La testimonianza scritta nel processo tributario

Di Daniela Mazzagreco -

Abstract: L’abolizione del divieto di prova testimoniale nel processo tributario e la contestuale introduzione della prova per testimoni in forma scritta mutuata dal codice processuale civile hanno consentito di superare le antinomie di un assetto ormai da tempo ritenuto inconciliabile con i principi desumibili dalla nuova formulazione dell’art.111 Cost.. L’inserimento del nuovo mezzo istruttorio ha determinato una radicale trasformazione della disciplina dell’istruzione probatoria nel processo tributario, perché affianca una prova tipicamente costituenda alle prove precostituite tradizionalmente rimesse alle parti, rendendo ormai evidente la necessità di specifiche norme che regolino nel processo tributario i termini e le forme di una autonoma fase istruttoria.

Abstract: The abolition of the prohibition of testifying evidence in the tax process and the introduction of evidence for witnesses in written form from the civil procedure code have allowed to overcome the antinomies of a provision now irreconcilable with the principles by art.111 of the Constitution. The inclusion of the new means of investigation has led to a radical transformation of the discipline of evidentiary instruction in the tax process, because it combines a test formed in the process with the pre-constituted tests traditionally remitted to the parties. There is now a need for specific rules governing the terms and forms of an independent investigation in the tax process.

SOMMARIO: 1. L’abolizione del divieto di prova testimoniale e la nuova testimonianza scritta – 2. Le condizioni di ammissibilità della nuova prova e le modalità di assunzione – 3. La prova testimoniale scritta tra natura dispositiva del processo e principio di parità delle armi – 3.1 Il diritto alla prova testimoniale nel giudizio di annullamento – 3.2 Il valore delle dichiarazioni di terzi nel processo riformato – 4. Le norme applicabili contenute in altri testi di legge – 5. Considerazioni conclusive.

 1.L’abolizione del divieto di prova testimoniale e la nuova testimonianza scritta

Tra le novità più significative recate dalla L. 31 agosto 2022, n.130, figurano quelle introdotte dall’art.4, comma 1, lett. c), che, riformulando l’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, ha sostituito al divieto di prova testimoniale la prova per testimoni in forma scritta.

Il generale divieto di prova testimoniale, introdotto nel processo tributario dall’art.23 del D.P.R.n.739/1981, è rimasto operante per molti anni, anche se alle ripetute conferme da parte della Corte Costituzionale[1] si contrapponeva ormai da tempo la critica quasi unanime della dottrina[2].

Le ragioni giustificative del divieto, contenuto nell’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, sono state esaustivamente rappresentate nella nota sentenza della Corte Costituzionale del 21 gennaio 2000, n.18, che ha confermato la legittimità della norma così argomentando: i) non esiste affatto un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo; ii) il divieto di prova testimoniale trova una sua non irragionevole giustificazione da un lato nella spiccata specificità del processo tributario rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata sia alla configurazione dell’organo decidente sia al rapporto sostanziale oggetto del giudizio, dall’altro nella circostanza che il processo tributario è ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale; iii) infine, sotto un diverso e concorrente aspetto, la stessa natura della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria attraverso un procedimento di accertamento dell’obbligo del contribuente mal si concilia con la prova testimoniale.

Gli argomenti utilizzati dal Giudice delle leggi sono subito apparsi poco incisivi, ove si consideri che: i) se è vero che nulla impedisce che i vari processi siano disciplinati diversamente, è altrettanto vero che occorre verificare se tale scelta sia ragionevole e se non sia capace di generare situazioni di disparità di trattamento ingiustificate; ii) la specificità del processo tributario, caratterizzato da una celerità che mal sopporterebbe la complicazione derivante dall’espletamento della prova testimoniale, va salvaguardata attraverso rimedi diversi dalla limitazione del diritto alla prova; iii) la pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria si risolve in un credito e le particolari modalità di attuazione del rapporto obbligatorio d’imposta non sono affatto inconciliabili con la prova testimoniale; iv) la natura documentale del processo dipendeva proprio dalla circostanza che non operava la prova testimoniale, con la conseguenza che non poteva desumersi dall’asserita natura documentale del processo tributario un argomento a favore della tesi per cui il divieto non sarebbe stato in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art.3 Cost..

Alle critiche sollevate dalla dottrina si aggiungeva la consapevolezza che la permanenza del divieto fosse poco attuale alla luce della nuova formulazione dell’art.111 Cost. in dipendenza della L. cost. n.2/1999, che ha reso esplicito nel secondo comma il principio della parità delle parti nel processo[3].

Muovendo da tali condivisibili premesse, la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria ha auspicato, in seno alla relazione finale depositata il 30 giugno 2021, “un diretto intervento del legislatore”, il quale, pur dovendo operare nell’ambito di una più vasta riforma strutturale, avrebbe potuto offrire una prima soluzione ammettendo la “prova testimoniale scritta almeno in tutti i casi in cui non sia altrimenti possibile per la parte (ricorrente) esercitare pienamente il diritto di difesa e di prova” [4].

Le sollecitazioni formulate dalla Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria sono state largamente condivise dal legislatore che, con il nuovo art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, ha mantenuto tra le prove escluse il giuramento e ha disciplinato tra le prove ammesse la testimonianza scritta[5].

Prima di procedere all’esame della nuova disposizione, va rilevato che la soluzione normativa adottata riecheggia quella che già autorevole dottrina prefigurava applicabile attraverso il metodo dell’interpretazione costituzionalmente orientata, auspicando che il divieto continuasse a comprendere la testimonianza in forma orale e che dovesse invece senz’altro escludere la testimonianza assunta in forma scritta[6].

Invero, traendo spunto dall’art.257 bis c.p.c., introdotto dalla Legge 18.6.2009, n.69, che ha disciplinato nel processo civile la testimonianza scritta, e dall’art.63, comma 3, del D. Lgs. 2.7.2010, n.104, che ammette nel processo amministrativo questa “nuova” species di testimonianza, era stato già da tempo suggerito che l’antinomia sistematica determinata dalla permanenza del divieto di prova testimoniale nel processo tributario avrebbe potuto essere superata anche accedendo ad una nuova lettura del criterio di compatibilità del codice di procedura civile con la legge processuale tributaria.

2. Le condizioni di ammissibilità della nuova prova e le modalità di assunzione

La nuova norma, nella parte in cui prevede che il giudice “può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’art.257 bis del codice di procedura civile”, si colloca pienamente nel solco dell’esperienza già maturata nel processo comune.

Secondo quanto stabilito dalla disposizione espressamente richiamata, la parte che ha chiesto ed è stata autorizzata dal giudice ad assumere la testimonianza predispone un modello, sulla base di quello approvato con il D.M. 10 febbraio 2010, e lo notifica al testimone. Quest’ultimo rende la deposizione compilando e sottoscrivendo il modello su ciascun foglio, provvede affinché tutte le sottoscrizioni siano autenticate e, infine, spedisce o consegna il documento alla segreteria del giudice.

L’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, si discosta opportunamente dall’art.257 bis, sia nella parte in cui trascura la valutazione largamente discrezionale del giudice che nel codice di rito comune deve tener conto “della natura della causa e di ogni altra circostanza”, sia nella parte in cui precisa che il giudice può ammettere la prova testimoniale “anche senza l’accordo delle parti”.

Nel codice di procedura civile la prova testimoniale scritta rappresenta una deroga all’assunzione della prova in forma orale e le due condizioni previste dall’art.257 bis c.p.c. sono coerenti con la necessità di assicurare che sia le parti che il giudice convergano sull’opportunità di assumere la prova testimoniale al di fuori dell’udienza, anziché mediante l’interrogatorio ad opera del giudice e nel contraddittorio delle parti[7] [8].

Nel processo tributario entrambe le condizioni previste dall’art.257 bis c.p.c. non trovano alcuna ragion d’essere: la nuova formulazione dell’art.7, comma 4, mantiene implicitamente, sia pure con le precisazioni che saranno svolte nel prosieguo del presente scritto, il divieto di testimonianza assunta in forma orale, con la conseguenza che l’accordo tra le parti è inconciliabile con la necessità di assicurare l’accesso alla prova alla parte che ne abbia interesse, così come la valutazione discrezionale del giudice in ordine alla natura della causa o a qualsiasi altra circostanza non può in ogni caso indurlo a preferire l’interrogatorio diretto dei testi alla testimonianza in forma scritta.

Alla luce del dato normativo l’ammissibilità del nuovo mezzo di prova è subordinata a due condizioni che sono estranee al processo civile. La prima si riscontra nella previsione che il giudice debba ritenerlo necessario ai fini della decisione; la seconda consiste nella circostanza che la prova testimoniale scritta verta “soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale” nei casi in cui “la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso”.

La seconda condizione prevista dalla legge costituisce un limite più apparente che reale. La circostanza indicata nell’ultimo periodo dell’art.7, comma 4, invero, non aggiunge nulla di più di quanto non fosse già desumibile dall’art.2700 c.c., da cui emerge che il processo verbale di constatazione fa “piena prova” fino a querela di falso dei fatti compiuti dal pubblico ufficiale o avvenuti in sua presenza.

Se è pacifico, infatti, che al fine di contrastare tali circostanze l’art.2700 c.c. rende necessaria la querela di falso, e che pertanto non può ritenersi sufficiente la testimonianza scritta, è altrettanto chiaro che la fede privilegiata non si estende al contenuto delle dichiarazioni eventualmente rese da terzi al pubblico ufficiale nel corso dell’istruttoria e che, pertanto, tali dichiarazioni potranno essere contrastate in giudizio con ogni mezzo di prova, e quindi anche mediante la testimonianza scritta[9].

La prima condizione ai fini dell’ammissibilità del nuovo mezzo di prova prevede, invece, con una formulazione sovrapponibile a quella utilizzata nell’art.58 del D.Lgs.n.546/1992, che la Corte di giustizia tributaria possa ammettere prova “ove lo ritenga necessario ai fini della decisione”.

La genericità dell’espressione utilizzata nel nuovo art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, da una parte, e la sua similarità con quella già adoperata nell’art.58 a proposito di ammissibilità di nuove prove in appello, dall’altra, potrebbero naturalmente indurre a ritenere che il primo limite debba essere interpretato richiamando le soluzioni già tracciate dalla dottrina e dalla giurisprudenza a proposito del citato art.58 del D.Lgs.n.546/1992 e del corrispondente art.345, comma 3, c.p.c.[10].

Ove si dovesse propendere per tale soluzione, non resterebbe che ritenere la prova testimoniale scritta una “prova straordinaria” , perché finirebbe per essere ammessa solo quando il giudice, non essendo disponibili altri mezzi istruttori, la ritenga “indispensabile” ai fini della decisione.[11]

Va tuttavia osservato che il giudizio di necessità previsto dall’art.58 per consentire l’ammissione di nuove prove in appello non risponde alla medesima ratio sottesa all’ammissione in giudizio della nuova prova testimoniale scritta.

Nel primo caso la necessità del nuovo mezzo di prova è determinata dall’opportunità di impedire che le parti riservino indebitamente al giudizio di secondo grado facoltà che avrebbero potuto agevolmente esercitare nel giudizio di primo grado.

Nel secondo caso, invece, la necessità del mezzo di prova può essere apprezzata solo in relazione alla pretesa formulata dall’attore, con la conseguenza che l’unica opzione interpretativa possibile consiste nel ritenere che la valutazione di “necessità della prova” di cui al citato art.7, comma 4, sia quella che sempre il giudice deve svolgere allorché debba decidere se dare o meno ingresso ad un mezzo di prova nel processo[12].

La nuova norma non dispone nulla con riguardo alle modalità di assunzione della prova, limitandosi a stabilire che il giudice “può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’art.257 bis del codice di procedura civile”.

La stringatezza dell’art.7, comma 4, sottende ancora una volta l’idea storicamente consolidata che non sia necessaria nel processo tributario una specifica disciplina della fase istruttoria. Se questa scelta è coerente con un sistema processuale prevalentemente basato su prove documentali che, salva l’ipotesi in cui il giudice tributario si determini all’esercizio dei poteri che gli competono ai sensi dell’art.7, commi 1 e 2, del D.Lgs.n.546/1992, normalmente esauriscono il quadro istruttorio, a diverse conclusioni sarebbe opportuno pervenire proprio in occasione dell’abolizione del divieto di prova testimoniale e della contestuale introduzione nel nostro processo della prova testimoniale scritta[13].

La carenza evidente di una disciplina ormai necessaria si manifesta laddove l’art.7, comma 4, non prevede nulla né sul termine decadenziale entro cui la richiesta di testimonianza scritta può essere formulata, né sui termini da rispettare affinché la prova sia assunta in contraddittorio tra le parti.

Non sfugge, infatti, che se nel processo civile la testimonianza scritta è assunta solo a condizione che il giudice accerti che attore e convenuto convergono sull’opportunità di assumere la prova testimoniale al di fuori dell’udienza, anziché mediante l’interrogatorio ad opera del giudice e nel contraddittorio tra le parti[14], nel nostro processo la testimonianza scritta può essere assunta “anche senza l’accordo delle parti”.

Sotto tale profilo, emerge con evidenza che mentre il diritto delle parti al contraddittorio in tema di prova è assicurato dal codice di rito comune e in particolare dalle facoltà e dai termini previsti dall’art.171 ter c.p.c.[15], una simile disciplina nel processo tributario è del tutto assente.

In mancanza di qualsiasi precisazione del legislatore sul punto, non resta che ritenere che la parte possa chiedere l’ammissione della testimonianza scritta anche in udienza e che il giudice, riservandosi di decidere, dovrà consentire alla parte che non ha formulato la richiesta di esercitare per iscritto il proprio diritto di difesa, eventualmente esprimendo il proprio dissenso sulla necessità della prova, chiedendo che il testimone sia sentito su capitoli diversi da quelli prospettati dall’altra parte, oppure formulando a sua volta la richiesta che sia assunta la testimonianza scritta di altri soggetti.

Solo dopo che siano spirati i termini per il deposito del primo atto difensivo utile con cui la parte che ne ha interesse potrà opporsi alla richiesta formulata dall’altra parte, il giudice potrà emettere l’ordinanza con cui ammette la testimonianza scritta, ovvero quella con cui motivatamente la respinge[16].

Sarebbe stato quanto mai opportuno, pertanto, che la norma avesse indicato non solo l’iter di ammissione e assunzione di una prova tipicamente costituenda, quale è la testimonianza scritta, ma anche, più in generale, i termini e le forme, nel processo tributario, di una fase istruttoria la cui disciplina non può più farsi attendere.

3. La prova testimoniale scritta tra natura dispositiva del processo e principio di parità delle armi

L’inserimento della testimonianza scritta tra le prove ammesse suggerisce la necessità di valutare se sia possibile ancora oggi affermare che il processo tributario abbia natura prevalentemente dispositiva[17].

Dalla natura dispositiva del processo deriva che le parti, dopo avere indicato il petitum e la causa petendi, allegano i fatti che il giudice è legittimato a conoscere. Solo nei limiti dei fatti dedotti dalle parti è consentito al giudice esercitare, a fini istruttori, i poteri indicati nell’art.7, commi 1 e 2, del D. Lgs.n.546/1992. In particolare, il giudice esercita i poteri di accesso, richiesta di dati, informazioni e chiarimenti, modellati come quelli già attribuiti dalla legge agli enti impositori, oltre che il potere di disporre consulenze tecniche o di chiedere relazioni tecniche alle amministrazioni dello Stato o ad altri enti pubblici.

La natura dispositiva del processo è coerente con l’applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, che il giudice potrà eccezionalmente superare ricorrendo ai propri poteri istruttori solo quando la parte su cui grava l’onere è nell’impossibilità o nella estrema difficoltà di assolverlo[18].

Il nuovo mezzo istruttorio disciplinato nell’art.7, comma 4, non arricchisce i poteri del giudice elencati nei primi due commi dello stesso articolo, né altera la natura dispositiva del processo tributario, atteso che deve escludersi che la prova possa essere assunta d’ufficio dal giudice[19].

In tal senso depongono non solo la collocazione della norma, inserita in un comma dell’art.7 distinto dai primi due, ma anche il tenore letterale comma 4, secondo cui il giudice tributario “può ammettere” la testimonianza, e la formulazione dell’art.257 bis c.p.c., cui il citato comma 4 espressamente rinvia. L’art.257 bis, comma 2, c.p.c., invero, stabilisce che il modello di testimonianza deve essere predisposto dalla parte “che ha richiesto l’assunzione” della prova, così lasciando intendere inequivocabilmente che la testimonianza scritta non può essere disposta d’ufficio dal giudice.

Anche se la nuova norma lascia inalterata la natura dispositiva del processo tributario, l’inserimento della testimonianza scritta nel catalogo delle prove espressamente ammesse suggerisce di valutare se e fino a che punto le parti possano esercitare nel processo il diritto alla prova.

Se è agevole, infatti, prefigurare che la nuova testimonianza scritta sarà certamente disponibile per entrambe le parti nei giudizi di condanna al rimborso, l’effettivo esercizio del diritto alla prova da parte di tutti gli attori del processo merita un esame più approfondito se si tratta di giudizi di annullamento che hanno per oggetto una pretesa fondata su dichiarazioni di terzi raccolte durante l’istruttoria.

Il problema che si intende affrontare muove da due distinte considerazioni.

La prima è legata alla circostanza che il carattere prevalentemente impugnatorio del processo e il conseguente sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’atto impugnato presuppongono l’obbligo della pubblica amministrazione di dare “a sé stessa la prova dei fatti che determinano la sua potestà di dar vita a quell’atto”[20].

E se è vero che l’acquisizione e la valutazione delle prove atte a sorreggere la pretesa dell’Ufficio costituiscono presupposto indispensabile per l’emissione dell’atto, non può esservi dubbio che in tale atto le prove devono essere enunciate[21].

Solo l’enunciazione nell’atto degli elementi probatori posti a base dell’accertamento costituisce idonea garanzia dell’effettività della loro previa acquisizione e valutazione da parte dell’Ufficio impositore. Infatti, anche ammesso che sia sempre possibile a posteriori la dimostrazione del momento in cui un dato elemento di prova è stato acquisito dall’Ufficio, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ulteriore circostanza che lo stesso elemento di prova sia stato effettivamente valutato e posto a fondamento dell’atto di accertamento. Non basta, infatti, che la prova sia stata previamente acquisita dall’Ufficio: occorre che tale acquisizione sia consapevole, cioè che l’Ufficio si sia determinato all’esercizio del potere impositivo proprio in virtù di quella specifica prova.

E poiché la valutazione delle prove costituisce un’attività intellettiva interna al procedimento impositivo, per la quale non è sempre prevista una forma di documentazione con rilevanza esterna, è evidente che tale rilevanza può essere assicurata soltanto con la motivazione dell’atto conclusivo del procedimento.

Prima ancora che per esigenze di ordine processuale, quindi, l’obbligo della motivazione comprensiva degli elementi probatori, si impone allo scopo di verificare non solo il rispetto da parte della pubblica amministrazione del generale principio di legalità, ma anche l’osservanza del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento, di cui all’art. 97 Cost.

Anche se soltanto alcune norme[22] prevedono espressamente che, in assenza dell’indicazione degli elementi probatori la motivazione è carente e l’atto va annullato, le considerazioni fin qui svolte consentono di ritenere che sul piano interpretativo, a seguito della legge 7.8.1990, n. 241, il contenuto della motivazione di tutti gli atti impositivi non può prescindere né dall’indicazione dei presupposti di fatto e delle regioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’ufficio, né dall’indicazione dei relativi elementi probatori[23].

La seconda considerazione è legata alla circostanza che, com’è noto, la prova in materia tributaria trova la sua disciplina sia nel procedimento che nel processo. In particolare, le norme recanti la disciplina dell’attività istruttoria svolta dall’Amministrazione finanziaria prevedono che essa possa assumere informazioni da terzi tradotte nel processo verbale di constatazione posto a fondamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del contribuente[24].

La Corte Costituzionale ha espressamente riconosciuto la possibilità che l’Amministrazione finanziaria potesse avvalersi delle dichiarazioni di terzi in un processo in cui era preclusa al contribuente la prova testimoniale[25], sostenendo che tale soluzione non collide né con il principio di uguaglianza, né con il diritto di difesa. Da un lato, infatti, il valore probatorio di tali dichiarazioni è quello tipico degli elementi indiziari, che possono concorrere insieme ad altri elementi a formare il convincimento del giudice, ma che non sono idonei, da soli, a costituire il fondamento della decisione; dall’altro, si tratta di un’efficacia diversa da quella tipica della prova testimoniale e ciò è sufficiente ad escludere che l’ammissione di un mezzo di prova e l’esclusione dell’altro possano comportare una violazione del principio di parità delle armi.

È noto che la giurisprudenza ha confermato l’utilizzabilità nel processo delle dichiarazioni di terzi pervenendo a soluzioni non sempre convergenti: in alcuni casi si è ritenuto che tali dichiarazioni non possano da sole costituire il fondamento della pretesa e che possano formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi di contenuto convergente[26]; in altri casi si è ritenuto che tali dichiarazioni sono elementi indiziari capaci di costituire dati e notizie da cui poter desumere l’infedeltà della dichiarazione sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti.[27]

Quale che sia fino a questo momento il valore da attribuire in giudizio alle dichiarazioni rese da terzi nel corso delle indagini, è pacifico che l’introduzione della prova testimoniale scritta non modifica affatto il tenore delle norme che recano la disciplina dei poteri istruttori e che, pertanto, i presupposti di fatto desumibili dalle citate dichiarazioni potranno ancora essere posti a base delle pretese formulate dall’Amministrazione finanziaria.

Le due considerazioni prospettate mostrano come non sia affatto fuor di luogo domandarsi: i) se sia legittimo che l’ente impositore, accedendo alla prova testimoniale scritta, sviluppi l’attività istruttoria nel processo, così contravvenendo alla regola efficacemente coniata da Allorio, secondo la quale la pubblica amministrazione ha l’obbligo di dare “a sé stessa la prova dei fatti che determinano la sua potestà di dar vita” al provvedimento impositivo[28]; ii) se l’introduzione della prova testimoniale scritta non abbia implicitamente escluso che le dichiarazioni di terzi possano continuare ad essere utilizzate nel processo quali elementi indiziari che concorrono a formare il convincimento del giudice.

3.1 Il diritto alla prova testimoniale nel giudizio di annullamento

Se si dovesse ritenere che sia illegittimo che l’ente impositore, utilizzando la prova testimoniale scritta, prosegua l’attività istruttoria in pendenza del processo, si dovrebbe concludere nel senso che l’accesso alla prova testimoniale scritta sia consentito alla parte pubblica solo nei giudizi di condanna al rimborso, al fine di provare l’esistenza di fatti impeditivi, estintivi o modificativi della domanda formulata dal contribuente; nei giudizi di annullamento di atti impositivi, invece, l’Ufficio potrebbe accedere al nuovo mezzo istruttorio solo per dimostrare fatti diversi da quelli costitutivi della pretesa, che abbia ritenuto opportuno dedurre a fronte di quelli impeditivi, estintivi o modificativi addotti dal contribuente per respingere la medesima pretesa.

Una simile conclusione è da respingere con fermezza, ove si consideri che finirebbe per scontrarsi frontalmente con l’art.111 Cost., che sancisce il principio di parità delle armi.

In forza di tale principio, sia il ricorrente che il resistente devono avere sul piano istruttorio pari opportunità di accesso al fatto. L’uguaglianza tra le parti sul piano del diritto alla prova è espressione del principio di parità delle armi: il diritto di una parte di avvalersi di una prova in tanto esiste (ed è tutelato), in quanto si riconosce alla controparte il diritto allo stesso tipo di prova.

Ne deriva che se per effetto del nuovo art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992 è possibile assumere nel processo tributario la prova testimoniale scritta, il diritto delle parti alla prova non può che avere identico perimetro di applicazione e il nuovo mezzo istruttorio, quale che sia l’azione esercitata, potrà essere utilizzato dall’attore in senso sostanziale anche al fine di provare l’esistenza dei fatti costitutivi della pretesa.

Né è possibile ritenere, in senso contrario, che quelle indicate nella motivazione dell’atto di accertamento siano le uniche prove che l’Amministrazione finanziaria avrebbe diritto a far valere nell’istruttoria processuale. E ciò per due diversi ordini di ragioni.

Sotto un primo profilo si osserva che un simile assunto non trova alcun appiglio normativo. Gli elementi che in giudizio non possono essere modificati sono solo i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche su cui si fonda il provvedimento impositivo, necessari a definire il contenuto della pretesa formulata dall’Amministrazione finanziaria. L’Ufficio ha diritto a dedurre liberamente in giudizio l’esistenza dei medesimi fatti ricorrendo a mezzi istruttori diversi da quelli previsti dalle norme che espressamente disciplinano i suoi poteri di indagine.

Tale conclusione non è in contraddizione con quanto si è affermato a proposito della necessità di indicare nella motivazione dell’atto di accertamento, accanto ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’ufficio, anche i relativi elementi probatori.

Può essere utile a tal proposito richiamare la circostanza che al termine “prova” il nostro linguaggio attribuisce congiuntamente il significato di due parole,  proof ed evidence, utilizzate negli ordinamenti anglosassoni.

L’obbligo di motivazione che incombe sull’Amministrazione finanziaria investe solo l’indicazione degli elementi che ha scelto di impiegare per la conoscenza del fatto (evidence). Tali elementi devono essere portati a conoscenza del destinatario dell’atto perché sono quelli che hanno consentito all’Amministrazione finanziaria di pervenire a determinate conclusioni.

La proof indica, invece, il risultato che deriva dall’acquisizione dei mezzi di prova in giudizio, cioè la conoscenza del fatto che il giudice ha maturato sulla base delle prove acquisite nel processo. Tale ultimo risultato non può che essere successivo alla enunciazione degli elementi che hanno indotto l’Amministrazione ad esercitare il potere di accertamento, con la conseguenza che l’atto impugnato, pur potendo essere legittimo perché adeguatamente motivato, ben potrebbe risultare infondato nel caso in cui l’attore in senso sostanziale non assolvesse adeguatamente all’onere di fornire in giudizio la prova della propria pretesa.

Sotto diverso profilo, strettamente connesso al primo, va inoltre osservato che se fino alla riforma dell’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, era possibile rilevare che la natura squisitamente documentale del processo determinava per la parte pubblica un supino appiattimento dell’istruttoria processuale su quella amministrativa,  a conclusioni necessariamente diverse si deve pervenire a seguito dell’abolizione del divieto di prova testimoniale e della contestuale introduzione della prova testimoniale scritta.

Fino al 16 settembre 2022 l’istruzione probatoria dell’Ufficio era affidata soltanto alle prove documentali, a quelle presuntive, nonché alle prove c.d. “atipiche”[29]. Quali che fossero le prove che l’Ufficio intendesse utilizzare, era necessario che fossero ritualmente versati nel processo i documenti cui la prova era affidata. Prove documentali, “atipiche” e presuntive, invero, sono tutte indistintamente ritraibili da documenti, cioè da oggetti materiali che preesistono al processo, idonei a rappresentare o a dare conoscenza di un fatto[30].

Salva l’ipotesi in cui il giudice avesse optato per l’esercizio dei propri poteri istruttori, derivava dal precedente assetto normativo che l’istruzione probatoria nel processo tributario avrebbe potuto avere per oggetto soltanto prove precostituite, acquisite al giudizio attraverso la mera produzione ad opera delle parti, senza che il giudice fosse chiamato a svolgere alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità o rilevanza della prova[31].

La legge n.130/2022 determina quindi una radicale trasformazione della disciplina dell’istruzione probatoria nel processo tributario, laddove affianca alle prove precostituite rimesse alle parti una prova tipicamente costituenda, quale è la testimonianza assunta in forma scritta.

Se, pertanto, la formazione delle prove costituende non può che essere svolta sotto la direzione e il controllo del giudice, il rispetto del principio di parità delle armi impone di ritenere che, al pari del contribuente, anche la parte pubblica abbia diritto ad essere ammessa alla prova testimoniale scritta al fine di provare nel giudizio di annullamento i fatti costitutivi della pretesa.

La riforma dell’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, introdotta dalla legge n.130/2022, ha reso evidente che l’istruttoria operata dall’Ufficio in sede amministrativa (o primaria) e l’istruttoria rimessa alla parte pubblica in sede processuale (o secondaria) non divergono più soltanto sotto il profilo della scansione temporale, ma anche e soprattutto perché l’ultima è suscettibile di assumere una dimensione maggiore della prima[32].

3.2 Il valore delle dichiarazioni di terzi nel processo riformato

Affermare che esiste il diritto della parte pubblica a chiedere che sia assunta la prova testimoniale scritta quale che sia l’azione esercitata in giudizio, non esclude che l’Ufficio possa scegliere di non esercitare il diritto alla prova e che, al pari di quanto accadeva nei giudizi instaurati prima del 16 settembre 2022, preferisca affidare la proof alle dichiarazioni di terzi acquisite nella fase istruttoria che precede l’emissione dell’atto impositivo.

È necessario, pertanto, valutare se l’introduzione della prova testimoniale scritta non abbia implicitamente escluso che le dichiarazioni di terzi possano continuare ad essere utilizzate nel processo quali elementi indiziari che concorrono a formare il convincimento del giudice.

Nel solco delle soluzioni già tracciate da una parte della dottrina processualcivilistica si potrebbe ritenere, invero, che con la recente soppressione del divieto di prova testimoniale il legislatore abbia disciplinato i modi con cui la narrazione del fatto operata del terzo può essere portata a conoscenza del giudice e che, per tale ragione, modalità diverse da quelle espressamente previste non possano più trovare ingresso nel processo tributario, neppure sotto forma di meri indizi[33].

Secondo tale impostazione, l’introduzione di un istituto che prevede in via generale la possibilità di assumere per iscritto le dichiarazioni testimoniali imporrebbe di escludere che le dichiarazioni di terzi rese fuori dal processo possano essere oggi ascritte alla species delle prove atipiche, atteso che si tratterebbe di prove tipiche per testimoni nulle, perché non acquisite nel rispetto delle norme che ne disciplinano le modalità di assunzione nel processo[34].

Va tuttavia osservato, in senso contrario, che, come è stato efficacemente rilevato, non esiste nel diritto tributario, così come nel diritto civile, penale e amministrativo, un numerus clausus di prove, né esiste un divieto esplicito di ricorrere a prove innominate[35].

La prova giuridicamente rilevante non è solo quella qualificata come tale dalla legge, ma anche tutto ciò che può servire ad accertare l’accadimento di un fatto. Ne deriva che non esiste alcuna preclusione alla possibilità che il giudice utilizzi anche elementi probatori atipici, laddove tali elementi, al pari di quelli nominati, concorrano efficacemente a stabilire l’esistenza o l’inesistenza del fatto controverso.

Prove atipiche sono pertanto quelle che, pur non essendo disciplinate né dal codice di procedura civile, né dal codice civile, sono comunque suscettibili di essere valutate dal giudice, proprio per l’assenza nell’ordinamento di una norma di chiusura del catalogo legale delle prove[36].

La possibilità che il giudice faccia ricorso a tali elementi non significa né che gli stessi elementi non siano disponibili per tutte le parti, né che gli elementi probatori atipici non debbano essere sottoposti, al pari di quelli tipici, al libero apprezzamento del giudice, con la differenza che, secondo le indicazioni della Corte costituzionale contenute nella sentenza 21 gennaio 2000, n.18, agli elementi probatori atipici non potrà che essere riconosciuta mera efficacia indiziaria.

Anche a seguito dell’introduzione della testimonianza scritta è ben possibile, dunque, sulla base del principio della parità delle armi, che tanto l’Ufficio quanto il contribuente continuino ad avvalersi delle medesime facoltà di assumere informazioni, dati e notizie da terzi e che scelgano successivamente di versare nel processo le dichiarazioni assunte da tali soggetti senza ricorrere al nuovo mezzo istruttorio[37].

L’unica conseguenza che discende dall’ipotesi prospettata non investe l’ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo, quanto piuttosto la loro diversa efficacia probatoria[38].

Anche se prova testimoniale scritta e dichiarazioni di terzi sono entrambe rimesse al prudente apprezzamento del giudice secondo quanto previsto dall’art.116 c.p.c., solo la prima non necessita di ulteriori elementi istruttori per consentire al giudice di accertare i fatti controversi. Ne deriva che, pur permanendo la possibilità di ricorrere alla prova atipica, le parti tenderanno naturalmente a preferire il nuovo mezzo istruttorio alle dichiarazioni del terzo acquisite fuori dal processo[39].

4. Le norme applicabili contenute in altri testi di legge

La norma che introduce il nuovo mezzo istruttorio stabilisce che “la corte di giustizia tributaria (…) può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257 bis del codice di procedura civile”.

Pur ritenendo che la formulazione dell’art.7, comma 4, abbia implicitamente escluso l’ammissibilità nel processo tributario della testimonianza orale, non è superfluo osservare che la nuova norma non si limita a stabilire che può farsi ricorso alla testimonianza scritta e che invece, con formula più ampia, consente l’ammissione nel processo tributario della “prova testimoniale, assunta con le forme dell’art.257 bis c.p.c.”.

Ne discende che l’art.257 bis c.p.c. e l’art.103 bis delle disposizioni attuative del codice di procedura civile non sono le uniche norme che entrano nella disciplina dell’istruzione probatoria nel processo tributario e che pertanto, venuto meno il divieto di prova testimoniale, è necessario valutare: i) quali altre norme tra quelle contenute nel codice di rito comune concorrono, applicando l’art.1, comma 2, del D.Lgs.n.546/1992, alla disciplina del nuovo mezzo istruttorio; ii) se sono applicabili anche nel processo tributario le disposizioni contenute nel codice civile in tema di prova testimoniale.

La disciplina della prova per testimoni, invero, è contenuta in parte nel codice di procedura civile negli articoli da 244 a 257 bis, oltre che nell’art.281 ter dello stesso codice, e in parte nel codice civile, negli articoli da 2721 a 2726 c.c..

Con riguardo alle disposizioni contenute nel codice di rito comune, si osserva che mentre l’art.246 c.p.c. e l’art.249 c.p.c. recano rispettivamente limiti soggettivi e oggettivi della prova testimoniale[40], le altre norme disciplinano le modalità di assunzione del mezzo istruttorio.

L’art.246 c.p.c. prevede che “non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”. La ratio della norma non è solo quella di impedire l’ingresso nel processo della testimonianza di un terzo interessato, ma, più in generale, anche quella di parificare le parti potenziali a quelle formali, in modo tale da evitare indebite sovrapposizioni tra l’intervento del terzo e la sua testimonianza già resa nel medesimo processo.

L’interpretazione della norma tra i processualcivilisti ha determinato un vivace dibattito sull’identificazione di quali fossero le categorie di terzi incapaci di testimoniare[41], al quale la giurisprudenza, osservando che la norma non opera distinzioni tra i diversi tipi di intervento, ha preferito la soluzione più aderente alla lettera dell’art.246 c.p.c., estendendo l’incapacità a tutti i possibili interventori[42].

Posto che l’art.14, comma 3, del D. Lgs. n.546/1992, disciplina l’intervento nel processo tributario, in mancanza di disposizioni specifiche che dispongono limiti soggettivi alla prova testimoniale e di altre norme che determinino l’incompatibilità dell’art.246 c.p.c., non v’è alcuna ragione per non ritenere operante nel nostro processo la norma del codice di rito comune che esclude per tutti gli interventori la capacità di rendere testimonianza.

Ad analoghe conclusioni è possibile pervenire anche con riguardo all’art.249 c.p.c., che prevede l’applicabilità “degli articoli 200, 201 e 202 del codice di procedura penale relative alla facoltà di astensione dei testimoni”. La norma riconosce al teste la facoltà di astenersi nei casi previsti dall’art.200 c.p.p., che disciplina il segreto professionale, nonché nei casi previsti dagli artt.201 e 202 c.p.p., che impongono il dovere di non deporre in capo a pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di un pubblico servizio che siano depositari di un segreto d’ufficio o di un segreto di Stato.

La dottrina processualcivilistica è unanime nel ritenere che la norma non introduce limiti soggettivi alla capacità di testimoniare, ma piuttosto un limite oggettivo, dovuto alla necessità di tutelare in tali casi la riservatezza delle informazioni di cui il teste sia depositario[43].

L’applicabilità della norma anche al nostro processo trova conferma non solo nelle considerazioni di carattere generale già svolte con riguardo all’art. 246 c.p.c., ma anche nell’esplicito rinvio contenuto nell’art.257 bis c.p.c. alla facoltà di astensione del testimone. Ne discende che professionisti, pubblici ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di un pubblico servizio possono astenersi dal rendere la deposizione per iscritto indicando nel modello di testimonianza i motivi dell’astensione.

Gli articoli 244 c.p.c. e 245 c.p.c., nonché gli articoli da 250 a 257 c.p.c., disciplinano le modalità di assunzione della prova testimoniale dinanzi al giudice. Fatti salvi gli artt.244 e 245, che hanno rispettivamente ad oggetto le modalità con cui la prova è dedotta dalle parti e l’ordinanza di ammissione del giudice, nonché l’art.255, comma 1, c.p.c. nella parte in cui consente l’irrogazione di una pena pecuniaria al testimone inadempiente[44], le altre norme regolano l’assunzione della testimonianza in forma orale e non sono applicabili nel processo tributario perché incompatibili con l’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992[45].

L’art.281 ter c.p.c., infine, prevede che il giudice monocratico “può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, quando le parti nella esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in grado di conoscere la verità”. Anche se il nuovo art.4 bis del D.Lgs.n.546/1992, introdotto dall’art.4, comma 1, lett. b), della legge 31.8.2022, prevede che le corti di giustizia tributaria di primo grado decidono in composizione monocratica le controversie di valore fino a tremila euro, deve escludersi che, applicando l’art.281 ter c.p.c., la prova testimoniale possa essere assunta d’ufficio dal giudice tributario monocratico.

La soluzione prospettata è coerente con l’osservazione svolta nelle pagine precedenti, secondo cui deve escludersi che nel processo tributario la prova testimoniale possa essere assunta d’ufficio dal giudice[46]. L’inapplicabilità dell’art.281 ter al processo tributario deriva quindi dalla sua incompatibilità con l’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992 e con l’art.257 bis. c.p.c. cui il primo espressamente rinvia, dai quali può desumersi che la testimonianza scritta può essere assunta soltanto se una delle parti ne formula richiesta.

Anche se si condivide l’idea che l’applicabilità di alcune norme del codice di rito comune debba essere esclusa perché si tratta di disposizioni incompatibili con l’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, non va sottaciuto che l’ultimo comma dell’art.257 bis c.p.c. prevede che il giudice, dopo avere esaminato le risposte rese per iscritto, possa discrezionalmente disporre che il teste deponga oralmente davanti a lui[47].

È da ritenere che il giudice eserciti il potere di ordinare la comparizione personale del testimone nei casi in cui sai convinto che la dichiarazione scritta sia ambigua, contraddittoria o incompleta, oppure quando ritenga che via siano elementi che inducano al sospetto circa la veridicità della deposizione o l’attendibilità del testimone. La clausola di salvaguardia prevista dall’ultimo comma dell’art.257 bis c.p.c., se sapientemente utilizzata, consentirà al giudice tributario di sopperire all’impossibilità di formulare domande a chiarimento, ai sensi dell’art.253 c.p.c., così rendendo applicabili al processo tributario alcune norme, riservate alla disciplina della testimonianza orale, che altrimenti ne sarebbero state inevitabilmente escluse[48].

Con riguardo alle disposizioni contenute nel codice civile, va condivisa l’idea, già espressa da autorevole dottrina, secondo cui non può dubitarsi della piena applicabilità all’obbligazione tributaria delle norme sulla prova dell’esistenza dell’obbligazione di diritto privato[49]. Se l’art.1, comma 2, del D.Lgs.n.546/1992 consente l’applicazione nel processo tributario delle norme processualcivilistiche sull’assunzione e la valutazione dei mezzi di prova, a maggior ragione non può escludersi l’applicazione nel processo tributario delle norme del codice di diritto comune che disciplinano le prove di cui le parti e il giudice si avvalgono nel processo civile.

La disciplina della prova processuale è quindi integrata non solo dalle norme del codice di procedura civile, ma anche dalle disposizioni dettate in tema di prova dal libro VI, titolo II, del codice civile, le quali, in quanto norme di diritto comune, sono applicabili anche in materia fiscale.

Se dunque, in forza della compatibilità tra i due ordinamenti, doveva escludersi che nel vigore del divieto di prova testimoniale fossero applicabili nel processo tributario gli artt.2721 ss. del codice civile, la soluzione deve essere rimeditata a seguito della riforma dei poteri istruttori introdotta dalla L.n.130/2022.

Gli articoli da 2721 a 2726 c.c. disciplinano limiti oggettivi alla prova testimoniale stabilendo, fatte salve alcune eccezioni, la prevalenza della prova documentale rispetto a quella testimoniale[50]. Tali limitazioni possono essere fatte valere nel processo come eccezioni in senso proprio.

La prima norma dedicata ai limiti oggettivi alla prova testimoniale è l’art.2721 c.c., il quale, pur escludendo la prova per testimoni dei contratti quando il valore dell’oggetto eccede 2,58 euro, prevede che l’autorità giudiziaria possa consentire la prova oltre tale limite, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza[51].

La rimozione sostanziale del limite contenuto nell’art.2721 c.c., è stata determinata dalla giurisprudenza non solo mediante l’ampio ricorso alla deroga prevista dalla stessa norma, ma anche attraverso il ricorso al consolidato principio di origine pretoria, secondo cui il limite sarebbe applicabile solo quando il contratto è richiamato dalle parti quale fonte dell’obbligazione che costituisce oggetto del contendere, non anche quando il contratto è allegato quale semplice fatto storico influente sulla decisione[52] [53].

E’ possibile prevedere, pertanto, che l’art.2721 c.c. abbia scarse possibilità di essere applicato nel processo tributario, atteso che, pur volendo prescindere dalla deroga normativamente prevista, deve escludersi in ogni caso che il contratto costituisca la fonte dell’obbligazione dedotta in giudizio.

L’art.2722 c.c. pone un divieto di prova per testimoni di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea. Analogo divieto vige per i patti di cui si alleghi che la stipulazione sia stata successiva alla formazione del documento (art.2723 c.c.). In entrambi i casi la prova per testimoni è consentita nelle ipotesi previste dall’art.2724 c.c.[54]; il divieto che opera ai sensi dell’art.2723 c.c. può essere derogato, altresì, nei casi un cui, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto, e a ogni altra circostanza, appare verosimile al giudice che siano state fatte aggiunte o modificazioni.

Sia l’art.2722 che l’art.2723 c.c. condividono con l’art.2721 c.c. il principio di origine pretoria secondo cui il limite probatorio è applicabile solo quando i patti sono fatti valere quali fonti dell’obbligazione che costituisce oggetto del contendere, non anche quando tali patti sono fatti valere quali meri fatti storici influenti sulla decisione[55]. È possibile ritenere, pertanto, che anche i divieti recati dagli artt. 2722 e 2723 abbiano scarsa possibilità di applicazione nel processo tributario.

L’art.2725 c.c. prescrive, infine, il divieto della prova testimoniale per i contratti che esigono la forma scritta ad substantiam o ad probationem. In entrambi i casi, il divieto non opera se la parte è in grado di provare la perdita incolpevole del documento: all’obbligo di predisporre la prova scritta si aggiunge un obbligo di custodia che, se non assolto incolpevolmente, determina per la parte che ha smarrito il documento l’inammissibilità della prova testimoniale.

Ne deriva che pur non potendosi escludere che la disciplina della prova sia integrata anche dalle disposizioni in materia contenute nel libro VI, titolo II, del codice civile, le norme dedicate alla prova testimoniale e l’interpretazione che ne ha fatto la giurisprudenza non determinano, salvo il divieto di cui all’art.2725 c.c., particolari limitazioni al diritto alla prova testimoniale nel processo tributario.

5. Considerazioni conclusive

L’abolizione del divieto di prova testimoniale e la contestuale introduzione della prova per testimoni in forma scritta hanno consentito di superare le antinomie di un assetto ormai da tempo ritenuto inconciliabile con i principi desumibili dalla nuova formulazione dell’art.111 Cost.

La nuova prova è coerente con le esigenze di celerità naturalmente sottese al processo tributario e non ne altera la natura dispositiva. Inoltre, il diritto delle parti alla prova assicura, nel rispetto del principio di parità delle armi, che il nuovo mezzo istruttorio abbia un identico perimetro di applicazione quale che sia l’oggetto della controversia, in modo tale che anche nel giudizio di annullamento la prova testimoniale possa essere utilizzata dall’attore in senso sostanziale al fine di provare l’esistenza dei fatti costitutivi della pretesa.

Sotto questo particolare profilo non può essere trascurato che la legge n.130/2022 ha determinato una radicale trasformazione della disciplina dell’istruzione probatoria nel processo tributario, laddove affianca alle prove precostituite rimesse alle parti una prova tipicamente costituenda, quale è la testimonianza assunta in forma scritta.

Se fino alla riforma dell’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, era possibile rilevare che la natura squisitamente documentale del processo determinava per la parte pubblica un supino appiattimento dell’istruttoria processuale su quella amministrativa, a conclusioni necessariamente diverse si deve pervenire a seguito dell’abolizione del divieto di prova testimoniale e della contestuale introduzione della prova testimoniale scritta.

Quali che fossero le prove che l’Ufficio avesse inteso utilizzare in giudizio, in passato l’istruzione probatoria dell’Amministrazione finanziaria era sempre affidata a documenti, idonei a rappresentare o a dare conoscenza di un fatto, che preesistevano al processo.

La riforma dell’art.7, comma 4, del D.Lgs.n.546/1992, introdotta dalla legge n.130/2022, ha invece reso evidente che l’istruttoria operata dall’Ufficio in sede amministrativa (o primaria) e l’istruttoria rimessa alla parte pubblica in sede processuale (o secondaria) non divergono più soltanto sotto il profilo della scansione temporale, ma anche e soprattutto perché l’ultima, ormai capace di includere  una prova tipicamente costituenda, è suscettibile di assumere una dimensione maggiore della prima.

Il giudizio complessivamente positivo che può essere formulato sulla scelta operata dal legislatore lascia tuttavia inalterata la consapevolezza che l’arricchimento dei mezzi di prova avrebbe dovuto opportunamente accompagnarsi ad una più estesa revisione della disciplina dell’istruzione probatoria nel processo.

Non sfugge, infatti, che se nel processo civile la testimonianza scritta è assunta solo a condizione che il giudice accerti che attore e convenuto convergano sull’opportunità di assumere la prova testimoniale al di fuori dell’udienza, anziché mediante l’interrogatorio ad opera del giudice e nel contraddittorio tra le parti, nel processo tributario la testimonianza scritta non può che essere assunta “anche senza l’accordo delle parti”.

La scelta di rinviare ad una norma di chiusura di un sistema probatorio articolato, quale è quello che presiede alla disciplina della prova testimoniale nel processo civile, avrebbe dunque dovuto suggerire l’opportunità di inserire anche nel processo tributario una specifica disciplina della fase istruttoria, sia al fine di stabilire il termine decadenziale entro cui la richiesta di testimonianza scritta può essere formulata, sia al fine di precisare termini e modalità da seguire affinché la prova sia assunta nel contraddittorio tra le parti.

L’intenzione di preservare il rito tributario dalle lungaggini tipiche dell’istruttoria del processo civile può essere condivisa, ma ciò non toglie che l’introduzione di una prova tipicamente costituenda, quale è la testimonianza scritta, rende quanto mai evidente che la disciplina, nel processo tributario, di una fase istruttoria autonoma non può più attendere[56].

[1] Cfr. Corte Cost., 10.12.1987, n.506; Corte Cost., 23.2.1989, n.76; Corte Cost., 10.1.1991, n.6; Corte Cost., 8.7.1992, n.328, nonché Corte Cost., 21.1.2000, n.18.

[2] Hanno mosso significative critiche al perdurante divieto di prova testimoniale G.M. Cipolla, La prova nel diritto tributario, Dir. prat. trib., 2009, 608 ss.; F. Gallo, Verso un giusto processo tributario, Rass. trib., 2003, n.11; Id., Audizioni sulla riforma tributaria e sul regionalismo differenziato, Rass. trib., 2021, 761; A. Giovannini, Riflessioni in margine all’oggetto della domanda nel processo tributario, Riv. dir. trib., 1998, 35 ss.; Id., Giustizia civile e giustizia tributaria: gli archetipi e la riforma, Rass. trib., 2014, 24 ss.; Id., Recepimento e limiti dei principi superiori nel processo tributario, Rass. trib., 2017, 353 ss.; M. Greggi, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della CEDU (il caso Jussila), Rass. trib., 2007, 254; A. E. La Scala, Prova testimoniale, diritto di difesa e giusto processo tributario, Rass. trib., 2012, 90 ss.; A. Marcheselli, Diritto alla prova e parità delle armi nel processo, Dir. prat. trib., 2003, II, 441; F. Moschetti, L’utilizzo delle dichiarazioni di terzo, tra fonte non utilizzabile nel processo tributario e mezzo atipico di prova. Problemi connessi di carattere generale, Dir. prat. trib., 1999, II, 18 ss.; S. Muleo, Diritto alla prova, principio del contraddittorio e divieto di prova testimoniale in un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali, Rass. trib., 2002, 1989 ss.; P. Russo, Il divieto della prova testimoniale nel processo tributario: un residuato storico che resiste all’usura del tempo, Rass. trib., 2000, 568; L. Sabbi, Il contraddittorio nel processo tributario, Padova, 2019, 211; R. Schiavolin, L’inammissibilità della testimonianza e l’utilizzazione della scienza dei terzi nel processo tributario, Riv. dir. fin., 1989, I, 550; Id., Le prove, AA. VV., Il processo tributario, Giur. sist. dir. trib., a cura di F. Tesauro, Torino, 1998, 507 ss.; G. Zizzo, Il regime delle prove e il giusto processo, Rass. trib., 2013, 475.

Ha condiviso, invece, il divieto di prova testimoniale operante nel processo tributario C. Glendi, Prova testimoniale, principio dispositivo, onere della prova e oggetto del processo tributario, GT – Riv. giur. trib., 2007, 741, osservando che “l’evoluzione dei tempi (…) dovrebbe (…) portare all’eliminazione della prova testimoniale tipica persino nell’ambito del processo civile”.

[3] L’art.111 Cost., nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L.n.2/1999, prevede, al comma 1, che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” e, al comma 2, che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

[4]Cfr.https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_DELLACANANEA_relazione_finale_30giu21.pdf, 137 ss. In seno alla stessa relazione si legge un brano dell’audizione di F. Gallo del 31 maggio 2021, nel corso del quale è stato così osservato: “la questione andrebbe riconsiderata alla luce del nuovo art. 111. Il problema, infatti, non è più tanto verificare se è costituzionalmente legittimo, ex art. 3 della Costituzione il fatto che il giudice civile (ovvero, più recentemente, quello amministrativo) possa assumere direttamente testimonianze, mentre a quello tributario tale facoltà sia inibita. Il problema è invece considerare se il divieto probatorio non contrasti, direttamente e in modo inequivocabile,

con la regola costituzionale di contraddittorio-parità tra le parti….”.

[5] Il nuovo art.7, comma 4, così dispone: “Non è ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257 bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale”.

[6] In tal senso, A. Giovannini, Giustizia civile e giustizia tributaria…cit., 30; Id., Recepimento e limiti dei principi superiori …cit., 353 ss.

[7] Un sistema che avesse sottratto il testimone all’esame diretto delle parti, sia pure attraverso il filtro del giudice, avrebbe certamente reso l’istituto difficilmente conciliabile con l’art.24 Cost.. Se, dunque, l’accordo delle parti è condizione irrinunciabile per l’operatività dell’istituto nel processo civile, è altrettanto vero che la necessità di tale accordo ha ridimensionato drasticamente le concrete applicazioni dell’istituto, perché non è certo consueto che una parte si fidi ciecamente, a priori, dei testi indicati dall’avversario, sì da rinunciare preventivamente al loro interrogatorio in udienza. Sottolinea la natura residuale della testimonianza scritta nel processo civile P. Della Vedova, Commento all’art.257 bis, AA. VV., Commentario del codice di procedura civile – a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012, I,1096.

[8] Nel processo civile è possibile che il giudice preferisca l’interrogatorio diretto dei testimoni alla testimonianza in forma scritta: si pensi al caso in cui, in contumacia di una delle parti, si debba assumere la testimonianza di un soggetto della cui attendibilità il giudice nutra qualche dubbio, in considerazione del rapporto che lega il teste alla parte che ha chiesto di assumere la prova in forma scritta.

[9] In senso conforme F. Pistolesi, La testimonianza scritta, AA. VV., La riforma della giustizia e del processo tributario, Commento alla legge 31 agosto 2022, n.130, Milano, 71; S. Zagà, La nuova prova testimoniale scritta nel riformato processo tributario, Dir. prat. trib., 2022, 2155.

[10] L’art.58 del D.Lgs.n.546/1992 ricalca, infatti, l’art.345, comma 3, c.p.c., nella versione successiva alla novella introdotta dalla L.n.353/1990 e anteriore alle modifiche introdotte dal d.l.n.83/2012, convertito dalla L.n.134/2012, che ha abrogato il citato comma 3 dell’art.345 c.p.c. nella parte in cui ammetteva in appello le “prove indispensabili”. Per l’interpretazione dell’art.58 D.Lgs.n.546/1992 nel senso prospettato, F. Pistolesi, L’appello nel processo tributario, Torino, 2002, 347 ss.; P. Russo, Manuale di diritto tributario, 1999, Milano, 519; M. Finocchiaro, Commento all’art.58, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 801.

[11] Sulla stessa direzione si pone F. Pistolesi, La testimonianza scritta…cit., 70, il quale osserva che sarebbe stato preferibile consentire l’impiego della prova senza il limite della necessità, ossia quando il giudice l’avesse ritenuta semplicemente rilevante per la decisione.

[12] In questa diversa prospettiva sono prove necessarie tutte quelle rilevanti per la decisione. In tal senso, S. Zagà, La nuova prova testimoniale scritta…cit., 2150 ss.

[13] A. Giovannini sottolinea limpidamente come nel nostro processo il segmento dell’attività processuale riservato all’istruttoria sia “monco, non essendo prevista una fase istruttoria di studio e ponderazione delle prove in senso tecnico” in Giustizia civile e tributaria…cit., 2014, 21.

[14] L’art.253 c.p.c. così prevede: “il giudice istruttore interroga il testimone sui fatti intorno ai quali è chiamato a deporre. Può altresì rivolgergli, d’ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti medesimi. È vietato alle parti e al pubblico ministero di interrogare direttamente i testimoni”.

[15] Nella disciplina della testimonianza orale contenuta nel c.p.c. è previsto che la prova deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata. Al fine di pronunziarsi sull’istanza, il giudice dovrà tenere conto anche di quanto, rispetto a ciascuna di tali istanze, richieda l’altra parte. La controparte potrà opporsi o aderire alla richiesta, eventualmente indicando altri testimoni da sentire sui medesimi capitoli di prova, sia pure sotto il profilo di una allegazione opposta a quella prospettata dall’altra parte. La parte contro la quale la prova testimoniale è richiesta può quindi aderire, limitandosi a chiedere che altri soggetti siano chiamati a testimoniare al fine di provare il fatto contrario, oppure può opporsi all’ammissione del teste, sostenendone ad esempio l’inammissibilità, e chiedendo la prova contraria solo in via subordinata, ossia nell’ipotesi di ammissione. A tali richieste si applica il sistema preclusivo che riguarda tutti i mezzi di prova e che si articola nelle facoltà e nei termini di cui all’art.171 ter c.p.c.. Ne deriva che tanto nel caso in cui la testimonianza sia stata richiesta con la citazione o con la comparsa di risposta, tanto nel caso in cui sia stata richiesta con la memoria integrativa di cui all’art.171 ter, comma 1, n.2), c.p.c., l’altra parte avrà diritto a formulare l’istanza per l’ammissione della prova contraria entro i termini stabiliti dal medesimo art.171 ter, comma 1, n.3), c.p.c..

[16] La scelta di non ammettere la prova testimoniale scritta è censurabile sia in appello che nel giudizio di legittimità: occorre quindi che l’ordinanza che dovesse negarne l’ammissione sia adeguatamente motivata.

[17] È largamente condivisa in dottrina l’idea che già la riforma introdotta dal D.P.R.n.636/1972 abbia sostituito al modello del processo tipicamente inquisitorio, un modello dispositivo “moderatamente inquisitorio”, tutt’oggi vigente. Si veda, in tal senso, M. Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2018, 136 ss.; N. Sartori, I limiti probatori nel processo tributario, Torino, 2023, 5 ss.; F. Tesauro, Sui principi generali dell’istruzione probatoria nel processo tributario, Riv. dir. fin., 1978, II, 203; Id., Ancora sui poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Riv. dir. fin., 1988, II, 14; Id., Manuale del processo tributario, Torino, 2020, 159 ss.; A. Turchi, I poteri delle parti nel processo tributario, Torino, 2003, 379. Sottolineano, invece, la permanenza di una connotazione in chiave inquisitoria C. Glendi, L’istruttoria nel nuovo processo tributario, Dir. prat. trib., 1996, I, 1132; S. La Rosa, L’istruzione probatoria nella nuova disciplina del processo tributario, Boll. trib., 1993, 870; P. Russo, Manuale di diritto tributario. il processo tributario, Milano, 2013, 194.

[18] In tal senso G. Cipolla, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 561; R. Schiavolin, Le prove…cit., 487; G. Tabet, Luci ed ombre nel nuovo processo tributario, Riv. dir. trib., 1996, I, 627; G. Tinelli, Diritto processuale tributario, Milano, 2021, 208. Ne deriva che i poteri istruttori non possono essere utilizzati dal giudice per rimediare a possibili deficienze probatorie imputabili alle parti.

[19] Convergono sulla medesima soluzione F. Pistolesi, La testimonianza…cit., 74; N. Sartori, I limiti probatori…cit., 246; In senso contrario, C. Glendi, L’istruttoria nel processo tributario riformato. Una rivoluzione copernicana!, Quot. giur. Ipsoa, 24 settembre 2022; A. Lovisolo, Sull’onere della prova e sulla prova testimoniale nel processo tributario: prime osservazioni in merito alle recenti modifiche ed integrazioni apportate all’art.7 D. Lgs. N.546 del 1992, Dir. prat. trib., 2023, 52.

[20] Come osservava E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 392, “il problema dell’incombenza della prova si pone, prima che alle Commissioni Tributarie, alla stessa amministrazione; vi è un principio generale, ricostruibile per molti indizi ed elementi, che a nessun atto la pubblica amministrazione possa accingersi, senza aver procurato a sé stessa la prova dei fatti che determinano la sua potestà di dar vita a quell’atto”.

[21] Coerente con la tesi che si sostiene è l’idea, elaborata dalla dottrina, secondo cui l’obbligo gravante sull’amministrazione finanziaria di indicare in motivazione le prove della pretesa troverebbe conferma nella nozione stessa di “prova”. Con tale unico termine, invero, il nostro linguaggio descrive ciò che gli ordinamenti anglosassoni distinguono in proof ed evidence. Il termine evidence descrive ogni elemento che può essere impiegato per la conoscenza del fatto; il termine proof descrive, invece, il risultato che deriva dall’acquisizione dei mezzi di prova nel processo. La proof è la conoscenza del fatto che il giudice ha acquisito sulla base dell’evidence. Se, dunque, per “prova” si intende l’evidence, si deve riconoscere che con tale locuzione si indica l’elemento di conoscenza che ha consentito all’amministrazione finanziaria di pervenire a determinate conclusioni. Cfr. su tali questioni G. M. Cipolla, La prova tra procedimento…cit., 310; F. Gallo, L’istruttoria…cit., 36; Id., Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione nel pensiero della Corte, Rass. trib., 2001, 1097; M. Basilavecchia, Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S. Cassese, I, Milano, 2006, 52. Queste puntualizzazioni sul significato del termine “prova” consentono di risolvere positivamente la questione se le prove debbano essere o meno indicate nella motivazione dell’avviso di accertamento. L’evidence, infatti, appartiene pienamente all’area della motivazione, perché ne costituisce un elemento necessario. “Se poi in sede processuale (…) la dimostrazione della pretesa non sarà raggiunta, è evidente che quegli stessi elementi probatori che si presentano nell’atto di accertamento come evidence non costituiscono proof nel processo e, quindi, perdono la loro funzione di giustificare la pretesa” (così F. Gallo, L’istruttoria…cit., 36). Sulla distinzione tra evidence e proof si vedano anche gli studi di diritto processuale civile di V. Denti, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, Riv. dir. proc., 1972, 414; M. Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, Riv. dir. proc., 1973, 417.

[22] Si tratta dell’art.56, comma 2, del D.P.R.n.633/1972, in materia di Iva, e dell’art. 16 del D.Lgs.n.472/1997, con riguardo al provvedimento di irrogazione delle sanzioni.

[23] Non sembra che il mancato espresso riferimento alle risultanze dell’istruttoria nell’art.7 dello Statuto dei diritti del contribuente possa condurre a soluzioni diverse da quelle cui già perveniva la dottrina a seguito dell’emanazione della legge generale sul procedimento amministrativo. Il richiamo alle risultanze dell’istruttoria, infatti, non esprime altro che il legame sussistente tra i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche determinanti la decisione dell’amministrazione.

L’esposizione delle “ragioni giuridiche” non si risolve nella mera elencazione delle norme che si ritengono astrattamente applicabili. Si tratta, piuttosto, di valutare giuridicamente le prove reperite, sulla base dei presupposti di fatto emersi nel corso dell’istruttoria. Si rende necessario, pertanto, anche alla luce dell’art. 7 dello Statuto, nonché delle disposizioni recate dal D. Lgs. 26.1.2001, n. 32, procedere all’enunciazione degli elementi probatori in seno alla motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria.

A fugare ogni dubbio, anche sotto il profilo testuale, soccorre lo stesso art. 7 della legge 27.7.2000, n. 212, che se pure rende esplicita soltanto la necessaria indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, stabilisce che gli atti sono motivati “secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241”. Pertanto, il richiamo all’integrale formulazione di tale norma induce a concludere, anche sotto questo aspetto, che il contenuto dell’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo, in cui si fa riferimento all’indicazione degli elementi probatori, sia interamente applicabile agli atti amministrativi tributari.

[24] Si tratta dell’art.32 del D.P.R.n.600/1973 e dell’art.51 del D.P.R.n.633/1972.

[25] Cfr. Corte cost., Corte Cost., 21.1.2000, n.18, Rass. trib., 2000, 557, con nota di P. Russo, Sul divieto della prova testimoniale…cit., 567.

[26] Cfr. Cass., sez. trib., 14.5.2010, n. 11785; Cass., sez. trib., 30.9.2011, n.20032; Cass., sez. trib., 5.4.2013, n.8369; Cass., sez. trib., 7.4.2017, n. 9080; Cass., sez. trib., 22.7.2021, n.20970; Cass., sez. trib., 4.11.2021, n.31588; Cass., sez. trib., 28.10.2022, n.32024.

[27] Cfr. Cass., sez. trib., 29.7.2021, n.21701; Cass., sez. trib., 22.7.2021, n.20983; Cass., sez. trib., 20.5.2020, n.9316; Cass., sez. trib., 16.3.2018, n.6616; Cass., sez. trib., 3.3.2020, n.5798; Cass., sez. trib., 9.8.2016, n.16711; Cass., sez. trib., 8.4.2015, n.9646; Cass., sez. trib., 20.6.2008, n.16845. In tal senso, in dottrina, A. Comelli, Valenza probatoria delle dichiarazioni rese da terzi nel processo tributario, Corr. trib., 2014. 2958; A. Colli Vignarelli, La Corte di Cassazione si pronuncia ancora in tema di dichiarazioni di terzi, Boll. trib., 2019, 971.

[28] Solleva il problema con formula dubitativa F. Pistolesi, La testimonianza…cit., 73 ss..

[29] Per l’ammissibilità, anche nel processo tributario, delle prove “atipiche”, cfr. G. Cipolla, La prova…cit. 604. Si tratta, in particolare, delle prove che non trovano espressa disciplina nel codice civile e nel codice di procedura civile, nonché delle prove che, pur avendo contenuto analogo a quello delle prove “tipiche” (o nominate), differiscono da queste ultime per il procedimento di acquisizione. Si pensi, tra le prime, alle sentenze emesse in altri giudizi; si pensi, invece, tra le seconde, alle prove formate in altri giudizi. Tali prove sono “tipiche” nel processo in cui sono formate, ma diventano atipiche quando sono utilizzate dal giudice tributario.

[30]Tutte le prove menzionate, invero, sono indirette (o rappresentative). Si definiscono tali le prove in cui tra il fatto storico e la percezione del giudice si pone uno strumento rappresentativo: il giudice non percepisce il fatto immediatamente, ma attraverso una rappresentazione del fatto contenuta in un documento. E’ pacificamente riconducibile al genus delle prove indirette (o rappresentative) anche la prova presuntiva, atteso che, in tal caso, la prova è costituita da un procedimento complesso, che muove da un fatto, il quale, pur non integrando direttamente la fattispecie dedotta in giudizio, consente di giungere, attraverso un ragionamento presuntivo, ad affermare l’esistenza (o l’inesistenza) dei fatti che integrano la fattispecie. Il documento in questo caso non rappresenta i fatti primari, cioè i fatti immediatamente integrativi della fattispecie, ma i fatti secondari, cioè quelli da cui, attraverso il ragionamento, è possibile pervenire a dedurre l’esistenza o l’inesistenza dei fatti primari. Cfr. in tal senso, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2011, II, 75, il quale chiarisce che la prova presuntiva non costituisce un tipo di prova distinguibile da prove dirette e indirette, perché “ha la caratteristica di unire la prova di un fatto, raggiunta con i normali mezzi di prova diretti o rappresentativi, con un ragionamento del giudice che consente di inferire dall’esistenza del fatto secondario provato (….), l’esistenza o l’inesistenza del fatto primario, che è rilevante per la decisione”.

[31] Per la distinzione tra prove precostituite e prove costituende cfr., per tutti, G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, 2015, II, 99.

[32] Contra, N. Sartori, I limiti probatori…cit., 267 e 268, secondo cui anche a seguito della riforma dell’art.7, comma 4, “la prova va precostituita e (…) il giudice tributario annulla l’atto se la prova della fondatezza” manca. In particolare, l’Autore afferma, muovendo da questa premessa, che “l’Amministrazione finanziaria non potrebbe nemmeno, raccolta una dichiarazione di un terzo, emettere sulla sola base di questa un avviso di accertamento, chiedendo poi al giudice di assumere la testimonianza del terzo a fondamento dell’atto impugnato”.

[33] Tra gli studiosi di diritto processuale civile sostengono la tesi prospettata L.Ariola, Le prove atipiche nel processo civile, Torino, 2008, 68; G. Balena, Elementi di diritto processuale civile, II, Bari, 2006, 171; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2015, 188; Id., Commento all’art.257 bis. c.p.c., AA. VV., La riforma della giustizia civile, Milano, 2009, 79; R. Crevani, Commento all’art.257 bis c.p.c., AA. VV., Commentario del codice di procedura civile a cura di M. Taruffo, II, Bologna, 2014, 744 ss.; Id., La prova testimoniale, AA. VV., La prova nel processo civile a cura di M. Taruffo, Milano, 2012, 279; A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, Riv. dir. trim. dir e proc. civ., 2011, 693; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2011, 129 ss.; A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012, 424.

[34] In tal senso, con particolare riguardo al processo tributario riformato, N. Sartori, I limiti probatori…cit., 266 ss., il quale sottolinea che deve escludersi che “l’enigmatica denominazione di prove atipiche possa valere per aggirare preclusioni, divieti o limiti dettati da disposizioni sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi”.

[35] Cfr. G. Cipolla, La prova tra procedimento e processo, Padova, 2005, 113 ss. e tutta la bibliografia ivi citata. Tra gli studiosi di diritto processuale civile che sostengono la tesi prospettata, M. Taruffo, La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, Milano, 1992, 384. La possibilità di far ricorso a mezzi di prova diversi da quelli tipici (o nominati) è indirettamente confermata dall’art.2729 c.c., da cui può desumersi la atipicità degli indizi utilizzabili per risalire, secondo l’espressione utilizzata nell’art.2727 c.c., da in fatto noto (l’indizio) ad un fatto ignoto: poiché non esiste alcun limite ai fatti da cui può muovere il giudice nel ragionamento presuntivo, nulla esclude che la c.d. “prova atipica” possa essa stessa costituire un indizio utile per concorrere a formare il convincimento del giudice.

Con particolare riguardo al tema della testimonianza scritta, cfr. C. Besso, La testimonianza scritta ex art.257 c.p.c.: i caratteri dell’istituto, Giur. it., 2013, 221 ss.; L. Dittrich, La prova per testimoni, AA. VV., Diritto processuale civile a cura di L. Dittrich, II, Milano, 2019, 2066.

[36] In questa diversa e più convincente prospettiva, a chi sostiene che le dichiarazioni di terzi rese fuori dal processo non possano più oggi essere ascritte alla species delle prove atipiche perché si tratterebbe di prove tipiche per testimoni nulle, è possibile obiettare che, proprio perché tali scritture non sono riconducibili alle testimonianze, non ha senso parlare di elusione o violazione delle norme che regolano l’assunzione della prova per testimoni.

[37] In tal senso anche S. Zagà, La nuova prova testimoniale scritta…cit., 2152.

[38] In tal senso, F. Pistolesi, La testimonianza…cit., 81; S. Zagà, La nuova prova testimoniale scritta…cit., 2151.

[39] Muovendo dalle conclusioni raggiunte, cioè che occorre tenere su piani distinti evidence e proof, che sia possibile anche per la parte pubblica essere ammessa nel giudizio di annullamento alla prova testimoniale scritta al fine di provare i fatti costitutivi della pretesa e che, infine, permanga inalterato il potere dell’Ufficio di acquisire dichiarazioni di terzi nel corso dell’istruttoria, è possibile ritenere che l’Amministrazione finanziaria possa porre a fondamento dell’avviso di accertamento un unico elemento indiziario, cioè la dichiarazione del terzo, a condizione che quest’ultima sia acquisita al processo nella forma di prova testimoniale scritta. Contra, N. Sartori, I limiti probatori…cit., 267-268.

[40] A seguito delle sentenze della Corte costituzionale n.248 del 23.7.1974 e n.139 dell’11.6.1975, con cui è stata rispettivamente dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 247 e 248 del c.p.c., l’unica norma che stabilisce limiti soggettivi alla capacità di rendere testimonianza è l’art.246 c.p.c..

[41] Alla tesi di coloro che sostenevano l’incapacità di testimoniale degli interventori principali o adesivi autonomi e la capacità degli interventori adesivi dipendenti, si sono contrapposte la tesi di chi ha sostenuto l’incapacità di tutti i possibili legittimati all’intervento, e la tesai di chi ha ritenuto capaci solo i potenziali interventori principali, estendendo l’incapacità a tutti i legittimati ad altre forme di intervento. Tra i primi, F. Carnelutti, Legittimazione all’intervento e testimonianza, Riv. dir. proc., 1954, p. 120 ss.; V. Andrioli, voce Prova testimoniale (Diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., XIV, Torino, 1957, 329 ss.. Tra i secondi, E. Allorio, Contro il mediatore teste, in Giur. it., 1953, I, 1000 e E. F. Ricci, Legittimazione alla testimonianza e legittimazione all’intervento, Riv. dir. proc., 1960, 323.

[42] Cfr., ex multis, Cass., 5.1.2018, n.167; Cass., 21.10.2015, n.21418; Cass., 16.9.2013, n.21106; Cass., 8.6.2012, n.9353; Cass., 16.5.2006, n.11377; Cass., 2.2.2006, n.2333; Cass., 13.4.2005, n.7677; Cass., 21.8.2003, n.12317; Cass. 17.7.2002, n.10382; Cass., 3.4.1998, n.3432.

[43] In tal senso, L. Dittrich, La prova per testimoni…cit., 2015; C. Di Martino, Prova testimoniale, (diritto processuale penale), Enc. giur., XXV, Roma, 1991, 11; A. Scalfati, Testimonianza e segreti nel processo penale (un’indagine su interessi in conflitto), Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, 1235; G. Spangher, Commento all’art.200-201, in Chiavario, Commento al nuovo codice di procedura penale, II, Torino, 1990, 459 ss.; M. T. Sturla, Prova testimoniale, in Digesto pen., X, Torino, 1995, 431.

[44] Gli artt. 244 e 245 c.p.c. sono indubbiamente applicabili anche nel processo tributario, atteso che è assente nel testo del D. Lgs. n.546/1992 qualsiasi disciplina in ordine al modo in cui la prova deve essere dedotta dalle parti e al provvedimento che dovrà essere emesso dal giudice per ammettere la prova richiesta. Analoghe conclusioni possono essere formulate per l’art.255, comma 1, c.p.c.. Tale norma prevede che il giudice condanni il testimone regolarmente intimato che non si presenta a una pena pecuniaria non inferiore a 100 euro e non superiore a 1.000 euro. Anche tale disposizione può trovare applicazione nel processo tributario in ragione della circostanza che l’art.257 bis, comma 6, c.p.c. prevede espressamente che “quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma”.

[45] L’intimazione (art.250 c.p.c.), il giuramento (art.251 c.p.c.), l’identificazione (art.252 c.p.c.), le interrogazioni e le risposte (art.253 c.p.c.), il confronto (art.254 c.p.c.), la mancata comparizione dei testimoni (art.255 c.p.c.), il rifiuto di deporre e la falsità della testimonianza (art.256 c.p.c.), nonché l’assunzione di nuovi testimoni d’ufficio e la rinnovazione dell’esame (art.257 c.p.c.), costituiscono materia rilevante ai fini dell’assunzione della testimonianza in forma orale.

[46]In tal senso depongono il tenore letterale comma 4, secondo cui il giudice tributario “può ammettere” la testimonianza, e la formulazione dell’art.257 bis c.p.c., cui il citato comma 4 espressamente rinvia. L’art.257 bis, comma 2, c.p.c., invero, stabilisce che il modello di testimonianza deve essere predisposto dalla parte “che ha richiesto l’assunzione” della prova, così lasciando intendere inequivocabilmente che la testimonianza scritta non può essere disposta d’ufficio dal giudice.

[47] Come chiarito dalla stessa norma, tale potere è “sempre” esercitabile dal giudice, ossia anche se la causa sia già stata riservata per la decisione.

[48] Si pensi all’art.250 c.p.c. (intimazione del testimone), all’art.251 c.p.c. (giuramento), all’art.252 c.p.c. (identificazione), all’art.253 c.p.c. (interrogazioni e risposte), nonché all’art. 254 c.p.c. (confronto).

[49] In tal senso, G. Cipolla, La prova nel diritto tributario…cit., 556 e 557; I. Manzoni, Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell’Iva, Milano, 1993, 155; F. Tesauro, Prova (diritto tributario), in Enc. dir., Aggiornamento, III, Milano, 1999, 885.

[50] La più analitica trattazione dei limiti oggettivi alla prova testimoniale previsti nel codice civile è di V. Andrioli, voce Prova testimoniale…cit., 329 ss.. Si vedano anche, per una trattazione più sintetica, M. Taruffo, Prova testimoniale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 743; L. P. Comoglio, Le prove, in Tratt. Rescigno, XIX, I, Tutela dei diritti, Torino, 1990, 305.

[51] L’art.2726 c.c., inoltre, al fine di chiarire un dibattito esistente nel vigore del precedente codice civile, chiarisce che le norme stabilite per la prova testimoniale dei contratti si applicano anche al pagamento e alla remissione del debito.

[52]Cfr., ex multis, Cass., sez. 6 – 2, 1.3.2019, n.6199; Cass., sez. 2, 6.12.2001, n.15482; Cass., sez. 1, 13.12.1999, n.13937; Cass., sez. 1, 15.2.1999, n.1226; Cass., sez. 3, 2.7.1997, n.5944; Cass., sez. 2, 25.3.1995, n.3562; Cass. sez. 2, 21.12.1988, n.6987; Cass. sez. 2, 7.4.1987, n.3351; Cass., sez. 2, 21.7.1983, n. 5029.

[53] Per una critica all’interpretazione ormai consolidata della norma operata dalla giurisprudenza, si veda L. Dittrich, La prova per testimoni…cit., 2004.

[54] La norma, rubricata “eccezioni al divieto di prova testimoniale”, prevede che la prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova”.

[55] In tal senso, L. Dittrich, La prova per testimoni…cit., 2005.

[56] Osserva che non è stato adeguatamente riformato l’art.7 del D.Lgs.n.546/1992 anche F. Moschetti, Ripensando il processo tributario come insieme di regole proporzionate ad un fine, Riv. dir. trib., 2022, I, 568.