La nuova ipotesi di revocazione della sentenza civile

Di Margherita Pagnotta -

Art. 391 quater c.p.c. “Revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo

 

Le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possono essere impugnate per revocazione se concorrono le seguenti condizioni:

1) la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona;

2) l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della violazione.

Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa. Si applica l’articolo 391-ter, secondo comma.

L’accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla Corte europea

Tra le varie novità introdotte nel codice di rito dall’ultima riforma del processo civile[1] spicca una nuova ipotesi di revocazione straordinaria. A decorrere dal 30 giugno 2023 sarà, infatti, esperibile la revocazione della sentenza per contrarietà alla Convezione europea dei diritti dell’uomo.

L’art. 1, comma 10, lett. a) della l. delega n. 206/2021 ha autorizzato il legislatore delegato a prevedere che “ferma restando l’esigenza di evitare la duplicità di ristori, sia esperibile il rimedio della revocazione previsto dall’art. 395 del codice di procedura civile nel caso in cui, una volta formatosi il giudicato, il contenuto della sentenza sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli e non sia possibile rimuovere la violazione tramite la tutela per equivalente”.

Tale indicazione giunge all’esito di un lungo percorso che ha visto più volte la giurisprudenza sollecitare il legislatore perché portasse a compimento il processo di armonizzazione dell’ordinamento processuale civile e amministrativo con il sistema convenzionale, processo avviato dall’ordinanza di rimessione dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2015[2] e sul quale la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi, in un primo momento, con la sentenza n. 123 del 2017[3] e, successivamente, con l’ordinanza n. 19 del 2018[4] e la sentenza n. 93 del 2018[5].

In queste occasioni la Corte ha sempre dichiarato infondate le questioni di costituzionalità relative all’art. 395 c.p.c., sollevate sulla scia di quanto avvenuto nel processo penale, ove la Consulta, con la pronuncia n. 113 del 2011[6], dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non ammetteva una diversa ipotesi di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna nel caso di contrarietà alla Convenzione EDU, aveva introdotto l’istituto della c.d. revisione europea, ammettendo la cedevolezza del giudicato laddove la rinnovazione del giudizio risulti necessaria “ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”.

Il legislatore, stante la mancata dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 395 c.p.c., ha scelto di introdurre nel codice di rito un’autonoma fattispecie di revocazione straordinaria disciplinata dal nuovo articolo 391 quater c.p.c., dando finalmente attuazione all’art. 46 della CEDU che, come sopra ricordato, obbliga gli stati membri a conformarsi alle sentenze definitive della Corte Edu nelle controversie dove sono parti e ad adottare gli strumenti processuali interni che consentono la cosiddetta restituito in integrum in favore del ricorrente, nel caso in cui la violazione del diritto convenzionale accertata dalla Corte Edu sia stata perpetrata dall’autorità giudiziaria.

Come si desume dal nuovo terzo comma dell’art. 362 c.p.c., il nuovo rimedio impugnatorio sembra avere un ambito di applicazione in termini procedurali molto ampio, essendo proponibile avverso tutte le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato, a differenza della revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., esperibile unicamente avverso le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado. Tuttavia, in linea di massima, saranno sicuramente per lo più le sentenze della Corte di cassazione ad essere impugnate con la nuova revocazione, dal momento che è possibile adire la Corte Edu solo dopo aver esaurito tutti i mezzi di impugnazione interni all’ordinamento nazionale.

Guardando, invece, al contenuto sostanziale del nuovo art. 391 quater c.p.c., balzano immediatamente agli occhi gli stringenti limiti entro i quali legislatore ha scelto di relegare l’ambito di applicazione del rimedio revocatorio, probabilmente al fine di salvaguardare l’esigenza di certezza data dal giudicato e di evitare un significativo aumento del numero dei processi.

In particolare, la norma prevede due condizioni (che devono concorrere) quali requisiti di ammissibilità del nuovo mezzo di impugnazione:

-la decisione è revocabile se ha pregiudicato un “diritto di stato della persona”;

-l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’art. 41 della Convenzione non deve essere idonea a compensare le conseguenze delle violazioni.

Con riferimento alla prima condizione sarà compito degli interpreti comprendere se per la proposizione del nuovo rimedio revocatorio si possa far riferimento alla lesione di tutti i diritti non patrimoniali protetti dalla Convezione o se il riferimento ai “diritti di stato della persona” individui uno specifico sottoinsieme della medesima area, con la conseguenza di rendere ancora più restrittivo il requisito di ammissibilità.

La seconda condizione richiede che la tutela per equivalente o l’equo indennizzo eventualmente accordati dalla Corte europea per riparare il pregiudizio derivante dall’illecito risultino insufficienti dinnanzi al danno subito e si renda necessario procedere ad una restituito in integrum.

Si ammette, dunque, la cumulabilità dei rimedi (ricorso innanzi alla Corte Edu e successiva revocazione ex 391 quater c.p.c.) qualora l’equo indennizzo riconosciuto all’esito del processo convenzionale non sia in grado di rimuovere totalmente le conseguenze derivanti dalla perpetrata violazione della CEDU o dei relativi Protocolli.  Non è data però alcuna indicazione per comprendere quando effettivamente l’indennizzo economico disposto dinnanzi alla Corte Edu possa considerarsi sufficiente a ristorare il danno subito dalla parte. Il rischio è che si lasci un eccessivo margine di discrezionalità al giudice dinnanzi al quale la domanda di revocazione è proposta, che dovrà valutare l’ammissibilità o meno del ricorso senza avere specifici parametri di riferimento.

Secondo quanto disposto all’art. 1, comma 10, lett. c) della legge delega n. 206/2021, sono legittimate a proporre l’azione le parti del processo convenzionale, gli eredi, gli aventi causa delle stesse e il pubblico ministero (cfr. il nuovo art. 397 c.p.c., dove è stato inserito un ultimo comma a mente del quale “Nei casi di cui all’art. 391 quater, la revocazione può essere promossa anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione”).

Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea dinnanzi allo stesso giudice (come evidenziato sopra, quasi sicuramente la Corte di cassazione[7]) che ha emesso la sentenza dichiarata dalla Corte di Strasburgo contrastante con la Convenzione e i suoi Protocolli.

Nell’ipotesi in cui venga accolta la domanda di revocazione, il legislatore ha significativamente richiamato il disposto di cui all’art. 391-ter c.p.c., al fine di limitare la fase rescissoria dinanzi alla Corte di cassazione solo nell’ipotesi in cui la nuova decisione sia possibile senza ulteriori accertamenti di fatto[8]. Giova, peraltro, evidenziare che l’art. 391 quater c.p.c. richiamando solo il secondo comma dell’art. 391 ter c.p.c. e non anche il primo comma, secondo cui la revocazione è proponibile solo avverso le decisioni della Suprema Corte che abbiano deciso nel merito, ammette la proponibilità del nuovo rimedio anche avverso le pronunce di rigetto della Corte di cassazione, a fronte delle quali, invece, la revocazione straordinaria di cui all’art. 395 nn.1, 2, 3, 6 c.p.c. dovrà essere diretta avverso la decisione della Corte d’ appello passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso per cassazione. L’accoglimento della revocazione ex 391 quater c.p.c. proposta avverso una sentenza di rigetto della Suprema Corte comporterà la caducazione ex art 336, comma 2, c.p.c. dell’efficacia di giudicato sostanziale della sentenza di appello sopravvissuta all’originario ricorso per cassazione e la possibilità di dare avvio alla fase rescissoria.

Infine, il legislatore delegato, in aderenza alla legge delega, ha stabilito che l’accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla Corte Europea[9].

Deve tuttavia evidenziarsi che i terzi generalmente non hanno diritto di partecipare al processo innanzi alla Corte Edu, ma possono chiedere al Presidente della Corte di esservi ammessi eccezionalmente (art. 36, par. 2, CEDU e 44. par.3 lett. a del regolamento della Corte).

Normalmente, dunque, il processo convenzionale coinvolge unicamente il ricorrente e lo Stato contro cui è fatta valere la violazione del diritto tutelato dalla CEDU e, quindi, in tale ipotesi, il giudizio di revocazione, nonostante la pronuncia rescindente, sarà comunque completato da una fase rescissoria in cui sarà dichiarata la salvezza dei diritti dei terzi.

Riguardo la tutela dei diritti dei terzi, peraltro, con l’art. 1, commi 13 e 14, il legislatore delegato è intervenuto sugli artt. 2652 e 2690 c.c. attuando così quanto previsto dall’art. 1, comma 10, lett. b) e f) della legge delega n. 206/2021, che prescriveva al Governo di intervenire nell’ambito del procedimento di revocazione per contrarietà alla CEDU, per assicurare la salvezza dei diritti dei terzi in buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla Corte europea.

A tal fine è stata estesa a tutela dei terzi rimasti estranei al processo convenzionale la disciplina degli effetti prenotativi della trascrizione, mediante l’introduzione all’art. 2652 c.c. del punto 9 bis, secondo cui sono atti trascrivibili “le domande di revocazione contro le sentenze soggette a trascrizione per le cause previste dall’art. 391 quater del codice di procedura civile” e “ la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda” e all’art. 2690 del punto 6 bis, secondo cui dovranno essere trascritte qualora si riferiscano ai diritti menzionati dall’art. 2684 c.c. anche “le domande indicate dal numero 9 bis dell’articolo 2652 per gli effetti ivi disposti” ed in questi casi “la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda”.

[1] Decreto legislativo del 10 ottobre 2022, n. 149

[2] Cons. St., Ad. Plen., ord. 4 marzo 2015, n. 2. In argomento si vedano M. BRANCA, Verso un ampliamento dei casi di revocazione della sentenza del giudice amministrativo: un intervento costituzionalmente e convenzionalmente necessario, in Rivista AIC, n. 2, 2015, pp. 1 ss.; G. CATALDI, Il problema della “sanabilità” del contrasto ed il rinvio alla Corte costituzionale alla luce del caso Staibano c. Italia, in I diritti dell’uomo, n. 1, 2015, pp. 93 ss.; G.M. CIAMPI, Nota a Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria ordinanza 4 marzo 2015, n. 2, in ildirittoamministrativo.it, pp. 1 ss.

[3] Corte cost., sentenza 26 maggio, 2017, n. 123. BRANCA, L’esecuzione della sentenza CEDU e la riapertura del processo civile o amministrativo: Corte cost. n. 123 del 2017, n. 6 e n. 93 del 2018, in Giur. cost., n. 3, 2018, pp. 1521 ss.; R. CONTI, L’esecuzione delle sentenze della Corte EDU nei processi non penali dopo Corte cost. n. 123 del 2017, in Consulta online, n. 2, 2017, pp. 333 ss.; E. D’ALESSANDRO, Il giudicato amministrativo (e quello civile) per ora non cedono all’impatto con la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Foro it., 2017, pp. 2186 ss.

[4] Corte cost., ord. 2 febbraio 2018, n. 19

[5] Corte cost., sentenza 27 aprile 2018, n. 93

[6] Corte cost., sentenza 7 aprile, 2011 n. 113. Sul punto cfr. tra i tanti M. CAIANIELLO, La riapertura del processo per dare attuazione alle sentenze della Corte europea dei diritti: verso l’affermarsi di un nuovo modello, in Quaderni costituzionali, n. 3, 2011, pp. 668 ss.; L. CALÒ, Il giudice nazionale dinanzi alla giurisprudenza Cedu. La metafora dei “tre cappelli”, in Foro it., n. 1, 2013, pp. 814 ss.; A. CERRUTI, Considerazioni in margine alla sent. n. 113/2011: esiste una “necessità di integrazione” tra ordinamento interno e sistema convenzionale? in Giur. it., n. 1, 2012, pp. 29 ss.; M. CHIAVARIO, La Corte costituzionale ha svolto il suo compito: ora tocca ad altri, in Leg. pen., n. 2, 2011, pp. 495 ss.

[7] Dinnanzi alla Corte di cassazione il procedimento per la revocazione di qui all’art. 391 quater c.p.c. si svolgerà in pubblica udienza secondo quanto disposto dal nuovo articolo 375 c.p.c.

[8]  Cfr. la Relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, n. 96, 6 ottobre 2022, p. 24 ss.

[9] Nella Relazione illustrativa 13 il legislatore evidenzia che i “terzi di buona fede” sono solo quei terzi di buona fede che non hanno partecipato al processo convenzionale “dovendosi per costoro prevedere, analogia a quanto già previsto per gli altri motivi di revocazione straordinaria dall’art. 391 quater c.p.c. la medesima deroga al principio resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis”.