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La Corte definisce l’ambito applicativo della nuova revocazione europea ex art. 391 quater c.p.c.
Di Margherita Pagnotta -
Con la decisione n. 7128 del 17 marzo 2025, assunta all’esito di uno dei primissimi procedimenti di revocazione europea celebrati ex art. 391 quater c.p.c., la Corte di cassazione cerca di risolvere uno dei principali problemi che il nuovo rimedio ha posto fin dal primo momento, con riguardo all’ambito applicativo dello stesso.
La norma inserita nel codice di rito dall’art. 3, comma 28, del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 e da ultimo modificata con il correttivo (d. lgs. 31 ottobre 2024, n. 164), è stata introdotta al fine di adempiere al dovere dello Stato, assunto con la ratifica della Convenzione Edu[1], di adottare le misure necessarie per rimediare alla violazione accertata dalla Corte europea, secondo quanto disposto dall’art. 46 della Convenzione sulla “forza vincolante ed esecuzione delle sentenze” della Corte Edu, in relazione all’ipotesi in cui tale violazione sia costituita da una pronuncia interna o si sia comunque verificata nel procedimento da questa concluso.
In particolare, la norma introducendo una nuova ipotesi di revocazione straordinaria, dispone che le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte Edu contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possano essere impugnate per revocazione qualora la violazione accertata dalla Corte europea abbia pregiudicato un diritto di stato della persona e l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte Edu, ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, non risulti idonea a compensare le conseguenze della violazione (in ossequio al c.d. divieto di duplicità di ristori).
Tra le due condizioni, che devono concorrere per accedere al rimedio, fin da subito ha fatto sorgere non pochi dubbi interpretativi quella relativa all’ambito applicativo, delimitato per oggetto al pregiudizio a un “diritto di stato della persona”, cagionato dalla decisione interna passata in giudicato. L’attinenza del pregiudizio a un “diritto di stato della persona”, che in questo senso ricorda il simile rimedio francese[2], restringe indubbiamente il campo rispetto alla più ampia formula della legge delega[3], che si riferiva, invece, a qualsiasi tipo di violazione, indipendentemente dalla materia e dall’oggetto della sentenza. Nella Relazione al d. lgs. n. 149/2022[4], tale scelta restrittiva è giustificata dalla stretta connessione con l’altra condizione che deve concorrere per attivare il rimedio, consistente nell’impossibilità di rimuovere la violazione attraverso la tutela per equivalente: ciò si verifica generalmente con riguardo al campo dei “diritti di stato della persona”, dove solo una tutela in forma specifica può effettivamente garantire una eliminazione del pregiudizio subito. In tali ipotesi, infatti, il riconoscimento alla parte lesa di un risarcimento in termini economici non è idoneo a rimuovere gli effetti pregiudizievoli della violazione.
Con la sentenza che qui si segnala, la Corte di cassazione risolve la questione interpretativa circa l’ambito di applicabilità del rimedio, andando a definire cosa effettivamente deve intendersi ricompreso nella nozione di “diritto di stato della persona”.
Nel caso in esame i ricorrenti, sulla base di una decisione della Corte Edu che aveva accolto la domanda relativa ai danni non patrimoniali derivanti dalla perdita del rapporto parentale, domandavano la rimozione ex art. 391 quater c.p.c. del giudicato nazionale che, invece, aveva negato tale risarcimento.
La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 391 quater c.p.c. se interpretato restrittivamente e, quindi, come riferibile solo alle sentenze passate in giudicato che siano state riconosciute integrare una violazione del diritto al riconoscimento di uno status personale.
Queste le considerazioni svolte:
in primo luogo, la Corte evidenzia che lo scopo della nuova disposizione processuale è quello di garantire l’adempimento da parte dello Stato italiano dell’obbligo di conformarsi alle decisioni vincolanti della Corte Edu, come previsto dall’art. 46 della Convenzione, prevendendo la possibilità di riapertura del processo limitatamente ai casi in cui il pregiudizio derivante dalla violazione commessa dallo Stato, concretizzatasi in una sentenza passata in giudicato e dichiarata contraria alla Convenzione, non sia riparabile mediante tutela per equivalente (la c.d. tutela secondaria dei diritti fondamentali protetti dalla Convenzione), in quanto non idonea a rimuovere gli effetti pregiudizievoli della violazione. Ed infatti, benché la legge delega consentisse, in teoria, di introdurre la nuova fattispecie di revocazione straordinaria per tutti i casi di violazione di diritti di qualunque natura, allo stesso tempo aveva però chiaramente inteso limitare l’operatività del nuovo istituto a quelle ipotesi in cui il giudicato nazionale contrario ai principi della CEDU determini un pregiudizio a diritti di natura tale per cui non sia configurabile una tutela esclusivamente economica, in quanto tale risarcimento non sarebbe in alcun modo idoneo a rimuovere il pregiudizio, essendo, invece, a tal fine necessario rimuovere la decisione passata in giudicato e adottare le statuizioni, differenti dal pagamento di somme di denaro, conseguenti alla rimozioni.
Il legislatore delegato, pertanto, ha introdotto il nuovo rimedio delineandone i relativi limiti al fine di consentire la rimozione, nell’ordinamento interno, esclusivamente degli effetti delle sentenze riguardanti i “diritti di stato della persona”, ossia quelle relative agli status personali, dal momento che queste sono le uniche situazioni soggettive che non possono essere tutelate con il solo ristoro economico, mentre per tutte le altre situazioni soggettive non qualificabili come “diritti di stato della persona” è sempre possibile ricorrere alla tutela per equivalente.
In secondo luogo, la Corte evidenzia che per “diritti di stato della persona” devono intendersi «le posizioni giuridiche fondamentali che la persona assume nell’ambito della società e del nucleo familiare»; si tratta, in particolare, di un diritto che deve rappresentare, sul piano dell’ordinamento, la diretta implicazione dello stato, esprimendo, dunque, il contenuto normativo dello stato della persona[5].
Deve, quindi, ritenersi che tale espressione normativa voglia indicare come oggetto della tutela revocatoria esclusivamente quelle violazioni che abbiano pregiudicato il diritto al riconoscimento di un determinato status personale, cioè che si siano risolte nella negazione totale o parziale dello stesso, nel tardivo riconoscimento ovvero nelle ipotesi di erronea attribuzione o tardivo disconoscimento[6].
Non può, invece, essere interpretata nel senso che possa ricomprendere il pregiudizio arrecato a qualsiasi diritto fondamentale o non patrimoniale, anche se di natura personalissima e anche se presupposto o derivante da un determinato status soggettivo del titolare, qualora sia sia stato leso senza che tale status sia stato direttamente negato, limitato o riconosciuto in ritardo. Ed infatti, il pregiudizio arrecato ad uno stato soggettivo personale, inteso genericamente come mera titolarità di un qualsiasi altro diritto, anche se si tratti di diritti fondamentali, inviolabili, di natura personale e non patrimoniale ed anche se eventualmente si tratti di un diritto che presupponga la titolarità di un determinato status personale, non implica di per sé l’insuscettibilità di una tutela per equivalente, che anzi nella maggior parte dei casi è l’unica via per tutelare il soggetto leso. In tali ipotesi la titolarità o non titolarità di uno status non sono l’oggetto diretto della lesione, che si verifica senza che sia posta in dubbio la spettanza dello status o senza che lo stesso sia erroneamente attribuito.
Il legislatore ha, quindi, inteso introdurre nell’ordinamento nazionale un rimedio idoneo a dare attuazione all’obbligo dello Stato italiano di conformarsi alle decisioni della Corte Edu secondo quanto previsto dall’art. 46 della Convezione, con una eccezionale deroga ai limiti derivanti dal giudicato che, tuttavia, va intesa come extrema ratio e deve, quindi, essere limitata alle sole situazioni dove, la tutela per equivalente offerta ai sensi dell’art. 41 della Convenzione Edu non risulti idonea, da sola, a rimuovere le conseguenze del pregiudizio derivante dalla violazione, trattandosi di una lesione ad un diritto non suscettibile di tutela per equivalente. Nel caso di sentenze che abbiano mancato di riconoscere o abbiano illegittimamente attribuito uno status, infatti, la tutela per equivalente non è idonea ad attribuire lo status ingiustamente negato da una sentenza passata in giudicato o ad eliminare l’attribuzione di uno status erroneamente riconosciuto ed è necessario rimuovere tale sentenza ai fini di una effettiva riparazione, non conseguibile mediante l’art. 41 della Convezione, né in generale attraverso misure riparatorie di tipo risarcitorio.
Nel caso di specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso formulato dai ricorrenti, che domandavano la revocazione ex art. 391 quater c.p.c. della decisione nazionale che non aveva riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalla perdita del rapporto parentale, accertato poi in sede convenzionale, dove la Corte Edu ha provveduto all’equa soddisfazione degli stessi in forma di tutela secondaria, mediante risarcimento.
Alla luce delle considerazioni svolte, la dichiarazione di inammissibilità consegue alla evidente impossibilità di utilizzare il nuovo istituto per rimuovere decisioni nazionali che abbiano accolto o rigettato una domanda volta a conseguire una condanna al pagamento di un somma di denaro, sia pure a titolo risarcitorio, per la lesione di un diritto fondamentale anche non patrimoniale, in quanto in tal caso viene richiesta proprio e soltanto una tutela per equivalente che, oltre ad essere oggettivamente possibile, è espressamente ritenuta tale dalla parte. Non vi è stata, quindi, alcuna lesione di una posizione soggettiva identificabile quale “diritto di stato della persona” e la tutela per equivalente in forma risarcitoria, oltre ad essere perfettamente possibile, è anche espressamente domandata dalla parte. Una siffatta situazione esclude in radice l’operatività del nuovo rimedio revocatorio.
Infine, con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale sollevate relativamente all’interpretazione troppo restrittiva della portata applicativa dell’art. 391 quater c.p.c. (che, secondo i ricorrenti, configurerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra diverse tipologie di diritti fondamentali), in relazione agli artt. 2, 3 e 24 Cost., nonché con riferimento agli artt. 117, 76 e 77 Cost., (in quanto la legge delega non avrebbe inteso limitare nei suddetti termini la portata del nuovo rimedio), la Corte le ha ritenute entrambe manifestamente infondate, sulla scorta delle argomentazioni già sviluppate per chiarire il concetto di diritto di stato della persona e la portata applicativa generale del rimedio.
Dunque, secondo la Corte, la norma va interpretata in senso strettamente letterale, senza eccedere in interpretazioni troppo estensive… con la conseguenza, tuttavia, che, essendo le controversie sugli status un numero molto ridotto nel nostro ordinamento, l’utilizzo che potrà effettivamente farsi di questo nuovo rimedio sarà probabilmente molto scarso.
[2] Il legislatore francese con la l. 18 novembre 2026, n. 1547, ha introdotto un procedimento ad hoc che consente alle parti, del solo processo convenzionale, di domandare il riesame della sentenza resa in materia di stato delle persone, quando la violazione della convenzione abbia causato un pregiudizio non compensabile con un risarcimento del danno per equivalente.
[3] Art. 1, comma 10, lettera a della l. 26 novembre 2021, n. 206, secondo qui : «Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di revocazione a seguito di sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere che, ferma restando l’esigenza di evitare duplicità di ristori, sia esperibile il rimedio della revoca- zione previsto dall’articolo 395 del codice di procedura civile nel caso in cui, una volta formatosi il giudicato, il contenuto della sentenza sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente».
[4] In particolare, nella Relazione illustrativa al d. lgs. n. 149/2022 si afferma che «I casi in cui il rimedio risarcitorio è tendenzialmente inidoneo a rimuovere le conseguenze della violazione convenzionale sono stati individuati attraverso il riferimento alle violazioni di un diritto di stato della persona. Per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un’ utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo».
[5] Sul punto si v. C. SGROI, La revocazione della pronuncia di Cassazione, in P. CURZIO (a cura di) La Cassazione civile riformata, pg. 268, che ricomprende nella nozione di stato oltre che le situazioni connesse ai procedimenti in materia di separazione e divorzio, di amministrazione di sostegno, di interdizione, inabilitazione, di dichiarazione di assenza o morte presunta, di adozione, di unioni civili, di filiazione, riconoscimento o dichiarazione di paternità e maternità, di statuizioni in tema di abusi familiari e di rettifica degli atti dello stato civile, anche i diritti in materia di protezione internazionale attinenti allo status di rifugiato o titolare di protezione sussidiaria, quelli in tema di cittadinanza europea e, per gli ambiti sottratti alla giurisdizione amministrativa, quelli connessi allo status di cittadino.
[6] Sul punto si v. G. SCARSELLI, Note sulla nuova revocazione di cui all’art. 391 quater c.p.c. per contrarietà del giudicato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in www. Judicum.it , 22 aprile 2024, il quale evidenzia che «se la violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo sia caduta, ad esempio, su controversie aventi ad oggetto la filiazione, oppure l’adozione, o ancora la cittadinanza, la rettificazione degli atti di stato civile, ecc….lì è possibile ricondurre il contenzioso al diritto di stato della persona, e quindi chiedere la revocazione della sentenza; ma se il diritto è semplicemente della persona, come, ad esempio, può avvenire nel mondo del lavoro, nel diritto di famiglia, oppure con riferimento al diritto al nome, all’immagine, ecc….., lì non siamo nel campo dei diritti di status, e quindi la violazione della Convenzione relativamente a quei diritti non ammette, e non rende esperibile, la nuova revocazione di cui all’art. 391 quater c.p.c.».