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La nullità insanabile della sentenza della quale non venga data lettura del dispositivo
Di Marta Fede -
Sommario: 1. La vicenda alla base della pronuncia: Cass. II sez. civ., Ord. n. 5197/2023 del 20 febbraio 2023- 2. Una premessa in tema di rito applicabile alle opposizioni di sanzioni amministrative. L’appello in materia di opposizione a sanzioni amministrative – 3. L’inquadramento normativo e la nullità della sentenza– 4. La decisione e le motivazioni – 5. Conclusioni
1.La vicenda alla base della pronuncia
La Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alle prescrizioni da seguire nel rito lavoro, nell’ambito di un procedimento di opposizione a sanzione amministrativa, relativa, nello specifico, ad un verbale per violazione dei limiti di velocità.
La vicenda trae origine dalla opposizione ad un verbale di accertamento con cui era stata contestata al ricorrente la violazione dei limiti di velocità ai sensi dell’art. 142, comma ottavo C.d.S., accertata mediante sistema elettronico SICve.
Il ricorrente, proponendo opposizione, aveva lamentato la mancata taratura e l’assenza di conformità dell’apparecchiatura al prototipo omologato, l’irregolare posizionamento e la mancata segnalazione dell’impianto, dolendosi infine dell’irrituale acquisizione degli atti di accertamento.
Il giudice di prime cure rigettava l’opposizione e dunque il ricorrente proponeva impugnazione dinanzi al Tribunale di Lodi in qualità di Giudice di Appello.
Nel confermare la prima decisione, il Tribunale aveva ritenuto che l’ultimo report di verifica del corretto sincronismo degli orologi GPS, effettuato in data 23.9.2015, attestasse anche l’effettuazione della taratura e della verifica di funzionalità, ritenendo dimostrati l’omologazione ed il corretto funzionamento del sistema di rilevamento della velocità in un punto ove maggiore era il rischio di incidenti a causa, come previsto dall’art. 1, comma quarto, D.M. 3999/2004.
Allora, il ricorrente, proponeva ricorso per cassazione nei confronti della pronuncia di secondo grado, sollevando quattro motivi di ricorso.
In questa sede, è di centrale importanza analizzare il primo motivo di ricorso, con il quale, il ricorrente, denunciava la violazione degli artt. 156,429 e 437 [1]c.p.c., per avere il tribunale definito il giudizio senza dare lettura del dispositivo della sentenza, pur essendo la controversia sottoposta al rito lavoro.
2.Una premessa in tema di rito applicabile alle opposizioni di sanzioni amministrative. L’appello in materia di opposizione a sanzioni amministrative
La Seconda sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha accolto il ricorso.
L’opposizione al verbale di contestazione elevato a carico del ricorrente, era stata trattata e definita in primo grado in applicazione delle norme del rito lavoro, ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 150/2011.[2]
Dunque, il giudizio è stato incardinato con ricorso e il primo giudice ha dato lettura del dispositivo della sentenza, riservandosi il deposito della motivazione.
Anche il giudizio di appello è stato introdotto con ricorso; tuttavia, all’udienza del 20.6.2018, il tribunale ha trattenuto la causa in decisione senza dare lettura del dispositivo, depositando la sentenza il successivo il 4.7.2018.
Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la violazione denunciata dal ricorrente.
Partendo da tali premesse, è opportuno analizzare il rito applicabile in sede di opposizioni a sanzioni amministrative ed il relativo procedimento di impugnazione.
Difatti, il d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150, agli artt. 6 e 7, prevede, tra le controversie regolate dal rito lavoro, l’opposizione a verbale di accertamento per violazione al codice della strada; la competenza è del Giudice di Pace.
Dunque, la normativa applicabile al procedimento in questione e salvo le eccezioni previste, è quella dettata dagli artt. 409 e ss. c.p.c.
Infatti, per porre rimedio alla proliferazione di diversi e numerosi procedimenti speciali, il legislatore è intervenuto con una riduzione e semplificazione dei riti civili di cognizione devoluti alla giurisdizione ordinaria e disciplinati dalla legislazione speciale.
Su questa linea, è entrato in vigore il d.lgs. 150/2011, in applicazione dei principi e criteri fissati dalla legge delega n. 69/2009.
Tale decreto legislativo delegato, raggruppa i numerosi ed eterogenei procedimenti disciplinati dalla legislazione in tre categorie e, in questo contesto, è da attenzionare l’insieme di procedimenti sottoposti alla regolamentazione delle controversie secondo il rito del lavoro.
Tra queste, rientrano anche l’accertamento di violazione del codice della strada (art. 7) e l’opposizione a sanzione amministrativa (art. 8).
A tal proposito, si veda come l’art. 7 d.lgs. 150/2011, deroghi rispetto al rito del lavoro in ordine: alla competenza (luogo in cui è stata commessa la violazione – 2° comma); al termine per la proposizione del ricorso (di norma trenta giorni dalla contestazione della violazione o dalla notificazione del verbale di accertamento – 3° comma); alla forma della proposizione (anche a mezzo posta – 3° comma); legittimazione passiva (4° comma); notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza (a cura della cancelleria – 7° comma); facoltatività della difesa tecnica (8° comma); poteri-doveri del giudice (commi 7° e 9° , 10° , 11° , 12° ); contributo unificato (doc. 13 e art. 10, comma 6° bis, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).
Le disposizioni generali del d. lgs. 150/2011, al Capo I, contengono la disciplina comune ad ognuna delle categorie e, precisamente, con riguardo alle controversie disciplinate dal rito del lavoro, l’art. 2 prevede che non si applichino, salvo che siano espressamente richiamati, gli artt. 413, 415 settimo comma, 417, 417-bis, 420-bis, 421 terzo comma e sesto comma, 433, 438 secondo comma e 439 c.p.c.
Salvo che sia diversamente disposto, i poteri istruttori previsti dall’art. 421 secondo comma, c.p.c., non vengono esercitati al di fuori dei limiti previsti dal Codice civile.
La tematica della trattazione di tali materie con il rito lavoro, seppur sia trascorso già un decennio dal decreto legislativo del 2011, ha sempre destato interesse sia in dottrina che in giurisprudenza.
Infatti, anche in tempi recenti, è stato sottoposto all’attenzione della Suprema Corte [3] un caso inerente l’applicazione del rito lavoro alle opposizioni a sanzioni amministrative; il caso presentava alcune peculiarità, e, sebbene la Corte si fosse pronunciata con un’ordinanza piuttosto stringata, è verosimile, leggendo le motivazioni, che la Prefettura abbia introdotto il giudizio di appello con atto di citazione in luogo al ricorso, e che lo stesso difettasse di una completa vocatio in ius[4].
È pacifico in giurisprudenza che è nullo l’atto di citazione ove sia completamente omessa la data di udienza. [5]
Tuttavia, nella causa oggetto della ordinanza n. 533/2018, si costituiva comunque in giudizio la parte appellata e si svolgeva il giudizio presso il Tribunale in grado di appello; il ricorrente, in cassazione, deduceva quindi la intera nullità dell’atto di citazione per violazione del contraddittorio e la conseguente nullità della sentenza di secondo grado, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza del Giudice di Pace.
La Cassazione, con ordinanza n. 533/2018, respingeva le doglianze avanzate da parte ricorrente, richiamandosi al D.lgs. 150/2011, recante “Disposizioni complementari al Codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n.69”, osservando come l’art. 7 del d. lgs. 150/2011 avesse esteso il rito lavoro a tutte le controversie precedentemente disciplinate dall’art. 204 bis c.d.s.
Per tali ragioni, l’appello avrebbe dovuto essere proposto nella forma del ricorso, con le modalità e i termini previsti dall’art. 434 c.p.c. e con termine a comparire di soli 25 giorni ex art. 435, terzo comma c.p.c.[6]
La Corte di Cassazione, in detta pronuncia, rilevava infatti che il decreto legislativo entrava in vigore l’11 settembre 2011, venendo applicato a tutte le controversie insorte dopo tale momento, e quindi anche al caso di specie, dovendosi ritenere l’appello tempestivo[7].
Dunque, possiamo ormai pacificamente affermare che, scopo del legislatore delegato era quello di ridurre e semplificare i procedimenti civili di cognizione in un’ottica di deflattiva del contenzioso.
Infatti, già l’art. 54 della L. n. 69/2009, recante la delega al Governo, richiedeva che i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale venissero ricondotti a dei modelli processuali di riferimento, contenuti nel Codice di procedura civile.
Lo scopo che voleva perseguire il legislatore era quello di sostituire il rito lavoro in luogo ai riti speciali caratterizzati dalla concertazione processuale e officiosità dell’istruzione.[8]
Accanto a tale innovazione, si prevedeva che i procedimenti aventi prevalente carattere di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, anche se trattati in camera di consiglio, fossero sostituiti dal rito sommario di cognizione (oggi rito semplificato di cognizione) ed, infine, che gli altri riti speciali fossero ricondotti al giudizio ordinario di cognizione davanti al tribunale, ovvero al Giudice di pace.
Conseguentemente, non può non rilevarsi l’importanza della tematica attinente all’appello in materia di opposizione a sanzioni amministrative.
Infatti, in un’altra occasione, la Cassazione è intervenuta a Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi su tre regolamenti di competenza[9], con i quali era stata posta la questione relativa all’applicazione o meno del c.d. foro eriale ai procedimenti di appello avverso le sentenze pronunciate dal Giudice di Pace. [10]
In tale contesto, veniva menzionato il principio della c.d. “ultrattività del rito”, espressione usata per il riferirsi alle modalità di introduzione dell’appello, laddove sia contestata la correttezza del rito seguito in primo grado; tale principio, prevede infatti che anche quando in primo grado sia stato utilizzato un rito errato[11], l’appello deve essere proposto secondo il rito di fatto seguito in primo grado.
In questa sede, però, è interessante un problema differente, e cioè il rito applicabile ad un giudizio di appello in caso di contestazione di sanzione amministrativa.
Anche in questo caso, è la più recente giurisprudenza ed eliminare ogni dubbio; difatti, la Corte di Cassazione, afferma che “In tema di opposizione a sanzione amministrativa, l’appello avverso la sentenza di primo grado è soggetto al rito del lavoro ai sensi dell’art. 7del d.lgs. n. 150 del 2011, sicché l’appellante deve notificare, nel termine di 10 giorni dal decreto di fissazione dell’udienza, ricorso e decreto all’appellato, pena l’improcedibilità dell’appello. A tal fine è irrilevante che il decreto di fissazione dell’udienza contenga l’ordine di notifica alla cancelleria.”[12]
3.L’inquadramento normativo e la nullità insanabile della sentenza
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione determina la nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto.[13]
La nullità della sentenza è rinvenibile altresì dalla lettura congiunta dell’art. 429 c.p.c. e dell’art. 7 comma 1 D. lgs. 150/2011.
La Cassazione, a tal proposito, a più riprese, ha affermato:
a) l’art. 6, comma 1 del D.Lgs.1 settembre 2011, n. 150, stabilisce che “le controversie previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 (opposizione ad ordinanza-ingiunzione), sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”;
b) è vero che detto art. 6 non contiene una specifica disposizione, nel senso della espressa previsione, a pena di nullità (tanto nel giudizio di primo grado, quanto in quello d’appello), della pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo;
c) tuttavia, per effetto della regola generale dell’applicabilità alle suddette controversie del rito del lavoro, salva espressa eccezione, non è dubitabile che la previsione della lettura del dispositivo si applichi anche nei giudizi d’appello;
d) nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione determina, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, la nullità insanabile della sentenza, per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto, in quanto si traduce nel difetto di un requisito correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio che connotano tale rito e soprattutto di immutabilità della decisione rispetto alla successiva stesura della motivazione.
Infatti, già in data anteriore al d. lgs. 150/2011, la Suprema Corte sosteneva che “Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione determina la nullità della sentenza, da farsi valere secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione esperibile, in base al principio generale sancito dall’art. 161, comma primo, cod. proc. civ., senza che il giudice di secondo grado, che abbia rilevato tale nullità, ove dedotta con l’appello, possa né rimettere la causa al primo giudice – non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. – né limitare la pronunzia alla mera declaratoria di nullità, dovendo decidere la causa nel merito; pertanto, qualora il giudice d’appello proceda all’esame delle altre censure dedotte con l’impugnazione, difetta l’interesse a far valere come motivo di ricorso per cassazione la nullità della sentenza di primo grado in quanto non dichiarata dal giudice d’appello, perché l’eventuale rinvio ad altro giudice d’appello porterebbe allo stesso risultato già conseguito con la pronuncia su tutti i motivi di impugnazione.”[14]
Come è noto, la nullità di un atto è la conseguenza che scaturisce dalla violazione di norme processuali, tali da rendere l’atto non idoneo al raggiungimento dello scopo che gli viene assegnato dalla legge.
Il Codice di procedura civile disciplina la nullità degli atti agli artt. 156 e 161 c.p.c.[15]; infatti, salvo che non sia la legge a comminare la nullità di un atto, questa non può è essere fatta valere diversamente.
Inoltre, nello scenario del processo civile[16], la nullità si atteggia diversamente dall’ambito civilistico sostanziale, poiché, se l’atto ha comunque raggiunto lo scopo[17] a cui è destinato, la nullità non può essere pronunciata, in ragione del principio di strumentalità delle forme e di idoneità al raggiungimento dello scopo. [18]
Volendo provare a definire un criterio di orientamento nella definizione dello scopo, non si può osservare il singolo atto; risulta necessario indagare al procedimento in cui esso si inserisce.
È fondamentale, infatti, volgere lo sguardo al ruolo, inteso in senso dinamico, che l’atto svolge all’interno del processo e il momento in cui interviene.[19]
Nel caso di specie, in materie disciplinate dal rito lavoro, la mancata lettura del dispositivo in udienza, è causa di nullità insanabile[20].
La nullità della sentenza, in una vicenda di questo genere, viene tipicamente definita c.d. diretta dell’atto, e cioè derivante dal difetto di un requisito essenziale della sentenza, intesa come atto processuale.
L’art. 161 c.p.c. disciplina le conseguenze della nullità della sentenza, ma, proseguendo con l’esegesi di tale articolo, non si rinviene alcuna nuova definizione di nullità, tanto meno viene qualificato il momento in cui essa si verifichi.
Infatti, si fa un rimando alle tematiche generali sulla nullità, che sono state brevemente richiamate.
La giurisprudenza ha diffusamente trattato la tematica della c.d. nullità diretta e lo ha fatto anche in riferimento alla mancata lettura del dispositivo nel rito lavoro, precisando altresì che la lettura del dispositivo può risultare dalla stessa sentenza e non è necessario sia avvenuta alla presenza dei difensori ovvero ad altra udienza, successiva a quella di discussione. [21]
In ragione della eventuale nullità ravvisata, l’art. 162 comma 2 c.p.c., enuncia il principio secondo cui la nullità della sentenza non è deducibile se non con l’impugnazione ammissibile nel caso specifico, da esperire secondo le modalità e i termini previsti.[22]
Il principio contenuto all’art. 162 c.p.c. ha dunque il chiaro scopo di garantire la stabilità della decisione in quanto, la nullità eventualmente rilevata, non potrebbe essere dedotta in veste di eccezione all’interno di altri giudizi.
L’unica modalità per denunciare la nullità della sentenza è quindi esperire il mezzo di impugnazione dedicato, altrimenti, le ragioni di nullità verrebbero assorbite all’interno della questione che formerebbe oggetto di giudicato. [23][24]
4.La decisione e le motivazioni
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5197/2023, ritenendo fondato il primo motivo di ricorso proposto da parte ricorrente e dichiarando assorbiti gli altri, ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviando la causa al Tribunale di Lodi.
La Suprema Corte ha ritenuto sussistente la violazione denunciata da parte del ricorrente con le seguenti motivazioni: <<A differenza della disciplina contemplata dall’art. 23 della L. 689/1981, come modificato dall’art. 26 del D. Lgs. 40/2006, che prevedeva l’applicazione del rito ordinario-anche in appello- al giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative, gli artt. 6 e 7 D. LGS. 150/2011 prevedevano rispettivamente che i giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative di cui alla L. 689/1981 e quelle aventi oggetto i verbali di accertamento per le violazioni del codice della strada sono sottoposti al rito delle controversie di lavoro, ove non diversamente previsto.
Il precedente art. 2 del medesimo decreto dispone, inoltre, con elencazione tassativa, che a tali giudizi non si applicano gli artt. 413, 415, settimo comma, 417, 417-bis, 420-bis, 421, terzo comma, 425, 426, 427, 429, terzo comma, 431, dal primo al quarto comma e sesto comma, 433, 438, secondo comma, e 439 del Codice di procedura civile.
Deve evidenziarsi – al riguardo – che il richiamo in blocco, salvo le previste esclusioni, delle disposizioni processuali del rito lavoro conferma che anche il giudizio di appello in tema di sanzioni soggiace al rito delle controversie di lavoro, non essendo comprese tra le norme escluse tutte quelle che regolano il giudizio di impugnazione.
In particolare, tra le norme processuali non applicabili non figurano né l’art. 429, comma primo, c.p.c. né l’art. 437 c.p.c., che impongono, rispettivamente per il primo ed il secondo grado, la lettura del dispositivo in udienza.
Ne consegue che il Tribunale, pronunciando sull’appello, era tenuto a definire la causa mediante lettura del dispositivo.
Nei giudizi regolati dal rito lavoro, tale adempimento è imposto a pena di nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto, correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione.
Qualora l’omissione abbia riguardato la decisione assunta dal giudice d’appello, la Corte di cassazione, ove la nullità sia stata dedotta come motivo di impugnazione, deve limitare la pronunzia alla declaratoria di nullità con rimessione della causa al giudice di secondo grado senza decidere nel merito, trovando applicazione tale ultima regola, desumibile dagli art. 353 e 354 c.p.c., esclusivamente nei rapporti tra il giudizio di appello e quello di primo grado (Cass. 25305/2014; Cass. 13165/2009).
Il medesimo principio vale per i procedimenti di opposizione regolati dagli artt. 6 e 7 D.LGS. 150/2011, ai quali – come già affermato da questa Corte – trovano applicazione le previsioni di cui agli artt. 429, comma 1, e 437, comma 1, c.p.c.: anche in tali controversie il giudice, nel pronunciare la sentenza, deve, anche in grado di appello ed a pena di nullità insanabile, dare lettura del dispositivo all’esito dell’udienza di discussione (Cass. 38521/2021, Cass. 72/2018).
E’, pertanto, accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento delle altre censure.
La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa al Tribunale di Lodi, in persona di altro Magistrato, che regolerà anche le spese del presente giudizio di cassazione.>> [25]
Dunque, nei procedimenti di opposizione ad ordinanza-ingiunzione introdotti nella vigenza del d.lgs. n. 150 del 2011 trovano applicazione, in virtù di quanto disposto dall’art. 2, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 150, le previsioni di cui agli artt. 429, comma 1, e 437, comma 1, c.p.c., sicché il giudice nel pronunciare la sentenza deve, anche in grado di appello ed a pena di nullità insanabile, dare lettura del dispositivo all’esito dell’udienza di discussione.[26]
5.Conclusioni
Volendo, in conclusione, fare un breve excursus della disciplina che ha interessato la pronuncia della sentenza nelle materie soggette al rito lavoro, si veda come, nello specifico, è indispensabile prendere le mosse dalla riforma attuata dal D.L. 25 giugno 2008 n.112 all’art. 429 c.p.c.
Infatti, l’art. 429 c.p.c. stabiliva originariamente che il giudice, una volta terminata la discussione e sentite le conclusioni delle parti, pronunciasse sentenza leggendo il dispositivo e depositando, in un secondo momento, la motivazione, nel termine di quindici giorni stabilito dall’art. 430 c.p.c.
Dunque, prima dell’intervento della Riforma del 2008, era già dibattuto se potesse estendersi al rito lavoro la previsione dell’art. 281 sexies per il tribunale in composizione monocratica-quindi discussione orale dalla causa e contestuale lettura del dispositivo e della motivazione- ammettendo tale ipotesi in via alternativa rispetto alla previsione di cui all’art. 429 c.p.c.
Con la riforma del 2008, le modalità di decisione di cui all’art. 281 sexies c.p.c. sono state rese obbligatorie anche per il rito lavoro, prevedendo che il giudice pronunciasse sentenza dando immediata e contestuale lettura sia del dispositivo che della motivazione.
Si è tratteggiata, però, una distinzione rispetto alla disciplina dell’art. 281 sexies c.p.c. e, analogamente a quanto era previsto nel rito societario (poi abrogato dalla L. n. 69/2009), stabilendo per il Giudice la possibilità di depositare successivamente la motivazione, nel caso di particolare complessità della controversia.
Il legislatore, nell’ambito del processo del lavoro, ha operato una scelta assai discussa; infatti, il nuovo articolo 429 c.p.c. statuiva che fosse il giudice a poter fissare un termine per il deposito della motivazione (in ogni caso non oltre i 60 giorni dalla discussione dell’udienza).
Questa novità ha consentito al giudice una autodeterminazione nella scelta dei termini in cui depositare la motivazione della sentenza, che, a dispetto della dottrina, ha rappresentato, specie nei primi tempi di applicazione della norma, un punto di rottura riguardo ai principi tradizionali del processo civile.
Altra novità che ha interessato l’art. 429 c.p.c. è stata la circostanza che tale articolo non sembrasse prevedere che la motivazione potesse essere redatta in forma abbreviata, non essendo stato richiamato quanto era previsto nel rito societario; d’altra parte, però, si delineava una differenza anche in riferimento all’art. 281 sexies c.p.c., che tratta di “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto”.
Dunque, volendo evidenziare le modifiche apportate dalla riforma del 2008 all’art. 429 c.p.c., la legge, anteriormente, imponeva solo la lettura del dispositivo in udienza, innovando in maniera sostanziale il sistema del processo civile, a favore dei principi di oralità, immediatezza e concentrazione del processo.[27]
Infatti, il giudice, in ossequio al quarto comma dell’art. 420 c.p.c., pronunciava sentenza quando riteneva la causa matura per la decisione o nel caso in cui si presentassero questioni idonee a definire il giudizio.
Nel periodo che ha preceduto la riforma del 2008, molte furono le critiche in ordine alle modalità in cui veniva definito il processo secondo il rito del lavoro, e, senz’altro, a destare preoccupazione era il significativo lasso temporale tra la lettura del dispositivo in udienza e la redazione della motivazione, che, avvenendo in una fase temporale disgiunta rispetto all’udienza conclusiva, non consentiva al giudice di ravvedersi sulla decisione presa o comunque di integrare il dispositivo, già letto alle parti.
In seguito alle modifiche del 2008, però, questo punto nevralgico è stato superato, essendo previsto che il giudice potesse leggere contestualmente sia il dispositivo che la motivazione.
Infine, posto che nella trattazione di controversie che, per loro natura, si prestano ad una risoluzione più immediata, consentendo spesso al privato di ottenere una tutela rapida effettiva dei propri interessi, non può nascondersi che la pronuncia del dispositivo subito dopo l’esaurimento della discussione orale, desti sempre qualche perplessità, facendo aleggiare il pensiero di una inutilità della discussione stessa, che si svolge quando il giudice potrebbe già aver consolidato il proprio convincimento.[28]
Tali profili critici sono ancora attuali ed, infatti, la giurisprudenza, attribuendo una notevole importanza alle modalità di pronuncia della sentenza previste dalla norma in esame, ritiene che la mancata lettura del dispositivo determini la nullità insanabile della sentenza, con riferimento anche ai procedimenti soggetti al rito del lavoro per il tramite del richiamo previsto dal D.Lgs. 1.9.2011, n. 150 in tema di semplificazione dei riti.
È lecito, dunque, chiedersi quali riflessi concreti abbia la riconduzione di questo rito – che di fatto rimane speciale – al modello laburistico, ammesso che si possa ancora parlare un modello laburistico; forse, anche alla luce della recente Riforma del processo civile, sarebbe stata più logica una riconduzione all’applicazione del processo ordinario di cognizione avanti al giudice di pace.
[1] L’art. 437 c.p.c. fa parte delle disposizioni codicistiche hanno subìto una modifica ad opera del d. lgs. 149/2022- Riforma Cartabia. Il nuovo testo dell’articolo, in seguito alla riforma ed in vigore dal 18 ottobre 2022, recita: “Nell’udienza il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Quando non provvede ai sensi dell’articolo 436-bis, il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza. Non sono ammesse nuove domande ed eccezioni. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, tranne il giuramento estimatorio, salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. È salva la facoltà delle parti di deferire il giuramento decisorio in qualsiasi momento della causa.
Qualora ammetta le nuove prove, il collegio fissa entro venti giorni, l’udienza nella quale esse debbono essere assunte e deve essere pronunciata la sentenza. In tal caso il collegio con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all’articolo 423.
Sono applicabili le disposizioni di cui ai commi secondo e terzo, dell’articolo 429”.
In particolare, il primo comma è stato così modificato dall’art. 3, comma 31, lett. c), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022. L’art. 35 del citato D.Lgs. n. 149/2022, come sostituito dall’art. 1, comma 380, lett. a), L. 29 dicembre 2022, n. 197, così dispone: «Art. 35. Disciplina transitoria. […] Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023.».
[2] Per una approfondita disamina sulla tematica delle opposizioni a sanzioni amministrative si veda A. CARRATO, L’opposizione alle sanzioni amministrative, 2020; V. SCALESE, Le sanzioni amministrative ed il procedimento di opposizione, 2015.
[3] Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 11 gennaio 2018, n. 533
[4] La motivazione dell’ordinanza di cui alla nota 3, accenna alla “mancata indicazione del giorno dell’udienza di comparizione”.
[5] Cass., Sez. II, 11 febbraio 2008, n. 3205, in Mass. Giur. It., 2008; Cass., Sez. III, 20 marzo 2006, n. 6120, in Mass. Giur. It., 2006.
[6] Così anche Conforme Cass., Sez. VI – 2, Ord. 2 novembre 2015, n. 22390.
[7] Cass. civ., Sez. Unite, Sentenza, 10/02/2014, n. 2907 “Nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, introdotti nella vigenza dell’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, come modificato dall’art. 26 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e quindi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, l’appello deve essere proposto nella forma della citazione e non già con ricorso, trovando applicazione, in assenza di una specifica previsione normativa per il giudizio di secondo grado, la disciplina ordinaria di cui agli artt. 339 e seguenti cod. proc. civ.”
[8] Per una analisi puntuale della questione, si veda “La riduzione e la semplificazione dei riti” (d. leg. 1° settembre 2011 n.150), il Foro Italiano, Vol 135, n.4 (Aprile 2012), pp. 123/124-147/148.
[9] Si tratta di tre questioni, affrontate da Cass. 18 novembre 2010 n. 23285, Cass. 18 novembre 2010 n. 23286, Cass. 22 novembre 2010 n. 23594.
[10] Per una analisi critica della sentenza, si veda F.P. LUISO, Le SS. UU. si pronunciano sull’appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, in www.judicium.it ; cfr. F.P.LUISO, Ancora sul processo di appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, in Giur., it. 2010, 148.
[11] In tal senso si veda Cass. civ., Sez. Unite, Sentenza, 12 gennaio 2022, n. 758 “Nei procedimenti disciplinati dal d.lgs. n. 150 del 2011, per i quali la domanda va proposta nelle forme del ricorso e che, al contrario siano introdotti con citazione, il giudizio è correttamente instaurato ove quest’ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; tale sanatoria piena si realizza indipendentemente dalla pronunzia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, ex art. 4 del d.lgs. n. 150 cit., la quale opera solo “pro futuro”, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che avrebbe dovuto avere, avendo riguardo alla data di notifica della citazione, quando la legge prescrive il ricorso, o, viceversa, alla data di deposito del ricorso, quando la legge prescrive l’atto di citazione.”(Nella specie, la S.C. ha ritenuto tempestiva l’opposizione cd. recuperatoria avverso una cartella di pagamento per sanzioni amministrative conseguenti a contravvenzioni stradali, proposta con citazione – anziché con ricorso, come previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 150 del 2011 – tempestivamente notificata nel termine di trenta giorni dalla data di notifica della cartella medesima).
[12] Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 23 marzo 2023, n. 8341
[13] Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 ottobre 2019 – 5 ottobre 2020, n. 21257; Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 novembre 2017 – 4 gennaio 2018, n. 72; Cass. Civ. 21257 del 5 ottobre 2020
[14] Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 5659 del 9 marzo 2010; nello stesso senso si veda Cass. 9 marzo 2010 n. 5659 e Cass. 11 maggio 2006 n. 10869.
[15]G. BALENA, Elementi di diritto processuale civile, I, Bari, 2023, 236; L.P. COMOGLIO, Lezioni sul processo civile, I, Bologna, 2006, 321.
[16] In questo senso si veda F. MARELLI, La conservazione degli atti invalidi nel processo civile, Padova, 2000: “Si trae conferma dell’incertezza che circonda la nozione di «forma» degli atti processuali, risultando accolte dalla dottrina diverse accezioni, dalle più restrittive attinenti ai soli elementi dello schema contenutistico dell’atto a quelle via via più ampie che comprendono anche i requisiti relativi a modalità di compimento, alcuni presupposti oggettivi quali i termini e l’ordine di successione previsti per ciascun procedimento, fino a quelle che considerano tutti indistintamente i requisiti di validità previsti dalla legge come «formali». Occorre quindi acquisire consapevolezza della relatività della nozione di «forma» e della necessità di definirla non astrattamente, ma in relazione alla disciplina positiva di ogni specifico aspetto della nullità.”
[17] Per una definizione di scopo dell’atto, si veda C. MANDRIOLI, In tema di vizi c.d. «non formali» degli atti processuali civili, in Jus, 1966, 328: “Lo scopo dell’atto non è quello che si prefigge soggettivamente il suo autore, ma quello che ad esso assegna la legge processuale, la «funzione astratta ed obiettiva dell’atto nel processo»”.
[18] V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 535.
[19] A. ATTARDI, Diritto processuale civile, Padova, 1999, 427;
[20] La nullità consegue al difetto di requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo, quale la lettura del dispositivo in udienza in relazione alla concentrazione del giudizio e l’immediatezza della decisione; così Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 08 giugno 2009, n. 13165”.
[21] In tal senso si veda Cass. civ., Sez. lavoro, 19 novembre 2002, n. 16312: “La lettura del dispositivo della sentenza, richiesta a pena di nullità nel rito del lavoro, non deve risultare da una esplicita e formale menzione contenuta nel verbale di udienza, ben potendo essere attestata dalla sentenza, essendo altresì irrilevante che la lettura sia avvenuta in assenza del difensore di una delle parti.” (Nella specie, la S.C. ha escluso che l’utilizzazione nel verbale di udienza della formula abbreviata “il tribunale in decisione” dimostrasse la mancata lettura del dispositivo, della quale peraltro la sentenza dava atto).”
[22] Così A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5ª ed., Napoli, 2006, 223.
[23] C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, Padova, 2004, 324.
[24] In tema di giudicato e nullità della sentenza si veda G. VERDE, Profili del processo civile, I, 7ª ed., Napoli, 2008, 291: “Il formarsi del giudicato interno costituisce quindi il limite alla rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado delle nullità c.d. assolute, insanabili, ma soltanto se della nullità sia sorta questione in corso di causa, così che nella sentenza che non abbia dichiarato la nullità possa riconoscersi una pronuncia almeno implicita sul punto, suscettibile di impugnazione autonoma”.
In caso di mancata eccezione o rilievo, invece, la questione resta impregiudicata e non può formarsi il giudicato interno. Su questo punto, A. BONSIGNORI Effetto devolutivo dell’appello e nullità insanabili, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1978, I, 1609; V. DENTI, Nullità degli atti processuali civili, in NN.D.I., XI, Torino, 1968, 480.
[25] Cass. Civ. II sez, ordinanza 5197 del 20 febbraio 2023 (ud. 10 gennaio 2023)
[26] Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 4 gennaio 2018, n. 72
[27]VERDE- OLIVIERI, Processo del lavoro e della previdenza sociale, in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987; G. PERONE, Il nuovo processo del lavoro, Padova, 1975.
[28] G. FABBRINI, Della tutela (eccessiva) di talune forme processuali, in Scritti giuridici, II, Studi sul processo del lavoro e sulle riforme processuali, Milano, 1989.