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La domanda riconvenzionale nel procedimento di mediazione
Di Fabio Valerini -
Sommario – 1. Il problema della domanda riconvenzionale nella mediazione controversie civili e commerciali – 2. Gli oppositi orientamenti nella giurisprudenza di merito – 3. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite – 4. La riconvenzionale e il procedimento di mediazione – 5. Profili problematici dell’applicazione del principio di diritto.
1.La nuova disciplina della mediazione civile e commerciale ad opera della riforma Cartabia e una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione rendono opportuno un approfondimento sul delicato tema del rapporto tra domanda riconvenzionale e procedimento di mediazione.
L’obiettivo è fornire una chiave interpretativa in funzione dell’efficientamento del procedimento di mediazione in coerenza con le finalità di composizione delle controversie che si è posto il legislatore con il d.lgs. n. 28 del 2010.
Orbene, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3452 del 7 febbraio 2024 hanno risolto il problema della assoggettabilità, o no, della domanda riconvenzionale, il cui oggetto rientra in una delle materie di cui al primo comma dell’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, al preventivo tentativo di mediazione quando già un tentativo si sia già svolto sulla domanda principale[1].
La ragione del porsi del problema deriva dalla constatazione che il decreto legislativo n. 28 del 2010 – tanto nella sua versione originaria quanto in quella vigente tempo per tempo per effetto delle modifiche legislative (ivi compresa la riforma Cartabia) – nulla dice espressamente sull’assoggettamento anche della domanda riconvenzionale (come neppure della chiamata in causa del terzo) alla condizione di procedibilità.
Ed infatti, la formula utilizzata dal legislatore per prevedere il tentativo di mediazione come condizione di procedibilità è riferita genericamente a “chi intende esercitare in giudizio un’azione”[2].
Senonché, a mio avviso, questa formula sembra consentire, peraltro senza alcuna difficoltà letterale[3], di riferire la condizione di procedibilità non soltanto alla domanda proposta dall’attore, ma anche a quella del convenuto (nei confronti sia dell’attore che del terzo)[4].
2. Sulla base di questa formulazione della norma nella giurisprudenza di merito si erano creati due orientamenti contrastanti.
Da un lato, c’era chi aveva escluso l’assoggettamento della domanda riconvenzionale al tentativo obbligatorio di mediazione quando già era stata effettuato un tentativo sulla domanda principale onde evitare di rinnovare un tentativo di mediazione già svolto[5].
Potremmo dire appartenere a questo orientamento anche quella giurisprudenza che si è pronunciata sul tema della chiamata in causa del terzo escludendone l’assoggettamento al preventivo tentativo di mediazione argomentando dalla riferibilità dell’obbligo del tentativo soltanto per le domande proposte dall’attore nei confronti del convenuto[6].
Dall’altro lato vi era chi aveva ritenuto che la domanda di mediazione fosse soggetta al tentativo di mediazione tutte le volte in cui la domanda riconvenzionale avesse un oggetto rientrante in una delle materie per cui il legislatore aveva previsto l’obbligatorietà del tentativo di mediazione poiché la legge non distingue fra domanda dell’attore e domanda riconvenzionale del convenuto (o del terzo)[7].
3. Orbene, la questione è stata posta all’attenzione delle Sezioni Unite da un’ordinanza del Tribunale di Roma che aveva disposto il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis cod. proc. civ.[8]
In primo luogo, le Sezioni Unita hanno ricordato la distinzione delle domande riconvenzionali astrattamente proponibili in giudizio tra domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e domanda riconvenzionale ad essa “eccentrica”.
Una distinzione, però, che le Sezioni Unite hanno escluso essere rilevante ai fini della risoluzione della questione interpretativa anche per evitare che la complessità dell’accertamento dell’esistenza di una categoria di domanda riconvenzionale piuttosto che un’altra, possa rappresentare l’occasione per un contenzioso processuale (anche se, come vedremo, la distinzione viene comunque utilizzata per finalità argomentativo-sistematica).
In secondo luogo, le Sezioni Unite hanno ricordato che la scelta del legislatore con il decreto legislativo n. 28 del 2010 è stata quella di offrire una reale spinta deflattiva e contribuire alla diffusione della cultura della risoluzione alternativa delle controversie per preservare la “risorsa” della giurisdizione all’interno della quale trova collocazione – oltre alla negoziazione assistita e al trasferimento in sede arbitrale dei giudizi civili – il tentativo di conciliazione ed la formulazione della proposta di conciliazione da parte del giudice.
In questo contesto – hanno proseguito le Sezioni Unite – per la «riconvenzionale c.d. non eccentrica, la lettera e la ratio della disposizione inducono a ritenerla non sottoposta alla condizione della mediazione obbligatoria, in quanto si collega all’oggetto del processo già introdotto dall’attore».
Ed infatti, «la mediazione obbligatoria si collega non alla domanda sic et simpliciter, ma al processo, che ormai è pendente, onde, essendo la causa insorta, la funzione dell’istituto viene meno, non avendo avuto l’effetto di prevenzione per la instaurazione del processo: in quanto essa si collega alla causa, non alla domanda come tale, in funzione deflattiva del processo».
Ecco allora che «imporre un successivo, o più successivi ad ogni ulteriore domanda proposta nel giudizio, tentativi obbligatori di conciliazione, nel contempo differendo la trattazione della causa per mesi ad ogni nuova domanda proposta in giudizio, è un effetto eccessivo non voluto dalla norma rispetto allo scopo deflattivo perseguito».
Con riferimento, invece alle riconvenzionali c.d. eccentriche ciò che porta ad escludere l’obbligo di mediazione il principio della certezza del diritto, che si oppone alla causazione di ulteriore contenzioso sul punto, e quello della ragionevole durata del processo.
Ciò che le Sezioni Unite hanno voluto evitare è, dunque, “l’eccesso di mediazione”[9] che si sarebbe creato ritenendo che anche la domanda riconvenzionale fosse soggetta al tentativo obbligatorio di mediazione.
Naturalmente – si legge nella motivazione – resta che, da un lato, spetta sempre al giudice di tentare la conciliazione ai sensi degli articoli 185 e 185-bis cod. proc. civ. e, dall’altro lato “spetta al mediatore, nel diligente adempimento del suo incarico professionale, esortare le parti a mettere ogni profilo “sul tappeto”, ivi comprese altre richieste del convenuto» e, dunque, l’intera lite tra le parti potendosi nella mediazione trattare congiuntamente anche più interessi”[10].
Le Sezioni Unite hanno, quindi, enunciato il principio di diritto secondo cui “la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per l’intero corso del processo e laddove possibile”.
L’enunciato principio di diritto (e soprattutto la motivazione della sentenza) sembra consentire di rispondere alla domanda di cosa accada quando la domanda riconvenzionale sia soggetta a mediazione obbligatoria, mentre la domanda “principale” non lo sia.
Ebbene, in questo caso non mi sembra che ricorra l’esigenza di evitare il pericolo di un “eccesso di mediazione”, non essendoci stato un tentativo di mediazione all’interno del quale rappresentare anche gli interessi (e i diritti) connessi alla domanda riconvenzionale.
4. Esclusa, dunque, la ricorrenza dell’obbligo del tentativo di mediazione per le domande riconvenzionali dobbiamo ora esaminare come la domanda riconvenzionale potrebbe manifestarsi nel procedimento di mediazione.
Una prima forma di manifestazione si potrà avere laddove il chiamato in mediazione vorrà estendere formalmente l’oggetto della mediazione ad una ulteriore sua azione.
Non c’è dubbio che questa possibilità rientra nelle facoltà del chiamato.
Ed infatti, la sua azione potrebbe un domani essere esercitata “in via riconvenzionale” (e non essere soggetta a mediazione obbligatoria secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite) oppure in un autonomo processo (e, quindi, essere soggetta a mediazione obbligatoria)[11] e quindi essere bisognosa di un esperimento di un tentativo di mediazione.
Del resto, l’art. 29 comma 2 del d.m. n. 150 del 2023 disciplina espressamente quest’ipotesi avendo previsto che “l’atto di adesione che introduce un’ulteriore domanda ne indica il valore e si applica il comma 1.”
Una seconda forma di manifestazione si potrà avere se il chiamato in mediazione volesse estendere formalmente l’oggetto della mediazione ad una ulteriore sua azione nel corso del procedimento di mediazione[12].
In questa ipotesi riterrei che nulla osti a che questa scelta sia formalizzata nel verbale di mediazione.
Nessuno dubita – compresa la giurisprudenza di merito e le stesse Sezioni Unite – che:
i)il tentativo di mediazione sulla domanda proposta dell’istante possa riguardare anche ulteriori temi (ivi compresa dunque la domanda riconvenzionale) essendo sempre possibile (ed auspicabile) il c.d. allargamento della torta negoziale;
ii)la prospettazione di una ulteriore domanda da parte del chiamato in mediazione può portare a riconsiderare la stessa possibilità di una definizione della controversia da parte dello stesso istante o le parti a meglio individuare il contenuto dell’accordo.
5.Il problema che si pone, però, è come l’ordinamento possa garantire che il tentativo di mediazione possa essere efficace anche perché comprende tutte le domande che potrebbero essere proposte nel successivo giudizio.
E ciò partendo dalla constatazione – che le stesse Sezioni Unite hanno avuto modo di mettere in evidenza – che la prospettazione anche della domanda riconvenzionale (a maggior ragione quando dipendente dal medesimo titolo della domanda principale) può giocare un ruolo pro-attivo verso il possibile raggiungimento di un accordo.
Ed infatti, salva l’ipotesi in cui il chiamato in mediazione formalizzi (con le forme indicate retro al § 4) la sua domanda riconvenzionale, stante il principio di riservatezza che permea tutto il procedimento di mediazione, non si potrà mai dare atto nel verbale se il confronto tra le parti si sia esteso anche ad altro oltre alla domanda principale[13].
Ecco allora che per questa ragione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite potrebbe presentare qualche inconveniente sulla generale impostazione del decreto legislativo che vuole favorire quanto più possibile il raggiungimento di un accordo.
Peraltro, quell’eccesso di mediazione che sembra aver costituito il timore di una proliferazione dei tentativi di mediazione non toglie che un tentativo di mediazione possa essere sempre disposto nel corso del processo ad opera del giudice[14] anche laddove uno sia già stato esperito.
Anzi, la riforma Cartabia sembra aver ampliato la possibilità del giudice di disporre la c.d. mediazione demandata avendo riformulato la disposizione prevedendo che “il giudice anche in sede di giudizio di appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, puo’ disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione” (art. 5-quater comma 1 d.lgs. n. 28 del 2010).
In conclusione, riterrei che l’interpretazione secondo cui l’obbligo di mediazione debba essere esteso anche alla domanda riconvenzionale (e alla chiamata in causa del terzo) sia preferibile non soltanto per ragioni letterali ma anche in chiave sistematica per porre le premesse di un tentativo di mediazione efficace ed efficiente in linea con l’obiettivo di risolvere le controversie civili e commerciali e con l’obbligo di partecipare lealmente al confronto sulle questioni controverse.
[1] Tentativo evidentemente conclusosi negativamente e senza che, in quella sede, la parte chiamata abbia formalmente ampliato la mediazione a quella che sarà la domanda riconvenzionale.
[2] Questa formula aveva rappresentato l’argomentazione fondamentale per affermare che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di avviare il procedimento di mediazione spettasse al creditore opposto (la cui domanda, per l’appunto, esercitata con il ricorso monitorio era l’oggetto del giudizio di opposizione). In questo senso si era espressa C. Cass. 18 sett 2020 n. 19596 con orientamento oggi normativizzato dalla riforma Cartabia nella lettera dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 28 del 2010.
[3] Si pensi, infatti, alle controversie agrarie dove l’incipit dell’art. 46 della legge n. 203 del 1982 (come pure dell’art. 11 d.lgs. n. 150 del 2011) recita proprio “chi intende proporre in giudizio una domanda”: ebbene, in relazione a quelle controversie la giurisprudenza ritiene che l’obbligo del tentativo di conciliazione sia previsto anche per le domande riconvenzionali (in questo senso si veda C. Cass., sez. VI, 11 novembre 2022, n. 33379) a meno che la domanda riconvenzionale “non si ponga in rapporto di accessorietà e consequenzialità con quelle oggetto del tentativo di conciliazione esperito dell’attore” (C. Cass., sez. III, 22 settembre 2017, n. 22048).
[4] Come cercherò di dimostrare infra al § 5 appare preferibile l’interpretazione per cui l’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 deve intendersi riferito non soltanto alla domanda principale ma anche alla domanda riconvenzionale (e anche alla chiamata in causa del terzo) non soltanto per ragioni letterali e sistematiche ma anche per realizzare un efficace ed efficiente tentativo di mediazione.
[5] In questo senso, ad esempio, Tribunale di Palermo 27 febbraio 2016 secondo cui “l’art. 5 comma 1 bis d.lg. n. 28 del 2010 impone il preventivo esperimento del procedimento di mediazione a chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia nelle materie specificamente indicate e sancisce che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La norma però non regola espressamente le ipotesi in cui il giudizio, dopo la proposizione della domanda giudiziale si arricchisce di nuove domande o di nuove parti: in tal caso si ritiene che non sia necessario interrompere per rinnovare l’esperimento del procedimento di mediazione. Pertanto, va rigettata l’eccezione di improcedibilità sollevata dalla difesa del convenuto”.
[6] In questo senso Tribunale Mantova, sez. I 14 giugno 2016, secondo cui “in tema di mediazione, il giudizio avente ad oggetto una domanda concernente la responsabilità medica è soggetto alla disciplina di cui all’art. 5 d.lg. 28/2010: non è fondata l’eventuale eccezione di improcedibilità del giudizio sollevata dal terzo chiamato, atteso che la mediazione deve essere esperita unicamente in relazione alle domande proposte dall’attore nei confronti del convenuto ma non con riguardo alle domande proposte da quest’ultimo nei confronti di terzi, in quanto una diversa soluzione comporterebbe un notevole allungamento dei tempi di definizione del processo, in contrasto con il principio di ragionevole durata dello stesso stabilito dall’art. 111 Cost.”.
[7] In questo senso si possono ricordare: (a) Trib. Roma, sez. Ostia, 15 marzo 2012 (seguito da Trib. Firenze, sez. III, 8 giugno 2015) secondo cui “la legge non distingue fra domanda dell’attore e domanda riconvenzionale del convenuto (o del terzo). La domanda giudiziale, quella dell’attore, come pure quella del convenuto (o del terzo) in via riconvenzionale, si qualifica come tale e ciò è sufficiente, ove avente ad oggetto una delle materie di cui al primo comma dell’art.5 del decr. lgsl 28/10, a ritenerla soggetta alla disciplina della mediazione obbligatoria”; (b) Tribunale di Verona, sez. III, 12 maggio 2016 secondo cui «in presenza di una domanda riconvenzionale afferente a materia inclusa in quelle enunciate dall’art. 5, comma 1 bis, d.lg. n. 28/2010, il giudice deve assegnare termine per l’espletamento della procedura di mediazione anche laddove un tentativo di mediazione vi sia già stato prima dell’instaurazione del giudizio su impulso dell’attore, non potendo escludersi che la circostanza sopravvenuta della domanda nuova dei convenuti possa portare le parti a riconsiderare la possibilità di una definizione transattiva della controversia».
[8] Per l’esame dell’ordinanza del Tribunale di Roma e per la ricostruzione del dibattito dottrinario e giurisprudenziale sul tema si rimanda a E. Borselli, Il problema della mediazione obbligatoria sulla controversia oggetto di domanda riconvenzionale: la parola alle sezioni unite, in Judiucium, dell’8 novembre 2023.
[9] Le Sezioni Unite hanno ritenuto espressivo di questa esigenza di evitare l’eccesso di mediazione mediante” quelle previsioni che escludono l’ipotesi del concorso di diverse procedure di conciliazione o mediazione obbligatoria, o altre condizioni di procedibilità comunque denominate escludendo un doppio e contemporaneo “filtro alla giurisdizione”, optando, invece, per l’alternatività di procedure.
[10] A tal proposito le Sezioni Unite ricordano che “in questo caso «la mediazione torna un modo attraverso il quale le parti provano a risolvere la lite, anche in maniera diversa dall’applicazione rigorosa delle norme che regolano la vicenda, ricercando un equilibrio tra i rispettivi interessi, purché questi vengano peraltro adeguatamente ponderati e non ridotti forzatamente “a pari merito”, il tutto innanzi ad un organo apposito, per scongiurare l’introduzione della lite innanzi ad un giudice”.
[11] Questo in riferimento ad azioni che rientrano in una delle materie di cui all’art. 5 comma 1 d.lgs. n. 28 del 2010. Nulla, però, vieta al chiamato di proporre una domanda di mediazione in una materia diversa: in quel caso ciò darà luogo a una mediazione volontaria.
[12] E ciò ferma la necessità dell’indicazione del valore e con ogni conseguenza sulle spese e indennità di mediazione.
[13] E ciò nonostante che, talvolta, nella giurisprudenza di merito si siano avute richieste del giudice al mediatore di verbalizzare dettagliatamente lo svolgimento dell’incontro di mediazione: in questo senso, si richiama Trib. Roma, sez. VI civile, 21 gennaio 2015 dove si può leggere “assegna alle parti il termine di quindici giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per la presentazione di domanda di mediazione e fissa udienza al … nella non creduta ipotesi in cui la conciliazione non sortisca esito positivo., udienza fissata ex art. 420 c.p.c. per la discussione nel merito previo esame dei temi concretamente affrontati e dell’esito della mediazione svolta secondo lealtà e probità; dovrà essere prodotto il verbale di mediazione”.)
[14] In questo caso, proposta la domanda riconvenzionale, nessun dubbio che la mediazione debba comprendere tutto l’oggetto del processo: in questo senso si veda C.Cass., sez. I, 27 marzo 2024, n. 8248.