La visione di Michele Bertetti sull’art. 5 della L. abol. Cont. rispetto a una recente giurisprudenza della Cassazione

Di Giovanni Iudica -

Sommario:1. La visione di Bertetti sull’art. 5 della L. abol. Cont. 2. La disapplicazione del provvedimento amministrativo come titolo esecutivo stragiudiziale. 3. L’art. 5 L. abol. Cont. e la preminenza della giurisdizione amministrativa. 4. Brevi rilievi conclusivi.

1. La visione di Bertetti sull’art. 5 della L. abol. Cont.

E’ noto che nel 1865 Michele Bertetti[1] scrisse un commentario sulla L. n. 2248 del 1865[2], legge che egli riteneva fondata sul principio di separazione dei poteri e sulla responsabilità degli amministratori[3].

Nel presente lavoro si vuole confrontare la visione di   quest’Autore sull’art.5 L. abol. Cont. rispetto a recenti pronunce della Cassazione[4].

Secondo la sua visione  “Ogni atto dall’amministrazione compiuto nei limiti della sua competenza non può essere toccato da chicchessia, nello stesso modo che ad una sentenza dell’autorità giudiziaria ognuno debbe ossequio[5].

Per es., se viene emanato un decreto che dichiari la pubblica utilità di un’opera, l’autorità giudiziaria non potrebbe sindacare se effettivamente vi sia o meno la pubblica utilità.  Se però il decreto fosse sottoscritto non dal Ministro dei lavori pubblici ma da quello della Guerra il Tribunale potrebbe non applicarlo.  Così pure non potrebbe applicare tale decreto se doveva essere adottato un parere del Consiglio di Stato che fosse stato omesso[6].

Così pure se viene emanato un regolamento di polizia che preveda sanzioni per i contravventori, il giudice deve accertare che quel regolamento sia munito di tutte le forme previste dalla legge[7]. Di conseguenza l’autorità amministrativa non solo deve avere il potere di adottare l’atto ma deve osservare tutti i requisiti formali per la sua efficacia giuridica (pubblicazione ad es.).

Il Bertetti riferisce che nei lavori preparatori della norma in oggetto il deputato Anselmo Guerrieri Gonzaga proponeva che alle parole “ e i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi” si sostituissero  “ e i regolamenti generali e locali in quanto siano emanati dalle autorità competenti nei limiti delle loro attribuzioni e secondo le forme prescritte dalla legge”. Quest’emendamento all’art. 5 non venne accolto e secondo il Bertetti a ragione, perché la conformità a legge conteneva necessariamente i limiti della competenza dell’autorità amministrativa.[8]

La complessiva visione del Bertetti sembra certo piuttosto restrittiva, in quanto gli indirizzi più avanzati della dottrina e della giurisprudenza in tema di disapplicazione ritengono ormai  che il giudice civile può disapplicare il provvedimento in relazione ai vizi inerenti la discrezionalità amministrativa[9]. Sicuramente l’impostazione del Bertetti sembra in linea con quella tendenza dell’epoca di limitare i poteri del giudice ordinario rispetto alla pubblica amministrazione, pur dovendo fornire   una qualche forma di tutela.

2. La disapplicazione del provvedimento amministrativo come titolo esecutivo stragiudiziale.

Bisogna però considerare che la stessa visione del Bertetti, piuttosto restrittiva sull’art. 5 L. abol. Cont., recentemente non viene accolta dalla giurisprudenza della Cassazione.

Nella fattispecie[10] nasce un contenzioso tra due Comuni, perché uno di essi aveva anticipato le spese per il funzionamento delle commissioni elettorali mandamentali gravanti sul bilancio dei Comuni compresi nella circoscrizione del mandamento giudiziario. Il Comune creditore proponeva ricorso per decreto ingiuntivo deducendo la spettanza di somme dall’anno 2000 al 2007.

Il decreto ingiuntivo veniva emesso ed Il Comune debitore propone opposizione sotto il profilo che il decreto dirigenziale con cui si era provveduto al riparto di spese tra comuni interessati era sprovvisto del visto d’esecutorietà del Prefetto in relazione all’art. 62 del D.P.R. 20.3.1967 n. 223.  Si richiamava altresì una circolare del Ministero dell’Interno del 1986 che richiedeva ai fini del riparto di spese una nota analitica di tutte le spese sostenute debitamente vistata dal Presidente e dal Segretario.

Il Tribunale rigettava l’opposizione, in quanto la prova del credito era stata data ed esso invero non era contestato nel suo ammontare dal Comune debitore. Inoltre la circostanza che la nota di ripartizione non fosse stata resa esecutiva dal Prefetto non escludeva l’efficacia del provvedimento e la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria ordinaria.

Proposto appello esso veniva rigettato sulla scorta di questi rilievi: 1) il Comune appellante non aveva mai contestato il provvedimento  per “la presunta illegittimità innanzi alla competente giurisdizione amministrativa nel rispetto del termine decadenziale di legge”; 2) non si poteva procedere alla disapplicazione del provvedimento amministrativo perché questo potere può essere esercitato solo nei giudizi tra privati, non in quelli in cui è parte la p.a[11] e solo nei casi in cui l’atto venga in rilievo come pregiudiziale in senso tecnico[12], non come fondamento del diritto dedotto in giudizio.

La Corte di Cassazione ha confermato questa tesi ritenendo che per la disapplicazione debbano ricorrere due oggettive condizioni: 1) il provvedimento non può costituire oggetto diretto della controversia, ma deve costituire pregiudiziale in senso tecnico; 2) il sindacato del giudice non può svolgersi su valutazioni di merito della p.a., ma su vizi di legittimità lesivi di diritti.

In sostanza il provvedimento dirigenziale del Comune creditore si pone come fondamento del diritto dedotto in giudizio, configurando una ipotesi di pregiudizialità in senso logico e quindi non è consentita la disapplicazione.

La Cassazione altresì confuta la tesi del ricorrente per cui nel caso in esame si configurerebbe un atto paritetico, non applicandosi il termine di decadenza per proporre ricorso dinanzi alla giurisdizione amministrativa, ma solo il termine prescrizionale.  Per la Corte, l’atto paritetico si configurerebbe solo dopo che la p.a. abbia stipulato un contratto.

Nella fattispecie in esame, verrebbe a taglio la visione del Bertetti per cui in mancanza delle forme previste dalla legge il giudice ordinario può disapplicare il provvedimento. Ciò in quanto il provvedimento, in mancanza del visto esecutorio del Prefetto, poteva considerarsi inefficace.

Ma v’è di più: lo stesso Comune creditore nella memoria di costituzione prodotta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo dichiarava di non poter procedere al soddisfacimento del suo credito in sede di autotutela amministrativa proprio per mancanza del visto esecutorio del Prefetto dovendosi così rivolgere all’autorità giudiziaria.

In realtà avendo l’amministrazione rinunziato all’autotutela c.d. esecutiva ed avendo fatto ricorso all’autorità giudiziaria, la questione doveva incentrarsi sull’idoneità del provvedimento amministrativo ad essere titolo esecutivo stragiudiziale. Ciò secondo l’art. 474, 2° comma n. 1 c.p.c. per cui oltre le sentenze sono titoli esecutivi i provvedimenti e altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva  e il 2° comma n. 3 per cui sono titoli esecutivi gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli[13].

Di conseguenza, non poteva venire in considerazione la giurisdizione amministrativa ex art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010, in quanto la stessa amministrazione creditrice aveva scelto di non mettere in esecuzione il provvedimento nei confronti del comune debitore, ricorrendo all’autorità giudiziaria ordinaria.

Altresì in questa direzione è del tutto inconferente la distinzione, nota in dottrina ed in giurisprudenza, tra pregiudizialità logica e tecnica: incardinata la pretesa dinanzi al giudice civile, questi avrebbe dovuto accertare se il provvedimento amministrativo fosse idoneo come titolo esecutivo. In caso di risposta negativa avrebbe dovuto disapplicarlo o più semplicemente dichiarare che non vi era la condizione per procedere in executivis.

E’ del tutto fuor di luogo poi da  parte della Cassazione la distinzione tra atto autoritativo o paritetico, perché nella fattispecie  il problema si incentra sull’idoneità del provvedimento a fungere da titolo esecutivo e di per sé tale titolo  può essere pure un atto di  natura privatistica (scrittura privata autenticata ex art. 474, 2° comma, n. 2 c.p.c.).

Il provvedimento amministrativo in senso stretto quindi può essere valido nella parte in cui accerta il credito, esso però è inefficace sotto il profilo esecutivo, in assenza del visto d’esecutorietà. Da ciò, seguendo la tesi del Bertetti, esso è certamente disapplicabile.

Disapplicazione però che non riguarda l’accertamento incidentale della sua illegittimità ma l’accertamento in via principale della mancanza di una condizione per portarlo ad esecuzione.

In sostanza sembra che la Corte di Cassazione, non siasi resa pienamente conto del reale oggetto della controversia, pervenendo ad una decisione sicuramente non conforme al principio del giusto processo[14]. In confronto la tesi del Bertetti, pur formulata nell’800 consentiva una qualche forma di tutela al cittadino nei confronti dell’azione amministrativa di fronte alla giurisdizione ordinaria, sia in relazione ai limiti di attribuzione, sia delle forme in cui l’atto amministrativo doveva essere adottato e portato ad esecuzione.

3. L’art. 5 L. abol. Cont. e la preminenza della giurisdizione amministrativa.

In qualche altro caso la Cassazione[15] richiama l’art. 5 L. n. 2248 del 1865 ma, come ci sembra, del tutto al di fuori del suo ambito di applicazione e quindi al di fuori dei limiti interpretativi della tesi di Bertetti.

Un professionista asseriva dinanzi al giudice civile che con decreto del MIT (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) aveva ricevuto un incarico di redigere uno studio riguardante l’interazione tra il Ministero e i Comuni gravitanti lungo un asse autostradale, per contenere le tempistiche nella fase di autorizzazione amministrativa dell’opera stessa.

Presentata una relazione illustrativa da parte del professionista, dapprima l’amministrazione esprimeva un pieno giudizio positivo sullo studio compiuto. Successivamente però mediante un D.M. annullava, insieme ad altri incarichi, l’incarico conferito al professionista per dei vizi di legittimità.

Il professionista chiedeva il compenso e contestualmente la disapplicazione del decreto ministeriale che aveva proceduto all’annullamento d’ufficio dell’incarico.

Respinta la domanda in primo ed in secondo grado la Corte di Cassazione ribadisce il tradizionale orientamento sull’art. 5 L. n. 2248 del 1865 per cui la disapplicazione può essere esercitata anche nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione quando l’atto amministrativo venga in rilievo come mero antecedente logico e non come fondamento del diritto dedotto in giudizio e cioè quando la questione di legittimità sia prospettata come pregiudiziale in senso tecnico. Altresì ribadisce che il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità e non di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale della p.a.

In questa decisione in particolare viene ribadito un principio -ormai costantemente affermato nella giurisprudenza della Cassazione- e cioè che l’atto presupposto rileva soltanto come fatto, perché non involge il piano della norma che disciplina la fattispecie dedotta in giudizio sotto il profilo dell’interpretazione e della sussunzione, ma il piano dell’elemento di fatto della fattispecie, in particolare quello dell’esistenza di un atto amministrativo legittimo[16].

Per il vero nella decisione in esame il richiamo all’art. 5 L. n. 2248 del 1865 non è del tutto pertinente, perché è evidente che l’annullamento in autotutela del compenso è direttamente lesivo della situazione giuridica del professionista.

Per ritornare alla tesi del Bertetti, qui siamo nell’ambito dell’art. 4 della L. n. 2248 del 1865, per cui “Appartiene all’autorità giudiziaria unicamente il riconoscere e dichiarare tutto ciò che in questo atto vi sia di illegale e di offensivo di un diritto, ossia pronunzia se la legge fu violata, se un diritto fu offeso e quindi decide sulle conseguenze giuridiche dell’atto per obbligare l’amministrazione violatrice della legge e del diritto a non opporsi alla reintegrazione di quest’ultimo, e in caso di irreparabile offesa a dare un equa indennità[17].

In forza dell’art. 4, secondo l’Autore, l’amministrazione revocherà l’atto quando ritenga di non poterlo eseguire, mentre lo modificherà emendandolo dal vizio che il Tribunale abbia riconosciuto, eliminando così l’offesa del diritto e la violazione della legge.

Se però, continua il Bertetti, il Tribunale ravvisi una violazione del diritto, laddove esistevano interessi semplici[18], in tal caso una autorità neutrale che non deve essere né giudiziaria né amministrativa  dovrà dire l’ultima parola sul conflitto[19].

Trasposta questa situazione nella giustizia amministrativa attuale, laddove vi sia interesse legittimo il giudice ordinario non semplicemente dovrebbe porre in essere un rifiuto di disapplicazione, ma denegare la propria giurisdizione in forza dell’art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010.

Infatti nel caso in esame la questione dell’interesse legittimo, cioè dell’esercizio del potere mediante l’annullamento in autotutela sembra pregiudiziale in senso logico rispetto alla lesione del diritto soggettivo consistente nella perdita del compenso professionale e quindi pertiene al giudice amministrativo in relazione alla norma surrichiamata.

In sostanza non si può a rigore disapplicare perché l’atto è direttamente lesivo di una situazione giuridica soggettiva e quindi ad esso si deve conferire anzi il massimo di applicazione[20].

Si può peraltro precisare che il rifiuto della disapplicazione sotto il profilo della carenza della giurisdizione (ordinaria) non è espressa con una lineare motivazione. Se infatti si esamina lo svolgimento del processo che porta alla citata sentenza della Cassazione si riscontra che la Corte riprendendo i motivi di censura dei gradi di merito ha considerato la legittimità del decreto d’annullamento sotto il profilo del bilanciamento degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Inoltre, non si ritiene nemmeno che l’annullamento d’ufficio in questione necessiti di specifica motivazione in quanto essendovi stato esborso di denaro pubblico, l’interesse pubblico è in re ipsa.[21] In sostanza si procede ad un controllo di legittimità del provvedimento amministrativo sotto vari profili, che in base all’art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010 spetta al giudice amministrativo, trattandosi di questione d’interessi legittimi.

4. Brevi rilievi conclusivi.

Cercando di svolgere qualche rilievo conclusivo, sembra che questa giurisprudenza della Cassazione susciti notevoli dubbi interpretativi.

Nella fattispecie[22] in cui non vi sono condizioni formali per l’applicazione del provvedimento amministrativo che il Bertetti considerava (invero correttamente) ipotesi di disapplicazione, la Cassazione si riporta alla tesi dell’assenza di pregiudizialità tecnica, in presenza di una norma quale l’art. 474 c.p.c. che comporta necessariamente l’accertamento d’efficacia del provvedimento come titolo esecutivo stragiudiziale.

Nella seconda ipotesi esaminata[23] è inconferente il richiamo all’art. 5, perché il provvedimento di autotutela è oggetto principale del processo. Più semplicemente si trattava di considerare l’art. 7   del  d.lgs. n. 104 del 2010 per dichiarare il difetto di giurisdizione trattandosi di  questione involgente interessi legittimi.

Rientriamo nell’ipotesi dell’art. 4 L. abol. Cont. formulata dal Bertetti: questa disposizione però sembra abrogata, sia pure implicitamente, dall’art. 113 comma 3° Cost.  e dall’art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010.

In relazione alla prima disposizione perché è il legislatore a dover stabilire quali organi di giurisdizione possano annullare il provvedimento amministrativo  nei casi e con gli effetti previsti dalla stessa legge.  Ciò significa che al giudice ordinario non è precluso in assoluto annullare il provvedimento amministrativo- come prevedeva l’art. 4-, ma può farlo laddove la legge gliene dia facoltà[24].

Infatti in determinate ipotesi il legislatore attribuisce un potere di annullamento al giudice ordinario, ma, in conformità della previsione costituzionale, ne limita gli effetti, cioè circoscrive gli effetti dell’annullamento ad una pronuncia inter partes (in sostanza, una disapplicazione). Per es. l’art. 63 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 richiama espressamente il potere del giudice civile di disapplicare gli atti amministrativi presupposti, identificabili con i c.d. atti di macroorganizzazione “quando siano rilevanti ai fini della decisione[25].

Rispetto poi all’art. 7,   quest’ultima norma segnerebbe anch’essa una abrogazione implicita dell’art. 4, in quanto laddove si faccia questione d’interesse legittimo in relazione all’esercizio del potere o al suo mancato esercizio, la giurisdizione è del giudice amministrativo. In sostanza in presenza di un provvedimento (che sia oggetto principale del giudizio) si profila un interesse legittimo e quindi il giudice ordinario è carente di giurisdizione, cioè non solo non può annullare il provvedimento, ma non può pronunciarsi sulla sua legittimità, nemmeno con una pronuncia di mero accertamento. Di conseguenza, nel denegare la giurisdizione non potrebbe compiere rilievo alcuno su profili d’illegittimità del provvedimento amministrativo (v. par. 3).

Sul versante dell’art. 5, secondo una interpretazione ormai consolidata il suo ambito d’applicazione sarebbe circoscritto all’ipotesi in cui, nella catena delle questioni che il giudice ordinario deve risolvere, vi è pure la questione di legittimità di un provvedimento amministrativo. Il giudice conosce della sua legittimità in via incidentale, non applicando il provvedimento alla controversia[26]. Per es. si pensi ad una controversia tra privati per decidere la quale sia necessario accertare la legittimità dell’atto amministrativo su cui si fonda il diritto di una delle parti contestato o non soddisfatto dall’altra[27].

Peraltro autorevolmente di recente si sottolinea   che il modello emergente dalla giurisprudenza della Cassazione non è più quello della completezza e della generalità della giurisdizione civile sui diritti soggettivi, ma è quello determinato dalla riserva di giurisdizione del giudice amministrativo rispetto ai provvedimenti amministrativi, anche se questi siano inseriti in una sequenza che abbia come conclusione un diritto soggettivo. In tale contesto, il potere di disapplicazione avrebbe carattere meramente residuale[28].

In conclusione, il fatto che le tesi del Bertetti non possano trovare applicazione conferma pienamente l’intuizione di un Illustre Maestro, Vittorio Ottaviano, secondo cui sul piano metodologico il diritto deve essere studiato alla luce della coscienza della situazione storica in cui i fenomeni giuridici si svolgono e non con un metodo dogmatico allo stato puro[29].

In sostanza quelle tesi traevano fondamento nella necessità che il giudice ordinario tutelasse determinati diritti[30] in relazione ai poteri dell’amministrazione, in mancanza di un giudice amministrativo.

Gli orientamenti attuali della Cassazione avrebbero invece fondamento nell’attuale preminenza della giurisdizione amministrativa[31], che in qualche caso sembra non sussistere (v. sub par.2) in altre invero si configura, con necessità  però di una motivazione maggiormente lineare sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Abstract

Nel presente lavoro si vuole confrontare la visione di Michele Bertetti sull’art. 5 L. abol. Cont. rispetto a recenti pronunce della Corte di Cassazione che si sono occupate della disapplicazione del provvedimento amministrativo dinanzi al giudice civile.

Le conclusioni a cui pervengono queste pronunce sono fortemente influenzate dalla preminenza della giurisdizione amministrativa nel sistema attuale e quindi fondamentalmente lontane dalle tesi esposte dal Bertetti nel suo commentario edito nel 1865.

Nel saggio si cerca di dimostrare che le fattispecie illustrate in qualche caso si pongono in contrasto con il principio del giusto processo ed in qualche altro presentano una motivazione non del tutto lineare.

This paper compares Michele Bertetti’s view of Article 5 of the Italian Civil Code with recent rulings of the Court of Cassation that have addressed the disapplication of administrative measures before civil courts.

The conclusions reached by these rulings are strongly influenced by the preeminence of administrative jurisdiction in the current system and are therefore fundamentally distant from the theses set forth by Bertetti in his commentary published in 1865.

The paper seeks to demonstrate that the cases illustrated in some cases conflict with the principle of due process and in others present a less than linear rationale.

[1] Avvocato e deputato nel regno d’Italia agli inizi del ‘900.

[2] M. Bertetti, Il contenzioso amministrativo in Italia o L’amministrazione e la giustizia secondo la legge 20 marzo 1865, Torino, 1865.

[3] Op.ult.cit., 12.

[4] Cass. Sez I Civ.14.5.2025 n. 6834 n www. Lexitalia.it, 5, 2025, Id. ord. 5.8.2025 n. 22663, , in  www.Lexitalia.it., 11.8.2025.

[5] Op.ult. cit., 203 ss.

[6] Op.cit., 205.

[7] Op.cit., ib.

[8] Op. cit., 206. Per Bertetti, l’emendamento avrebbe portato peraltro ad un criterio restrittivo, in quanto si sarebbe potuto ipotizzare che  “se l’amministrazione anche in materie di sua competenza abbia provveduto, circa l’intrinseco dell’atto amministrativo, in conformità alla legge e senza offendere alcun diritto… ma potendo pure molte volte dipendere l’esistenza di un vero e rigoroso diritto da una circostanza di tempo di luogo di età, di stato o qualità giuridica, ed insomma da condizioni giuridicamente accertabili ed indipendenti dall’arbitrio e dal criterio dell’amministratore…” Da questa considerazione  sembra che l’A. ipotizza illegittimità ulteriori rispetto al vizio d’incompetenza che potevano rientrare nell’ampia formula della non conformità a legge.

[9] Per tutti, v.  A. Travi, La disapplicazione dell’atto amministrativo dinanzi al giudice civile in alcuni recenti interventi della Cassazione, in Dir. proc. amm., 1, 2018, 3 ss. ed ivi ampi riferimenti bibliografici.

[10]  Cass. Civ. Sez I ord. 5.8.2025 n. 22663, cit.

[11] Quest’ affermazione peraltro è molto criticata in dottrina, perché proprio l’art. 5 della L. abol.cont.  assegna al giudice civile un potere generale di disapplicazione degli atti illegittimi senza specificare se la parte in causa sia o meno la pubblica amministrazione, v. A. Travi, La disapplicazione dell’atto amministrativo dinanzi al giudice civile, cit., 23. In effetti questa sembra una tendenza di carattere generale sia da parte del giudice ordinario, sia del giudice amministrativo, di introdurre distinzioni che il legislatore non si è mai sognato di compiere. Sembra che vi sia un contrasto con l’antico brocardo “ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus”.

[12]  Sulle questioni pregiudiziali, v. senza pretesa di completezza, F. Menestrina, La pregiudiciale nel processo civile, Vienna, 1904, ristampa Milano 1963; G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1928, 1153 ss.; F. Carnelutti, In tema di accertamento incidentale, in Riv. dir. proc. civ., 1943, II, 17 ss.; S. Satta, Accertamenti incidentali, intervento e principi generali del diritto, in Foro it., 1947, I, 29 ss. L. Montesano, In tema di accertamento incidentale e di limiti del giudicato, in Riv. dir. proc., 1951, I, 329 ss.; A. Romano, La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958; S. Satta, Accertamento incidentale, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 243 ss.; E.T. Liebman, Sulla sospensione propria ed “impropria” del processo civile, in Riv. dir. proc., 1958, 153 ss.; V. Denti, Questioni pregiudiziali (diritto processuale civile), in Nuovo Digesto italiano, XIV, 1967, 675 ss.; Id., Questioni rilevabili d’ufficio e contraddittorio, in Riv. dir. proc., 1968, 217 ss.; Id.Sentenze non definitive su questioni preliminari di merito e cosa giudicata, 1969, 213; G. Pugliese, Giudicato civile (diritto vigente), in Enc. dir., XVIII, Milano 1969, 785 ss.; L. Montesano, Questioni preliminari e sentenze parziali di merito, in Riv. dir. proc., 1969, 579; M. Taruffo, « Collateral estoppel » e giudicato sulle questioni, in Riv. dir. proc., 1972, 272 ss.; A. Attardi, In tema di questioni pregiudiziali e giudicato, in Studi in memoria di E. Guicciardi, Padova, 1975, 185 ss.; E. Garbagnati, Questioni preliminari di merito e questioni pregiudiziali, in Riv. dir. proc., 1976, 257; Id. Questioni preliminari di merito e parti della sentenza, ivi, 1977, 401; Id., Questioni pregiudiziali: a) Diritto processuale civile, in Enc. del dir., XXXVIII, Milano 1987, 69 ss.; L. Montesano, Questioni e cause pregiudiziali nella cognizione ordinaria del codice di procedura civile, in Riv. dir. proc., 1988, 299 ss.

[13] Sui provvedimenti amministrativi come titoli esecutivi stragiudiziali, v. un cenno nel ns. Note in tema di esecuzione forzata civile e giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm.,  4, 2009, 1155. Per la dottrina processualcivilistica v. per questa tematica, per tutti, A. Proto Pisani, Per un nuovo titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, in Foro It., 2003, V, 118 ss. L’A. richiama come provvedimento amministrativo costituente titolo esecutivo l’ordinanza ingiunzione ex L. 689 del 1981.

[14] Da ultimo su questo principio, v. F. Saitta, Interprete senza spartito? Saggio critico sulla discrezionalità del giudice amministrativo, Napoli, 2023, 500 ss., ed ivi ampi riferimenti bibliografici.

[15] Corte Cass. Civ. Sez I, ord. 14.3.2025 n. 6834, cit.

[16]  Su questi profili, amplius, A. Travi, La disapplicazione dell’atto amministrativo dinanzi al giudice civile, 19.

[17] Op.cit., 195. Per Bertetti quindi la riparazione dell’atto amministrativo illegittimo era di carattere pecuniario, ove la modifica dell’atto non avesse potuto dare soddisfazione al cittadino. Molti anni dopo questa tesi è stata sostenuta da E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, 160 ss.  Secondo l’Illustre A.  non potendo l’amministrazione annullare il provvedimento in forza dell’art. 4, può solo pronunciare una sentenza di condanna pecuniaria che si pone come forma di disapplicazione indiretta dell’atto amministrativo illecito.

[18]  Op.ult.cit., 196. Non è di poco conto che già in un Autore così risalente vi era la consapevolezza di situazioni diverse da quelle del diritto soggettivo.

[19] In realtà l’auspicio del Bertetti non si realizzò: dal 1865 al 1877 com’è noto, fu il Consiglio di Stato organo risolutore dei conflitti tra  il giudice ordinario e l’ amministrazione che dovette pronunciarsi su ben 500 questioni di conflitto di  attribuzione, questioni che venivano sollevate dal Prefetto. Successivamente, con L. 31.3.1877 n. 3761 la competenza a conoscere dei conflitti venne attribuita alla Corte di Cassazione a sezioni unite. Per questa ricostruzione v. per tutti, M. Nigro, Giustizia amministrativa (a cura di E. Cardi ed A. Nigro), Bologna, 2002, 72.

[20] La stessa ipotesi si verificherebbe quando dinanzi alla giurisdizione amministrativa venga proposta l’ azione risarcitoria autonoma (v. art. 30, comma 3°, c.p.a), perché qui si presuppone l’applicazione dell’atto o meglio l’operatività nella fattispecie concreta e non certo la sua inefficacia, v. in questa direzione, A. Travi, La disapplicazione dell’atto amministrativo, cit. 5. Di conseguenza la disapplicazione non ha motivo di essere.

[21] Sulla c.d. presunzione d’interesse pubblico in relazione all’annullamento d’ufficio, ci si permette di richiamare il ns. Profili critici del ragionamento presuntivo nel procedimento e nel processo amministrativo, Torino, 2024 33 ss.

[22] Cass. Sez I Civ. ord. 5.8.2025 n. 22663, cit.

[23]  Cass. Sez Civ., ord. 14.3.2025 n. 6834.

[24]  Sui rapporti tra l’art. 4 ed il 113, 3° comma, Cost., v. M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit., 194 secondo cui la norma costituzionale avrebbe assorbito la disposizione della legge abolitiva; A. Proto Pisani, L’art. 113, comma 3, della Costituzione: una norma troppo spesso trascurata, in Riv. Giur. del mezzogiorno, 2016, 2, 539 ss. ; F. Saitta, Il principio di giustiziabilità dell’azione amministrativa, in www.judicium.it., 2-3.2011. Ci si permette sul punto altresì di rinviare al ns. Spunti problematici in tema di poteri del giudice del risarcimento da lesione di interessi legittimi e di tutela dei terzi, in I Tar, 2002, 12, 566 ss. Questo profilo ad es. non è particolarmente considerato nella didattica universitaria ed in particolare nella manualistica in cui viene dato per pacifico che questa disposizione sia ancora in vigore. A nostro avviso questo è stato dovuto alla formulazione non particolarmente chiara della disposizione costituzionale che ha invero una formula piuttosto “criptica”.

[25] V. su questa disposizione, v. A. Travi, La disapplicazione dell’atto amministrativo, cit., 21.

[26] E’ la notissima impostazione di M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit., 205, ed ivi vengono fatti una serie di esempi in merito.

[27] Op. cit. ib.

[28] A. Travi, cit., 24 ss.

[29] V. V. Ottaviano, Poteri dell’amministrazione e principi costituzionali, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1964, 912 ss., ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1992, 15.

[30] I c.d. diritti civili e politici, sono stati intes in relazione alla L. abol. Cont.  in relazione al diritto di proprietà, diritti reali, di credito e diritti di elettorato attivo e passivo. Situazioni giuridiche che ora hanno avuto un notevole ampliamento con l’evoluzione della coscienza sociale in relazione all’art. 2 Cost.

[31] In diversa direzione, sulla centralità del giudice ordinario, in relazione alle riserve costituzionali di giurisdizione ordinaria, v. A. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello stato di diritto, Per una giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005, 141 ss.