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Intervento e partecipazione nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
Di Giovanni Fabio Licata -
Sommario: 1. La legittimazione all’intervento nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria nel dibattito giurisprudenziale. 2. Scopi, struttura ed effetti delle decisioni dell’Adunanza plenaria. 3. L’intervento nel giudizio innanzi all’Adunanza plenaria. 4. La partecipazione al procedimento decisionale dell’Adunanza plenaria.
1.La legittimazione all’intervento nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria nel dibattito giurisprudenziale
Si è di recente sviluppato un dibattito giurisprudenziale relativo all’ammissibilità dell’intervento nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Non dunque, o meglio non semplicemente, una dialettica inerente all’intervento nel giudizio di appello nel processo amministrativo, quanto piuttosto una discussione che concerne la legittimazione all’intervento dei terzi al cospetto della plenaria, ed è questione che si correla direttamente agli effetti delle pronunce di quest’organo della giustizia amministrativa.
La problematica riguarda la posizione di parti diverse da quelle del giudizio a quo, le quali intendono proporre intervento nel giudizio innanzi alla plenaria poiché in questo (asseritamente) rileva la medesima questione di diritto che in tale sede si decide, ponendo quindi un interesse, o se si vuole un potenziale pregiudizio, il quale ha nel “vincolo” che l’enunciazione del principio di diritto assume ai sensi dell’articolo 99 del codice del processo amministrativo il suo presupposto concettuale o, potrebbe anche dirsi, fattuale. Talvolta, l’interesse in questione assume un contenuto, per così dire, “rafforzato”, e questo perché tali terzi ritengono di dovere intervenire nel (diverso) giudizio trasferito alla plenaria perché quello nel quale essi sono parti processuali risulta sospeso, nei termini della sospensione c.d. impropria, in quanto ai fini della decisione rileva la medesima questione di diritto già sottoposta all’Adunanza plenaria. Gli stessi, quindi, si troverebbero sottoposti agli effetti “vincolanti” conseguenti all’enunciazione del principio di diritto nel “proprio” processo, ma senza alcuna possibilità di argomentare al riguardo. Per le parti del giudizio di appello così sospeso, pertanto, l’intervento in plenaria costituisce uno strumento utile per restituire sviluppo al contraddittorio su di una parte fondamentale della decisione.
Sul punto, però, la posizione della giurisprudenza amministrativa, negativamente orientata già prima dell’emanazione del codice del processo amministrativo[1] continua a rimanere tale anche oggi, pur dopo la introduzione di una disposizione come quella di cui all’articolo 99 del codice del processo amministrativo[2]. In questa giurisprudenza, gli atti di intervento di parti diverse da quelle del processo nell’ambito del giudizio che si svolge innanzi all’adunanza plenaria continuano ad essere dichiarati inammissibili perché ritenuti non assimilabili alle forme di intervento ammesse nel processo amministrativo, non considerandosi in particolare sufficiente che l’interveniente sia parte di altro processo nel quale (asseritamente) rilevi una quaestio iuris analoga a quella deferita in plenaria. Si evidenzia anche che, se in questi casi l’intervento fosse ritenuto ammissibile, verrebbe a introdursi nel processo amministrativo una nozione di interesse legittimante del tutto svincolata dalla sua valenza tipicamente endoprocessuale, quando invece tale strumento processuale può essere ritualmente utilizzato solo da quei soggetti titolari di una posizione giuridica collegata o dipendente a quella sostanziale dedotta in giudizio[3]. Talvolta, emerge anche un argomento ulteriore, che è quello del giudice naturale precostituito per legge. Si afferma, cioè, che a dovere in concreto verificare l’ammissibilità dell’intervento sarebbe un giudice, quello della plenaria, effettivamente privo del quadro conoscitivo invece disponibile per il giudice a quo, e sarebbe questa una mancata conoscenza che rileverebbe non solo da un punto di vista “pratico”, ma anche in ordine alla sistematica dell’assetto della giurisdizione per come in primis definita dall’articolo 25 della Costituzione[4].
Di particolare interesse ai fini del discorso che qui si sviluppa, poi, assume la considerazione, pure presente nella giurisprudenza della plenaria, la quale esclude ogni divergenza delle regole generali comunemente riferibili all’intervento in ragione della peculiare sede in cui il giudizio si svolge. Infatti, se ne conferma l’applicabilità, “pur se il principio di diritto da questa affermato ha il particolare rilievo disciplinato dall’art. 99 del codice del processo amministrativo”, e precisamente sulla scorta di una rigorosa applicazione del principio di legalità alle regole del processo, affermandosi in particolare la irrilevanza di “un principio di carattere generale, applicabile per i giudizi pendenti innanzi alla Corte Costituzionale e innanzi a qualsiasi ‘giurisdizione superiore’ prevista dall’art. 135 della Costituzione, per il quale solo una disposizione di legge potrebbe consentire ad eventuali interessati – in queste alte sedi – di poter esporre le proprie tesi difensive, per l’affermazione di un principio di diritto di cui intendano avvalersi in un altro giudizio. Mancando una tale regola nel codice del processo amministrativo, gli interventi vanno dichiarati inammissibili”[5].
E si tratta di una considerazione reiterata, posto infatti che, in altri casi, ribadendosi l’impossibilità di spiegare intervento a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse, si esplicita che ciò non può essere nemmeno giustificato in ragione del fatto che la decisione spiegherà ab esterno i suoi effetti, e ciò in quanto “l’ammissibilità all’intervento non può radicarsi sulla necessità di sostenere una tesi di diritto e, quindi, su mere e astratte finalità di giustizia”[6]. Ed ancora, con riferimento specifico a delle associazioni di categoria estromesse dopo avere proposto atto d’intervento, nemmeno si fa assumere rilievo alla circostanza per cui “la risoluzione delle questioni di diritto sottese al caso del singolo associato possa avere, specie per la valenza nomofilattica della pronuncia resa dall’Adunanza plenaria, una rilevanza anche sulla posizione di altri concessionari. La soluzione delle quaestiones iuris deferite all’Adunanza plenaria non incide sulla posizione diretta ed immediata sugli interessi istituzionalmente rappresentati, ma produce effetti non attuali e meramente eventuali sulla sfera giuridica dei concessionari, il che non può ritenersi sufficiente a radicare la legittimazione all’intervento che, come si è detto, non può essere sorretto dalla necessità di sostenere una tesi in diritto e, quindi, da mere e astratte finalità di giustizia”[7].
Soprattutto con questi ultimi argomenti si sono confrontate le sezioni unite della Corte di Cassazione, le quali con una sentenza recente e già molto dibattuta, hanno cassato una pronuncia dell’Adunanza plenaria che non aveva riconosciuto la legittimazione all’intervento spiegato nella sede nomofilattica della giustizia amministrativa sia a delle associazioni di categoria che a una Regione a statuto ordinario[8]. Successivamente, tale orientamento ha trovato conferma anche rispetto alla sentenza resa all’esito del giudizio di rinvio che seguiva la restituzione degli atti da parte della plenaria, con la quale era stata confermata l’inammissibilità degli atti d’intervento statuita e, per altro verso, altresì affermata l’inammissibilità di alcuni nuovi, ma dalle medesime caratteristiche prima indicate, proposti nel giudizio di rinvio[9].
Il ragionamento della Corte di Cassazione, necessita, prima di tutto, di dovere riconsiderare l’orientamento, emerso all’interno delle stesse sezioni unite, che considerava non aggredibile con il ricorso ai sensi dell’articolo 111, comma 8, della Costituzione, le sentenze dell’Adunanza plenaria che enunciano (solo) uno o più principi di diritto restituendo per il resto il giudizio alla sezione remittente, e ciò in quanto pronunce di siffatto tipo non potrebbero essere considerate come aventi carattere decisorio[10]. Al fine di rimeditarlo, all’argomento che vuole una incondizionata ricorribilità per Cassazione dei provvedimenti giurisdizionali aventi forma di sentenza[11], si aggiunge l’evidenziazione del contenuto comunque definitorio della pronuncia nomofilattica, sia in termini di proiezione generale che per la sua idoneità a porre dei vincoli all’interno del giudizio di rinvio[12].
Superato questo ostacolo, le sezioni unite riconducono il mancato riconoscimento della legittimazione all’intervento a un problema di giurisdizione, escludendo in particolare che, anche rispetto alle vicende del caso concreto dove era mancata la verifica delle finalità statutarie degli intervenienti, possa rappresentarsi un error in procedendo e, quindi, censurando la sentenza impugnata sotto il profilo del diniego o rifiuto di giurisdizione[13]. Si evidenzia infatti, il collegamento ma la non confondibilità tra l’interesse specifico del ricorrente e quello dell’(associazione) interveniente[14], soprattutto in quanto nel giudizio innanzi alla plenaria rileva l’affermazione di un principio di diritto necessariamente destinato ad avere delle refluenze su un numero indistinto di posizioni, sull’attività delle amministrazioni pubbliche e quindi, in definitiva, su di una pluralità di operatori[15].
La pronuncia di annullamento delle sezioni unite ha incontrato dissensi e resistenze nell’ambito della giustizia amministrativa, dove se ne è comunque, e per vari aspetti, esclusa la portata effettivamente precettiva. In particolare, alla sua rilevanza si è opposto che l’annullamento concerne solo la dichiarazione d’inammissibilità dell’intervento, per il resto perdurando intatto il principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria[16], ovvero se ne è mantenuta la sostanza procedendo (autonomamente) a una nuova pronuncia di incompatibilità con il diritto europeo[17]. L’emersione del contrasto, peraltro, è stata espressa anche in termini più generali, ed infatti, pure basandosi sulla giurisprudenza del giudice delle leggi[18], si è ritenuto per l’impossibilità di riferire il sindacato sulla legittimazione (al ricorso o all’intervento) a una questione di giurisdizione, afferendo piuttosto lo stesso alla corretta applicazione delle regole processuali ovvero alla valutazione nel merito del ricorso[19].
Ora, la sentenza delle sezioni unite è criticabile, ed è stata in effetti criticata[20]. Per il vero, appare poco convincente la riconduzione a una questione di giurisdizione quella inerente alla mancata tutela di una posizione sostanziale che a tal fine dovrebbe rilevare in astratto, ma che dalla stessa argomentazione delle sezioni unite sembrerebbe però non essere stata svolta in concreto. Inoltre, si ha il riscontro di una assimilazione insistita, e per il vero dubbia, tra la posizione legittimante dell’interesse legittimo, propria al ricorrente (principale), e quella, necessariamente diversa, riconducibile all’interveniente, che è però, in una misura certo non poco rilevante, alle sorti dell’attività processuale del titolare di quella prima posizione correlata, anche ai fini della proposizione dei mezzi di gravame. Tali elementi fanno emerge le difficoltà insite nello strutturare in modo convincente la perimetrazione dei motivi inerenti alla giurisdizione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, segnalandone per vari profili la dimensione storicistica[21].
Tuttavia, non è d’interesse in questa sede soffermarsi su tali criticità. Piuttosto, si intende muovere da uno degli elementi presi in considerazione dalle sezioni unite al fine di avversare l’(in)ammissibilità dell’intervento, ed esso specificamente riguarda la (supposta) (ir)rilevanza della sede giudiziaria in cui lo stesso intervento si promuove. In contrasto con l’Adunanza plenaria, infatti, le sezioni unite ritengono che la sede nomofilattica ne rafforzi le ragioni, e ciò proprio per gli scopi e per gli effetti che alle pronunce della plenaria si riconnettono.
A partire da questo dato, quindi, si intendono svolgere alcune considerazioni in ordine all’intervento che si propone nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, provando a metterne in evidenza i profili caratteristici e i fattori di distinzione.
2.Scopi, struttura ed effetti delle decisioni dell’Adunanza plenaria
Lo sviluppo del ragionamento impone a questo punto di soffermarsi sui meccanismi decisionali dell’Adunanza plenaria, dall’analisi dei quali verrà agevole comprendere come gli effetti delle pronunce di questa si collochino all’interno di una dimensione strutturale che ne esprime caratteristicamente la funzione.
Nella teoria generale, la nozione di precedente giurisprudenziale può esprimere variabili diverse, ancorché se ne abbia il tratto comune relativo al pronunciamento di un giudice che risulta idoneo a condizionare gli esiti di una decisione successiva rispetto a casi analoghi, o quantomeno simili[22]. Sebbene questa definizione sconti notevoli approssimazioni, è bene precisare come tale conseguenza non necessiti obbligatoriamente di una qualificazione prescrittiva, potendo dunque un precedente assumere rilevanza per ragioni inerenti alla semplificazione del procedimento decisionale, ovvero per la sua autorevolezza[23].
Così, nel codice del processo amministrativo si parla di precedenti (solo) con riferimento alle decisioni in forma semplificata, in ordine alle quali il richiamo a un precedente conforme vale a rendere più agevole la stesura della motivazione[24]. Prima del codice, le stesse pronunce dell’Adunanza plenaria non manifestavano alcuna natura “vincolante”, ma orientavano invece l’attività successiva della giurisprudenza in ragione dell’autorevolezza della sede in cui venivano rese[25].
In realtà, l’idea del rilievo pubblicistico dell’esercizio della funzione nomofilattica non era sfuggita alla migliore dottrina, che non aveva mancato di collocare il valore delle pronunce espressione dell’esercizio del potere nomofilattico al di là degli interessi dei litiganti nel processo[26]. Ed in effetti, sia pure con una certa progressione, il ruolo dell’Adunanza plenaria come punto di riferimento per le decisioni future non mancò di essere acquisito[27].
Il codice del processo amministrativo, però, ha indubbiamente costituito un momento di svolta, e il “vincolo” che adesso si determina in capo alle sezioni semplici rispetto alla enunciazione del principio di diritto da parte dell’Adunanza plenaria immette direttamente le decisioni di questa all’interno della dimensione non solo teorica, ma anche pratica, dei precedenti[28]. Infatti, per quanto lo stesso codice ometta tale qualificazione, si introduce nel diritto positivo il dato per cui l’enunciazione del principio di diritto che si correla alla decisione di un caso concreto costituisce elemento per decidere, o comunque da tenere in considerazione ai fini del decidere, i casi successivi ai quali risulti “applicabile” lo stesso principio di diritto[29].
Più precisamente, una volta che venga in rilievo nell’ambito di un giudizio di appello un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la sezione chiamata a decidere il ricorso non può pronunciarsi in senso difforme. Tuttavia, se ritiene di non condividerlo, può rimettere la questione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, affinché la stessa (eventualmente) si pronunci di nuovo al riguardo[30].
La natura di questo vincolo, sia pure indiretto, ha sollecitato le riflessioni della dottrina in ordine alla natura, normativa o meno, delle pronunce della plenaria[31], rispetto al quale problema sembra ancora potersi dire che tali precedenti non siano norme, ancorché costituiscano espressione di normatività[32]. Non si ha quindi il riscontro di un’attività (di produzione) normativa, quanto piuttosto un’attività che può essere definita come di produzione di certezza giuridica[33]. Tale funzione supera evidentemente gli scopi della singola vicenda processuale e i meri interessi dei litiganti, tanto che, come altrove ho avuto modo di evidenziare, essa può eventualmente sovrapporsi, ma certamente si distingue da quella giurisdizionale (propriamente detta)[34].
Peculiarmente rilevante è la struttura di questa funzione, che concerne più atti, e vede il coinvolgimento di più organi. Essa dunque si identifica nel suo intero farsi, e cioè in quell’insieme di decisioni (preliminari) che conducono alla sua determinazione, attività che anzi rileva in termini funzionali anche quando il giudizio in plenaria si concluda con una restituzione degli atti alla quale non si accompagna alcuna enunciazione del principio di diritto[35]. Viene per ciò in evidenza un profilo per il quale i precedenti della plenaria peculiarmente si caratterizzano, ed esso è quello inerente al procedimento della loro formazione[36].
Di quanto si è affermato ci si rende intuitivamente conto laddove si consideri che l’accesso alla plenaria non è nella disponibilità delle parti del processo, ma invece dipende dalle valutazioni della sezione cui compete la decisione del ricorso, o del Presidente del Consiglio di Stato, chiamati intanto a considerare l’esistenza dei presupposti che il deferimento consentono, e quindi a determinare l’opportunità del deferimento medesimo, con la sola obbligatorietà dello stesso, come si è già notato, per il caso di cui all’articolo 99, comma terzo, del codice del processo amministrativo[37].
Si descrive per ciò un procedimento all’interno del quale si sviluppa la relativa funzione[38], e che caratterizza il giudizio che in questa sede si sviluppa[39]. Precisando le opinioni in precedenza espresse, si può anzi evidenziare l’esistenza di una fattispecie decisionale complessa che interessa non solo più organi ma, (quantomeno) nel momento della sua riattivazione, l’articolazione e il susseguirsi di più procedimenti che rilevano per sé come fattispecie[40].
A questo punto, diviene possibile ricostruire una divaricazione logica tra momenti distinti di un procedimento decisionale che solo eventualmente li sovrappone. Il processo, “trasferito” in sede di Adunanza plenaria ai fini della enunciazione del principio di diritto presupposto alla decisione nel merito, ha lo scopo di dirimere una controversia tra le parti. Il procedimento che conduce alla enunciazione del principio di diritto, invece, assume (sempre) la funzione di rafforzare i meccanismi di stabilità nell’applicazione giuridica, e si tratta per ciò di un elemento che è soprattutto, ancorché non esclusivamente[41], destinato ad assumere rilievo nell’ambito di controversie diverse da quella che vi ha dato origine.
Quest’ultima attività, può ripetersi, non è quindi giurisdizionale (in senso stretto)[42], sebbene tra procedimento e processo nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato possa (formalmente) riscontrarsi coincidenza laddove la plenaria, oltre alla enunciazione del principio di diritto, decida anche la intera controversia[43]. Laddove la plenaria enunci solo il principio di diritto e restituisca gli atti alla sezione, invece, le due attività si divaricano non solo concettualmente, ma anche formalmente. Si ha, cioè, lo sviluppo di una funzione di stabilizzazione giuridica correlata alla enunciazione del principio di diritto da parte della plenaria e, quindi, la conclusione del processo innanzi alla sezione remittente a cui gli atti vengono restituiti per la decisione nel merito.
Emerge per ciò nitidamente una distinzione tra procedimento e processo che assume delle conseguenze giuridiche proprie. L’enunciazione, o la mancata enunciazione, del principio di diritto da parte della plenaria conclude la sequenza procedimentale, ed è contenuto in un atto giuridico che assume autonoma rilevanza (in quello stesso giudizio)[44]. Esso, però, deve al contempo considerarsi anche come fatto giuridico (processuale) rilevante in quei diversi giudizi in cui dovrà essere oggetto di applicazione (necessaria). Così, la dimensione strutturale del giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ne caratterizza anche la funzione, eventualmente divaricandola: funzione di produzione di certezza giuridica laddove si enunci il solo principio di diritto, al contempo (pure) funzione giurisdizionale laddove si decida anche la lite tra le parti.
Per lo sviluppo successivo del ragionamento, peraltro, si rendono opportune alcune precisazioni ulteriori.
L’accostamento alla dinamica giuridica consente di più utilmente percepire la rilevanza di ciascun singolo atto (del procedimento) ai fini del perfezionamento dell’efficacia del precedente della plenaria. Rilevanza strutturale, determinata dalla sommatoria di singoli atti strumentali alla sua perfezione all’interno del procedimento in cui si forma, ma anche rilevanza della fattispecie procedimentale nel suo complesso, come struttura e sviluppo della funzione.
Sempre in relazione alla dinamica giuridica, sia pure proiettata nella dimensione dell’efficacia, del precedente della plenaria (recte della enunciazione del principio di diritto che questo contiene), va affermata una rilevanza esterna che viene in evidenza per il solo fatto della sua esistenza, secondo uno schema di produzione degli effetti giuridici che per ciò prescinde dalla sua correttezza, e financo dalla sua validità[45]. Così, laddove uno qualunque dei precedenti della plenaria “rilevi” nell’ambito di un particolare giudizio (successivo a quello in cui l’enunciazione del principio di diritto è stata prodotta), si determina una specifica produzione degli effetti (regolativi)[46] che, secondo uno schema comune alla efficacia condizionale, risulta differita rispetto alla rilevanza del precedente come atto (nel diverso giudizio in cui si è formato)[47]. Tali effetti, indirettamente disposti dall’articolo 99, comma 3, del codice del processo amministrativo, precludono nell’ambito della decisione di un caso, susseguente al(la enunciazione del) precedente della plenaria, ogni soluzione diversa da quella che il relativo principio di diritto esprime. Ciò che si correla al precedente della plenaria è dunque una efficacia preclusiva[48], destinata a riproporsi nel tempo con le caratteristiche della generalità fino a quando dello stesso perduri l’esistenza. Non è per ciò dubbio che alla quaestio iuris decisa innanzi alla plenaria consegua una posizione giuridica di dipendenza, la quale si correla all’essere il precedente in quella sede reso fatto processualmente rilevante in altri e diversi giudizi.
3.L’intervento nel giudizio innanzi all’Adunanza plenaria
La descritta divaricazione concettuale tra procedimento e processo consente forse di meglio focalizzarsi sull’oggetto del (potenziale) pregiudizio che dovrebbe risultare idoneo a legittimare l’intervento innanzi all’Adunanza plenaria. Prima di provare a più analiticamente descriverne i contenuti, tuttavia, sembra opportuno soffermarsi brevemente sull’istituto processuale dell’intervento, nonché sulle ragioni e sugli argomenti che conducono, talvolta anche in chiave evolutiva[49], a ricostruirne in termini analitici i relativi modelli partecipativi[50].
Il tema dell’intervento nel processo amministrativo ha da sempre manifestato, e ancora continua a manifestare, plurimi profili di problematicità[51], anche in ragione della asetticità della corrispondente disciplina processuale, tanto generica[52] quanto poco coraggiosa[53]. Più di recente, studi approfonditi ne hanno sondato la rilevanza, e le connesse modalità di estrinsecazione, rispetto a specifici ambiti[54] o ad attività di soggetti diversi dalle parti processuali[55]. Senza avere qui la necessità di soffermarsi su queste importanti riflessioni, ciò che comunque emerge è la possibilità di lavorare sistematicamente, con ciò escludendo che i limiti positivi della disciplina di riferimento possano costituire un argine agli sviluppi dei connessi elementi di garanzia[56].
Se, in coerenza con gli scopi di questo scritto, ci si limita a considerare l’intervento nella prospettiva dell’interesse derivato (o, se si vuole, riflesso), si deve constatare l’importanza, tuttora fondamentale, di quegli studi hanno collocato tale strumento processuale all’interno della teoria dell’azione e dell’oggetto del processo amministrativo[57]. Da questo punto di vista, constatando la necessita di identificare una posizione che non deve essere quella sostanziale che determina la legittimazione al ricorso o l’essere il controinteressato parte necessaria, ma che non può essere nemmeno di mero fatto[58], si comprende la comunicazione dinamica esistente tra norme di garanzia[59], qualificazione degli interessi e produzione degli effetti giuridici sostanziali rispetto alla problematica in questione[60]. Da questa prospettiva, allora, non si potrà che constatare come i margini di operatività dell’intervento si restringono quanto più si ritenga di dovere allargare quelli della legittimazione a ricorrere[61].
Da un’altra prospettiva, più di recente emersa e sostanzialmente propensa ad acquisire taluni approdi della processualcivilistica in argomento, si potrebbe essere portati a considerare che l’intervento non sia da apprezzarsi come strumento di tutela del terzo contro gli effetti indiretti o riflessi della sentenza[62], e si tratta di un presupposto concettuale che, trasposto nell’ambito della giustizia amministrativa, consente di mettere in più diretta correlazione la vicenda processuale con lo svolgimento della funzione, e dunque con gli sviluppi procedimentali dell’esercizio del potere[63].
Quale che sia il punto di osservazione da cui si intende analizzare la problematica che ci si è posti, si dovrà comunque concludere per la necessità di dovere criticamente valutare la posizione restrittiva che l’Adunanza plenaria mantiene in tema di intervento nel giudizio che innanzi alla stessa si svolge. E si tratta di una considerazione che può fondarsi su di un dato di immediata percezione, che è quello per cui la plenaria ritiene, ancora dopo le novità del codice del processo amministrativo, di basare la valutazione circa l’ammissibilità dell’intervento come se ci si trovasse al cospetto di un processo “comune”, quando invece le pronunce dell’Adunanza plenaria, e quindi il relativo giudizio, hanno diversi scopi e producono effetti differenti, peraltro all’interno di una struttura (procedimentale) caratteristica.
Così, principiando l’analisi dalla prima e più tradizionale prospettiva, con riferimento alle pronunce dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, il pregiudizio dell’interveniente è comunque sostanziale, perché riferito agli effetti, appunto sostanziali, del giudizio su cui l’enunciazione del principio di diritto è destinata ad assumere rilievo. L’effetto mediato, o se si vuole riflesso, conosce in questo caso l’interposizione del diverso giudice di appello che deve decidere la controversia, ma non è dubbio, essendo anzi doveroso, che questi debba farne applicazione, in ciò quindi condizionandosi la produzione giuridica degli effetti sostanziali che dalla decisione di questo giudice derivano. L’ efficacia condizionale relativa al precedente formatosi all’esito del procedimento decisionale della plenaria, come nel precedente paragrafo si è cercato di dimostrare, si correla quindi non alla pretesa sostanziale dedotta nel processo che al pronunciamento della plenaria conduce, quanto piuttosto all’essere l’enunciazione del principio di diritto da parte dell’Adunanza plenaria un fatto processualmente rilevante, e si direbbe necessariamente rilevante ai sensi dell’articolo 99 del codice del processo amministrativo, in un successivo giudizio[64].
Approcciando il problema a partire da questa struttura concettuale, la legittimazione all’intervento nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria dovrebbe agevolmente ritenersi ammissibile anche sulla base dell’orientamento tradizionale[65] (in tema di ammissibilità dell’intervento), e in questo senso possono risultare utili talune intuizioni della dottrina, che dalla descritta impostazione speculativa potrebbero ricevere supporto ulteriore.
In uno studio recente, pur con la propensione a inquadrare le relative problematiche all’interno di una sistematica rigorosa del processo amministrativo, si sostiene l’astratta condivisibilità dell’orientamento restrittivo al riguardo assunto dall’Adunanza plenaria in tema di intervento[66]. Tuttavia, se ne evidenzia pure la contraddittorietà perché dalle stesse pronunce della plenaria emergerebbe anche una spiccata tendenza nomopoietica del giudice amministrativo, dunque con una ricostruzione “forte” della nomofilachia che dovrebbe invece restituire argomenti a sostegno dell’ammissibilità in questa sede dello strumento dell’intervento [67].
L’opinione esposta è certamente condivisibile nella incoerenza sistematica infine riconosciuta alla giurisprudenza della plenaria. La stessa, tuttavia, non può mantenersi circoscritta alle sole ipotesi in cui la plenaria eventualmente debordi (dal)la funzione attribuita, e questo perché, laddove così fosse, al fine di ristabilirne la coerenza basterebbe intervenire sulla patologia, dunque senza la necessità di effettivamente innovare rispetto all’attuale ricostruzione del regime dell’intervento. Il punto essenziale, però, è proprio quello per cui lo scopo principale del giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato rimane quello di rendere dei precedenti i cui effetti prevalenti si producono nell’ambito di altri giudizi, dunque secondo una logica che, se non magari prescinde quantomeno supera la mera struttura del processo (di parti), per diversamente porsi in una dimensione funzionalmente più ampia, ed è dunque in questa almeno parzialmente diversa prospettiva che occorre dirigere l’analisi.
Un’altra opinione dottrinaria, sempre di recente espressa, ha invece ritenuto di dovere affrontare il tema dell’intervento adesivo nel processo facendo ricorso alla teoria generale, in particolare proponendo la rappresentazione della figura delle posizioni soggettive quiescenti[68]. Innanzi alle difficoltà di indentificare la “misura” dell’interesse che, rispetto a quello di mero fatto, legittimerebbe tale tipologia di intervento, questa dottrina evidenzia come all’interventore adesivo dipendente non faccia difetto l’assenza di una qualificazione normativa del proprio interesse, quanto piuttosto l’attualità dello stesso, determinata in termini positivi o negativi dall’efficacia riflessa della sentenza resa all’esito del giudizio[69]. Le posizioni soggettive quiescenti sarebbero per ciò caratterizzate dall’elemento della condizionalità, sicché la qualificazione normativa alle stesse riconducibile riceverebbe attualizzazione (o meno) nell’ambito della controversia principale, dal che la tutela che l’ordinamento riconosce alle posizioni soggettive quiescenti si sostanzierebbe nella facoltà di partecipare all’accertamento nel giudizio condizionante[70].
Nello svolgersi di questa opinione non ci si confronta direttamente con il problema dei precedenti resi dalle Corti superiori nella loro più ampia composizione nomofilattica, e tuttavia la tesi proposta viene anche verificata rispetto ai processi aventi ad oggetto (la verifica della legittimità di) atti a contenuto normativo, con argomenti che sembrano mostrarsi utili per il ragionamento che qui si intende sviluppare. Infatti, tra le altre, si identifica in tale ultimo contesto la posizione di coloro i quali rientrerebbero (astrattamente) nell’ambito di rilevanza giuridica della norma, ma che non ne hanno ricevuto ancora applicazione, evidenziandosi che per costoro il pregiudizio si determina eventualmente, ma solo, nel momento in cui ciò avviene[71]. Sicché (anche) questo interesse, in ragione della sua condizionalità, viene sostanzialmente qualificato come posizione soggettiva quiescente, idonea a trovare ingresso nell’eventuale giudizio sulla legittimità della norma nelle forme dell’intervento adesivo dipendente.
Tale modo di argomentare può, coerentemente a quanto qui si propone, essere esteso ai precedenti dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. L’interveniente in plenaria, infatti, (eventualmente) subisce la lesione alla sua posizione giuridica sostanziale nel momento in cui si farà applicazione nel giudizio a quo del precedente reso dalla plenaria, ma è tuttavia in ragione di tale elemento di condizionalità che assume l’interesse, appunto adesivo dipendente, a partecipare in questo giudizio al fine di orientarne gli esiti in un senso a lui potenzialmente favorevole.
In una dottrina di matrice costituzionalistica, che ha però esteso il ragionamento anche agli organi nomofilattici delle varie magistrature[72], risulta posta una correlazione (funzionale) inscindibile tra nomofilachia e intervento dei terzi (nella sede nomofilattica), e ciò nel senso specifico per cui l’interesse alla certezza propria all’ordinamento giuridico deve essere sistematicamente correlata alle esigenze di tutela dei terzi, i quali rispetto all’esercizio della nomofilachia debbono per ciò vedersi riconosciuto il diritto al contraddittorio di cui l’intervento nel giudizio costituisce lo strumento presupposto[73]. Ed è all’interno di tale proiezione strumentale che si ricostruisce un vero e proprio “diritto al precedente” per i terzi interessati (d)alla pronuncia nomofilattica[74].
Per riprendere le fila del nostro ragionamento sembra utile muovere proprio da quest’ultimo snodo dell’opinione esposta, rispetto alla quale dovrebbe mostrarsi utile la qui proposta ricostruzione in termini funzionali delle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e la struttura procedimentale mediante le quali le stesse si riproducono.
Se, come si è in precedenza argomentato, lo scopo della enunciazione di un principio di diritto da parte dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è uno pubblico fondamentalmente diretto al progressivo rafforzamento dei processi di stabilizzazione nell’ambito dell’applicazione delle norme giuridiche, non vi è a tal riguardo un interesse esclusivo delle parti in ordine al suo pronunciamento, tanto vero che l’Adunanza plenaria potrebbe per le medesime esigenze funzionali decidere di non provvedere in tal senso, restituendo quindi gli atti alla sezione remittente[75]. Così, ritenendosi di dovere distinguere, nel giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, tra il processo proprio alle parti (di questo stesso giudizio) e il procedimento diretto alla enunciazione del principio di diritto, per i terzi interessati alla partecipazione si può prospettare una lesività immediatamente qualificata ma praticamente condizionata all’applicazione di questo stesso principio (nel giudizio a quo). In questi termini, essa sarebbe comunque idonea a costituire una ipotesi di dipendenza utile a legittimare l’intervento già sulla scorta dell’odierno quadro giurisprudenziale di riferimento.
In questa prospettiva, il terzo interveniente si “attiva” all’interno del procedimento di formazione delle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato al fine di condizionare dialetticamente gli esiti relativi alla enunciazione del principio di diritto in un senso allo stesso favorevole, con ciò dunque configurandosi una posizione sostanziale autonoma, che solo mediatamente intercetta quella materiale del giudizio a quo[76]. E, proprio in ragione di tale correlazione, la posizione dell’interveniente è si sostanziale ma tipologicamente strumentale, dato che si pone quale medium necessario ai fini dell’ottenimento o della tutela della sua posizione sostanziale “propria” (controversa nel giudizio a quo)[77].
Piuttosto che un “diritto” al precedente in senso stretto, quindi, va riconosciuta la sussistenza dell’interesse diretto a influenzare gli esiti dello stesso, e in particolare il suo contenuto (normativo) espresso con la enunciazione del principio di diritto, mediante la partecipazione al giudizio che si svolge innanzi all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Peraltro, pur escluso che il precedente (recte l’enunciazione del principio di diritto che questo esprime) costituisca per sé un diritto, da un punto di vista teorico non sussiste impedimento alcuno nella identificazione come tale della pretesa partecipativa in sé, sicché appare comunque corretto affermare la sussistenza di una facoltà procedimentale (alla partecipazione alla formazione del precedente) che può essere autonomamente ricostruita come diritto[78].
4.La partecipazione al procedimento decisionale dell’Adunanza plenaria
L’analisi svolta potrebbe già avere offerto una risposta convincente alla domanda che ci si era inizialmente posti, anche per come la stessa emergeva dal contrasto tra la giurisprudenza dell’Adunanza plenaria e quella più recente delle sezioni unite. Non è verosimilmente materia, questa, pertinente a una decisione della Corte di Cassazione quale questione di giurisdizione, ma è altrettanto probabile ritenere che la plenaria sbagli, e che l’intervento innanzi alla stessa debba ritenersi ammissibile ogniqualvolta che, potendo rilevare l’applicazione di un precedente in corso di formazione in altro giudizio (nella medesima sede), chi assuma, e dimostri, tale tipologia di interesse possa in quello stesso giudizio intervenire.
Essa, tuttavia, non pare potersi ritenere del tutto appagante, perché è la logica funzionale che le decisioni dell’Adunanza plenaria esprimono ad esigere apporti diversi da quelli disponibili all’interno di una dimensione meramente processuale, e ancora una volta la struttura del relativo procedimento decisionale sembra in tal senso inequivocabilmente deporre[79].
Preso atto, come si è in precedenza tentato di dimostrare, che le sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato corrispondono principalmente allo scopo pubblico di stabilizzare le vicende della normatività nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione amministrativa, dovrebbero comprendersi le utilità derivanti della struttura procedimentale come strumento idoneo a depurare la soggettività di una decisione resa comunque nell’ambito di un giudizio tra parti. Questo, tra l’altro, in quanto la logica procedimentale appare da un punto di vista strutturale maggiormente adatta alla considerazione effettiva della dimensione degli interessi che all’enunciazione del principio di diritto consegue, evidentemente più ampia rispetto alla verifica della legittimità dell’esercizio dell’azione amministrativa occasionata da una singola controversia.
Si assiste dunque all’esercizio di una attività, ancora pubblica e (solo eventualmente) sovrapponibile a quella giurisdizionale ma da questa funzionalmente distinguibile che, mediante la partecipazione alla stessa, recepisce un apporto di dati e di valutazioni che accrescono una dimensione conoscitiva altrimenti né pervenuta né realizzata[80]. Tale esigenza, peraltro, potrebbe anche variamente articolarsi, e questo nel senso specifico per cui accanto a una proiezione (più) generale della partecipazione al procedimento, per certi aspetti comune quando ne risultano interessate, con varia intensità, le vicende della normatività[81], talvolta gli scopi del procedimento medesimo, pur tipicamente ultronei agli interessi individuali, più direttamente concernono (anche) specifiche pretese dei privati interessati. Questo profilo è stato ben evidenziato dalla dottrina più autorevole, tra l’altro con un linguaggio evocativo della forma della tutela così realizzabile[82].
Un riscontro pratico dell’articolazione teorica del ragionamento proposto lo si può avere considerando la sospensione c.d. impropria disposta in un processo (di appello) in quanto, ai fini della decisione, viene in rilievo una quaestio iuris controversa la cui risoluzione sia stata in precedenza deferita all’Adunanza plenaria[83].
In una condizione siffatta, la parte processuale che si trovasse all’interno del giudizio sospeso ed alla quale non fosse consentito di “contraddire” rispetto alla formazione del precedente in plenaria (mediante lo strumento dell’intervento) sarebbe grandemente menomata nelle proprie prerogative di difesa, non potendo che subire gli esiti eventualmente negativi concernenti l’enunciazione del principio di diritto nell’ambito di quel giudizio che solo a seguito della decisione dell’Adunanza plenaria riprende il suo corso. Certo, si potrebbe sostenere che tale principio di diritto, pur di recente enunciato, possa sempre essere rimesso in discussione se il giudice di appello, non condividendolo, rinviasse nuovamente la questione all’attenzione della plenaria. Sennonché, al di là delle ridotte probabilità del verificarsi di una ipotesi pur astrattamente dalla disciplina codicistica consentita, una simile evenienza verrebbe a porsi in aperto contrasto con la funzione propria alle decisioni della plenaria, che è quella di stabilizzare i meccanismi dell’applicazione giuridica[84]. Meglio sarebbe, quindi, consentire alle parti del giudizio sospeso di proporre comunque l’intervento innanzi alla plenaria, e questa prospettiva sembra utile sia allo sviluppo delle esigenze difensive che al miglioramento, mediante gli apporti conoscitivi propri alla partecipazione, della qualità del precedente in definitiva reso.
Un risultato analogo potrebbe, e si direbbe anzi dovrebbe, meglio essere conseguito evitando di procedere con il meccanismo della sospensione impropria, come per il vero adesso la stessa plenaria sembrerebbe essere orientata a fare[85]. In realtà, alla apparente economicità propria alla sospensione, non si contrappongono solo le esigenze di garanzia delle parti private, ma anche, se non soprattutto, quelle pubbliche relative alla necessità di rendere dei precedenti nel modo più efficace possibile, ampliando certo la complessità nel momento che precede la decisione, ma in definitiva restituendo un precedente che è qualitativamente superiore in quanto reso sulla base di un più ampio ventaglio conoscitivo, e quindi anche con la possibilità di puntualizzare concetti, o di meglio operare i necessari profili di distinzione[86].
Così, riprendendo la seconda delle prospettive concettuali presa in considerazione nel precedente paragrafo ai fini della disamina dello strumento processuale dell’intervento, se ne può forse marginalizzare la sua dimensione di garanzia per più direttamente enfatizzarne la funzione partecipativa connessa al corso dell’esercizio del potere. La dottrina ha già intrapreso questo percorso[87], e in alcune prospettazioni si è infine ritenuto di potere considerare che il coinvolgimento dei terzi avrebbe effetti analoghi a quelli che, sul piano sostanziale, derivano dalla partecipazione delle parti pubbliche ai procedimenti amministrativi[88].
Questo modo di ragionare, per sé convincente nella misura in cui recepisce il proprium del rapporto tra diritto sostanziale e processo, forse più evidente nel giudizio amministrativo rispetto ad altri ambiti[89], può nel caso d’interesse essere sviluppato, o comunque precisato. Ed in realtà, se la dimensione funzionale descritta per il procedimento decisionale della plenaria assume un senso, si può, e forse anzi si deve, evidenziare che è proprio in questa sede che si assume prospetticamente un assetto degli interessi il quale poi (non in quanto norma ma) in quanto espressione di normatività sarà destinato ad esprimere i suoi effetti rispetto a un numero indeterminato di casi.
Non si tratta per ciò solo, come ancora di recente la dottrina ha avuto occasione di suggerire, di riavvicinare le posizioni legittimanti processuali alla partecipazione procedimentale[90], ovvero di utilizzare la disciplina di questa ai fini dell’ampliamento delle prime[91], quanto piuttosto di giovarsi direttamente dei principi della partecipazione ai procedimenti pubblici per più opportunamente perseguire quella funzione che alle decisioni della plenaria risulta propria. Così ragionando, le dinamiche partecipative relative ai procedimenti innanzi alla plenaria ne risultano rafforzate ed ampliate. La proposizione dell’intervento in questa sede, per conseguenza, non dovrebbe più soggiacere alla necessità della dimostrazione di un pregiudizio, ancorché indiretto, a una determinata sfera giuridica, ma solo risultare sottoposto alla verifica dell’interesse ad influenzare gli esiti di tali decisioni.
[1] Già in Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 10 dicembre 1976, n. 6, si poteva leggere che “è inammissibile l’intervento ad adiuvandum spiegato dal destinatario di un provvedimento di contenuto analogo gravato di autonoma impugnativa allo scopo di conseguire un precedente giurisprudenziale da invocare poi nel separato e distinto giudizio, in quanto l’interesse fatto valere non è tale da consentire l’accessione – in via d’intervento a parte actis – nel processo”, e lì peraltro si richiamava l’ulteriore è più datato precedente di Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 23 novembre 1971, n. 17.
[2] Anche nel caso in cui sia stata disposta la sospensione da parte di una sezione o di un Collegio diverso da quello che ha disposto il rinvio. Cfr. infatti Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 13 settembre 2022, n. 13, punto 3, dove espressamente si considera che “ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, neppure rileva che il giudizio di cui è parte l’interveniente sia stato sospeso dalla settima sezione, in attesa della decisione dell’Adunanza Plenaria, trattandosi di una circostanza che non è stata presa in considerazione dagli articoli 28, 97 e 99 del codice del processo amministrativo”.
[3] Cfr. da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 dicembre 2022, n. 21, nell’ambito della quale l’inammissibilità dell’intervento viene correlata alla (pacifica) “diversità degli elementi oggettivi di identificazione della domanda che distingue i due giudizi (diversità di provvedimenti impugnati; diversità di motivi; diversità di petitum formale e sostanziale)” (ivi, al punto 7, ma si vedano in termini, tra le altre, Adunanza plenaria, 14 dicembre 2022, n. 16; Adunanza plenaria, 27 febbraio 2019, n. 5; Adunanza plenaria, 30 agosto 2018, n. 13).
[4] Cfr. in particolare Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 2 aprile 2020, n. 10, punto 4.5; nonché in termini Adunanza plenaria, 4 aprile 2016, n. 23, punto 2.2.
[5] Cfr. ancora Adunanza plenaria, n. 21/2022, al punto 7.
[6] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, in entrambe al punto 10.2.
[7] Adunanza plenaria, nn. 17 e 18 del 2021, in entrambe al punto 10.3.
[8] Corte di Cassazione, sezioni unite, 23 novembre 2023, n. 32559.
[9] Corte di Cassazione, sezioni unite, 9 gennaio 2024, n. 786.
[10] Ragionamento proprio a Corte di Cassazione, sezioni unite, 30 ottobre 2019, n. 27842.
[11] Da ultimo presente in Corte di Cassazione, sezioni unite, 25 luglio 2023, n. 2243.
[12] Cfr. sezioni unite, n. 32559/2023, punto 6.1. Prima di questo mutamento di indirizzo, facendo leva sui principi comuni al giudizio di rinvio nell’ambito della Cassazione civile, e in contrasto con talune affermazioni ricorrenti nella giurisprudenza amministrativa, mi ero espresso nel senso nel contenuto comunque “vincolante” dell’enunciazione del principio di diritto da parte dell’Adunanza plenaria, cfr. infatti G.F. Licata, In tema di rilevanza del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, in Giur. it., 2023, 1166 ss., in particolare 1171 ss.
[13] Cfr. sezioni unite, n. 32559/2023, punti 10 ss. dove infine per l’affermazione per cui “si è trattato di un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni che, negando in astratto la legittimazione degli enti ricorrenti a intervenire nel processo, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto” (ivi, punto 16).
[14] Cfr. sezioni unite, n. 32559/2023, punti 13 e 15.
[16] Consiglio di Stato, sez. VII, 30 aprile 2024, n. 3940, punto 13; Consiglio di Stato, sez. VII, 19 marzo 2024, n. 2679, punto 8.
[17] La questione, come noto, concerne la proroga delle concessioni demaniali marittime, e precisamente, dopo le sentenze delle sezioni unite prima richiamate (nel testo e in nota), il Consiglio di Stato, basandosi anche sulla giurisprudenza europea, ha confermato il contrasto con il diritto unionale delle proroghe delle concessioni demaniali marittime e la necessità di avviare le procedure di gara per assegnare le concessioni scadute. Cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 20 maggio 2024, nn. 4479, 4480 e 4481.
[18] Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 6, di cui se ne veda il commento (adesivo) in M. Mazzamuto, Il giudice delle leggi conferma il pluralismo delle giurisdizioni, in Giur. it., 2018, 704 ss.
[19] Consiglio di Stato, 19 febbraio 2024, n. 1653, punti 12 ss., con particolare riferimento al punto 18 per l’affermazione di cui al testo.
[20] Si veda la nota critica di A. Travi, in Foro it., 2024, I, 181 ss. Sempre in senso critico anche S. Spuntarelli, Forma di sentenza e ricorribilità in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, in Ceridap, 2024, 1, 136 ss.
[21] Su di che cfr. P. Patrito, I «motivi inerenti alla giurisdizione» nell’impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2016, 198 ss.
[22] Riprodurre una nozione affidabile di precedente sotto il profilo teorico è certo operazione ardua, ma se c’è un elemento che può dirsi in tal senso veramente caratterizzante questo – a mio avviso – è costituito dalla rilevanza del precedente nell’ambito di un determinato processo decisionale a prescindere dalla sua (ritenuta) condivisibilità. Tale modo di ragionare, a sua volta, può certo risultare condizionato, ma può comunque (logicamente) prescindere, dal livello di efficacia che al precedente va riferita, o si ritiene di dovere riferire, cfr. F. Schauer, Precedent, in Stanford Law Review, 1987, 571 ss., 591 ss.
[23] Come si è rappresentato in dottrina, le decisioni che assurgono al “ruolo” di precedenti (non necessitano dell’attribuzione di alcun nomen e) possono essere collocate all’interno di dimensioni diverse, peraltro anche con diversa funzione e consistenza strutturale, cfr. M. Taruffo, Dimensioni del precedente giudiziario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 411 ss.
[24] M. Ramajoli, Il declino della decisione motivata, in Dir. proc. amm., 2017, 894 ss., 916 ss.
[25] Di modo che, avendo come punto di riferimento il valore dell’autorevolezza, la natura di precedenti veniva indifferentemente attribuita sia alle decisioni dell’Adunanza plenaria che a quelle del Consiglio di Stato. Cfr. G. Pasquini, A. Sandulli (a cura di), Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 2001.
[26] P. Calamandrei, Cassazione civile, in Nuov. dig. it., Torino, Utet, vol. II, 1937, 981 ss., che identifica un momento di collegamento “tra la funzione legislativa e la funzione giudiziaria, di unificazione di tutto l’ordinamento giuridico: che attiene, più che alla fase di applicazione del diritto al caso concreto, alla fase di formazione o di formulazione del diritto da applicare a casi futuri”, ivi, 986.
[27] Già U. Borsi, in La giustizia amministrativa, Bologna, 1932, attribuiva all’Adunanza plenaria funzioni «regolatorie», precisamente evidenziando che la competenza della plenaria riguarda una sola ipotesi: “che, cioè, avendo le due Sezioni giurisdizionali deciso diversamente una questione di diritto, una di esse, alla quale la stessa questione si ripresenti, rilevato il dissenso, la rinvii alla detta Adunanza, che in tal modo viene ad esercitare un’alta funzione regolatrice della giurisprudenza del Consiglio”, ivi, 171. Sia pure in termini più generali sul punto anche E. Guicciardi, Consiglio di Stato, in Nuov. dig. it., Torino, 1959, vol. IV, 199 ss. A un certo punto, la stessa giurisprudenza amministrativa ha cominciato ad avvertire che la mancata osservanza delle decisioni dell’Adunanza plenaria avrebbe finito per depotenziare lo stesso ruolo di questa, quindi giungendo a conseguenti affermazioni di principio, come per esempio quella per cui una sezione semplice non poteva decidere “in difformità” rispetto alla plenaria, fatte salve le ragioni di grave dissenso (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 1961, n. 680).
[28] E. Follieri, L’introduzione del principio dello stare decisis nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 2012, 1237 ss., 1248 ss.
[31] Esclude la natura di norma giuridica dei precedenti della plenaria S. Spuntarelli, Tecniche di interpretazione dell’Adunanza plenaria e valore del precedente, Napoli, 2019, 227 ss., 238 ss., 242. Qualifica invece questi precedenti (non come fonti [di produzione] e tuttavia) come norme A. De Siano, Precedente giudiziario e decisioni della P.A., Napoli, 2018, 139 ss., 146 ss. Di atto fonte, e più precisamente di fonte culturale, parla invece E. Follieri, L’introduzione del principio dello stare decisis nell’ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, cit., 1248 ss. Tra gli altri, sul valore normativo dei precedenti dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, V. Domenichelli, Il ruolo normativo del giudice nella formazione e nello sviluppo del diritto amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2016, 375 ss., 380 ss.
[32] Mi permetto di rinviare a G.F. Licata, Trasformazioni della giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2023, 93 ss. e, dopo, anche a Id., In tema di rilevanza del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, cit., 2167 ss., dove per i riferimenti e gli argomenti.
[33] Nella teoria generale, la caratteristica della stabilità si correla d’altra parte alla logica funzionale del precedente, su di che cfr. F. Schauer, Precedent, cit., passim.
[34] Se si vuole, si veda ancora G.F. Licata, Trasformazioni della giustizia amministrativa, cit., 73 ss.
[35] La formulazione dell’art. 99, co. 1, prevede che la plenaria possa procedere anche per ragioni di opportunità alla restituzione degli atti alla sezione remittente, il che implica una valutazione discrezionale rispetto alla possibilità di enunciare un nuovo principio di diritto, o di modificarne uno in precedenza enunciato. Ciò, tra l’altro, potrebbe accadere perché non si ritiene “utile” procedere a quel dato momento, ad esempio considerando che lo sviluppo giurisprudenziale sia in grado ampliare il ventaglio di soluzioni rispetto alle quali pronunciare un precedente migliore, e per ciò più utile. Ovvero perché, sempre a un dato momento, i costi del cambiamento suggeriscono di mantenere fermo un principio di diritto in precedenza enunciato. Questa disposizione, peraltro introdotta successivamente al codice, allontana così il giudizio in Adunanza plenaria da una logica meramente processuale, caratterizzandolo invece funzionalmente nel senso della produzione di certezza e di stabilità per il sistema.
[36] La correlazione tra (procedimento di) formazione e funzione dei precedenti giudiziali è presente anche nella letteratura straniera. Con riferimento all’esperienza statunitense, per esempio, per una (ri)considerazione in chiave spiccatamente procedurale della teoria del precedente, cfr. R. Kozel, Settled versus Right: A Theory of Precedent, Cambridge, Cambridge University Press, 2017. Più al livello dell’analisi di teoria generale si veda J. Waldrom, Stare Decisis and the Rule of Law: A Layered Approach, in Michigan Law Review, 2012, 1 ss.
[37] Come per le Corti superiori degli ordinamenti stranieri viene per ciò in evidenza la questione dell’«accesso» al giudizio che si svolge innanzi alla plenaria. Per il diritto positivo esso non dipende dalla valutazione di un ricorso delle parti, ma invece soggiace alla valutazione (discrezionale) di taluni organi dell’ordinamento giudiziario, i cui atti (discrezionali e, deve parimenti ritenersi, non strettamente giurisdizionali in quanto primariamente funzionali allo sviluppo di una funzione di certezza giuridica) assumono per ciò specifico rilievo giuridico nel procedimento che alla (eventuale) enunciazione del principio di diritto conduce. Una prospettiva funzionale assimilabile, sia pure rispetto a una organizzazione giudiziaria diversa, ed a corrispondentemente diverse modalità di attuazione, la si riscontra nell’ordinamento spagnolo dove, come analiticamente esposto nel recente studio di O. Bouazza Ariño, La Casación en el contencioso-administrativo, Navarra, Thomson Reuters-Civitas, 2020, i ricorsi al Tribunal Supremo per essere ammissibili presuppongono un “interès casacional objetivo” (ultroneo e) diverso da quello delle parti litiganti (che pure da quella decisione potrebbero anche ottenere una pronuncia satisfattiva dei propri interessi), ivi, in particolare 23 ss., 102 ss.
[38] Anche rispetto all’esercizio della funzione giurisdizionale non è risultata assente la considerazione per la struttura procedimentale, tanto che gli sviluppi della teoria generale hanno posto basi solide al fine di potere apprezzare la specificità della vicenda processuale all’interno della più ampia dimensione teorica del procedimento. Cfr. in particolare E. Fazzalari, Procedimento e processo (teoria generale), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1986, vol. XXXV, 819 ss. Più di recente, per una riconsiderazione problematica dell’impiego della nozione di procedimento nel campo del processo, si veda A. Panzarola, Processo, procedimento e iudicium (brevissime osservazioni a margine di una celebre dottrina), in Il Processo, 2021, 217 ss., dove invece la caratterizzazione del processo giurisdizionale con riferimento alla natura «terza» e imparziale del giudicante, ivi, 219-221, passim.
[39] Rispetto alla prospettiva dinamica del farsi della funzione rimane fondamentale F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 118 ss.
[40] Di qui, allora, le similitudini con la teorica dell’operazione amministrativa. Su di che cfr. D. D’Orsogna, Contributo allo studio dell’operazione amministrativa, Napoli, Editoriale Scientifica, 2005, 183 ss.
[41] Per i vincoli nel giudizio a quo, secondo una prospettiva che considera criticamente gli attuali sviluppi della giurisprudenza dell’Adunanza plenaria, mi permetto il rinvio a G.F. Licata, In tema di rilevanza del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, cit., 2171 ss.
[42] Sulla rilevanza pubblicistica di questa attività, ancorché in termini più generali (rispetto alla posizione qui assunta) cfr. da ultimo A. Pajno, Il precedente nel giudizio amministrativo. Nomofilachia e giustizia amministrativa, in Contr. impr., 2021, 1 ss.
[43] In particolare, secondo l’alternativa tra decisione della intera controversia o enunciazione del solo principio di diritto con la restituzione degli atti alla sezione remittente per la decisione (finale) prevista dall’art. 99, co. 4, del c.p.a.
[44] In questa prospettiva, gli effetti che conseguono all’enunciazione del principio di diritto risultano costituiti da tutti gli atti (anche di organi diversi), dalla loro concatenazione e dal loro collegamento: la decisione che questo procedimento conclude è atto ma anche effetto di una più ampia fattispecie. Cfr., nell’ambito della teoria generale, R. Scognamiglio, Fatto giuridico e fattispecie complessa (considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 331 ss.
[45] A. Romano Tassone, Sull’autorità degli atti dei pubblici poteri, in Dir. soc., 1991, 51 ss., 71 ss., identifica come elemento comune alla legge, alla sentenza e all’atto amministrativo la nozione di rilevanza, intesa quale tratto “esistenziale” che prescinde dalla conformità di ciascuno di questi atti alla norma(zione) di riferimento (ivi, 80 ss.), sicché l’autorità degli atti dei pubblici poteri si riporta alla rilevanza (o giuridica esistenza) degli atti stessi come tali, non invece alla loro efficacia, ivi, 85. Con riferimento ai precedenti della plenaria tale impostazione trova piena corrispondenza nel diritto positivo: ai sensi dell’art. 99 del cpa, infatti, un precedente rimane “vincolante” (e quindi “valido”) anche laddove in tesi “scorretto”, mentre la sua “eliminazione” può intervenire solo mediante la (ri)attivazione di un nuovo procedimento diretto alla enunciazione di un diverso principio di diritto (per la medesima quaestio facti).
[46] Acquisendo al ragionamento la prospettiva della teoria generale, come si apprende da F.G. Scoca, Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, si potrebbe quindi dire che il precedente della plenaria è la fattispecie di una norma di “produzione” normativa o, forse più precisamente, che regima l’applicazione di norme giuridiche, ivi, 223 ss., 230. L’accostamento a questa autorevole dottrina, e al meccanismo di “doppia qualificazione” che dalla stessa deriva, consente così di isolare logicamente sia la rilevanza che l’efficacia di momenti distinti e strutturalmente distinguibili (pur) all’interno di un meccanismo di produzione giuridica (dinamicamente) unitario, ivi, 233 ss. D’altra parte, ritenendosi che l’enunciazione del principio di diritto assuma contenuto normativo, la sua strutturale consistenza comporta come conseguenza normale la rilevanza (del modo) della formulazione (i.e. della formazione) del contenuto stesso, ivi, 258 ss., 259.
[47] Nel senso per cui un atto crea il presupposto per quello successivo, si veda D. Rubino, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, Giuffrè, 1939, 43 ss.
[48] A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., Milano, vol. XIV, 1965, 433 ss., 493 ss.
[49] Alla luce dell’evoluzione dell’oggetto del processo amministrativo, e della sua (definitiva) transizione come processo di parti, si veda V. Sessa, Intervento in causa e trasformazioni del processo amministrativo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, 127 ss., 229 ss.
[50] Per questa tassonomia cfr. A. Chizzini, L’intervento nella dinamica del processo amministrativo. Profili generali, in Dir. proc. amm., 2023, 460 ss., 484 ss.
[51] Si veda di recente G. Tropea, L’intervento volontario nel processo amministrativo di primo grado, in Dir. proc. amm., 2023, 3 ss., dove per il punto sul dibattito dottrinario e ulteriori riferimenti.
[52] V. Sessa, Intervento in causa e trasformazioni del processo amministrativo, cit., la quale evidenzia che, comunque, la disciplina dell’intervento nel processo amministrativo è più scarna rispetto a quella rinvenibile nel codice di procedura civile, ivi, 108.
[53] A. Chizzini, L’intervento nella dinamica del processo amministrativo. Profili generali, cit., 584.
[54] Con riferimento al giudizio di ottemperanza, A. Cassatella, Gli interventi dei terzi nel giudizio di ottemperanza: verso un processo di esecuzione multipolare, in Dir. proc. amm., 2023, 523 ss.
[55] M. Ramajoli, L’intervento per ordine del giudice nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2023, 223 ss.
[56] Come metodo, evidenziando (secondo uno schema concettuale che muove per tappe progressive) cosa l’intervento nel processo amministrativo non sia, cfr. M. Ramajoli, L’intervento per ordine del giudice nel processo amministrativo, cit., 229.
[57] M. D’Orsogna, L’intervento nel processo amministrativo: uno strumento cardine per la tutela dei terzi, in Dir. proc. amm., 1999, 381 ss., 420 ss.
[58] Anche se, talvolta, la giurisprudenza propende con l’assumere l’ammissibilità dell’intervento pure rispetto ad interessi di “mero fatto”, ancorché non privi di protezione giuridica, cfr. G. Tropea, L’intervento volontario nel processo amministrativo di primo grado, cit., 9 ss., 13. Un esempio in tal senso può essere considerato Consiglio di Stato, sez. V, 19 aprile 2024, n. 3560, dove la (astratta) legittimazione all’intervento viene appunto ricondotta alla circostanza (di “mero fatto”) inerente al rapporto giuridico intercorrente con un contraente di una parte processuale (ivi, punti 9.7.2 e 9.7.3).
[59] A. Cassatella, Legittimazione a ricorrere e norme di garanzia, in Dir. proc. amm., 2022, 773 ss.
[60] M. D’Orsogna, L’intervento nel processo amministrativo: uno strumento cardine per la tutela dei terzi, cit., 459 ss., 464 ss.
[61] Per tali conseguenze può leggersi il recente contributo di M. Magri, Genesi e protezione delle posizioni giuridiche soggettive avverso il potere pubblico: per un ripensamento della teoria della “delegittimazione” ad agire nel processo amministrativo, in Persona e amministrazione, 2023, II, 1 ss., il quale, continuando a muoversi nell’ambito della dimensione soggettiva del processo amministrativo, si dimostra critico nei riguardi (dell’atteggiamento giurisprudenziale di identificazione delle) norme di protezione, per prospettare un allargamento della legittimazione al ricorso che si fonda su(un ampliamento de)lla intersezione tra le norme di esercizio del potere e gli interessi effettivamente lesi, dal quale mutamento di paradigma concettuale si avrebbe (il più delle volte) un transito dalla “tutela” attraverso lo strumento dell’intervento (del tutto eventuale e dipendente dalla proposizione del ricorso da parte di chi ne è legittimato) a quella (diretta) conseguente alla possibilità di proporre autonomamente ricorso, ivi, 22 ss., 40 ss. Sempre sulla correlazione tra intervento e legittimazione al ricorso, in termini conclusivi che (a chi scrive) appaiono simili a quelli prima indicati, sebbene a partire da una ipotesi ricostruttiva strutturalmente diversa della giustizia amministrativa, fondata sul substrato relazionale tra potere e sovranità, si veda anche B. Giliberti, Contributo alla riflessione sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo, Padova, Cedam, 2020, 135 ss.
[62] A. Chizzini, L’intervento nella dinamica del processo amministrativo. Profili generali, cit., 474 ss., dove per gli ulteriori riferimenti.
[63] M. Ramajoli, L’intervento per ordine del giudice nel processo amministrativo, dove l’affermazione per cui l’intervento è “in grado di riprodurre nel processo la complessità delle relazioni di diritto sostanziale, adeguando il contraddittorio alle trame dei rapporti amministrativi”, cit., 250.
[64] Rilevanza che andrebbe valutata considerando la problematica dell’interpretazione dei precedenti (nel loro rapporto con la fattualità), su di che qui è solo possibile rinviare a In tema di rilevanza del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, cit., 2169 ss., dove pure riferimenti ulteriori.
[65] Prima della considerazione in tal senso presente in sezioni unite, n. 32559/2023 (punto 15), avevo sviluppato questa prospettiva in G.F. Licata, Trasformazioni della giustizia amministrativa, cit., 105 ss.
[66] Perché, si sostiene, più in linea con il carattere soggettivo e di parti del giudizio amministrativo, G. Tropea, L’intervento volontario nel processo amministrativo di primo grado, cit., 26, 27.
[67] G. Tropea, L’intervento volontario nel processo amministrativo di primo grado, cit., 27.
[68] R. Manfrellotti, Le posizioni soggettive quiescenti: contributo alla teoria generale dell’intervento adesivo nel processo, in Il Processo, 2021, 231 ss.
[69] R. Manfrellotti, Le posizioni soggettive quiescenti: contributo alla teoria generale dell’intervento adesivo nel processo, cit., 254 ss., 255.
[70] R. Manfrellotti, Le posizioni soggettive quiescenti: contributo alla teoria generale dell’intervento adesivo nel processo, cit., 256 ss.
[71] R. Manfrellotti, Le posizioni soggettive quiescenti: contributo alla teoria generale dell’intervento adesivo nel processo, cit., 258-259, anzi con l’evidenziazione, a parere di chi qui scrive logicamente coerente, che in queste ipotesi vi sarebbe una sostanziale coincidenza tra l’intervento principale e quello adesivo, nel senso specifico per cui “l’interventore litisconsortile assumerebbe, sul piano processuale, una doppia qualifica: appunto, litisconsortile in riferimento all’atto applicativo, e adesivo dipendente rispetto alla fonte che tale atto presuppone”, ivi, 262.
[72] A. Cariola, Il diritto al precedente, in Federalismi, 2020, 1-22.
[73] A. Cariola, Il diritto al precedente, cit., 16.
[74] A. Cariola, Il diritto al precedente, cit., 8.
[75] Precisamente secondo quanto adesso previsto dall’art. 99, co. 1, del c.p.a.
[76] Di modo che, da questa particolare punto di vista, la posizione soggettiva dell’interveniente rispetto alla enunciazione del principio di diritto, comunque connotata da tratti autoritativi, appare strutturalmente simile a quella dell’interesse legittimo magistralmente tratteggiata da F.G. Scoca, L’interesse legittimo, Torino, Giappichelli, 2017, 399 ss., 458 ss.
[77] Cfr. ancora F.G. Scoca, L’interesse legittimo, cit., 410 ss., dove appunto per la distinzione tra l’una e l’altra posizione, pur entrambe sostanziali.
[78] Secondo una ricostruzione rinvenibile in A. Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1996, 116 ss.
[79] Al riguardo, agli argomenti presenti nel mio Trasformazioni della giustizia amministrativa, cit., 73 ss., mi permetterei di aggiungere quelli, più risalenti ma si spera (pure) convincenti, presenti in G.F. Licata, Il procedimento di formazionedei precedenti dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Aa. Vv., Scritti per Franco Scoca, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, vol. III, 3023 ss. e Id., Note minime in tema di (continuità e) impersonalità delle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Giustamm, 2018, n. 4.
[80] H. Schima, Compiti e limiti di una teoria generale dei procedimenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1953, 762 ss., 766, ma anche M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 225 ss., esattamente nei termini degli apporti alla problematicità dell’agire amministrativo.
[81] M. Cocconi, La partecipazione all’attività amministrativa generale, Padova, Cedam, 2010, in particolare 195 ss.
[82] Con varietà di sfumature e di approcci, si vedano i contributi fondamentali di G. Miele, La manifestazione di volontà del privato nel diritto amministrativo, Roma, 1931; G. Barone, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1969; G. Ghetti, Il contraddittorio amministrativo, Padova, Cedam, 1971.
[83] Per la discussione della questione si veda E. Parisi, Le sospensioni del processo amministrativo, Napoli, Editoriale scientifica, 2020, 109 ss., anche per le relative considerazioni critiche.
[84] Un problema, questo, che andrebbe affrontato anche tenendo in considerazione i costi di transizione che derivano dal cambiamento, su di che si veda M.P. Van Alstine, The Cost of Legal Change, in UCLA Law Review, 2002, 789 ss., in particolare 862 ss. Con riguardo specifico alle esigenze di stabilità che derivano dai meccanismi decisionali della plenaria, invece, sia consentito ancora il rinvio a G.F. Licata, Trasformazioni della giustizia amministrativa, cit., 115 ss.
[85] In una prospettiva propensa a recepire sia le esigenze di garanzia (come “prerogativa insita nella situazione giuridica sostanziale ed espressiva del diritto di difesa”) che la complessiva dimensione sostanziale degli interessi coinvolta dall’esercizio dell’azione amministrativa, specificandosi infatti che “nel sistema di giustizia amministrativa, la funzione dell’intervento è duplice: da un lato, quella di tutelare preventivamente il terzo contro gli effetti indiretti o riflessi che possa subire dalla sentenza inter alios acta; dall’altro, quella di dare rilevanza processuale alla situazioni giuridiche soggettive, di varie tipologia e contenuto, che si muovono ‘interrelate’ nel contesto dell’azione amministrativa, consentendo al giudice di cogliere la portata della controversia nella sua globale e sostanziale complessità” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 12 aprile 2024, ord. n. 5, punto 3.6).
[86] Se si vuole, cfr. G.F. Licata, Trasformazioni della giustizia amministrativa, cit., 107, 184 ss.
[87] M. Ramajoli, L’intervento per ordine del giudice nel processo amministrativo, cit., 247 ss.
[88] In questi esatti termini A. Cassatella, Gli interventi dei terzi nel giudizio di ottemperanza: verso un processo di esecuzione multipolare, cit., 535, ma più in generale 534 ss.
[89] E, si può evidenziare, già magistralmente tratteggiata dalla dottrina più autorevole nel percorso diretto alla depurazione della (mera) soggettività, e quindi della sostanziale unilateralità, dell’agere amministrativo (anche) nella sua correlazione con il processo. Cfr. infatti F. Benvenuti, Parte nel processo (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, Giuffrè, XXXI, 1981, 962 ss., dove si legge che “la concezione moderna di amministrazione partecipativa che coinvolge nel momento stesso dell’esercizio della funzione tutti coloro che sono interessati sostanzialmente all ‘atto, trova riscontro naturale nel processo amministrativo proprio perché questo è stato costruito come un processo di secondo grado ove il primo è rappresentato dalla disciplina formalizzata del procedimento nel quale tutti gli interessi che vengono toccati debbono trovare lo spazio per venire alla luce”, ivi, 964.
[90] Nel senso della coincidenza tra legittimazione procedimentale e legittimazione processuale, cfr. di recente S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, Franco Angeli, 273 ss., anche per la ricostruzione del dibattito dottrinario e giurisprudenziale.
[91] M. Magri, Genesi e protezione delle posizioni giuridiche soggettive avverso il potere pubblico: per un ripensamento della teoria della “delegittimazione” ad agire nel processo amministrativo, cit., 41.