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L’ambito di applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ., il potere di direzione del giudice e la revocabilità dell’ordinanza di sospensione dell’esecuzione in pendenza del giudizio di merito.
Sommario: 1. - La vicenda concreta e le questioni esaminate (anche incidentalmente) dal giudice; 2. - L’ambito di applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ.; 3. - Il provvedimento di sospensione ex art. 624 cod. proc. civ. come atto esecutivo; 4. La natura del provvedimento di sospensione e l’applicabilità delle norme sul procedimento cautelare uniforme: la modificabilità e revocabilità dell’ordinanza ex art. 669 decies cod. proc. civ.; 5. - La competenza ex art. 669 decies cod. proc. civ. in pendenza della fase di merito dell’opposizione all’esecuzione.
Di Silvia Rusciano -
1. La vicenda concreta e le questioni esaminate (anche incidentalmente) dal giudice.
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli dichiara l’inammissibilità dell’istanza di revoca della sospensione dell’esecuzione già disposta dal g.e., formulata dal creditore ai sensi dell’art. 669 decies cod. proc. civ., stante il sopravvenuto mutamento delle circostanze di fatto poste a fondamento del provvedimento ex art. 624 cod. proc. civ. (rappresentato, nella fattispecie, dall’offerta formale delle somme spettanti alla società esecutata a titolo di perdita dell’avviamento commerciale di cui all’art. 34 della legge n. 392 / 1978).
Le ragioni della decisione investono l’esistenza del potere del giudice dell’esecuzione – che abbia già accolto l’istanza ex art. 624 cod. proc. civ. all’esito della fase c.d. sommaria dell’opposizione – di modificare e revocare il provvedimento di sospensione, mancando una disciplina legislativa espressa.
La soluzione adottata dal Tribunale è negativa.
Nonostante la parte avesse sollecitato il potere di revoca ai sensi del solo art. 669 decies cod. proc. civ., il g.e. – ampliando l’indagine e correttamente facendo uso del suo potere di qualificazione dell’istanza – esclude l’applicabilità del rimedio di cui all’art. 487, co. I, cod. proc. civ.: da un punto di vista testuale, il secondo comma del citato art. 487, nel rinviare agli artt. 176 e seguenti cod. proc. civ., implica l’applicazione dell’art. 177, co. 3, n. 3) che, a sua volta, esclude la modificabilità e revocabilità delle ordinanze per le quali la legge predispone uno speciale mezzo di reclamo, come nell’ipotesi contemplata dall’art. 624 cod. proc. civ (ove espressamente viene richiamato il reclamo cautelare); da un punto di vista strutturale, aggiunge il Tribunale, osta all’applicabilità dell’art. 487 cit. la qualificazione del provvedimento di sospensione dell’esecuzione come espressione di una vera e propria attività di cognizione del giudice: “non si è in presenza di un atto di gestione dell’esecuzione, bensì di un mezzo con il quale il giudice dell’esecuzione esercita una forma di cognizione (sebbene sommaria) funzionale a raccordare l’esecuzione stessa con i possibili esiti del giudizio di opposizione: attraverso la sospensione, cioè, si mira a cristallizzare la situazione nascente dall’esecuzione per il tempo necessario a pervenire ad una decisione nel merito dell’opposizione e ad assicurare che il giudizio di opposizione abbia un’utilità effettiva” .
La natura del provvedimento e il tipo di cognizione, a giudizio del Tribunale, rendono inapplicabile un “meccanismo – quale per l’appunto quello dell’art. 487 c.p.c. – strutturalmente legato ad un’attività non già di cognizione, bensì di attuazione – esecuzione”.
Ugualmente si esclude che il potere di revoca dell’ordinanza di sospensione dell’esecuzione del g.e. possa fondarsi sull’art. 669 decies cod. proc. civ.
Pur, infatti, a volere attribuire natura cautelare all’ordinanza e, conseguentemente, ritenere applicabile il relativo procedimento uniforme (artt. 669 bis e ss. cod. proc. civ.) – seppure nei limiti di compatibilità con la disciplina speciale della sospensione ex art. 624 cod. proc. civ. –, la competenza a decidere sulla modifica e revoca della misura cautelare spetta al giudice che la ha emanata soltanto laddove il giudizio di merito non sia stato iniziato o sia stato dichiarato estinto: ne deriva che “ogni valutazione in ordine all’ammissibilità della richiesta di modifica o revoca del provvedimento di sospensione competa unicamente al giudice della causa di merito pendente”.
La soluzione accolta dal Tribunale di Napoli è certamente condivisibile nelle conclusioni, ma le argomentazioni poste a suo sostegno necessitano di un approfondimento, giacché investono una serie di problematiche – oggetto di vivaci dibattiti – circa l’analisi dei rimedi esperibili avverso il provvedimento di sospensione[1], la sua natura ed i poteri del g.e.
Seppure l’attuale formulazione dell’art. 624 c.p.c. – nel prevedere un mezzo di reclamo tipico (ex art. 669 terdecies c.p.c.) – esclude (indirettamente) la revocabilità dell’ordinanza pronunciata dal g.e., occorre valutare le altre ragioni poste (ad abundantiam) a fondamento del provvedimento: a) quelle funzionali a ritenere inapplicabile il rimedio “interno” di cui all’art. 487 c.p.c. ai provvedimenti del giudice dell’esecuzione non “gestori”; b) quelle volte a estendere, seppure implicitamente, all’ordinanza di sospensione le disposizioni del procedimento cautelare uniforme e, in particolare, l’art. 669 decies cod. proc. civ., con conseguente individuazione del giudice competente laddove il merito dell’opposizione sia pendente.
2. L’ambito di applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ.
Il Tribunale, seppure con un obiter dictum, limita la portata dell’art. 487 c.p.c. ai soli provvedimenti di gestione della procedura esecutiva, escludendo il rimedio della revoca per tutti quegli atti del g.e. che presuppongono una sua “cognizione” e, tra essi, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione.
Tale affermazione – peraltro non necessaria ai fini del rigetto dell’istanza – non è giustificata dalle recenti riforme del processo esecutivo e, oggi, pare operazione anacronistica[2]: sempre con maggiore frequenza il giudice dell’esecuzione è chiamato ad esercitare poteri cognitivi in funzione meramente esecutiva e, non per questo, i suoi provvedimenti sfuggono al normale regime previsto in generale dalla citata disposizione.
Sostenere che l’art. 487 cod. proc. civ. abbia un ambito di applicazione limitato agli atti di gestione della procedura esecutiva, come ritiene il Tribunale, significa escludere il rimedio in tutte quelle ipotesi – ormai sempre più frequenti – in cui il giudice dell’esecuzione conosce per attuare.
Abbandonata l’impostazione del codice del ’40 di netta distinzione tra tutela cognitiva e tutela esecutiva[3], il legislatore più recente pone al centro del processo il giudice dell’esecuzione, attribuendogli una serie di poteri di accertamento in funzione dell’attuazione del diritto, tanto da condurre ad un’esaltazione del potere direttivo che l’art. 484 cod. proc. civ. attribuisce al g.e., analogamente a quanto prevede l’art. 175 con riguardo al giudice istruttore[4]: la relazione tra giudice della cognizione (rectius: giudice istruttore) e giudice dell’esecuzione, che Andrioli[5] definiva di “cuginanza” nell’evidenziarne le differenze, pare oggi di “fratellanza”, per la contiguità tra il “conoscere” ed i poteri ordinatori esercitati all’interno del processo; quest’ultimo profondamente differente nei fini.
A prescindere dai poteri cognitivi in senso improprio, cioè finalizzati alla verifica delle condizioni dell’esecuzione[6] (tra i quali possono – ad esempio – includersi quelli concernenti la sussistenza dei presupposti dell’esecuzione[7] e, talvolta, l’estensione del titolo esecutivo[8] o le indagini ex art. 2929 bis cod. civ. o, ancora, quelle in tema di ordine di liberazione dell’immobile pignorato ex art. 560, co. 3, cod. proc. civ.[9]), diverse disposizioni presuppongono una certa cognizione del giudice dell’esecuzione, che – oggi più di ieri – conosce (non giudica) per attuare. Già la dottrina tradizionale, del resto, adottava due diverse nozioni dell’attività cognitiva esercitata dal giudice, proprio partendo dalla visuale della sede ove essa viene esercitata e dallo scopo a cui il conoscere è diretto: il g.e. “non svolge attività cognitiva-decisoria, pronuncia (non sentenze, ma) ordinanze e decreti, attraverso i quali si realizza il passaggio dal dover essere (diritto “contenuto” nel titolo) all’essere (realtà materiale corrispondente al diritto consacrato nel titolo esecutivo)”[10].
Del resto i conditores del 1940 esaltavano la figura del giudice nel processo[11], anche in quello esecutivo, tramite il rafforzamento del suo potere di direzione[12] e tale ruolo, alla luce delle ultime riforme, pare idoneo ad includere poteri cognitivi strettamente correlati allo scopo cui mira il procedimento.
Detti poteri cognitivi con riguardo al “merito” dei diritti fatti valere nel processo esecutivo sono ormai frequentemente attribuiti al giudice della procedura esecutiva, seppure graduati in modo parzialmente diverso: si pensi, ad esempio, a quelli esercitati in sede di conversione del pignoramento (art. 495 cod. proc. civ.), in fase di verifiche dei crediti degli interventori non titolati (art. 499, co 7, cod. proc. civ.)[13] e, ancora, laddove sorgano contestazioni sulla dichiarazione del terzo ex art. 549 cod. proc. civ. (ove però il legislatore ha cura di limitare l’efficacia dell’ordinanza del g.e. ai soli “fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione”)[14], fino ad arrivare al potere di risoluzione delle controversie distributive[15].
Con riferimento alla prima delle citate disposizioni, il problema di definire l’ambito della cognizione riservato al giudice dell’esecuzione nel determinare “la somma da sostituire al bene pignorato” e, di conseguenza, la stabilità della relativa ordinanza[16] e i rimedi contro la stessa esperibili[17] trovano soluzione conforme da parte della giurisprudenza, nel senso di qualificare tale accertamento entro i limiti del processo esecutivo e, coerentemente, di attribuire al provvedimento una natura meramente provvisoria.
Alle stesse conclusioni si giunge considerando l’accertamento endo-esecutivo compiuto dal g.e. in occasione dell’intervento dei creditori non titolati (ove, invero, la funzione cognitiva del g.e. si riduce in modo apprezzabile giacché “il g.e. non decide neppure sommariamente sulla spettanza o sull’ammontare del credito, ma assiste a comportamenti significativi del debitore con conseguenze direttamente regolate dalla legge processuale”[18]) o, ancora, nell’ipotesi in cui sorgano contestazioni relativamente all’obbligo del terzo ex art. 549 cod. proc. civ.: al g.e. è riconosciuto un potere di cognizione esteso al merito ed alla consistenza delle pretese creditorie, ma solo al fine di compiere l’atto esecutivo relativo; il giudice, cioè, non accerta in via giurisdizionale, non esercita un potere dichiarativo in senso proprio, bensì conosce per attuare[19].
Anche fuori dalle pagine del codice di rito sono rintracciabili poteri valutativi accentuati del giudice dell’esecuzione: l’art. 48 bis, co. 10, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 85 (Testo unico bancario)[20], ad esempio, nel contemplare l’eventualità che il diritto reale immobiliare – già oggetto del c.d. patto marciano – sia sottoposto al pignoramento, attribuisce al g.e. il compito di “accertamento dell’inadempimento del debitore”.
Nell’ambito del processo esecutivo il giudice, quindi, al pari di quanto avviene nel processo di cognizione, è tenuto a svolgere una serie di accertamenti o verifiche che, talvolta, arrivano fino al “merito” (alla situazione sostanziale che legittima l’esecuzione), ma tali poteri sono limitati ad attuare la pretesa esecutiva, cui sono funzionali[21] e, in quanto tali, sono destinati a produrre effetti solo all’interno di quella procedura. Le verifiche effettuate dal g.e. ai fini dell’emanazione del provvedimento esecutivo, seppure qualificabili quali attività cognitive, non inducono a “snaturare” l’ordinanza, fino ad escludere il rimedio dell’art. 487 cod. proc. civ.
Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la lettura dell’art. 487 cod. proc. civ. non consente limitazioni al rimedio interno del processo esecutivo. Revocabile o modificabile – seppure nei limiti “temporali” indicati dalla disposizione[22] – è, cioè, oggi qualsiasi atto esecutivo ordinatorio, a prescindere dal tipo di valutazioni compiute dal g.e. per la sua emanazione.
Pur, infatti, volendo riprendere la distinzione accolta dalla dottrina classica tra provvedimenti ordinatori (diretti cioè a regolare lo svolgimento del processo ed “aventi funzione analoga a quella dei provvedimenti istruttori del processo di cognizione”[23]) e i provvedimenti esecutivi materiali (destinati ad operare direttamente sulla situazione giuridica del debitore), oggi, la prima categoria può essere ampliata, fino ad includervi tutti quei provvedimenti del g.e. che – pur presupponendo un’attività cognitiva (generalmente sommaria) – presentano la caratteristica comune di operare all’interno dell’esecuzione, senza pregiudicare il diritto sostanziale delle parti, essendo provvedimenti che mirano a regolare il processo e funzionali ad impedire che si compiano atti esecutivi illegittimi.
3. Il provvedimento di sospensione ex art. 624 cod. proc. civ. come atto esecutivo.
Con particolare riferimento all’ordinanza di sospensione del procedimento, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, si può legittimamente continuare a parlare di atto esecutivo in senso proprio, massima espressione del potere direttivo cui si riferisce l’art. 484 c.p.c.[24], volto ad incidere soltanto su quel processo esecutivo, privo di una qualche efficacia esterna, nonostante presupponga un’attività conoscitiva del giudice.
Le ultime riforme, cioè, hanno inciso sul ruolo del g.e. all’interno del procedimento esecutivo: sempre meno organo che dirige un procedimento “para-amministrativo” o che determina la mera attuazione della esecuzione; sempre più giudice, seppure negli stretti limiti del procedimento esecutivo, che conosce delle pretese creditorie e dei loro diritti ad agire in via esecutiva al fine di soddisfarli. L’idea del giudice che dirige il procedimento, oggi, non può non rimandare all’esigenza di conoscere, come del resto già avviene nei modelli di ottemperanza amministrativa[25]. Viene di pensare, cioè, che il g.e. sia sempre meno qualificabile come magistrato “responsabile del procedimento” e sempre più giudice della conformazione[26], necessario al sistema tanto quanto quello della cognizione[27].
Né è condivisibile ritenere che con l’ordinanza di sospensione del processo esecutivo il giudice dell’esecuzione solo apparentemente provvede nel processo esecutivo da lui diretto, mentre nella realtà provvede nel processo di opposizione all’esecuzione davanti a lui introdotto: trattasi comunque di ordinanza appartenente al processo di esecuzione, funzionalmente correlata allo stesso al punto tale da poterne determinare l’estinzione (ai sensi del c. 3 dell’art. 624)[28].
Del resto non si dubita che la medesima qualificazione debba riconoscersi all’ordinanza che rigetta la richiesta di sospensione del processo esecutivo: l’esigenza, infatti, di disegnare un’unica disciplina per il provvedimento che si esprime sull’istanza di sospensione (sia essa favorevole o sfavorevole), ben tenuta in considerazione dal legislatore al c. 2 dell’art. 624 cod. proc. civ., induce a propendere per la inclusione del provvedimento nell’ampio genus di atto esecutivo.
L’iter storico e la lettura delle disposizioni offerta dalla giurisprudenza con riferimento alla disciplina previgente induce ad accogliere le medesime conclusioni.
Fino alle riforme degli anni 2005, 2006 e 2009[29], infatti, comunemente si riteneva ammissibile il rimedio della revoca e modifica dell’ordinanza ex art. 624 cod. proc. civ. da parte dello stesso giudice del processo esecutivo: “il potere di revoca della sospensione … – precedentemente disposta …. – appartiene … al giudice dell’esecuzione e rientra tra i poteri ordinatori del processo esecutivo … e tuttavia, la relativa pronuncia, revocabile o modificabile dallo stesso giudice che l’ha emessa è opponibile ai sensi dell’art. 617 c.p.c.”[30].
In altri termini, il provvedimento di sospensione veniva qualificato sempre atto esecutivo, con conseguente (necessaria) applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ., a prescindere dalla rimessione della causa al giudice dell’opposizione[31] ed oggi l’unico limite alla applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ. all’ordinanza di sospensione è rappresentato dall’ammissibilità del reclamo cautelare, legislativamente affermata.
4. La natura del provvedimento di sospensione e l’applicabilità delle norme sul procedimento cautelare uniforme: la modificabilità e revocabilità dell’ordinanza ex art. 669 decies cod. proc. civ.
L’art. 624 cod. proc. civ., oggetto di continue modifiche ed integrazioni[32], disegna un’ordinanza del g.e. del tutto peculiare: il richiamo all’art. 669 terdecies cod. proc. civ. ha impresso al provvedimento in parola una maggiore somiglianza (rectius: assimilazione) con la misura cautelare, già da tempo autorevolmente affermata[33], ma la caratterizzazione dell’ordinanza di sospensione in termini cautelari appare operazione condivisibile solo tramite il “filtro” di compatibilità dell’art. 669 quaterdecies cod. proc. civ.[34], non automatica[35].
Se, infatti, la sospensione interna del processo esecutivo condivide con i provvedimenti cautelari il carattere strumentale e provvisorio, nonché i presupposti che legittimano la sua concessione (fumus boni iuris e periculum in mora)[36], la peculiarità di questo provvedimento è che trattasi di atto esecutivo, idoneo ad arrestare il relativo procedimento (ma non anche a travolgere – di per sé e a prescindere dall’effetto estintivo che ne può derivare – gli atti e provvedimenti fino a quel momento compiuti)[37] e, ancora, emanato nella prima fase del giudizio di opposizione, ove – per espressa previsione normativa (art. 185 disp. att. cod. proc. civ.) – trovano applicazione “le norme del procedimento camerale di cui agli articoli 737 e seguenti del codice”[38].
Ciò determina un provvedimento esecutivo sui generis che sfugge a qualsiasi automatica classificazione: esso è reso dal giudice dell’esecuzione in una fase “di cerniera” tra il procedimento dallo stesso giudice diretto e quello (eventuale) affidato alla cognizione del giudice dell’opposizione. Con l’esaurirsi della fase sommaria, quindi, il potere sospensivo del g.e. si consuma, venendo meno quella che rappresenta una delle direttrici di fondo del procedimento cautelare uniforme[39].
Come, di recente, ritenuto dal massimo organo della nomofilachia con specifico riferimento all’opposizione pre-esecutiva , la qualificazione in questi termini (provvedimento cautelare sui generis) del provvedimento di sospensione “esclude l’applicazione delle norme del processo cautelare uniforme in presenza di norme speciali, sicché, in pratica, essendo la sospensione anche pre-esecutiva compiutamente regolata in ogni altro aspetto da queste ultime (trattandosi di un vero e proprio microsistema o sottosistema di norme processuali, connotato da una sua spiccata specialità in funzione della sua strutturale finalizzazione al processo esecutivo), la sola ad applicarsi di quel rito uniforme è proprio quella in tema di reclamabilità (art. 669 terdecies c.p.c.)”.
5. La competenza ex art. 669 decies cod. proc. civ. in pendenza della fase di merito dell’opposizione all’esecuzione.
L’inconveniente di una tale conclusione (assoluta inapplicabilità del procedimento cautelare uniforme, ad eccezione del reclamo) è, nella specie, rappresentato dall’eccessivo pregiudizio per la parte che, in presenza di mutamenti nelle circostanze intervenuti (o di cui si ha conoscenza) successivamente alla scadenza del termine per la proposizione del reclamo, sarebbe costretta a dar seguito al merito del giudizio di opposizione (e ad attendere la sentenza finale) o ad instaurare una nuova procedura esecutiva[41].
In questa ottica, potrebbe ritenersi – anche a prescindere da ogni netta qualificazione formale del provvedimento di sospensione del processo esecutivo e ricorrendo all’applicazione del criterio di “compatibilità” – che l’avere ammesso il reclamo cautelare non esclude l’altro rimedio disciplinato nell’ambito del procedimento uniforme[42], ovvero la revoca e modifica ex art. 669 decies cod. proc. civ.
Secondo questa impostazione, seguita dal Tribunale di Napoli, resta da chiarire l’affermazione relativa alla incompetenza del giudice dell’esecuzione a decidere sull’istanza di revoca in pendenza del giudizio di opposizione.
La soluzione prospettata dal Tribunale presuppone la piena applicazione dell’art. 669 decies cod. proc. civ., che attribuisce al giudice della causa di merito il potere di modificare o revocare il provvedimento[43]. Del resto, le regole sulla competenza sono anche funzionali a garantire la decisione migliore: è il giudice dell’opposizione pendente l’organo che meglio è in grado di valutare la sussistenza dei “mutamenti nelle circostanze”, indicati dalla norma per l’accoglimento della relativa istanza[44].
Quest’ultima soluzione è, inoltre, oggi in linea con la recente giurisprudenza di legittimità già richiamata[45] che – nel riconoscere la reclamabilità del provvedimento di sospensione adottato dal giudice dell’opposizione ex art. 615, co. I c.p.c., come si è detto – definisce la lettera dell’art. 624 citato un dato neutro e, contestualmente, attribuisce ad un giudice diverso da quello del processo esecutivo il potere sospensivo, che comunque si consuma ed esaurisce nella prima fase dell’opposizione.
[1] Ancor prima delle riforme che hanno investito l’art. 624 cod. proc. civ., la giurisprudenza riteneva il provvedimento di sospensione revocabile e modificabile dallo stesso giudice dell’esecuzione ex art. 487 cod. proc. civ., nonché impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 cod. proc. civ.). Si è, invece, esclusa l’ammissibilità del regolamento di competenza per la facoltà della parte di proporre l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. (sul punto, Oriani, L’opposizione agli atti esecutivi: la sua attuale configurazione e le prospettive de iure condendo, in Scritti sul processo esecutivo e fallimentare in ricordo di Raimondo Annecchino, Napoli, 2005, 510 e ss.) e del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., per la mancanza del provvedimento di decisorietà e definitività.
[2] Nello stesso senso Ghiurghi, Verso un nuovo modello di esecuzione civile?, in www.judicium.it.
[3] Cavuoto, La cognizione incidentale sui crediti nell’espropriazione forzata. Contributo allo studio dei rapporti tra esecuzione e accertamento, Napoli, 2017, 324 e ss. Sul tema amplius Pilloni, Accertamento ed attuazione del credito nell’esecuzione forzata, Torino, 2011. Sul punto scriveva Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1973, 40: “… il codice del 1942, spogliando delle forme proprie della cognizione il processo esecutivo e colando nello stampo della ordinanza i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, cui ha attribuito il compito non già di risolvere controversie, ma di dirigere la sola espropriazione forzata (art. 484), ha sul piano strutturale affiancato, in guisa suggestiva, il processo di esecuzione forzata … alla procedura fallimentare, ma le differenze tra cognizione ed esecuzione, che in tempi remoti convinsero chi esalta il momento logico del giudizio nella giurisdizione ad escluderne la esecuzione … non possono essere poste in tale evidenza da lasciare nell’ombra la comune finalità dell’assicurazione, mediante identici schemi, della garanzia dell’ordinamento costituito”.
[4] Sul punto Catalano, Un nuovo ruolo del giudice dell’esecuzione?, Corriere giur., 1986, 339 e ss. Di tale assimilazione, seppure ai soli fini relativi alla legittimazione a denunciare il conflitto con la Costituzione dell’art. 42, comma secondo, r.d. n. 646 /1905 (Testo unico delle leggi sul credito fondiario), parla la Corte costituzionale già con la pronuncia 03.08.1976, n. 211, in Giust. Civ., 1976, III, 465: “ancorché non potesse decidere alcuna questione di merito, il giudice dell’esecuzione … è certamente un organo giurisdizionale, con una sfera di competenza propria e distinta da quella attribuita al tribunale che è il giudice competente per l’esecuzione; ed è del pari certo che durante il corso dell’espropriazione, il giudice, nel dirigerla, adotta provvedimenti aventi contenuto e valore decisori ed è da assimilare … al giudice istruttore del processo di cognizione, il quale, almeno in ordine alle norme che debba applicare, è legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale”.
[5] Andrioli, Appunti di diritto processuale civile, Napoli, 1964, 323.
[6] Peraltro oggi espressamente si riconosce al Presidente del Tribunale (non già al g.e.), ai sensi dell’art. 492 bis cod. proc. civ., il potere di verificare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, al fine di autorizzare la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.
[7] Come, infatti, sottolineato da Capponi, Ordinanze decisorie abnormi del g.e. tra impugnazioni ordinarie e opposizioni esecutive, Relazione svolta il 27.03.17 al convegno – organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura e dall’università di Roma Tre – su L’interpretazione dl titolo esecutivo e i poteri del giudice dell’esecuzione, “lo stesso g.e. è titolare di poteri di verifica circa l’esistenza e permanenza, durante l’intero arco dell’esecuzione, del titolo esecutivo, e, in questa sua funzione finisce inevitabilmente per esercitare poteri che possiamo genericamente definire cognitivi”.
[8] Come nel caso che ha occasionato la nota pronuncia delle sezioni unite Cass., 02 luglio 2012, n. 11066, ove si è riconosciuto al g.e. di procedere all’interpretazione extratestuale (tramite gli atti e i documenti prodotti dalle parti nel giudizio ove si è formato il titolo) del titolo esecutivo: “il superamento dell’incertezza circa l’esatta estensione dell’obbligo dichiarato nella sentenza e negli altri provvedimenti cui la legge ricollega efficacia esecutiva, incertezza che del resto può essere relativa, tale cioè da non estendersi al suo intero aspetto oggettivo, si presta ad essere attinto, prima dell’inizio dell’esecuzione, attraverso il rimedio delle opposizioni che la precedono, ma anche, a processo esecutivo iniziato, attraverso le sollecitazioni del potere che pur è riconosciuto al giudice dell’esecuzione in tema di controllo della esistenza del titolo esecutivo”.
[9] Olivieri, L’ordine di liberazione dell’immobile pignorato e la sua attuazione (art. 560, 3° e 4° comma c.p.c.), relazione svolta presso la Corte d’appello di Milano il 10 ottobre 2016, in http://www.ca.milano.giustizia.it/allegato_corsi.aspx?File_id_allegato=2659, secondo il quale “l’ordine di liberazione ha assunto (dal 2005) natura di provvedimento sommario semplificato esecutivo, non idoneo al giudicato, funzionale all’effettività della tutela giurisdizionale esecutiva”. Sul punto Id., La liberazione dell’immobile pignorato. L’efficacia del nuovo titolo esecutivo nei confronti dei soggetti diversi dal debitore e i rimedi esperibili, in Riv. esec. forz., 2009, 2 e ss.
[10] Oriani, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 210.
[11] Cipriani, Ideologie e modelli del processo civile, Napoli, 1997, 20 e ss.
[12] Si legge nella Relazione al Re del Guardasigilli Grandi, presentata nell’udienza del 28.10.1940 per l’approvazione del codice di procedura civile, che “la rinnovazione del processo esecutivo è orientata, in ogni sua parte, agli stessi criteri di rafforzamento dell’autorità dell’organo giudiziario … Come il giudice istruttore nel processo di cognizione, così il giudice dell’esecuzione (art. 484) sta al centro del processo esecutivo, per dirigere coordinare, stimolare le attività degli interessi che vi partecipano”.
[13] Con riguardo al modello di verifica del credito di cui all’art. 499 c.p.c., osserva Capponi, op. ult. cit., 876 che “detta verifica … serve soltanto a stabilire se il creditore intervenuto sarà utilmente collocato in riparto, ovvero se avrà diritto ad un semplice accantonamento a termini. Con effetti … nella sola fase di espropriazione …”.
[14] Tra questi poteri di indagine del g.e. va certamente inclusa la “decisione” con la quale il g.e. risolve le difficoltà insorte nel corso delle operazioni di vendita ex art. 591 ter c.p.c. , la cui natura interinale in senso proprio è stata ribadita da Cass., 09 maggio 2019, n. 12238.
[15] Osserva al riguardo Capponi, ivi, “lo scenario … è stato scompaginato da recenti riforme, che hanno inglobato nell’esecuzione aspetti di cognizione prima nettamente separati, riuscendone in conseguenza esaltato il ruolo del g.e. Si pensi alle controversie distributive (art. 512 c.p.c.) o all’accertamento dell’obbligo del terzo nell’espropriazione presso terzi (artt. 548, 549 c.p.c.): contesti, entrambi, in cui questioni di merito sono risolte in prima battuta dal g.e. in quanto tale (cioè come organo dell’esecuzione e non della cognizione) che fa uso del suo potere di ordinanza, con un controllo del provvedimento ordinatorio – ma che presenta chiari aspetti decisori – demandato all’opposizione agli atti”.
[16] Il problema, ovviamente, non concerne l’ipotesi in cui il debitore sia dichiarato decaduto dal beneficio per avere omesso il versamento dell’importo determinato dal giudice, giacché alcuna efficacia vincolante può attribuirsi all’ordinanza visto che il g.e. “dispone senza indugio la vendita” dei beni pignorati (art. 495, co. 5, c.p.c.).
[17] Considerato “vero e proprio nodo cruciale dell’istituto” da Verde, voce Pignoramento in generale, in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, 784.
[19] Sul punto Carratta, Le controversie in sede distributiva fra “diritto al concorso” e “sostanza” delle ragioni del creditore, Corr. giur., 2009, 571.
[20] Come modificato dall’art. 2, d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito nella l. 30 giugno 2016, n. 153.
[21] Con riguardo ai poteri cognitivi del g.e. in fase distributiva, v. Capponi, L’opposizione distributiva dopo la riforma dell’espropriazione forzata, in Corr. giur., 2006, 12, 1760 e ss. L’Autore, in particolare a p. 1762 – 1763, ritiene che “l’oggetto di simile opposizione dipenderà, venuta meno la possibilità di concorso con la « vecchia » opposizione formale, dalla singola contestazione sollevata: essa potrà avere un contenuto meramente rituale … ovvero di genuina contestazione del diritto. Nel primo caso, il provvedimento di esclusione – quale che ne sia la forma: ordinanza del g.e. o sentenza ex art. 618 c.p.c. – appare limitato al difetto di una situazione legittimante che in quanto tale non potrebbe che essere riferita alla singola esecuzione in corso; ma, negli altri casi, non si vede perché l’accertamento in una sede di cognizione ordinaria dell’inesistenza del diritto … non dovrebbe valere ad ogni effetto …”. Sul punto, amplius, Fornaciari, Esecuzione forzata e attività valutativa: introduzione sistematica, Torino, 2009; Nascosi, Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 2013; Menchini, Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità dell’accertamento con autorità di giudicato, Riv. dir. proc., 2006, 895 e ss.; Vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato (art. 512 c.p.c.), Padova, 2010.
[22] La norma, infatti, esclude il potere di modifica e revoca dell’ordinanza laddove abbia già avuto esecuzione. Sul punto già Martinetto, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963, 176 e ss. Tale preclusione si atteggiava in modo particolare con riguardo all’ordinanza di sospensione dell’esecuzione (allorquando l’art. 487 cit. poteva trovare applicazione), perché di contenuto negativo (Cass., 17 marzo 1998, n. 2848: “L’art. 487 del codice di rito dispone che le ordinanze del giudice dell’esecuzione presentano contemporaneamente le caratteristiche generali della revocabilità e modificabilità proprie di quelle del giudice istruttore e la peculiarità che revocabilità e modificabilità sono precluse dall’avvenuta esecuzione dell’ordinanza. Quest’ultima è una preclusione che agisce solo nel caso di contenuto positivo dell’ordinanza. Se ha disposto una qualche attività e questa è stata realizzata, l’ordinanza non può più essere revocata o modificata. Sarebbe contraddittorio, infatti, che questa attività fosse messa continuamente in discussione da ripensamenti sugli atti compiuti, salvo beninteso i rimedi oppositivi che sono espressamente contemplati. Invece, se l’ordinanza non ha un contenuto positivo nella direzione segnalata, la preclusione prima indicata non ha ragione di esistere ed opera il principio dell’illimitata revocabilità e modificabilità”). Ciò induce a rintracciare una sorta di favor executionis, con criteri di giudizio asimmetrici, senza presunzione di stabilizzazione se inibiscono l’esecuzione e viceversa.
[24] Secondo Cass., 09 maggio 2012, n. 7053 (pur volta a risolvere un caso in cui la sospensione dell’esecuzione venne disposta con ordinanza del 18.11.2003), “anche nel regime del novellato art. 624 cod. proc. civ. il provvedimento di sospensione è adottato dal giudice dell’esecuzione nella funzione di direzione del processo di esecuzione e non già quale giudice dell’azione cognitiva di opposizione”.
[25] Si v. Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2, poi ribadita nella giurisprudenza successiva (Id., sez. V, 9 aprile 2015, n. 1806; Id., sez. V, 9 aprile 2015, n. 1808) ove è stata affermata la natura “polisemica” dell’istituto. Nello stesso senso Corte Cost., 12 dicembre 1998, n. 406.
[26] Come accade nelle ipotesi di esecuzione di sentenze di annullamento del giudice amministrativo: in questi casi, il giudizio di ottemperanza assume i connotati misti (di cognizione e, allo stesso tempo, di esecuzione), giacché l’effetto conformativo è maggiormente complesso.
[27] Emblematico, in tal senso, è l’istituto della c.d. divisione endoesecutiva di cui all’art. 600 cod. proc. civ., affidata alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione (ex art. 181 disp. att. cod. proc. civ.). Come, infatti, affermato da Cass., 28 agosto 2018, n. 20817 (pronuncia resa nell’ambito del “progetto esecuzioni” della terza sezione della Corte Suprema), da un lato il giudizio di divisione in esame costituisce una parentesi di cognizione – vale a dire un procedimento incidentale consistente in un vero e proprio giudizio di cognizione – nell’ambito del procedimento esecutivo, in quanto tale restando autonomo, perché soggettivamente ed oggettivamente distinto da questo, tanto da non poterne essere considerato né una continuazione, né una fase (per tutte: Cass. 10/05/1982, n. 2889; Cass. 08/01/1968, n. 44; Cass. 12/10/1961, n. 2096; ai fini dell’individuazione dei rimedi esperibili avverso i singoli atti di quello: Cass. 24/11/2011, n. 4499; Cass. sez. U 29/07/2013, n. 18185; Cass. ord. 29/12/2016, n. 27346); dall’altro lato, permane una correlazione funzionale del giudizio di divisione endoesecutiva al processo esecutivo, uno dei cui effetti è stato riconosciuto, ad esempio, il mantenimento, in capo al creditore esecutante, della sua legittimazione ad agire in divisione fintantoché in capo a lui permanga la qualità di creditore”.
[28] In questa direzione, ex multis, Cass., sez. III, 21 settembre 2007, n. 24736.
[29] Legge 14.05.05, n. 80 (di conversione con modificazioni del d.l. 14.03.05, n. 35) che, modificando, tra l’altro, il c. 2 dell’art. 624 c.p.c., ha previsto il rimedio generale del reclamo cautelare (ex art. 669 terdecies c.p.c.) contro “l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione”, nonché contro il provvedimento adottato ai sensi del c. 2 dell’art. 512 c.p.c. (art. 2, c. 3, lett. e), n. 42). Legge 24.02.2006, n. 52 che ha previsto la sospensione anche in ipotesi di opposizione al precetto e L. 18.06.09, n. 69 che ha disciplinato gli effetti della sospensione non seguita dal giudizio di opposizione (art. 624, c. 3, c.p.c.).
[30]Ex multis, Cass., 29.09.2000, n. 12970. Dalla natura ordinatoria e non decisoria del provvedimento di sospensione dell’esecuzione, la giurisprudenza (Cass., 10.11.2006, n. 24104) faceva discendere la inammissibilità del ricorso straordinario in cassazione ex art. 111 Cost.
[31] Favorevoli all’applicazione dell’art. 487 cod. proc. civ. – tra gli altri – Barreca, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2006, 669; Quaranta, Note sulle cognizioni incidentali nell’esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2014, 293.
[32] Sul punto si v. Oriani, Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell’esecuzione, in Foro it., 2005, V, 109; Olivieri, La sospensione del titolo esecutivo e la sospensione esterna e interna della procedura esecutiva, in Il processo esecutivo. Liber amicorum Romano Vaccarella, a cura di Capponi, Sassani, Storto, Tiscini, Torino, 2014, 791 e ss. (spec. 809).
[33] Già all’indomani dell’introduzione del procedimento cautelare uniforme (L. 353/90) si attribuiva al provvedimento di sospensione dell’esecuzione funzione e struttura cautelare (tra gli altri Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 270; Saletti, Appunti sulla nuova disciplina delle misure cautelari, in Riv. dir. proc., 1991, 357; contra Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, ivi, 1991, 688). Tale qualificazione, inoltre, ha consentito l’applicazione dell’art. 700 c.p.c. per colmare il vuoto legislativo relativo alla possibilità per il debitore di conseguire la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo prima dell’inizio del pignoramento (ex multis, Cass., 23 febbraio 2000, n. 2051, in Riv. esec. forz., 2000, 649, con nota di Cataldi).
[34] Sul punto Oriani, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. es. forz., 2006, 218 e ss.
[35] A giudizio di Longo, La sospensione nel processo esecutivo, in L’esecuzione forzata riformata a cura di Miccolis, Perago, Torino, 2009, 695 e ss., infatti, l’argomento testuale che muove dall’espresso rinvio all’art. 669 terdecies c.p.c. mira ad escludere la configurazione del provvedimento come cautelare in senso stretto; il richiamo contenuto nell’art. 624 al reclamo cautelare rappresenta, cioè, “un argomento a contrario piuttosto consistente per affermare che il legislatore non abbia configurato la sospensione quale provvedimento cautelare in senso stretto né abbia ritenuto ad essa applicabile il rito cautelare uniforme nel suo complesso” (Id., Contributo allo studio della sospensione nel processo esecutivo, Pisa, 2018, 319). Nella stessa direzione Cecchella, Il reclamo avverso le ordinanze di sospensione, in Riv. esec. forz., 2000, 351; Capponi, Inibitorie e sospensioni nell’esecuzione forzata, ivi., 2009, 397.
[36] Seppure la valutazione del g.e. deve incentrarsi sul fumus (essendo il pregiudizio del debitore insito nella pendenza del procedimento), come sottolineato da Petrillo, Commento all’art. 624 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, Padova, 2007, III, 612 e ss.; Olivieri, Opposizione all’esecuzione, sospensione interna ed esterna, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia, Milano, 2005, 1266. Invero, si è osservato che il pregiudizio derivante dall’impossibilità di disporre dei beni pignorati non è sufficiente alla concessione del provvedimento di sospensione (Trib. Roma, ord. 21.01.2003); sul punto v. Oriani, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Studi in onore di Carmine Punzi, Torino, 2008, III, 696). Per l’interpretazione dei “gravi motivi” comprensiva sia del fumus boni iuris che del periculum in mora Verde, Non disturbare il manovratore (a proposito di sospensione dell’espropriazione e condanne punitive), in Corr. giur., 2012, 817.
[37] Sulla finalità del provvedimento di sospensione (diversa rispetto alle altre ipotesi di inibitoria) Capponi, Cautele interinali contro l’esecuzione forzata, in www.judicium.it.
[38] Se, infatti, si interpreta il richiamo all’art. 185 disp. att. cod. proc. civ. in senso ampio si giunge alla conclusione della inapplicabilità della disciplina del procedimento cautelare uniforme (come acutamente osservato da Oriani, op. ult. cit., 251 e ss.). Invero, pare preferibile limitare il richiamo alle sole modalità di svolgimento dell’udienza camerale “con applicazione del principio del contraddittorio … che, invece, è estraneo al processo esecutivo in quanto tale” (così Barreca, op. cit., 675). In tema si v. (Balena) Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 307; Romano, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24 febbraio 2006, n. 52), in www.judicium.it; Olivieri, La sospensione del titolo esecutivo cit., 810.
[39] Sulla difficoltà di ricondurre i singoli provvedimenti nella vasta nozione di “provvedimento cautelare” amplius E. Merlin, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Digesto (disc. priv.), XIV, Torino, 1996, 427 e ss.
[40] Cass., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, in www.judicium.it, con nota di M. Farina, La natura cautelare “sui generis” del provvedimento che concede o nega la sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo giustifica il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. , in Corr. giur., 217, 2020 con nota di R. Metafora, La natura lato sensu cautelare della sospensione pre-esecutiva e la sua reclamabilità.
[41]Contra Olivieri, op. ult. cit., 812, secondo il quale “fatti nuovi (o nuove prospettazioni in diritto) potranno assumere rilievo soltanto entro i limiti della deducibilità a mezzo del reclamo (e, naturalmente, ai fini della sentenza sull’opposizione)”.
[42] La revoca e modifica della misura cautelare, infatti, rappresenta un “rimedio” del tutto compatibile con il reclamo. Non a caso, il legislatore all’art. 669 decies citato ha avuto cura di disciplinarne i rapporti, accordando preferenza al secondo.
[43]Contra Longo, Contributo allo studio della sospensione nel processo esecutivo cit., 331: “gli artt. 669 ter, 669 quater, 669 decies e 669 c.p.c. appaiono tra loro coerenti, poiché in linea di principio attribuiscono il potere di decidere sulla cautela al giudice competente per il merito ovvero dinnanzi al quale è pendente la causa di merito (con le sole eccezioni espressamente previste dalle prime due norme su richiamate) … pari coerenza non potrebbe rinvenirsi ove tale regolamentazione fosse applicata alla sospensione del processo esecutivo”.
[44] In tal senso Oriani, op. ult. cit., 240: “molte volte i nuovi elementi sono acquisiti nel corso del processo di opposizione, onde si rivela più semplice e meno complicato un loro esame da parte di quello stesso giudice che già ne conosce, senza la necessità di riferire il fatto sopravvenuto al giudice dell’esecuzione”.
[45] Cass., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19889, cit.