L’art. 21 del d.lgs. 149/2022 e la responsabilità civile del notaio in relazione al rilascio dell’autorizzazione di volontaria giurisdizione

Di Angelo Di Sapio -

La mappa: 1. C’era una volta. – 2. Col passare degli anni. – 3. La riforma Cartabia. – 4. Il doppio binario. – 5. La verifica notarile. – 6. L’autorizzazione notarile viziata. – 7. I terzi di buona fede e la presunzione di legittimità dell’autorizzazione giudiziale e notarile. – 8. La responsabilità civile del notaio nei confronti delle parti.

1.C’era una volta

C’era una volta in Italia il consiglio di famiglia, composto dal Pretore, che lo presiedeva e da quattro parenti-consulenti di sesso maschile. Deliberava a maggioranza assoluta di voti, a parità di voti quello del Pretore aveva preponderanza. Al consiglio di famiglia faceva pendant il consiglio di tutela per i minori d’età nati fuori di matrimonio.

Il tutore per compiere gli atti di amministrazione più importanti doveva premunirsi dell’autorizzazione del consiglio di famiglia. Le deliberazioni del consiglio di famiglia che autorizzavano gli atti di alienazione, pegno o ipoteca dei beni del minore dovevano essere sottoposte all’omologazione del Tribunale, così come le deliberazioni che autorizzavano il tutore a prendere denari a prestito e quelle relative a transazioni, compromessi e divisioni: all’epoca, per quanto ci riguarda da vicino, i provvedimenti di “volontaria giurisdizione” si coagulavano essenzialmente intorno a queste omologazioni. Lo ius postulandi era prerogativa degli avvocati.

L’organizzazione territoriale del notariato era capillare, copriva le città e i comuni rurali, anche i più isolati. C’erano residenze di notai in cui non si avevano avvocati e si voleva evitare che le parti che avevano bisogno di atti di volontaria giurisdizione patissero aumenti di spesa e perdite di tempo cercando l’opera degli avvocati residenti nei capoluoghi di circoscrizione. In occasione della riforma del notariato, il Guardasigilli Finocchiaro-Aprile avanzò quindi la proposta di attribuire ai notai la facoltà di presentare ricorsi di volontaria giurisdizione. Come ricordò il Ministro alla Camera nella vivace seduta pomeridiana dell’8 febbraio 1913, l’argomento diventò quasi la sola questione d’interesse per i deputati ([1]). La soluzione di compromesso fu coprire sì l’intero territorio tramite i notai, ma, tenuto conto dei contrasti emersi in entrambi i rami del Parlamento, restringendone lo ius postulandi alle «stipulazioni a ciascuno di essi affidate dalle parti». La regola campeggia tutt’oggi nell’art. 1, comma 2, n. 1), della legge not.

Scoppiò il primo conflitto mondiale. Innumerevoli famiglie distrutte. Padri di famiglia decimati sul fronte. Nel 1917 fu promulgata la legge sugli orfani di guerra. Era un provvedimento emanato in contingenze di eccezionale gravità bellica, poco tecnico, ma con i piedi piantati per terra: sopperiva a un bisogno generalizzato, chi avrebbe sfamato, chi si sarebbe preso cura e chi avrebbe vigilato su questi fanciulli? Lo Stato ne dispose la protezione con l’affidamento alle Congregazioni di carità e fu istituito il Giudice delle tutele. Il progetto trovò sbocco e più ordinata sistemazione nella legge del 1929 che istituì l’Opera nazionale per gli orfani di guerra e rafforzò la vigilanza statuale esercitata dal Giudice delle tutele.

Ci si trovò davanti a un bivio: proseguire con la tradizione di stampo francese, che tuttora contempla i consigli di famiglia o – considerati gli inconvenienti derivanti dal mancato funzionamento dei consigli di famiglia nel nostro territorio e le scarse garanzie che essi assicuravano in relazione all’effettivo perseguimento degl’interessi tutelati – cambiare rotta passando a un sistema polarizzato sulla figura del Giudice Tutelare [GT]? Gli umori erano largamente condivisi, s’imponeva uno slittamento del fulcro della tutela dalla famiglia allo Stato, e, per esso, al GT. Si celebrò così il requiem dei consigli di famiglia e di tutela e del “prepotere familiare” a vantaggio di un sistema che vivificava e potenziava gli interventi del GT, abbracciava anche le c.d. tutele povere, che erano di gran numero e puntava a rendere effettiva la responsabilità degli organismi tutelari.

Il modello d’ispirazione fu quello austriaco, che, in armonia con la tradizione romanistica, aveva organizzato la tutela come un istituto prevalentemente pubblico innervato sul giudice tutelare, cui era stato conseguentemente riconosciuto un ruolo principe. Passare da una tutela prevalentemente domestica a una tutela prevalentemente giudiziaria avrebbe tuttavia avuto costi elevatissimi dal momento che occorreva reclutare un adeguato numero di giudici a tempo pieno. Si optò di conseguenza per un singolare modello intermedio, che contemperava la componente familiare con quella giudiziale, gl’interessi privati con quelli metaindividuali, accreditando comunque centralità al GT. Le funzioni di GT dovevano essere attribuite a un giudice radicato sul territorio, quindi al Pretore, che però era già oberato da numerose incombenze ([2]).

In questo clima nacque il manifesto affisso dall’art. 344 c.c., per cui «il giudice tutelare soprintende alle tutele» (comma 1) e «[p]uò chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alla sue funzioni» (comma 2). Fu coerente attribuirgli incisivi poteri (i) direttivi (ad es. di nomina, rimozione, sospensione), (ii) consultivi (si pensi al parere ex art. 747 c.p.c.) (iii) deliberativi (si pensi, appunto, alle autorizzazioni) e (iv) di vigilanza e controllo, pure sull’esercizio del potere deliberativo ed esecutivo (basti ricordare l’art. 337 c.c.). Qui s’innesta l’art. 44 disp. att. c.c. – passato indenne alla riforma del 2004 – che, con timbro paternalistico, riconosce al GT il potere di dare «istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore [soggetto a tutela] o del beneficiario» [cors. agg.]. Su questa falsariga si muovono il combinato disposto degli artt. 348, comma 4 e 147 e l’art. 371 c.c., anche se il periodare pedagogico-filantropico che ne è scaturito ha generato perplessità ([3]).

Il potere deliberativo rimaneva ai genitori e al tutore, il suo esercizio soffriva tuttavia dei limiti – lo sto dicendo con approssimazione e con le parole di un’impostazione diffusa – per gli atti di straordinaria amministrazione. Questi limiti potevano essere rimossi con l’autorizzazione del GT e, nei casi più rilevanti, con l’autorizzazione del Tribunale, che sono appunto provvedimenti di volontaria giurisdizione ([4]).

Trovarono benevolenza nelle aule giudiziarie e universitarie le pagine di Chiovenda, che ripercorrevano il solco della dottrina tedesca: la volontaria giurisdizione «appartiene alla funzione amministrativa», non alla funzione giurisdizionale, ma è «distinta dalla massa degli atti amministrativi, per certi particolari caratteri» ([5]). Seguirono anni di dibattiti ([6]). Il robusto scavo di Fazzalari mise a bella posta la natura obliqua della volontaria giurisdizione, tertium genus tra giurisdizione e amministrazione ([7]).

È tuttora ricevutissima l’idea – cui ha scopertamente reso omaggio la riforma Cartabia – per cui la giurisdizione va valutata nella sua portata oggettiva, quale tutela giurisdizionale di diritti o status caratterizzata dal giudicato; da essa rimangono pertanto esclusi i procedimenti camerali, che uno stratagemma teorico ha definito come “amministrazione pubblica di interessi privati” ([8]). Quest’amministrazione, invero, poteva essere affidata a qualsiasi organo amministrativo o potere privato e qui il paesaggio cambia e la messa a fuoco si restringe sulle qualità soggettive dell’autorizzante ([9]). Qui rispunta la natura bifronte della volontaria giurisdizione, sostanzialmente amministrativa ma formalmente giurisdizionale e, per questo, eminentemente processuale.

Batte nuovamente in breccia la dottrina di Chiovenda: per quanto si tratti di amministrazione d’interessi di diritto privato, i provvedimenti di volontaria giurisdizione «richiedono una speciale attitudine e speciali garanzie di autorità negli organi cui sono affidati, [ed] è naturale che lo Stato utilizzi a questo scopo la stessa gerarchia giudiziaria» ([10]).

Il modello d’ispirazione austriaco fu quindi adattato in considerazione del nostro ambiente socio-giuridico. Il § 265 dell’ABGB all’epoca vigente disponeva che «[a]nche il giudice pupillare che trascurando il suo uffizio ha recato danno al minore, n’è risponsabile, e se mancano altri mezzi di risarcimento, sarà obbligato a ripararlo». Da noi le cose stavano diversamente e occorreva la dimostrazione del dolo del giudice (art. 55 c.p.c. in vigore dal 1942 al 1987 e art. 783 c.p.c. del 1865).

Il colorito è mutato nel corso del tempo. La responsabilità del giudice, anche in sede materiae, s’intreccia con l’autonomia dell’esercizio della funzione giudiziaria e con l’esigenza di evitare che l’azione di responsabilità diventi uno strumento di pressione per comprometterne l’imparzialità, che ha per il giudice fondamento – ma anche peso –costituzionale (artt. 101 e 104 cost.). La trama è quindi oggi quella dell’art. 2 della legge Vassalli 117/1988, come rinnovellato nel 2015, per cui «[c]hi ha subìto un danno ingiusto per effetto […] di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni», tenendo conto che, «[f]atti salvi i commi 3 e 3-bis [di questo articolo] ed i casi di dolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove» [cors. qui e infra agg.]. Ai sensi dell’art. 3 della legge Vassalli, il termine per agire in giudizio è di tre anni; il dies a quo è variabile, ma «[l]’azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione […], e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento», che nei procedimenti camerali sono sempre possibili: sono infatti pronunciati rebus sic stantibus.

Già nel 1931, in un informatissimo studio sulla riforma del diritto tutelare, Marcello Andreoli mostrò un’incongruenza: se la volontaria giurisdizione è attività amministrativa il giudice già all’epoca avrebbe dovuto rispondere come tutti gli altri funzionari pubblici e dunque sia per dolo, sia per colpa nell’esercizio delle funzioni affidategli ([11]).

2. Col passare degli anni

Con l’eclissi del regime, gli uffici tutelari si sbarazzarono in un baleno dei vessilli dirigistici che ne avevano accompagnato l’istituzione. Fu un lungo travaglio dal momento che le misure giuridiche di protezione – e l’uso che se ne faceva – affidavano (più) ai manicomi (che alle tutele familiari) la cura dei fragili e dei diversi, prima stigmatizzati come “malati di mente” e poi presi in carico perché “pericolosi”, e non perché “malati” (la storia dell’Hôpitaux généraux e delle lettres de cachet è per forti di stomaco, basti rileggere il raccordo tra l’art. 420 c.c. e la legge 36/1904) ([12]).

Nel 1978 entrò in vigore la legge Basaglia, discussa e approvata in meno di un mese dal giorno in cui fu indetto il referendum abrogativo della legge Giolitti. Fu una rivoluzione copernicana su tutti i fronti ([13]).

In quel torno di tempo, germogliò l’ascolto del minore con capacità di discernimento, che è diventato oggi un asse portante di legge (artt. 250, 252, 262, 315-bis, 316, 336, 336-bis, 337-octies, 348 e 371c.c.). Furono messe a nudo le rappresentazioni custodialistiche delle misure di protezione. Si cominciò a riconoscere che l’interdizione e l’inabilitazione inclinavano a favore della conservazione dei patrimoni familiari, più che a protezione delle persone “incapaci”: questo vuol dire impedire a una persona di contrarre matrimonio, di fare testamento e di disporre, per passare in sordina i «gravi pregiudizi economici» cui i prodighi espongono «sé o la loro famiglia», come rintocca l’art. 415, comma 3, c.c. [cors. agg.] o l’inventario di tutela da formarsi «con l’assistenza di due testimoni scelti preferibilmente tra i parenti o amici della famiglia», come risuona l’art. 363 c.c. ([14]).

Seguirono due leggi sull’adozione, la soppressione delle preture con trasferimento delle attribuzioni al Tribunale e l’istituzione del Giudice unico, nel 2004 la rinnovellazione delle misure di protezione e nel 2012 e 2013 la riforma della filiazione, aprendosi così importanti fenditure per puntare definitivamente il focus sul miglior interesse del minore e della persona fragile.

S’è occhiutamente osservato che con la riforma del 2004 le misure legali di protezione hanno cambiato faccia: sono dirette non solo alla cura e alla protezione del minore e di chi è privo di autonomia, ma anche alla promozione della loro persona ([15]). Troppe volte, ci hanno ricordato alcuni giudici molto sensibili e avvertiti, la gestione meramente conservativa o di accumulo delle risorse si è tradotta esclusivamente a vantaggio delle aspettative ereditarie dei parenti (spesso latitanti sotto il profilo affettivo e assistenziale) a discapito del benessere in vita della persona priva di autonomia ([16]).

Il passaggio obbligato è stato quindi quello dal registro dell’auctoritas e del munus publicum al registro del governo degli interessi altrui e della gestione fiduciaria. Lo sguardo del comparatista è sempre più lungo e profondo, il minore e la persona fragile hanno diritti, oltre che interessi ([17]).

La modernità esibisce però numeri sbalorditivi: un’indagine Istat del 2019 ci dice che le persone che vivono in famiglia (escluse, pertanto, quelle che soggiornano in strutture residenziali), le quali, a causa di problemi di salute, soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali sono circa 3 milioni e 100 mila, il 5,2% della popolazione italiana ([18]). Sempre l’Istat ci mette al corrente che le amministrazioni di sostegno pendenti a fine 2019 erano oltre 286.000 ([19]). E già il raffronto tra questi dati parla a stampatello. Non basta, diminuisce di giorno in giorno il numero dei familiari che riescono a prendersi cura dei loro cari. Dulcis in fundo, l’EU Justice Scoreboard 2022 c’informa che siamo uno dei fanalini di coda europei per numero di “giudici professionali”, il rapporto è di 11,6 giudici ogni 100.000 abitanti ([20]) e, in questo contesto, il numero dei magistrati addetti al tutelare è sempre più esiguo rispetto alle necessità ([21]).

Ecco il background della legge 206/2021: teniamolo ben presente.

3. La riforma Cartabia

La riforma Cartabia aveva tra i suoi obiettivi primari l’efficienza e quindi la semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile. La posta in gioco era ed è altissima, il PNRR: l’obiettivo da raggiungere è il miglioramento della performance degli uffici giudiziari, l’abbattimento dell’arretrato e la riduzione della durata dei procedimenti giudiziari.

Con l’art. 1, comma 13, lett. b), della legge delega 26 novembre 2021, n. 206, il Governo è stato delegato a «prevedere interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai e ad altri professionisti dotati di specifiche competenze alcune delle funzioni amministrative, nella volontaria giurisdizione, attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, individuando altresì gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni».

L’art. 21 d.lgs. delegato 10 ottobre 2022, n. 149 – come recita la sua rubrica – ha attribuito «ai notai […] competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione», prevedendo – e qui parla il testo – che «[l]e autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante» (comma 1); l’attribuzione ai notai non è generalizzata, «[r]estano riservate in via esclusiva all’autorità giudiziaria le autorizzazioni per promuovere, rinunciare, transigere o compromettere in arbitri giudizi, nonché per la continuazione dell’impresa commerciale» (comma 7).

L’aggancio tra autorizzazione e stipula dell’atto postulato dall’art. 21 d.lgs. 149/2022 replica la direttrice dell’art. 1, comma 2, n. 1), della legge not., che – come visto – riconosce ius postulandi ai notai per le «stipulazioni a ciascuno di essi affidate dalle parti». È una scelta che presenta qualche punto di contatto storico, la penuria di risorse e la velocizzazione: intendiamoci, la velocizzazione riguarda la conclusione del procedimento di volontaria giurisdizione e conseguentemente la conclusione dell’affare con la stipula dell’atto; dunque, si tratta di efficienza sia della giustizia civile, sia del mercato. A parte ciò, si tratta di una scelta che potrebbe prestare il fianco a dubbi di opportunità dal momento che la riforma Cartabia non ha modificato (né, visti i limiti della delega, avrebbe potuto modificare) l’attuale ossatura delle misure legali di protezione e, sotto l’aspetto funzionale della competenza notarile, permangono ragguardevoli differenze tra l’incarico alla stipula e, da un lato, la presentazione del ricorso e, d’altro lato, il rilascio dell’autorizzazione.

Nihil sub sole novi: il notaio non è un giudice, né un suo ausiliario. È notaio.

Il d.lgs. 149/2022 ben s’è guardato dall’istituire in materia di volontaria giurisdizione una sezione speciale aperta – come consente l’art. 102 cost. – alla «partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura», ai quali pure – ai sensi dell’art. 108 cost. – «[l]a legge assicura l’indipendenza». L’art. 21 d.lgs. 149/2022 tace sulla qualifica del notaio come partecipante alla funzione giurisdizionale. È un silenzio significativo: se ne evince che gli artt. 2 e 3 della legge Vassalli – applicabili «a tutti gli appartenenti» alle varie magistrature «che esercitano l’attività giudiziaria, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria» – non riguardano il notaio, il quale dunque continua a rispondere secondo le ordinarie regole civili (incluse quelle prescrizionali) e con il proprio portafoglio.

4. Il doppio binario

La relazione illustrativa del Ministro della Giustizia al d.lgs. 149/2022 mette in avamposto che con l’art. 21 sono state perseguite «esigenze di semplificazione particolarmente avvertite nella quotidianità dei traffici» e si premura di rappresentarci che si è venuto «di fatto a creare un doppio binario, talché l’interessato potrà alternativamente rivolgersi al notaio o al giudice» ([22]). La competenza del notaio è alternativa e ulteriore. La scelta se rivolgersi al giudice o al notaio è compiuta da chi esercita la responsabilità genitoriale, dal tutore e dall’amministratore di sostegno: il che ha attirato una appuntita critica del CSM nel suo parere sullo schema di decreto legislativo ([23]), ma va detto che in tanto il minore o la persona priva di autonomia «subirà» questa scelta, in quanto faccia difetto una gestione del rapporto nell’esclusivo interesse altrui. Il tema – per dirlo con Roberto Esposito – dei minori e dei fragili “soggetti al diritto” delle “persone che li hanno in custodia” e che li “tengono in [e non per] mano” ha radici culturali che affondano nella nostra storia più remota ([24]) e temo che poco cambi tra autorizzazione giudiziale e autorizzazione notarile: sono decenni che la “funzione promozionale del diritto” è stata messa in crisi.

Tra le autorizzazioni giudiziali e quelle notarili sono registrabili considerevoli differenze: solo le prime, se ricorrono ragioni d’urgenza, possono essere dichiarate immediatamente efficaci (art. 741 c.p.c.); le autorizzazioni notarili «acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni» alla cancelleria del Tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale e al Pubblico ministero [PM] presso il medesimo Tribunale «senza che sia stato proposto reclamo» (art. 21, comma 6, primo periodo): quindi, in pendenza dei termini, le autorizzazioni notarili non hanno alcuna efficacia, scaduti i termini la loro efficacia si produce ex nunc. E ancora, le autorizzazioni notarili «possono essere in ogni tempo modificate o revocate dal giudice tutelare» (art. 21, comma 6, secondo periodo), dunque non dal notaio che ha rilasciato l’autorizzazione, rompendosi così il rapporto simmetrico della revoca rispetto all’atto revocato ([25]). Tutto questo lascia presagire una diversa caratura delle autorizzazioni.

Ciò che conta è e rimane il best interest del minore e della persona fragile. Conta il suo progetto di vita, che è imprescindibile per la persona con grave disabilità (art. 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, cui s’allaccia l’art. 6 della legge c.d. sul Dopo di noi del 22 giugno 2016, n. 112). Qui è puntato il faro d’attenzione tanto del giudice, quanto del notaio.

Dobbiamo a questo punto sciogliere un nodo: il paradigma autorizzatorio notarile – lo sto dicendo sempre con approssimazione – è legato al modello giudiziario o, per quanto possibile, è un paradigma diverso?

I primi commentatori, pur escludendo che la riforma Cartabia abbia comportato l’ingresso del notaio nella giurisdizione, tendono a ravvisare un’omogeneità di fondo tra l’autorizzazione giudiziale e quella notarile e modellano la seconda sul calco della prima ([26]). Di qui una sorta di path-dependence, che, in quest’angolazione, testimonierebbe peraltro una funzione processuale del notaio e farebbe eco a un’antica idea del notaio come “giudice laico” con “potestà vicaria” ([27]).

C’è un altro possibile percorso. Il procedimento giudiziale e quello notarile sono centripeti nella funzione. I ruoli ordinamentali del giudice e del notaio sono tuttavia differenti. L’esperienza notarile può giovare alla causa. Ce n’est qu’un début, il quadrante delle competenze notarili si è allargato e include atti di grande rilevanza personale, come ad es. le DAT (art. 4 legge 219/2017).

S’è fatto un gran parlare di “degiurisdizionalizzazione”. Un’impegnata dottrina civilistica ha spostato il discorso sulla “disintermediazione” ([28]). In effetti, in taluni settori sta affiorando un arretramento della mediazione processuale rispetto all’attuazione dei diritti. Su questa lunghezza d’onda, ci si può interrogare se l’art. 21, più che introdurre una re-intermediazione notarile, si diriga anch’esso verso un disancoramento della realizzazione sostanziale degli interessi dal momento processuale.

Nel settore in analisi, il disancoramento – va riconosciuto – è trasversale e indiretto. Il legislatore si fida, ma fino a un certo punto: l’autorizzazione notarile è soggetta a reclamo e i suoi effetti dipendono dall’infruttuoso decorso dei termini per il reclamo. Il controllo giudiziale permane. Epperò, l’imprinting, per determinati aspetti, sembra far capolino proprio su quell’«effettività in-vece del processo» traguardata dalla civilistica riferita.

In questa latitudine il «doppio binario» potrebbe essere inteso come un doppio possibile modulo valutativo: il primo è un modulo essenzialmente processuale, affidato perciò al giudice; il secondo, nei limiti della specifica parcellizzazione delineata dall’art. 21 d.lgs. 149/2022, è un modulo più negoziale o meglio di progettazione prospettica di un atto di autonomia privata, affidato perciò al notaio. La posticipazione degli effetti dell’autorizzazione notarile si spiega anche così. E ciò potrebbe portare a dire che, in questa funzione, il notaio – come accennavo prima – è e rimane notaio, quindi non ausiliario del giudice ex art. 68, comma 1, c.p.c., ma neppure un sostituto del giudice ex art. 68, comma 2, c.p.c.: se così non fosse, perché mai sarebbe stato necessario disciplinarne i poteri e doveri con l’art. 21 d.lgs. 149/2022?

La legge e il diritto non comandano sulle parole, ma, com’è stato rilevato, sono esercizio di potere delle e sulle parole ([29]). Il legislatore ci sa fare per definizione e ci dice (i) che il giudice «pronuncia» l’autorizzazione (art. 737 c.p.c.), mentre il notaio la «rilascia» (art. 21, comma 1) e (ii) che al giudice si presenta un «ricorso» (art. 737 c.p.c.), mentre al notaio una «richiesta» (art. 21, comma 1) ([30]).

Stringo. L’impressione è che si sia presentato un nuovo bivio che segue lungo la strada di cui parlavo in esordio di questo scritto quando riferivo del passaggio dal consiglio di famiglia alla tutela avocata a sé dallo Stato, appunto con l’istituzione del GT (§ 1). Si tratta di riorganizzare gli uffici tutelari valutandone costi e benefici in relazione alle risorse disponibili e – se così posso esprimermi – al tasso di sconto sociale.

Provo a spiegarmi meglio. L’orditura della riforma Cartabia è intrigante: per un verso, fertilizza le competenze del GT assegnandogliene alcune riservate in passato al Tribunale – si badi – in composizione collegiale, così rincalzando il ruolo e le funzioni del GT ([31]); per altro verso, attribuisce ai notai una competenza concorrente in materia di autorizzazioni. Ma, se allarghiamo il compasso, l’ingresso in scena del notaio fa riflettere sul senso ultimo dell’autorizzazione di volontaria giurisdizione.

La dottrina più recente ritiene che l’autorizzazione concorre a formare un atto di diritto sostanziale ed è stato questo il blocco di partenza della Commissione presieduta dal Prof. Luiso ([32]). La riforma Cartabia consente di allungare la falcata passando da un ragionamento sugli “atti” a un ragionamento sui “rapporti” e, dunque, sulle “attività”. Si sono aperti degli spiragli per intendere l’attività autorizzatoria come attività – in questo senso sì propriamente amministrativa – di affiancamento e orientamento nella programmazione della gestione nell’interesse altrui e di abilitazione alla stipula, che è un mondo tutto diverso dalla mera attività di controllo in chiave costitutiva della legittimazione ad agire o in chiave permissiva dell’esercizio di una legittimazione ad agire già riconosciuta ([33]).

Corsi e ricorsi storici: Mortara ci ha lasciato memoria che «il magistrato esercitò in antico le funzioni del pubblico notaio, a quella guisa che più tardi, nel medioevo, il notaio fu investito di funzioni giudiziarie» ([34]). I monumentali studi di Ficker e Pertile sono ricchi di dati storici d’intreccio tra funzioni ([35]). Tra la fine del Milleduecento e la metà del Milletrecento si registrano – con piccole variazioni – licenze di notaio e giudice «prestandi auctoritatem in manumissionibus servorum ascriptorum, colonorum et aliorum similium, deliberationibus, emancipationibus, liberorum adoptionibus, arrogationibus, tutelis, curis, donationibus, insinuationibus, et etiam testamentorum […] et removendi tutores et curatores suspectos et alios loco ipsorum subrogandi» ([36]). La glossa di Ranieri da Perugia, nominato giudice e notaio da Ottone IV nel 1210, rimane gloriosa: «ars ista notarie occurrat tripliciter exercenda, videlicet paciscendo, litigando et disponendo» ([37]).

La storia, dunque, ci lascia traccia di questa fungibilità, che – lo chiarisco per evitare fraintendimenti di campanile – è fungibilità nell’esercizio di talune specifiche funzioni, non fungibilità di un corpo di giuristi con un altro: giudici e notai formano corpi, anche storicamente, diversi e autonomi, non concorrenti, né succedanei ([38]). Dimenticare la storia di questa fungibilità nell’esercizio di talune specifiche funzioni è un’opzione che ha il vantaggio di farci scoprire cose inventate già da molto tempo ([39]), ma ci sono altre opzioni possibili. Nulla di nostalgico, per carità: è il presente che dà senso al passato.

5. La verifica notarile

L’autorizzazione è concessa in caso di «necessità o utilità evidente» dell’atto da stipulare: il criterio dettato dall’art. 320 c.c. ha portata generale. Questa valutazione può essere oggi affidata al notaio. A qualunque notaio sul territorio, dunque non più soltanto al giudice naturale: è in bella mostra un’incongruenza rispetto all’inderogabilità della competenza territoriale del GT, ed è un’incongruenza doppia visto che è proprio il GT territorialmente competente a doversi pronunciare sull’eventuale reclamo ([40]).

Compare una funzione inedita: al notaio è deferita una verifica di legittimità e di merito, perché l’autorizzazione valuta primariamente l’opportunità ([41]).

È un aspetto stimolante, ma delicato. Il legislatore dà fiducia al notaio e punta sul suo ruolo. Il passaggio è arieggiato tra le pieghe della relazione della Commissione presieduta dal Prof. Luiso, per cui la misura deflattiva in esame non compromette la tutela degli utenti in quanto è attribuita ai notai, che svolgono «funzioni di pubblici ufficiali, quali essi sono» ([42]).

Capiamoci bene, il notaio è anche un libero professionista e questa osservazione ([43]), invece di sollevare malumori nella categoria notarile, potrebbe far cogliere un’assonanza in più tra il notaio e la volontaria giurisdizione: per entrambi si può parlare di tertium genus e ciò getta un altro ponte tra l’uno e l’altra.

L’impostazione che esalta la funzione di pubblico ufficiale del notaio nel rilascio dell’autorizzazione e quella che dà consistente peso al fatto che si tratterebbe pur sempre di un’attività professionale sembrano peccare l’una per eccesso, l’altra per difetto ([44]). Di più, sembrano entrambe lasciare indietro la particolare funzione affidata dalla riforma al notaio con l’aggancio tra l’autorizzazione e la stipula dell’atto.

L’art. 1 dei principî di deontologia professionale dei notai impone al notaio il dovere di «conformare la propria condotta professionale ai principî di indipendenza e della imparzialità» ([45]). È un dovere che vale sia per l’autorizzazione, sia per la stipula dell’atto, ma vale per profili differenti. In sede di autorizzazione, la verifica è, per definizione, di opportunità nell’interesse su cui il notaio provvede e la prestazione professionale è contrassegnata da parzialità, non da terzietà ([46]): dunque la funzione notarile dev’essere improntata a indipendenza. In sede di stipula, la verifica è, per definizione, di legittimità dell’atto e la prestazione professionale è contrassegnata da terzietà: dunque la funzione notarile dev’essere improntata sia a indipendenza, sia a imparzialità.

Questa funzione bifronte del notaio ha innescato perplessità per via del conflitto d’interessi in cui si viene a trovare il notaio simultaneamente autorizzante e rogante ([47]). Si è invitato a non enfatizzare l’argomento in quanto anche la P.A., nell’esercizio delle sue funzioni, è tenuta a imparzialità (artt. 3 e 97 cost. e 1, 11, 12 e 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241) ([48]): ma i dubbi non sono fugati giacché le spese della P.A. sono a carico dello Stato e gli introiti sono destinati a fini metaindividuali, mentre gli onorari notarili sono a carico di coloro che gli hanno conferito l’incarico e il notaio destina come meglio crede il profitto.

Mette conto di ricordare che sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso si discute della “riforma della giustizia” e che il notariato, sin dall’epoca, si è reso disponibile a porre la propria esperienza al servizio della riforma ([49]). I dubbi emersi a proposito della riforma Cartabia non sono nuovi e il rompicapo non si prestava a essere risolto con una soluzione semplice se non aumentando il numero dei magistrati, che era però una soluzione esclusa in partenza.

Nel corso dei decenni si susseguirono alcune proposte. Il nodo da sciogliere era appunto l’incompatibilità, rispetto al medesimo atto, della duplice condizione di notaio autorizzante e di notaio stipulante. Un notaio espertissimo di volontaria giurisdizione, Daniele Migliori sr., in occasione del Congresso internazionale del notariato latino tenutosi a Città del Messico nel 1965, prese in esame la proposta di affidare le autorizzazioni di cui stiamo discorrendo a uffici appositamente istituiti all’interno dell’organizzazione notarile. Ma sorvegliatamente la scartò per la sua macchinosità e per la sproporzione tra il fine e la crisi legislativa che si provoca per poterlo conseguire ([50]). La proposta è stata ripresa circa vent’anni fa da Proto Pisani, mostrando il proprio favore verso un ufficio costituito da notai, appositamente istituito presso i singoli consigli notarili ([51]). Se l’autorizzazione è concessa da un ufficio di notai e l’atto viene rogato da un altro notaio, il tema dell’incompatibilità del notaio stipulante si vaporizza; ma ciò non risolve – né la riforma ha risolto, anzi ha moltiplicato – il problema, serissimo, della possibile difformità di decisioni.

La riforma Cartabia è passata sopra ogni dubbio. Il tema pulsante era quello del controllo sull’operato del notaio, non quello dell’incompatibilità, che potrebbe per certi versi sfumare se s’intende la volontaria giurisdizione come giurisdizione costituzionalmente non necessaria e si dà a quest’ultima una lettura evolutiva ([52]). Il tema era, dicevo, quello del sindacato sull’autorizzazione notarile ed ecco perché l’efficacia dell’autorizzazione notarile dipende dalla mancata proposizione del reclamo. In buona sostanza, si tratta di una fiducia data… a occhi aperti, quindi anche di una fiducia attesa.

Per attendere alla fiducia accordata – e così mi riallaccio alla guideline dell’art. 320 c.c. da cui sono partito – mi pare imprescindibile che il notaio possa accedere a tutte le informazioni disponibili, compreso il fascicolo processuale-personale. Il notaio dev’essere nelle condizioni di poter rendere un buon servigio e dunque dev’essere in grado di valutare personalmente e a tutto tondo l’operazione programmata. Attribuita on the book al notaio la competenza in materia di autorizzazioni, occorre poi affidargliela davvero, anche in action. Sotto questo aspetto, le informazioni di cui all’art. 21, comma 2, d.lgs. 149/2022 potrebbero dimostrarsi non sufficienti e sicuramente tali non sono le dichiarazioni dell’esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o dell’amministratore di sostengo (l’art. 1426, secondo periodo, c.c. tratteggia un asse cardinale) ([53]).

Un esempio pratico può giovare. Poniamo un’autorizzazione alla vendita di un appartamento di una persona sottoposta ad amministrazione di sostegno: un conto è che la vendita sia necessaria per fronteggiare le spese di un intervento chirurgico oppure che sia evidentemente utile per procedere all’acquisto di un altro appartamento – magari senza barriere architettoniche – in luogo più adatto alle sue esigenze di vita, altro conto è che la vendita sia conveniente dal punto di vista economico-finanziario. La necessità e l’utilità evidente sono parametri di verifica dello scopo dell’operazione; la convenienza è un parametro di verifica della congruità economico-finanziaria dell’investimento o del disinvestimento. Lo abbozzavo prima, la cura patrimonii – dire “statica” o “dinamica” è usare sempre lo stesso strumentario di concetti – va coniugata con la cura personae e auspicabilmente con il progetto di vita del disabile. È poi diverso valutare l’interesse di un minore o di una persona anziana: cambiano i bisogni, cambia la programmazione e, dunque, cambia radicalmente la prospettiva ([54]). Ora, il fascicolo dell’immobile, per quanto composto da perizia giurata di stima, relazione di regolarità edilizia, planimetrie e visure ipo-catastali, è importante, ma non basta. È il fascicolo processuale-personale che ci notizia della storia, dei bisogni e delle necessità del minore e della persona priva di autonomia e bene ha fatto il CSM a ricordarcelo in entrambi i pareri sulla legge delega e sul decreto delegato ([55]).

Ergo, è desiderabile un dialogo tra giudice e notaio e, nel solco delle best practices nel “comparto giustizia”, un dialogo tra uffici tutelari e consigli notarili. Un colloquio tra sordi o, peggio, un convivio tra muti potrebbe portare a una duplicazione di autorizzazioni, che è quanto di più inefficiente si possa immaginare nell’interesse del minore e delle persone prive di autonomia, a parte il disorientamento nel caso di divergenza tra decisioni.

Proseguiamo.

La competenza del notaio, come visto, presuppone l’incarico alla stipula. Dicevo, la verifica notarile è duplice: di legittimità dello stipulando atto e di merito nell’interesse del minore e della persona priva di autonomia. È di merito in quanto – lo accennavo prima – il notaio deve verificare la necessità o utilità evidente, che, si badi, sono criteri relativi (anzi, il secondo è doppiamente relativo dal momento che l’«utilità» non è sufficiente, dev’essere pure «evidente»). Nel rilascio dell’autorizzazione, per quanto voglia ritenersi che il suo contenuto è vincolato al paradigma normativo ([56]), c’è comunque una dose di discrezionalità, che non è propriamente “tecnica” – perché qui c’è ben poco di tecnico – ma neppure è arbitrio ([57]). Id est: questa discrezionalità – come peraltro accade pure per i provvedimenti amministrativi – è anch’essa sindacabile, non certo [dall’interno] per la bontà della scelta di merito, ma [dall’esterno] per il suo esercizio nei presupposti e limiti di legge e per l’eventuale eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza ovvero nel caso in cui l’autorizzazione sia stata fondata su un palese travisamento dei fatti ([58]).

Le due verifiche notarili di legittimità e di merito, in concreto, camminano parallele, se non simultaneamente. Per un acuto studioso si tratterebbe di una funzione unitaria e quindi, implicitamente, inscindibile ([59]).

Se il notaio incaricato ritiene che non ricorrano i requisiti di legge, negherà l’autorizzazione e l’incarico alla stipula – essendo in questo caso lo stesso contratto di prestazione d’opera professionale affetto da un vizio di legittimazione – non potrà più aver séguito almeno presso quel notaio, ammesso che l’incarico non sia stato revocato nelle more.

Se il notaio incaricato ritiene invece che ricorrano i requisiti di legge, autorizzerà l’atto e, decorsi i termini di cui all’art 21, comma 6, primo periodo, senza che l’autorizzazione sia stata reclamata o revocata, stipulerà l’atto.

6. L’autorizzazione notarile viziata

Quid se, diversamente da quanto valutato dal notaio, mancano i requisiti di legge?

Montiamo la porta sui cardini.

Stiamo parlando di un’autorizzazione notarile viziata. Un’autorizzazione notarile, per quanto viziata, è pur sempre un’autorizzazione e, ai sensi dell’art. 21, commi 5 e 6, «può essere impugnata innanzi all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale» e può essere in ogni tempo modificata o revocata dal GT.

Sviluppiamo il ragionamento.

L’autorizzazione notarile viziata è impugnata e il giudice del reclamo riforma la decisione oppure il GT la revoca: l’atto non sarà stipulato.

L’autorizzazione notarile viziata non è impugnata o revocata e l’atto è stipulato: che succede?

Viene sulla ribalta la ramificata questione dei rapporti tra atto autorizzativo e negozio autorizzato. Il tema è stato scandagliato con riguardo all’autorizzazione giudiziale ([60]).

Le disposizioni di riferimento puntano su due poli.

Primo polo, gli artt. 322, 377, 412, 1443 e 1445 c.c. portano in palmo di mano l’interesse del minore e della persona priva di autonomia: l’inosservanza delle norme a presidio del loro interesse conduce all’annullabilità dell’atto stipulato indipendentemente dal titolo di acquisto dell’avente causa e dalla sua buona fede; l’ “incapace” deve restituire la prestazione ricevuta nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio. Occhio, però: a essere qui privilegiato è pure l’interesse degli eredi e aventi causa del minore e della persona priva di autonomia, invitati al tavolo dagli artt. 322, 377 e 412 c.c., che ne riconoscono legittimazione ad agire ([61]).

Secondo polo, l’art. 742 c.p.c. valorizza la tutela dei terzi salvaguardando l’apparenza titolata: l’autorizzazione può essere modificata o revocata dal giudice, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.

Le disposizioni richiamate presentano una diversa architettura. Gli artt. 322, 377 e 412 c.c. sono posti in calce alle regole che disciplinano l’amministrazione dei beni del minore e della persona priva di autonomia e usano una formula omnicomprensiva: «[g]li atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli», «[g]li atti compiuti […] in violazione delle disposizioni di legge». L’art. 742 c.p.c. è riferito alla modifica e alla revoca del provvedimento camerale. Sono norme non autosufficienti, il loro testo dev’essere precisato e riempito di contenuto mediante tutti i dati a nostra disposizione. Per farla breve, gli artt. 322, 377 e 412 c.c. contengono una sineddoche generalizzante (partono dal più per disciplinare di meno) ([62]), l’art. 742 c.p.c. contiene una sineddoche particolarizzante (parte dal meno per disciplinare di più).

Prendiamo la giusta distanza dal quadro e mettiamolo a fuoco.

Gli artt. 322, 377, 412 e 1445 c.c. si occupano dei vizi dell’atto stipulato. L’art. 742 c.p.c. si occupa dei vizi dell’autorizzazione a stipulare quell’atto. Sono tessere autonome che compongono il medesimo mosaico senza antinomie ([63]). I profili sostanziali sono governati dal codice civile, i profili processuali dal codice di rito: in tanto chi rappresenta la persona priva di autonomia potrà far valere l’annullabilità dell’atto ex artt. 322, 377, 412 c.c. in quanto questo sia inficiato da vizi diversi e autonomi rispetto a quello che affligge il provvedimento autorizzativo, che rimane assorbito dalla disciplina dettata dall’art. 742 c.p.c. ([64]). Ancora, e simmetricamente: l’art. 1445 c.c. si occupa dei terzi rispetto al contratto autorizzato (non delle parti di questo contratto, quindi, non del venditore e dell’acquirente, ma ad es. della banca che ha finanziato l’acquisto concedendo un mutuo fondiario al compratore); l’art. 742 c.p.c. si occupa dei terzi rispetto al rapporto processuale e dunque rispetto al provvedimento autorizzativo (ad es. dell’acquirente dalla persona priva di autonomia) ([65]).

Il motivo del segnalato diverso trattamento è presto detto. I vizi del provvedimento costituiscono motivi di gravame e non conducono all’annullabilità dell’atto ([66]). È attivo il principio di assorbimento, che, nella morfologia del discorso di una qualificata dottrina, esclude la combinazione tra provvedimento camerale e atto autorizzato come fattispecie complessa e dunque impedisce che i vizi del provvedimento contagino l’atto ([67]).

La giurisprudenza di legittimità gravita in quest’orbita quando riconosce che la salvezza «dei diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori» garantita dall’art. 742 c.p.c. vale in tutti i casi in cui l’iter del procedimento camerale sia stato completato con l’emanazione del prescritto provvedimento, anche se questo presenta dei vizi, mentre è esclusa in caso di procedimento arrestatosi a una tappa intermedia (es. provvedimento emesso [ante riforma] dal GT invece che dal Tribunale su parere del GT) e in caso di provvedimento inesistente, vale a dire mancante di quel minimo di elementi necessari perché possa essere riconosciuto come decreto (ad es. provvedimento privo della sottoscrizione del giudice o pronunciato da un organo privo di giurisdizione) ([68]).

L’annullabilità è un rimedio opzionale, discreto, che riconosce alla persona protetta di far caducare dal giudice gli effetti del contratto secondo una propria valutazione di convenienza ([69]). Questi effetti, lo dico con un luogo di sintesi, vengono meno solamente col passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, che è appunto costitutiva ([70]).

Sul piano processuale, un doppio filtro giudiziario (camerale e contenzioso) sarebbe incoerente con la funzione preventiva della volontaria giurisdizione: se lo scopo del procedimento in camera di consiglio è neutralizzare ex ante un conflitto sulla correttezza dell’esercizio del potere gestorio è contraddittorio che tale esercizio possa essere ex post oggetto di contestazione. Ragionare diversamente significherebbe ammettere il concorso tra reclamo camerale e impugnazione ordinaria, in contrasto con i principî di specialità dei mezzi d’impugnazione, di economia processuale e di certezza delle situazioni giuridiche.

Sul piano sostanziale, si profila anche qui un bilanciamento tra l’interesse della persona priva di autonomia e l’interesse dell’acquirente di buona fede. Dinanzi a un atto compiuto in forza di un provvedimento viziato prediligere l’interesse della persona priva di autonomia avrebbe conseguenze inappaganti. Primo: nei rapporti tra la persona priva di autonomia e il suo avente causa di buona fede ciò significherebbe rendere precari gli effetti del trasferimento e si tratterebbe di una precarietà pressoché indefinita, dal momento che il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione dell’azione di annullamento decorre dal momento in cui è cessato lo stato di “incapacità” ovvero in cui il minore ha raggiunto la maggiore età (art. 1442, comma 2, c.c.) ([71]). Secondo: nei rapporti con i terzi aventi causa dall’acquirente della persona priva di autonomia ciò significherebbe sostanzialmente congelare il traffico dei beni immobili o mobili registrati rispettivamente per cinque e tre anni dalla trascrizione del precedente trasferimento, perché, in questo arco temporale, la trascrizione della domanda giudiziale diretta a far pronunciare l’annullamento farebbe la parte del leone travolgendo gli acquisti successivi comunque compiuti (artt. 1445, 2652, n. 6) e 2690, n. 3), c.c.).

Intendiamoci. La manualistica insegna che la tutela dell’affidamento cede dinanzi alla tutela dell’incapacità legale ([72]). Ma questo è un criterio di massima, che va verificato con le specifiche regole attive nelle singole fattispecie concrete. Quindi con l’art. 742 c.p.c., che fa salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi e, dunque, rovescia l’esito del bilanciamento degli interessi in gioco in favore del loro affidamento ([73]). L’art. 742 c.p.c. tutela l’affidamento dei terzi nel caso di una convenzione anteriore alla revoca o alla modifica dell’intervenuta autorizzazione. Lo stesso discorso vale nel caso in cui l’autorizzazione sia stata successivamente annullata. Si tratta infatti di situazioni omogenee, a maggior ragione se, con l’indirizzo che va per la maggiore, si ritiene che la revoca del provvedimento possa essere pronunciata sia per motivi di legittimità, sia per motivi di merito in relazione a un riesame di circostanze già dedotte o esaminate dal giudice e non solo in relazione a circostanze sopravvenute ([74]). La ragione sufficiente è che sia in caso di revoca, sia in caso di annullamento l’avente causa s’interfaccia con un provvedimento del giudice e la somiglianza rilevante è che in entrambi i casi l’avente causa di buona fede non dubita della bontà del provvedimento.

In definitiva, gli artt. 322, 377, 412 e 1445 c.c. devono essere coordinati con l’art. 742 c.p.c.

Gli artt. 322, 377, 412 e 1445 c.c. si applicano nel caso in cui la persona priva di autonomia ha contratto in assenza di un’autorizzazione giudiziale richiesta dalla legge o nel caso in cui – per dirla semplificando il discorso – tale autorizzazione non possa ritenersi “esistente” oppure ancora il contratto sia stato stipulato a condizioni diverse da quelle dettate dal giudice camerale ([75]): domina in questi casi la tutela del minore e della persona priva di autonomia.

L’art. 742 c.p.c. trova invece applicazione nel caso in cui sia intervenuta un’autorizzazione giudiziale che presenti quel minimo di requisiti per essere considerata tale: domina in questo caso la tutela dell’affidamento dell’acquirente di buona fede.

Il fondamento degli artt. 322, 377, 412 e 1445 c.c. sta nel fatto che l’avente causa non ha verificato la minore età o l’apertura di una misura legale di protezione a carico del suo dante causa e tanto basta per l’annullabilità del contratto, la quale è indipendente dal fatto che – e questa è una differenza maiuscola rispetto alla tutela dell’incapace naturale governata dall’art. 428 c.c. – vi sia stato o meno un pregiudizio patrimoniale per il minore o per la persona priva di autonomia ([76]).

Il fondamento dell’art. 742 c.p.c. sta invece, e per contrappunto, nel fatto che il terzo è a conoscenza sia della minore età o dell’apertura di una misura legale di protezione a carico del proprio dante causa, sia dell’intervenuta autorizzazione del G.T., la cui esistenza basta per privilegiare la stabilità dell’acquisto.

La differenza di fondamento dei due blocchi di articoli in esame dovrebbe a questo punto essere chiara. Nel primo caso, il vizio attiene al contratto e dipende dalla mancata diligenza dell’avente causa che non ha verificato la minore età o l’apertura di una misura legale di protezione a carico del suo dante causa: il vizio è perciò considerato imputabile all’avente causa e scatta il principio di autoresponsabilità. Nel secondo caso, il vizio attiene al provvedimento autorizzativo e dipende da una errata valutazione del giudice e non alla condotta dell’avente causa: il vizio non è perciò imputabile all’avente causa e scatta la tutela del suo affidamento.

Anche qui, l’affidamento del terzo, per essere tutelato, presuppone (i) un dato oggettivo ed esterno, una situazione affidante e (ii) un dato soggettivo e interno, un credere in qualcosa o in qualcuno. L’autorizzazione giudiziale si colloca sul piano oggettivo ed esterno: è un fatto giuridico, appunto oggettivo ed esterno, idoneo a ingenerare un legittimo affidamento, insomma crea una situazione affidante su cui il terzo può legittimamente radicare la propria fiducia. Il piano soggettivo e interno è da tenere in pari considerazione: l’affidamento in tanto è protetto in quanto sia incolpevole, insomma la fiducia in tanto è protetta in quanto il terzo sia di buona fede. Qui sta il punto di contemperamento degli interessi e, a queste condizioni, la tutela dell’affidamento mette in scacco la tutela del minore e della persona priva di autonomia ([77]). Dunque, come usa dire, è privilegiata la “stabilità del traffico giuridico”, che non può dipendere dal talento del rappresentante del minore o della persona fragile di invocare – con il placet del giudice ([78]) – o di non invocare la sconvenienza, l’inadeguatezza o l’incongruenza di un affare nell’interesse del rappresentato. In buona sostanza, il contratto autorizzato dal giudice, se la controparte è di buona fede, non può essere inficiato da un comportamento opportunistico né del rappresentante del minore o della persona fragile, né, a maggior ragione, dei loro eredi e aventi causa.

Il ragionamento mi pare superi anche la prova del nove: se si oblitera la tutela dell’incolpevole affidamento si attrae una méfiance dei terzi in fase di trattative e questo effetto a catena porterebbe all’emarginazione dal circuito negoziale e dal mondo dei traffici giuridici, che non è proprio la soluzione ottimale per la promozione e lo sviluppo della personalità dei minori e delle persone prive di autonomia ([79]).

L’epilogo di questo discorso è che il vizio dell’autorizzazione (i) dev’essere fatto valere con i rimedi processuali di legge, (ii) non si trasmette al contratto autorizzato e (iii) non può essere opposto a chi è terzo di buona fede rispetto al provvedimento.

In sintesi, il contratto stipulato sulla scorta di un’autorizzazione viziata può essere impugnato in sede contenziosa con l’actio nullitatis, ma la legittimità del provvedimento potrà essere messa in discussione solo incidentalmente e, tra le parti, la sua eventuale invalidità soggiace pur sempre ai limiti dell’art. 742 c.p.c. Insomma, anche se l’invalidità dell’autorizzazione fosse riconosciuta in sede contenziosa, si tratterebbe di un’invalidità inopponibile a colui che ha acquistato in buona fede da chi era stato autorizzato ad agire con quel provvedimento.

Il discorso cambia per i terzi che assumano di aver subito un pregiudizio dal contatto stipulato in forza di un’autorizzazione viziata. Essi sono estranei al procedimento di volontaria giurisdizione e vedono dunque preclusa la proponibilità del reclamo ex art. 739 c.p.c.: il potere di impugnativa dev’esser giocoforza loro riconosciuto ([80]). Questi terzi erano nei pensieri della Commissione Luiso, la quale ci lascia detto che «l’eventuale vaglio giurisdizionale per la tutela dei diritti, eventualmente incisi, sarebbe comunque assicurato nella fase successiva all’adozione del provvedimento, con apposito ricorso giurisdizionale» ([81]). Ma questa è un’altra storia.

7. I terzi di buona fede e la “presunzione di legittimità” dell’autorizzazione giudiziale e notarile

Il discorso che precede sull’autorizzazione giudiziale viziata vale anche per l’autorizzazione notarile?

La risposta passa attraverso tre ulteriori stazioni.

(A) L’acquirente dal minore o dalla persona priva di autonomia è «terzo» rispetto all’autorizzazione notarile?

L’art. 21, comma 1, utilizza un linguaggio vischioso che si presta a plurime interpretazioni: dispone che l’autorizzazione notarile può essere rilasciata «previa richiesta scritta delle parti», plurale. La formula dell’art. 21 – come più volte evidenziato – ricalca col normografo la formula dell’art. 1, comma 2, n. 1), della legge not.

Si è ritenuto che tutte le parti del programmato contratto dovrebbero presentare al notaio una richiesta congiunta di autorizzazione ([82]). Il dettato dell’art. 21 lascia qualche fessura per questa interpretazione. In realtà, legittimato a richiedere l’autorizzazione al notaio è esclusivamente chi esercita la responsabilità genitoriale, il tutore e l’amministratore di sostegno ([83]). Sono loro che – nell’esercizio delle proprie funzioni – hanno interesse immediato e diretto a proporre la richiesta di autorizzazione. Una richiesta congiunta tradirebbe un’eccedenza del mezzo rispetto al fine, che per l’acquirente è concludere l’acquisto, non farsi carico di un’autorizzazione in relazione alla quale ha, al più, un interesse mediato e indiretto. Ancora: una richiesta congiunta farebbe perdere all’acquirente la qualità di terzo rispetto al provvedimento su cui avrebbe comunque influito e se tale richiesta congiunta fosse effettivamente necessaria l’impianto dell’art. 21 rovinerebbe irrimediabilmente. All’osso, la controparte che ha dato al notaio incarico alla stipula dell’atto senza formulargli alcuna richiesta di autorizzazione è «terzo» rispetto a quest’ultima ([84]).

(B) A quali condizioni l’acquirente dal minore o dalla persona priva di autonomia può ritenersi terzo «di buona fede»?

La buona fede si valuta al momento della stipula e il terzo è di buona fede se non conosceva, né, secondo un parametro di ordinaria diligenza, avrebbe potuto conoscere il vizio del provvedimento: la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave (art. 1147, comma 2, c.c.) ([85]). Un rigoglioso filone giurisprudenziale, che prese avvio da alcune sentenze di Cassazione degli anni Cinquanta del secolo scorso, è più permissivo: ritiene che l’ignoranza del vizio importi sempre buona fede, pur quando dipende da colpa grave, e cioè anche se lo stato d’ignoranza avrebbe potuto essere eliminato usando la diligenza minima ([86]).

(C) La «buona fede» si presume?

In tema di provvedimenti camerali viziati, la giurisprudenza si è schierata per l’applicazione della presunzione di buona fede (art. 1147, comma 3, c.c.) ([87]). Un’accorta dottrina ha tagliato lo stesso traguardo notando che il provvedimento giudiziario non ha attitudine a trarre in inganno l’acquirente ([88]): il ragionamento è fecondo ed è spendibile anche per l’autorizzazione notarile, che, da questo punto di vista, presenta le medesime credenziali dell’autorizzazione giudiziale. Nondimeno, c’è chi rema contro l’operatività della presunzione di buona fede, che, derogando all’art. 2697 c.c., sarebbe eccezionale e albeggerebbe solo in materia di possesso ([89]): di qui la convinzione di alcuni studiosi che l’onere probatorio della buona fede incomberebbe proprio sul terzo acquirente ([90]), il quale dovrebbe dunque dimostrare la sua non conoscenza del vizio di legittimità da cui è affetto il provvedimento, ma potrebbero venire in questione anche vizi di merito, sempre che siano direttamente conoscibili dal terzo, come nel caso d’inadeguatezza del prezzo pattuito ([91]).

Le questioni riferite, guardate in filigrana, hanno accomodato un diffuso convincimento: l’acquirente dal minore o dalla persona priva di autonomia fa affidamento sulla bontà della pronuncia camerale e il suo affidamento è protetto in quanto radicato su un provvedimento del giudice, che, oltre a essere un qualificato tecnico del settore, è terzo, autonomo, indipendente ed estraneo sia all’interesse tutelato, sia alla sua realizzazione. In poche parole, l’autorizzazione giudiziale è coperta da una presunzione di legittimità e di rispondenza all’interesse protetto ([92]). L’errore in cui incappa il terzo avente causa dal minore o dalla persona priva di autonomia è errore sulla norma, non sul fatto ed è irragionevole esigere che chi non è giudice «eserciti un controllo […] sul contenuto del decreto del giudice fino ad accertare che siano state osservate le regole» di legge e di diritto, quando «anzi il conformarsi alle statuizioni del giudice risponde perfettamente, in via di principio, alle esigenze proprie dell’ordinamento» ([93]).

Siamo adesso pronti a rispondere al quesito iniziale, insomma se le argomentazioni svolte sull’art. 742 c.p.c. e le conclusioni raggiunte in ordine all’autorizzazione giudiziale siano valide anche per l’autorizzazione notarile.

La risposta mi pare tendenzialmente positiva.

Primo. L’aggancio normativo è robusto. L’art. 21, comma 6, secondo periodo, perpetua il dettato dell’art. 742 c.p.c. e ne riproduce il fraseggio: le autorizzazioni notarili «possono essere in ogni tempo modificate o revocate dal giudice tutelare, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca» ([94]).

Secondo. L’aggancio normativo si fa ancor più robusto se si esplora l’art. 21, comma 6, secondo periodo, sia sul fondale di quanto esso dice, sia sul fondale di quanto esso tace, ma inequivocabilmente presuppone. Fa salve le «convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca». Dunque, perché tali convenzioni possano essere concluse occorre che siano decorsi i termini di cui all’art. 21, comma 6, primo periodo e che l’autorizzazione notarile non sia stata reclamata dal richiedente o (più probabilmente) dal PM, perché è questo ciò da cui dipende l’efficacia dell’autorizzazione notarile. Sul tema tornerò tra poco, ma possiamo avvertire sin d’ora che, pure in caso di autorizzazione notarile, c’è un “passaggio giudiziale”. Di conseguenza, anche l’autorizzazione notarile, una volta che esplica i propri effetti, dovrebbe esser coperta da una – affine, se non analoga – “presunzione di legittimità e di rispondenza all’interesse protetto”, che, d’altronde, sorregge pure gli atti amministrativi. La tematica è ovviamente aperta e la saldatura è in mano alla giurisprudenza. Vedremo.

8. La responsabilità civile del notaio nei confronti delle parti

Verifichiamo adesso come si declina la responsabilità civile del notaio nei confronti delle parti in caso di autorizzazione viziata.

Lo chiarisco subito, mi sto occupando della responsabilità del notaio per danni nei confronti delle parti, che è responsabilità contrattuale per non aver eseguito esattamente l’incarico professionale (art. 1218 c.c.) ([95]). Si sa, le obbligazioni contrattuali in capo al notaio trovano fonte sia nel contratto di prestazione d’opera professionale, sia nelle regole di legge e di diritto che governano la prestazione notarile (artt. 1176, 1374 e 2230 c.c.) ([96]). Il danno dev’essere concreto e, perché sia imputabile al notaio, dev’essere conseguenza diretta e immediata della sua prestazione professionale (art. 1223 c.c.) ([97]).

Veniamo a noi.

La responsabilità del notaio per aver rilasciato un’autorizzazione viziata non è scontata. Il tema della responsabilità civile è un tema di scelte di policy legislativa e giurisprudenziale, ma il notaio non è un assicuratore ([98]). Anzi, se, per avventura, il notaio fosse [equiparato a] un assicuratore, allora dovrebbe essergli riconosciuto un premio assicurativo adeguato, che tenga conto dei costi riassicurativi, perché diversamente si correrebbe il rischio di overdeterrence. E sarebbe un guaio non trovare notai disponibili a rilasciare queste autorizzazioni o trovarne in numero insufficiente per alleggerire il carico di lavoro dei giudici: questo significherebbe che la riforma Cartabia ha fallito il suo obiettivo ([99]).

È prevedibile che si fronteggeranno due letture differenti.

Una prima lettura, al momento solo bisbigliata, afferma che la nuova funzione affidata al notaio potrebbe essere gravida di una nuova autonoma responsabilità, aggravata dal fatto che sul notaio si concentrano il potere di autorizzare e il potere di rogare l’atto. In effetti, sino a oggi, tali poteri erano affidati partitamente al giudice e al notaio in una organizzazione di compiti e funzioni differenziata tra autorizzante, autorizzato e notaio rogante, che è stata uno dei cavalli di battaglia della dottrina per escludere che l’illegittimità dell’autorizzazione ricada sull’autorizzante ([100]).

Per ordine.

La prestazione del notaio, lo ricordavo prima, è governata sia dal contratto d’opera, sia dalle regole di legge e di diritto che integrano il rapporto professionale anche in considerazione del fatto che il notaio è investito di un pubblico ufficio. Le regole dell’ordinamento del notariato integrano quindi l’assetto giuridico della prestazione notarile e, tra esse, potrebbe in thesi annoverarsi quella perentoriamente dettata dall’art. 54 reg. not., ai sensi del quale «[i] notai non possono rogare contratti, nei quali intervengano persone che non siano assistite od autorizzate in quel modo che è dalla legge espressamente stabilito, affinché esse possano in nome […] dei propri rappresentati giuridicamente obbligarsi». Di qui l’epifania che il notaio verrebbe meno ai propri obblighi professionali per il sol fatto di aver stipulato un atto in forza di un’autorizzazione viziata e risponderebbe per il danno conseguente, sia o meno l’annullamento dell’atto opponibile alla controparte.

Questa prima lettura fu affacciata in una remota sentenza di merito che si occupò di un caso relativo alla vendita di terreni di provenienza ereditaria da parte del curatore speciale per l’amministrazione dei beni lasciati a un minore: la vendita era stata stipulata in forza di un’autorizzazione accordata dal GT invece che dal Tribunale ([101]). La sentenza concluse per la salvezza dei diritti degli acquirenti ex art. 742 c.p.c., negò la responsabilità del curatore speciale e lasciò il cerino in mano al notaio, cui – si faccia attenzione – il curatore aveva affidato l’incarico di estendere e presentare il ricorso volto a ottenere l’autorizzazione viziata, e fu questo l’ago della bilancia che portò alla condanna del notaio (nella specie: condanna alle spese processuali sostenute dai convenuti, che erano gli eredi del curatore medio tempore deceduto) ([102]).

La lettura riferita mi pare artificiosa e straripante: sovrappone la responsabilità disciplinare e la responsabilità civile e, per osmosi, sussume la seconda nella prima, mentre si tratta di responsabilità distinte e separate ([103]).

L’art. 54 reg. not. trova applicazione diretta sul piano della responsabilità disciplinare, che è il piano suo proprio. Questa responsabilità è in ogni caso limitata all’area dei vizi di legittimità, che peraltro andrebbero valutati con i dovuti distinguo e non comprende i vizi di merito. L’art. 54 parla chiaro, si deve trattare di un’autorizzazione contraria a quanto «è dalla legge espressamente stabilito» [cors. agg.].

Sul piano della responsabilità civile, l’art. 54 reg. not. può costituire una delle fonti d’integrazione del contratto di prestazione d’opera professionale concluso con il notaio, ma va calibrato in quanto non è una disposizione autosufficiente da cui sgorga, in via rettilinea, la responsabilità del notaio. Infatti, la responsabilità civile del notaio dev’essere comunque valutata in base agli ordinari criteri fissati dagli artt. 1223 ss. c.c., che fanno perno sull’imputabilità e sul nesso di causalità.

Siamo così alla seconda lettura, che qui espongo.

L’art. 54 reg. not. introduce una regola di comportamento per il notaio, ma non pone tout court il fardello della responsabilità civile per l’autorizzazione viziata sulle spalle del notaio. Né avrebbe potuto farlo, risalendo tale norma a un’epoca in cui si respirava un’atmosfera totalmente diversa da quella della riforma Cartabia, la quale anzi rende impellente un ammodernamento dell’art. 54 reg. not. ([104]). Né si dica che il testo dell’art. 54 reg. not. è sufficientemente flessibile da sorreggere una simile congettura interpretativa, diciamo così “evolutiva”, che sarebbe non tanto praeter legem, quanto contra legem e spiego subito perché.

Il notaio – lo ricordavo prima – risponde del danno che sia conseguenza diretta e immediata della propria prestazione professionale. Un’autorizzazione rilasciata dal notaio in assenza dei presupposti di legge è viziata, ma, di per sé sola, non basta per produrre il danno. Perché il danno si produca è necessaria la stipula del contratto, ma perché l’atto sia rogato occorre che siano decorsi i termini di cui all’art. 21, comma 6, primo periodo, d.lgs. 149/2022 e che l’autorizzazione non sia stata reclamata.

Lo snodo della tematica sta proprio qui: l’autorizzazione notarile può essere sempre impugnata e la mancata proposizione del reclamo non è un fatto accessorio o se si preferisce concorrente, ma è proprio il fatto in forza del quale l’autorizzazione notarile, pur viziata, esplica i propri effetti e, dunque, l’atto viene stipulato.

Teniamo il testo dell’art. 21 ben aperto: «[l]e autorizzazioni [notarili] acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dai commi precedenti senza che sia stato proposto reclamo». L’impugnazione si propone «all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale». La scelta di impugnare l’autorizzazione notarile è nelle mani del richiedente e del PM (artt. 739 e 740 c.p.c.), che sono gli unici ad avere il potere giuridico di invocare l’eventuale vizio in sede di reclamo. È dalla scelta del richiedente e del PM – o, in apparente alternativa, dall’infruttuoso decorso dei termini per manifestare la loro scelta – che dipendono, e non solo decorrono gli effetti dell’autorizzazione. Nelle more dei termini per il reclamo – l’ho detto in tutte le salse – l’autorizzazione notarile non produce, né può produrre nessun effetto ed è acquisito che un’autorizzazione priva di effetti è equiparata dalla legge alla mancanza dell’autorizzazione, tant’è che l’efficacia non può retroagire ([105]).

Il fatto che costituisce conditio sine qua non del danno è pertanto il mancato reclamo: l’efficacia dell’autorizzazione dipende appunto dal mancato reclamo. Su questo novus actus interveniens il notaio nulla può e nulla può essergli imputato. In definitiva, l’autorizzazione notarile è l’antecedente del danno, ma il nesso di causalità è spezzato da un fatto ascrivibile a chi ha legittimazione a proporre reclamo e non l’ha proposto: questa omissione, ex iure quod est, costituisce dunque la causa prossima sufficiente del danno e, quindi, ha forza causale assorbente.

A chi volesse obiettare che il ragionamento proposto riconduce la causa prossima sufficiente del danno a un’omissione e non a un’azione replico subito che l’art. 40, comma 2, c.p. ha portata ordinamentale e, per interpretazione pacifica, trova applicazione anche in materia di responsabilità civile: «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo» ([106]). Ora, se non vado prendendo lucciole per lanterne, il richiedente, per ragioni di buona amministrazione e di fedeltà all’ufficio, ha il potere ma pure il dovere di proporre reclamo ex art. 739 c.p.c., ovviamente nei casi in cui il vizio non dipenda dalla sua richiesta e, nei casi di preclusione processuale di cui agli artt. 157, comma 3 e 156, comma 3, c.p.c. ([107]), dovrebbe far buon uso del proprio ius poenitendi recedendo dal contratto di prestazione d’opera professionale concluso con il notaio per la stipula dell’atto, così come il PM ha il potere-dovere di impugnare l’autorizzazione viziata, dal momento che, per riprendere l’enfatica formula dell’art. 73 dell’ordinamento giudiziario, che costituisce l’antecedente logico su cui s’incastona l’art. 740 c.p.c., egli «veglia alla osservanza delle leggi, alla […] tutela dei diritti […] degli incapaci» ([108]).

Ormai possiamo intuire l’approdo, che è duplice.

Primo, il mancato esercizio del potere d’impugnazione rompe il nesso di causalità tra la prestazione professionale del notaio che si assume inesattamente eseguita e il danno: tanto basta per ritenere che il danno non è conseguenza immediata e diretta dell’opera del notaio.

Secondo, se manca il nesso di causalità, non si attiva il regime di responsabilità delineato dagli artt. 1223 ss. c.c. e, conseguentemente, risultano disattivati i pesi e contrappesi, le regole e le esimenti delineate dal sistema codicistico della responsabilità professionale, compresi i temperamenti di cui all’art. 1277 c.c.

Devo ora far fronte a un’osservazione sollevata da due amici che si sono presi la briga di leggere l’avamprima di questo lavoro ([109]): mi hanno fatto notare che la proposta qui esposta, per cui il notaio non risponde se l’autorizzazione notarile non è stata reclamata, non sarebbe in linea – la faccio breve – rispetto alla regola dettata dall’art. 30 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.), per cui l’azione di condanna della P.A. al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa può essere proposta contestualmente all’azione di annullamento o, nei casi di giurisdizione esclusiva e negli altri casi ivi previsti, anche in via autonoma. A me pare che le due ipotesi siano fondamentalmente diverse: l’azione di condanna in via autonoma della P.A. si riferisce ad atti amministrativi che producono effetti nella sfera giuridica dell’attore, mentre – com’è ritrito – l’autorizzazione notarile non produce alcun effetto anteriormente al decorso dei termini di cui all’art. 21, comma 6, primo periodo, d.lgs. 149/2022 ed è appunto dalla mancata proposizione del reclamo che dipendono, e non solo decorrono gli effetti dell’autorizzazione notarile.

Rimane in disparte il caso del “notaio pigliatutto”. Mi riferisco al notaio che abbia supportato il cliente nella redazione della richiesta di autorizzazione e poi abbia autorizzato e stipulato l’atto. La redazione della richiesta di autorizzazione implica una conoscenza dei fatti “dal di dentro” e la situazione potrebbe mettere in mostra una carrellata di finzioni: infatti, la stesura per iscritto di questi fatti verrebbe esposta (per carità, su indicazione del richiedente) dal notaio… a se stesso; l’autorizzazione sarebbe riferita a una richiesta formulata… a se stesso; l’atto sarebbe rogato in forza di una autorizzazione rilasciata dal medesimo notaio su una richiesta formulata… con il proprio intervento e, dicevo, rivolta… a se stesso ([110]). Qui sostanzialmente si sovrappongono i ruoli di autorizzante, autorizzato e notaio rogante, cui potrebbe aggiungersi – quasi alla maniera di un punto ulteriore di rebello! – il ruolo di notaio verbalizzante il giuramento del perito. Il terreno si fa qui lastricato in relazione ai «principî di indipendenza e […] imparzialità» posti dall’art. 1 codice deontologico, di cui parlavo prima (§ 5). In caso di danno, la responsabilità espulsa dalla finestra potrebbe rientrare dalla porta ([111]). Occorrerebbe per giunta confrontarsi con la massima, nutritissima in tema di “obbligo di consiglio o dissuasione”, per cui le clausole generali di buona fede oggettiva e correttezza costituiscono criteri determinativi e integrativi della prestazione professionale che impongono al notaio il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi delle parti e dunque del minore e della persona priva di autonomia (artt. 1175 e 1375 c.c.) ([112]). Ma lasciamo quest’ipotesi in disparte.

Tiriamo le fila del discorso.

(1) Nel caso di autorizzazione notarile viziata non reclamata il notaio non risponde perché manca il nesso di causalità.

(2) Nel caso di autorizzazione notarile reclamata occorre distinguere a seconda dell’esito del reclamo.

(2.1.) Se il reclamo non è stato accolto, si ritorna al discorso di prima (§ 6). L’atto stipulato sulla scorta dell’autorizzazione viziata potrebbe essere impugnato in sede contenziosa, ma opererebbe comunque la salvaguardia presidiata dall’art. 742 c.p.c., con conseguente inopponibilità dell’invalidità all’acquirente di buona fede ([113]).

Si apre un gioco a somma zero.

Il minore e la persona priva di autonomia potrebbero dolersi dell’inopponibilità, ma ben poco possono recriminare al notaio rogante. La ragione è semplice: nei procedimenti camerali il reclamo produce un effetto devolutivo pieno e automatico, il provvedimento giudiziario sul reclamo assorbe e sostituisce l’atto reclamato. Il che significa che, in questo caso, il notaio stipula sulla scorta di un provvedimento del giudice e non dell’originaria autorizzazione dal medesimo rilasciata. Sarebbe dunque implausibile ritenere che il notaio sia responsabile per aver dato credito al provvedimento giudiziario che ha respinto il reclamo. La presunzione di legittimità e di rispondenza all’interesse protetto dei provvedimenti giudiziari non può valere per tutti tranne che per il notaio rogante, che non è né un giudice – né, men che mai! – giudice dei giudici ([114]).

Viceversa, nel caso in cui la salvaguardia presidiata dall’art. 742 c.p.c. rimanesse inattiva, con conseguente opponibilità dell’invalidità all’acquirente, potrebbe essere quest’ultimo a dolersene con il notaio. Sennonché – lo sappiamo a menadito – la salvaguardia non opera se l’acquirente non è «terzo di buona fede», il che dipenderà da lui soltanto. La porta di casa del principio di affidamento rimane chiusa e si spalanca quella del dirimpettaio principio di autoresponsabilità e dunque il terzo non avrà nulla di cui lamentarsi nei confronti del notaio rogante: imputet sibi.

Tutto ciò nel caso in cui il reclamo avverso l’autorizzazione notarile non sia stato accolto.

(2.2.) Se invece il reclamo è stato accolto il notaio potrebbe rispondere, con due avvertenze, però.

Primo. La responsabilità del notaio dev’essere comunque inquadrata nella propria cornice: (i) è necessario che sia accertata giudizialmente una negligenza, imprudenza o imperizia del notaio; (ii) nei casi che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà il notaio risponde solo per dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.); (iii) il notaio non risponde per una valutazione di merito, sempre che la sua discrezionalità sia stata esercitata nei presupposti e limiti di legge e senza eccedere nei poteri (§ 5).

Secondo. Il danno – l’ho ricordato più volte – dev’essere conseguenza diretta e immediata della prestazione professionale del notaio. Ora, se il reclamo è accolto e l’autorizzazione è stata quindi negata, ciò significa che l’atto non è stato rogato, con la conseguenza che il danno risarcibile dal notaio potrà riguardare, al più, le spese sostenute per l’autorizzazione notarile riformata, sempre che il vizio non dipenda dalla richiesta di autorizzazione rivolta al notaio.

Concludo con una scaletta, i cui pioli vogliono stimolare delle riflessioni sulla questione relativa alla distribuzione dei rischi e alla ripartizione delle responsabilità, piuttosto che sciorinare qualche soluzione algoritmica valida solo sulla carta.

(A) Indubbiamente la responsabilità civile è un mezzo giuridico per prevenire incidenti di percorso o, più precisamente, per fissare un livello sopportabile di tali incidenti, ma è anche un sistema di amministrazione e di compensazione del danno (per quanto può il denaro, soprattutto in questa materia) e, dunque, è anche un sistema di allocazione dei costi e benefici economici e di gestione delle esternalità negative ([115]).

(B) Evidentemente la gestione delle risorse giuridiche si pone pure in relazione alla gestione delle risorse umane disponibili (id est: in relazione ai giudici e ai notai disponibili), ma il risultato cambia a seconda che l’amministrazione dei beni dei minori e delle persone prive di autonomia sia ponderata sul loro interesse oppure sia genuflessa alle istanze e alle direttive di mercato, notoriamente riluttanti a qualsiasi forma di attrito.

(C) Ovviamente molti altri discorsi possono essere fatti – e saranno fatti – sullo scopo, sull’efficacia e sull’efficienza dell’art. 21 d.lgs. 149/2022, ma se è indubbiamente vero che il notaio non è un free rider, è altrettanto vero che è semplicistico e comunque riduttivo pensare di chiudere ogni discorso sul fatto che le parti si aspettano una peace of mind dalla prestazione notarile, perché questo sarebbe uno sbrigativo stratagemma per profilare una sorta di responsabilità oggettiva del notaio per rischio professionale ([116]), che non riposa su alcun testo di legge e non discende affatto dalla circostanza che il notaio è un “pubblico ufficiale”, funzione invero svolta da buona parte degli attori in scena.

(D) Certamente l’obiettivo deflattivo e acceleratorio dei procedimenti di volontaria giurisdizione è apprezzabile, ma tutt’altro paio di maniche è esigere dal notaio, nell’esercizio della nuova funzione affidatagli, uno standard of care pari a quello del GT ([117]), per poi circolarizzare i costi individuali e quelli sociali ([118]) traslandoli prevalentemente o unicamente proprio sul notaio, che non è organo sovraordinato rispetto a nessuno e non ha alcun potere direttivo, consultivo, né di vigilanza e controllo in ordine all’intera amministrazione dei beni dei minori e delle persone sottoposte a una misura legale di protezione, eppur tuttavia avrebbe, nell’immaginario collettivo, la tasca più profonda ([119]).

Scriveva Jean Cruet nel 1908 – ed è una riflessione ancora attuale e appropriatissima per la riforma Cartabia – le droit ne domine pas la société, il l’exprime ([120]).

(*) In memoria di Domenica Lucia Marchetto.

([1]) La discussione si legge in CAMERA DEI DEPUTATI, Atti parlamentari, Legislatura XXIII, 1° sessione, Tornata [pomeridiana] dell’8 febbraio 1913, p. 22657, segn. p. 22674. Ulteriori stralci dei lavori in G. PATERI, Il notariato, Utet : Torino, 1915, p. 13 ss. (nt. 1) e in G. CERBIONI, Riflessioni sulla genesi della legge notarile del 1913, in CNN, Studi e materiali, 2/2008, p. 1268, spec. p. 1293 ss.

([2]) Sto facendo vendemmia di un precedente studio cui rinvio per i ragguagli bibliografici: A. DI SAPIO e D. MURITANO, Sull’inventario dei beni dell’interdicendo, in Vita not., 2020, p. 405 (la parte prima) e p. 949 (la parte seconda).

([3]) Cfr. le differenti letture di A. AZARA, Il giudice tutelare, negli Studi in onore di Mariano d’Amelio, I, Roma : Foro it., 1933, p. 70, segn. p. 72 s. e 96 ss., notoriamente respirando a pieni polmoni l’aria dell’epoca, di P. PAZÉ, Le tutele dei minori e degli interdetti e la promozione dei nuovi diritti degli incapaci, in Il processo minorile, nei Quaderni del C.S.M., n. 109, Roma, 2000, p. 519, in part. p. 521, 523 s., 536 ss., segn. p. 537 e, più persuasivamente, di M. DOGLIOTTI, di cui la voce Giudice tutelare, nel Dig. disc. priv., Sez. civ., IX, Torino, s.d., ma 1993, p. 94 e, proxime, Capacità, incapacità, diritti degli incapaci. Le misure di protezione, nel Trattato di diritto civile e commerciale Cicu Messineo, Giuffrè : Milano, 2019, p. 279 ss., spec. p. 287 s.

([4]) L’impostazione riferita trova tutt’oggi ampie convergenze: per tutti, F. MAZZACANE, La giurisdizione volontaria nell’attività notarile8, Stamperia nazionale : Roma, 2002, p. 62 ss.

([5]) G. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile3, Jovene : Napoli, 1923, p. 1 ss. e 309 ss. (il virgolettato è tratto da p. 315); ma cfr., sul metodo, G. TARELLO, La «scuola dell’esegesi» e la sua diffusione in Italia, negli Scritti per il XL della morte di P.E. Bensa, Giuffrè : Milano, 1969, p. 241, segn. p. 275.

([6]) L’orientamento tradizionale valorizza gli aspetti sostanzialmente amministrativi: sotto il codice del 1942, P. CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice2, Padova : Cedam, 1943, p. 84 ss., E. ALLORIO, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in ID., Problemi di diritto, II, Sulla dottrina della giurisdizione e del giudicato e altri studi, Milano : Giuffrè, p. 3, spec. p. 32 ss., su cui, certamente, A. CERINO-CANOVA, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, I, p. 431, E. REDENTI e M. VELLANI, Diritto processuale civile3, 3, Milano : Giuffrè, 1999, p. 448 s., A. JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione6, Milano : Giuffrè, 1990, p. 8 ss., F. MAZZACANE, op. cit., p. 11 ss. e F. VERDE, La volontaria giurisdizione, nel Trattato della volontaria giurisdizione diretto dallo stesso A., 1, Padova : Cedam, 1989, p. 7 ss. Incastonano i procedimenti di volontaria giurisdizione nell’attività “integralmente” giurisdizionale – ed è la tesi oggi caldeggiata dai processualisti, tenuto conto anche della consolidata possibilità del giudice camerale di sollevare questioni di legittimità costituzionale – G.A. MICHELI, voce Camera di consiglio (dir. proc. civ.), in Enc. dir., V, Milano : Giuffrè, s.d., ma 1959, p. 981, segn. p. 982, S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Procedimenti speciali, Milano : Vallardi, 1959/71, p. 8 ss. e 47, L. MONTESANO, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 591, segn. p. 614 (pur dando una definizione restrittiva della volontaria giurisdizione), G. VERDE, Profili del processo civile, 1, Parte generale5, Napoli : Jovene, 1999, p. 41 ss., G. MONTELEONE, Diritto processuale civile2, Padova : Cedam, 2000, p. 1227 ss., G. ARIETA, I procedimenti in camera di consiglio, in L. MONTESANO e G. ARIETA, Diritto processuale civile, IV, Torino : Giappichelli, 2000, p. 187, spec. p. 202 ss., 209 ss. e 289 s. e A. CHIZZINI, di cui recentemente Introduzione ai procedimenti successori nel sistema della giurisdizione volontaria e della tutela camerale, nel Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, V, Milano : Giuffrè, p. 3, spec. p. 7 ss.

([7]) E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, Cedam : Padova, 1953, passim, in part. 129 ss., 164 ss. e 175 ss. e v.ne anche l’aggiornamento nella voce Giurisdizione volontaria (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XIX, Milano : Giuffrè, s.d., ma 1970, p. 330, in part. p. 361 ss.: per una riconsiderazione di questa tesi A. CHIZZINI, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova : Cedam, 1994, p. 260 ss.

È un caso paradigmatico del modo in cui le tassonomie concettuali (potere legislativo vs potere esecutivo vs potere giudiziario) s’interfacciano con le porosità dalle regole di legge e di diritto: troppo spesso si tralascia che i concetti hanno funzione principalmente ordinante, sono privi di alcun valore assoluto e, come ottimamente notato da P. FERRO-LUZZI, Il tempo nel diritto degli affari, in U. MORERA, G. OLIVIERI e M. STELLA RICHTER jr., La rilevanza del tempo nel diritto commerciale, Milano : Giuffrè, 2000, p. 15, segn. p. 16 s., sono sempre condizionati alla storia e all’economia. In arg. cfr. S. SATTA, op. cit., p. 5 ss., P. PAJARDI, La giurisdizione volontaria, Milano : Giuffrè, 1963, p. 9 ss. e 33 ss., A. CHIZZINI, di cui ora Introduzione, cit., p. 8 s. e, allargando il compasso, G. ZANOBINI, voce Amministrazione pubblica, in Enc. dir., II, Milano : Giuffrè, s.d., ma 1958, p. 233, spec. p. 239 s.

([8]) Lo stratagemma fu congegnato da A. HÄNEL, Deutsches Staatsrecht, Lipsia : Duncker & Humblot, 1892, I, p. 169 ss., inquadrando però la tutela degli incapaci nella cornice dei rapporti pubblici e non privati.

([9]) Et non pour cause, F. LUISO, Diritto processuale civile, IV, I processi speciali2, Giuffrè : Milano, 1999, p. 244 s.; v. anche A. PROTO PISANI, Possibile contributo del notariato al risanamento della giustizia civile, in Foro it., 2000, V, c. 1 (consultato sul Foro it. on line).

([10]) G. CHIOVENDA, op. cit., p. 315. In senso opposto, A. CHIZZINI, Introduzione, cit., p. 10, argomenta la natura giurisdizionale proprio dal fatto che la volontaria giurisdizione è «espressione di un potere esercitato da un organo dotato di una indipendenza rafforzata e garantita».

([11]) M. ANDREOLI, La riforma del diritto tutelare, Cedam : Padova, 1931, p. 184 ss.

([12]) Fondamentale M. FOUCAULT, [1961] Storia della follia, trad. it. F. Ferrucci, Milano : Rizzoli, 1980. Relativamente a un tempo a noi più vicino, si consultano con profitto le informatissime monografie di I. DEL BAGNO, Da incapaci a disabili, Torino : Giappichelli, 2021 e di M. MORELLO, I malati di mente dalla legislazione preunitaria alla legge Basaglia, Fano : Aras, 2012. Scandagliano le questioni di fondo I. ILLICH, [1976] Nemesi medica, Milano : Mondadori, 1977 e, con approccio metodologico differente, R. ESPOSITO, Terza persona, Torino : Einaudi, 2007; fra i civilisti, P. CENDON [cur.], Un altro diritto per il malato di mente, Napoli : ESI, 1988, L. LENTI, Una proposta di riforma della disciplina dell’infermità mentale, in ID. [cur.], Interdizione e inabilitazione a tutela delle persone portatrici di handicap, Torino: Omega, 1993, p. 63 e G. FERRANDO e G. VISINTINI [cur.], Follia e diritto, Torino : Bollati Boringhieri, 2003.

([13]) F. BASAGLIA [cur.], L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Torino : Einaudi, 1968; tra i giuristi L. BRUSCUGLIA, di cui Infermità di mente e capacità di agire, Milano : Giuffrè, 1971 e Interdizione per infermità di mente, Milano : Giuffrè, 1983.

([14]) Dà sangue al discorso R. PESCARA, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia dei disabili psichici, nel Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 4, seconda edizione, Torino : Utet, 2003, p. 755, in part. p. 759 ss., 779 ss. e 797 ss.

([15]) L. LENTI, Amministrazione di sostegno e misure di protezione dei soggetti deboli: modelli a confronto, in G. FERRANDO e L. LENTI, [cur.], Soggetti deboli e misure di protezione. Amministrazione di sostegno e interdizione, Giappichelli : Torino, 2006, p. 45, segn. p. 80 ss., ha scritto pagine lungimiranti sulle misure legali di protezione come strumenti di beneficità e di autodeterminazione.

([16]) G. MARCAZZAN, Competenze del giudice tutelare a protezione del patrimonio degli incapaci, in Scuola di Notariato A. Anselmi di Roma [cur.], La volontaria giurisdizione. Casi e materiali, Giuffrè : Milano, 1997, p. 294, segn. p. 298; v. pure M. DOGLIOTTI, Capacità, incapacità, diritti degli incapaci, cit., p. 679.

([17]) M. GRAZIADEI, Diritto positivo, potere, interesse, in G. ALPA, M. GRAZIADEI, A. GUARNIERI, U. MATTEI, P.G. MONATERI e R. SACCO, La parte generale del diritto civile, 2, Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2001, p. 3, segn. p. 69 ss.

([18]) ISTAT, Conoscere il mondo della disabilità, 2019, consultabile all’indirizzo www.istat.it/it/archivio/236301.

([19]) ISTAT, Annuario statistico italiano, 2021, consultabile all’indirizzo www.istat.it/storage/ASI/2021/ASI_2021.pdf.

([20]) The 2022 EU Justice Scoreboard, consultabile all’indirizzo https://commission.europa.eu/system/files/2022-05/eu_justice_scoreboard_2022.pdf. Il rapporto ricordato nel testo è a sua volta tratto da uno studio della CEPEJ pubblicato nel 2020 (data 2018), reperibile all’indirizzo https://rm.coe.int/evaluation-report-part-2-english/16809fc059.

([21]) Interessanti le osservazioni di A. CHIANALE, Controcanto alla volontaria giurisdizione affidata ai notai, in Riv. not., 2023, p. 3, segn. p.4, sulla riduzione de facto del carico di lavoro da parte dei giudici del tutelare con i provvedimenti “visto si autorizza”.

([22]) La Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, si legge in Gazz. Uff., Serie gen. n. 245 del 19 ottobre 2022, Suppl. ord. n. 5: il passo citato si legge a p. 149 s.

([23]) Il CSM ha reso due pareri critici, che fanno riflettere: sono stati assunti con delibera del 15 settembre 2021 sul disegno di legge governativo di riforma del processo civile e con delibera del 21 settembre 2022 sullo schema di decreto legislativo: si leggono all’indirizzo www.csm.it/web/csm-internet/-/parere-sul-disegno-di-legge-governativo-n-1662-2020-di-riforma-del-processo-civile.

([24]) R. ESPOSITO, di cui, proxime, [2015] Persona e vita umana, ora in ID., Termini della politica, II, Milano-Udine : Mimesis, 2018, p. 9, segn. p. 15 ss., 20 ss., 26 s. e 28 ss. Nel giuridico, pregevoli riflessioni in E. CARBONE, [2006] Stigma psichiatrico e diritto civile, all’indirizzo www.personaedanno.it.

.

([25]) A. CHIZZINI, La revoca, cit., p. 259, coglie nel segno quando afferma che i provvedimenti di volontaria giurisdizione «non possono che essere modificati che da altri provvedimenti giurisdizionali» e ciò testimonia che «il principio della indipendenza del giudice regge l’intera costruzione storica del potere giudiziario».

([26]) E. FABIANI e L. PICCOLO, L’autorizzazione notarile nella riforma della volontaria giurisdizione, studio approvato dal Gruppo di lavoro sulla riforma della volontaria giurisdizione il 9 febbraio 2022 e dal CNN il 13 febbraio 2023, consultabile all’indirizzo https://notariato.it/wp-content/uploads/StudioPCef_lp.pdf, V. RUBERTELLI, Il Notaio e la volontaria giurisdizione, all’indirizzo www.notaiorubertelli.com e G. SANTARCANGELO, Riforma della volontaria giurisdizione, Assonotailombardia, 2022, in formato elettronico all’indirizzo www.federnotizie.it.; si discosta A. CHIANALE, Controcanto, cit., passim, in part. p. 11.

([27]) In quest’intelaiatura, è sicuramente ispirato [lett. ha preso e prende respiro] il dubbio sollevato da A. CANDINI nella relazione sulla Responsabilità del notaio e buone pratiche di studio, presentata all’incontro di studi organizzato dall’associazione Insignum su I nuovi compiti del notaio nella volontaria giurisdizione, tenutosi a Bologna il 19 gennaio 2023 (sessione pomeridiana), circa l’applicabilità al notaio dell’obbligo di astensione imposto al giudice nei casi di cui all’art. 51 c.p.c., il cui perimetro è più allargato di quello dell’art. 28, comma 1, nn. 2) e 3), legge not.

([28]) A. ZOPPINI, L’effettività in-vece del processo, in Riv. dir proc, 2019, p. 676; sulle “aritmie” di quest’andamento legislativo, A. CHIANALE, Le nuove frontiere delle garanzie reali: uno statuto personale del creditore?, in Contratto e impr., 2019, p. 1304, spec. p. 1316 ss., 1320 s., 1322 s. e 1324 ss.

([29]) G.B. FERRI, [2012] Il silenzio e le parole nella cultura del civilista, ora nella sua raccolta di scritti dal medesimo titolo, Milano : Giuffrè, 2021, p. 473, segn. p. 502 ss.

([30]) G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 984, ha notato che l’utilizzo nell’art. 742 c.p.c. del lemma «ricorso» invece che «domanda» si deve, al fatto che il giudice «ha un àmbito di potere decisorio, maggiore del potere di iniziativa». Ci si potrebbe chiedere se – e il discorso vale pure se si prende con leggerezza pensosa l’argomento letterale e si vivifica invece l’impianto in cui si colloca l’art. 21 – ciò possa in qualche misura valere per il notaio: ne dubito.

([31]) In E. ITALIA, [2021] La volontaria giurisdizione, oltre il Tribunale, consultabile all’indirizzo https://lamagistratura.it/persone-minori-e-famiglie/la-volontaria-giurisdizione-oltre-il-tribunale/, preziose osservazioni sul significato [sempre più smarrito] della “collegialità”.

([32]) Già F. LUISO, op. cit., p. 245.

([33]) Sto sviluppando un paradigma già intercettato da P. RESCIGNO, Riflessioni conclusive, cit., in Scuola di Notariato A. Anselmi di Roma [cur.], La volontaria giurisdizione, cit., p. 461, segn. p. 467 s. e P. SALVATORE, voce Autorizzazione, per l’Enc. giur., Istituto dell’Enciclopedia Italiana : Roma, s.d., ma 1988, p. 2. Ho dato per acquisita la tassonomia messa in luce da M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo3, II, Milano : Giuffré, 1993, p. 609 ss..

([34]) L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, V, Dell’esecuzione forzata sui beni. Dei procedimenti speciali, Milano : Vallardi, s.d., ma 1910?, p. 664 ss. (il passo riportato nel testo è tratto da p. 665). V. pure, a proposito della riforma, A. BORTOLUZZI, Recensione a E. Fabiani e L. Piccolo, Autorizzazione notarile nella riforma della volontaria giurisdizione, in corso di pubblicazione su Vita not., 2023, al quale «l’amministrazione pubblica del diritto privato sembra oggi anacronistica», che non è una provocazione, ma un’altra accattivante inquadratura della realtà.

([35]) J. FICKE, Forschungen zur Reichs- und Rechtgeschichte Italiens, III, Innsbruck : Wagner, 1870, p. 26 ss. e A. PERTILE, Storia del diritto italiano2, vol. VI, 1, Storia della procedura, Torino : Utet, 1900, p. 290 ss.

([36]) F. BONAINI, Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, III, Firenze : Vieusseux, 1857, p. 845 s.

([37]) L. WAHRMUND, Die Ars Notariae des Rainerius Perusinus, in Quellen zur Geschichte des römisch-kanonischen Prozesses im Mittelalter Innsbruck : Universitätsverlags Wagner, 1917, p. XIV (nt. 1).

([38]) V. pure D. MIGLIORI sr., [1965] La giurisdizione volontaria e il notaio: appunti per l’VIII Congresso del Notariato latino, ora in Scuola di Notariato A. Anselmi di Roma [cur.], La volontaria giurisdizione, cit., p. 597, in part. p. 606.

([39]) Anche qui sono tributario di L.-J. CONSTANTINESCO, Il metodo comparato2, trad. it. A. Procida Mirabelli di Lauro e R. Favale, Torino : Giappichelli, 2000, p. 175 s.

([40]) La matrice della competenza territoriale del giudice sta nella convinzione che per il buon funzionamento delle misure legali di protezione è necessario che il giudice segua da vicino la vita delle persone prive di autonomia. Così aumenta la possibilità di contatto [in presenza] tra queste persone, i loro rappresentanti e il giudice: in arg., per tutti, M. BATTISTA, Le attribuzioni del giudice tutelare, Roma : Stamperia Reale, 1939, 5 s., ove stralci della Relazione del Guardasigilli al r.d. 24 aprile 1939, n. 640.

Corrobora il paradosso A. CHIANALE, Controcanto, cit., p. 5 ss., proponendo un interessante raffronto con le regole di competenza del console competente unicamente per i cittadini italiani residenti nella circoscrizione dell’ufficio (art. 34 d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71). Qui si aprono questioni spinose: l’ascolto dell’ultradodicenne e dell’infradodicenne capace di discernimento (art. 315-bis c.c.) e l’assunzione di informazioni presso le persone indicate dall’art. 21, comma 2, d.lgs. 149/2022 lontane dalla sede del notaio incaricato può farsi da remoto? in quali casi ed entro quali limiti? con quali cautele? e, soprattutto, l’audizione e l’assunzione di informazioni orienteranno il forum shopping?

([41]) L. LENTI, Osservazioni sparse sull’art. 21 d.lgs. 149/2022, relazione scritta messa a disposizione dall’A. in vista dell’incontro di studi organizzato dal Consiglio Notarile di Torino e Pinerolo sulla Riforma della volontaria giurisdizione: una nuova responsabilità per il notariato, tenutosi a Torino il 22 febbraio 2023, § 2 e 3.

([42]) La relazione della Commissione presieduta dal Prof. F.P. Luiso è consultabile all’indirizzo www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LUISO_relazione_finale_24mag21.pdf. Fu questo lo snodo argomentativo rimarcato dal Tavolo tecnico del Notariato istituito presso il Ministero della Giustizia con d.m. 29 aprile 2022, prorogato con d.C.G. del 19 settembre 2022, cui si deve la proposta di articolato dell’art. 21, recepita con qualche correttivo dal d.lgs. 149/2022 (ringrazio, per avermi fornito il documento di sintesi, V. Rubertelli, che, quale Presidente del CNN all’epoca in carica, ha avuto un ruolo fattivo in questa vicenda). Critico R. PICARO, La devoluzione ai notai delle autorizzazioni ad negotia, in Dir. proc. civ. it. e comp., 1-2023, consultabile all’indirizzo www.ildirittoprocessualecivile.it/2023/01/02/la-devoluzione-ai-notai-delle-autorizzazioni-ad-negotia/., p. 8 ss., auspicando una devoluzione pure agli avvocati.

([43]) Ancora LENTI, Osservazioni sparse, cit., § 1, critico sull’attribuzione di «una competenza pubblica a un soggetto privato». Nel medesimo orizzonte, A. CHIANALE, Controcanto, cit., p. 9, richiama Cass., 5 maggio 2016, n. 9041 [consultabile sul Foro it. on line], relativa ai servizi professionali notariali come «attività economica di impresa, ai sensi dei principî antitrust».

([44]) In posizione mediana già Cass., 7 luglio 2003, n. 10683, in Foro it., 2003, I, c. 3354, ripesa poi da Cass., 30 novembre 2006, n. 25504, consultabili sul Foro it. on line (entrambe a proposito di un illecito disciplinare): «[l]a professione del notaio non può considerarsi semplicemente una libera e privata professione finalizzata al perseguimento di interessi di natura personale, ma costituisce anche esercizio di una funzione pubblica, connotata dalla terzietà e dall’imparzialità rispetto agli interessi dei soggetti che si rivolgono al notaio, perché lo stesso renda un atto del suo ufficio, dall’assoluta indipendenza e da una tendenziale esclusività delle funzioni svolte».

([45]) Si parla di «principî», ma in realtà si tratta di precetti. Calibra il distinguo V. ROPPO, La responsabilità professionale del notaio, in Dieci lezioni di diritto civile raccolte da G. VISINTINI, Milano : Giuffrè, 2001, p. 147, segn. p. 158.

Lo studio dalla Commissione Deontologia del CNN per il LVII Congresso nazionale del notariato, Genova, 5-6 maggio 2023, est. M. GOZZI, L. TRAVERSA, G. CELESTE e G. MATTERA, I valori fondamentali nella deontologia notarile, calamita qui – attribuendogli carattere referente – gli artt. 28, comma 1, nn. 2) e 3), 47 e 147, comma 1, lett. a), legge not. e l’art. 67, comma 1, reg. not.

([46]) Cattura il punto, a proposito dell’autorizzazione giudiziale, P. RESCIGNO, Riflessioni conclusive, cit., p. 466. E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 159 e 167 s., ha osservato che il giudice non è affatto estraneo all’interesse tutelato, anzi questo «interesse, una volta affidato, mediante la sua elevazione a causa dell’atto [processuale], dalla norma all’agente pubblico, non può che considerarsi suo» (cors. nel testo) e v. pure G. ARIETA, op. cit., p. 231.

([47]) L. LENTI, Osservazioni sparse, cit., § 2, che correttamente ricorda la rilevanza in materia anche solo del conflitto potenziale, peraltro ben presente a tutti i commentatori della riforma trattando della (discussa) competenza del notaio a nominare un curatore speciale; v. altresì R. PICARO, op. cit., p. 7 ss., A. CHIANALE, Controcanto, cit., p. 5 ss., e G. DE CRISTOFARO, Le modificazioni apportate al codice civile dal decreto legislativo attuativo della “legge Cartabia” (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), in Nuove leggi civ., 2022, p. 1407, segn. p. 1434.

([48]) D. TURRONI, intervento all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Notarile di Torino e Pinerolo sulla Riforma della volontaria giurisdizione: una nuova responsabilità per il notariato, tenutosi a Torino il 22 febbraio 2023.

([49]) D. MIGLIORI sr., [1956] Osservazioni per la riforma della legislazione processuale civile, ora in Scuola di Notariato A. Anselmi di Roma [cur.], La volontaria giurisdizione, cit., p. 485, in part. p. 487 ss. Il tema è tornato in auge alla fine degli anni Novanta del secolo scorso nelle relazioni degli allora Presidenti del CNN: G. LAURINI, relazione al XXXVI Congresso nazionale del notariato tenutosi a Roma il 27-30 novembre 1997 (v.ne Dal XXXVI Congresso del notariato al Convegno nazionale di Roma, in Riv. not., 1999, p. 635) e G. MARICONDA, relazione al Convegno nazionale del notariato, tenutosi a Roma il 29-30 gennaio 1999 (l’audio è reperibile all’indirizzo www.radioradicale.it/scheda/108222/convegno-nazionale-del-notariato-org-dal-consiglio-nazionale-del-notariato-co-hotel?i=1884356 e v.ne pure Dalla documentazione alla giurisdizione, in Notariato, 1999, 5). Le suggestioni politiche dell’epoca si colgono chiaramente nella relazione di saluto presentata da L. VIOLANTE, allora Presidente della Camera dei deputati, al predetto Convegno nazionale (si legge all’indirizzo http://legislature.camera.it/chioschetto.asp?content=/deputati/composizione/leg13/composizione/01.camera/_search.asp).

([50]) D. MIGLIORI sr., La giurisdizione volontaria e il notaio, cit., p. 602 s.

([51]) A. PROTO PISANI, Possibile contributo del notariato, cit. e, proxime, Le prospettive del contributo del Notariato alla difficile opera di risanamento della giustizia civile, in E. ASTUNI ed E. FABIANI [cur.], Processo civile e delega di funzioni, atti del Convegno di Roma, 17-18 giugno 2015, Milano : Gruppo24Ore, s.d., ma 2016, p. 97, spec. p. 101.

([52]) Per la concettuologia L. MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti2, nel Trattato di diritto civile italiano fondato da F. Vassalli, Torino : Utet, XIV, p. 18 ss. Attenzione, però: ad avviso dell’A. «le funzioni giurisdizionali in discorso sono, talvolta, non necessarie costituzionalmente solo nel senso che il legislatore può non istituirle […], giacché, se le istituisce, deve, in obbedienza alla Costituzione, affidarle ai giudici e non ad organi dello Stato-apparato o di altri enti pubblici» (ivi, p. 20).

Qui si cammina dunque sui carboni ardenti. L’attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni potrebbe in effetti sollevare qualche dubbio di legittimità costituzionale. Mi sono soffermato apposta sulla “natura” della volontaria giurisdizione: sta anche qui la cifra del discorso fatto in esordio di questo scritto (§ 1). Utili indicazioni possono trarsi da A. PROTO PISANI, Le prospettive del contributo del Notariato, cit., p. 99 ss., ove un apprezzabile distinguo tra procedimenti unilaterali e bilaterali o plurilaterali e tra procedimenti in cui si registra o non si registra un conflitto d’interessi della persona priva di autonomia con interessi, diritti o status altrui, compreso il conflitto tra l’interesse dei minori a fronte del diritto-potestà (responsabilità genitoriale), che è un’interessantissima mappa del tesoro per orientarsi sul tema sopra accennato della competenza del notaio a nominare un curatore speciale.

C’è altro. Nel dietro le quinte dei primi scambi di impressioni sulla riforma Cartabia sono stati altresì ricordati (i) il principio nemo iudex in causa propria, (ii) quello per cui tutti hanno diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi e (iii) quello per cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge (art. 24, commi 1 e 2, cost.). Su questo piano, le ombre della riforma non sono tenui, ma potrebbero essere rischiarate tenendo conto che la competenza notarile è pur sempre concorrente con la competenza giudiziale.

Il tema della proporzionalità (art. 3 cost.) mi sembra invece inaggirabile. Si è constatato che per una lite di modesto valore si dovrà andare dal giudice, mentre per vendere un intero palazzo se ne può fare a meno, ed è un’osservazione ficcante.

([53]) A. CERINO-CANOVA, op. cit., p. 446, fa bene a ricordarci che l’art. 738, comma 3, c.p.c., per quanto nel suo testo affermi che «[i]l giudice può assumere informazioni» (cors. agg.), attribuisce «un potere al giudice o meglio – trattandosi di una funzione rimessa a una pubblica autorità – una potestà ossia un potere che è anzitutto un dovere».

([54]) Chi volesse saperne di più può eventualmente consultare A. DI SAPIO, Gli strumenti contrattuali di cura e di protezione dei minori d’età portatori di handicap: un’esposizione, nel Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, VI, Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, a cura di L. Lenti, seconda edizione, Milano : Giuffrè, 2012, p. 573, spec. p. 575 ss. e 669 ss.

([55]) Li ho già ricordati sopra § 4 (nt. 23).

([56]) E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 59 ss. e 79 ss. e ad vocem cit., p. 342 e 345 ss.; ricollega la “tipicità” alla eccezionalità (art. 14 preleggi) dell’attribuzione al giudice di compiti di gestione di interessi, che equivale al merito della potestà amministrativa o al merito dei poteri privati, A. PROTO PISANI, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., saggio introduttivo a M.G. CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, nella Giur. sist. dir. proc. diretta dallo stesso Proto Pisani, Torino : Utet, 1994, I, p. 3, segn. p. 34 s.

([57]) L. MENGONI, Gli acquisti «a non domino»3, Milano : Giuffrè, 1994, p. 168. Di “discrezionalità tecnica” discorrono invece E. REDENTI e M. VELLANI, op. cit., p. 450.

([58]) Il terreno è coltivato, a proposito degli atti amministrativi, da Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 2023, n. 950 e Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2023, n. 219, consultabili sul Foro it. on line, Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 2021, n. 2631, in Foro it., 2021, III, c. 325 e Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, ivi, 2003, III, c. 382.

([59]) LENTI, Osservazioni sparse, cit., § 3.

([60]) In M.G. CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, I, cit., 307 ss., una panoramica ragionata.

([61]) Gli eredi e aventi causa fanno evidentemente valere un diritto proprio: è un tema spesso trascurato, ma ben approfondito da A. VENCHIARUTTI, La protezione civilistica dell’incapace, Milano : Giuffrè, p. 279 e 458 ss. e M. FRANZONI, Dell’annullabilità del contratto2, ne Il Codice Civile Commentario fondato da P. Schlesinger, Milano : Giuffrè, 2005, p. 180 ss. Sono esclusi i creditori dell’ “incapace”, che possono peraltro eventualmente agire con la surrogatoria.

([62]) Per una prima ricognizione del tema cfr. A. DE CUPIS, Della tutela dei minori, nel Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, IV, Padova : Cedam, p. 419, segn. p. 490, A. BUCCIANTE, La potestà dei genitori, la tutela e l’emancipazione, nel Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, 4, seconda edizione, cit., p. 513, spec. p. 644 ss. e 723 ss., V. ROPPO e M. DALLACASA, Amministrazione di sostegno: gli atti compiuti “in violazione di legge”, in S. PATTI [cur.], L’amministrazione di sostegno, Milano : Giuffrè, 2005, p. 153, spec. p. 156 ss. e G. BONILINI, L’invalidità degli atti posti in essere in violazione di disposizioni di legge o del giudice, in ID. e F. TOMMASEO, Dell’amministrazione di sostegno2, ne Il Codice Civile Commentario fondato da P. Schlesinger, Milano : Giuffrè, 2018, p. 517, spec. p. 522 ss.

([63]) A. JANNUZZI, Manuale6, cit., p. 795; sostanzialmente, E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 187 e A. CHIZZINI, La revoca, cit., p. 369 ss. e 373 ss.

([64]) G. ARIETA, op. cit., p. 229 ss. e 316 ss.; nei paraggi A. JANNUZZI, op. loc. ult. cit.

([65]) G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 998, A. CERINO-CANOVA, op. cit., p. 457. Consonanze in G. ARIETA, op. cit., p. 233 ss.: «il provvedimento camerale […], pur conservando la propria autonomia all’interno della vicenda autorizzativa […], non ha, né acquisisce mai rilevanza esterna, cioè al di fuori di quella vicenda, e, per questa ragione, non può mai essere conosciuto in quanto tale dal giudice contenzioso».

([66]) Detto con le parole del processualista, ciò significa che chi ha partecipato al procedimento in camera di consiglio – o se si preferisce chi ha presentato il ricorso o introdotto la domanda – non può esperire l’actio nullitatis: E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 186 s., G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 995 s. (che, ivi nt. 84, centra un aspetto nevralgico della tematica qui neppure sfiorabile) e A. JANNUZZI, Manuale6, cit., p. 795.

Il ventaglio delle interpretazioni è tuttavia allargato. Manifestano larghezza di maniche ritenendo che anche chi ha partecipato al procedimento potrebbe impugnare il provvedimento in sede contenziosa, con impostazioni e declinazioni differenti, E.T. LIEBMAN, Impugnazione in sede contenziosa del provvedimento di giurisdizione volontaria, nota a Cass., 8 maggio 1952, n. 1291, in Riv. dir. proc., 1952, II, p. 95, spec. p. 95 s., C. MANDRIOLI, Incompetenza territoriale, separazione personale e volontaria giurisdizione, in Riv. dir. proc., 1957, II, p. 303, spec. 316, G. MONTELEONE, op. cit., p. 1242 s. e già G. CHIOVENDA, op. cit., p. 319. Impostazioni ancora differenti sono state offerte da L. MONTESANO, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati, cit., p. 615 ss., A. PROTO PISANI, Usi e abusi, cit., p. 12 s. e 37 s. e G. VERDE e B. CAPPONI, Profili del processo civile, 3, Processo di esecuzione e procedimenti speciali, Napoli : Jovene, 1998, p. 401.

Dicono bene E. REDENTI e M. VELLANI, op. cit., p. 461, si tratta [comunque] di «una costruzione escogitata dalla dottrina in base ai princìpi generali e non trova nella legge delle discipline specifiche ad hoc».

([67]) G. ARIETA, op. cit., p. 316.

([68]) Cass., 7 giugno 1948, n. 859, in Foro it., 1948, I, c. 595, Cass., 15 giugno 1950, n. 1534, in Foro it., 1951, I, c. 1375, Cass., 16 febbraio 1952, n. 417, in Foro it., 1952, I, c. 428, con nota (anepigrafa) critica di G. S[TOLFI], Cass., 8 maggio 1952, n. 1291, in Foro it., 1952, I, c. 686 e in Riv. dir. proc., 1952, II, p. 95, con nota critica di E.T. LIEBMAN, cit., Cass., 16 gennaio 1956, n. 97, in Giur. it., I, 1, c. 777, con nota critica di V. COLESANTI, Sul rapporto tra provvedimento autorizzativo e negozio autorizzato, Cass., 6 dicembre 1957, n. 4590, in Giur. it., 1958, I, 1, c. 1188, Cass., 9 dicembre 1958, n. 3859, in Foro it., 1959, I, c. 1861, Cass., 29 dicembre 1960, n. 3322, in Foro it., 1961, I, c. 614, con nota (anepigrafa) di V. A[NDRIOLI], Cass., 20 gennaio 1961, n. 79, in Riv. dir. proc., 1961, p. 66, con nota di F. CARNELUTTI, Rimedi contro il provvedimento di giurisdizione volontaria, Cass., 9 agosto 1963, n. 2255, in Foro it., 1963, I, c. 1627, Cass., 5 settembre 1984, n. 4764, in Foro it. Rep., 1984, voce Camera di consiglio (procedimenti in), n. 6; nella giurisprudenza di merito, App. Roma, 21 gennaio 1950, in Riv. dir. comm., 1951, II, p. 51 con nota di R. SACCO, La tutela del terzo nel caso di cui all’art. 742 cod. proc. civ. A queste pronunce L. MENGONI, op. cit., p. 166 ss., ha mosso una critica severa.

Per un’apertura all’impugnativa delle parti che hanno risentito pregiudizio dall’esecuzione del provvedimento camerale a fini di tutela di una situazione di diritto sostanziale indebitamente incisa, ponendo solo incidentalmente in discussione la legittimità del provvedimento, Cass., 7 febbraio 1987, n. 1255, in Riv. dir. proc., 1988, p. 1160 e (la massima), ivi, p. 1998, p. 569, con nota adesiva (nella soluzione, ma non nella motivazione) di L. MONTESANO, Provvedimento camerale di autorizzazione non motivato e cognizione contenziosa sul negozio autorizzato.

Un caso a parte è quello della nomina di un curatore a due persone che si supponevano scomparse, ma in realtà si erano allontanate dall’Italia per ragioni di guerra su cfr. Trib. Ivrea, 18 luglio 1947, in Giur. it., 1948, I, 2, c. 49, criticamente commentata da E. ALLORIO, Annullamento dei provvedimenti onorari e tutela dei terzi e App. Milano, 14 marzo 1947, in Giur. it., 1948, I, 2, c. 411, con nota di G.A. MICHELI, Annullamento di provvedimenti onorari e tutela dei terzi.

([69]) R. SACCO, Il fatto, l’atto, il negozio, nel Trattato di diritto civile diretto dallo stesso A., Torino : Utet, 2005, p. 46 ss. (recens. di A. GUARNERI, in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 547, segn. p. 552 s.) e U. MAJELLO, La patologia discreta del contratto annullabile, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 329, spec. p. 339 ss., 342, 350 ss. e 354 s.

([70]) R. SACCO, Le invalidità, in ID. e G. DE NOVA, Il contratto4, Milano Assago : Wolters Kluwer, 2016, p. 1453, a p. 1540 s., lumeggia l’argomento con ben più appropriate parole.

([71]) Per tacere del fatto che i contratti ineseguiti non diventano efficaci col trascorrere degli anni in quanto, ai sensi dell’art. 1442, comma 3, c.c., l’annullabilità può essere eccepita senza limiti di tempo: R. SACCO, Le invalidità, cit., p. 1537.

([72]) Uno per tutti, A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile40, Padova : Cedam, 2004, p. 160.

([73]) G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 1000, se ne è avveduto prima di tutti.

Contrario a quest’impostazione L. MENGONI, op. cit., p. 166 ss., 171 ss. e spec. p. 173 ss., che, valorizzando la protezione degli “incapaci”, reputa l’art. 742 c.p.c. norma eccezionale e ne restringe l’applicabilità al solo caso di vizi meramente processuali, come, ad es., il vizio di competenza (materiale e territoriale); negli altri casi il vizio, ad avviso di questa blasonata dottrina, rifletterebbe un vizio autonomo del negozio autorizzato, come, ad es., il vizio derivante dal conflitto d’interessi non rilevato dal giudice e ciò in quanto il provvedimento non potrebbe mai surrogare una legittimazione mancante che porta all’annullabilità del contratto ai sensi dell’art. 322 c.c.

([74]) In M.G. CIVININI, I procedimenti in camera di consiglio, I, cit., p. 281 ss., una ricognizione del tema.

([75]) A. JANNUZZI, Manuale6, cit., p. 795 s.; in sintonia G. ARIETA, op. cit., p. 232 s. e 316 ss., per cui le norme sostanziali che comminano l’annullabilità disciplinano il regime del negozio dopo che questo è stato compiuto e mirano a «inficiare il consenso che il privato ha manifestato in violazione (o in assenza) del provvedimento camerale di autorizzazione» e non già a sanzionare il «difettoso “consenso” dell’organo autorizzante» che abbia autorizzato il negozio.

([76]) A. GENTILI, Le invalidità, nel Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, I contratti in generale2, tomo 2, a cura di E. Gabrielli, Torino : Utet, 2006, p. 1405 ss., segn. p. 1599, osserva che, in questi casi, «la legge considera pregiudizievole in sé stessa l’anomalia del procedimento di formazione della volontà, la cui inautenticità giustifica l’interesse all’annullamento». Patisce tuttavia qualche riserva la spiegazione proposta dall’A., secondo cui «la necessaria diligenza della controparte di accertarsi della capacità di colui con cui tratta è per definizione esclusa dalla pubblicità della sentenza che pronuncia l’interdizione» o «l’inabilitazione». In realtà, la pubblicità della sentenza d’interdizione, così come del decreto di apertura di un’amministrazione di sostegno, non è affatto diversa dalle altre forme di pubblicità dei provvedimenti giudiziari e al nostro legislatore – intendo sia il legislatore del 2004, sia quello 1942 e cfr. App. Roma, [decr.] 4 febbraio 2009, in Federnotizie, 2009, 109, con nota giustamente critica di M. FERRARIO HERCOLANI, Trib. Roma, [decr.] 8 settembre 2008, in Dir. fam. pers., 2009, p. 697 e già App. Genova, 23 ottobre 1947, in Temi, 1947, p. 607 – poco ha interessato accompagnare le misure legali di protezione con un adeguato sistema di pubblicità dichiarativa. Questo non è solo un “problema notarile”. Questo è il tallone d’Achille delle misure legali di protezione: amplius, s.v., A. DI SAPIO, I trust interni autodestinati: misura negoziale complementare o alternativa alle misure legali di protezione delle persone prive di autonomia, in Dir. fam. pers., 2010, p. 834, segn. p. 857 ss.

([77]) Rendo così omaggio, anche in questo scritto, alla lezione magistrale di R. SACCO esposta ne Il fatto, l’atto, il negozio, cit., p. 85 ss., 95 s., 109 ss., 173, 216, 227 ss., 239 e 365 ss.

CHIZZINI, La revoca, cit., mette a profitto una precedente lezione di R. SACCO, La presunzione di buona fede, in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 1 (la prima puntata) e p. 250 (la seconda puntata), segn. p. 288 e, ovviamente, il risultato, avendo il medesimo ascendente, è imparentato. Osserva Chizzini: «il principio politico ispiratore della protezione della buona fede si risolve in una valutazione comparativa di interessi contrastanti, in relazione alla quale ruolo preminente assume la sicurezza dinamica del traffico giuridico» (La revoca, cit., p. 369); «il legislatore ha cercato la soluzione che in astratto garantisse il risultato migliore (quindi, per la maggior parte dei casi) […] dando sicurezza ai terzi» (ibidem, p. 376).

([78]) L’azione di annullamento va infatti autorizzata dal G.T. (artt. 320, comma 3, 374, n. 9) e 411 e 424, comma 1, c.c.).

([79]) Così ho sempre scritto e pensato: intercettano la medesima realtà G. MARINI, Il contratto annullabile, nel Trattato del contratto diretto da V. Roppo, IV, Rimedi, 1, Milano : Giuffrè, 2006, p. 397, segn. p. 329 e A. CHIZZINI, La revoca, cit., p. 376 s. (testo e nt. 296).

([80]) Nel senso che i provvedimenti di volontaria giurisdizione possono essere impugnati in sede contenziosa dal terzo i cui interessi vengano pregiudicati o possano ricevere pregiudizio v. già, in giurisprudenza, Cass., 8 maggio 1952, n. 1291, cit., Cass., 28 marzo 1953, n. 837, in Giur. it., 1953, I, c. 554, Cass., 6 dicembre 1957, n. 4590, cit. e Cass., 20 gennaio 1961, n. 79, cit.; in dottrina, per tutti, G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 995 s. e G. ARIETA, op. cit., p. 325 ss.

([81]) E infatti, F. LUISO, op. cit., p. 248.

([82]) L. LENTI, Osservazioni sparse, cit., § 6.

([83]) E. FABIANI e L. PICCOLO, L’autorizzazione notarile, cit., § 5.3.1 e A. CHIANALE, Controcanto, cit., p. 14, marciano nella stessa direzione.

([84]) Più confortevole e rassicurante era la proposta avanzata nel 2017 dalla Commissione presieduta dal Prof. G. Alpa, consultabile all’indirizzo www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Alpa_relazione_articolato_7mar2016.pdf e notiziata da M. LABRIOLA, Per un nuovo ruolo del notaio nell’attività di volontaria giurisdizione, in Notariato, 2021, p. 369. La proposta era di modificare la legge notarile prevedendo una sorta di autorizzazione giudiziale per “silenzio assenso”: in caso di presentazione del ricorso da parte del notaio, l’autorizzazione si sarebbe intesa rilasciata se, entro il termine di quindici giorni dal deposito dell’istanza, la cancelleria non avesse notificato al notaio un provvedimento di diniego o la sospensione del rilascio dell’autorizzazione richiesta. Non ci sarebbe stata alcuna incertezza sul fatto che l’acquirente è «terzo» rispetto all’autorizzazione, la quale sarebbe rimasta nell’alveo giudiziale. Ciononostante, la riforma Cartabia ha preferito dar accoglienza favorevole alla proposta formulata da E. FABIANI, Sul possibile contributo del notariato al superamento della crisi della giustizia civile, in Foro it., 2020, I, c. 317 (consultato sul Foro it. on line, § 2), su un tracciato che, seppur con il temperamento cui ho riferito (§ 5), era stato inaugurato da A. PROTO PISANI, Possibile contributo del notariato, cit.

([85]) G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 998 s. e A. CHIZZINI, La revoca, cit., p 367. V. ANDRIOLI, Commentario al codice di procedura civile3, IV, Napoli : Jovene, 1964, p. 493, richiama, per analogia, l’art. 1396 c.c. e intende quindi la buona fede come ignoranza non determinata da colpa grave.

([86]) Cass., 13 aprile 1955, n. 1021, in Giust. civ., 1955, I, p. 1388, Cass., 9 dicembre 1958, n. 3859, cit. e Cass., 29 dicembre 1960, n. 3322, cit.; puntano qui anche Cass., 16 febbraio 1952, n. 417, cit. e Cass., 16 gennaio 1956, n. 97, cit. Caveat: teniamo presente che si tratta di una giurisprudenza relativa a provvedimenti giudiziali.

([87]) Cass., 7 giugno 1948, n. 859, cit. e App. Roma, 21 gennaio 1950, cit.

([88]) R. SACCO, La tutela del terzo, cit., p. 51 ss.

([89]) E. ALLORIO, Annullamento dei provvedimenti onorari, cit., c. 50 e G. VERDE e B. CAPPONI, Profili del processo civile, 3, cit., p. 397: per i presupposti da cui muovono questi ultimi due A. v. il classico di G. VERDE, L’onere della prova nel processo civile, Napoli-Camerino : Esi, 1974, spec. p. 337. Cfr., tuttavia, E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 127, il quale, pur escludendo che dall’art. 1147 c.c. possa trarsi un canone generale, ha ritenuto che scatterebbe una presunzione semplice (art. 2729 c.c.) affidata alla prudenza del giudice. Estende invece la presunzione di buona fede anche fuori dall’area dell’acquisto di beni mobili R. SACCO, persuasivamente notando che l’art. 2697 c.c., in realtà, è una norma in bianco: v.ne La presunzione di buona fede, cit., 1 ss. e, più di recente, Le invalidità, cit., p. 1543.

([90]) V. ANDRIOLI, Commentario, IV, cit., p. 503 e G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 999 (testo e nt. 117 e pure p. 996, nt. 84).

([91]) A. CHIZZINI, La revoca, cit., p. 370; ma cfr. G. ARIETA, op. cit., p. 237 ss. e 314 ss.

([92]) Cass., 16 febbraio 1952, n. 417, cit. e Cass., 16 gennaio 1956, n. 97, cit.; incidentalmente App. Milano, 14 marzo 1947, cit.; in dottrina, uno spunto già in G. CHIOVENDA, op. cit., p. 319.

SACCO, La tutela del terzo, cit., p. 53, pesca sempre nel fondo: «quando sussiste il provvedimento previsto dall’art. 742 cod. proc. civ., esiste già una prima prova della buona fede dell’acquirente». V. pure E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 127 e, muovendosi tuttavia sulla piattaforma della prova della propria buona fede da parte del terzo, G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 998 (ma pure p. 999, nt. 117) e A. CHIZZINI, La revoca, cit., p 375.

([93]) In termini Cass., 16 gennaio 1956, n. 97, cit. Su questo profilo parrebbe convergere anche L. MENGONI, op. cit., p. 348 s., seppur nei risicati limiti in cui egli riconosce l’operatività dell’art. 742 c.p.c: «[a]mmettere che al terzo di buona fede possa nuocere la colpa grave significherebbe imporgli, contra rationem legis, un onere di indagini supplementari rispetto a quelle compiute dallo stesso giudice nell’esercizio di poteri istruttori ben più penetranti di quelli di cui dispone il privato acquirente».

([94]) Si tratta di uno sviluppo fotografico del medesimo negativo, con due particolarità: l’art. 21 parla di «autorizzazioni», invece che di «decreti» e precisa che la modifica o la revoca sono pronunciate «dal giudice tutelare», e a quest’ultima modanatura ho già accennato sopra (§ 4 e 5).

([95]) Per un primo quadro d’insieme, P.G. MONATERI, La responsabilità civile, nel Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino : Utet, 1998, p.778 ss., U. MATTEI, Regole sicure, Milano : Giuffè, 2006, p. 55 ss. e 176 ss., V. ROPPO, La responsabilità professionale del notaio, cit., p. 147 ss., F. ANGELONI, La responsabilità civile del notaio, Padova : Cedam, 1990, p. 79 ss., 91 ss. e 111 ss., R. TRIOLA, La responsabilità del notaio, Milano : Giuffrè, 1999, p. 31 ss., E. GABRIELLI e M. PALAZZO [cur.], La responsabilità civile del notaio, in Giur. it., 2017, c. 2523 (raccoglie contributi di M. FRANZONI, M. PALAZZO, R. LENZI, M. RIZZUTI e S. LANDINI), U. LA PORTA, La responsabilità professionale del notaio, Torino : Giappichelli, 2003, p. 6 ss., e 15 ss., A.A. CARRABBA, Nullità, funzione nomofilattica e sanzioni disciplinari, Napoli, Esi, s.d., ma 2018, p. 112 ss. e M. IMBRENDA, La responsabilità notarile nella ermeneutica delle giurisdizioni superiori fra obbligazioni civili e tutela della fede pubblica, in Riv. dir. civ., 2018, p. 1619.

 ([96]) Cass., 19 marzo 2015, n. 5481, consultabile sul Foro it. on line, Cass., 15 giugno 1999, n. 5946, in Foro it. Rep., 1999, voce Notaio, n. 85 e già Cass., 25 ottobre 1972, n. 3255, in Riv. not., 1973, p. 331, con nota di R. TRIOLA.

Un capitolo a parte riguarda la responsabilità del notaio da “contatto sociale”, prima esclusa (nel caso concreto) da Cass., 23 ottobre 2002, n. 14934, in Riv. not., 2003, p. 766, con nota di R. BARBANERA, poi però riconosciuta – ed è un trend su cui tornerò fra breve – da Cass., 9 maggio 2016, n. 9320, in Foro it., 2016, I, c. 2801 e Cass., 8 aprile 2020, n. 7746, ivi, 2020, I, c. 2773.

([97]) In P.G. MONATERI, op. cit., p. 144 ss., un’esposizione meditata delle teorie che si contendono il campo: la teoria della conditio sine qua non, tuttora ampiamente condivisa dalla giurisprudenza e a cui sostanzialmente qui si aderisce, la teoria della causalità adeguata, che anch’essa trova qualche riscontro nelle aule di giustizia, la teoria della prevedibilità dell’evento e la teoria dello scopo della norma violata.

Con specifico riferimento alla responsabilità notarile, V. ROPPO, La responsabilità professionale del notaio, cit., p. 157 ss., propone un’interessante applicazione del criterio della “ragionevole certezza”.

Giro subito le mie carte: personalmente sottoscrivo parola per parola la conclusione di V. ZENO-ZENCOVICH, Nesso causale (una prospettiva gius-realista), in Diritto@Storia, 7/2008, «l’esperienza comparata […] ci dice che i giudici, di qualsiasi ordinamento, hanno un rapporto quasi alchimistico con le regole causali, sottoponendole ai più svariati esperimenti ed usandole per il raggiungimento degli scopi che sono loro assegnati. Il concetto si tramuta in decisione e la decisione muta la realtà o ne sancisce la non modificabilità» (cors. agg.).

([98]) L’intrigo risale a oltre cinquant’anni fa e la sua geometria è stata smascherata da M. D’ORAZI FLAVONI, Il notaio – assicuratore (nota a Cass., 14 marzo 1958, n. 841), in Giur. it., 1959, I, 1, c. 471, spec. c. 474 ss. La vicenda riferita da A. GIULIANI, Il notaio «assicuratore», in Riv. not., 1958, p. 858 (sul cui séguito V. BARBERIS, Il notaio «assicuratore», con Postilla dello stesso GIULIANI, in Riv. not., 1959, p. 163) è invece ancora all’ordine del giorno.

([99]) La questione se qui scatti l’obbligo della prestazione notarile ai sensi dell’art. 27 legge not. fa parte un lungo discorso sulle cui premesse A. CHIANALE, Controcanto, cit., p. 12, in puntuale correlazione a quanto ivi affermato a p. 9.

([100]) Una felice sintesi in P. SALVATORE, ad. vocem cit., p. 5.

([101]) Trib. Pesaro, 15 giugno 1959, in Foro it., 1959, I, c. 1862.

([102]) Quest’aspetto non sfuggì all’occhio clinico di D. MIGLIORI sr., Gli affari di giurisdizione volontaria e l’art. 54 del regolamento notarile, dispensa tratta dalle lezioni al 14° corso della Scuola di notariato A. Anselmi di Roma, ora in Scuola di Notariato A. Anselmi di Roma [cur.], La volontaria giurisdizione, cit., p. 564, segn. p. 567, che definì il caso come un «saggio di macroscopica disavvedutezza». Quest’aspetto sfuggì invece al massimatore della sentenza di Trib. Pesaro, 15 giugno 1959 e dunque a tanti commentatori che hanno preso la massima come oro colato e si sono arricciati intorno a essa: come spesso accade, ne è seguita una formulazione progressivamente generalizzante della massima – come detto reticente – che è stata quindi a sua volta… massimizzata.

([103]) D. MIGLIORI sr., Gli affari di giurisdizione volontaria, cit., p. 569, è sulla medesima lunghezza d’onda. Per un sindacato del notaio sulla legittimità del provvedimento del giudice con riflessi sulla sua responsabilità civile cfr. [A. JANNUZZI e] P. LOREFICE, Manuale della volontaria giurisdizione11, Milano : Giuffrè, 2006, p. 63 s.

([104]) Si badi: il testo dell’art. 54 reg. not. è datato 1914. È gemellare all’art. 43 reg. not. del 1879, dunque rimonta a prima della legge not. del 1913, con la quale, non dimentichiamolo, fu tra l’altro introdotta la laurea in giurisprudenza come requisito necessario per l’accesso alla professione notarile. E per intendere il genere di problemi che si agitavano tra i notai di quel periodo basti dare un rapido sguardo a G. CAVALLI, Sugli articoli 24 della legge notarile e 43 del relativo regolamento, in Monitore del notariato, 1880, p. 118.

([105]) F. MAZZACANE, op. cit., p. 79; si accosta, riconducendo l’efficacia all’imperatività del decreto, G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 996 s.

([106]) In P.G. MONATERI, op. cit., p. 100 ss., una messa a fuoco dell’argomento.

([107]) F. CARNELUTTI, Vizio di incompetenza nel provvedimento di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1954, I, 216, segn. 218 s.

([108]) F. BELLINI, Sul significato della presenza del P.M. nei giudizi di volontaria giurisdizione in materia societaria, in Società, 1999, 421, offre un interessante spunto di riflessione; sulla tematica in generale, oltre ai classici di V. ANDRIOLI, Commentario, IV, cit., p. 457 ss. e S. SATTA, op. cit., p. 39 s., con approfondimento progressivamente maggiore, F. VERDE, op. cit., p. 126 ss. e G. FRANCHI, Sul potere di impugnazione del pubblico ministero nel procedimento volontario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, p. 1151.

([109]) I loro nomi si leggono fra quelli indicati nelle note al § 2.

([110]) A. CHIANALE, Controcanto, cit., p. 10, legge con padronanza l’argomento e v’intravede un «corto circuito».

([111]) Il caso deciso da Trib. Pesaro, 15 giugno 1959, cit., su cui mi sono già intrattenuto poche pagine sopra, è paradigmatico.

([112]) Per usare un’espressione cara a Sacco, questa è ormai una “fungaia”.

La giurisprudenza martella sui doveri menzionati nel testo e v., per rimanere alle sentenze degli ultimi due anni pronunciate [non a caso] sulle materie più disparate, sempre in punto di responsabilità civile, Cass., 14 novembre 2022, n. 33439, consultabile sul Foro it. on line, Cass., 18 ottobre 2022, n. 30494, in Foro it., 2023, I, c. 239, Cass., 5 luglio 2022, n. 21205, consultabile sul Foro it. on line, Cass., 4 marzo 2022, n. 7185, in Foro it., 2022, I, c. 1688, Cass., 15 febbraio 2022, n. 4911, in Riv. not., 2022, p. 393, Cass., 20 luglio 2021 n. 20698, in Foro it., 2022, I, c. 718 e Cass., 16 marzo 2021, n. 7283, in Foro it., 2021, I, c. 3278, con nota di E. BUCCIANTE, il quale ne registra la peculiarità dovuta al profluvio di citazioni giurisprudenziali, che raggiungono il numero (da record o quasi) di ottantuno. Il case law fu deciso da Cass., 29 marzo 2007, n. 7707, in Vita not., 2007, p. 839 e in Riv. not., 2008, 165, con nota di G. CASU. Questa sentenza indusse il CNN alla modifica dell’art. 42 dei principî di deontologia professionale dei notai, per una cui ulteriore revisione v. l’informatissimo studio della Commissione Deontologia del CNN per il LVII Congresso nazionale del notariato, Genova, 5-6 maggio 2023, est. A. BARONE, E. BRUNETTI, R. MANCUSO, A. STAGO e R. VINCI, Dovere di informazione – dovere di consiglio – funzione di adeguamento, condivisibilmente auspicando un freno alla deriva giurisprudenziale che sta progressivamente avvicinando la responsabilità civile del notaio a una responsabilità oggettiva per violazione di un’obbligazione di risultato [magari solo sperato o fantasticato e mai rappresentato al notaio prima della stipula dell’atto]. L’argine c’è, il principio di autoresponsabilità delle parti: va evidenziato e rinsaldato. Più si abbassa la soglia giuridica degli obblighi di diligenza, avvedutezza e prudenza delle parti, più aumenta l’overconfidence e la rilevanza che a essa sembra riconoscere la giurisprudenza: storia conosciutissima in altri ambiti professionali.

([113]) Ecco svelato il perché della corposità dei precedenti § 6 e 7: non stavo camminando a ritroso, stavo soltanto prendendo la rincorsa e qui sto appunto dando corpo all’impostazione di E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit., p. 187 e, alcune differenze, di G.A. MICHELI, ad vocem cit., p. 996 e 999 ss. e A. CHIZZINI, La revoca, cit., p. 376.

([114]) L’origine storica dell’art. 54 reg. not., cui ho accennato sopra, lo conferma e mette a nudo un certo favolismo che nel corso degli anni ha accompagnato i controlli sugli atti notarili nei quali intervengono persone autorizzate dal giudice.

([115]) G. CALABRESI, [1984] Costo degli incidenti, efficienza e distribuzione della ricchezza: sui limiti dell’analisi economica del diritto, trad. it. R. Pardolesi, ora in G. ALPA, P. CHIASSONI, A. PERICU, F. PULITINI, S. RODOTÀ e F. ROMANI, Analisi economica del diritto privato, Milano : Giuffrè, 1998, p. 244, P.G. MONATERI, op. cit., passim e P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano : Giuffrè, 1961, p. 2 ss. e 36 ss.

([116]) Lo schema sarebbe dunque quello delle attività pericolose, che è un contesto avulso da ogni teoria naturalistica e in cui conta sapere non “chi ha causato il danno”, ma “chi è il responsabile per legge”, che è colui sul quale incombono correlativi obblighi di protezione la cui violazione è reputata cause suffisante del danno: in arg. S. RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano : Giuffrè, 1964, p. 77 e già H.L.A. HART e A.M. HONORÈ, Causation in the Law, Oxford : Clarendon press, 1959, p. 26.

([117]) G. ALPA, [1976] Colpa e responsabilità nell’analisi economica del diritto, ora in ID., P. CHIASSONI, A. PERICU, F. PULITINI, S. RODOTÀ e F. ROMANI, Analisi economica del diritto privato, cit., p. 231, spec. p. 233 ss., si occupa delle curvature degli standard of care.

([118]) Intendo i costi preventivi, del danno e transattivi: G. CALABRESI, op. cit., p. 247 ss., 250 ss. e 260 ss. e P.G. MONATERI, op. cit., p. 28 ss.

([119]) A. FUSARO, Le – tre o troppe? – responsabilità del notaio, in Riv. not., 2004, p. 1313, in part. p.1320 ss., segn. p. 1328 e già V. ROPPO, La responsabilità professionale del notaio, cit., p. 154.

([120]) J CRUET, La vie du droit et l’impuissance des lois, Parigi : Flammarion, 1908, p. 336.