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La responsabilità del giudice onorario per l’attività definitoria delegata nell’ambito dell’Ufficio per il processo
Di Carolina Stefanetti -
Sommario: 1. L’antica figura del giudice onorario; 2. La relativamente recente struttura dell’Ufficio per il processo e le attività del giudice onorario all’interno della struttura; 3. La ripartizione della responsabilità tra il giudice ordinario e il giudice onorario per le attività delegate; 4. Conclusioni.
1.Quella del giudice onorario è una figura antica e diffusa, da secoli, in buona parte degli ordinamenti Europei[1].
Nella Costituzione italiana, il magistrato onorario è menzionato all’art. 106, comma 2, che attribuisce alla legge sull’ordinamento giudiziario la facoltà di “ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”[2].
Una parte della dottrina ha sostenuto che la norma sia “oggetto di vari fraintendimenti”, poiché alla lettera della disposizione vengono talvolta attribuiti contenuti che in realtà altro non sono che caratteristiche proprie dell’applicazione concreta della previsione costituzionale: la temporaneità dell’incarico, l’impiego a tempo parziale, il carattere non professionale dell’attività prestata etc.[3].
A me sembra, invece, che dalla lettura dal testo costituzionale si possa solamente intendere che (i) la magistratura onoraria può essere reclutata con un metodo diverso rispetto a quello, del concorso, previsto per la magistratura ordinaria e che (ii) sono molteplici le funzioni che possono essere attribuite alla magistratura onoraria all’interno dell’ordinamento.
La normativa oggi applicabile ai magistrati onorari è il c.d. Statuto unico della magistratura onoraria realizzato tramite la legge 28 aprile 2016, n. 57 e il D.lgs. 13 luglio 2016, n. 116. Tale corpus normativo, in sostituzione della precedente normativa frammentata, ha introdotto una disciplina unitaria della magistratura onoraria applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale a ai viceprocuratori onorari con riferimento, tra l’altro, alle modalità di accesso, alla durata dell’incarico, l’attribuzione delle funzioni[4].
Tra le funzioni che lo statuto della magistratura onoraria attribuisce oggi ai giudici di pace, vi è quella di giudici onorari assegnati all’Ufficio per il processo che, come vedremo tra poco, sembra svolgere un ruolo variegato e fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi che l’Ufficio per il processo si pone.
2.A differenza della magistratura onoraria, l’Ufficio per il processo è qualcosa di relativamente recente[5]. Regolato, con il nome di “Ufficio per il processo”, per la prima volta con l’art. 16 octies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, introdotto dall’art. 50 del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con L. 11 agosto 2014, n. 114, oggi il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 151, adottato nell’ambito della c.d. Riforma Cartabia, lo definisce come una “struttura organizzativa”[6] costituita “al fine di garantire la ragionevole durata del processo attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi e un più efficiente impiego delle tecnologie e dell’informazione e della comunicazione”[7].
Ai sensi dell’ art. 4 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 151, oltre agli addetti all’Ufficio per il processo, ai tirocinanti, ad una parte di personale amministrativo e di cancelleria, vi sono, per quanto attiene gli uffici per il processo presso il tribunale, i giudici onorari di pace di cui agli artt. 10 e 30, comma 1 lett. a), dello Statuto unico della magistratura onoraria.
Inoltre, il D.Lgs. n. 151 del 2022 richiama lo Statuto unico della magistratura onoraria anche all’art. 14 per la definizione delle funzioni e dei compiti dei giudici onorari di pace facenti parte dell’Ufficio per il processo. Attraverso questa rete di richiami, si delinea, quindi, uno scenario in cui all’interno dell’Ufficio per il processo trovano occupazione obbligatoriamente i giudici di pace onorari nel corso dei loro primi due anni di attività dal conferimento dell’incarico[8], svolgendo una pluralità di funzioni sempre con l’obiettivo della tutela della ragionevole durata del processo.
Le funzioni attribuite ai giudici onorari di pace all’interno dell’Ufficio per il processo sono variegate e ampie e mi pare che possano essere suddivise in due grandi categorie.
La prima categoria è quella delle funzioni di supporto al giudice togato sotto “la direzione e il coordinamento del giudice professionale” ai sensi dell’art. 10, comma 10, D.Lgs. n. 116 del 2017 e si compone di tutti quegli “atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice professionale”[9]: studio dei fascicoli, svolgimento di ricerche di dottrina e giurisprudenza, predisposizione di minute di provvedimenti.
La seconda categoria è quella delle attività che il giudice ordinario può delegare al giudice onorario, sempre al fine di assicurare la ragionevole durata del processo[10]. Questa categoria sembra potersi suddividere a sua volta in due tipologie distinte.
La prima tipologia è quelle delle attività di tipo non definitorio, previste all’art. 10 comma 11 del D.Lgs. n. 116 del 2017, che parla di “compiti e attività anche relativi ai procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione collegiale, purché di non particolare complessità”, comprendendo espressamente tra tali attività l’assunzione delle prove testimoniali, il compimento dei tentativi di conciliazione e altre nonché la pronuncia di provvedimenti non definitori purché si tratti di provvedimenti che risolvono questioni semplici e ripetitive.
La seconda tipologia è quella delle attività di tipo definitorio che possono essere delegate al giudice onorario ai sensi dell’art. 10, comma 12, D.Lgs. n. 116 del 2017. La norma, invero, dispone un generale divieto di delega dal giudice togato al giudice onorario per la pronuncia di provvedimenti definitori. Tuttavia, la norma prevede poi un nutrito elenco di eccezioni[11], tra le quali, ad esempio: provvedimenti definitori di procedimenti di volontaria giurisdizione (in materie diverse dalla famiglia), inclusi gli affari di competenza del giudice tutelare; provvedimenti definitori di cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti di valore non superiore a 100.000 Euro; provvedimenti definitori di cause relative a beni mobili di valore non superiore a 50.000 Euro e relativi al pagamento di somme di denaro entro il medesimo limite; provvedimenti che definiscono procedimenti in materia di previdenza e assistenza obbligatoria e altri ancora.
Stando così il dato normativo è facile notare come non solo si tratti della definizione di cause di un valore considerevole, ma anche di cause potenzialmente complesse.
Sul punto della complessità, una parte della dottrina si è opportunamente domandata se l’inciso previsto al comma precedente, relativo alla delegabilità delle attività di tipo non decisorio purché siano “di non particolare complessità”, possa essere in realtà applicabile anche alle attività delegate di tipo decisorio. La risposta positiva è a mio avviso condivisibile, soprattutto considerando che i giudici onorari facenti parte dell’Ufficio per il processo, e quindi delegati a decidere le cause sopra menzionate, sono, nella maggior parte dei casi, i giudici onorari con meno esperienza alla luce dell’art. 9, comma 4, D.Lgs. n. 116 del 2017 che, lo si ripete, stabilisce che “nel corso dei primi due anni dal conferimento dell’incarico i giudici onorari di pace devono essere assegnati all’ufficio per il processo e possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività allo stesso inerenti”.
Ma, a parte quanto appena visto sul tipo e la complessità delle attività delegate, è anche la modalità con cui la delega è attuata a destare forti dubbi sotto vari profili. Invero, l’art. 10, nel regolare le modalità di esercizio delle delega, prevede che: (i) “il giudice onorario di pace svolge le attività delegate attenendosi alle direttive concordate con il giudice professionale, titolare del procedimento […]. Il Consiglio superiore della magistratura individua le modalità con cui le direttive concordate sono formalmente documentate e trasmesse al capo dell’ufficio”[12]; (ii) “il giudice onorario di pace quando ritiene, in considerazione delle specificità del caso concreto, di non poter procedere in conformità alle direttive ed ai criteri di cui al comma 13, riferisce al giudice processionale, il quale compie le attività già oggetto di delega”[13]; (iii) “il giudice professionale esercita la vigilanza sull’attività svolta da giudice onorario e, in presenza di giustificati motivi, dispone la revoca della delega a quest’ultimo conferita e ne dà comunicazione al presidente del tribunale”[14].
Le previsioni sopra riportate hanno destato seri dubbi di legittimità costituzionale sotto vari profili. Il primo dubbio sorge rispetto all’indipendenza della magistratura e in particolare rispetto alla garanzia costituzionale della soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101, comma 2, Cost.. Questo perché il giudice onorario, svolgerebbe, secondo lo schema costruito dal D.Lgs. n. 116 del 2017, le attività delegate attenendosi alle “direttive concordate” con il giudice togato e sotto la “vigilanza” dello stesso e ciò costituirebbe “un grave vulnus al principio di indipendenza della magistratura”[15]. Per il vero, il legislatore sembra aver tentato di scongiurare il rischio di illegittimità costituzionale prevedendo che le direttive siano concordate tra il giudice togato e quello onorario, a dimostrazione del fatto che la formulazione delle direttive stesse costituirebbe la sintesi di un lavoro di squadra tra le due figure e non un’imposizione del giudice togato su quello onorario. Inoltre, sempre nel tentativo di scongiurare il rischio suddetto, è previsto che il giudice onorario possa sempre rifiutarsi di conformare la propria attività alle direttive concordate e restituire al giudice togato le attività già oggetto di delega. Parte della dottrina ha condivisibilmente dubitato che tali correttivi siano in concreto facilmente attuabili, considerando che spesso il rapporto professionale potrebbe realizzarsi tra un giudice togato di grande esperienza e un giudice onorario di prima nomina “e impossibilitato ad essere titolare di un ruolo autonomo”[16].
Inoltre, la disciplina delle attività delegate al giudice onorario pone dubbi rispetto alla garanzia del giudice naturale precostituito per legge e al principio di uguaglianza, visto che la medesima causa potrebbe essere decisa per alcuni cittadini dal giudice togato, per altri dal giudice onorario[17].
Si tratta di profili di enorme interesse, e che meriterebbero una disamina ben più approfondita di quella qui svolta, ma che tuttavia esulano dal perimetro dell’argomento della responsabilità del giudice onorario per le attività delegate e, per questo, occorre lasciarli sullo sfondo, per procedere ad individuare i limiti della responsabilità del giudice (sia onorario che togato) per le attività delegate descritte sopra.
3.In particolare, mi riferisco alla responsabilità civile, per dolo o colpa grave, nell’esercizio della funzione giudiziaria prevista dalla L. 13 aprile 1988 n. 117 come modificata da ultimo nel 2015[18].
Quanto all’ambito di applicazione di tale corpus normativo, l’art. 1 L. n. 117 del 1988 prevede che la responsabilità sia attribuibile anche ai soggetti “estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria” e quindi anche ai giudici onorari.
In generale, la responsabilità civile del magistrato è configurabile quando vengono superati i limiti della c.d. clausola di salvaguardia[19] per cui, fatti salvi alcuni casi, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove non può dare luogo alla responsabilità. Al di fuori del perimetro individuato da tale clausola di salvaguardia, la legge prevede che i magistrati possano essere responsabili a titolo di dolo o di colpa grave.
Il dolo è configurato dall’intento fraudolento da parte del giudice e quindi si concretizza in “conoscenza e volontà della giuridica ingiustizia del provvedimento. Si tratterà sempre di un reato: principalmente corruzione altrimenti abuso d’ufficio o altro”[20].
Probabilmente più complessa da individuare in concreto è invece la fattispecie della responsabilità per colpa grave che si realizza essenzialmente nei seguenti tre casi: la violazione manifesta della legge o del diritto dell’UE, il c.d. errore di fatto revocatorio oppure il travisamento del fatto o delle prove.
La violazione manifesta della legge o del diritto dell’UE deve essere valutata tenendo conto di una serie di fattori tra cui il “grado di chiarezza e precisione delle norme violate, nonché [l’]inescusabilità e [la] gravità dell’inosservanza”[21], ma anche, per quanto riguarda la violazione del diritto dell’UE, “la mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché del contrasto dell’atto o del procedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea”[22].
Riguardo alle ultime due ipotesi menzionate, l’errore di fatto revocatorio è un errore di percezione ed è integrato quando viene affermato un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del processo o viceversa quando è negato un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti[23].
L’errore relativo al travisamento del fatto o delle prove è, invece, un errore di valutazione e riguarda in maniera unitaria sia il fatto, sia la prova (anche in ragione del fatto che sarebbe indubbiamente molto complesso cercare di separare il fatto dalla prova)[24], e non include qualsiasi errore di valutazione, ma solamente l’errato apprezzamento delle risultanze processuali, talmente ingiustificato ed evidente da integrare un vero e proprio travisamento della verità processuale[25].
Fatte queste brevissime premesse sul significato di responsabilità civile per dolo o colpa grave nell’esercizio della funzione giudiziaria, occorre ora comprendere come tale responsabilità si possa ripartire tra giudice togato e giudice onorario per le attività delegate di tipo definitorio.
Lo scenario è il seguente: immaginiamo che un giudice onorario inserito nella struttura dell’Ufficio per il processo svolga un’attività definitoria delegata ai sensi dell’art. 10, comma 11, D.Lgs. n. 116 del 2017 e che nello svolgimento di tale attività, ponga in essere una condotta da cui deriva una responsabilità per dolo o colpa grave ex L. n. 117 del 1988. Sarà il magistrato onorario, il soggetto che ha in concreto posto in essere l’attività definitoria, ad essere l’unico responsabile? Oppure esisterà una responsabilità condivisa con il giudice togato che è e rimane titolare della causa?
Il problema è molto rilevante nell’ottica del servizio giustizia che deve essere prestato in favore dei cittadini, a beneficio dei quali si pongono le garanzie costituzionali relative alla magistratura, perché, per i cittadini, la pronuncia definitoria del giudice onorario e di quello ordinario sono equivalenti, fungibili e hanno pari efficacia vincolante.
Per rispondere al quesito in esame, occorre tenere ben presenti gli elementi caratterizzanti dell’attività delegata del giudice onorario, elencati supra nel paragrafo 2. Occorre, infatti, considerare che da un lato abbiamo le direttive concordate tra il magistrato ordinario e quello onorario, direttive che devono essere formalmente documentate; dall’altro lato abbiamo il magistrato togato che vigila sul rispetto delle direttive concordate e, qualora ritiene che sussista un giustificato motivo, revoca la delega; e da un altro lato ancora abbiamo un giudice onorario di pace che si deve attenere alle direttive concordate (pena il rischio di revoca della delega), a meno che, qualora non ritenga di poterlo fare, lo comunichi al giudice togato titolare della causa e gli “restituisca” le attività già oggetto di delega.
All’interno di questa cornice possiamo immaginare due diversi casi.
Il primo è quello in cui il magistrato onorario abbia pronunciato il provvedimento fonte di responsabilità civile in conformità delle direttive concordate. Ovviamente, presupposto necessario è che le direttive concordate siano state debitamente formalizzate e documentate, secondo le modalità individuate dal Consiglio Superiore della Magistratura: “[…] ciascun giudice professionale, con il quale il giudice onorario collabora ai sensi dell’articolo 10, commi 10, 11 e 12, del decreto legislativo n. 116/2017, dopo aver sentito il giudice onorario, concorda con lui per iscritto le direttive, salvo che risulti impossibile concordarle, nel qual caso dà atto dei motivi di tale impossibilità; in ogni caso, le consegna per iscritto al giudice onorario e le trasmette al coordinatore dei giudici onorari ed al presidente del Tribunale, per il tramite della propria cancelleria. La segreteria della presidenza del Tribunale provvede al relativo protocollo ed alla relativa conservazione. […]”[26].
Ciò posto, risulta condivisibile l’opinione di chi sostiene[27] che la responsabilità civile relativa al provvedimento fonte di responsabilità civile incomba sul giudice togato, titolare del procedimento, che ha impartito (rectius, “concordato”) le direttive. Altresì condivisibile sembra, però, che il giudice onorario di pace non possa essere esente da responsabilità, perché avrebbe potuto, ritenendosi in disaccordo con le direttive, comunicarlo e restituire al giudice togato le attività delegate[28]. Immaginiamo il caso in cui nell’esame del fascicolo con l’obiettivo della formulazione delle direttive concordate, il giudice togato e quello onorario “prendano un abbaglio” e ignorino completamente un documento ritualmente prodotto in giudizio volto a provare un fatto modificativo o impeditivo oppure estintivo della pretesa attorea. In questo senso, la responsabilità per tale errore dovrà essere condivisa visto che il legislatore stesso ha previsto che il giudice ordinario e onorario lavorino in sinergia. Il giudice togato, sarà responsabile in quanto titolare del procedimento. Il giudice onorario sarà responsabile qualora si limiti ad eseguire le direttive concordate, senza avvedersi dell’errore macroscopico compiuto in fase di formulazione delle direttive stesse. Il secondo scenario, solo apparentemente più semplice, è quello in cui il giudice onorario ponga in essere una fattispecie di responsabilità disattendendo le direttive concordate. In questo caso sarebbe probabilmente fin troppo semplice concludere che qui il giudice onorario sia l’unico responsabile, ad esempio, del travisamento del fatto e delle prove. Infatti, come abbiamo visto, in capo al giudice ordinario esiste quel potere/dovere per cui il giudice togato può addirittura revocare la delega qualora ne sussistano giustificati motivi. Secondo una parte della dottrina, per dare un senso alla disposizione sulla vigilanza da parte del giudice ordinario e per evitare di “trasformare la norma in un mero esercizio di stile”, “è necessario configurare un obbligo di controllo effettivo sul contenuto degli atti compiuti dal giudice onorario nell’esercizio della delega” in particolare con riferimento alla conformità del provvedimento alle direttive concordate[29]. Occorre allora trovare uno spazio all’interno della disciplina della L. 13 aprile 1988 n. 117 sulla responsabilità per colpa grave o dolo nell’esercizio della funzione giudiziaria per questa sorta di culpa in vigilando, attribuibile al giudice togato.
A soccorrere nell’operazione interpretativa è la lettera dell’art. 2 della L. 13 aprile 1988 n. 117 che recita: “Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali.”. Ebbene, fonte di responsabilità per il magistrato sono, dunque, non solo gli atti o i provvedimenti giudiziari, ma anche i comportamenti tenuti con dolo e colpa grave. E allora a me sembra che ignorare un dovere (quello di vigilanza sull’applicazione delle direttive concordate) espressamente attribuito dalla legge configuri un comportamento del magistrato ordinario adottato con colpa grave perché in “violazione manifesta della legge”[30].
Ecco dunque che anche nel caso in cui il giudice onorario dovesse disattendere le direttive concordate per lo svolgimento delle attività delegate, il giudie togato non potrà, comunque, essere esente da responsabilità.
4.Concludendo, a me sembra non solo corretto, ma anche opportuno, che giudice onorario di pace e giudice togato condividano la responsabilità civile per le attività di tipo definitorio che possono essere delegate ai sensi dell’art. 10, comma 12, D.Lgs. n. 116 del 2017.
A sostegno di ciò pare interessante sottolineare, oltre a quanto già detto, che l’art. 9 della L. 13 aprile 1988 n. 117 prevede che per i fatti che determinano l’azione di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, deve conseguire la responsabilità disciplinare. Sul punto della responsabilità disciplinare e dei doveri del magistrato onorario, il D.Lgs. n. 116 del 2017 prevede all’art. 20 che il magistrato onorario è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per il magistrato ordinario in quanto compatibili e, in particolare, richiama i doveri di “imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona”, ricalcando, così, perfettamente la disposizione del D.Lgs. n. 109 del 2006, relativo agli illeciti disciplinari dei magistrati togati. Benché la responsabilità disciplinare non sia specifico oggetto del presente intervento, l’assimilazione dal punto di vista disciplinare (ed etico in senso lato) del giudice onorario di pace rispetto al magistrato togato sembra essere in grado di rafforzare l’idea per cui l’obiettivo della ragionevole durata del processo può essere perseguito attraverso una struttura complessa e organizzata, quella dell’Ufficio per il processo, solo se i soggetti che ne fanno parte, eterogenei per professionalità e funzioni, condividono per quanto possibile i medesimi valori e le medesime responsabilità conseguenti l’esercizio della funzione giudiziaria.
* Il presente contributo costituisce una rielaborazione con aggiunta di note dell’intervento svolto nel corso del convengo dal titolo “LE NUOVE DIMENSIONI DEL DIRITTO NELL’ERA DIGITALE. L’ESPERIENZA DEL PON GIUSTIZIA NELL’AREA MILANESE”, tenutosi il 24 maggio 2023 presso l’Università degli Studi di Milano.
[1] Per una disamina storica, si veda F. RUSSO, Breve storia degli extranei nella magistratura italiana, Roma, 2019. Per un inquadramento generale della magistratura onoraria nell’ordinamento giudiziario, si veda D. CAVALLINI, Lo status dei magistrati onorari: nomina, conferma nell’incarico, indennità e responsabilità disciplinare, in G. DI FEDERICO (a cura di), Ordinamento giudiziario, Uffici giudiziari, Csm e governo della magistratura, Bologna, 2019.
[2] Per un commento, cfr. F. RIGANO, Commento all’art. 106, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, 2006, 2044 ss., nonché F. BONIFACIO e G. GIACOBBE, Commento all’art. 106, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1986, 119 ss..
[3] B. CAPPONI, Il giudice di pace dopo la L. 28 aprile 2016, n. 57, in Corr. giur., 2017, 101 ss..
[4] P. SERRAO D’AQUINO, L’evoluzione ordinamentale della magistratura onoraria e il ruolo del Csm, in Il governo autonomo della magistratura a sessant’anni dalla legge istitutiva del Consiglio superiore della magistratura (l. 24 marzo 1958, n. 195), in Foro it., 2019, V, 104 ss.. Per una completa analisi della riforma, si veda La riforma organica della magistratura onoraria (d. leg. 13 luglio 2017, n. 116), in Foro. it., 2018, V, 1 ss., composto da D. DALFINO, L’ultima riforma della magistratura onoraria, tra aspirazioni insoddisfatte e velleità di sistema, ivi, 1 ss., G. GRASSO, Conferimento dell’incarico: requisiti e tirocinio. La formazione permanente, ivi, 5 ss., G. GRASSO, Il regime delle incompatibilità, ivi, 9 ss., G. REALI, Il giudice onorario di pace e l’ufficio per il processo, ivi, 12 ss., G. TRISORIO LIUZZI, Astensione e ricusazione, ivi, 21 ss., S.L. GENTILE, Le indennità, ivi, 26 ss., L. CARBONE, La tutela previdenziale dei magistrati onorari, ivi, 32 ss., C. BONA, Competenza del giudice di pace in materia tavolare, ivi, 37 ss., A. PROTO PISANI, La magistratura onoraria tra commissione europea e (tentata) furbizia italiana, ivi, 42 ss. Si veda, inoltre, G. REALI, Il nuovo giudice onorario di pace, in Il giusto proc. civ., 2018, 417 ss., che, commentando la complessità della riforma, sottolinea “La riforma della magistratura onoraria costituisce uno dei capitoli più tormentati e complessi sul piano teorico e legislativo […]” richiamando, con riferimento al precedente dibattito sulla riforma della magistratura onoraria, F. CIPRIANI, Dal conciliatore al giudice di pace, in Foro it., 1982, V, 49.
[5] Benché R. BRACCIALINI, L’ufficio per il processo tra storia, illusioni, delusioni e prospettive, in Questione Giustizia, online 1 giugno 2020 faccia risalire le origini dell’attenzione all’importanza del fattore organizzativo al convegno del 13 novembre 1987 dal titolo “La giustizia tra diritto e organizzazione” e promosso dal Consiglio regionale del Piemonte e Magistratura Democratica, la nozione di ufficio del processo viene codificata nel nostro ordinamento con l’art. 16 octies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 introdotto dall’art. 50 del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 convertito con L. 11 agosto 2014, n. 114.
[8] Il riferimento è all’art. 9, comma 4, D.Lgs. n. 116 del 2017, per cui “Nel corso dei primi due anni dal conferimento dell’incarico i giudici onorari di pace devono essere assegnati all’ufficio per il processo e possono svolgere esclusivamente i compiti e le attività allo stesso inerenti”.
[10] Di questa precisazione “finalistica” si fa carico il comma 11 dell’art. 10 D.Lgs. n. 116 del 2017.
[11] Benchè la norma sia formulata in tali termini, una parte della dottrina ha sottolineato come il fatto che si tratti di una tipologia di controversie “assai vasta, anche sotto il profilo della numerosità dei procedimenti” fa dubitare che la delega dei provvedimenti decisori sia considerabile come eccezionale. Così R. MARTINO, Il giudice onorario: statuto, responsabilità, criteri decisori e accertamento del fatto, in Lo statuto del giudice e l’accertamento dei fatti, in Quaderni dell’Associazione Italiana fra gli Studiosi del Processo Civile, Atti del XXXII Convegno Nazionale svoltosi a Messina il 27-28 settembre 2019, Bologna, 2020, 89 ss., spec. a 177.
[15] Così, R. MARTINO, op. cit., 184. Nello stesso senso si vedano anche G. SCARSELLI, Note critiche sul disegno di legge per la riforma organica della magistratura onoraria, in Foro it., 2015, V, 367 ss., spec. a 370 e, con tono più dubitativo, F. DAL CANTO, I magistrati onorari, in AA.VV. Dieci anni di riforme dell’ordinamento giudiziario, in Foro it., 2016, V, 241 ss., spec. a 245.
[16] Sul punto, cfr. R. MARTINO, op. cit., 185 che aggiunge: “appare difficile che il GOP(anche in presenza di errori marchiani nelle direttive) restituisca il fascicolo al giudice professionale, considerato anche che questi può condizionarne la successiva conferma, avendo il compito di redigere l’apposita relazione prevista dal comma 5, lett. c dell’art. 18” (R. MARTINO, op. loc. ult. cit.). Anche G. REALI, Il giudice onorario di pace e l’ufficio per il processo, cit., spec. a 18 sottolinea che “resta controverso se questa remissione della delega, che può prestarsi a qualche criticità, sia sufficiente a rendere effettiva la garanzia stabilita per tutti i giudici ordinari (e, dunque, anche per quelli onorari) dell’art. 102, Cost.”. Sul punto, si veda anche I. PAGNI, Brevi note sulla riforma della magistratura onoraria, in Questione giustizia, 2016 secondo cui “Si ha, così, una scelta ondivaga: da un lato, si potenzia l’impiego della magistratura onoraria in settori di non semplice conduzione, dall’altro, si utilizza il giudice onorario di pace sotto il controllo del giudice professionale”.
[17] Sul punto, si sottolinea che una parte della dottrina ha ritenuto che il rischio di illegittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza tra le parti e per violazione della garanzia del giudice costituzionale costituito per legge sarebbe superato sulla base del rilievo per cui il cittadino sarebbe comunque affidato ad “una combinazione organizzata che ricomprende (e non già lo esclude) il suo giudice naturale dal quale non può essere distolto”. In questo senso, G. REALI, op. loc. ult. cit., che a sua volta richiama G. BORRÈ, Incanti immobiliari e delega ai notai, in Delega ai notai delle operazioni di incanto nelle espropriazioni immobiliari. Atti del convegno di Roma del 22-23 maggio 1993, Milano, 1994, 69, nota 42. In parte critica sul punto è l’opinione di M.F. GHIRGA, op cit., 195 s..
[18] Per una ricostruzione storica del tema della responsabilità del giudice, si veda A. GIULIANI, N. PICARDI, I modelli storici di responsabilità del giudice, in Foro it., 1878, V, 121 ss., nonché R. MARTINO, Colpa grave del magistrato, responsabilità dello Stato e limiti del sindacato sul provvedimento giurisdizionale, in Giust. civ., 2016, 623 ss.. In questa sede, non tratterò il tema della responsabilità disciplinare, ma occorre rammentare che l’art. 9 L. 117/1988 prevede l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato “per i fatti che hanno dato causa all’azione di risarcimento” per dolo o colpa grave.
[19] Sulla c.d. clausola di salvaguardia, cfr. R. MARTINO, Colpa grave del magistrato cit., spec. a 627 ss.. In senso critico, si veda inoltre A. TEDOLDI, Responsabilità civile del giudice, clausola di salvaguardia e ‘‘patafisica’’ del diritto, nota a Cass., S.U., 3 maggio 2019, n. 11747, in Giur. it., 2019, 2421 ss., che definisce la clausola di salvaguardia come “l’inutil precauzione”. Ancora, per una indagine sull’applicabilità della clausola di salvaguardia all’interpretazione delle norme processuali, cfr. F.P. LUISO, L’attività interpretativa del magistrato e la c.d. clausola di salvaguardia, in Corr. giur., 2008, 730 ss..
[20] P. TRIMARCHI, Colpa grave e limiti della responsabilità civile dei magistrati nella nuova legge, in Corr. giur., 2015, 893 ss., spec. a 894.
[23] Per la casistica sull’errore revocatorio possono efficacemente soccorrere le pronunce giurisprudenziali in materia di revocazione dato che, come sostenuto da F. AULETTA, La nuova responsabilità del giudice e l’attuale sistema delle impugnazioni, in Corr. giur., 2015, 898 ss., spec. a 899 “per il vizio autenticamente revocatorio pare darsi un’adeguata sovrapponibilità tra rimedio impugnatorio contro la sentenza e la fattispecie di responsabilità dello Stato-giudice”.
[24] R. MARTINO, Colpa grave del magistrato cit., spec. a 637 s..
[25] R. MARTINO, op loc. ult. cit.. Sul concetto di travisamento, si veda P. TRIMARCHI, op. cit., spec. a 895 per cui ““travisare” si riferisce quasi sempre alla malafede, anche se il travisamento può, in casi limite, derivare in buona fede da una combinazione si frettolosità, ignoranza, o assoluta mancanza di riflessione” integrando, così, “un tale stravolgimento, da essere normalmente spiegabile quanto meno con l’animosità, il pregiudizio, o il partito preso, se non la malafede […]”.
[26] CSM, circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2020/2022 (delibera in data 23 luglio 2020 e successive modifiche in data 8 aprile 2021, 13 ottobre 2021 e 7 dicembre 2021), art. 180, comma 5, reperibile su www.csm.it .
[27] R. MARTINO, Il giudice onorario, cit. 195 s..
[29] R. MARTINO, op. ult. cit., 196. Secondo l’Autore la responsabilizzazione del giudice professionale rispetto al proprio ruolo di vigilanza sarebbe indispensabile affinché la decisione di una controversia delegata ai sensi dell’art. 10, comma 12, D.Lgs. n. 116 del 2017 sia “effettivamente affidata a una combinazione organizzatoria (ufficio del processo) che ricomprende il giudice naturale, e cioè il giudice professionale titolare del potere di decidere; con la conseguenza che il sistema della delega di giurisdizione non si pone in contrasto con l’art. 25 Cost.”.
[30] È il comma 3 dell’art. 2 della L. L. 13 aprile 1988 n. 117 a prevedere che “costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione Europea, il travisamento del fatto o
delle prove, ovvero l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento, ovvero l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione”.