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Il ruolo degli elementi accidentali nel contratto di divisione
Di Vincenzo Lino -
Abstract: Dalla libera determinazione del contenuto del contratto si addiviene alla libera determinazione degli effetti del contratto, anche di divisione. I privati possono personalizzare gli effetti del contratto di divisione mediante l’apposizione di condizione (sospensiva del rilascio del certificato di edificabilità del fondo ovvero risolutiva del mancato pagamento dei conguagli) e termine, opinando sulla applicabilità del modus. Gli effetti propri degli elementi accidentali devono coordinarsi con il principio di retroattività della divisione, che postula la rilevanza del Tempo nelle categorie giuridiche.
Sommario: 1. Il ruolo degli elementi accidentali nella personalizzazione degli effetti del contratto; 2. Il principio di (ir)retroattività nel diritto privato; la retroattività del contratto di divisione; 3. Condizione, termine e modo nel contratto di divisione.
1.Il ruolo degli elementi accidentali nella personalizzazione degli effetti del contratto.
L’autonomia dei privati agisce non solo sul campo della determinazione del contenuto del negozio giuridico, consentendo la conclusione di contratti atipici (art. 1322, secondo comma, cod. civ.), ma anche sulla determinazione degli effetti del contratto. Il codice civile non definisce un perimetro nel quale i privati devono esplicare la propria libertà di contrarre, quanto piuttosto fissa i principi minimi essenziali ed inderogabili, lasciando i contraenti liberi di poter definire il proprio campo di gioco, nel rispetto del principio di meritevolezza dell’interesse perseguito; acceso è, in dottrina, il dibattito sul rapporto tra “meritevolezza” e “illiceità del contratto”, che richiama, a sua volta, il problema dell’identificazione della causa del contratto[1]; già il Betti[2] affermava che le parti non possono perseguire un interesse che non risponde ad alcuna delle funzioni ammesse dalla coscienza sociale, o che contrasti con i principi riconosciuti dall’ordinamento. I singoli sono liberi di scegliere “se” e “con chi” contrarre, salve le eccezioni di legge (si pensi all’obbligo a contrarre del monopolista).
Sotto il profilo dell’esecuzione contrattuale, poi, il principio di relatività del contratto consente l’immediata esplicazione degli effetti sin dal momento della sua conclusione, salvo il potere dei privati di posticipare, sospendere e far cessare gli effetti negoziali, mediante l’apposizione al contratto stesso di elementi accidentali, che si contrappongono ai cd. elementi essenziali del negozio giuridico (art. 1325 cod. civ.). Il legislatore non si è preoccupato di costruire una categoria unitaria degli elementi accidentali del contratto, né si è preoccupato di raggrupparli o definirli come tali. Si tratta di una categoria aperta ed eterogenea non recante una medesima disciplina, né tantomeno applicabile genericamente a tutte le tipologie contrattuali; si pensi al fatto che il modo si ritiene apponibile al testamento ed alla donazione, ma non anche ai contratti sinallagmatici[3]. Gli elementi accidentali contribuiscono a determinare o meno l’esistenza degli effetti del negozio e non la “qualità” degli stessi, che sono conseguenza degli elementi essenziali del contratto[4]; una volta incorporati nella struttura minima del contratto, di essi non può esserne data alcuna distinzione dagli elementi costitutivi, sicché, una volta presenti, lo influenzano a tal punto che la loro presenza non può essere irrilevante dal punto di vista giuridico; essi consentono di far entrare nella materia contrattuale alcuni aspetti che non avrebbero rilevanza nel tipo contrattuale scelto tra i contraenti[5]. Quindi, se la condizione sottopone gli effetti del contratto ad un evento incerto, il termine individua il dies a quo ovvero il dies ad quem degli effetti negoziali, il modo limita l’arricchimento patrimoniale del donatario, è ben evidente che ciascuno degli istituti richiamati consente di inserire nel contratto un elemento specifico (esterno allo schema negoziale tipico) che risponde ad un interesse concreto dei paciscenti, ferma la possibilità delle parti di personalizzare gli effetti del contratto ricorrendo ad altre costruzioni giuridiche, quali, il collegamento negoziale[6].
2. Il principio di (ir)retroattività nel diritto privato; la retroattività del contratto di divisione.
Il Tempo ha un ruolo non marginale nella determinazione degli effetti contrattuali; scandisce il divenire delle azioni umane. È, poi, il diritto a valutare se quelle azioni sono indifferenti o meno all’ambito giuridico. Prescindendo dal dibattito sulla qualificazione del Tempo come categoria giuridica[7], la relazione tra questo ed il diritto appare profondamente interconnessa, essendo evidente che, nel corso della storia, il diritto progredisce con l’uomo, con il mutamento della coscienza sociale e dei suoi valori, in ragione della funzione di servizio del diritto nei confronti dell’uomo[8]. Il Tempo, tuttavia, diviene rilevante per il diritto solo ove in esso si muovono gli interessi umani[9].
Ferma l’importanza del Tempo nelle singole categorie giuridiche (si pensi, ad esempio, agli istituti della decadenza ed alla prescrizione), il progressivo mutamento dei valori sociali suggerisce all’operatore del diritto di interpretare le norme adeguandole ai principi ed ai diritti quesiti in ragione del principio di certezza del diritto e della citata funzione di servizio del diritto. Si pensi all’impatto generato dall’entrata in vigore di una nuova norma, anche nella materia contrattuale, atteso che – per quest’ultima – il legislatore ha avuto premura di chiarire che il contratto ha “forza di legge tra le parti” (art. 1372 cod. civ.)[10]; nel caso, ad esempio, della micro-riforma delle donazioni (l.n. 80/2005), tesa a favorire la circolazione dei beni di provenienza donativa mettendo al riparo dall’azione di restituzione – esercitabile dal legittimario leso – le donazioni per cui sono decorsi venti anni dalla loro stipula, in assenza di un’espressa previsione del diritto transitorio, gli interpreti hanno discusso sulla applicabilità della novella alle donazioni concluse in data anteriore alla sua entrata in vigore, chiarendo che il principio di irretroattività della legge può conciliarsi con l’idea che una nuova legge – non retroattiva – regoli situazioni nate nel corso della normativa previgente[11].
Il decorso del tempo, nel diritto privato, si collega inevitabilmente al principio di autonomia privata; i privati possono scandire temporalmente i propri interessi (mediante l’apposizione di un termine), ma anche regolare diversamente gli effetti di un contratto già concluso, incidendo sui suoi effetti anche per il passato in ragione di un sopravvenuto e nuovo assetto di interessi.
L’irretroattività sembra un principio di carattere generale, che risponde a principi di certezza del diritto[12] e che può essere “derogato” dai privati nei limiti in cui sia la stessa legge a prevederlo (art. 1372 cod. civ.) e nei limiti dei principi generali dell’ordinamento (principio del legittimo affidamento; utilità sociale).
L’art. 11 delle disposizioni preliminari al cod. civ. (per il quale la legge dispone per l’avvenire e non ha effetto retroattivo) ha lo stesso rango della legge ordinaria, di guisa che solo il Legislatore potrà derogare all’indicato principio, introducendo leggi che operano anche per il periodo anteriore rispetto a quello della loro entrata in vigore. Il tutto non senza limiti; è necessario, infatti, che la norma ordinaria, non contrasti con i principi e le regole di rango superiore né che incida sui diritti quesiti[13]; si pensi al principio di irretroattività della norma penale, contenuto nell’art. 25 della Carta Costituzionale, segnatamente al quale la giurisprudenza costituzionale ha precisato che “il principio di retroattività della lex mitior ha una valenza ben diversa, rispetto al principio di irretroattività della norma penale sfavorevole. Quest’ultimo si pone come essenziale strumento di garanzia del cittadino contro gli arbitri del legislatore, espressivo dell’esigenza della calcolabilità delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale”[14].
Nell’ambito del diritto privato, il potere dei contraenti di decidere e regolare gli effetti passati del contratto, rivedendolo alla luce di elementi sopravvenuti, discende proprio dalla legge ordinaria. Il riconoscimento del contratto come avente forza di legge, nonché l’importanza che l’autonomia privata ha nel mercato fa sì che la volontà dei privati – quale espressione della personalità dell’individuo (art. 3 Cost.), della libera iniziativa economica privata (art. 41 Cost) e della proprietà (art. 42 Cost.) – deve essere considerata vincolante, salva la tutela di un bene giuridico di rango superiore[15]. Se si pensa al tema del mutuo dissenso, la libertà dei privati di sciogliere gli effetti dell’accordo tra gli stessi concluso mediante un nuovo accordo con effetto ripristinatorio di tipo retroattivo[16] incontra il solo limite dei diritti e dell’affidamento dei terzi.
In ambito codicistico, riferiscono, inter alia, della retroattività: l’art. 1372 u.c. cod. civ.; l’art. 1360 cod. civ che statuisce il principio di retroattività della condizione, salvo che per la volontà delle parti o del rapporto gli effetti devono essere riportati ad un momento diverso, atteso che la retroattività della condizione è opponibile ai terzi ai sensi dell’art. 1357 cod. civ; l’art. 1458 cod. civ. precisa che la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, con la precisazione che l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.
In tale contesto, sembra potersi asserire che il principio di irretroattività sia la regola, mentre quando il legislatore ha voluto fissare il principio di retroattività lo ha detto espressamente.
Su questa linea è condotta l’indagine sulla retroattività della divisione. La grundnorm è l’art. 757 cod. civ. per il quale ogni erede è reputato solo ed immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari; la norma si applica a tutti di tipi di divisione e quindi anche alle divisioni non ereditarie, non essendovi elementi ostativi al riguardo “sia pure limitatamente al fondamentale principio, in esso enunziato, della mancanza di successione tra i condividenti”[17].
Il tema della retroattività stimola il dibattito sulla natura della divisione che ha impegnato gli interpreti a discutere se “alla divisione consegue un autentico effetto costitutivo (traslativo) – nel senso che il condividente acquisterebbe, sul bene a lui attribuito, un nuovo diritto (proprietà esclusiva) – o consegue invece un effetto meramente dichiarativo, nel senso che mediante la divisione, verrebbe soltanto individuato l’oggetto del diritto del compartecipe – verrebbe in altri termini specificata la quota – pur restando immutato il diritto originario del compartecipe”[18]; e su cui gli Ermellini hanno recentemente mutato il previgente orientamento, riconoscendo al contratto di divisione natura costitutivo-traslativa nonché la natura di atto inter vivos e non mortis causa[19]. Secondo un orientamento dottrinale l’effetto retroattivo della divisione rientra nell’ambito di una fictio operata dal legislatore; la retroattività comporta la dichiaratività degli effetti[20]; a tale conclusione sembrano pervenire anche i sostenitori della teoria della surrogazione reale[21] e della proprietà incerta[22]. Di contro, si pone la posizione di chi nega il sodalizio tra retroattività e dichiaratività; nel caso di ratifica dell’atto compiuto dal falsus procurator (art. 1399 cod. civ.), la retroattività della ratifica retroagisce sino all’atto compiuto consentendo che il negozio originariamente concluso dal procurator produca effetti costitutivi[23].
Retroattività e dichiaratività (costitutività) sembrano rilevare su aspetti diversi della divisione: la retroattività riguarderebbe esclusivamente gli effetti della divisione; la dichiaratività (ovvero la costitutività) riguarderebbe un aspetto diverso, quello della natura del negozio giuridico[24]. Sotto tale profilo, la natura dichiarativa della divisione non potrebbe derivare dalla retroattività perché, quando vi è un accertamento, la situazione accertata è preesistente allo stesso[25]; nel caso di specie, invece, la proprietà esclusiva del singolo non preesiste alla divisione essendovi chiaramente una comunione.
Così, la retroattività non appare in contrasto con la natura costitutiva della divisione; il legislatore ha imposto di considerare retroattivo un contratto (quello di divisione) che retroattivo non sarebbe, di guisa che l’art. 757 cod. civ. non può essere solo il frutto di un retaggio storico; la previsione della retroattività della divisione sembrerebbe confortare proprio la tesi della sua natura costitutiva, anche in considerazione del fatto che la richiamata norma afferma che il condividente “è reputato” (e non dice “è”) proprietario sin dal momento della apertura della successione[26].
La retroattività della divisione che ha rilevanza erga omnes opera – per scelta legislativa – esclusivamente rispetto alla titolarità dei beni assegnati al condividente[27], mentre non ha effetto in relazione ai frutti separati[28]. Essa ha un ruolo sostanziale di sistema; si inserisce pienamente nel sistema successorio in cui la retroattività è la regola e non l’eccezione[29]; difatti, l’art. 459 cod. civ. dispone che per effetto della accettazione dell’eredità l’erede è tale sin dal momento di apertura della successione; l’art. 521 cod. civ. dispone che il rinunziante all’eredità deve essere considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità.
Tuttavia, il principio normativamente espresso della retroattività della divisione non pare confortare alcuna delle tesi previste sulla natura giuridica, ciascuna delle quali riconduce l’art. 757 cod. civ. a sostegno del proprio assunto, come sopra succintamente esposto; invece, sembra che, nel paradigma divisorio, la scelta chiara compiuta dal codice sia solo l’affermazione espressa del principio di retroattività, come ad evitare qualsivoglia attività ermeneutica atta a limitare detto effetto. A parere di chi scrive, quindi, non sarebbero da delegittimare, tout court, gli orientamenti (previgenti alla recente pronunzia della Cassazione) che sostengono la tesi della natura di atto mortis causa del contratto di divisione ereditaria, propendendo per la natura dichiarativa del contratto. La circostanza, infatti, che il legislatore non abbia offerto una definizione di divisione rafforza l’idea che di essa debba prediligersi l’aspetto fenomenico ed effettuale di scioglimento della comunione mediante attribuzione a ciascuno di beni aventi valore proporzionale alle rispettive quote di cointeressenza[30]; il titolo della divisione non è necessariamente un contratto (bensì anche il testamento) e, inoltre, lo stato di comunione prodromico alla divisione non rappresenta un elemento necessario e determinante, come nel caso della divisione fatta dal testatore (art. 734 cod. civ.).
Da qui il ruolo centrale della retroattività, che non pare debba essere relegata ad un aspetto squisitamente economico della vicenda; ne va recuperato ed esaltato l’impatto giuridico perché, come avviene per la retroattività della condizione, l’effetto retroattivo della divisione è un effetto “reale”. Se, quindi, l’effetto divisorio è il medesimo in ogni tipo di divisione (contrattuale, testamentaria, giudiziale) non si vede perché la divisione ereditaria (come contratto) debba subire – in presenza di un medesimo effetto contrattuale – un trattamento giuridico diverso a seconda del veicolo utilizzato per raggiungere l’effetto; solo al contratto di divisione ereditaria si applicherebbe, per effetto della richiamata pronunzia della Cassazione, la comminatoria della nullità per mancata indicazione dei titoli edilizi (art. 40 l.n. 40/1987), che si applica, come noto ai solo atti tra vivi e non anche agli atti mortis causa (essendo l’effetto successorio un effetto necessitato).
Il recupero della retroattività della divisione ereditaria assorbirebbe gli effetti modificativo-costitutivi scaturenti dall’accordo divisorio[31]; essa realizza una continuità che sarebbe, altrimenti, interrotta dallo stato intermedio di comunione; l’art. 757 cod. civ. è “una norma di sistema, che contribuisce ad armonizzare la successione mortis causa e in essa si inserisce”[32]; infatti, è proprio grazie all’art. 757 cod. civ. che l’attribuzione esclusiva del bene al condividente non comporta successione tra coeredi per la parte che questi ha ricevuto in eccedenza, così come gli eventuali conguagli non sono un corrispettivo di quanto ricevuto, quanto strumento di bilanciamento di eventuali disequilibri tra la porzione di fatto e la porzione ricevuta; in questi termini, si comprende l’incompatibilità dell’azione di risoluzione per inadempimento con la divisione, l’esclusione dell’azione di annullabilità per errore (salvo il contemperamento del diritto al supplemento).
3.Condizione, termine e modo nel contratto di divisione.
Tra le norme che il codice riserva alla divisione, non si riviene alcun riferimento agli elementi accidentali del contratto; tuttavia, la possibilità di apporre detti elementi al contratto di divisione discende dalla circostanza che di esso è riconosciuta la natura contrattuale. Non si dubita che, avendo carattere patrimoniale, rientra pienamente nella definizione dell’art. 1321 cod. civ.[33], essendo presenti tutti i requisiti essenziali richiesti dall’art. 1325 cod. civ.; ciò anche accedendo all’orientamento che qualifica l’accertamento come negozio giuridico, fondando la cittadinanza di tale contratto nell’ordinamento sul “regolare” contenuto nell’art. 1321 cod. civ.[34].
Il contratto di divisione è da considerarsi un contratto plurilaterale (nel senso di contratto a più parti perché ad esso non si applicano le regole relative all’invalidità ed alle impugnabilità parziali di cui agli art. 1420, 1446,1459,1466)[35], tipico (anche se manca un luogo deputato organicamente alla divisione come contratto[36]), che – in presenza immobili o beni mobili registrati – richiede la forma scritta ai fini della trascrizione, curata ai fini della continuità (art. 2646 cod. civ.) e non della dichiaratività (art. 2643 cod. civ.) e la cui “causa” riposa nello scioglimento della comunione mediante assegnazione di beni di valore corrispondente alle quote[37], con la precisazione che il codice civile prevede che ogni porzione deve contenere una quantità di mobili, immobili e crediti di uguale natura e qualità (art. 727 cod. civ.), ferma la possibilità di dar luogo a conguagli (art. 728 cod. civ.). La normativa in tema di divisione “è in linea di massima derogabile, perché tutela interessi privati dei condividenti i quali possono rinunziarvi, implicitamente o esplicitamente, in sede di divisione giudiziale o stragiudiziale. Sono considerati di natura cogente solo gli artt. 720 e 722, che stabiliscono l’indivisibilità di determinati beni per un interesse superiore: la pubblica economia, l’igiene e la produzione nazionale”[38].
Si discute se si tratti o meno di un contratto a prestazioni corrispettive: secondo taluni[39] il sinallagma, si rinviene nella interdipendenza delle porzioni attribuite[40] più che nelle rinunzie corrispettive; per altri, l’equivalenza delle prestazioni qui assume la forma di proporzionalità delle assegnazioni[41]. Non manca chi sostiene che il contratto di divisione sia un contratto neutro, come tale non oneroso né gratuito[42]; in esso non sarebbe rinvenibile il sinallagma, dal momento che sarebbe proprio l’art. 757 cod. civ. a porre la divisione al di fuori del sinallagma contrattuale[43] e del concetto stesso della onerosità; il condividente-assegnatario non sopporta, infatti, alcun sacrificio[44], né l’obbligo del pagamento del conguaglio (art. 728 cod. civ.), di consegna dei documenti (art. 736 cod. civ.) e garanzia per evizione (art. 758 cod. civ.) si collocano nella funzione del contratto, essendo obbligazioni ulteriori.
Funzionale al contratto di divisione è, invece, la proporzionalità delle quote di fatto alle quote di diritto, di guisa che tale principio non può essere oggetto di alterazione da parte del privato neppure per effetto dell’apposizione di elementi accidentali dell’accordo.
In questo senso, è ammissibile subordinare il contratto di divisione alla condizione sospensiva ovvero risolutiva che la nave venga dall’Asia[45] in ragione degli interessi posti in essere dai condividenti, che inseriscono nel congegno contrattuale un elemento esterno nuovo e non previsto nel procedimento divisorio ma che risponde ai loro specifici interessi. In caso di avveramento della condizione sospensiva, gli effetti del contratto retroagiranno – in caso di divisione ereditaria – al tempo della morte del de cuius in ragione della doppia retroattività, quella dell’art. 1360 cod. civ. (si tratta della retroattività propria dei contratti condizionati che copre il segmento temporale intercorrente tra il tempo in cui è concluso il contratto di divisione e quello dell’avveramento della condizione) e quella dell’art. 757 cod. civ. (propria del contratto di divisione, che copre il segmento intercorrente tra la conclusione del contratto di divisione e l’apertura della successione); a contrariis, in caso di avveramento della condizione risolutiva gli effetti saranno travolti al tempo della morte del defunto per lo stesso maccanismo della doppia retroattività; in tale ultimo caso, potrebbe discutersi se la comunione che si realizza per effetto dell’operatività della condizione sia un comunione ordinaria ovvero una comunione ereditaria (come preferibile per chi scrive in considerazione del fatto che l’effetto ripristinatorio della comunione, nel caso di specie, non è un effetto direttamente dipendente dalla volontà delle parti, ma conseguente al meccanismo di operatività della condizione).
La possibilità delle parti di poter far retroagire l’avveramento della condizione ad un momento diverso rispetto a quello della conclusione del contratto riguarderà solo il c.d. secondo segmento temporale e non anche il primo segmento regolato dall’art. 757 cod. civ., che – a parere di chi scrive – è norma non derogabile del sistema divisorio, in ragione della sua richiamata funzione di sistema. A sostegno di tale assunto si pone l’art. 1360 cod. civ., che espressamente prevede la derogabilità della retroattività della condizione, chiarendo che, quando lo ha voluto, il legislatore ha espressamente sancito la derogabilità del principio di retroattività.
Sembra ammissibile, poi, apporre al contratto di divisione di una condizione sospensiva avente ad oggetto il rilascio del certificato di edificabilità un terreno assegnato ad uno dei condividenti nonché di una condizione risolutiva avente ad oggetto il mancato pagamento del conguaglio.
Nella prima fattispecie, il ricorso alla condizione consentirebbe, ad esempio, ai condividenti di apporzionare i beni oggetto della massa dividenda, subordinando gli effetti all’evento dedotto in condizione senza provvedere al pagamento di conguagli, auspicando nel maggior valore che acquisirà il terreno successivamente alla conclusione del contratto; in altri termini, i condividenti, ricorrendo ad un valore convenzionale dei lotti, riconoscono mediante l’apposizione della condizione che di fatto il “valore riconosciuto” sia tale una volta ottenuto il certificato di edificabilità del fondo. D’altra parte, l’art. 726 cod. civ. dispone che – salva la divisione dei beni dello stesso genere (es. denaro) -, la stima si effettua secondo il loro valore venale, al tempo della stipula del contratto di divisione, ma è possibile per le parti assumere anche un valore convenzionale.
Nella seconda ipotesi, quella della condizione risolutiva avente ad oggetto il mancato pagamento del conguaglio, giova preliminarmente affermare, come già sopra accennato, che il conguaglio non rappresenta la controprestazione della assegnazione ricevuta dal coerede assegnatario, quanto piuttosto ha funzione di equilibrare le posizioni nell’ottica del principio di proporzionalità; si tratta di una obbligazione che è assistita da ipoteca (art. 2817 cod. civ.) e che non costituisce condizione di efficacia del contratto, come anche la giurisprudenza[46] ha avuto modo di chiarire, cassando la decisione del giudice di merito (il quale aveva subordinato l’efficacia di una divisione al pagamento, entro tre mesi dal suo passaggio in giudicato, di un conguaglio imposto ad uno dei conviventi) in considerazione del fatto che, mentre nell’ipotesi della esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre una vendita (art. 2932 cod. civ.) il giudice può sottoporre l’efficacia di una sentenza al pagamento del prezzo, nell’ipotesi del conguaglio non è data al giudice la medesima possibilità in quanto il conguaglio prescinde dall’elemento causale del contratto, non essendo prestato dal condividente in funzione della sua assegnazione[47]. La legittimità di una simile condizione appare mutuata dalla ammissibilità della c.d. condizione di adempimento di cui si ammette la cittadinanza in quanto l’incertezza riposa sul fatto della esecuzione, l’evento dedotto in condizione è l’esecuzione dell’obbligo, l’inversione cronologica tra il momento dell’efficacia e quello dell’esecuzione è presente in altre fattispecie (nei contratti reali, la consegna è requisito di perfezionamento del contratto). Si tratterebbe di una condizione risolutiva meramente potestativa a favore del condividente obbligato al conguaglio compatibile con la previsione dell’art. 1355 cod. civ. Non appare, per converso, possibile sottoporre il contratto di divisione alla condizione sospensiva del pagamento del conguaglio, in quanto configurerebbe una condizione sospensiva meramente potestativa, che farebbe dipendere gli effetti del contratto dal mero fatto volontario del condividente assegnatario tenuto al conguaglio (art. 1355 cod. civ.).
Passando alla trattazione del termine, non sembrano rivenirsi nel sistema elementi ostativi alla sua apposizione al contratto di divisione.
Occorre, tuttavia, distinguere tra termine iniziale e termine finale, precisando che, nel caso di specie, si discorre del termine del negozio e non del termine dell’adempimento, atteso che non desta perplessità l’apposizione di un termine di adempimento previsto a favore del condividente – debitore del conguaglio (in tale ultimo caso, il condividente-creditore non potrà esigere la prestazione sino a che non si sia verificato il termine, salvo il debitore non sia decaduto dal beneficio del termine in suo favore ai sensi dell’art. 1186 cod. civ).
Nell’ipotesi del termine iniziale, i condividenti decidono che il contratto di divisione produce effetti a partire da una certa data, senza che vi sia alcun elemento impeditivo al riguardo; d’altra parte, il differimento dell’efficacia del contratto potrà realizzarsi anche mediante la conclusione di un contratto preliminare di divisione e successivo atto definitivo; né si dubita che un termine iniziale possa essere previsto anche ai negozi traslativi della proprietà48; l’utilità pratica di tale formula può rivelarsi tale allorquando i condividenti trovano un accordo consentendo al condividente non assegnatario di bene produttivo di godere dei frutti civili di detto bene per un certo tempo ulteriore (quello intercorrente tra la conclusione della divisione e la data in cui gli effetti negoziali iniziano a prodursi), in considerazione del fatto che i frutti percepiti durante lo stato di comunione non vanno restituiti fino a che non si ha divisione.
Quanto alla durata del termine iniziale, ad avviso di chi scrive, appare ammissibile anche un termine superiore ai dieci anni, purché risponda ad interesse delle parti, senza che a ciò osti il disposto dell’art. 1111 secondo comma cod. civ.; difatti, mentre nel patto di indivisibilità49, l’accordo dei condividenti ha ad oggetto il mantenimento dello stato di comunione, nel contratto di divisione con termine iniziale i condividenti hanno diviso la massa ma la produzione degli effetti è rinviata ad un tempo futuro.
Al verificarsi del termine iniziale, la titolarità dei beni sarà del condividente-assegnatario a far data dalla morte del defunto (in caso di divisione ereditaria) alla luce del principio di retroattività, mentre da quella data dovrà essere corrisposto il pagamento del conguaglio a favore dell’avente diritto e dovranno essere restituiti frutti civili separati successivamente al suo verificarsi.
Soffermandosi, poi, sul termine finale apposto al contratto di divisione occorre distinguere se detto termine riguarda, tout court, l’intero contratto ovvero costituisce termine di durata di diritti reali minori costituiti in favore della divisione. Nella prima ipotesi, non pare esservi compatibilità tra il termine finale ed il contratto di divisione non solo quando quest’ultimo ha ad oggetto diritti reali, salvo non si ritenga di aderire alla tesi della proprietà risolubile50, ma anche in assenza di questi ultimi, alla luce (in questo caso) dello sfavore con cui il legislatore guarda lo stato di comunione nonché della apparente mancanza di utilità del contratto stesso.
Il termine finale potrà essere utilizzato come termine di durata di diritti reali minori nascenti dal contratto di divisione, riconoscendo la dottrina che dal complesso delle norme in tema di divisione non sembra evincersi il principio inderogabile dell’omogeneità dei diritti assegnati51; sarà così possibile, ad esempio, che al condividente sia assegnato, a titolo di divisione, un diritto di superficie decennale su un fondo appartenente in proprietà al defunto.
Infine, avuto riguardo all’apposizione del modo, sembrerebbe preferibile – per chi scrive – propendere per l’inconciliabilità tra modus e contratto di divisione, alla luce della circostanza che il modo è apponibile alle sole attribuzioni liberali mortis causa o inter vivos52 e del fatto che, con tutta probabilità, dal punto di vista pratico, il richiamo della prestazione (oggetto dell’onere) nella divisione potrebbe non essere in grado di poter dare risolvere la questione della compatibilità; ciò, nonostante non sarebbe peregrino ipotizzare l’apponibilità del modo al contratto di divisione, accedendo alla tesi del negozio neutro della divisione, per la quale non sarebbe in alcun modo possibile “confondere” il modus nel paradigma funzionale del contratto di divisione.
Riprodurre nella divisione l’obbligazione oggetto del modo non significa che il modo è entrato nella divisione; si tratterebbe, infatti, di una assunzione volontaria di obbligazioni dedotta in contratto dai condividenti. Si esaminino, due diverse fattispecie: nella prima, si ipotizzi che il testatore, celibe e senza figli (il cui patrimonio è costituito da tre immobili di cui due di pari valore ed il terzo di valore maggiore rispetto agli altri) designi eredi testamentari in parti eguali tra loro i suoi tre amici con l’onere di celebrazione delle messe e che, in sede di divisione, i condividenti si accordino nell’assegnare al condividente che riceve l’immobile di maggior valore l’onere di celebrare le messe; nella seconda ipotesi, si immagini la medesima situazione di cui alla prima fattispecie, con la precisazione che nessun onere è contenuto nel testamento, sicché la celebrazione delle messe è un elemento nuovo rispetto al testamento, dedotto volontariamente nel contratto di divisione dagli eredi. L’aspetto che risalta in questi casi è che il condividente della assegnazione di maggior valore è onerato della celebrazione delle messe, con la differenza che nella prima ipotesi tale obbligazione è la stessa oggetto dell’onere contenuto nel testamento, mentre nella seconda è una nuova obbligazione. Al riguardo, sembra che in nessuna delle due ipotesi l’obbligazione oggetto di divisione possa essere qualificata come “onere” dal momento che, nella prima fattispecie, l’onere testamentario posto a carico di tutti gli eredi viene convenzionalmente assunto dal condividente dell’immobile di maggior valore, con la precisazione che, ove il testatore avesse previsto la risoluzione della disposizione per inadempimento dell’onere (art. 648 cod. civ.), verrebbe meno, in caso di inadempimento, proprio l’attribuzione in favore dei tre amici, salva poi l’eventuale azione risarcitoria da parte dei due condividenti contro il condividente che si è accollato l’obbligazione dedotta nell’onere testamentario. Nella seconda fattispecie, l’assunzione della nuova obbligazione in sede di divisione sarebbe ammissibile proprio in ragione del potere riconosciuto ai privati di determinare il contenuto nell’accordo, senza che si possa neppure al riguardo parlare di onere, rispondendo l’obbligazione di far celebrare le messe ad un interesse proprio del defunto.
[1] Secondo una parte della dottrina (FERRI G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 355, per il quale la causa è la funzione economico-individuale del contratto) la meritevolezza dell’interesse perseguito della parte va valutato alla luce dei principi liceità di guisa che il contratto immeritevole coincide con il contratto illecito; si assume la perfetta coincidenza tra la meritevolezza degli interessi (art. 1322, co.2, cod. civ. ) con i limiti dell’ordine pubblico, del buon costume e della liceità (art. 1343 cod. civ.) . In senso conforme Cass. civ., 06/02/2004, n. 2288. In senso contrario BIANCA C.M. causa concreta del contratto e diritto effettivo, Riv. Dir. Civ, 2, 2014, 10251 per il quale il giudizio di liceità e quello di meritevolezza non sono tra loro assorbibili; il primo attiene alla valutazione della compatibilità del contratto con le norme imperative, l’ordine pubblico ed il buon costume, il secondo pone la meritevolezza come requisito in più per i contratti innominati, che il citato A. rinviene nella utilità società sociale. Per la giurisprudenza (Cass. civ., 28/04/2017, n. 10509) liceità e meritevolezza operano su due diversi piani, nel senso che la meritevolezza non consiste nel giudizio di liceità del contratto. La richiamata giurisprudenza asserisce che l’immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati.
[2] BETTI E., Teoria generale del negozio giuridico, rist., Napoli, 1994, 104
[3] CARUSI D., Condizione e termini, Trattato del Contratto Vincenzo Roppo a cura di M. Costanza, Milano, 2006, III, 267
[4] BARBERO D., voce Condizione, Novissimo Digesto Italiano, vol 3, 1097: la presenza della condizione, sebbene si tratti di un elemento accidentale, può, agli occhi della legge, corrompere l’intera fattispecie, cosicché il negozio, che sarebbe valido senza di essa per la natura dell’intento e per l’integrità del volere può diventare nullo per effetto di essa. È il caso, per esempio, delle condizioni illecite, quando vitiantur et vitiant.
[5] Si è lungamente discusso sul rapporto tra la condizione e la causa del contratto; avuto riguardo alla condizione sospensiva si rammenta che per Falzea la condizione sospensiva costituisce concausa del contratto (FALZEA A., La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano 1941).
[6] ROPPO V., Istituzioni di diritto privato, Bologna, 2001, 372.
[7] TRIMARCHI P, voce Termine, vol. XIX, Novissimo Digesto Italiano, 96, per il quale “il tempo viene a rappresentare qualcosa di esterno al fatto o all’effetto giuridico. Non costituisce un fatto o un elemento di fatto, dotato di autonoma rilevanza giuridica: del fatto che caratterizza la fattispecie esso concorre a determinare il come ed il quando, e degli effetti, previsti per la tutela, immediata o mediata, degli interessi, lo stesso tempo concorre a compiere la specificazione”. L’A. precisa anche che per SANTORO-PASSARELLI F., Dottrine generali di diritto civile, IX, 1971,111: inesatta è la consueta inclusione nella categoria dei fatti giuridici del tempo, indicato come uno dei più importanti fatti naturali. Per l’A. il tempo non è un fatto giuridico, quanto piuttosto un modo di essere del fatto, una relazione; in senso contrario si pone FALZEA A., Voci di teoria generale del diritto, 1970, 414 per il quale il tempo costituisce un fatto giuridici e quindi una categoria giuridica in considerazione del fatto che da esso non può mai prescindere la fattispecie giuridica.
[8] BOBBIO N., Sulla funzione promozionale del Diritto in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 1313 e ss., l’A. denunzia l’insufficienza della tradizionale funzione repressiva del diritto, elaborando la tesi della c.d. funzione promozionale del diritto, quella tesa alla valorizzazione degli atti conformi ai principi dell’ordinamento in relazione al quale la facilitazione (anche sotto forma di esenzione) sostituisce la sanzione. CATERINA R., Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato in Riv. Dir. Civ, 2005, II, 771.
[9] Per la rilevanza del tempo nel sistema della pubblicità si rinvia a FRANCESCA M., Tempo e legittimazione nella tutela pubblicitaria, in P. PERLINGIERI e S. POLIDORI (a cura di), Domenico Rubino, I, Interesse e rapporti giuridici, Napoli, ESI, 2009, pp. 207-221.
[10] CIATTI A., retroattività e contratto, Quaderni della Rassegna di diritto civile diretta da Pietro Perlingieri, 2007,16.
[11] BUSANI A., L’atto di “opposizione” alla donazione (art. 563, comma 4, codice civile), Studio n. 5809/C CNN.
[12] Corte cost., Sent., 08/07/1957, n. 118: Il principio generale della irretroattività delle leggi attualmente enunciato nell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale – rappresenta un’antica conquista della nostra civiltà giuridica. Esso però non è mai assurto nel nostro ordinamento alla dignità di norma costituzionale, né vi è stato elevato dalla vigente Costituzione, se non per la materia penale (omissis). Per le materie diverse da quella penale, l’osservanza del tradizionale principio è dunque rimessa – così come in passato – alla prudente valutazione del legislatore, il quale peraltro – salvo estrema necessità – dovrebbe a esso attenersi, essendo, sia nel diritto pubblico che in quello privato, la certezza dei rapporti preteriti (anche se non definiti in via di giudicato, transazione, ecc.) uno dei cardini della tranquillità sociale e del vivere civile. Con ciò non si vuole escludere che in singole materie, anche fuori di quella penale, l’emanazione di una legge retroattiva possa rivelarsi in contrasto con qualche specifico precetto costituzionale. Si vuole semplicemente affermare il concetto che nel nostro ordinamento il principio della irretroattività della legge non assurge, nella sua assolutezza, a precetto costituzionale. E si vuole in particolare escludere – con specifico riguardo al campo della presente controversia – che sia ricavabile dagli artt.23, 24 e 25 Cost. (omissis) un precetto costituzionale che escluda la possibilità di leggi retroattive destinate comunque a incidere nella sfera degli interessi privati, sacrificandoli, o nella sfera dell’autonomia privata, comprimendola. Come pure si vuole escludere che possa essere considerato lesivo della sfera del potere giudiziario (e in particolare degli artt. 101, 102 e 104 Cost.) il fatto che da una legge retroattiva derivi ai giudici l’obbligo di applicarla in relazione a rapporti sorti nel passato, e magari conclusi (ma non definiti), tanto più quando – come nel caso in esame – la legge non appaia mossa dall’intento di influire sui giudizi in corso.
[13] GAZZONI F., Manuale di diritto privato, 2001, 43, il quale chiarisce anche che il superamento del limite può essere fatto valere quando la nuova legge incide direttamente sul fatto costitutivo del diritto, mentre è sempre possibile incidere sulle situazioni effettuali non completamente esaurite. Può parlarsi di fatto compiuto, esaurito o non esaurito. Così, ad esempio, la legge sul divorzio è stata ritenuta applicabile anche ai matrimoni concordatari celebrati prima dell’entrata in vigore della legge stessa, in quanto la disciplina da essa dettata non attiene all’atto costitutivo del matrimonio o alla sua regolamentazione, né incide sulla sua validità, ma riguarda gli effetti dell’atto quali regolati dal codice civile.
[15] CIATTI A., op. cit., 169: si deve finalmente concludere nel senso che si deve presupporre la sussistenza della libertà contrattuale: essa costituisce un’epifania del più generale potere riconosciuto ai singoli di dare sviluppo alla propria personalità, attraverso la creazione di legami sociali che alcuni intendono ricondurre all’art. 3, secondo comma Cost. Questi vengono tuttavia muniti di coattività, così da assurgere al rango di rapporti giuridici, soltanto nella misura in cui essi non si trovino in contrasto con i principi positivamente indicati nell’art. 41, secondo comma, ove si richiamano i valori di libertà e dignità umana contenuti nell’art. 2, e quelli desumibili ab implicito dall’ordinamento comunitario.
[16] Cass. civ., Sentenza 06/10/2011, n. 20445: Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall’esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto “ex lege” dall’art. 1458 cod. civ. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell’onere della forma scritta “ad substantiam”. In ordine al mutuo dissenso della divisione non sembra che i recenti orientamenti in tema di mutuo dissenso impediscano ai privati una simile possibilità (in senso conforme, TRAPANI G. La divisione ordinaria o comune e la divisione ereditaria: regola ed eccezione nella circolazione dei terreni, rivista Studi e materiali CNN, 1/2005, 135). VILLANACCI G., In tema di forza dell’accordo risolutorio preliminare di compravendita immobiliare”, in Il Foro Padano, n. 4 /1990; Nazzaro A, Lo scioglimento volontario del contratto, Le Corti Fiorentine, vol. 1/2019, 17-32.
[17] MIRAGLIA C, La divisione ereditaria, Trattato breve delle successioni e donazioni diretto da P. Rescigno, 2010, 22. BONILINI G., voce Divisione, Digesto delle Discipline Privatistiche, sez civ. VI, 481: il quadro sinottico delle disposizioni in tema di divisione deve registrare la presenza di norme comuni alla divisione ordinaria ed a quella ereditaria (art 713 cod. civ; art. 1111 cod. civ.); di norme sulla divisione ordinaria applicabili anche a quella ereditaria (artt. 1113 e 1115 cod. civ.); di norme sulla divisione ereditaria estensibili alla divisione ordinaria (art. 757 cod. civ.; artt. 728-730 cod. civ; artt. 760-768 cod. civ.); di norme sulla divisione ereditaria che non possono applicarsi a quella ordinaria (artt. 733-735 cod. civ.).
[18] FORCHIELLI P. ANGELONI F., Divisione, Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, 2000, pag. 49.
[19] Gli Ermellini, a sezioni unite (Ordinanza n. 25021 del 7/10/2019) rivoluzionando il precedente orientamento della giurisprudenza che qualifica la divisione come atto mortis causa di natura di natura dichiarativa con effetto retroattivo, hanno ritenuto che si tratti di un negozio inter vivos frutto dello scambio di consensi dei condividenti e che la natura dichiarativa del contratto è un “dogma” senza fondamento. I giudici di legittimità rinvengono nella divisione una natura specificativa, attributiva.
[20] MIRAGLIA C, op. cit., 40: Miraglia chiarisce che la retroattività di un atto, è bene chiarire è concettualmente inconciliabile con la natura dichiarativa del medesimo; quest’ultima, infatti, designa che l’atto non modifica il rapporto giuridico su cui incide ma lo chiarire, lo accetta, attraverso la specificazione dei suoi elementi incerti o controversi. L’accertamento è coerente con la situazione accertata, alla quale non dispiega alcuna efficacia retroattiva. Mediante quest’ultima, al contrario, il fatto modifica la situazione giuridica da un momento anteriore a quello in cui si è verificato, con la conseguenza di far venire meno gli effetti giuridici già prodottosi nel passato. Chi considera la divisione dichiarativa è costretto a reputare la retroattività come conseguenza naturale e logica di detta natura.
[22] BRANCA G, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1100-1139, 1982, 270 per il quale per effetto della divisione si determina con certezza il bene assegnato al condividente.
[23] MORA A., La divisione, Il Codice Civile Commentario fondato da P. Schlesinger e diretto da F. Busnelli, 2014, 58.
[25] AMADIO G. PATTI. S., La divisione ereditaria, Notariato e diritto di famiglia diretta da G. Laurini, 2013, 206.
[26] CAPOZZI G., Successioni e donazioni, tomo II, 2002, 695.
[27] AMADIO G. PATTI. S., op. cit.: si precisa che la retroattività è assoluta a condizione che si abbia una ripartizione dei beni comuni tra i condividenti in porzioni proporzionali alle rispettive quote. La regola non interviene quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua parte ideale in quanto rientranti nell’altra porzione. In questa ipotesi ha pronunzia divisionale ha sempre effetto traslativo costitutivo con efficacia ex nunc in relazione alla parte delle cose comuni che il titolare della corrispondente quota cede in cambio di corrispettivo. MIRAGLIA C, op. cit., 45: retroattività della divisione ha effetti limitati rispetto all’aspetto statico della titolarità dei beni divisi. Essa, pertanto, non cancella la comunione in quanto godimento, né incide su altri rapporti giuridici che nella comunione trovano la loro fonte regolatrice. Del pari, se i coeredi hanno costituito una servitù per destinazione del pater familias ed il bene è in seguito diviso, la divisione non altera la situazione di fatto insorta durante la comunione.
[31] MIRABELLI G., Dei contratti in generale, 1980, 288, per il quale l’effetto finale del contratto sarebbe quello di cui all’art. 1372 cod. civ. mentre quello negoziale all’art. 1321 cod. civ.
[32] MORA A., op. cit., 297; MIRAGLIA C, op. cit., 41: la retroattività, come detto, non ha un fondamento politico, ma tecnico.
[34] CASU G., in Voce accertamento negoziale, Dizionario Giuridico del Notariato, 2006, 11: il negozio di accertamento è il negozio giuridico atipico che la funzione di eliminare dubbi e possibili controversie su una situazione preesistente, per esso pertanto le parti pongono fine ad una lite, accertando la reale configurazione del rapporto controverso. (…) l’ammissibilità del negozio di accertamento la si ricava anche dalla previsione di norme che stabiliscono l’ammissibilità di accordi sull’onere della prova (art. 2698 cod. civ.).
[45] Si pensi anche alla condizione sospensiva che la figlia di uno degli assegnatari acceda alla facoltà di medicina dell’Università Cattolica. Nell’ipotesi in cui nella divisione ereditaria con tre beni ereditari (di cui due a Napoli ed uno a Roma) e tre coeredi, le parti hanno trovato l’accordo sulla ripartizione degli immobili solo subordinando il trasferimento dell’immobile all’esigenza concreta di uno dei coeredi di “utilizzare” il cespite in Roma per assicurare un alloggio alla figlia, una volta ammessa alla facoltà di medicina. Si rinvia a BARBERO D., voce op. cit.,1107.
[46] Cass. civ., 23/01/2017, n. 1656: In tema di divisione ereditaria, l’adempimento dell’obbligo di pagare il conguaglio agli altri condividenti, non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione e può essere soltanto perseguito dagli altri condividenti con i normali mezzi di soddisfazione del credito, restando comunque ferma la statuizione di divisione dei beni.
48 TRIMARCHI V. M., termine (diritto civile), Novissimo Digesto Italiano, IX, 100, nota 3
49 L’art. 1111 secondo comma c.c. riduce a dieci anni il patto di indivisione, ma le parti possono rinnovare il patto di dieci anni in dieci anni senza limiti (FEDELE A., La comunione,1986, 426).
50 CARUSI D., Condizione e termini, Trattato del Contratto Vincenzo Roppo a cura di M. Costanza, 2006, III, 275
51 MORA A., comunione e divisione ereditaria, Trattato di diritto delle successioni e donazioni a cura di G. Bonilini, 2009,236.
52 COSTANZA M., I contratti in generale, Trattato dei Contratti diretto da Pietro Rescigno ed Enrico Gabrielli, 2006, 1005. CAREDDA V., La questione dell’onere, 2024.