La motivazione della sentenza civile nell’era dell’innovazione tecnologica

Di Michele Ciccarè -

Sommario: 1. Premessa. – 2. Genesi ed evoluzione dell’obbligo di motivare la sentenza. – 3. Funzione «endo-processuale» ed «extra-processuale» della motivazione. – 4. Conformazione strutturale della motivazione in base al codice di rito. – 5. Precetti costituzionali in tema di motivazione. – 6. Naufragio dei tentativi normativi volti a ridurre eccessivamente la motivazione. – 7. Controllabilità della motivazione quale indice per riempirne di contenuto l’obbligo. – 8. Esigenze di celerità, efficienza processuale e motivazione. – 9. Modelli di motivazione adottati in giurisprudenza. – 9.1. Motivazione secondo il principio della ragione più liquida. – 9.2. Motivazione implicita. – 9.3. Motivazione per relationem. – 9.3.1. Motivazione collage. – 9.3.2. Motivazione connettiva. – 9.4. Motivazione attraverso template. 10. Motivazione e robotica.

1.L’etimologia del termine motivazione risale alla parola latina motus, ovverosia movimento.

In ambito psicologico, il concetto ha ispirato negli studiosi la metafora per cui la motivazione consisterebbe in una «spinta che suggerisce una direzione del soggetto verso un oggetto» ([1]).

La definizione assume una diversa prospettiva nel linguaggio comune, venendo indicata come la «esposizione delle ragioni che giustificano una decisione» ([2]).

Affine è la definizione di motivazione generalmente acquisita nell’ambito del diritto processuale civile, in quanto alla luce delle disposizioni normative dell’attuale codice di rito (su cui infra al paragrafo 4) viene considerata tale la giustificazione del dispositivo emesso dal giudice.

Volendo trasporre la prospettiva psicologica in ambito processuale, essa attiene piuttosto all’insieme delle intenzioni che possono aver spinto il giudice (soggetto) ad assumere una determinata decisione all’esito della controversia (oggetto); cosicché si possa creare una netta distinzione fra i motivi interiori che in ipotesi hanno determinato una decisione ([3]) e la motivazione estrinseca della sentenza, cioè la giustificazione che il giudice fornisce a sostegno del dispositivo reso ([4]).

Questa distinzione non deve stupire ([5]): di regola il giudice delibera dapprima la decisione (sottoscrivendo il dispositivo) e solo successivamente stende la sentenza comprensiva della motivazione. Ciò è quanto stabilisce in via di principio l’art. 276, comma 4°, c.p.c., applicabile in base all’art. 281 bis c.p.c. anche per la disciplina generale delle deliberazioni assunte dal tribunale in composizione monocratica; peraltro, tale modus operandi, nel rito del lavoro, è ancor più evidente stando alla prassi instauratasi in base all’art. 429, comma 1°, ult. cpv., c.p.c.

Dunque, sembra corretto affermare che la normativa processuale delinea una «realtà psicologica del giudicare» in base alla quale la motivazione costituisce un posterius del dispositivo ed è tesa all’esternalizzazione, in ottica chiarificatoria, del pensiero sotteso all’emissione di una data decisione ([6]).

Poste tali premesse, ormai generalmente acquisite, compito del presente contributo sarà approfondire ulteriormente funzione e struttura della motivazione, per poterne verificare la compatibilità con gli espedienti giurisprudenziali improntati ad una sempre maggiore semplificazione, ivi inclusa la prospettiva, di certo suggestiva, di motivare la decisione ricorrendo alle potenzialità della tecnologia informatica.

Saranno peraltro indispensabili, a tal fine, talune preliminari notazioni storiche sull’origine dell’obbligo di motivazione, secondo una chiave di lettura mirata a conseguire uno strumentario utile per la ricerca.

2.Per approcciare analiticamente la tematica della motivazione della sentenza civile occorre tenere in considerazione un dato fondamentale: nei Paesi di civil law la sua generalizzata obbligatorietà rappresenta una conquista relativamente recente ([7]).

Ciò non significa che la motivazione fosse un elemento estraneo alle logiche del processo, anzi tutt’altro: in Italia ne sono dimostrazione, ad esempio, le decisioni emesse dai giudici longobardi già a partire dal 673, o da quelli pisani del XII secolo ([8]). Ma al contempo può essere rilevato che finché la motivazione della sentenza è rimasta una facoltà rimessa all’organo giudicante, nessuno aveva mai indagato funditus la ratio dell’istituto, essendosi gli autori dell’epoca principalmente concentrati sull’aspetto descrittivo del fenomeno. Sotto questo punto di vista, peraltro, la motivazione veniva in larga misura avversata, in quanto aspetto deleterio per la speditezza del processo ([9]); meglio – si riteneva – dare prevalenza alla concezione assolutista del potere giudiziario, riassumibile nella locuzione latina hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas ([10]).

D’altro canto, la dottrina favorevole alla redazione della motivazione poggiava su considerazioni strettamente utilitaristiche per le parti processuali, maggiormente agevolate nel comprendere l’andamento del giudizio, nell’ottica della possibilità di impugnare la decisione ([11]). O al più, basandosi sull’esperienza delle decisioni motivate emesse dalla Rota Romana a partire dalla seconda metà del XIII secolo, veniva apprezzata la funzione della sentenza quale utile «precedente» per la soluzione di successivi casi analoghi ([12]); ma ciò, è dato presumere, pur sempre sul piano strettamente connesso alle logiche interne dei processi giurisdizionali, per migliorarne l’efficienza complessiva ([13]).

Cosicché, dalla lettura dei principali contributi dedicati al tema, pare possibile rintracciare, fino agli epiloghi del XVIII secolo, una pluralità di impostazioni di certo non unitarie, ma tendenzialmente schiacciate sulla funzione della motivazione in chiave tendenzialmente processuale ([14]).

Solamente in virtù delle rinnovate concezioni illuministiche dei rapporti fra Stato e cittadino è sorta la tendenza alla razionalizzazione del potere, con conseguente introduzione dell’obbligo di motivare le decisioni per esigenze trascendenti rispetto alle mere logiche giudiziali.

Il primo esempio è quello del Regno delle Due Sicilie, che con prammatica del 27 settembre 1774 ha sancito per la prima volta, in via generale, il dovere dei giudici di motivare le loro sentenze ([15]), con portata storica ben compresa da G. Filangeri, il quale ha evidenziato come l’obbligo di motivazione sottoponesse il giudice al controllo dell’opinione pubblica, rendendolo «responsabile nei confronti della collettività» ([16]).

I moti rivoluzionari replicarono tale impostazione, cosicché anche in Francia si affacciò il principio di obbligatorietà della motivazione per mezzo dell’art. 15, l. 16 agosto 1790 sull’organizzazione giudiziaria, successivamente riproposto all’art. 208 della nuova Costituzione ([17]).

Nonostante le resistenze del «misticismo processuale» di antica memoria, l’ideologia sociopolitica che aveva fatto da sfondo alla creazione del moderno obbligo di motivazione progressivamente si impose anche in Italia e dopo un periodo altalenante quest’ultimo venne definitivamente riconosciuto nel primo codice di rito unitario del 1865 ([18]).

3.All’esito del breve excursus storico, sembra opportuno focalizzare l’attenzione su un aspetto che taluni autori finiscono col miscelare, ovverosia che esiste un autonomo contesto giuridico entro cui collocare l’istituto della motivazione, qualora intesa come risposta a logiche prettamente processuali. In questo senso, la funzione può essere duplice:

a) all’interno del giudizio in cui è resa, la motivazione consente alle parti di conoscere le ragioni che giustificano la decisione, con possibilità di sottoporle a verificazione dinanzi al giudice superiore nell’ottica del diritto ad impugnare, nonché per delimitare i confini del giudicato;

b) all’esterno del giudizio in cui è resa, la motivazione arricchisce gli operatori del diritto (in primis magistrati e avvocati) di uno strumentario giuridico utile per la trattazione di future controversie analoghe.

Sebbene entrambe le funzioni esauriscano i loro effetti all’interno di una logica strettamente processuale, si concorda con la dottrina che reputa le esemplificazioni sopra riportate come espressione, rispettivamente, della funzione endo-processuale ed extra-processuale (di ricaduta) della motivazione ([19]); difatti, nel primo caso l’utilità è interna al giudizio in corso, mentre nel secondo è esterna. A tal proposito, nulla vieterebbe al legislatore, per autonome esigenze di certezza del diritto ([20]), di sancire un obbligo di motivazione proprio in ragione di queste specifiche funzioni, come fra l’altro dimostra l’esempio della Rota Romana.

In armonia con la ricostruzione fornita in questa sede, l’ulteriore funzione di garanzia finora conosciuta come extra-processuale, ovverosia la motivazione come controllo della collettività sull’operato del giudice, sembrerebbe attagliarsi meglio ad una dimensione latamente «sovra-processuale» ([21]), poiché espressione del più elevato principio di separazione dei poteri e di osservanza delle leggi, in una logica democratica post-illuminista ([22]). Questa funzione, che costituisce il cardine ove è stato imperniato il moderno obbligo di motivare la sentenza, è quindi il frutto di un determinato contesto sociopolitico da cui finisce per dipendere ([23]).

4.Le vicende finora sintetizzate hanno certamente influito sulla stesura di taluni codici preunitari, fra cui quello adottato negli Stati Sardi, che ha costituito il modello per la prima codificazione unitaria ([24]).

Tant’è che l’art. 360, c.p.c. del 1865, prescriveva, quale requisito di forma-contenuto a pena di nullità della sentenza (cfr. art. 361), la redazione dei «motivi in fatto e in diritto» ([25]). Non solo: sempre l’art. 361 precisava che «i motivi si reputano omessi quando la sentenza siasi puramente riferita a quelli di un’altra sentenza»; segno evidente, questo, di come la funzione extra-processuale di ricaduta (sopra riportata) non era entrata nelle logiche del legislatore unitario ([26]).

La struttura della motivazione veniva, più nel dettaglio, concretizzata all’art. 266 del regolamento per l’esecuzione del codice di procedura civile, nel quale si indicava la necessità di separare le questioni di fatto da quelle di diritto, enunciando, sotto questo punto di vista, gli articoli di legge sui quali la sentenza veniva fondata nonché i principi di diritto che avevano influito sulla decisione, senza dover necessariamente confutare tutti gli argomenti addotti in senso contrario. Ed anzi, era espressamente vietato «invocare l’autorità degli scrittori legali» ([27]).

Cosicché, in ottica definitoria, sintetizzava Mortara che in base alla normativa «la motivazione deve contemplare tutte le questioni della causa e servire sufficientemente a dar ragione del dispositivo» ([28]).

Nel vigente codice di rito, invece, la disciplina generale della sentenza trova spazio all’interno dell’art. 132; i requisiti di forma-contenuto della motivazione, indicati al n. 4, sono stati modificati con la riforma avutasi nel 2009, la quale ha inciso anche sul disposto dell’art. 118 disp. att. c.p.c. che ha il compito di concretizzare la normativa codicistica ([29]).

Cominciando per gradi, fino al 2009 la parte della sentenza dedicata alla motivazione doveva contenere «la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione» (art. 132, n. 4, c.p.c.), con l’ulteriore precisazione che la motivazione consisteva «nell’esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione» (art. 118, comma 1°, disp. att. c.p.c.). Le medesime disposizioni di attuazione prevedevano poi, abbastanza dettagliatamente, la conformazione strutturale della motivazione, consistente in una concisa ed ordinata esposizione delle questioni discusse e decise, con indicazione altresì delle norme di legge e dei principi di diritto applicati ([30]).

Dopodiché il legislatore è intervenuto sul tema con l. 18 giugno 2009, n. 69, anzitutto mutando l’espressione «motivi in fatto e in diritto» nella diversa e più apprezzabile dicitura «ragioni di fatto e di diritto»; al contempo, dall’art. 132, n. 4, c.p.c., scompare ogni riferimento all’esposizione dello svolgimento del processo. Rimane invece, in base all’art. 118, comma 1°, disp. att. c.p.c., la necessità di riportare i fatti rilevanti di causa, sebbene ora in modo «succinto». Da ultimo, sempre in sede di disposizioni attuative si è aperto espressamente il campo alla possibilità di motivare le sentenze «anche con riferimento a precedenti conformi» ([31]).

5. Al momento dell’emanazione del vigente codice di procedura civile l’Italia era nel pieno del secondo conflitto bellico mondiale, sotto la guida fascista nonché retta a livello costituzionale dallo Statuto Albertino, il quale in tema di ordinamento giudiziario si limitava a dettare talune petizioni di principio partendo dal presupposto che la «Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce» (art. 68). Non era invece presente alcuna disposizione sovraordinata a sostegno dell’obbligo di motivare le decisioni giudiziarie.

La prospettiva giuridica cambia radicalmente con l’entrata in vigore, a partire dal 1° gennaio 1948, dell’attuale Carta costituzionale, il cui originario art. 111, comma 1° (ora comma 6°), stabiliva e tutt’ora stabilisce che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».

Molti autori in passato si sono occupati di interpretare lo scopo dell’obbligo costituzionale di motivazione ([32]), maggiormente orientato alla funzione tradizionalmente denominata «extra-processuale» (o, se si preferisce, «sovra-processuale»); ma ciò che più interessa ai fini del presente contributo è capire se possa essere individuata la struttura minima dell’apparato giustificativo della decisione giudiziale che la Costituzione ha implicitamente prescritto istituendo l’obbligo di motivazione ([33]).

Di certo, la scarsità degli elementi testuali a disposizione non consente di ricavare «come» il legislatore ordinario debba concretamente tradurre l’obbligo. Eppure, una fondamentale notazione va richiamata all’attenzione: il costituente impone la motivazione dei provvedimenti decisori e non si potrà prescindere dal fatto che le disposizioni ordinarie dovranno prevedere una disciplina concettualmente degna di tale semantica ([34]).

Viene dunque in luce quanto anticipato in premessa, dovendosi ragionevolmente intendere la motivazione quale giustificazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto il giudice ad assumere una data decisione. E tanto dovrà essere svolto sia con riferimento alla ricostruzione ed all’accertamento dei fatti rilevanti (sostanziali o processuali), sia avuto riguardo alle norme di diritto conseguentemente applicate ([35]).

Una conferma indiretta si può ricavare leggendo la relazione sul disegno di legge attuativo dell’art. 102, comma 3°, Cost., sulla partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia (tramutato in l. 10 aprile 1951, n. 287). Orbene, in quella sede è stata individuata la formula del giudice popolare, differenziandola dal classico istituto della giuria; ciò proprio per evitare la rischiosa forma di decisione tramite verdetto non motivato, in quanto ai sensi dell’art. 111 Cost. «tutti i provvedimenti che da questo giudice promanano, devono, come tutti quelli pronunziati dagli altri organi giurisdizionali, essere motivati» ([36]), potendosi intendere tali (stando ai lavori preparatori per l’emanazione della Carta costituzionale) solamente le decisioni «motivate in fatto e in diritto» ([37]).

Da ultimo, l’obbligo di motivazione si ricava da un’ulteriore norma sovraordinata, ovverosia l’art. 6 C.E.D.U. in tema di equo processo, il quale per come interpretato dalla Corte di Strasburgo implica il dovere di motivare ogni decisione giurisdizionale che incida su diritti soggettivi ([38]).

6. Alla luce dell’analisi svolta, si ritiene che l’attuale conformazione strutturale della sentenza in base ai requisiti di forma-contenuto dell’art. 132, n. 4, c.p.c., come meglio dettagliati ai sensi dell’art. 118 disp. att., rispetti il dettato dell’art. 111, comma 6°, Cost.

Numerosi dubbi, invece, sono stati sollevati in passato avverso alcuni tentativi di riforma sul tema, che in nome di un’eccessiva semplificazione dell’istituto della motivazione avevano determinato una potenziale frizione con i principi ricavabili a livello sovra-ordinato. Tant’è che, ad oggi, le iniziative intraprese sono naufragate nel nulla.

Il riferimento va anzitutto all’art. 79, d.l. 21 giugno 2013, n. 69, che con il dichiarato scopo di ridurre i tempi della giustizia aveva novellato l’art. 118 disp. att., aprendo il campo a motivazioni basate, in punto di fatto, sui soli aspetti «decisivi» (anziché rilevanti) della controversia, ed in diritto sul richiamo ai «principi» (anziché alle ragioni). Il tutto, consentendo il rinvio esclusivo a precedenti conformi, ovvero il rimando integrale ai «contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa» ([39]).

La critica che più ha colto nel segno attiene allo svuotamento della motivazione, all’evidenza non più concepita – in violazione dell’art. 111, comma 6°, Cost. – come effettiva giustificazione, in fatto ed in diritto, della decisione emessa dal giudice ([40]). Per tali ragioni, verosimilmente, la norma è stata abrogata in sede di conversione del d.l. sopra riportato, mediante l. 9 agosto 2013, n. 98.

In secondo luogo, va senz’altro richiamato il drastico tentativo di introdurre la motivazione a richiesta, previsto nell’ambito della delega legislativa che nel 2014 era stata conferita al governo per migliorare l’efficienza della giustizia civile ([41]).

La proposta prevedeva la stesura della motivazione della sentenza di primo grado soltanto qualora oggetto di specifica richiesta ad opera delle parti, previo versamento di una quota del contributo unificato dovuto per l’appello. In assenza, la decisione sarebbe consistita nell’emissione del dispositivo, corredato dall’indicazione dei fatti e delle norme di riferimento al solo fine di delimitare l’oggetto dell’accertamento. Sebbene non siano mancate opinioni favorevoli a tale impostazione ([42]), tale progetto di legge non è mai stato approvato.

Ed in effetti, una scelta del genere rappresenta senz’altro la soluzione più drastica per erodere l’istituto della motivazione delle sentenze, secondo un’ottica apertamente contrastante con i precetti costituzionali sopra richiamati. E ciò non solo in quanto la motivazione diverrebbe ictu oculi facoltativa, ma anche perché la sua stesura, costituzionalmente garantita, sarebbe condizionata al pagamento di una somma in denaro.

Né varrebbe sostenere che in alcune ipotesi si assiste già a provvedimenti sforniti di una solenne motivazione. Basti considerare, a tal proposito, che l’obbligo costituzionale enunciato all’art. 111, comma 6°, va concretamente declinato in base all’effettiva funzione giurisdizionale sottesa a ciascun procedimento, da cui discende anche l’ampiezza del potere-dovere decisorio in capo al giudice, il quale a sua volta dovrà essere calibrato rispetto alle domande proposte dalle parti nonché agli specifici presupposti di accoglimento sanciti astrattamente per legge.

Si pensi ad esempio all’ordinanza per convalida di sfratto, la cui motivazione può ritenersi effettiva rispetto alle questioni rilevanti per quel determinato giudizio, ovverosia la constatazione circa la sussistenza dei presupposti di legge e la mancata opposizione da parte dell’intimato ([43]).

7. Quelli sopra indicati hanno rappresentato i principali esempi di norme volte a destrutturare la motivazione della sentenza ed entrambi sono riconducibili ad una matrice comune: limitare la tempistica del contenzioso, sul presupposto di considerare la motivazione «come una delle cause della crisi, specie di durata, del processo civile» ([44]).

Le forti critiche mosse in dottrina avverso la suggestione legislativa di eliminare l’arretrato civile, a discapito delle garanzie costituzionali, hanno al momento impedito la completa svalutazione dell’istituto della motivazione, sebbene sia nota la crisi ormai da tempo ingenerata ([45]).

A tal proposito, merita attenzione, per le sue potenziali conseguenze negative proprio in tema di motivazione della sentenza, la riforma del 2012 concernente l’art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c. Difatti, con l’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, il legislatore è intervenuto con l’intento di limitare, relativamente al vizio di motivazione, l’accesso al giudizio di legittimità. In particolare, rispetto alla pregressa versione della norma, che consentiva la cassazione della sentenza per «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», oggi è possibile censurare la decisione solo per «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».

L’impatto della riforma è stato evidente, considerando che molti autori, al fine di riempire di contenuto l’obbligo di motivazione, avevano in passato espressamente ricollegato, in combinato disposto fra loro, l’art. 132 e l’art. 360, n. 5, c.p.c., con l’art. 111, comma 6° Cost. ([46]), arrivando a sostenere che la motivazione fosse talmente connaturata al concetto di sentenza da privarne l’esistenza giuridica qualora venisse completamente omessa ([47]).

Ferme tali premesse storiche, occorre dunque capire fino a che punto la riforma del 2012, nell’ottica di defaticare la Corte di Cassazione rispetto alla mole di ricorsi presentati, abbia inciso sul modo di strutturare la motivazione. A tal fine sembra corretto porre, fin da subito, alcune considerazioni metodologiche:

a) l’alveo in cui opera l’art. 360 c.p.c. è quello della controllabilità dell’operato dei giudici di merito da parte della Corte di Cassazione;

b) la copertura costituzionale del controllo, in base all’art. 111, comma 7°, vige solamente per i casi di «violazione di legge»;

c) costituisce principio costituzionale che la sentenza debba essere motivata (art. 111, comma 6°), nel senso sopra ricostruito al paragrafo 5;

d) l’attuale normativa dettata agli artt. 132 e 118 disp. att., c.p.c., è idonea ad integrare i dettami costituzionali in tema di motivazione;

e) nonostante, oggi, l’assenza di un’apposita censura dedicata al vizio di motivazione, rimane ferma la possibilità di cassare la sentenza, in base all’art. 360, n. 4, per nullità, id est violazione di legge processuale ([48]);

f) le regole codicistiche di forma-contenuto della motivazione costituiscono prescrizioni di attività del giudice e se violate determinano un error in procedendo sussumibile entro l’alveo delle invalidità ([49]).

Pertanto, in assenza della specifica regola di controllo in sede di legittimità, sulla cui base era stato – a ritroso e per comodità – riempito di contenuto l’obbligo del giudice di motivare, è ora necessario leggere tale fattispecie processuale in ossequio al paradigma tipico del vizio di nullità.

Si tratta, dunque, di stabilire il «contenuto minimo indispensabile» delle ragioni di fatto e di diritto ricavabile all’art. 132 c.p.c. affinché la sentenza possa raggiungere il suo scopo, rispettando così il principio dell’art. 156, comma 2°, c.p.c. ([50]). Scopo che, in tale prospettiva, va identificato nell’astratta funzione endo-processuale della motivazione ([51]).

Stando all’approdo cui si è giunti ([52]), il problema del limite al controllo coinvolge essenzialmente il tradizionale requisito della «sufficienza», che in base all’attuale orientamento giurisprudenziale sarebbe completamente estromesso in sede di legittimità; viceversa, la motivazione omessa, apparente o intrinsecamente contraddittoria condurrà comunque ad una dichiarazione di nullità per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. ([53]).

La questione cruciale è quindi stabilire fino a che punto sia ammissibile ridurre di contenuto l’obbligo di motivazione, o meglio, tollerare la devianza rispetto al modello legale delineato agli artt. 132, n. 4, e 118 disp. att., affinché la difformità in punto di «sufficienza» resti confinata in una sorta di mera irregolarità ([54]).

Pur nell’assenza di specifici parametri di riferimento, sembra ragionevole ritenere insindacabile la sentenza che contenga quantomeno l’esposizione dei fatti «decisivi» ([55]) della controversia e le relative ragioni idonee a giustificarne l’accertamento; in ciò potrebbe ad esempio consistere quello scarto innocuo rispetto al modello astrattamente previsto per legge ([56]), esteso altrimenti ex art. 118, comma 1°, disp. att. c.p.c., ad ogni fatto rilevante ([57]).

Entro questa prospettiva, sia invece consentito esprimere riserve sull’orientamento giurisprudenziale che aveva ricondotto l’insufficienza della motivazione alla «obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento» ([58]), poiché, come correttamente osservato più di recente dalla medesima Corte di Cassazione, tale difetto viola l’art. 132, n. 4, c.p.c., in quanto il vizio si annida piuttosto nella mancanza oggettiva di ragioni a sostegno della decisione, con conseguente «apparenza» della motivazione resa ([59]).

A tal proposito, peraltro, è necessaria una doverosa precisazione: così opinando non si sta legittimando nel sistema una motivazione «insufficiente» ([60]); più semplicemente il tentativo è quello di porre le basi per una rinnovata esegesi del contenuto dell’obbligo di motivare, posto che a fronte della riforma del 2012 è cambiato il paradigma di fondo per la valutazione di sussistenza del vizio ([61]).

Da ultimo, si ritiene che il giudice non potrà esimersi dal fornire anche ragioni formalmente idonee a giustificare l’accertamento effettuato; entro questa logica si condivide appieno la tesi per cui in base al nuovo art. 360, n. 5, c.p.c., è ancora consentito il sindacato sull’uso (ovvero sul mancato utilizzo) delle massime d’esperienza per l’accertamento dei fatti ([62]).

8.Al di là degli spiragli interpretativi poc’anzi delineati, è indubbio che la motivazione della sentenza è attualmente etichettata come una delle principali cause della lungaggine dei procedimenti civili. In altri termini, il c.d. collo di bottiglia ([63]).

Tant’è che, pur nella vigenza dei medesimi riferimenti normativi, a livello giurisprudenziale sono invalsi nel tempo molteplici modelli di «motivazione semplificata», che saranno analizzati al fine di vagliarne la compatibilità con le regole dettate a livello sia ordinario che sovraordinato ([64]).

Si anticipa che il trait d’union di queste tecniche è il medesimo: snellire la parte motiva della decisione per ridurre i tempi di definizione complessiva dei giudizi. Ed oggi l’esigenza è ancor più forte, poiché nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato al momento negoziato con la Commissione Europea il raggiungimento di due determinati target a livello nazionale, avuto riguardo ai procedimenti civili contenziosi ([65]):

a) la riduzione del disposition time ([66]) pari al 40% entro giugno 2026;

b) la riduzione dell’arretrato civile del 65% nei tribunali e del 55% nelle corti di appello entro fine 2024, con aumento complessivo fino al 90% entro giugno 2026.

È indubbio, a tal proposito, che una maggiore efficienza nel rendere le motivazioni possa determinare un’abbreviazione dei tempi della giustizia, come già enfatizzato dalla dottrina nella vigenza del primo codice unitario del 1865 ([67]). Ma è parimenti indispensabile che in nome della rapidità e della semplificazione del processo di stesura della motivazione non venga sacrificata l’attività ragionante del giudice, che deve sempre rimanere esauriente e chiara ([68]).

In altri e più efficaci termini, a prescindere dalla modalità di estrinsecazione utilizzata il giudice deve riuscire nell’obiettivo di giustificare attraverso la motivazione il proprio convincimento, traducendo «in termini proposizionali le sue rappresentazioni mentali» ([69]).

Soltanto in questo modo possono dirsi rispettate in via giurisprudenziale le norme sulla struttura della motivazione nel processo civile, istituto che – si ritiene – non debba appassire al cospetto di pur pressanti esigenze di celerità imposte a livello europeo ([70]).

9. Sotto questa specifica chiave di lettura, si andrà ora ad esaminare fino a che punto la motivazione della sentenza possa essere compressa, senza violare le regole imposte in via normativa né tanto meno tradendo la funzione che le è propria.

La metodologia utilizzata sottende, in quanto condiviso, l’approdo sopra citato per cui le regole di forma-contenuto ricavabili agli artt. 132, n. 4, e 118 disp. att., c.p.c., costituiscono prescrizioni di attività del giudice, che qualora violate determineranno un error in procedendo sussumibile entro l’alveo delle invalidità dell’atto processuale ([71]).

Entro tale ottica saranno effettuate sintetiche considerazioni sui principali modelli di motivazione elaborati nel tempo dalla giurisprudenza, al fine di stabilire la compatibilità o meno di determinate forme di motivazione semplificata rispetto alle regole di sistema.

9.1. –  Un particolare modello di motivazione semplificata adottato dalla giurisprudenza consiste nella decisione resa stando al principio della ragione più liquida.

In pratica, la stesura della sentenza non segue l’ordine logico-giuridico delle questioni, poiché in virtù delle esigenze di economia processuale si tende a richiamare esclusivamente la ratio decidendi di per sé sufficiente a motivare la decisione ([72]).

Non si può dubitare circa la validità e l’utilità di tale stratagemma, ricavabile ai sensi dell’art. 187, commi 2° e 3°, c.p.c.; ma ciò esclusivamente nella misura in cui venga applicato fra le medesime tipologie di questioni (rispettivamente, di rito o di merito).

A differenza di quanto emerge da un consistente filone giurisprudenziale ([73]), si ritiene infatti di escludere il riferimento alla ragione più liquida per derogare all’ordine delle questioni enunciato all’art. 276, comma 2°, c.p.c., che al riguardo sancisce il principio, condiviso dalla dottrina maggioritaria, per cui le questioni pregiudiziali di rito devono essere trattate e risolte preventivamente rispetto al merito della controversia, senza eccezione alcuna ([74]). Con il risultato che, a seguito di apposito rilievo d’ufficio o qualora la problematica sia stata oggetto di discussione fra le parti, «la deliberazione su tali questioni deve precedere quella delle altre» ([75]). D’altronde, opinando diversamente non sembra superabile l’obiezione per cui il giudice finirebbe per decidere il merito della controversia pur nell’assenza, a monte, del potere di farlo.

Un ulteriore aspetto rimane, a questo punto, da considerare: se l’ordine delle questioni in fase deliberativa vada riproposto anche nella motivazione della sentenza. In astratto, l’art. 118, disp. att. c.p.c., fornisce soluzione positiva al quesito laddove prescrive che «debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise». Ad ogni modo va escluso che eventuali inversioni d’ordine, magari dettate della speditezza che contraddistingue il tocco di penna dell’odierno giudicante, possano assurgere a vizio di nullità della sentenza. In questi casi, dunque, la mancata conformità al modello legale costituirà una mera irregolarità e l’atto produrrà comunque i suoi effetti tipici.

9.2. –  Altra soluzione giurisprudenziale ormai in voga è quella di adottare la tecnica della motivazione implicita.

In base a tale approdo, avallato pienamente dalla Corte di Cassazione, è sufficiente che il giudice esponga in motivazione soltanto gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della decisione, dovendo ritenersi implicitamente disattesa ogni argomentazione logicamente incompatibile, sebbene non espressamente esaminata nella risoluzione delle varie questioni ([76]).

Anche queste semplificazioni appaiono perfettamente in linea con le disposizioni normative, purché si possa effettivamente escludere la rilevanza di ulteriori elementi atti a fondare una decisione di segno opposto ([77]). Altrimenti, si configurerebbe un vizio soggetto ad impugnazione.

9.3. –  Particolare attenzione merita la motivazione per relationem, ovverosia (in linea generale) quando il giudice non elabora una giustificazione ad hoc, ma rinvia al contenuto di un altro atto.

L’utilizzo di questa tecnica, come si è visto in precedenza, era espressamente vietato dall’art. 361 c.p.c. del 1865, sul presupposto che il magistrato avrebbe dovuto ragionare in sentenza con il proprio cervello ([78]). Silente, invece, l’attuale codice di rito, e ciò fino al 2009, allorquando è stato modificato l’art. 118 disp. att. c.p.c. nel senso di poter succintamente esporre le ragioni giuridiche della decisione «anche con riferimento a precedenti conformi».

Alla luce dello scarno quadro normativo, è doveroso effettuare una serie di ipotesi, poiché il concetto di relatio può assumere varie declinazioni. Difatti il rinvio andrebbe anzitutto distinto a seconda che riguardi questioni di fatto o di diritto e per la prima tipologia occorre considerare se esso sia interno al medesimo procedimento oppure esterno ([79]).

Sotto questo punto di vista, sembra che la formulazione normativa sia in grado di comprendere soltanto la casistica del rinvio, in punto di diritto, nei confronti di pronunce emanate da diversi organi giurisdizionali, siano essi di merito o di legittimità. A tale approdo si può pervenire attraverso un’interpretazione che prescinde dal mero dato letterale, in quanto nel nostro sistema di civil law non sembra sostenibile tout court la teoria del precedente giuridicamente vincolante ([80]).

Ma ciò dovrà avvenire soltanto dopo che il giudice, laddove necessario e facendo applicazione degli ulteriori principi ricavabili dall’ordinamento ([81]), avrà correttamente ricostruito ed accertato le questioni rilevanti del caso concreto. In altri termini, richiamando alla mente il classico paradigma del ragionamento sillogistico, un corretto utilizzo della «relazione» implica l’avvenuta valutazione e fissazione di tutti quegli aspetti che fungono da premesse minori per il successivo sviluppo decisorio.

Intesa in questa accezione, la motivazione per relationem comporta un’utile semplificazione della fase di redazione della motivazione, in quanto si tratterà, a quel punto, di rintracciare ed applicare a quella fattispecie, ove condivisa, una determinata regola iuris estrapolabile da un’altra sentenza, senza dover nuovamente riproporre l’intero iter che aveva condotto all’emanazione di quella regola.

Difatti, se da un lato la relatio facilita il compito del giudice, con risparmio di tempo e risorse, dall’altro lato quest’utilità non potrà sfociare nell’emissione di decisioni surrettizie, nelle quali il giudice si limiti a richiamare un determinato orientamento giurisprudenziale in assenza di un effettivo inquadramento delle questioni di fatto.

Tant’è che la disciplina codicistica, nel sancire l’obbligo di esporre le «ragioni di fatto» (art. 132, n. 4, c.p.c.), sembra necessariamente presupporre il dovere di indicare le fonti del convincimento in merito ai fatti rilevanti per il giudizio ([82]). Anche perché, opinando diversamente, si finirebbe per cadere nelle maglie della motivazione apparente per difetto di individuazione della ratio decidendi posta a base della decisione; ipotesi, questa, che determinerebbe un vizio di nullità per violazione delle regole procedurali in tema di stesura della motivazione ([83]).

Infine, è stato correttamente precisato che il rimando dovrà essere tanto più dettagliato e chiaro se non riguarda pronunce di legittimità ufficialmente massimate e reperibili mediante semplici ricerche ([84]).

Fermo restando quanto sopra esposto, occorre ora verificare se sia possibile, pur nel silenzio normativo, adottare in ottica semplificatoria una motivazione per relationem (interna o esterna) su aspetti fattuali.

Il quesito merita senz’altro risposta affermativa nei limiti in cui la relazione si risolva in un mero «rimando» ad atti o documenti di causa già oggetto di analisi, poiché in tali ipotesi il giudice svolgerebbe comunque a monte un idoneo percorso argomentativo ([85]). I connotati dell’istituto divengono invece peculiari quando l’uso massivo di questa modalità redazionale dovesse sfociare nelle derive oggetto di analisi nel prossimo paragrafo.

9.3.1. – La motivazione c.d. collage, o in altri termini la banale tecnica del copia-incolla, può essere inquadrata nell’ambito del più generale concetto di motivazione per relationem.

Il problema, postosi principalmente avuto riguardo agli atti di parte per possibile contrarietà al principio costituzionale di terzietà ed imparzialità del giudice, è stato risolto dalle sezioni unite della Corte di Cassazione in senso positivo ([86]), purché, analogamente a quanto osservato nel precedente paragrafo, risulti comunque attribuibile al giudicante lo specifico percorso argomentativo adottato in sentenza ([87]).

L’approdo giurisprudenziale, per la sua forte scivolosità a livello applicativo, costituisce ad avviso di chi scrive un’arma da maneggiare con estrema attenzione, per evitare derive confliggenti con il quadro normativo di riferimento. Difatti, un abuso nell’utilizzo del copia-incolla, oltre a determinare sentenze inutilmente elefantiache, renderebbe davvero criptica l’individuazione di un’essenza decisoria idonea a rispettare i requisiti di forma-contenuto della motivazione ([88]).

Al contempo, dovranno ovviamente essere evitate derive di segno opposto, in quanto un’eccessiva essiccazione del rinvio determinerebbe una situazione non dissimile da quella del verdetto, come tale illegittima per contrarietà all’art. 111, comma 6°, Cost. ([89]).

9.3.2. –  L’ultima frontiera della motivazione per relationem sottende l’introduzione all’interno del sistema processo, ormai da alcuni anni, di alcune evoluzioni tecnologiche. Il riferimento è in primis alle implicazioni del processo civile telematico ed al conseguente obbligo di deposito in via digitale degli atti, con creazione e gestione da remoto del fascicolo informatico di causa ([90]).

In un tale contesto è stato inaugurato uno specifico filone basato sul criterio della c.d. «intelligenza connettiva», cioè quando la relatio tradizionalmente intesa, grazie alle potenzialità della rete internet, viene graficamente espressa tramite creazione di un collegamento ipertestuale (link) al quale si può accedere con un click ([91]) per visionare all’istante i rimandi effettuati ad altre sentenze oppure agli atti depositati in giudizio.

L’approdo giurisprudenziale non innova la ratio che giustifica l’apertura alla motivazione per relationem, ma ha il pregio di potenziare l’applicazione di questa tecnica sfruttando la navigazione on line ([92]).

Motivo per cui va accolta positivamente questa ulteriore facilitazione, la quale non sembra possa influire sul contenuto dell’atto, dovendo essere comunque rispettati i requisiti minimi sopra indicati per effettuare una «relazione» corretta.

9.4. – Rimane da analizzare la suggestiva ipotesi di semplificare il procedimento di stesura della motivazione facendo ricorso ad appositi template. Sebbene l’informatica permetta una forte duttilità, in tal senso, dei modelli che possono essere creati su appositi file base, non sembra che il concetto si discosti dalla tradizionale disputa sulla possibilità di utilizzare «moduli prestampati» per redigere la motivazione della sentenza.

A tal riguardo non si può fare a meno di sottolineare, ancora una volta, che anche la motivazione «nativa digitale» dovrà pur sempre rispettare gli stessi canoni normativi di riferimento e cioè far emergere specificamente il percorso logico-giuridico seguito dal giudice nel caso di specie ([93]). Sotto questo punto di vista si ritiene valido, mutatis mutandis, il principio della Corte di Cassazione penale per cui «è legittimo l’uso di moduli prestampati, a condizione che gli stessi siano adeguatamente completati con argomentazioni specificanti le ragioni concrete della singola decisione adottata» ([94]). Con la conseguenza che non sarà consentito fissare a priori pacchetti precostituiti delle decisioni giudiziali, fondamentalmente perché, ferma l’utilità di applicare chiari e sintetici principi di diritto eventualmente raggruppati in specifiche banche dati con l’ausilio delle nuove tecnologie informatiche ([95]), «la vera e grande opera del giudice sta non già nel ricavare dalle premesse la conclusione, ma proprio nel trovare e formulare le premesse» ([96]).

  1. – Da ormai qualche anno sta assumendo fascino e per certi aspetti inquietudine l’idea che nei meccanismi del sistema giustizia possa essere introdotta l’IA, ovverosia l’intelligenza artificiale ([97]).

In letteratura, peraltro, è già stata perfino tentata una definizione di «robogiudice» ([98]), essenzialmente incentrata sulla potenzialità tecnologica di appositi calcolatori algoritmici.

Senza poter entrare appieno nel complessivo dibattito, è interessante ai fini della presente ricerca focalizzare l’attenzione sul tema dell’utilizzo dell’IA in fase decisoria, per gli evidenti riflessi che ciò potrebbe avere sulla stesura della motivazione della sentenza. Sotto questo punto di vista, l’interrogativo di fondo poggia sulla seguente impostazione alternativa:

  1. a) utilizzare l’IA come sistema di supporto alla decisione;
  2. b) sfruttare l’IA per automatizzare l’emissione della decisione.

Nonostante si rinvengano già oltreoceano marginali ipotesi applicative in tal senso ([99]), si ritiene di escludere l’opzione sub b), essendo assorbente il rilievo di potenziale illegittimità costituzionale quantomeno per violazione del diritto al giudice naturale precostituito per legge ([100]).

Peraltro, sembra in radice illusorio sostenere che l’introduzione di automatismi decisori possa portare ad una giustizia neutrale ed indipendente; basti considerare che qualsiasi elaboratore elettronico è condizionato, in fase di immissione e profilazione dei dati, da irriducibili giudizi di valore ad opera di chi costruisce e programma le «logiche» degli algoritmi e del machine learning.

D’altro canto, la deliberazione automatizzata è di per sé scevra da qualsivoglia giustificazione chiarificatrice sulle varie questioni rilevanti, finendo inevitabilmente per violare il precetto di cui all’art. 132, n. 4, c.p.c. In altri termini, il risultato è quello di «decidere senza giudicare» ([101]).

Oltretutto, la decisione robotica svilirebbe la funzione c.d. extra-processuale della motivazione, stante la totale carenza di esternazioni controllabili dai comuni cittadini nel cui nome la giustizia viene amministrata ai sensi dell’art. 101 Cost. ([102]).

Alla luce delle considerazioni che precedono, sembra invece percorribile l’opzione sub a): in questa limitata prospettiva l’IA avrebbe il pregio di assicurare una maggiore efficienza del processo, nell’ottica di integrare – e non sostituire – l’agire logico-giuridico del giudice umano ([103]). Ad esempio, si potrebbe implementare la funzionalità delle banche dati giurisprudenziali attraverso un’indicizzazione di determinati passaggi argomentativi ovvero tipizzando le principali ratio decidendi ([104]), fermo restando, però, che la vicenda processuale non potrà mai essere ridotta ad una pura e semplice equazione matematica ([105]).

D’altronde, scriveva in tempi ancora non sospetti P. Calamandrei che «il giudice ottimo è quello in cui, sulla cauta cerebralità, prevale la pronta intuizione umana» ([106]).

(*) Il presente contributo è stato scritto nell’ambito del progetto “Universitas per la giustizia. Programma per la qualità del sistema giustizia e per l’effettività del giusto processo” (UNI 4 Justice) – Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Macerata.

([1]) R. De Beni, A. Moè, Motivazione e apprendimento, Bologna 2000, 36.

([2]) Aa. Vv., voce Motivazione, in Nuovo Devoto-Oli. Il vocabolario dell’italiano contemporaneo, a cura di G. Devoto, G. C. Oli, L. Serriani, M. Trifone, Milano 2022.

([3]) S. Evangelista, voce Motivazione della sentenza civile, in Enc. dir., XXVII, Milano 1977, 161, riconduce i «motivi» alla stregua dei presupposti psicologici che la motivazione ha il compito di esternare. Sul punto anche F. Lancellotti, voce Sentenza civile, in Noviss. dig. it., XVI, Torino 1969, 1106.

([4]) Fra i primi a proporre la denominazione C. M. Iaccarino, Studi sulla motivazione (con speciale riguardo agli atti amministrativi), Roma 1933, 43.

([5]) Per S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano 1966, 500, va rimarcata «chiaramente la distinzione dell’elemento estrinseco, che è appunto la motivazione, dall’elemento intrinseco, che sono i motivi, cioè le ragioni interne del decidere». In termini ancora più enfatici P. Calamandrei, Processo e democrazia, Padova 1954, 101, per il quale «la motivazione non è il fedele resoconto logico-psicologico del processo che ha condotto il giudice alla decisione, bensì l’apologia, che il giudice elabora a posteriori, della decisione stessa».

([6]) Così in chiave provocatoria P. Calamandrei, La crisi della motivazione, in Id., Opere giuridiche, I, Napoli 1965, 668, il quale altresì evidenzia come le disposizioni processuali in tema di deliberazione della sentenza «possono far pensare che la motivazione altro non sia che un espediente di ipocrisia formale» (670).

([7]) Eccezion fatta per le Rote dello Stato Pontificio e per la Rota toscana (inizi del ‘500), bisognerà attendere le ripercussioni rivoluzionarie dell’illuminismo francese di fine XVIII secolo per la codificazione in via generalizzata dell’obbligo. Sul tema C. Rasia, La crisi della motivazione della sentenza civile, Bologna 2016, 24 ss., M. Taruffo, La motivazione, cit., 319 ss. Non verrà affrontata, invece, l’evoluzione storica avutasi nei Paesi di commn law, in quanto fuoriesce dagli ambiti della presente ricerca, rinviando per tali aspetti agli studi poc’anzi citati.

([8]) M. Taruffo, La motivazione, cit., 320-321. Per C. Rasia, La crisi della motivazione della sentenza civile, cit., 14, dalle testimonianze di Ulpiano si ricava una tendenza a motivare le sentenze da parte dei giudici del processo formulare repubblicano, nonché di quello classico, già a partire dal I e II secolo d.C.

([9]) P. Calamandrei, La teoria dell’error in iudicando nel diritto italiano intermedio, in Id., Studi sul processo civile, Padova 1930, 119, chiarisce come la sentenza fosse valida anche senza esprimere le ragioni della decisione, che anzi avrebbero comportato come effetto negativo (ove mal poste) la via dell’impugnazione, con conseguente allungamento dei tempi del processo. Cfr. anche M. Taruffo, L’obbligo di motivazione della sentenza civile tra diritto comune e illuminismo, in Riv. dir. proc. 1974, 279.

([10]) L’espressione è attribuita a Giovenale e letteralmente significa «questo voglio, così comando, che il mio volere valga da ragione».

([11]) Si rinvia per tutti a G. Oberto, La motivazione delle sentenze civili in Europa: spunti storici e comparatistici, reperibile in www.giacomooberto.com, 2008, par. 2.

([12]) A. Santangelo Cordani, La rota romana e la motivazione della sentenza, in Aa. Vv., Le droit par-dessus les frontières (Il diritto sopra le frontiere. “Atti” delle Journées internationales de la Société d’Histoire du droit – Torino 2001), Napoli 2003, 323 ss. Il sistema delle decisio si basava sulla raccolta dei pareri espressi dagli uditori, resi noti alle parti del giudizio prima di emettere la pronuncia definitiva, affinché esse potessero convincere i giudici a mutare opinione. Fino al 1563 la decisio veniva comunicata prevalentemente a voce, ma dopo la Costituzione In throno iustitiae di Pio IV risulta all’a. che «la redazione delle decisioni fosse divenuta sistematica» (331). A. Taruffo, La motivazione, cit., riconduce la funzione della motivazione, in quel contesto, esclusivamente volta a prevenire l’impugnazione.

([13]) A. Santangelo Cordani, La rota romana e la motivazione della sentenza, cit., 332. Sembra che possa essere mitigata l’affermazione, utilizzata dall’a., della funzione «extra-processuale» della motivazione delle decisioni rese dalla Rota Romana, poiché a ben vedere l’utilità non trascende dalle logiche strettamente attinenti al sistema processuale.

([14]) L’unica eccezione è stata rinvenuta nell’esperienza del Ducato di Toscana: attraverso la riforma della Rota del 1532 venne introdotto un obbligo di motivazione con il dichiarato intento di un controllo della collettività sull’operato del giudice. Sul tema C. Rasia, La crisi della motivazione della sentenza civile, cit., 20-21.

([15]) S. Evangelista, voce Motivazione della sentenza civile, cit., 154, il quale cita il dispaccio del Re datato 25 novembre 1774, dichiaratamente volto ad ottenere «una pronunzia giurisdizionale conforme al ruolo dei giudici, intesi quali esecutori delle leggi e non legislatori e di attuare il principio che il diritto ha da essere certo e definito, non arbitrario; (…) essendo il genere umano pur troppo portato a sospettare e maledire quello che non intende facilmente».

([16]) M. Taruffo, La motivazione, cit., 331, che altresì sottolinea come questa implicazione esulasse dagli intenti del principale riformatore (B. Tannucci), piuttosto tesa a razionalizzare il funzionamento dell’amministrazione giustizia.

([17]) M. Taruffo, La motivazione, cit., 325.

([18]) Cfr. S. Evangelista, voce Motivazione della sentenza civile, cit., 155.

([19]) C. Rasia, La crisi della motivazione della sentenza civile, cit., 61.

([20]) Ravvisa una connessione fra l’istituto della motivazione e le esigenze di certezza del diritto G. Monteleone, Riflessioni sull’obbligo di motivare le sentenze (motivazione e certezza del diritto), in Giusto proc. civ. 2007, 1 ss., prendendo a sua volta spunto dalle considerazioni di F. Lopez de Onate. Non pare revocabile in dubbio, sotto questo punto di vista, che una sentenza ipoteticamente priva per legge delle ragioni in fatto ed in diritto si esponga «al grave pericolo dell’arbitrio», posto che «è proprio la motivazione che esprime e compendia l’ordinamento giuridico rendendolo chiaro ed esplicito agli occhi delle parti in causa».

([21]) Pur consapevoli dell’unanimità di veduta in dottrina, la definizione data collima maggiormente rispetto alla ratio della funzione, che è proprio quella di una controllabilità esterna del comune cittadino, alla luce del principio di trasparenza dell’operato del giudice nell’attuale contesto sociopolitico democratico.

([22]) In termini analoghi G. Monteleone, Gaetano Filangeri e la motivazione delle sentenze, in Giusto proc. civ. 2007, 665.

([23]) A ben vedere si assiste ad una diversificazione di sfumature che coinvolgono la funzione della motivazione a seconda che quest’ultima venga configurata come strumento tecnico-processuale, ovvero come baluardo di garanzia politico-costituzionale. Al mutamento dell’approccio, per M. Taruffo, La motivazione, cit., 371, varia quindi anche «la ratio che fonda il relativo obbligo».

([24]) Per F. Ricci, Commento al Codice di Procedura Civile Italiano, II, Firenze 1878, 287, «il giudice non deve solo decidere la controversia, ma ha obbligo imprescindibile di dare eziando le ragioni del suo giudizio». In base a tale ricostruzione dottrinale l’obbligo poggiava su una duplice considerazione: a) eliminare l’arbitrio delle decisioni, sul presupposto che il giudice è soggetto soltanto alla legge; b) consentire il controllo della sentenza dinanzi al giudice superiore.

([25]) Su cui C. Lessona, Manuale di procedura civile, Milano 1932, 280.

([26]) Per G. Pateri, Gli atti della procedura civile, II, Torino 1895, 92, il legislatore «partì dal principio che il magistrato deve ragionare col proprio cervello». In tema Cass. Napoli, 17 marzo 1874, in Gazzetta dei Tribunali di Napoli, XXVI, 441, che ha ravvisato la nullità della sentenza per avere il giudice ivi riprodotto il contenuto della CTU senza addurre ragioni proprie.

([27]) Art. 266, r.d. 14 dicembre 1865, n. 2641, recante regolamento del codice di procedura civile emanato con l. 2 aprile 1865, n. 2215. Per C. Lessona, Manuale di procedura civile, cit., 280, la regolamentazione era opportuna, ma non imposta a pena di nullità.

([28]) L. Mortara, Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, IV, Milano 1923, 95.

([29]) Pur nella consapevolezza che esistono svariati modelli decisori per la definizione dei procedimenti (cfr. C. Rasia, La crisi della motivazione, cit., 65 ss.), lo spazio limitato di questo studio consente solo l’analisi della modalità ordinaria di decisione con sentenza emessa a conclusione del primo grado di giudizio.

([30]) Nei casi di sentenza emessa ex artt. 113, comma 2°, ovvero 114, c.p.c., dovranno essere indicate le ragioni di equità sulle quali è fondata la decisione.

([31]) M. Taruffo, Addio alla motivazione?, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2014, 378, non esclude che «l’intenzione del legislatore fosse di ammettere che il giudice possa far riferimento anche soltanto a precedenti conformi», trovando in ciò conforto la tesi dell’illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111, comma 6°, Cost. Sul punto si ritiene applicabile l’insegnamento di Corte cost., 22 ottobre 1996, n. 356, per cui «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali». Difatti, vi sono margini, anche letterali, per fornire una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione in esame, come meglio si chiarirà infra al par. 9.3.

([32]) Per tutti M. Taruffo, La motivazione, cit., 371. Cfr. anche F. Santangeli, La motivazione della sentenza civile su richiesta e i recenti tentativi di introduzione dell’istituto della «motivazione breve» in Italia, in www.judicium.it, 18, «la motivazione rappresenta la garanzia della razionalità delle decisioni giurisdizionali, del rispetto del principio di legalità (art. 101 Cost.) e della tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.)».

([33]) L’approccio metodologico al problema, che si condivide appieno, è attribuibile ad E. Amodio, L’obbligo costituzionale di motivazione e l’istituto della giuria, in Riv. dir. proc. 1970, 445 ss., per il quale «la sentenza diviene insomma atto di ragione e non di arbitrio» solo potendo verificarne l’aderenza alle risultanze processuali emerse nel contraddittorio fra le parti (456).

([34]) Tant’è che per M. Taruffo, Brevi note sulla motivazione della sentenza, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2018, 625, in base all’art. 111 Cost. «deve sussistere una effettiva motivazione della sentenza».

([35]) Per una diffusa indagine sulla logica giudiziale nella ricostruzione e nell’accertamento dei fatti si rinvia a R. Poli, Logica e razionalità nella ricostruzione giudiziale dei fatti, in Riv. dir. proc. 2020, 515 ss. Il tema, ulteriormente sviluppato in R. Poli, Gli elementi strutturali del giudizio presuntivo, in Aa. Vv, Il ragionamento presuntivo. Presupposti, struttura, sindacabilità, Torino 2022, 26, è quello per il giudice di dover imprimere una «credibilità razionale» al proprio discorso giustificativo.

([36]) La relazione, riportata nella seduta del 20 luglio 1949 della Camera dei deputati, è a cura dell’allora Ministro di grazia e giustizia, On. Grassi. La citazione è reperibile sul sito http://legislature.camera.it, c. 709, 2.

([37]) Sul raccordo fra l’obbligo di motivare i provvedimenti giurisdizionali e la possibile istituzione di una giuria in base all’art. 102, comma 3°, Cost., soccorre l’intervento, in sede di lavori preparatori, dell’On. Targetti, per il quale l’obbligo di motivazione avrebbe reso inconciliabile l’istituzione della giuria. L’emendamento non venne però accolto, sull’asserito presupposto, precisato a nome della commissione dall’On. P. Rossi, che «le sentenze della Corte di assise sono sentenze motivate in fatto e in diritto, con il semplice riferimento all’affermazione dei giurati i quali hanno ritenuto provata o meno la veridicità dei fatti» (Aa. Vv., La costituzione della repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Roma 1949, 205). L’evoluzione storica ha invece dimostrato il contrario, ma ciò che di utile può estrapolarsi dall’intervento dell’On. P. Rossi è la manifestata volontà dei Costituenti di considerare una sentenza come «motivata» ai sensi dell’art. 111 Cost. in quanto connotata dalla giustificazione «in fatto ed in diritto» della decisione.

([38]) In tal senso M. Marinari, La motivazione della sentenza ed il confronto con la giurisprudenza inglese, tra requisiti sostanziali e struttura formale, in Corr. giur. 2006, 1178.

([39]) Analogo tentativo era insito nell’art. 16, comma 5°, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, abrogato proprio da l. 18 giugno 2009, n. 69. In sostanza, la motivazione poteva consistere nel «rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e la concisa esposizione delle ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti conformi». Altro addentellato storico si può ritrovare nel d.d.l. A.S. 15 marzo 2011, n. 2612 (c.d. d.d.l. Alfano), naufragato nei meandri delle due camere.

([40]) M. Taruffo, Addio alla motivazione?, cit., 379, per il quale una norma così concepita è priva, «al di là di ogni dubbio ragionevole, di legittimità costituzionale, a ragione di un contrasto clamoroso e indubbio con l’art. 111, comma 6°, cost.». Sul tema anche F. Porcelli, Le novità in materia di motivazione della sentenza, in C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2014, Torino 2015, 101, che effettua altresì un’analisi della disciplina transitoria.

([41]) Si tratta dell’art. 2, comma 1°, lett. b), n. 1, d.d.l. A.C. 12 febbraio 2014, n. 2092. A suffragio dell’opinione espressa nel testo v. in particolare G. Tota, Motivazione «a richiesta» nel processo civile, in Giusto proc. civ. 2014, 613; B. Capponi, A prima lettura sulla delega legislativa al governo “per efficienza della giustizia civile”, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2014, 361.

([42]) S. Chiarloni, Valori e tecniche dell’ordinanza di condanna ad istruzione esaurita ex art. 186 quater c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ. 1996, 519; F. Toffoli, Considerazioni sulla compatibilità del procedimento per ingiunzione (e delle ipotesi della motivazione della sentenza a richiesta di parte) con l’art. 111 Cost., in Aa. Vv., Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, a cura di M. G. Civinnini, C. M. Verardi, Milano 2007, 296.

([43]) Di contrario avviso D. Turroni, La motivazione della sentenza civile di primo grado. Rapporto con l’istruttoria svolta, ragionamento probatorio, forme abbreviate, in www.academia.eu (testo della relazione effettuata nell’incontro di studio del 7 settembre 2008 organizzato a Roma dal Consiglio Superiore della Magistratura).

([44]) Così B. Capponi, La motivazione della sentenza civile, in www.questionegiustizia.it. In effetti, l’idea per cui la necessità di motivare le sentenze comporti un insostenibile effetto a «collo di bottiglia» sui procedimenti civili sembra pervadere tutti i tentativi di riforma sul tema. Idea, però, che collide con la garanzia irriducibile dell’effettività della motivazione e che non sembra nemmeno cogliere le reali problematiche sottese alla crisi di durata dei procedimenti civili, come bene illustra B. Capponi, La motivazione laica, funzionalista, disincantata, in Giusto proc. civ. 2015, spec. 135-136 (fra cui l’adeguamento degli organici).

([45]) Ne costituisce testimonianza diretta il contributo monografico sul tema ad opera di C. Rasia, La crisi della motivazione nel processo civile, cit., passim.

([46]) P. Calamandrei, La crisi della motivazione, cit., 665: «tanto la motivazione è ritenuta essenziale garanzia della impugnazione, che nel diritto italiano, al pari di altre legislazioni, è previsto, come speciale motivo per ricorrere in cassazione, la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione». Concorde F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli 1958, 224; M. Taruffo, voce Motivazione. III) Motivazione della sentenza – dir. proc. civ., in Enc. giur., XX, Roma 1990, 5.

([47]) Così S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, cit., 499. In giurisprudenza Cass. 1 settembre 2006, n. 18948.

([48]) Per R. Poli, Il ragionamento probatorio (funzione, struttura, esiti, sindacabilità), in Aa. Vv., Estudos em homenagem a Ada Pellegrini Grinover e José Carlos Barbosa Moreira, São Paulo 2020, 1125, «un obbligo (di motivazione) in effetti sussiste se e nella misura in cui è possibile censurare (in sede d’impugnazione) la sua violazione».

([49]) Per tutti C. Consolo, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino 2019, per il quale «il difetto della (o più spesso nella) motivazione costituisce quindi un vizio di attività, e non già di giudizio». L’opinione era stata fatta propria dall’a. già precedentemente alla riforma legislativa del 2012 (su cui C. Consolo, L’impugnazione delle sentenze e dei lodi, Padova 2008, 240).

([50]) F. Santangeli, L’interpretazione della sentenza civile, Milano 1996, 110. Di diverso avviso A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, Pioltello 2020, 137, per il quale lo schema del ragionamento decisorio può essere ricavato solo indirettamente dall’art. 132 c.p.c., essendo necessario riferirsi ad ulteriori prescrizioni «sia in ordine ai poteri-doveri del giudice con riferimento alla quaestio iuris (in particolare gli artt. 112 e 113 c.p.c.) sia in ordine alla quaestio facti (in particolare gli artt. 115 e 116 c.p.c.)».

([51]) Cfr. retro, par. 3, sub a. A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, cit., 84, indagando ulteriormente tale aspetto, arriva ad affermare che la valutazione dell’indispensabilità va compiuta, pur sempre in astratto ed in base alla funzione endo-processuale della motivazione, ma «differenziando a seconda del mezzo di impugnazione che viene in rilievo».

([52]) In altri termini, alla luce dell’attuale quadro normativo si ritiene che l’indagine sulla portata obbligatoria delle norme in tema di forma-contenuto della motivazione costituisca presupposto indispensabile per affrontare, solo successivamente, l’estensione del sindacato di legittimità in tema di motivazione.

([53]) Per tutti C. Consolo, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze?, in www.judicium.it. In giurisprudenza, nell’ottica di un sindacato sulla motivazione ridotto al «minimo costituzionale», v. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e Cass., sez. un., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., sez. un., 12 novembre 2020, n. 25574.

([54]) Sulla figura dell’irregolarità v. per tutti V. Denti, voce Nullità degli atti processuali civili, in Noviss. dig. it., XVI, Torino 1968, 467; R. Oriani, voce Nullità degli atti processuali: I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., Roma 1990.

([55]) Si aderisce alla tesi per cui la decisività è una qualità del fatto principale che sottende un giudizio di diritto sulla sua idoneità a determinare l’esito della controversia. In tema B. Sassani, Variations sérieuses sul riesame della motivazione, in Judicium 2017, 121 ss., spec. 133, nota 27.

([56]) L. Passanante, Motivazione della sentenza e accertamento della verità nel pensiero di Michele Taruffo, in Revista Italo-Española de Derecho Procesal 2021, 87.

([57]) E. Scoditti, Ontologia della motivazione semplificata, in Giust. civ. 2014, 683. D’altro canto, la soluzione sembra sistematicamente allineata alla formulazione letterale dell’attuale art. 360, n. 5, c.p.c., in base al quale il rilievo di legittimità resta confinato all’omesso esame di un «fatto decisivo».

([58]) Cass. 21 marzo 2017, n. 7172, la quale, sebbene resa in un giudizio instaurato dopo la riforma dell’art. 360, n. 5, c.p.c., aveva sic et simpliciter riproposto una massima elaborata dalla giurisprudenza ante riforma 2012 (cfr. Cass. 22 gennaio 2004, n. 1025; Cass. 25 ottobre 2002, n. 15053).

([59]) Così Cass. 8 ottobre 2021, n. 27411. Più distesamente, per Cass. 14 gennaio 2022, n. 1079, la violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., si verifica «quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento». In dottrina G. Fabbrizzi, La Corte di Cassazione ed il prisma del vizio logico della motivazione, in Giur. it. 2021, 1108.

([60]) Cosa che, peraltro, a chiare lettere si poteva evincere da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, su cui M. Taruffo, Brevi note, cit., 626.

([61]) A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, cit., 15.

([62]) R. Poli, Le modifiche relative al giudizio di cassazione, in C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2014, cit., 284, afferma a conclusione del proprio ragionamento che «secondo la nuova disposizione può comunque essere censurata in Cassazione l’utilizzazione (rectius, l’omessa utilizzazione) delle massime di esperienza da parte del giudice del merito».

([63]) Tanto è percepito in chiave comparatistica anche da S. Lorusso, Il diritto alla motivazione, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

([64]) Il virgolettato è riferito all’atto di indirizzo di E. Lupo, Provvedimento sulla motivazione semplificata di sentenze e di ordinanze decisorie civili, 22 marzo 2011, reperibile on line sul sito ufficiale www.cortedicassazione.it. Il Primo Presidente aveva «disposto» a determinate condizioni l’adozione di provvedimenti, da parte del Supremo collegio, a motivazione semplificata, «considerato che anche le modalità di redazione dei provvedimenti possono costituire uno degli strumenti per ridurre i tempi di definizione dei procedimenti».

([65]) Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi – Direzione generale di statistica e analisi organizzativa, Circolare 12 novembre 2021 diramata a tutti gli uffici giudiziari italiani, avete ad oggetto «Indicatori di raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR)», dalla quale sono stati estratti i dati riportati nel testo. Si precisano a tal fine alcuni aspetti:

a) le percentuali da raggiungere saranno calcolate rispetto ai dati ufficiali risalenti all’anno 2019;

b) ricadono all’interno della statistica per i tribunali i procedimenti iscritti ai seguenti ruoli: affari civili contenziosi (con esclusione delle separazioni nonché dei divorzi consensuali), controversie agrarie, controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatoria (inclusi i procedimenti speciali e gli ATP), istanze fallimentari (con esclusione delle altre procedure concorsuali e di quelle esecutive);

c) ricadono all’interno della statistica per le corti di appello i procedimenti iscritti ai seguenti ruoli: affari civili contenziosi (incluso il rito sommario di cognizione e con esclusione delle separazioni nonché dei divorzi consensuali), controversie agrarie, controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatoria, procedimenti di equa riparazione in base alla c.d. l. Pinto;

d) viene considerato «arretrato» rilevante ogni procedimento pendente da oltre tre anni in area SICID, con esclusione delle materie di competenza del giudice tutelare, degli ATP in materia previdenziale, nonché dell’attività di ricevimento di dichiarazioni giurate.

([66]) L’indicatore denominato disposition time corrisponde alla misura di durata di un procedimento utilizzata a livello europeo ed è idoneo a fornire una stima del tempo medio atteso di definizione dei procedimenti mettendo a confronto il numero dei giudizi pendenti alla fine del periodo di riferimento con il flusso dei giudizi definiti nel medesimo periodo.

([67]) Emblematico L. Borsari, Codice italiano di procedura civile annotato, Torino 1865, 379: «fortunati quelli che sanno esprimere un argomento nitido e chiaro in poche parole!».

([68]) Tale monito è stato lanciato nell’immediatezza dell’emanazione dell’attuale codice di rito da G. Nappi, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano 1941, 756, per il quale «la concisione è, qui, un pregio secondario e solamente in quanto non è d’ostacolo alla chiarezza e alla completezza».

([69]) R. Poli, La valutazione delle prove: tra cognitivismo ed ermeneutica, in Riv. dir. proc. 2022, 891.

([70]) Si tratterà di individuare la giusta misura fra le contrapposte esigenze e per il resto si dovrà fare ricorso ad altre soluzioni per raggiungere gli obiettivi prefissati in materia di smaltimento dell’arretrato giurisdizionale.

([71]) Cfr. retro par. 7.

([72]) In giurisprudenza v. ad es. Cass. 20 maggio 2020, n. 9309; Cass. 29 settembre 2020, n. 20555. In dottrina S. Alunni, Principio della ragione più liquida: rito e merito nell’ordine di trattazione, in Giur. it. 2016, 2625; F. P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano 2017, 67.

([73]) Così Cass. 10 febbraio 2020, n. 3049; conforme Cass. 26 settembre 2019, n. 24093. Contra Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883, e Cass. 26 novembre 2019, n. 30745, per cui l’inversione dell’ordine delle questioni rito-merito è idoneo a determinare uno specifico error in procedendo.

([74]) F. P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano 2022, 63; R. Vaccarella, Economia di giudizio e ordine delle questioni, in Giusto proc. civ. 2009, 643. Si tratta del fenomeno della c.d. «pregiudizialità impediente» evocato da S. Recchioni, Pregiudizialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione ordinaria, Roma 1999, spec. 114. Favorevole ad una deroga P. Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2009, 1304. Per una rinnovata lettura dell’ordine delle questioni adeguabile (entro certi limiti) al caso concreto v. G. Fanelli, L’ordine delle questioni di rito nel processo civile in primo grado, Pisa 2020. Resta inteso che nell’ambito delle questioni di merito il principio della ragione più liquida non può trovare applicazione in presenza di un’eccezione di compensazione, altrimenti si finirebbe per consumare indebitamente un credito.

([75]) P. Vittoria, La motivazione tra esigenza di celerità e giusto processo, in Aa. Vv., La Cassazione civile, Bari 2011, 281; concorde M. Acierno, La motivazione della sentenza tra esigenze di celerità e giusto processo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2012, 462. Peraltro, la frizione potrebbe ravvisarsi anche rispetto a principi costituzionalmente garantiti, come ad esempio, relativamente al difetto di competenza, quello del giudice naturale precostituito per legge (su cui M. F. Ghirga, Riflessioni sul significato del giudice naturale nel processo, in Riv. dir. proc. 2002, 805).

([76]) Ex multis Cass. 26 giugno 2019, n. 17066; Cass. 27 marzo 2015, n. 6205; Cass. 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass. 12 aprile 2011, n. 8294.

([77]) Così M. Taruffo, voce Motivazione, cit., 4. Concorde anche A. Frassinetti, Il contenuto «minimo» per una motivazione adeguata della sentenza civile, in Riv. dir. proc. 2017, 674, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali. Cfr. Aa. Vv., Rassegna di giurisprudenza sul codice di procedura civile, diretta da M. S. Richter, I, 2, Milano 1967, 1261: «si è statuito, con massima ormai stereotipata, che, quando abbia dato congrua, se pur sobria giustificazione del proprio convincimento, il giudice non è tenuto a prendere in esame e discutere tutte le argomentazioni e deduzioni delle parti quando dalla motivazione risulti che gli ha tenuto conto di tutti i punti controversi e influenti sulla ragione del decidere e nel suo complesso tutto il materiale probatorio, pur senza fare l’esame particolareggiato e la critica di tutte le prove, sempreché non vengano trascurate quelle argomentazioni che, se considerate, avrebbero potuto portare a soluzione diversa (…), dovendosi ritenere implicitamente respinte tutte le argomentazioni difensive non espressamente esaminate e logicamente incompatibili con la decisione».

([78]) Tant’è che L. Mortara, Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, cit., 59, definiva espressamente «la sentenza come manifestazione di volontà dell’organo di giurisdizione».

([79]) Per una sintesi C. Rasia, La crisi della motivazione, cit., 216 ss.

([80]) G. Gorla, voce Precedente giudiziale, in Enc. giur., XXIII, Roma 1990.

([81]) R. Poli, Logica e razionalità nella ricostruzione giudiziale dei fatti, cit., 529, sintetizza che il giudice ricostruisce i fatti utilizzando una logica «argomentativa empirica», poiché a questi è demandato il compito di scegliere, interpretare ed applicare «le leggi di strutturazione, organizzazione e funzionamento del mondo».

([82]) A. Mengali, La cassazione della sentenza civile non motivata, cit., 24.

([83]) In giurisprudenza Cass., sez. un., 3 novembre 2016, n. 22232, per cui «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione». Cfr. anche Cass. 23 maggio 2019, n. 13977.

([84]) Cfr. M. Acierno, La motivazione della sentenza tra esigenze di celerità e giusto processo, cit., 448 ss. In giurisprudenza v. Cass. 25 settembre 2022, n. 13937.

([85]) Nelle ipotesi di relatio interna relativa alle risultanze della ctu, si rintraccia una divergenza giurisprudenziale sul grado di approfondimento che il giudice ha l’onere di effettuare in sede di rimando; questo specifico aspetto è trattato da D. Turroni, La motivazione della sentenza civile di primo grado, cit., 16-20.

([86]) Questo è quanto si desume in linea di principio da Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, n. 642, riferita ad una fattispecie di sentenza in ambito tributario.

([87]) Il mancato esame critico delle argomentazioni delle parti ha determinato l’annullamento della sentenza da parte Cass. 5 maggio 2022, n. 17909.

([88]) C. Rasia, Dalla motivazione “per relationem” alla motivazione c.d. “collage”, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2016, 205 ss., evidenzia ulteriori implicazioni patologiche, consistenti nella difficoltà di interpretare correttamente la decisione del giudice, oppure nei possibili vizi di omessa pronuncia che potrebbero insorgere.

([89]) Si pensi, estremizzando le riflessioni di M. Martinelli, Sulla “essiccazione” dell’obbligo di motivazione della sentenza: il giudice “bocca dell’avvocato”, in Riv. giur. trib. 2014, 374, alla motivazione da cui si desuma l’accoglimento della domanda dell’attore «per le ragioni riportate nei relativi atti difensivi».

([90]) Sul tema del PCT, che non può trovare spazio in questo contributo, si rinvia ampiamente ad Aa. Vv., Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, a cura di G. Ruffini, Milano 2019.

([91]) Tribunale Brescia, decreto 31 luglio 2020, con nota di M. Giorgetti, Ancora sulla motivazione per relationem…anzi per “connessione”, in www.judicium.it.

([92]) D’altro canto, per Cass. 28 luglio 2022, n. 23643, «il giudice non deve inserire in sentenza anche un collegamento ipertestuale funzionante poiché si tratta di informazioni comunque accessibili tramite i comuni motori di ricerca» (conforme Cass. 18 giugno 2021, n. 17544).

([93]) Come sintetizzato da V. Colesanti, Note in tema di crisi e «rinascenza» della motivazione, in Riv. dir. proc. 2017, 1415: «l’obbligo di motivare vien dunque a rappresentare la suprema garanzia che ogni atto giurisdizionale non sia o non appaia mero esercizio di potere verso chi vi è soggetto».

([94]) Così Cass. pen., 7 novembre 2002, n. 135; conforme Cass. pen., 12 marzo 1998, n. 1502.

([95]) Su cui R. Bichi, Intelligenza artificiale tra “calcolabilità” del diritto e tutela dei diritti, in Giur. it. 2019, 1173.

([96]) Imperituro l’insegnamento di G. Calogero, La logica del giudice e il suo controllo in cassazione, Padova 1937, 51. Sul complesso tema della corretta ricostruzione delle premesse di fatto v. ora lo studio di R. Poli, Il sillogismo giudiziale e la posizione della premessa di fatto, in Aa. Vv., Giudizio di fatto e giudizio di diritto, a cura di C. Punzi, Milano 2022, 273.

([97]) Sulla tematica, senza pretese di completezza, Aa. Vv., La decisione nel prisma dell’intelligenza artificiale, a cura di E. Calzolaio, Padova 2020; Aa. Vv., Decisione robotica, a cura di A. Carleo, Bologna 2019, 1772 ss.; E. Battelli, Giustizia predittiva, decisione robotica e ruolo del giudice, in Giut. civ. 2020, 280; R. Bichi, Intelligenza artificiale tra “calcolabilità” del diritto e tutela dei diritti, cit.; A. Carratta, Decisione robotica e valori del processo, in Riv. dir. proc. 2020, 491 ss.; C. Castelli, D. Piana, Giustizia predittiva. La qualità della giustizia in due tempi, in Quest. giust. 2018, 154; M. F. Ghirga, La giustizia “piovuta” dal cielo, Torino 2021, 162 ss.; G. Sartor, L’informatica giuridica e le tecniche dell’informazione, Torino 2016; L. Viola, interpretazione della legge con modelli matematici, Milano 2017.

([98]) M. Tegmark, Vita 3.0. Essere umani nell’era dell’intelligenza artificiale, 143.

([99]) Il riferimento è all’algoritmo applicato nello Stato del New Jersey per stabilire la concessione della libertà su cauzione, ove si apprezza il contributo di G. Canzio, Il dubbio e la legge, in www.penalecontemporaneo.it.

([100]) Così M. F. Ghirga, La giustizia “piovuta” dal cielo, cit., 185.

([101]) A. Carratta, Decisione robotica e valori del processo, cit., 514. Sull’opacità dei meccanismi di decisione del deep learging v. anche A. Longo, G. Sforza, Intelligenza artificiale, Milano 2020, 39 ss.

([102]) P. Curzio, Relazione illustrativa del Presidente della Corte in ordine al programma di gestione per l’anno 2021 dei procedimenti civili e penali ex art. 37 D.L. 6.7.2011 n. 98, convertito in L. 15.7.2011, n. 111, reperibile in www.giustiziainsieme.it con nota adesiva di R. Rordorf, evidenzia che «il giusto processo è, quindi, anche un giudizio ben comprensibile [che] si realizza anche attraverso la comprensione della giurisdizione da parte del cittadino».

([103]) A. Punzi, L’ordine giuridico delle macchine, Torino 2003, 397.

([104]) R. Bichi, Intelligenza artificiale tra “calcolabilità” del diritto e tutela dei diritti, cit., 1773.

([105]) Cfr. M. F. Ghirga, La giustizia “piovuta” dal cielo, cit., 194.

([106]) P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, rist., Milano 2020, 175.