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La sospensione dell’atto amministrativo e la disapplicazione della legge. La Corte costituzionale ritorna sull’eccesso del potere giurisdizionale in sede di conflitto di attribuzione.
Con il presente contributo si commenta una recente pronuncia della Corte costituzionale (Corte cost., 6 luglio 2023, n. 137), che ritorna a pronunciarsi in tema di eccesso di potere giurisdizionale, passandosi in rassegna le peculiarità del caso, i profili critici, nonché le linee di continuità e discontinuità con i precedenti in materia.
Di Alessandro Rosario Rizza -
Sommario: 0. Premessa. Lo spunto innovativo della pronuncia: il provvedimento cautelare che sospende l’atto amministrativo attuativo della fonte primaria; 1. Il caso: la legge n. 2/2022 della Regione Veneto e la sospensione degli atti amministrativi attuativi della “riduzione della porzione del territorio del Comune di Caprino Veronese rientrante nella zona faunistica delle Alpi”; 2. Il conflitto tra enti: le censure avanzate innanzi alla Corte costituzionale dalla Regione Veneto, avverso le ordinanze cautelari del Tribunale Amministrativo Regionale. L’eccesso del potere giurisdizionale; 2.1.Le difese in rito svolte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: la genericità del ricorso e la equivalenza tra il contenuto del provvedimento amministrativo e della legge regionale; 3. Il provvedimento giudiziario come oggetto di un conflitto di attribuzione. Conferme e limiti del principio; 4. L’ordinanza cautelare non viola i limiti del potere giurisdizionale, se essa disapplica gli atti attuativi di una fonte primaria per cui è pendente la questione di legittimità costituzionale. Profili critici dell’approdo: l’introduzione di un sindacato di legittimità costituzionale diffuso, ma provvisorio?; 5.La “nuova” funzione del potere cautelare e l’introduzione di una nuova concezione di “pregiudizio irreparabile”, tra fumus boni juris e periculum in mora. Profili critici e considerazioni conclusive.
0. Premessa. Lo spunto innovativo della pronuncia: il provvedimento cautelare che sospende l’atto amministrativo attuativo della fonte primaria.
Con una recentissima sentenza[1], la Corte costituzionale – nella sua particolare veste di Giudice dei conflitti – è tornata a pronunciarsi sulla configurabilità dell’eccesso di potere, a seguito dell’esercizio del potere giurisdizionale, con una pronuncia interessante e, per certi versi, innovativa.
La Corte costituzionale sembra avere ammesso il potere del giudice amministrativo, in sede cautelare, di poter procedere alla disapplicazione degli atti amministrativi attuativi della fonte primaria (dunque, ad una sostanziale disapplicazione di quest’ultima) “in attesa” dell’esito del giudizio di legittimità costituzionale, previamente sollevato sulla disposizione primaria.
Per tale via, la Corte costituzionale è andata a riconoscere una effettiva nuova funzione al provvedimento cautelare amministrativo, che, secondo il Giudice dei conflitti, può declinarsi come “possibilità di adottare misure atipiche, a contenuto propulsivo o sostitutivo, con le quali viene attribuito anticipatamente e provvisoriamente il bene della vita cui aspira il ricorrente” – quasi riconoscendo l’esistenza di una forma, sebbene sui generis, di controllo di legittimità costituzionale diffuso, sebbene circoscritto nel tempo, esercitabile attraverso il provvedimento cautelare sospensivo degli atti amministrativi, attuativi di una legge oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale pendente.
1.Il caso: la legge n. 2/2022 della Regione Veneto e la sospensione degli atti amministrativi attuativi della “riduzione della porzione del territorio del Comune di Caprino Veronese rientrante nella zona faunistica delle Alpi”.
Il conflitto tra enti è stato sollevato dalla Regione Veneto avverso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sebbene – come è stato osservato in dottrina – si tratterebbe comunque di un conflitto “sostanzialmente” tra poteri dello Stato, e cioè tra il potere legislativo (sebbene regionale) ed il potere giurisdizionale, sicché l’interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri parrebbe più vicino a quello del potere legislativo regionale che al potere giudiziario[2].
L’oggetto del conflitto è stato rappresentato da due ordinanze cautelari emesse dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto[3] – sicché la pronuncia della Corte costituzionale (che ha ritenuto, come si dirà, ammissibile il conflitto) ha sostanzialmente confermato il proprio orientamento in materia[4], che ritiene suscettibili di costituire oggetto del conflitto anche le sentenze della Corte di Cassazione[5].
In particolar modo, le ordinanze sono state impugnate dalla Regione Veneto, per eccesso di potere, nella parte in cui il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto che, in alcuni comuni regionali (e contrariamente a quanto previsto dalla legge regionale di settore, la n. 2 del 2022), fossero mantenute speciali forme di tutela dell’esercizio dell’attività venatoria, previste per le zone faunistiche alpine[6], andando a sospendere gli atti amministrativi attuativi della disciplina regionale.
Il giudizio di merito, infatti, originava dalla impugnazione, da parte del Comune di Rivoli Veronese, del Comprensorio Alpino di Caccia di Caprino Veronese[7], nonché da parte del Comprensorio Alpino di Caccia di Rivoli Veronese, dell’approvazione del Piano faunistico-venatorio[8] (ivi compresi, appunto, gli atti applicativi della legge regionale n. 2 del 2022)[9], nella parte in cui si prevedeva la “riduzione della porzione del territorio del Comune di Caprino Veronese rientrante nella zona faunistica delle Alpi” (c.d. “ZFA”), secondo la previsione della legislazione statale[10], nonché laddove prevedeva la “totale esclusione” del Comune di Rivoli Veronese dalla medesima zona faunistica.
Sia nei ricorsi introduttivi dei giudizi sia nei ricorsi proposti per motivi aggiunti (avverso gli atti applicativi della legge regionale), i ricorrenti avevano avanzato domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati (ivi compresa la legge regionale del Veneto, n. 2 del 2022 – la quale però era intanto oggetto di giudizio di legittimità costituzionale)[11], chiedendosi, in difformità a quanto previsto dalla legge regionale, “il ripristino del limite territoriale della ZFA preesistente”.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, all’esito delle camere di consiglio in cui venivano trattate le rispettive domande cautelari, andava, così, ad adottare le ordinanze di sospensione cautelare che hanno originato il conflitto tra enti in commento. In particolar modo, il Tribunale Amministrativo andava provvisoriamente a sospendere gli atti applicativi della previsione legislativa regionale e disponeva, contestualmente, che venissero mantenute, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, “le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine”.
2. Il conflitto tra enti: le censure avanzate innanzi alla Corte costituzionale dalla Regione Veneto, avverso le ordinanze cautelari del Tribunale Amministrativo Regionale. L’eccesso del potere giurisdizionale.
La Regione ha ritenuto le statuizioni del giudice amministrativo (disapplicative dei provvedimenti attuativi della fonte regionale) in “evidente e diametrale contrasto” con quanto previsto dalla fonte primaria, andando ad osservare che, ad ogni modo, essa aveva “dato esecuzione alle prescrizioni disposte dal giudice amministrativo nelle pronunce cautelari”, contestando gli errores in iudicando mediante tempestiva proposizione dell’appello cautelare[12] innanzi al Consiglio di Stato.
La Regione Veneto, dunque, innanzi alla Corte costituzionale, è andata a richiedere l’annullamento delle ordinanze cautelari rammentate, deducendo come i provvedimenti giurisdizionali sarebbero stati adottati in “carenza assoluta di giurisdizione”, poiché essi andrebbero a ledere l’autonomia legislativa costituzionalmente garantita della Regione. Il Tar avrebbe, per tale via, disapplicato atti non meramente amministrativi (o meglio, non solo meramente applicativi), ma, sostanzialmente, la fonte legislativa regionale cui gli stessi davano applicazione.
La Corte costituzionale, procedendo secondo il noto modello della doppia delibazione, ha ritenuto il ricorso per conflitto ammissibile, giacché (sul punto si ritornerà anche avanti) la Regione Veneto non ha inteso “censurare il modo in cui il Tar Veneto ha esercitato il proprio potere giurisdizionale, ma la sussistenza stessa di un potere giurisdizionale”[13], sub specie di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi attuativi.
Sarebbe venuto in rilievo – secondo la ricorrente – un abnorme uso del potere giurisdizionale[14]. Ciò in quanto la sottoposizione del territorio del Comune di Rivoli Veronese e del Comune di Caprino Veronese al regime giuridico degli ambiti territoriali di caccia (e la loro sottrazione al regime della zona faunistica delle Alpi) sarebbe stato disposto attraverso un “precetto dotato non soltanto della veste formale della legge”[15], ma anche “della sua natura sostanziale, ossia della natura di vera e propria norma giuridica generale e astratta”. In altri termini, il provvedimento cautelare del giudice amministrativo non si sarebbe limitato a disapplicare un atto “materialmente amministrativo”, ma sarebbe giunto a disporre, in modo generale e astratto, in senso opposto a una precedente disposizione legislativa regionale[16].
2.1. Le difese in rito svolte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri: la genericità del ricorso e la equivalenza tra il contenuto del provvedimento amministrativo e della legge regionale.
La Corte costituzionale, dichiarando ammissibile il conflitto tra enti (sebbene poi ritenendolo infondato), ha comunque disatteso alcune difese avanzate in limine litis dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e volte ad ottenere una declaratoria di inammissibilità del giudizio. Innanzitutto, la Presidenza aveva eccepito la inammissibilità dei ricorsi per genericità, in quanto volti a minare l’esercizio del potere cautelare del giudice amministrativo. Sul punto, il Giudice dei conflitti ha osservato come tale eccezione non possa dirsi fondata, poiché “non vi sarebbe alcun dubbio che la legge regionale del Veneto n. 2 del 2022 abbia previsto, per il territorio del Comune di Caprino Veronese, la sua parziale sottrazione alla zona faunistica delle Alpi, e per il territorio del Comune di Rivoli Veronese, la sua integrale collocazione all’esterno della medesima”[17] – e dunque un precetto diverso rispetto a quello che si ricava dalla disapplicazione degli atti attuativi della legge, per via dell’esercizio del potere cautelare.
Osserva la Corte costituzionale come non sono fondate “le deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri che censurano i ricorsi per genericità, poiché la Regione Veneto contesta con chiarezza l’asserita interferenza da parte del Tar Veneto nella propria attività legislativa di pianificazione del territorio (…) di ridurre la porzione del territorio del Comune di Caprino Veronese rientrante nella zona faunistica delle Alpi e di disporre la totale esclusione del Comune di Rivoli Veronese dalla medesima zona”.
Parimenti, la Corte costituzionale ha osservato come non possa condividersi la tesi della Presidenza secondo cui gli effetti delle ordinanze cautelari corrisponderebbero integralmente agli effetti della norma legislativa sulla cui base gli atti amministrativi sono stati adottati[18].
La Corte costituzionale ha osservato come il Tar Veneto, invece di limitarsi alla sospensione dell’atto amministrativo (istitutivo dell’ATC con riferimento al territorio di Rivoli Veronese e alla parte del territorio di Caprino Veronese esclusa dalla ZFA) sarebbe effettivamente “andato oltre”, disponendo, come a dire contra legem e cioè contrariamente a quanto previsto dalla legge regionale, che nel territorio interessato “fosse mantenuto il regime giuridico proprio della zona faunistica delle Alpi”. Infine, secondo il Giudice dei conflitti, non sarebbe neppure condivisibile la difesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri secondo cui se il giudice amministrativo non avesse adottato le misure cautelari sospensive della disciplina attuativa[19], la tutela interinale sarebbe risultata priva di effettività, “poiché a seguito della sospensione degli atti impugnati non si sarebbe comunque potuto dar luogo in alcun modo all’attività venatoria”.
3.Il provvedimento giudiziario come oggetto di un conflitto di attribuzione. Conferme e limiti del principio.
La Corte costituzionale – dopo avere ritenuto ammissibile il giudizio – ha ribadito il proprio orientamento[20] secondo cui essa ritiene “costantemente ammissibile” un ricorso per conflitto che abbia ad oggetto atti giurisdizionali, “a condizione che esso non si risolva in un improprio strumento di sindacato del modo di esercizio della funzione giurisdizionale”. In particolar modo, alla parte ricorrente è possibile solo contestare “radicalmente la riconducibilità dell’atto che ha determinato il conflitto alla funzione giurisdizionale”[21].
La Corte costituzionale ha ancora ricordato come la propria giurisprudenza ritenga che la ammissibilità di questa particolare forma di conflitto si ha “allorquando è contestata in radice l’esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del ricorrente”, non essendo ammissibile il conflitto per lamentare “ipotetici errores in iudicando, valendo, per questi ultimi, i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni”[22].
Laddove si ammettesse il conflitto anche per tale ipotesi, il giudizio costituzionale si trasformerebbe, in modo inammissibile, “in un nuovo grado di giurisdizione avente portata generale che si andrebbe ad aggiungere ai rimedi per far valere eventuali vizi o errori di giudizio già previsti dall’ordinamento processuale nel quale l’atto di giurisdizione concretamente si iscrive”[23].
Nel caso di specie, la Corte costituzionale ha ritenuto come la Regione Veneto non abbia contestato il “cattivo uso del potere cautelare” da parte del giudice amministrativo (che ha disposto la sospensione degli atti amministrativi applicativi della legge regionale), ma ha lamentato che, per mezzo delle ordinanze impugnate, il giudice abbia assoggettato i territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese alle speciali forme di limitazione dell’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine, sostanzialmente disapplicando la fonte regionale.
4.L’ordinanza cautelare non viola i limiti del potere giurisdizionale, se essa disapplica gli atti attuativi di una fonte primaria per cui è pendente la questione di legittimità costituzionale. Profili critici dell’approdo: l’introduzione di un sindacato di legittimità costituzionale diffuso, ma provvisorio?
Nonostante la “astratta” ammissibilità (giacché verrebbe in rilievo un errore che – secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale – ricadrebbe “sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa”[24]), il Giudice dei conflitti ha ritenuto il ricorso non fondato nel merito.
Secondo la Corte costituzionale, nelle ordinanze cautelari, il giudice amministrativo ha sospeso gli atti “nei limiti di interesse dei soggetti interessati”, disponendo, in via consequenziale, che, in attesa della definizione della questione pregiudiziale di legittimità costituzionale, venissero mantenute, nei territori interessati, “le speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche delle Alpi” – circostanza, però, che si traduce nella mancata attuazione di quanto previsto dalla legge regionale.
È proprio questo però un profilo critico della decisione, che pare esser dato dal rilievo per cui una fonte primaria (e i suoi atti applicativi), fintanto che non intervenga una pronuncia di illegittimità costituzionale, dovrebbero restare pienamente validi ed efficaci, né potrebbero essere soggetti ad una specie di “sospensione preventiva” da parte del giudice comune, in attesa di una (incerta) dichiarazione di illegittimità costituzionale. Per tale via, la Corte costituzionale ha finito per riconoscere nel diritto amministrativo uno standard di tutela sconosciuto persino in materia penale e di tutela dei diritti, ove è sentita più intensamente la c.d. “urgenza del reagire”.
D’altra parte, secondo la maggioritaria dottrina pubblicistica[25] ma anche secondo la più classica processualcivilistica che si è occupata del tema[26], è proprio l’art. 136 co. 1 Cost. a vietare “ai giudici comuni di disapplicare una legge efficace prima del giorno successivo della pubblicazione della sentenza di accoglimento”, circostanza che impedisce “il concorso libero altrimenti esistente, in linea di principio, nel sindacato diffuso”.
La tutela concessa dal giudice amministrativo, a opinione di chi scrive, pare non avvicinarsi all’ipotesi della “non applicazione” normativa (il che avrebbe escluso certamente l’eccesso del potere giurisdizionale)[27], ma a una ipotesi di disapplicazione “cautelare”, giustificata da una presunta e incerta illegittimità costituzionale della disposizione primaria, su cui si fonda l’atto amministrativo attuativo sospeso.
Il che pare un punto critico dell’intera pronuncia cui è giunta la Corte costituzionale, certamente intenta a limitare una apertura fin troppo generalizzata del conflitto avverso l’esercizio del potere giurisdizionale, andandosi a giustificare una ipotesi di effettiva disapplicazione normativa che, per costante giurisprudenza, sarebbe ricaduta sotto la scure del giudice dei conflitti[28].
D’altronde, la Corte costituzionale ha sempre condiviso l’idea maggioritaria secondo cui la legge incostituzionale, prima dell’intervenuta declaratoria di illegittimità, va considerata non “nulla” ma “annullabile”[29], e comunque efficace[30]: solleva dunque incertezza la motivazione con cui la Corte costituzionale ha escluso l’esistenza di un eccesso di potere giurisdizionale.
5.La “nuova” funzione del potere cautelare e l’introduzione di una nuova concezione di “pregiudizio irreparabile”, tra fumus boni juris e periculum in mora. Profili critici e considerazioni conclusive.
A supporto del proprio approdo, la Corte costituzionale ha ritenuto che il Tar non ha esercitato un potere eccentrico, ma si sarebbe limitato “a specificare l’effetto proprio della sospensione degli atti amministrativi impugnati” e cioè che, in conseguenza della sospensione dell’efficacia degli atti che dettavano disposizioni applicative per l’inserimento dei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese negli ATC, “nei medesimi territori si sarebbero mantenute le tutele dall’esercizio del prelievo venatorio previste per le zone faunistiche delle Alpi”.
Il Giudice dei conflitti ha ritenuto che “nell’esercizio del potere cautelare al giudice amministrativo è consentito adottare tutte le misure che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”[31], glissando però il vero punto dolente della vicenda, e cioè il rapporto tra la sospensione cautelare e la disapplicazione sostanziale della fonte legislativa.
Per tale via, la Corte costituzionale è finita per integrare il requisito del fumus boni juris declinandolo come “probabilità” di accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata su fonte primaria, sebbene la motivazione, che adduce la Corte costituzionale, laddove richiama i “pregiudizi irreparabili” dati dall’esecuzione degli atti amministrativi, pare inserire una rilettura anche del periculum in mora.
Secondo il Giudice dei conflitti, nell’ottica dell’effettività della tutela giurisdizionale, “il potere cautelare non si esaurisce nella sospensione dell’atto impugnato”, potendo ricomprendere la “possibilità di adottare misure atipiche, a contenuto propulsivo o sostitutivo, con le quali viene attribuito anticipatamente e provvisoriamente il bene della vita cui aspira il ricorrente”.
L’approdo, sul punto, sembra introdurre l’idea che, attraverso l’uso del provvedimento cautelare, il giudice (nel caso amministrativo) possa legittimamente esercitare un sindacato di legittimità costituzionale diffuso, sebbene provvisorio e circoscritto, valido fintanto che la Corte costituzionale non si pronunci definitivamente sulla questione.
Pare dubbio però che i requisiti cautelari del fumus boni juris e del periculum in mora possano declinarsi come rischio che la questione di legittimità costituzionale venga o meno accolta, e allora ci chiediamo se, forse, non fosse stato più opportuno che la Corte costituzionale avesse riconosciuto l’eccesso del potere giurisdizionale, giacché è appannaggio esclusivo della Corte costituzionale stabilire se una legge primaria sia conforme o meno alla Costituzione, essendo poi gli effetti caducatori della disciplina speciale comunque successivi e consequenziali alla pubblicazione della sentenza di declaratoria della illegittimità costituzionale.
Nonostante tale rilievo, il giudice amministrativo, ha continuato la Corte costituzionale, nell’adottare una misura cautelare di natura sospensiva “ha chiarito quali fossero gli effetti necessariamente conseguenti all’esercizio del potere cautelare di sospensione degli atti applicativi della legge”, ma pare evidente come il Giudice dei conflitti abbia “deciso di non decidere” sugli effetti della decisione del Tar, intesi come privazione di vigenza della fonte regionale primaria, mediante la paralisi degli atti amministrativi attuativi. Il che, oltretutto, parrebbe muoversi in rotta di collisione anche con la insindacabilità, da parte del giudice amministrativo, dell’atto politico[32], che ne uscirebbe, nel caso di specie, sostanzialmente disapplicato.
Come visto, attraverso una rilettura del potere sospensivo cautelare del giudice amministrativo (attraverso un iter argomentativo che non pare aver toccato i punti davvero nevralgici della vicenda), la Corte costituzionale ha ritenuto che la sospensione degli atti attuativi di una fonte primaria – per la quale si è in attesa del giudizio di legittimità costituzionale – vada comunque ascritta “nei limiti del potere giurisdizionale”
In conclusione, la Corte costituzionale ha lasciato irrisolte numerose questioni, avendo escluso l’eccesso del potere giurisdizionale e avendo avallato una “nuova” (ma forse discutibile) ipotesi di legittima disapplicazione (sebbene indiretta) di una fonte primaria.
Il tutto è passato, come visto, attraverso una sostanziale rilettura del fumus boni juris ma anche del periculum in mora del provvedimento cautelare amministrativo, inteso, con questa sentenza della Corte costituzionale, come peculiare forma di tutela volta a limitare gli effetti conseguenti ad una futura declaratoria di illegittimità costituzionale di una legge oggetto di giudizio per legittimità costituzionale.
Restano molti i profili però non chiariti nella sentenza, come, ad esempio, il rapporto tra questa forma di esercizio del potere giurisdizionale e gli ulteriori “paletti” costituzionali, quali l’art. 136 della Costituzione (che implicitamente esclude l’ammissibilità di un sindacato diffuso di legittimità costituzionale – neppure circoscritto alla limitatissima parentesi di tempo intercorrente tra l’adozione del provvedimento cautelare e la pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale) e l’art. 7 co. 1 c.p.a., che impedisce la disapplicazione o sindacabilità dell’atto politico.
In definitiva, la Corte costituzionale, in modo forse troppo tranchant sui profili coinvolti, ha, così (e in una ottica forse troppo garantistica, in relazione alla vicenda e ai singoli diritti coinvolti) ritenuto come la disapplicazione indiretta della fonte primaria vada intesa come una misura “strettamente funzionale a garantire l’effettività della tutela cautelare, esercitata tramite la sospensione degli atti amministrativi e volta a evitare possibili pregiudizi irreparabili nelle more della definizione della indicata questione pregiudiziale di legittimità costituzionale”.
[2] Cfr. R. Romboli, Storia di un conflitto “partito” tra enti ed “arrivato” tra poteri (il conflitto tra lo Stato e la Regione avente ad oggetto un atto giurisdizionale), su Autori Vari, Studi in onore di Manlio Mazziotti di Celso, Padova 1995, 594.
[3] Tar Veneto, sez. I, ord. 20 giugno 2022, n. 615 e Tar Veneto, sez. I, ord. 15 luglio 2022, n. 656.
[4] Per una ricostruzione della giurisprudenza e della tematica nel suo complesso, se si vuole, A.R. Rizza, Conflitto tra poteri e diritti soggettivi, Milano 2021, spec. 113 ss. Il tema ha certamente numerosi profili in comune con la ipotesi dell’eccesso del potere giurisdizionale di cui all’art. 111 Cost., su cui si rinvia, per una analisi del tema, ad A. Panzarola, Il controllo della Corte di cassazione sui limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, su Riv. trim. dir. proc. civ., 2018.
[6] In particolar modo, l’eccesso di potere giurisdizionale colpirebbe la parte dell’ordinanza che dispone che “vengano mantenute, nei territori del Comune di Rivoli Veronese, le speciali forme di tutela dell’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine”.
[8] Ad opera dell’art. 1 della legge della Regione Veneto 28 gennaio 2022, n. 2, recante il “Piano faunistico-venatorio regionale (2022-2027) e modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”.
[9] I ricorrenti hanno successivamente proposto motivi aggiunti, impugnando gli atti amministrativi applicativi della legge regionale, i quali – in attuazione della esclusione del Comune di Rivoli Veronese e di una parte del territorio del Comune di Caprino Veronese dal regime giuridico della zona faunistica delle Alpi – rimodulavano conseguentemente i comprensori alpini in cui quest’ultima è suddivisa, ai sensi dell’art. 14 co. 4 della legge n. 157 del 1992, e gli Ambiti territoriali di caccia (noti come “ATC”), escludendo tali territori dai primi e includendoli nei secondi.
[10] Di cui all’art. 11 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
[11] Da rilevare, oltretutto, come, con separata ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, il Tribunale Amministrativo ha sollevato questione di legittimità costituzionale sula legge regionale del Veneto.
[12] La Presidenza del Consiglio dei ministri ha ritenuto che le censure formulate dalla Regione Veneto sarebbero volte a contestare le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale da parte del Tar e, quindi, avrebbero dovuto essere proposte con un ordinario appello al Consiglio di Stato. In sostanza, poiché la Regione ha contestato la possibilità che oggetto della tutela giurisdizionale sia un atto normativo, l’error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice amministrativo di primo grado, configurandosi quale tipico vizio della pronuncia cautelare resa, avrebbe dovuto essere dedotto attraverso l’ordinario mezzo dell’impugnazione in appello, e non attraverso il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti. La Regione ha replicato sottolineando che le pronunce adottate dal Tar Veneto in sede cautelare, oltre a statuire sui provvedimenti amministrativi impugnati, avrebbero disposto – sebbene in via interinale – “in consapevole e radicale difformità da una legge regionale vigente”. La circostanza che nei giudizi innanzi al Tar le parti ricorrenti avessero chiesto l’adozione di simili misure cautelari “non renderebbe le censure mosse dalla Regione Veneto assimilabili a quelle volte a lamentare meri errores in iudicando, essendo ben più radicale l’errore contestato, in quanto inerente alla sussistenza stessa del potere di adottare le misure in questione”.
[13] Con riferimento alla sussistenza del “tono costituzionale” del conflitto, la Regione ha dedotto, oltre alla radicale insussistenza del potere che il Tar ha preteso di affermare, la “palese interferenza” che da tale pretesa deriverebbe nei confronti delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alla Regione.
[14] Tale potere sarebbe in contrasto con la regola della soggezione del giudice alla legge di cui all’art. 101 co. 2 della Costituzione, che è funzionalmente collegata alla previsione del giudizio accentrato di costituzionalità di cui all’art. 134 Cost., nonché integrerebbe la violazione dell’art. 117 co. 4 Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa residuale della Regione Veneto, in materia di caccia, e dell’art. 121 co. 2 Cost., che assegna al Consiglio regionale il compito di esercitare la potestà legislativa attribuita alla Regione, anche in riferimento agli artt. 19, 20 e 21 dello statuto regionale del Veneto, i quali, in forza dell’art. 123 co. 1 Cost. ribadiscono tale attribuzione e ne regolano l’esercizio.
[15] In quanto inserito nella legge regionale n. 2 del 2022.
[16] Il Tar Veneto, di conseguenza, avrebbe leso anche la competenza legislativa residuale che la Regione Veneto aveva inteso esercitare, ponendo nel nulla (sia pure temporaneamente) una norma legislativa adottata nell’esercizio delle attribuzioni riconosciute dall’art. 117 co. 4 Cost. nei limiti fissati dalla legge statale, a tutela della fauna selvatica, nell’art. 11 della legge n. 157 del 1992.
[17] La Regione Veneto ha ritenuto, inoltre, che le misure cautelari relative al mantenimento, nei territori del Comune di Caprino Veronese e del Comune di Rivoli Veronese, delle speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria previste per le zone faunistiche alpine sarebbero del tutto “estranee ai poteri di cui un giudice comune può disporre, poiché si risolverebbero nell’adozione di un precetto in diretto contrasto con una norma legislativa”.
[18] Osserva la Presidenza del Consiglio che “nel merito, i ricorsi sarebbero comunque non fondati, poiché il Tar avrebbe correttamente ritenuto di limitare l’efficacia della tutela cautelare ai soli provvedimenti attuativi della legge regionale, impugnati con i motivi aggiunti, e nei limiti dell’interesse della parte ricorrente. La circostanza che gli effetti di questi atti (…) possano coincidere con quelli propri della legge di cui costituiscono applicazione, sarebbe una inevitabile conseguenza della peculiare natura di tali atti”.
[19] La Presidenza del Consiglio, sul punto, evidenza che il Tar non avrebbe sospeso né modificato la cartografia allegata alla legge, ovvero il suo contenuto, ma si sarebbe limitato ad adottare l’unico provvedimento cautelare idoneo al mantenimento della res adhuc integra. Il temporaneo mantenimento, nell’ambito territoriale, di speciali forme di tutela costituirebbe, quindi, “l’effetto naturale (ed obbligato) della tutela cautelare nella specie concessa, non essendo giuridicamente ipotizzabile l’esistenza di zone del territorio regionale in cui l’esercizio della caccia non sia in alcun modo regolato – né vietato (ZFA) né programmato (ATC) – e sia, quindi, assolutamente libero”.
[20] Cfr. Corte cost., 22 luglio 2022, n. 184, su Giur. cost., 2022, 412, con nota di A. Fonzi, Spunti a margine della sentenza della Corte costituzionale n.184 del 2022: un conflitto intersoggettivo che incontra il giudizio di parifica, e Corte cost., 11 aprile 2022, n. 90, su Giur. cost., 2022, 8, con nota di V. Carucci, Conflitto intersoggettivo da atto giurisdizionale e garanzia di irresponsabilità dei consiglieri regionali ex art. 122 co. 4 della Costituzione. Spunti di riflessione a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 90/2022. In senso analogo, Corte cost., 20 febbraio 2020, n. 22, su Reg., 2020, 1271, con nota di G. Tarli Barbieri, Esperienze e conseguenzedella riduzione delle assemblee parlamentari regionali: i Consigli regionali in Italia; Corte cost., 12 gennaio 2018, n. 2, su Giur. cost., 2018, 26, con nota di D. Nocilla, Il Consiglio di Stato sbaglia strada e la Corte costituzionale puntualizza.
[25] Così A. Pace, Superiorità della Costituzione e sindacato delle leggi, su Riv. AIC, 2015, 4 – sebbene come noto l’A. poi assuma una posizione sui generis sulla disapplicazione della legge manifestamente incostituzionale, ritenendola nulla, efficace ma non obbligatoria per i cittadini. Negli stessi termini in narrativa, ed escludendo l’esistenza di un potere disapplicativo della legge incostituzionale, V. Onida, Illegittimità costituzionale di leggi limitatrici di diritti e decorso del termine di decadenza, su Giur. cost., 1965, 577.
[26] In questi termini anche M. Cappelletti, La pregiudizialità costituzionale nel processo civile, Milano 1957, 82.
[27]Corte cost., 19 marzo, 1985, n. 70, su Giur. cost., 1985, 1387, con nota di G. Galasso, In tema di oggetto del giudizio sui conflitti di attribuzione tra Stato e Regione.
[28] Si ricorda Corte cost., 14 giugno 1990, n. 285, cit., Nello specifico, nel 1990, la Corte di Cassazione aveva disapplicato una normativa regionale che andava a stabilire la depenalizzazione di un reato, sul presupposto che si fosse trattato di disciplina non conforme, sotto vari profili, alla Costituzione.
Secondo il contenuto del provvedimento giudiziario di legittimità, il quadro normativo sarebbe stato affetto da un vizio “palese” da rendere “superfluo” sollevare la questione di legittimità costituzionale. In quell’ipotesi, la Corte costituzionale ha annullato la pronuncia del giudice di legittimità, sul presupposto che possa ritenersi sussistente, nell’ordinamento italiano, un giudice, diverso dalla stessa Corte costituzionale, abilitato a dichiarare l’illegittimità di una disposizione, neppure laddove essa presenti una manifesta incostituzionalità.
In dottrina, in tal senso, v. P. Calamandrei, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova 1950, 395 ss.; M. Cappelletti, La pregiudizialità costituzionale nel processo civile, Milano 1957, 38 ss.; A.M. Sandulli, Natura, funzione ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi, su Riv. trim. dir. pubbl., 1959, 42; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, tomo II, Padova 1976, 1416 ss.; V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Padova 1984, 389; F. Modugno, voce Annullabilità e annullamento, Diritto pubblico, su Enc. giur., vol. II, Roma 1988, 5; L. Paladin, Diritto costituzionale, III ed., Padova 1998, 772.
[30] Cfr. F. Politi, Diritto pubblico, Torino 2013, 353 il quale rileva come “l’effetto proprio della sentenza di accoglimento è la cessazione di efficacia”.