La limitazione di responsabilità dei sindaci ai sensi dell’art. 2407 c.c.

Di Francesco Terrusi -

I. Il tessuto normativo inteso – fin qui – a regolare in modo coordinato la triade costituita dalla funzione, dai compiti e dalle responsabilità dei sindaci – nel codice civile e da ultimo (anche) nel codice della crisi d’impresa – è variato dopo la l. 14-3-2025, n. 35.

La modifica ha inciso sul criterio di coordinazione.

A fronte del nesso evincibile dagli artt. 2403, 2403-bis e 2407 c.c. – tra doveri dei sindaci funzionali agli obiettivi da perseguire, poteri necessari allo scopo e contrappesi di responsabilità – oggi, nell’art. 2407, la disciplina della responsabilità risulta considerata a parte, mediante una correlazione tra determinazione massima del debito risarcitorio e compenso percepito.

È stato così introdotto un tetto variabile dell’entità risarcitoria costituito da un multiplo del compenso annuo, una sorta di massimale che il sindaco può essere chiamato a pagare se convenuto a tale titolo.

In questo modo il legislatore ha mostrato di allinearsi a un principio di proporzionalità evinto da alcune raccomandazioni al sistema integrato degli ordinamenti continentali.

In particolare, la raccomandazione 2008/473-CE ha individuato proprio in tal principio il mezzo per contenere la responsabilità dei revisori legali e delle società di revisione.

La raccomandazione è notoriamente un atto non vincolante, con mera funzione di suggerimento verso gli Stati membri.

Nello specifico rappresenta un atto di invito all’introduzione di massimali di responsabilità dei revisori.

E però è anche un atto animato da un obiettivo specifico, di incoraggiare, cioè, la pratica della revisione contabile evitando conseguenze legali considerate eccessive e disincentivanti.

Il testo novellato dell’art. 2407 c.c. si muove, quanto ai sindaci, nella medesima ottica: mantiene invariato il contenuto del primo e del terzo comma – rispettivamente concernenti gli obblighi e i doveri dei sindaci stessi – e muta invece il testo del secondo comma, introducendo un limite di responsabilità.

Il riferimento alla solidarietà con gli amministratori contenuto nel­l’originario testo del comma viene sostituito dalla fissazione di tre scaglioni a cui associare il massimale del risarcimento: per i compensi fino a 10.000,00 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000,00 a 50.000,00 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000,00 euro, dieci volte il compenso.

II. Occorre dire che l. n. 35 del 2025 ha aggiunto anche un altro elemento di novità apparentemente sintonico al sistema delineato per i revisori contabili.

La novità attiene, questa volta, al termine di prescrizione (attuale quarto comma dell’art. 2407) che, sulla falsariga dell’art. 15 del d.lgs. n. 39 del 2010 (recante l’attuazione della direttiva 2006/43-CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati), resta individuato in cinque anni decorrenti dal deposito della relazione di cui all’art. 2429 c.c.

In sostanza, il termine non decorre (più) dal momento in cui si riscontrano le conseguenze della violazione del dovere di vigilanza, ma dal deposito della relazione sul bilancio relativo all’esercizio in cui si è verificato il danno.

III. – La novella – accolta in modo variegato dalle categorie professionali coinvolte [1] – desta perplessità sul versante della modalità di confezionamento del testo, che non è ineccepibile sotto nessuno dei profili considerati.

Bastano alcuni esempi.

(a) La mancanza di precisione dà luogo a un’incertezza di ambito in rapporto alle azioni risarcitorie, perché niente è specificato a proposito del fatto se la somma massima dell’entità risarcitoria sia da riferire a ciascuna categoria di danneggiati (per le azioni sociali, dei soci, dei creditori sociali e dei terzi) ovvero all’esborso complessivo relazionato alla violazione contestata.

(b) La manchevolezza del lessico risalta sul versante della formula-parametro, che essendo riferita al compenso “percepito” sembra correlare il tetto all’importo effettivamente ricevuto dal sindaco, anziché all’importo fissato: col rischio di conseguenze inaccettabili sul piano logico, volta che il sindaco che niente ancora avesse percepito al momento della condotta in contrasto coi propri doveri funzionali finirebbe per non dover risarcire un bel niente.

(c) La previsione degli scaglioni è a tal punto superficiale da condurre a risultati paradossali in termini matematici, come si dimostra osservando che per il sindaco che percepisca un compenso pari a 50.000,00 EUR il massimale risarcitorio è fissato in 600.000,00 EUR (50.000,00 X 12), mentre per il sindaco che percepisca un compenso maggiore (per es. di 51.000,00 EUR) il massimale risarcibile può finanche diminuire (diventerebbe, nell’esempio, di 510.000,00 EUR: 51.000,00 X 10, con una sorta di “sconto”, anche economicamente rilevante, che non sembra possedere alcuna  giustificazione razionale).

(d) La limitazione dell’entità risarcitoria non è replicata – di nuovo senza razionale giustificazione – per i componenti del consiglio di sorveglianza, che restano soggetti a responsabilità secondo l’art. 2409-terdecies, terzo comma, c.c.; non solo, ma introduce una certa qual dissonanza di formulazione per la posizione dei sindaci che svolgono anche attività di revisione rispetto alla posizione dei revisori legali dei conti, esplicitamente (e pienamente) soggetta – in esito all’art. 15 del d.lgs. n. 39 del 2010 – alla regola solidaristica.

(e) Sembra criticabile pure l’indicazione finale del secondo comma, a proposito dell’eccezione costituita dal dolo. La limitazione del risarcimento cade (art. 2407, secondo comma, c.c.) ove i sindaci abbiano agito con dolo, ma non cade invece nel caso in cui abbiano agito con colpa grave. Una previsione – codesta – in chiaro ed evidente stridore rispetto al noto criterio di equivalenza tra dolo e colpa grave ai fini della responsabilità civile (culpa lata dolo aequiparatur, si insegna fin dagli studi romanistici). Per generale principio, la totale assenza di diligenza è configurata concettualmente, e trattata giuridicamente (si veda l’art. 1229 c.c. in tema di clausole di esonero da responsabilità), come un atteggiamento simil-intenzionale non diverso (quanto ad antigiuridicità) dal dolo vero e proprio. Sicché il riferimento dell’art. 2407, secondo comma, c.c. al dolo quale unica eccezione del previsto limite risarcitorio inserisce, nel sistema della responsabilità civile, un’anomalia apparentemente finalizzata solo a comprimere (non si capisce con quale legittimità) gli spazi interpretativi giurisdizionali per il recupero della risarcibilità integrale del danno.

IV. Insomma sussistono deficit di portata generale, al netto dei quali, peraltro, il profilo più direttamente coinvolto sul piano delle immediate conseguenze pratiche va individuato sul versante dell’applicazione temporale della norma.

Si tratta di un tema che avrebbe dovuto esser considerato esplicitamente nel contesto dell’analisi di impatto economico, non foss’altro che per il prevedibile risvolto assicurativo.

I sindaci sono normalissimi professionisti, ed è arcinoto che proprio in base ai piani di applicazione temporale delle leggi di riforma le compagnie di assicurazione sono indotte a modificare le condizioni contrattuali di polizza per la responsabilità civile. In tal modo si tende a limitare l’incidenza economica del rischio derivante da eventuali controversie.

Sulla regolazione del profilo temporale il legislatore è rimasto inerte, salvo poi mediare un tentativo di soluzione indotto dai contrasti evinti dalla prima giurisprudenza di merito.

Ché invero in proposito la giurisprudenza si è immediatamente divisa tra (i) la tesi che ha paventato l’applicazione immediata della norma, quanto meno nella previsione relativa al tetto di responsabilità patrimoniale – da intendere riferita anche ai fatti pregressi perché costituente, a differenza della previsione sul termine di prescrizione, norma lato sensu procedimentale, volta a indicare al giudice il criterio di quantificazione del danno (rectius, il limite massimo della liquidazione) [2] -, e (ii) la tesi che invece ha ritenuto la norma nella sua interezza applicabile solo ai fatti successivi all’entrata in vigore, in quanto norma di natura interamente sostanziale [3].

A fronte di tanto è stato predisposto un disegno di legge (d.d.l.) – attualmente in corso di esame parlamentare (d.d.l. n. 1426/2025) – con l’intendimento di chiarire la portata applicativa della norma.

L’art. 2 di tale d.d.l. ha specificato che la disciplina sulla responsabilità dei componenti del collegio sindacale, di cui al secondo comma dell’art. 2407 c.c., si applica “anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

V. Alcune considerazioni si impongono, perché, al netto dell’intervento normativo al quale si è alluso (e in attesa di capire quale ne sarà in effetti la sorte), il problema dell’ambito applicativo temporale è tutt’altro che risolvibile col riferimento (mero) al valore sostanziale della disposizione di riforma.

A tale valore è ancorata la tesi che osteggia l’operatività immediata del limite risarcitorio a fronte delle violazioni anteriormente commesse, e di conseguenza suppone che la norma novellata non sia punto applicabile nei giudizi in corso.

Ma l’argomento posto a suffragio non è molto convincente.

In sintesi si dice: (a) tutte le previsioni introdotte nell’art. 2407 c.c. hanno natura sostanziale; (b) con riguardo al limite quantitativo al risarcimento v’è stata un’alterazione del contenuto del diritto (al risarcimento, appunto) in esito a una previsione di portata innovativa quanto ai criteri di determinazione; (c) l’introduzione del tetto agli obblighi risarcitori dei sindaci non costituisce un mero criterio di liquidazione del danno rivolto al giudice, ma dà ingresso a una limitazione della pretesa risarcibile, con preclusione per i danneggiati di ottenere il risarcimento eccedente l’ammontare del cap; (d) una tale preclusione conforma il diritto del creditore e l’obbligo del debitore, così da ridefinire l’oggetto stesso dell’obbligazione risarcitoria.

Può osservarsi che l’argomentazione è alquanto circolare e il tema men che meno è risolto dalla notazione circa la natura sostanziale della norma incidente sull’entità risarcitoria liquidabile. Donde, l’insistenza sulla compressione del diritto al risarcimento non è decisiva.

Sono semmai necessarie alcune annotazioni su concetti di fondo che il legislatore ha mantenuto sottotraccia.

VI. La novella di cui alla l. n. 35 del 2025 non ha ritenuto di predisporre regole finalizzate a risolvere le questioni di diritto intertemporale che normalmente accompagnano ogni passaggio di regime normativo.

In una parola, non ha inserito norme di diritto transitorio.

S’insegna che corre una certa differenza tra le regole di diritto intertemporale e le disposizioni propriamente transitorie. Queste costituiscono un tipo a sé di norme, destinato a risolvere i problemi nascenti dalla successione di leggi nel tempo mediante il dettame di una disciplina diversa e specifica delle situazioni giuridiche pendenti. Diversamente le norme di diritto intertemporale finiscono, in genere, per disciplinare in blocco (salve eventuali eccezioni) l’efficacia temporale delle norme sopravvenute e di quelle precedenti, mediante l’esatta individuazione del momento di passaggio dalla vecchia disciplina alla nuova.

Il tema incrocia – com’è evidente – la questione della retroattività.

Ma non è il caso di scendere nel dettaglio, perché si danno più modi di essere della retroattività delle norme, e quindi possono variare le conseguenze in termini di soluzione concreta – come ben si ricava dalla polivalente casistica giurisprudenziale – a seconda che si aderisca di volta in volta all’uno o all’altro degli indirizzi in perenne contesa: gli iura quaesita o i facta praeterita.

Ciò che va sottolineato, invece, è che – d’ordinario – si distingue (e già distingueva la dottrina classica) l’efficacia nel tempo delle norme sostanziali in base a una triplice articolazione, rispondente ai concetti di efficacia immediata, efficacia retroattiva ed efficacia differita [4].

Da questo punto di vista insistere sulla natura sostanziale di una norma o di una legge di riforma non rileva più di tanto, perché anche le norme sostanziali rispondono alla triade sopra detta, e la regola generale è sempre quella dell’efficacia immediata.

L’efficacia immediata si fonda sul criterio di sovranità della legge, o di preminenza della funzione legislativa. Sicché ogni norma, salvo che non vi siano disposizioni transitorie, è destinata a disciplinare immediatamente, con effetti ex nunc, ogni situazione giuridica rientrante nella sua sfera di previsione.

La retroattività – vale a dire la capacità della norma di disciplinare situazioni giuridiche pendenti con effetti ex tunc, oppure di riconnettere effetti nuovi e diversi, anche se ex nunc, a fatti passati – e la ultrattività della norma sostituita – che implica che detta norma continui ad applicarsi a situazioni giuridiche pendenti, con il conseguente effetto differito della norma nuova – costituiscono eccezioni.

VII. – Ora, dinanzi alla riforma dell’art. 2407 non conta il fatto che la previsione sopravvenuta integri (e si inserisca all’interno di) una disciplina sostanziale.

Conta invece la ricostruzione funzionale in rapporto alla struttura della fattispecie di responsabilità, con espresso riguardo al fatto generatore in essa contemplato e agli effetti conseguenti.

Il risarcimento del danno non può essere considerato autonomamente rispetto a ciò che genera l’obbligazione, non essendo altro che un rimedio a tutela di posizioni giuridiche. La relativa obbligazione è vicaria, nasce in funzione ripristinatoria, equilibratrice e satisfattoria a fronte di un diritto ingiustamente leso.

Fintanto che il danno non è liquidato, la riparazione in termini sistemico-compensativi non può dirsi concretizzata, e la fattispecie non è compiuta.

L’eventualità di un limite all’entità riparatoria si risolve all’interno della tecnica di liquidazione, e il danno – si insegna comunemente – va liquidato sulla base delle regole vigenti al momento.

Sicché la norma a ciò dedicata opera pure nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge che la contiene, essendo il ius superveniens normalmente applicabile agli effetti ancora in corso di rapporti sorti anteriormente [5].

In base a un insegnamento condiviso le norme sopravvenute si applicano immediatamente ai rapporti pendenti, sempreché queste non siano dirette a regolare il fatto o l’atto generatore del rapporto ma solo gli effetti di esso [6].

VIII. – Quel che interessa come base della soluzione del problema si ricava, allora, dalla seguente alternativa.

Se si dice che la struttura della fattispecie di responsabilità è stata alterata al punto da doversi, essa fattispecie, ricostruire in modo diverso dal passato quanto alla declinazione degli elementi costitutivi (gli obblighi di condotta) o al contenuto delle conseguenze dannose risarcibili o ancora al tipo di responsabilità prescelta, diviene corretto contrastare l’estensione della norma ai fatti passati sottolineandone il difetto di retroattività. Non potrebbe, una norma del genere, determinare in sé effetti nuovi rispetto a quei fatti, se non dinanzi a una previsione espressa di diritto intertemporale a ciò dedicata, visto che per l’art. 11 disp. prel. c.c. la legge non dispone che per l’avvenire e non ha, salvo che non sia diversamente stabilito [7], effetto retroattivo.

Ma se invece si riconosce che la struttura della fattispecie è rimasta tal quale, e semplicemente è mutato il criterio di quantificazione del danno risarcibile dal sindaco mediante individuazione di una soglia massima rapportata al suo compenso, ferme restando le componenti del risarcimento (e quindi la rilevanza qualitativa dell’effetto della condotta), la conclusione non può che essere diversa: non di retroattività dovrebbe discorrersi, ma di semplice – e legittima – applicazione immediata del parametro liquidatorio.

IX. Ebbene la l. n. 35 del 2025 ha sì introdotto un tetto variabile dell’entità risarcitoria, che il giudice deve considerare onde liquidare il danno, ma è rimasta nel perimetro della fattispecie di responsabilità tradizionalmente considerata.

Il secondo comma dell’art. 2407 non ha modificato l’individuazione del fatto generatore, né i criteri di determinazione del danno risarcibile, che restano gli stessi anche in rapporto ai nessi causali.

Ha consacrato solo una regola di attenuazione – id est, di determinazione della misura (massima) del risarcimento – alla quale il giudice è tenuto a uniformarsi nel contenere la condanna del sindaco responsabile secondo le regole comuni (non modificate) della responsabilità nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e dei terzi, e alla sola condizione che il sindaco non abbia agito con dolo.

La situazione potrà non piacere, ma non è molto diversa da quella che ha caratterizzato altri ambiti di riforma.

La mente corre alle obbligazioni di custodia alle quali è tenuto l’albergatore per le cose depositate in albergo.

In quel caso, il limite del risarcimento del danno è stato fissato – dalla l. 10-6-1978, n. 316, art. 3 – nell’equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’albergo in giornata (art. 1783, terzo comma, c.c.), e la Cassazione ha ritenuto che il criterio di quantificazione – trattandosi di rapporti non esauriti – abbia efficacia immediata anche nei giudizi in corso al momento [8].

Ad analoga conclusione la Corte è giunta in tema di danni alla persona, allorché ha stabilito che in assenza di diverse disposizioni di legge il danno dev’essere liquidato sulla base delle regole vigenti al momento della liquidazione, e non già al momento del fatto illecito [9].

A sua volta la previsione ex lege del meccanismo di liquidazione del “differenziale dei netti patrimoniali”, di cui all’art. 2486, terzo comma, c.c., come modificato dall’art. 378, secondo comma, del d.lgs. n. 14 del 2019, c.d. codice della crisi d’impresa (CCII), è stata ritenuta applicabile anche ai giudizi in corso all’entrata in vigore della norma, trattandosi – si è affermato – della previsione non di un nuovo criterio di riparto di oneri probatori, ma di un criterio rivolto al giudice ai fini della valutazione del danno rispetto a fattispecie integrate dall’accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell’integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, salva la deduzione e individuazione di elementi di fatto legittimanti l’uso di un diverso criterio liquidatorio più aderente alla realtà del caso concreto [10].

Le similitudini rendono legittima l’utilizzazione del criterio di applicazione immediata anche per ciò che attiene al nuovo testo dell’art. 2407, secondo comma, c.c., a meno che la norma non sia intesa in un senso ancora più ampio, come effetto, più che della diversità di formulazione letterale, del venir meno dei riferimenti alla responsabilità solidale.

Non sembra, però, che un’opzione del genere sia sostenibile.

X. La diversità di formulazione letterale appare ininfluente.

Il testo riformato allude ai sindaci “che violano i propri doveri” e che di conseguenza sono “responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi”.

La formulazione è diversa da quella precedente, nella quale i sindaci erano considerati “responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”.

Tuttavia, il raffronto non è sintonico a un mutamento sostanziale di fattispecie, perché non può sostenersi che il legislatore abbia inteso far deflettere il sindaco dall’obbligo di vigilanza che ne caratterizza la funzione. Né può sostenersi che sia stata prevista solo ora una responsabilità dei sindaci per fatto proprio (ossia per la violazione degli obblighi di comportamento sui medesimi gravanti), separando la stessa dal fatto illecito degli amministratori.

La responsabilità dei sindaci non è mai stata una responsabilità indiretta o per fatto altrui [11].

La giurisprudenza formatasi sul previgente – e in certa misura non limpidissimo – testo dell’articolo 2407 c.c. ha sempre rimarcato che la responsabilità dei sindaci è una responsabilità per fatto proprio, la quale richiede l’accertamento dell’imputabilità ai sindaci (per quanto – di regola – in relazione a una condotta di natura omissiva) del danno di cui è preteso il risarcimento [12].

Per muovere un addebito ai sindaci (fuori dai limitati casi in cui la responsabilità deriva da un danno causato in via esclusiva dai medesimi, come nell’ipotesi di violazione dell’obbligo di segretezza) è necessaria una specifica sequenza: (a) che gli amministratori abbiano posto in essere un comportamento illecito, (b) che tale comportamento abbia generato un danno, (c) che i sindaci, violando gli obblighi imposti a loro carico, non abbiano vigilato con l’adeguata professionalità e diligenza e, infine, (d) che sussista una relazione di causalità tra il comportamento dei sindaci e il danno.

Ad affermarne la responsabilità è sufficiente – certo – l’inosservanza del dovere di vigilanza, allorché i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità [13], purché sussista – però – anche il nesso causale.

E tale nesso va sempre provato da chi agisce in responsabilità.

Sicché l’inerzia del sindaco è causa del danno se l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato.

Come è tipico dei fatti illeciti omissivi, occorre per il sorgere della responsabilità risarcitoria che il sindaco abbia potuto in effetti attivarsi utilmente, disponendo dei poteri per contrastare l’illecito altrui [14].

Per cui soltanto verificando, con ragionamento controfattuale ipotetico, che l’attivazione del sindaco avrebbe ragionevolmente evitato il danno, può muoversi contro questi un addebito di responsabilità.

In altre parole, la disciplina previgente non poteva essere ricostruita nei termini di una responsabilità oggettiva dell’organo di controllo, e ciò rende legittima l’ipotesi – d’altronde conforme alla dichiarata intenzione che si ritrova nella relazione alla proposta di legge – che la riformulazione dell’art. 2407 c.c. (“che violano i propri doveri”) sia stata determinata (in parte qua) dal semplice intendimento di ribadire la effettiva natura della responsabilità dell’organo di controllo, sgombrando definitivamente il campo da eventuali interpretazioni distorte.

XI.  Dopodiché è vero che dal testo dell’art. 2407, secondo comma, sono stati espunti i riferimenti originari alla solidarietà dei sindaci con gli amministratori.

Tale espunzione potrebbe avere – essa sì – il valore di una alterazione sostanziale, se si dimostrasse che la norma ha implicitamente ritenuto di costruire la responsabilità del sindaco secondo lo schema dell’obbligazione parziaria.

La rilevanza di una scelta del genere in termini differenziali sarebbe evidente.

Si faccia l’esempio del sindaco che percepisce un compenso di 60.000,00 EUR.

Egli è tenuto a risarcire il danno nella misura massima di 600.000,00 EUR.

Persistendo la regola solidaristica, se la società promuovesse azione contro amministratore e sindaco e si accertasse esservi stato un danno di 1.000.000,00 EUR, con variazione però dei contributi causali (per ipotesi, al 90 % dell’amministratore e al 10 % del sindaco), la variazione rileverebbe solo in sede di regresso. Nei rapporti col soggetto danneggiato non rileverebbe affatto, perché l’amministratore e il sindaco sono responsabili solidali, e quindi restano tenuti al pagamento in solido di € 600.000,00 EUR, ferma la condanna del solo amministratore ai residui 400.000,00 EUR.

Se invece la solidarietà fosse venuta meno, con trasformazione del debito risarcitorio in debito parziario, il sindaco potrebbe essere condannato a risarcire il danno nel solo limite della relazione causalistica, e quindi (nell’esempio fatto) nei limiti di 100.000,00 EUR.

L’alterazione, in questa prospettiva, sarebbe ovvia.

XII. – Va precisato che una simile modifica non potrebbe dirsi di per sé illegittima, non essendo condivisibili i dubbi al riguardo paventati da una parte della dottrina [15].

È stata opposta l’esistenza di un limite costituzionale all’intenzione del legislatore di sostituire, quanto ai sindaci, la responsabilità solidale con la parziaria, stante il collegamento della funzione riparatoria al criterio di integralità del risarcimento e al rango dell’interesse tutelato, che sarebbe quello del risparmio/investimento (art. 47 Cost.).

Ma può osservarsi che l’equazione messa al fondo del rinvio alla protezione costituzionale, pur ricevendo base dall’assunto della dottrina commercialistica che associa la tutela del risparmio alla ricchezza (non consumata) conferita in un ambito di mercato latamente finanziario [16], non sembra argomento spendibile nel caso concreto. Anche ammettendone la rilevanza a livello di concetto, la nozione non appare conferente, volta che qui si discute di semplici massimali risarcitori in favore dei (soli) sindaci. L’eventuale trasformazione dell’obbligazione risarcitoria dei sindaci in obbligazione parziaria non determinerebbe in sé alcun vulnus alla tutela del risparmio/investimento, neppure nel senso più ampio del termine, né eluderebbe il criterio di integralità, attesa la concorrente (anche se parziaria) obbligazione risarcitoria integrale (e nel loro ambito solidale) degli amministratori.

XIII. – Il punto è un altro, ed è molto più semplicemente ancorato alla considerazione che una scelta del genere di quella ipotizzata – di modificare, cioè, in parziaria l’obbligazione risarcitoria dei sindaci – sarebbe completamente inedita rispetto al sistema, così da richiedere una previsione espressa o comunque univoca.

La scelta di responsabilità parziaria non si è avuta neppure per i revisori (art. 15 del d.lgs. n. 39 del 2010), nonostante la posizione di questi fosse da prendere a parametro secondo le indicazioni di fonte unionale all’inizio evocate. Il d.lgs. n. 39 del 2010 ha mantenuto la responsabilità dei revisori nel solco della comune responsabilità solidale, addirittura illimitata.

Al netto dell’introduzione, per i sindaci, di un limite risarcitorio, espressione di discrezionalità del legislatore, niente autorizza a dire che nell’art. 2407 sia stato deciso diversamente anche a proposito del tipo di responsabilità.

La sostituzione del secondo comma dell’art. 2407 non è andata oltre l’inserimento dell’inciso dedicato alla determinazione della misura massima del risarcimento al quale il sindaco – salvo che abbia agito con dolo – può essere tenuto verso i danneggiati (società, soci, creditori sociali e terzi).

L’eliminazione degli originari riferimenti alla solidarietà con gli amministratori non è decisiva, perché il venir meno della strutturale denotazione “solidale” della responsabilità dei sindaci, rispetto a quella degli amministratori come ricavata dalla precedente formulazione, niente toglie al permanere della regola generale dettata dall’art. 2055 c.c.

Ove vi siano più soggetti che, con il loro comportamento, hanno concorso causalmente alla produzione di un medesimo danno, la responsabilità è solidale come effetto di una regola di sistema.

Per il legislatore è possibile predisporre una disciplina diversa in singoli ambiti, purché ciò avvenga specificamente ed esplicitamente.

Altrimenti si applica l’art. 2055 in ragione dell’unicità del fatto dannoso, e conta solo la ricostruzione del nesso causale.

L’ipotesi della violazione dei doveri dei sindaci che risulti integrata da un’omessa vigilanza è da considerare fonte di una responsabilità concorrente rispetto all’unicità del fatto dannoso, volta che la norma generale (l’art. 2055 c.c.) riferisce unitariamente la ratio alla posizione del danneggiato.

Che è poi quanto si desume dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite:

(a) “ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055, comma 1, c.c., norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell’art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità – contrattuale ed extracontrattuale -, in quanto la norma considera essenzialmente l’unicità del fatto dannoso, e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate”;

(b) “la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte caso per caso, in modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ridotti al semplice rango di occasioni” [17].

Non è ostativa alla solidarietà la circostanza che l’obbligazione risarcitoria dei sindaci abbia oggi un limite, mentre quella degli amministratori sia rimasta illimitata.

Viene in rilievo l’art. 1293 c.c., in esito al quale la solidarietà non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità o per importi diversi [18].

Così che, pur dinanzi a un’obbligazione risarcitoria dei sindaci inferiore a quella dovuta degli amministratori, non cade l’identità del debito suscettibile di determinare l’obbligazione solidale per la parte comune.

XIV. – In conclusione, neppure la semplice eliminazione dal testo dell’art. 2407, secondo comma, c.c. della espressione “solidalmente” implica – in difetto di altre esplicitazioni – una incidenza sulla fattispecie di responsabilità. Non v’è stata infatti trasformazione dell’obbligazione da solidale a parziaria, perché l’ambito di solidarietà è rimasto ancorato alle regole generali in funzione del diritto del danneggiato [19]. L’obbligazione dei sindaci rimane solidale con quella degli amministratori, sebbene entro il limite stabilito a proposito del massimale risarcitorio. Restano ferme le regole applicabili nei rapporti interni tra i coobbligati, nel senso che chi abbia risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri corresponsabili nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate (art. 2055, secondo comma).

  • Testo del contributo dedicato al “Libro degli amici di A. Caiafa”, in corso di pubblicazione

[1] Cfr. i rilievi di Assonime, circ. n. 18 del 20205, ove ulteriori riferimenti.

[2] Trib. Bari, 24-4-2025.

[3] Trib. Roma, 19-6-2025, Trib. Venezia, 4-7-2025.

[4] Cfr. la sempre valida e completa ricostruzione storico-concettuale di G.U. Rescigno, voce Disposizioni transitorie, in Enc. dir., vol. XIII, Milano 1964, 224.

[5] Per applicazioni del principio, v. tra le moltissime Cass. Sez. 1, 29-1-1973, n. 271, Cass. Sez. 1, 1-10-1976, n. 3202, Cass. Sez. 12. 8-2-1997, n. 1199, Cass. Sez. 3, 4-1-2002, n. 59,

[6] Chiarissima a tal riguardo è Cass. Sez. 1, 17-11-1979, n. 5970.

[7] E’ assolutamente pacifico che il principio della non retroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle preleggi, costituisce una direttiva di carattere generale che, salvi il limite costituzionale dell’irretroattività delle norme penali e l’intangibilità di diritti soggettivi garantiti dall’ordinamento costituzionale, è pienamente derogabile mediante altre norme ordinarie, comprese quelle – cui è connaturale un’efficacia retroattiva – di interpretazione autentica di altre norme già esistenti nell’ordinamento.

[8] Cfr. Cass. Sez. 3, 3-4-1987, n. 3231, Cass. Sez. 1, 2-3-1996, n. 1638.

[9] Cfr. Cass. Sez. 6-3, 15-6-2022, n. 19229, che ha espresso il principio ai sensi dell’art. 363, secondo comma, c.p.c. con riguardo alla liquidazione del danno biologico da lesioni “micropermanenti” derivanti da un sinistro stradale del 2005, correttamente effettuata dal giudice di merito alla stregua dell’art. 139 c. ass., entrato in vigore dopo il verificarsi del fatto illecito.

Conf. Cass. Sez. 3, 25-6-2025, n. 17167.

Per analogo criterio generale, si veda Cass. Sez. 3, 26-9-2016, n. 18773, a proposito dei commi 3-ter e 3-quater dell’art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2012: tali norme devono applicarsi ai giudizi in corso, ancorché relativi a sinistri verificatisi in data anteriore alla loro entrata in vigore, trattandosi di disposizioni non attinenti alla consistenza del diritto ma solo al momento, successivo, del suo accertamento in concreto. E v. pure Corte cost. n. 235 del 2014.

[10] Cass. Sez. 1, 28-2-2024, n. 5252, cui adde, conf., Cass. Sez. 1, 25-3-2024, n. 8069.

[11] Cfr., volendo, F. Terrusi, La responsabilità degli organi di controllo della società di capitali, in Temi romana, 2024, 2-4, p. 50 e seg.

[12] Ex aliis, Cass. Sez. 1 28-10-2024, n. 27789, Cass. Sez. 1, 11-12-2020, n. 28357.

[13] Indicativamente, Cass. Sez. 1, 13-6-2014, n. 13517, Cass. Sez. 1, 13-6-2014, n. 13518 e molte altre.

[14] Cfr. Cass. Sez. 1, 12-7-2019, n. 18770, Cass. Sez. 1, 21-7-2023, n. 23200, Cass. Sez. 1, 26-6-2025, n. 24004.

[15] L. Benedetti, La nuova responsabilità dei membri del collegio sindacale: alcune prime considerazioni sistematiche, in Diritto della crisi, 2025, par. 4.

[16] Cfr. S. Corrias, Contratto di capitalizzazione e attività assicurativa, Milano 2011, 35 e seg.

[17] Cass. Sez. U., 27-4-2022, n. 13143.

[18] A proposito, per esempio, della solidarietà fra assicurato e assicuratore, cfr. tra le moltissime Cass. Sez. 3, 10-6-2013, n. 14537, Cass. Sez. 3, 3-6-2002, n. 7993.

[19] A conclusione analoga perviene R. Rordorf, La responsabilità dei sindaci alla luce del novellato art. 2407 c.c., in Soc. 2025, p. 627. Conf. G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, in Società e Contratti, Bilancio e Revisione, 2025, p. 14.

Contra invece S. Ambrosini, La nuova responsabilità del collegio sindacale: note minime a prima lettura, in Ristrutturazioni aziendali 2025, p. 8.