente approfondita sul fumus e appurare che dalla difesa dell’altro genitore non emergano argomenti tali da ritenere il riconoscimento contrario all’interesse del minore.
In casi di particolare urgenza, poi, ove addirittura la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare irreparabilmente l’attuazione dei provvedimenti necessari nell’interesse del minore, potrà darsi luogo anche alla tutela cautelare rafforzata di cui all’ art. 473-bis.15, che consente l’adozione di provvedimenti indifferibili inaudita altera parte e «assunte sommarie informazioni», sebbene – si ritiene – senza mai poter prescindere dall’ascolto del minore di 14 anni.
L’art. 250, co. 4, c.c., prevede, dunque, un duplice piano di tutela in senso ampio anticipatoria. Uno è quello più propriamente cautelare dei “provvedimenti temporanei e urgenti” di instaurazione del rapporto genitore-figlio – volutamente e opportunamente non tipizzati –, che il giudice può adottare in corso di causa prima della decisione sul ricorso dell’aspirante genitore. L’altro è quello dei provvedimenti opportuni – in questo caso, invece, individuati in modo specifico – «in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262», che il giudice adotta «con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante».
Ci si avvicina così ad un tentativo più compiuto di risposta al quesito sulla possibilità di anticipare gli effetti dei provvedimenti in parola rispetto alla formazione del giudicato sullo status: non si può ritenere, infatti, che il legislatore abbia inteso consentire al giudice l’adozione, contestualmente alla sentenza sullo stato, di provvedimenti sull’affidamento, mantenimento ex art. 315-bis c.c. o sul cognome del minore, che non siano anche immediatamente efficaci. Così intesa, la norma sembra legittimare in sostanza la provvisoria esecutività di una sentenza (sul modello di quella ex art. 2932 c.c., definibile come) costitutiva, quantomeno nei suoi effetti immediatamente discendenti dai provvedimenti, per certi versi accessori e connaturati alla pronuncia che riconosce lo status filiationis, relativi all’affidamento, al mantenimento e al cognome, indispensabili perché possa instaurarsi la relazione parentale, e che in un certo senso rivelano una natura, anche solo in parte, di sentenza di condanna[54]. Restando inteso che spetterà al giudice modulare il contenuto della pronuncia e adottare, ad esempio, solo quei provvedimenti più agilmente anticipabili e ritrattabili in attesa del passaggio in giudicato, e cioè quelli sul mantenimento piuttosto che sull’attribuzione del cognome, nonostante proprio questi ultimi siano additati come «immediatamente esecutivi» dall’art. 473-ter c.p.c. (su cui v. subito infra).
Un ultimo appunto sull’esigenza di coordinare il disposto dell’art. 250, co. 4, c.c., con l’art. 473-ter c.p.c. (Titolo IV-bis – Capo IV – Dei procedimenti in camera di consiglio), a norma del quale sono sottratti all’ambito di applicazione del nuovo rito di cui agli att. 473-bis e ss. c.p.c., tra gli altri, i provvedimenti relativi all’attribuzione del cognome al figlio di cui all’art. 262 c.c., da pronunciarsi, ove non diversamente stabilito, nelle forme del rito camerale[55]. Se adottati nell’ambito del giudizio di opposizione al rifiuto al riconoscimento, i provvedimenti sul cognome saranno resi con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, all’esito del procedimento condotto ai sensi degli artt. 473-bis e ss. c.p.c.
[1] Per un approfondimento sulle azioni di stato in generale, v., tra gli altri, G.M. Uda, La filiazione, in S. Patti (a cura di), Il nuovo diritto della famiglia, Torino, 2025, p. 593 ss.; A. Gorgoni, Il rapporto di filiazione, in A. Cordiano-R. Senigaglia (a cura di), Diritto civile minorile, 2° ed. ampliata e aggiornata, Napoli, 2024, p. 89 ss., nonché già Id., Famiglie e minore età: dall’atto al rapporto, Torino, 2021, spec. 179 ss.; M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia10, Milano, 2023, p. 257 ss.; Id., Filiazione (azioni di stato), in Enc. dir. I Tematici, IV, Famiglia, Milano, 2022, p. 517 ss.; G. Bonilini (diretto da), Trattato di diritto di famiglia2, vol. III, La filiazione e l’adozione, p. 3 ss.; T. Auletta, Diritto di famiglia6, Torino, 2022, p. 363 ss.; sulla nozione di status, si rinvia, per tutti, ai contributi di P. Rescigno, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ. 1/1973, p. 209 ss.; G. Alpa, Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali, Bari, 1993, passim.
[2] Non verranno, invece, affrontati alcuni temi processuali pur fondamentali, ma che si reputano non bisognosi di adattamento o coordinamento con il nuovo rito unitario, come ad esempio, i profili legati al litisconsorzio necessario nelle azioni di stato. Come rilevava G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p. 398 ss., e p. 403, che tali azioni rappresentano «una delle più antiche ipotesi “legali” di litisconsorzio necessario», pur riferendosi alle sole azioni volte alla costituzione (o demolizione) dello status di figlio (all’epoca legittimo), ed escludendo invece che l’azione volta alla dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale fosse parimenti riconducibile ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto «gli effetti previsti dalla legge non comportano la modificazione dello status di entrambi i genitori e la sentenza può, pertanto, considerarsi “utile” anche se pronunciata nei confronti di uno soltanto»; ma v. A. Proto Pisani, Opposizione di terzo ordinaria. Art. 404, 1° comma, c.p.c., Napoli, 1965, p. 93 ss.; Id., Appunti sui rapporti fra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza e la garanzia costituzionale del diritto alla difesa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 1226 ss., spec. p. 1228, secondo cui, invece, per la coincidenza tra parti del rapporto sostanziale e parti del processo, anche questa ipotesi dovrebbe rientrare nel novero di ipotesi di litisconsorzio necessario; in giurisprudenza, v. la recente pronuncia di Cass. civ., 2 febbraio 2022, n. 3252 (banca dati Onelegale), con ampie argomentazioni sulla sussistenza del litisconsorzio necessario nell’azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio (purché minorenne) nato da genitori non uniti in matrimonio dell’altro genitore, «secondo la regola dettata all’art. 250 c.c., che pone un principio di natura generale da applicarsi, pertanto, anche nell’ipotesi disciplinata dall’art. 263 c.c., perché l’acquisizione di un nuovo “status” da parte del minore è idonea a determinare una rilevante modifica della situazione familiare, della quale resta in ogni caso partecipe l’altro genitore», in adesione a quanto già statuito da Cass. civ., 17 aprile 2019, n. 10775, in Fam. dir. 11/2019, p. 981 ss., con nt. adesiva di F. Danovi, Impugnazione del riconoscimento ex art. 263 c.c. e litisconsorzio necessario, anche nel senso di approvare una estensione generalizzata del principio di diritto ivi affermato a tutte le azioni di stato in quanto volte ad una pronuncia su una situazione giuridica complessa coinvolgente più soggetti; dal punto di vista processuale, si consideri che il nuovo rito unitario consente la integrazione del contraddittorio con il litisconsorte pretermesso all’esito delle verifiche preliminari svolte dal giudice all’udienza di comparizione delle parti ex art. 473-bis.21 c.p.c. (e cioè a valle di ben cinque atti difensivi, diversamente da quanto previsto nel rito ordinario, ove il decreto ex art. 171-bis c.p.c. giunge a valle dello scambio dei soli atti introduttivi: in tal senso, G.G. Poli, Il processo in materia di persone, minorenni e famiglie, in G. Ruffini (a cura di), Diritto processuale civile. La giustizia consensuale e il processo di cognizione, II, Bologna, 2024, p. 205 ss., spec. p. 226), fermo restando che il litisconsorte necessario potrebbe intervenire volontariamente, senza peraltro soggiacere alla limitazione temporale che l’art. 473-bis.20 c.p.c. impone al terzo, il quale non può intervenire oltre il termine per la costituzione del convenuto.
[3] Sul punto, v., fra gli altri, G. Costantino, Questioni di coordinamento tra il nuovo «procedimento unificato» e le altre forme di tutela giurisdizionale delle persone, dei minorenni e delle famiglie, in Riv. dir. proc. 1/2023, p. 169 ss.; B. Poliseno, L’ambito di applicazione del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, in Le Nuove Leggi Civ. Comm., 4-5/2023, p. 818 ss.
[4] Così, R. Donzelli, Manuale del processo familiare e minorile, Torino, 2024, p. 6-7; v. pure A. Figone, La riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c., in Fam. dir. 4/2022, p. 430 ss.
[5] Sul riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c., in attesa dell’istituzione del tribunale delle persone, dei minorenni e delle famiglie (la cui effettiva messa in funzione, nel momento in cui si scrive, era prevista entro ottobre 2025), v. R. Donzelli, Manuale del processo familiare e minorile, cit., p. 30 ss.; nonché G. Alemanno, art. 38 disp. att. c.c., in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile2, Pisa, 2025, p. 1104 ss.: si segnala altresì che, in ragione della previsione del nuovo rito unitario, dall’art. 38 disp. att. c.c. è stato altresì abrogata la seguente previsione: «fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente».
[6] Cfr. G.G. Poli, Il processo in materia di persone, minorenni e famiglie, cit., spec. p. 209.
[7] Così, M.A. Lupoi, art. 473-bis.11 c.p.c., in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile2, Pisa, 2025, p. 892.
[8] Sul punto, G. Buffone, Le nuove norme processuali in materia di persone, minorenni e famiglia (d.lgs. n. 149/2022): prime letture sintetiche, in giustiziainsieme.it, 8 febbraio 2023, spec. nt. 14, richiama una pronuncia del trib. Milano, sez. IX civ., decreto 26 giugno 2013, pubblicata su ilcaso.it, secondo cui: «in materia di azione ex art. 269 c.c., la competenza si radica nel luogo di residenza del convenuto […], non rintracciandosi, peraltro, nel codice di rito, un foro del “concepimento” e nemmeno potendosi ritenere prevalente la tutela del minore, in quanto la causa ha ad oggetto la paternità biologica che, se accertata, legittima le domande nell’interesse della prole, per le quali, sì, opera il foro di residenza del minore», e che a sua volta rinvia ad alcuni risalenti precedenti di legittimità (tra cui quello di Cass. civ., 8 novembre 1997, n. 11021, in Fam. dir. 2/1998, p. 131 ss., con nt. di E. Vullo, La competenza per territorio nel reclamo di stato di figlio naturale, conf. al precedente di Cass. civ. SU, 7 febbraio 1992, n. 1373) che, nella vigenza dell’art. 38 disp. att. c.c., come modificato dall’art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184 – e dunque prima delle successive modifiche apportate dalle l. 219/2012, dal d.lgs. 154/2013, e da ultimo dalla riforma Cartabia – avevano ritenuto che l’attribuzione al Tribunale per i minorenni della competenza per materia a conoscere dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, nel caso di minori, non avesse comportato alcuna modificazione degli ordinari criteri di distribuzione della competenza territoriale, da determinarsi pur sempre e inderogabilmente in base al foro generale di cui all’art. 18 c.p.c., ossia con riguardo al luogo di residenza del genitore convenuto.
[9] M. Bianca, Minore (tutela sostanziale in generale), in Enc. dir., I tematici, Famiglia, cit., p. 886 ss., spec. p. 890-891, e ancora p. 897, sul progressivo rafforzamento, da parte delle leggi speciali e riforme (compresa l’ultima del 2022-2024), della posizione del minore come parte del processo.
[10] M. Sesta, La prospettiva paidocentrica quale fil rouge dell’attuale disciplina giuridica della famiglia, in Fam. e dir. 7/2021, p. 763 ss.; ancor più recentemente, anche per altri riferimenti, v. R. Senigaglia, Il modello inclusivo dell’autonomia progressiva del figlio minore di età, in Riv. dir. civ. 3/2025, p. 453 ss.
[11] In questi termini, B. Poliseno, Minore (tutela processuale), in Enc. Dir. Famiglia, Milano, 2022, p. 859 ss., spec. p. 876-877; sul tema v., ex multis, già C. Cecchella, I diritti del minore nel processo italiano, tra difesa tecnica e ascolto, in Familia 2/2022, p. 169 ss.; R. Donzelli, L’ascolto del minore come situazione processuale partecipativa attenuata, in Scritti in onore di Nicola Picardi, III, Pisa, 2016, p. 961 ss.; nonché Id., Manuale del processo familiare e minorile, cit., p. 75 ss.
[12] In quest’ottica, secondo M. Ienzi, Il curatore speciale del minore, in A. Cagnazzo (a cura di), Diritto minorile. Orientamenti giurisprudenziali e processuali, Milano, 2025, p. 395 ss., spec. p. 401, il minore da parte in “senso sostanziale” sta diventando, all’esito della Riforma Cartabia, vera e propria “parte processuale”; v. già L. Querzola, Il Processo minorile in dimensione europea, Bologna, 2010, p. 83 ss.
[13] F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, I, 5° ed., Roma, 1956, p. 103-104.
[14] Così, efficacemente, R. Donzelli, Il processo di famiglia nel prisma della tutela giurisdizionale differenziata dei diritti dei figli minori, in Riv. dir. proc. 1/2025, p. 71 ss, spec. p. 92.
[15] R. Donzelli, Il processo di famiglia nel prisma della tutela giurisdizionale differenziata dei diritti dei figli minori, loc. ult. cit., spec. nt. 54.; secondo V. Piccinini, Il curatore speciale del minore, in G. La Rocca, E. Bilotti, V. Piccinini (a cura di), Le relazioni giuridiche familiari tra natura e storia. Prospettive culturali e questioni aperte, Torino, 2024, p. 145 ss., spec. p. 152, in questa ipotesi il giudice è tenuto alla nomina del curatore speciale senza alcun vaglio di meritevolezza (sul punto, in adesione a A. Arceri, Il minore nel nuovo processo familiare: le regole sull’ascolto e la rappresentanza, in Fam. e dir. 2022, p. 387 ss.) e, sebbene la disposizione non paia lasciare spazio a contestazioni circa il diritto riconosciuto al minore, il legislatore non ha indicato le modalità con cui il minore può formulare la domanda e, ancor prima, chi informa il minore di tale diritto.
[16] R. Donzelli, Manuale del processo familiare e minorile, cit., p. 70.
[17] In disparte il tema del curatore nominato ai sensi dell’art. 473-bis.7 c.p.c. per le ipotesi in cui debbano essere disposte limitazioni della responsabilità genitoriale, fermo restando che al curatore speciale nominato ex art. 473-bis.8 possono essere conferiti anche poteri di rappresentanza sostanziale.
[18] L. Villa, Il pubblico ministero, in Le nuove leggi civ. comm. 4-5/2023, p. 922 ss., spec. p. 925.
[19] A cui il D. Lgs. n. 164/2024 ha opportunamente aggiunto anche il n. 3-bis) per le «cause in cui devono essere emessi provvedimenti relativi ai figli minori», adeguando così il codice a quanto già stabilito in più occasioni dalla Corte Costituzionale in ordine alla partecipazione obbligatoria del P.M. a tutela degli interessi della prole: cfr. G. Fanelli, art. 70 c.p.c., in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile2, Pisa, 2025, 30 ss., nonché C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile30, I, Torino, 2025, 368, nt. 20.
[20] C. Mandrioli-A.Carratta, Diritto processuale civile30, III, Torino, 2025, spec. 151.
[21] R. Donzelli, Manuale del processo familiare e minorile, cit., p. 26, riferisce queste ipotesi a casi di “pubblico ministero agente”; anche F.S. Damiani, Riflessioni sul ruolo del P.M. nel processo civile(I), in Il giusto proc. civ. 2/2019, 353 ss., spec. 357, inserisce queste ipotesi tra quelle in cui il codice civile attribuisce al p.m. il potere di agire, salvo poi precisare (384) che in materia di filiazione «il p.m., pur godendo di un’ampia legittimazione, non ha, ad esempio, il potere di proporre l’azione per contestare lo stato di figlio o per impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità»; sulla scia, Id., Riflessioni sul ruolo del p.m. nel processo civile (II), Il giusto proc. civ. 3/2019, p. 667 ss., spec. p. 669-670, sostiene che «dall’art. 70, 1° comma, n. 3, c.p.c., che prevede l’intervento del p.m. nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone, vanno esclusi i casi in cui il p.m. abbia la legittimazione ad agire, quali, ad esempio, quelli regolati dall’art. 244, ult. comma, e 264, 2° comma, c.c., che riguardano i poteri di azione del p.m. in materia di riconoscimento della paternità […]; devono invece farsi rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 70, 1° comma, n. 3, c.p.c. […] le ipotesi […] in cui la legge attribuisce la legittimazione a chiunque vi abbia interesse, senza menzionare espressamente anche il p.m., quali, ad esempio, l’azione di contestazione dello stato di figlio ex art. 248 c.c. o l’impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità ex art. 263 c.c.». Nondimeno, sul punto si deve osservare che l’art. 249, co. 5, c.c., dettata per l’azione di reclamo dello stato di figlio, fa rinvio all’art. 244, co. 6, c.c., ma anche l’art. 264 c.c., con riguardo all’impugnazione per difetto di veridicità, prevede espressamente l’iniziativa del p.m. alla nomina del curatore speciale che promuova l’azione nell’interesse del minore.
[22] Da aggiungere alle ipotesi tradizionalmente distinte di legittimazione (i) concorrente con i titolari del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (art. 117 c.c.: impugnazione del matrimonio contratto in violazione degli artt. 84, 86, 87, 88 c.c.); (ii) sussidiaria (lo era l’ipotesi di istanza di interdizione ex art. 420 c.c., nel frattempo abrogato) e (iii) esclusiva (come la revoca dell’adozione per violazione dei doveri incombenti sugli adottanti, di cui all’art. 53 L. 184/1983 nei casi di adozione particolare): sul punto, v. V. Vigoriti, Il pubblico ministero nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1974, p. 296 ss., spec. p. 306.
[23] In quest’ottica, la richiamata dottrina condivide l’esito di una pronuncia inedita con cui il tribunale di Bologna ha preteso l’autonoma valutazione da parte del Tribunale intorno all’interesse effettivo del minore all’azione, non potendosi semplicemente attenere alla preliminare valutazione del P.M.: cfr. M. Sesta, Filiazione, cit., p. 532, nt. 83, richiamando M.N. Bugetti, Favor veritatis, favor stabilitatis, favor minoris: disorientamenti applicativi, in Fam. dir. 2017, p. 848 ss., spec. p. 850.
[24] V., per tutti, M. Vellani, Pubblico ministero in diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, Torino, 1997, 140 ss.
[25] Cfr., tra le più recenti, Cass. civ., 13 gennaio 2014, n. 487, in Foro it. 3/2014, I, c. 790 ss., con nt. di G. Casaburi, Pubblico ministero civile, sentenza di disconoscimento della paternità, filiazione, preteso padre biologico e suoi eredi; Cass. civ., 7 giugno 2006, n. 13281, in Fam. dir. 6/2007, p. 609 ss., con nt. di M.L. Serra, Filiazione naturale e diritto al cognome: note sul procedimento ex art. 262, comma 3, c.c.; sebbene vi siano state delle oscillazioni – di cui dà conto anche F.S. Damiani, Riflessioni sul ruolo del P.M. nel processo civile (I), cit., p. 365 ss. – tese a fondare il potere di azione del P.M. sulla lettera degli artt. 248 e 263 c.c. che attribuiscono la legittimazione anche a «chiunque vi abbia interesse», salvo poi smentire tale possibilità e, in adesione a quanto già rilevato in dottrina (M. Vellani, Pubblico ministero in diritto processuale civile, cit., p. 143), ritenere che l’espressione «chiunque vi abbia interesse» non può che riferirsi a soggetti privati portatori di un interesse individuale qualificato al riconoscimento o meno dello status, e dunque non al p.m. (anche valorizzando la previsione espressa dell’intervento necessario a pena di nullità).
[26] Cfr. Cass. civ., 17 aprile 1985, n. 2742, in Foro it., I, 1986, c. 899 ss., con nt. di C. Schettini, Sul ruolo del pubblico ministero nel procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità; più recentemente, ex multis, in materia di azioni di stato, Cass. civ., 15 giugno 2017, n. 14896, in Foro it., I, 2017, c. 2265 ss.; in senso critico, V. Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 387; E. Grasso, Pubblico ministero in diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, XXIX, 1994, Roma, p. 1 ss., spec. p. 3-4; V. Vigoriti, Il pubblico ministero nel processo civile italiano, cit., p. 311; in senso concorde al richiamato indirizzo giurisprudenziale, invece, G. Balena, Diritto processuale civile7, I, Bari, 2025, p. 154; nonché F.P. Luiso, Diritto processuale civile16, I, Milano, 2024, p. 156.
[27] Nei procedimenti che coinvolgono i figli minori in generale «non vi è dubbio che quella verità processuale perseguita sia la verità funzionalmente ricollegata più che ai fatti in sé accertati, all’interesse superiore del minore rispetto a detti fatti», come ricorda, tra gli altri e da ultimo, F. Danovi, Oneri probatori e poteri officiosi nel rito unitario familiare e minorile, Torino, 2025, spec. p. 389.
[28] Cfr. C. Cost., 18 dicembre 2017, n. 272 (v. pure la successiva C. Cost., 1° luglio 2020, n. 127), con riguardo ad un giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Foro it., 2018, I, c. 6 ss., con nt. di G. Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata, anche parzialmente critico rispetto alla “pericolosa indeterminatezza” del concetto di interesse del minore; per una sintesi dell’evoluzione storica della tensione tra favor veritatis e favor legitimitatis v., di recente, M. Sesta, Interesse del minore e verità biologica nelle azioni di stato, in G. La Rocca, E. Bilotti, V. Piccinini (a cura di), Le relazioni giuridiche familiari tra natura e storia. Prospettive culturali e questioni aperte, cit., 81 ss.
[29] Tanto che, secondo G. Casaburi, op. ult. cit., 23, in materia di status, l’interesse del minore avrebbe una portata ben diversa «e meno intensa» di quella che ha, ad esempio, in tema di affidamento, responsabilità genitoriale o adozione.
[30] Cfr. C. Cost., 23 ottobre 2025, n. 155, in un caso in cui il tribunale rimettente aveva prospettato l’illegittimità costituzionale delle norme della l. 40/2004 (artt. 5 e 12) che pongono il divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per le coppie omosessuali, trattandosi del riconoscimento di due figlie da parte del genitore che, nell’ambito di una fecondazione omologa, aveva fornito il proprio gamete maschile, prima di cambiare sesso; sul tema v. pure, tra le altre, la pronuncia di Cass. civ., 26 novembre 2021, n. 37023, in La nuova giur. civ. comm. 2/2022, p. 388 ss., con nt. di M. Renna, Dichiarazione giudiziale di paternità e anonimato materno, nel ribadire la ragionevolezza della scelta legislativa (ex art. 30, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396) del diritto all’anonimato materno, ma non del padre, la cui genitorialità dipende dal mero dato biologico a salvaguardia del diritto del figlio di reclamare un accertamento della paternità.
[31] Così, V. Barba, Tecniche procreative, genitorialità e interesse del minore, in A. Cordiano-R. Senigaglia (a cura di), Diritto civile minorile, cit., p. 149 ss., spec. p. 158, a cui si rinvia anche per l’efficace sintesi sulla evoluzione della giurisprudenza, specie della Corte Costituzionale, intervenuta a più riprese sull’impianto della l. 40/2004, nel tentativo di tutelare le nuove forme di genitorialità emergenti dalla prassi affiancandosi via via alla genitorialità “tradizionale” e cioè biologica.
[32] Sul punto, v., per tutti, F. Danovi, Oneri probatori e poteri officiosi nel rito unitario familiare e minorile, cit., p. 217 ss., nel senso che la valorizzazione del ruolo del giudice non può sopperire ad allegazioni di parte generiche o completamente sfornite di supporto istruttorio.
[33] V., per tutti, M. Gradi, L’obbligo di verità delle parti, Torino, 2018, spec. p. 343 ss.
[34] Cfr. A. Ricci, Della presunzione di paternità. Delle prove della filiazione. Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio, cit., p. 321, spec. nt. 30, per i riferimenti alle pronunce del giudice di legittimità sul punto.
[35] Sul punto si registrano posizioni oscillanti anche da parte della giurisprudenza di legittimità, di cui dà conto, tra gli altri, M. Sesta, Filiazione (azioni di stato), cit., spec. p. 532 ss.
[36] Cfr., tra le più recenti, Cass. civ., 29 novembre 2024, n. 30749, in Fam. dir. 2/2025, 133 ss., con nt. di A. Ricci, Il rifiuto della parte – anche di età minore – di sottoporsi all’esame emato-genetico nel giudizio di disconoscimento di paternità; v. pure Cass. civ., 13 novembre 2015, n. 23296, in Giur. it. 5/2016, 1117 ss., con nt. di A. Ronco, Il rifiuto di sottoporsi all’esame del sangue può bastare per la dichiarazione giudiziale della paternità (conf. Cass. civ., 14 giugno 2019, n. 16128), sulla sufficienza del rifiuto di sottoporsi all’esame emato-genetico da parte del presunto padre perché venga dichiarata giudizialmente la paternità.
[37] In questo senso la giurisprudenza, nonostante il contrario avviso della dottrina prevalente: v., per tutti, G. Balena, Ispezione giudiziale. Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1989, p. 1 ss., spec. p. 6; G. Trisorio Liuzzi, Ispezione nel processo civile, in Dig. civ. disc. priv., X, Torino, 1993, p. 188 ss., spec. p. 194.
[38] Edita, ex multis, in Foro it., 7-8/2023, I, c. 2228, con nt. di G. Casaburi, Il “pasticciaccio brutto”. Quando la Cassazione vuole dirigere il traffico dei processi di merito; in Fam. dir. 2/2024, p. 148 ss., con nt. di G. Ressani, Disconoscimento e dichiarazione giudiziale della paternità: per le Sezioni unite un rapporto di pregiudizialità che dà luogo alla sospensione necessaria.
[39] Causa n. 8790/2021, sent. I sez., 6 dicembre 2022.
[40] A. Gorgoni, Il rapporto di filiazione, cit., 100 ss., evidenziando che un sistema che invece consente contestualmente la demolizione dello status già riconosciuto e l’accertamento del nuovo è quello austriaco.
[41] Nonostante secondo M.A. Lupoi, comm. art. 473-bis.19 c.p.c., in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile2, Pisa, 2025, p. 918, la norma riproponga le incertezze circa la linea di confine tra diritti disponibili e indisponibili, “è certo che la tutela del minore appartenga alla seconda categoria”.
[42] Come osserva R. Donzelli, Manuale del processo familiare e minorile, cit., p. 106.
[44] In tal senso, le note interpretative di C. Consolo e M. Stella sub art. 473-bis.19 in C. Consolo (a cura di), Codice civile. Codice di procedura civile, Milano, 2024, p. 1559.
[45] Cfr. Cass. civ., 6 novembre 2019, n. 28518 (in banca dati Onelegale) che appunto onerava il figlio della proposizione della domanda riconvenzionale avente ad oggetto il diritto potestativo “personalissimo” al mantenimento del cognome paterno, non potendosi ritenere ricompreso nell’ambito oggettivo del contegno difensivo volto ad opporsi alla domanda di disconoscimento della paternità.
[46] Torna ad evidenziarlo, di recente, F. Danovi, Oneri probatori e poteri officiosi nel rito unitario familiare e minorile, cit., 28 ss., e nt. 62 per gli ampii riferimenti alla dottrina sulla efficacia del giudicato sugli status; G. Costantino, Questioni di coordinamento tra il nuovo «procedimento unificato» e le altre forme di tutela giurisdizionale delle persone, dei minorenni e delle famiglie, cit., 180 ss., pone il problema (diverso da quello che si vuole affrontare in questa sede) della emersione di una questione sullo status, tradizionalmente insuscettibile di essere risolta incidenter tantum, in pendenza di un processo che si sta svolgendo nelle forme del rito ordinario o semplificato di cognizione, evidenziando che soccorre a tal fine l’art. 40, co. 3 e 4, c.p.c., come da ultimo novellati, ad impartire la prevalenza del rito ordinario e di quello semplificato sul rito ex artt. 473-bis ss. c.p.c.
[47] Sul punto, v. G. Fanelli, 473-bis.38 – 473-bis.39 c.p.c., in R. Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile2, cit., 973 ss., anche per tutti i riferimenti alla elaborazione dottrinale sugli obblighi di consegna del minore o su quelli scaturenti dall’affidamento condiviso del minore (diritto di visita o di frequentazione), quali obblighi «non del tutto fungibili o di complessa attuazione».
[48] Si pone il problema R. Donzelli, Manuale del processo familiare e minorile, cit., 202 ss., evidenziando anzitutto che, nonostante gli unici provvedimenti ai quali il codice attribuisce espressamente l’immediata esecutività, ex art. 473-bis.36 c.p.c., siano quelli, temporanei o definitivi, in materia di contributo economico in favore della prole o delle parti, invero tutti i provvedimenti, anche se relativi ad obblighi diversi da quelli di pagamento, devono considerarsi immediatamente produttivi di effetti nella misura in cui impongono alle parti una certa condotta, anche eventualmente nei confronti dei figli.
[49] Come rileva R. Donzelli, op. ult. cit., 204, non è, del resto, irragionevole osservare che l’instaurazione del rapporto tra genitore e figlio sarebbe insuscettibile di anticipazione prima della formazione del giudicato sullo status per il tramite di provvedimenti (per definizione provvisori) sull’affidamento, per giungere però infine ad affermare l’immediata efficacia ed esecutività di tali provvedimenti, prima della formazione della cosa giudicata sullo stato, anche in ragione della efficacia retroattiva della sentenza al momento della nascita.
[50] Difatti, il problema dell’attuazione di provvedimenti sull’affidamento quali quelli sull’obbligo di consegna del minore nasce proprio nei casi in cui si doveva provvedere all’inserimento del minore stesso all’interno della famiglia (un tempo) legittima del genitore naturale ex art. 252 c.c.: v, fra gli altri, R. Vaccarella, Problemi vecchi e nuovi dell’esecuzione forzata dell’obbligo di consegna di minori, in Giur. it., 1982, I, 2, 301 ss.; M. Fornaciari, L’attuazione dell’obbligo di consegna di minori. Contributo alla teoria dell’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1991, 8; P. Farina, L’esecuzione forzata dell’obbligo di consegna dei minori, in Riv. dir. proc. 1997, 259 ss., spec. 261.
[51] Sulla novella legislativa, G. De Cristofaro, Le modificazioni apportate al codice civile dal decreto legislativo attuativo della “legge Cartabia” (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149). Profili problematici delle novità introdotte nella disciplina delle relazioni familiari, in Le Nuove Leggi civ. comm., 6/2022, p. 1407 ss., spec. p. 1418 ss. ha parlato, in senso critico, di “semplificazione apparente”, nel senso che «la nuova formulazione della disposizione rende assai meno nitido il criterio di ripartizione dell’onere probatorio e sembra prestarsi maggiormente a favorire la assunzione di atteggiamenti immotivatamente ed ingiustificatamente dilatori da parte di genitori intenzionati a paralizzare o anche solo a differire l’altrui riconoscimento per ragioni non strettamente inerenti alla protezione dell’interesse del minore»; per valutazioni consonanti, v. S. Troiano, La Riforma “Cartabia”: osservazioni di un civilista, in Fam. dir. 11/2023, p. 932 ss., spec. p. 938-939.
[52] M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia10, cit., p. 266, riferisce che “in giurisprudenza si è ritenuto legittimo il diniego al riconoscimento solo in casi eccezionali, tali da comportare un serio pregiudizio per lo sviluppo psico-fisico del minore, ad esempio quando il genitore che chiede di effettuarlo tardivamente abbia una personalità morale negativa, potenzialmente lesiva per il minore, soprattutto se accompagnata ad una situazione economica precaria oppure quando vi sia il rischio che il riconoscimento turbi la situazione affettiva del minore”.
[53] Come osserva G. Buffone, Le nuove norme processuali in materia di persone, minorenni e famiglia (d.lgs. n. 149/2022): prime letture sintetiche, cit., nt. 13.
[54] Tenendo presente, sullo sfondo, il tema, che non è possibile approfondire in questa sede, della attribuzione della provvisoria esecutività alla sola sentenza di condanna di primo grado, sovviene l’insegnamento di A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile7, Napoli, 2023, p. 171 ss., sulla necessità di sottoporre a revisione critica la categoria delle azioni costitutive entro la quale si fanno tradizionalmente confluire diverse ipotesi tra loro eterogenee. In particolare, quando la tutela costitutiva è «strumento di attuazione coattiva di pretese insoddisfatte a causa dell’inadempimento di obblighi consistenti nell’emanazione di dichiarazioni di volontà», come è pure per l’ipotesi in esame dell’art 250, co. 4, c.c., si accentua la funzione anche “esecutiva” di attuazione coattiva di una pretesa rimasta insoddisfatta. In disparte la possibilità di discutere della natura della sentenza in parola quale sentenza costitutiva, sembra pertinente altresì il richiamo a quell’orientamento giurisprudenziale – di cui danno conto C.Consolo-A. Parisi, art. 282, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, II, Milano, 2018, p. 738 – che estende la provvisoria esecutività anche alle sentenze di c.d. “condanna implicita”, e cioè sentenze costitutive che contengono come “naturale prolungamento” una condanna e nelle quali l’esigenza di esecuzione scaturisce dalla stessa funzione che il titolo è destinato a svolgere: così, ad es., Cass. civ., 26 gennaio 2005, n. 1619, relativa alla sentenza ex art. 1051 c.c., in Corr. giur. 9/2005, p. 1229 ss.
[55] Osserva B. Poliseno, L’ambito di applicazione del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, cit., p. 824, che le fattispecie che l’art. 473-ter c.p.c. esclude dall’ambito di applicazione del procedimento “unitario” non sono tra loro omogenee e alcune (comprese quelle sull’attribuzione del cognome) attengono a vero contenzioso su diritti.