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La rilevanza della questione interpretativa ex art. 363-bis c.p.c. fra presidenza, collegio della Corte e giudice a quo (a proposito di una recentissima “mancata” pronuncia pregiudiziale della Sezione Tributaria).
Di Antonio Briguglio -
1.Al debutto del rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis ho ritenuto che le prime applicazioni giurisprudenziali del nuovo e tutto sommato più che condivisibile istituto andassero seguite con particolare attenzione e che, in particolare, nei decreti di ammissione o non ammissione della presidenza andassero ricercati i più significativi apporti interpretativi in ordine al neonato art. 363-bis[1]. Ciò non vuol dire ovviamente che anche nelle ordinanze di rinvio dei giudici di merito e soprattutto nelle pronunce pregiudiziali collegiali della Suprema Corte non si ritrovino spunti assai utili alla decifrazione concreta nonché all’inquadramento sistematico ed anche politico del nuovo istituto. È anzi frequente che nelle sentenze pregiudiziali[2] il Collegio – statisticamente e per forza di cose meno impegnato dell’ufficio del primo presidente di fronte alla alternativa ammissibilità/inammissibilità del rinvio (il quale è stato già filtrato ed ammesso) e perciò riguardo a molte delle problematiche interpretative poste dal nuovo art. 363-bis – approfitti in questo periodo d’esordio (e smetterà verosimilmente fra qualche tempo trovando la cosa ormai superflua) per riepilogare, nella parte iniziale della motivazione e prima di affaccendarsi con la questione oggetto del rinvio, i fondamenti razionali di questo rarissimo prodotto intelligente della malaugurata “Cartabia”.
Ciò vale anche per la recentissima pronuncia della Sezione Tributaria della Cassazione 25 marzo 2025, n. 7965, dalla quale trae spunto questo scritto. Nella sua motivazione, al livello delle enunciazioni generali, trovo particolarmente azzeccata la trascrizione di quanto già si legge in Cass. Sez. Un. n.34851/2023: [il nuovo rinvio pregiudiziale] “rappresenta un’opportunità offerta al giudice di merito per rivolgersi all’organo giurisdizionale che, nell’attuale sistema, garantisce l’unità e l’uniforme interpretazione del diritto (…) e costituisce espressione di un nuovo bilanciamento tra i poteri riconosciuti alla giurisdizione di merito e di legittimità, nell’ambito del quale alla compressione del potere decisorio cui il giudice di merito decide di sottostare nell’esercizio delle prerogative che la legge gli attribuisce fa riscontro una forte espansione del ruolo d’impulso allo stesso spettante come parte del sistema giustizia nel suo complesso, inteso non più solo come funzione dello Stato diretta all’attuazione del diritto nel caso concreto, ma come servizio pubblico in cui le risorse destinate alla soluzione della singola controversia contribuiscono al soddisfacimento di un più ampio compendio di esigenze individuali”.
Sì tratta – credo, e se si considerano adeguatamente le locuzioni “espressione di un nuovo bilanciamento”, “decide di sottostare” e “forte espansione del ruolo di impulso” – della migliore risposta a chi ha ideologicamente criticato il nuovo istituto evocando i triti spauracchi della gerarchizzazione, della mortificazione della giurisprudenza di merito ecc…[3].
Dicevo che quando il rinvio passa il filtro il primo presidente ha già dovuto risolvere esplicitamente o implicitamente le problematiche, interpretative in astratto ed applicative in concreto, che riguardano i sintagmi dell’art. 363-bis relativi alla ammissibilità ed alle relative condizioni. Il che però non vuol dire che il collegio della Corte non posa tornarci sopra all’occorrenza, ma solo che la cosa sarà statisticamente piuttosto rara. Scontato insomma che il decreto di inammissibilità del primo presidente è ovviamente insindacabile[4], sol che altrettanto ovviamente non preclude un nuovo rinvio da parte del giudice di merito, alla domanda se il decreto di ammissibilità del primo presidente sia vincolante per il collegio deve rispondersi astrattamente in senso negativo[5]. È del resto la stessa prima presidenza che alle volte ha ammesso il rinvio con riserva e cioè rimettendo dichiaratamente al Collegio la soluzione definitiva della sottostante questione interpretativa – ad esempio quella relativa alla necessità rigorosamente imprescindibile ovvero in qualche modo aggirabile del contraddittorio previo alla ordinanza di rinvio[6] -, non volendo appunto sottrarre al collegio le sue prerogative in proposito. Il che sta appunto a significare che anche dal punto di vista del primo presidente fra queste prerogative rientra quella di andare di contrario avviso rispetto alla ritenuta ammissibilità del rinvio. Altro discorso è poi che il collegio possa de facto abdicare all’esercizio di tale prerogativa per ragioni di garbo istituzionale interno o di semplice buon senso, ad esempio: se non sia stato adeguatamente filtrato il rinvio di questione non particolarmente difficile o già risolta dalla Cassazione, è piuttosto arduo che il collegio, ormai investito e dopo la pubblica udienza, si limiti ad una mera restituzione degli atti al giudice a quo senza un contenuto motivazionale che, perfino di là dalla forma del provvedimento, spieghi in cosa consista la soluzione più o meno agevole o già impartita di quella questione.
Nel caso deciso da Cass. 25 marzo 2025, n. 7965 tuttavia la S.C. ribadisce in linea astratta, e facendo seguito a quanto già affermato da Cass. Sez. Un n. 15130/2024, il carattere per essa non vincolante della declaratoria di ammissibilità ad opera del primo presidente; ed in concreto tiene pienamente fede al proprio contrario avviso, poiché la condizione di ammissibilità implicata è quella della rilevanza (“la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio”: art. 363-bis, comma primo, n. 1), e nessuna ragione di buon senso[7], può escludere la insanabile contraddizione in termini consistente nel dire che la questione è irrilevante e contemporaneamente risolverla nel merito in sede di pronuncia sul rinvio pregiudiziale.
2. Sul piano teorico è sovrabbondante la motivazione della Sezione Tributaria quando si preoccupa di chiarire che la “necessità” “alla definizione anche parziale del giudizio”, letteralmente evocata dall’art. 363-bis, comma primo, n. 1, non deve far pensare ad un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico fra cause. La cosa è assolutamente ovvia. Così come assolutamente ovvio è che il nuovo rinvio pregiudiziale per così dire “interno” o “ordinario” dia luogo ad una ulteriore ipotesi di “sospensione impropria” che si affianca a quelle classiche innescate dal rinvio pregiudiziale costituzionale e dal rinvio pregiudiziale comunitario o unionale o europeo che dir si voglia (ma il nome originario andrebbe sicuramente conservato)[8]. Del pari ovvio che per “necessità” non possa dunque che intendersi “rilevanza” della quaestio nel senso in prima approssimazione comune ai tre casi di “pregiudizialità” appena evocati[9].
Ben più utile è che la motivazione in discorso richiami la diversità di piani ed anche di tempi tra una verifica di rilevanza che compete al primo presidente e poi e se del caso correttivamente al collegio della Corte, per così dire, allo stato degli atti e sulla base di quanto emerge anzitutto dalla stessa ordinanza di rinvio o anche dal contributo dialettico delle parti nelle memorie e nella discussione[10], ed una eventuale e sopravvenuta constatazione di irrilevanza pur sempre possibile dopo il responso pregiudiziale ad opera del giudice di merito, al quale resta pur sempre “affidata la ricostruzione della concreta vicenda processuale” (così già Cass. Sez. Un. n. 34851/2023). È dunque nella natura delle cose che il responso pregiudiziale non possa risultare nel momento in cui emanato puramente astratto e puramente vocato alla nomofilachia pro futuro (per quanto, in ipotesi, esso appaia sommamente utile in proposito), donde appunto la preventiva triplice (giudice di merito, primo presidente, Corte) verifica di sua effettiva rilevanza ai fini del decidere[11]; ma che quel responso possa a posteriori rivelarsi in concreto irrilevante e perciò inapplicabile – senza che ciò comporti vulnerazione della sua efficacia vincolante prevista dall’art. 363-bis – a motivo di una rivalutazione della controversia di merito ad opera del giudice che ne è investito; sicché in tal caso ed al postutto si avrà – visto che “sfar non puoi la cosa fatta” e senza che nessuno debba stracciarsi le vesti – il permanere di un principio di diritto, persuasivo e non vincolante, solamente vocato alla nomofilachia pro futuro.
La motivazione della Sezione Tributaria, trascrivendo un passaggio di Cass. Sez. Un. n. 34851/2023, richiama, a proposito della constatazione a posteriori della irrilevanza da parte del giudice di merito, le ipotesi delle modificazioni normative sopravvenute alla enunciazione del principio di diritto pregiudiziale e delle risultanze di una istruttoria più approfondita donde emerga una situazione di fatto difforme da quella tenuta presente nella formulazione del quesito. Ma in realtà non può escludersi neppure – e su ciò dovrà tornarsi sotto un peculiare punto di vista al termine di questo commento – che il giudice di merito rimediti anche il quadro puramente giuridico della controversia e risolva in modo diverso, e tale da determinare la inutilizzabilità del responso pregiudiziale già ottenuto, una o più questioni di diritto distinte ma a loro volta logicamente pregiudiziali rispetto alla originaria valutazione di rilevanza del quesito di diritto già rivolto alla Corte. Ben inteso quest’ultimo, e non invece quello delle presupposte valutazioni di fatto, è l’ambito precipuo entro al quale può di regola esercitarsi e si è esercitato nella specie il controllo preventivo di rilevanza ad opera della stessa Corte, di là dal caso in cui la irrilevanza sia manifesta e conclamata alla stregua delle stesse prospettazioni anche in fatto della ordinanza di rinvio.
3. Proprio a questo riguardo è altresì significativo, e merita qui una apposita parentesi di riflessione prima di tornare a quanto deciso dalla pronuncia in esame, che la Corte richiami l’“ampio ventaglio delle definizioni del concetto di rilevanza offerte dal giudice delle leggi” ed insomma il carattere in qualche modo più permissivo e più elastico del controllo esercitato dalla Consulta sulla rilevanza della questione di costituzionalità, rispetto ad una connotazione che si vuole evidentemente più concreta e potenzialmente più severa e più invasiva, rispetto al previo vaglio del giudice di merito, della verifica di rilevanza del quesito interpretativo ex art. 363 bis riservata alla Cassazione.
La verifica di rilevanza indubbiamente, e se non altro sul piano empirico, varia a seconda dei tre contesti del rinvio pregiudiziale: comunitario, costituzionale, interno.
Volendo semplificare le cose all’estremo: nel primo caso la verifica di rilevanza è affidata al 90% al giudice nazionale e solo in via residualissima – sebbene oggi fors’anche in casi meno eclatanti del classico Foglia-Novello – essa si presta ad essere overruled da una Corte unionale che poco sa e dovrebbe sapere delle dinamiche del processo interno e soprattutto della portata effettiva e concreta del diritto nazionale che sovente entra elletticamente a far parte, nella prospettazione riservata appunto al giudice nazionale, del parametro di rilevanza[12]. Nel secondo caso la Corte costituzionale, ben più vicina, quanto a grado di possibile consapevolezza culturale, alle dinamiche del processo a quo, seguita ad utilizzare – come appunto la motivazione qui commentata ricorda – espressioni mutevoli che virano da un rilevanza astratta e perfino potenziale ad una rilevanza concreta “non bastando la generica possibilità che la norma stessa venga applicata nel corso del giudizio, ove si verifichino le condizioni necessarie per la sua applicazione (Corte cost. n. 10/1979)”; ma quel che è più importante: se tali condizioni il giudice a quo rappresenta adeguatamente in fatto ed in diritto come già verificate, è ben difficile che la Consulta si ponga al suo posto, come se fosse quel giudice ordinario che non è, e riveda un compitino che non sia manifestamente negligente. Nel terzo caso la Cassazione, quale destinataria del rinvio pregiudiziale, è essa stessa un giudice civile e per di più di ultima istanza, del tutto omologo al giudice rimettente e più che immedesimabile nelle dinamiche del processo a quo; ed ecco che il requisito della rilevanza, pur ritenuto dal giudice remittente, può ben essere ri-controllato a 360 gradi – esclusa per ovvie ragioni ogni rivisitazione degli accertamenti in fatto già compiuti e già prospettati nella ordinanza di rimessione – dai destinatari del rinvio e cioè in prima battuta dal primo presidente ed in seconda e soprattutto dal collegio della Corte, come il caso di cui ci occupiamo dimostra.
Da ribadire una considerazione di ordine generale legata al comune carattere “pregiudiziale” dei tre rinvii. Cosa accade quando un responso pregiudiziale, per originaria e non ravvisata oppure per sopravvenuta carenza di rilevanza, risulta poi legittimamente non utilizzato ai fini del decidere nel giudizio a quo ? Rispondere che quel che accade è solo un “tradimento” virtuale della connotazione “pregiudiziale” della Richterklage o se si vuole della consultazione di uno o l’altro dei tre organi apicali è del tutto anodino, ed equivale a constatare che il mondo del diritto è, come ogni mondo fatto dagli uomini, imperfetto e che cioè vi sono in esso isolate patologie a posteriori più che tollerabili come fisiologiche. Più serio è riflettere sulla diversa portata concreta di questa “patologia nella fisiologia”. E non può negarsi che la portata più appariscente sia quella di una pronuncia interpretativa o di validità della Corte di Giustizia o soprattutto quella di una declaratoria di incostituzionalità. Entrambe, pur rese fuori dall’alveo della concreta pregiudizialità entro il quale invece dovrebbero fisiologicamente essere rese, producono effetti generali rilevantissimi pro futuro: la prima para-normativi erga omnes sebbene in teoria reversibili vuoi quanto alla interpretazione vuoi quanto alla affermata validità e perfino invalidità di disposizione comunitaria, la seconda di autentica ed irreversibile negative Gesetzgebung. Mentre una pronuncia di rigetto interpretativa della Consulta o un principio di diritto fissato dalla Cassazione ex art. 363-bis c.p.c confluiscono nel più modesto paniere dei precedenti giurisprudenziali persuasivi ma non vincolanti, salvo il maggior grado di persuasività istituzionale o anzi di mascherata ma “giuridica” vincolatività ove il principio di diritto promani dalle Sezioni Unite.
I superiori rilievi sono tuttavia puramente descrittivi, perché non è dal maggior peso specifico pro futuro dell’occasionale deragliamento del dictum pregiudiziale rispetto al binario naturale della “incidentalità” che può derivare di fatto o di diritto la maggiore incisività del controllo di rilevanza da parte della Corte apicale ad quem. Sicché questa incisività è massima proprio nel caso della Corte di cassazione nella misura in cui (e per la ragione che) nell’esercitare quel controllo – posto che nessuna delle tre Corti è attrezzata per risolvere quaestiones facti presupposte alla rilevanza della quaestio iuris rinviata – la Cassazione è per lo meno compiutamente e istituzionalmente abilitata a risolvere le altre presupposte quaestiones iuris, che le competerebbe, almeno potenzialmente, di risolvere comunque anche ex post e quale giudice ordinario della impugnazione di legittimità.
4. Questa conclusione, per ciò che ora e direttamente interessa, trova riscontro nella pronuncia della Sezione Tributaria di cui ci occupiamo. Il collegio, nonostante il via libera del decreto presidenziale, dichiara inammissibile il rinvio e dunque nega la soluzione pregiudiziale della questione interpretativa di merito, per il resto rispondente a tutti i requisiti di ammissibilità, rilevandone la irrilevanza in relazione al caso concreto atteso il difetto di legittimazione passiva del convenuto, e cioè delibando la soluzione di una, sicuramente pregiudiziale, questione di rito in senso ostativo al passaggio al merito e dunque alla necessità per il giudice a quo di ottenere lumi su ogni questione al merito compresa quella oggetto del rinvio pregiudiziale[13].
Poteva farlo rispetto alle prerogative del primo presidente ? Abbiamo già detto di sì in termini generali; né sussistevano nella specie ragioni impedienti neppure in termini di buon senso. Vi è anzi da dire che una siffatta valutazione di inammissibilità per irrilevanza, passante per la soluzione di altra pregiudiziale quaestio iuris non oggetto di rinvio pregiudiziale ma destinata a porsi nel giudizio a quo, è forse meglio che provenga dal collegio piuttosto che dal primo presidente.
Dopo di che deve essere a mio avviso chiara una cosa, anzi due.
La declaratoria di inammissibilità in quei termini, vuoi se proveniente dalla presidenza vuoi a fortiori se proveniente dal collegio, non dovrebbe essere – perché non è dato scherzare con istituti in astratto confliggenti con l’economia del singolo processo – fra quelle aggirabili o rimediabili dal medesimo giudice a quo con un reiterato rinvio pregiudiziale (come sarebbe il caso invece di declaratorie di inammissibilità del rinvio per difetto di previo contraddittorio o per difetto di “serialità”, le quali sono – la prima agevolmente, anche se bisognerebbe eliminare l’occasione ab imo come è stato già fatto[14], la seconda in rari e sorprendenti casi – rimediabili a seguito di sopravvenienze).
Ma neppure può dirsi che una pronuncia quale quella che qui si esamina, allorché essa ritorna al giudice del merito, vincoli de iure quest’ultimo riguardo alla soluzione della questione preliminare o pregiudiziale, o di ogni altra questione, che sia stata attinta al solo scopo della verifica di rilevanza del rinvio. E ciò perché la consacrazione normativa del vincolo è ovviamente limitata dall’art. 363-bis al solo responso pregiudiziale, e perché non è dato alterare, fuori da tale consacrazione normativa, l’iter normale dell’Instanzenzug. Il giudice a quo, salvo che non reiteri sua sponte quella soluzione perché particolarmente persuasiva, potrà ben andare di contrario avviso esponendosi al sindacato impugnatorio, al culmine del quale anche la S.C. – diversamente da quanto accadrebbe rispetto al responso pregiudiziale propriamente detto – potrà mutare d’opinione. Parafrasando un titolo piuttosto noto di Giuseppe Tarzia a proposito dell’ausilio giudiziario all’arbitrato, dovrà dirsi “assistenza” (condita di indispensabile ma limitata vincolatività) “e non interferenza” (esorbitante quoad effectum) della Cassazione nel corso ancora aperto e vivo del giudizio di merito.
In conclusione: la Cassazione, a differenza della Consulta e della Corte di Giustizia, ha tutti i ferri del mestiere per una piena verifica di rilevanza della questione pregiudiziale, ma può adoperarli (e pur sempre senza alterare il quadro fattuale rappresentato dal giudice a quo) solo per le necessarie riparazioni al procedimento pregiudiziale, e cioè per dichiarare se del caso la inammissibilità del rinvio o anche “aggiustare” il quesito in modo che risulti davvero rilevante; non invece per manovrare ex ante in modo vincolante – l’orientamento de facto è altra cosa – la macchina del giudizio di merito.
5. Appartengono a questo medesimo adeguato approccio di finium regundorum altri due assunti.
Uno è speculare: la valutazione di rilevanza, esplicitamente o implicitamente compiuta dalla Cassazione in sede di procedimento pregiudiziale, non vincola de iure il giudice a quo sì da impedirgli un ripensamento, nel senso della irrilevanza della quaestio già rinviata e risolta, non solo ed ovviamente a motivo di sopravvenienze istruttorie o normative ma anche a motivo di una nuova e diversa ricostruzione del quadro giuridico complessivo della controversia, questioni pregiudiziali e preliminari comprese. Anche questo assunto (che è poi quello stesso che deve a fortiori confermarsi anche quando torna indietro al giudice a quo una pronuncia perfino di accoglimento della Consulta) si basa, normativamente, sulla assenza di indicazioni contrarie desumibili dall’art. 363-bis che limita l’effetto vincolante al principio di diritto fissato dalla Cassazione e non lo estende certo ai presupposti logici della sua fissazione (non stiamo discorrendo di un giudicato, ed il cd. “giudicato in punto di diritto” copre precisamente e solo quel punto di diritto); e d’altro lato si basa sulla assenza di una qualsivoglia Selbstbindung ricostruibile in termini sistematici, visto che l’ordinanza di rinvio pregiudiziale non è una sentenza non definitiva e per essa vale comunque – di là dalla sua revocabilità, visto che non è “dichiarata espressamente” non impugnabile “dalla legge”[15] – il principio apicale ed assorbente di cui all’articolo. 177, comma primo, c.p.c. (una cosa infatti è la eventuale revocabilità e modificabilità delle disposizioni della ordinanza, altra cosa è che in ogni caso la sua motivazione non può mai pregiudicare la decisione della causa).
Il secondo assunto contraddice – ma lo ritengo inevitabile – un passaggio (incidentale e rimasto a quel che ne so isolato) del decreto della Prima presidente 23 settembre 2023, R.G. n. 15340/2023, riportato anche dalla motivazione della Sezione Tributaria: quello secondo cui la valutazione della rilevanza della questione ad opera della Corte non sarebbe esente dalla verifica di “una ragione più liquida, che consenta di decidere la controversia a prescindere dalla questione di diritto controversa”. Posto che fra autentica, e non sempre affermabile con sicurezza, pregiudizialità logica di una questione rispetto ad altra ed invece la sua scelta in ragione della maggiore liquidità sono non raramente riscontrabili, nella esperienza giudiziaria concreta, confusioni e zone grigie, una linea di confine concettuale vi è ed è chiara. E questa linea è anche uno dei confini che la Cassazione incontra nella verifica di irrilevanza del rinvio pregiudiziale contrapposta a quella di sua rilevanza già compiuta dal giudice di merito. Perché la scelta del se e di quale “ragione più liquida” avvalersi o non avvalersi per la definizione del giudizio è scelta discrezionale del giudice di merito. E che essa sia in limitati casi sindacabile in sede impugnatoria non può significare che lo sia sempre ed ex ante nell’isolato e preventivo ambito del procedimento pregiudiziale a giudizio di merito ancora vivo e aperto. La Cassazione è la Cassazione, ma non esageriamo.
* Il presente scritto, con alcune modifiche redazionali, è destinato alla pubblicazione in forma di nota a sentenza su Il Processo.
[1] V. Le cinque puntate del mio Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363-bis c.p.c., in Il Processo, 2023, 483 ss. e 965 ss.
[2] La Corte ha subito adottato – come era ben immaginabile vista la particolare valenza nomofilattica da assegnarsi naturaliter alla pronuncia pregiudiziale nonché la prevista modalità necessaria della pubblica udienza e la correlata, anche se non del tutto decisiva, lettura a contrario dell’art. 375, comma secondo, 4-quater – la forma della “sentenza”. Poiché tuttavia l’art. 363-bis tace a riguardo, avevo originariamente proposto, a chi volesse sezionare il capello, l’idea di una forma sui generis e di quarto tipo, sostanzialmente alla stregua dell’avis francese, poiché concretantesi nella sola fissazione di un principio di diritto preceduta ovviamente da motivazione: cfr. il mio Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, in Il Processo, 2022, 947 ss., spec. 963.
[3] V. A riguardo la mia Postilla su rinvio pregiudiziale, “gerarchia” inevitabile ed innocua, e nomofilachia, in Il Processo, 2023, 557.
[4] Un sindacato rappresenterebbe ultronea e del tutto diseconomica superfetazione, visto che qui non si tratta di dare o meno accesso ad una impugnazione e dunque di assicurare, per scrupolo garantistico giustificato, una Nichtzulassungsbeschwerde o analogo rimedio tipico dei sistemi che prevedono un apposito ed autonomo giudizio di ammissibilità della impugnazione alla corte superiore.
[5] In proposito rinvio ancora al mio Esperienze applicative, cit., in Il Processo, 2023, 492 s..Si sono poi, con particolare accuratezza, occupati del tema, ed hanno opinato nello stesso senso, fra altri E. D’ALESSANDRO, Il rinvio pregiudiziale in cassazione, in Il Processo, 2023, 69, F.S. DAMIANI, Il rinvio pregiudiziale in cassazione, in Giusto Processo Civile, 2023, 74-75, A. CAROSI, La prima pronuncia interpretativa (delle Sezioni Unite) sul rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis in Riv. Dir. Proc., 2025, 412 in senso diverso, probabilmente, F. SANTAGADA, Rinvio pregiudiziale in cassazione, in AA.VV., a cura di R. Tiscini, La riforma Cartabia del processo civile, Pisa, 2023, 537 s.
[6] Cfr. Il decreto 7 settembre 2023 in Il Processo, 2023, 965 ss., ma vedi anche, su altro tema sempre in punto di ammissibilità, il precedente decreto della prima presidente 18 aprile 2023, in Il Processo, 2023, 484 ss. (con mia chiosa), contenente una significativa e generale dichiarazione di intenti, giustamente richiamata anche nella motivazione che qui si commenta.
[7] Quale quella che ha indotto la cit. Cass. Sez. Un. n. 15130/2024 (vedila in Riv. Dir. Proc., 2025, 404 ss., con ampio commento di A. CAROSI. La prima pronuncia interpretativa delle Sezioni Unite sul rinvio pregiudiziale cit.) a glissare alquanto sul veniale difetto di contraddittorio precedente il rinvio e a questo replicare senz’altro nel merito, visto che – le Sezioni Unite non lo hanno detto ma la cosa mi era parsa evidente già di fronte al cennato decreto, sul punto attendista, della prima presidente (cfr. ancora il mio Esperienze applicative cit, in Il Processo, 2023, 976) – sarebbe stato assurdo dichiarare inammissibile quel rinvio per vedersene proporre altro identico dal medesimo giudice a quo una volta sollecitato da questi il formale contraddittorio a riguardo.
[8] Per la sempre opportuna precisazione secondo cui anche la sospensione impropria non si differenzia da quella ex art. 295 c.p.c. sul piano del regime e degli effetti per l’appunto “sospensivi”, nonché per altri apporti ricostruttivi alla categoria vedi la ormai classica monografia di G.TRISORIO LIUZZI, La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987, 125; per la esatta circoscrizione concettuale della sospensione impropria alle sole ipotesi in cui la questione sottoposta alla decisione della diversa corte non potrebbe formare oggetto di un autonomo giudizio v. C.CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2017, 279; mentre l’avviso del Consiglio di Giustizia Amministrativa siciliano (8 febbraio 2011, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 2011, 2, 663 ss.), secondo cui la sospensione per pregiudizialità comunitaria sarebbe una sospensione propria ex art. 295 c.p.c (e 79 c.p.a.) quando il giudice a quo sia un giudice di ultima istanza obbligato al rinvio, è frutto di evidente abbaglio concettuale, perché l’alternativa obbligo/facoltà di rinvio pregiudiziale è un invariante rispetto alla classificazione che ci occupa, in ordine alla quale resta invece rilevante che non possa darsi un processo in via principale innanzi alla Corte di Giustizia avente ad oggetto la sola questione interpretativa (viceversa si tratta di sospensione propria quella del processo nazionale allorché penda innanzi alla Corte un giudizio principale sulla validità dell’atto comunitario che risulti pregiudicante: cfr. A. BRIGUGLIO Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996, 88-92) e che (ovviamente anche in caso di rinvio obbligatorio) il contraddittorio del processo a quo si trasferisca e prosegua per quanto di ragione innanzi alla Corte di Giustizia: ed è appunto sintomatica in questo senso proprio la soluzione concreta, condivisibile seppur eterodossa, enunciata in quella pronuncia, a termini della quale il giudice nazionale obbligato al rinvio – ma lo stesso varrebbe mutatis mutandis per il giudice di istanza inferiore -, quando constata che sulla questione pregiudiziale interpretativa già pende un giudizio innanzi alla Corte di Giustizia su rinvio di altro giudice, può e deve sospendere il proprio giudizio, ma in tal caso deve disporre apposito rinvio rimettendo cosi le parti innanzi alla Corte.
[9] Sul requisito della rilevanza, in relazione al rinvio pregiudiziale interpretativo alla Cassazione, v. assai perspicuamente PANZAROLA, Introduzione al rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, Pisa, 2023, 66 ss., e TISCINI, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, in Giust. Civ., 2023, 343 ss., spec. 361 ss.
[10] Si richiama in proposito Cass. Sez. Un n. 15130/2024, che lo ha affermato con riguardo al caso in cui, essendo formalmente mancato il contraddittorio previo al rinvio pregiudiziale, quel contributo dialettico innanzi alla S.C appaia particolarmente significativo; ma naturalmente il rilievo non può limitarsi a questo solo caso.
[11] La motivazione in esame richiama in proposito opportunamente Cass. n. 11688/2024 punto 3.2., nonché una serie di conformi decreti presidenziali; riguardo ai quali risulta non condivisibile solo una affermazione ultronea, secondo cui sarebbe “improprio l’utilizzo del rinvio pregiudiziale ove rivolto unicamente a conseguire un suggello interpretativo dalla Corte di Cassazione diretto a preservare la decisione del rimettente da una diversa lettura ed applicazione delle norme ad opera del giudice della impugnazione”; in realtà, da un lato, un rinvio fondato solo ed esclusivamente su tale dichiarato scopo sarà verosimilmente un rinvio inammissibile per assenza della grave difficoltà o della serialità o della non ancora intervenuta risoluzione della questione; e d’altro lato, se tutte tali condizioni invece sussistono, e ferma l’altra della rilevanza, non può certo stigmatizzarsi la personale intentio del giudice di merito volta alla protezione della futura sua sentenza dalla impugnazione, ché anzi si tratta di intentio del tutto fisiologica.
[12] Secondo la prospettazione, a rigore impropria ma da tempo consueta, che in linguaggio di tutti i giorni si esprime: “dimmi Corte di Giustizia se la disposizione di diritto nazionale X, che io ti dico doversi interpretare in senso A, sia o no confliggente con la disposizione unionale Y (della quale a te spetta di chiarire il significato)”. Ovviamente la prospettazione più corretta dovrebbe essere, e talvolta correttamente ricorre: “dimmi Corte di Giustizia se la disposizione unionale Y si interpreta in modo che una disposizione nazionale XA risulta con essa confliggente”.
[13] Sotto altri e paralleli profili concernenti l’ipotesi di (altro) quesito di diritto presupposto alla rilevanza di quello rimesso alla Corte, e sempre nella dialettica giudice a quo, primo presidente e Corte, v. già A. BRIGUGLIO, Esperienze applicative, cit. 2023, 513 ss.