Il problema della mediazione obbligatoria sulla controversia oggetto di domanda riconvenzionale: la parola alle sezioni unite

Di Edoardo Borselli   -

Sommario: 1. La questione oggetto del rinvio pregiudiziale del 13 giugno 2023, n. 13193 disposto dal Tribunale di Roma; 2. Soluzioni elaborate con riferimento a precedenti e ulteriori ipotesi in cui si pone il problema del rapporto tra tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale e domanda riconvenzionale; 3. Le soluzioni proposte con riferimento alla mediazione obbligatoria; 4. Oggetto e finalità della mediazione; 5. Tipi di collegamento fra domanda riconvenzionale e domanda originaria e rilevanza sul piano della disciplina processuale; 6. Controllo sull’assolvimento della condizione di procedibilità e conseguenti provvedimenti del giudice; 7. Conclusioni.

 

 1.La questione oggetto del rinvio pregiudiziale del 13 giugno 2023, n. 13193 disposto dal Tribunale di Roma

Di fronte ai giudici di merito continua a porsi un problema spinoso, quello dell’obbligo di esperire il tentativo di mediazione obbligatoria sulle controversie oggetto di domanda riconvenzionale. Il d.lgs. 28/2010, infatti, non affronta la questione e non l’ha risolta neppure il legislatore dell’ultima riforma, di cui al d.lgs. 149/2022, nonostante abbia pesantemente messo mano anche alla disciplina della mediazione civile e commerciale. Così, di recente, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 13 giugno 2023 ha utilizzato il nuovo strumento del rinvio pregiudiziale alla Cassazione ex art. 363 bis c.p.c., per chiedere alla Corte suprema come debba comportarsi il giudice di primo grado quando, in un giudizio preceduto da mediazione svolta sulla controversia dedotta con la domanda originaria, viene proposta una domanda riconvenzionale avente ad oggetto una delle materie per cui l’art. 5, comma 1 c.p.c. (comma 1 bis prima della modifica apportata dal d.lgs. 149/2022) del d.lgs. 28/2010 prevede come condizione di procedibilità l’esperimento di un tentativo di mediazione. La Corte di cassazione ha ritenuto sussistenti tutti i requisiti di ammissibilità previsti dall’art. 363 bis c.p.c. (rilevanza della soluzione della questione ai fini del processo in corso, idoneità della stessa a porsi in numerosi giudizi[1] e sussistenza di gravi difficoltà interpretative non risolte dalla Cassazione) e ha assegnato il fascicolo alle sezioni unite, data la natura trasversale delle materie previste dall’art. 5, comma 1 d.lgs. 28/2010, che rientrano nella competenza di diverse sezioni della Corte[2].

La fattispecie che ha dato origine al rinvio pregiudiziale è la seguente: il ricorrente domandava la risoluzione di un contratto di locazione di un immobile; in via riconvenzionale, condizionatamente all’accoglimento della domanda originaria, il convenuto chiedeva la condanna alla restituzione del deposito cauzionale versato.

Nell’ordinanza il tribunale romano prospetta alcune possibili soluzioni interpretative; in particolare, il giudice potrebbe: 1) disporre l’invio in mediazione dell’intera controversia, posto che l’oggetto della prima mediazione è solo parziale. L’onere di attivare la mediazione dovrebbe restare a carico dell’attore dato che la conseguenza della sua mancata instaurazione sarebbe l’improcedibilità di tutte le domande; 2) disporre l’invio in mediazione dell’intera controversia ma porre l’onere a carico del convenuto, con la precisazione che, se questi non attiva il procedimento, è dichiarata improcedibile solo la riconvenzionale. Tale interpretazione sarebbe avallata dal dato letterale (in particolare l’art. 5 del decreto 28/2010 quando afferma che deve tentare la via stragiudiziale «chi intende esercitare in giudizio un’azione») e sarebbe in linea con la soluzione offerta da Cass. 18 gennaio 2006, n. 830[3] in materia di contratti agrari; 3) non disporre la mediazione e dichiarare subito improcedibile la domanda riconvenzionale, in quanto il convenuto non avrebbe soddisfatto l’onere gravante su di lui di introdurre la riconvenzionale già nel procedimento stragiudiziale. Tale interpretazione asseconderebbe fra l’altro la parità di trattamento tra le parti; 4) non disporre la mediazione in quanto sarebbe sufficiente il procedimento già svolto. Questa soluzione risulterebbe conforme al principio di ragionevole durata del processo e al diritto d’azione garantito dall’art. 24 Cost. In un «obiter dictum» il Tribunale di Roma si sofferma sull’ampliamento non (solo) oggettivo, ma soggettivo del processo (ipotesi che tuttavia non ricorre nella fattispecie trattata). A tale riguardo propone l’interpretazione per cui il giudice dovrebbe in questo caso sempre rinnovare la mediazione dato che la lite si arricchisce di parti nuove, che sono portatrici di interessi diversi.

 2.Soluzioni elaborate con riferimento a precedenti e ulteriori ipotesi in cui si pone il problema del rapporto tra tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale e domanda riconvenzionale

Il problema della compatibilità fra filtri di accesso alla tutela giurisdizionale e domande proposte in corso di causa è risalente e assai diffuso, essendosi posto e continuando a porsi in numerosi contesti. È dunque utile fornirne una breve panoramica, mettendo in luce le caratteristiche delle singole ipotesi e le soluzioni elaborate.

Con riferimento ai contratti agrari, l’art. 46 l. 203/1982 prevedeva prima e l’art. 11 d.lgs. 150/2011 prevede oggi che «chi intende  proporre  in  giudizio  una  domanda  relativa  a  una controversia in  materia  di  contratti  agrari  è  tenuto  a  darne preventivamente  comunicazione,  mediante  lettera  raccomandata  con avviso di ricevimento, all’altra parte e all’ispettorato  provinciale dell’agricoltura competente per territorio». A tale attività segue una procedura stragiudiziale volta a tentare il raggiungimento di un accordo di risoluzione stragiudiziale della controversia. La giurisprudenza della Corte di cassazione da sempre interpreta questa condizione come riferita non solo alla domanda originaria, ma anche a quella riconvenzionale[4].

Tuttavia, a dispetto dell’enunciazione della regola generale, la Suprema Corte ha precisato che non è necessario far precedere un nuovo tentativo di conciliazione alla domanda proposta in corso di causa, quando quest’ultima non determina né ampliamento soggettivo né ampliamento oggettivo della controversia, perché le questioni su cui tale domanda si fonda sono comuni a quelle oggetto della domanda originaria e dunque sono state già discusse in sede di tentativo di conciliazione[5].

È da notare che, per come è disegnato, il tentativo di conciliazione pare necessariamente precedere la proposizione della domanda giudiziale e che la procedura stragiudiziale non può essere «recuperata» in corso di processo, a seguito dell’intervento del giudice[6]. Siamo dunque in presenza di una condizione di proponibilità[7] e non di procedibilità della domanda o, detto altrimenti, se si vogliono utilizzare le categorie processualistiche tradizionali, di un presupposto processuale non sanabile, diversamente dal tentativo di mediazione obbligatoria, il cui svolgimento – che, pur doveroso, non si è tenuto – può essere disposto dal giudice anche in corso di giudizio, una volta che la domanda è già stata proposta[8].

Un problema simile si era posto con l’art. 22 l. 990/1969 (oggi abrogato dal d.lgs. 209/2005), che prevedeva che l’azione risarcitoria per danni causati da veicoli e natanti, per i quali vi fosse obbligo di assicurazione, potesse essere proposta solo dopo aver inviato richiesta all’assicuratore tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento e dopo aver atteso che fossero trascorsi sessanta giorni. Di nuovo ci si chiedeva se questa condizione di proponibilità dell’azione (ancora una volta si era di fronte a un procedimento considerato necessariamente pre-processuale[9]) valesse solo per le domande originarie ovvero anche per quelle riconvenzionali. Le sezioni unite della Cassazione, pure in questo settore, avevano avallato l’interpretazione estensiva[10].

Anche per poter promuovere un’azione giudiziale su di una controversia di lavoro, poi, era previsto l’obbligo di esperire preventivamente un tentativo di conciliazione. Questo obbligo generale è oggi venuto meno e continua a valere solo per singole fattispecie (giudizi aventi ad oggetto la nullità di licenziamenti per motivi discriminatori ai sensi della l. 108/1990 e giudizi aventi ad oggetto contratti di lavoro «certificati» di cui agli artt. 75 ss. d.lgs. 276/2003). La disciplina era più simile, qui rispetto ai due casi precedentemente menzionati, a quella della mediazione obbligatoria, posto che il mancato esperimento del tentativo di conciliazione era trattato alla stregua di un vizio sanabile relativo a un presupposto processuale[11]: il giudice, ai sensi dell’art. 412 bis c.p.c., disponeva (non un mero rinvio dell’udienza come nel d.lgs. 28/2010 ma comunque) la sospensione del processo, invitando le parti a introdurre il procedimento stragiudiziale.

Anche qui si poneva con particolare enfasi il problema dell’assoggettabilità delle domande proposte in corso di causa – e in special modo di quella riconvenzionale – alla condizione di procedibilità[12]. La dottrina maggioritaria offriva risposta negativa, facendo leva soprattutto sull’incompatibilità fra la finalità dell’istituto, pensato per deflazionare il contenzioso, e la sua applicazione in ipotesi in cui ormai un processo era già pendente[13]. Vi era però chi sosteneva che, nonostante fossero condivisibili le ragioni pratiche di chi propugnava la tesi restrittiva, in assenza di espressa esclusione normativa, non si sarebbe potuto evitare il tentativo obbligatorio di conciliazione rispetto alla domanda riconvenzionale, anche perché ragionando in quel modo – ritenendo cioè sussistente un’esenzione per le domande proposte in corso di causa – sarebbe risultata priva di senso la correlazione (che invece la legge presupponeva) fra l’oggetto del tentativo e l’oggetto della domanda: nell’istanza di conciliazione sarebbe bastato affermare che vi era disaccordo fra le parti[14].

Ci sono infine dei casi in cui è direttamente la legge ad occuparsi del problema del rapporto tra i filtri di accesso alla tutela giurisdizionale e le domande riconvenzionali: in queste ipotesi è prevista un’espressa esclusione dell’esperimento del previo tentativo di composizione concordata[15].

Così avviene in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni e utenti, dove in base all’art. 2 del regolamento approvato con delibera 173/07/CONS, l’utente non è tenuto a esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com, previsto dagli artt. 3 ss. del medesimo regolamento, «per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 641 c.p.c. e ss.» (corsivo aggiunto).

Ampliando il campo di indagine e andando a vedere come è trattato il problema in altri Paesi, si osserva che anche in Germania è prevista, in via generale, un’espressa esclusione normativa. Il § 15a della Gesetz betreffend die Einführung der Zivilprozessordnung (EGZPO) – la legge di introduzione della ZPO – prevede al primo comma che i Länder possano istituire, per determinati procedimenti, ipotesi di conciliazioni stragiudiziali che la parte di una controversia deve necessariamente sperimentare prima di adire l’autorità giudiziaria. Il comma 2 istituisce delle deroghe espresse a tale previsione. In particolare il n. 1 afferma l’esclusione per le domande riconvenzionali e le domande da presentare entro un termine stabilito dalla legge o dal giudice[16]. Esattamente come la nostra dottrina, anche quella tedesca ritiene che l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, pensato per deflazionare il contenzioso giudiziale[17], consista in un presupposto processuale (Prozessvoraussetzung)[18], mentre è discusso se debba necessariamente sussistere al momento della proposizione della domanda o possa essere recuperato, tramite un meccanismo di sanatoria, in corso di giudizio[19].

3.Le soluzioni proposte con riferimento alla mediazione obbligatoria

Veniamo allora al rapporto fra tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5 d.lgs. 28/2010 e domanda riconvenzionale.

All’interno della giurisprudenza di merito si rinvengono due diversi orientamenti. Il primo propugna la soluzione restrittiva: esclude cioè che il giudice debba rinviare l’udienza di prima comparizione per permettere l’espletamento della mediazione obbligatoria sulla controversia dedotta in giudizio dal convenuto con la propria domanda riconvenzionale. L’attenzione si concentra in particolare sulle riconvenzionali c.d. «inedite», quelle aventi ad oggetto pretese dedotte in giudizio senza prima essere state discusse in mediazione. Le ragioni per le quali si ritiene preferibile la tesi restrittiva sono tutte elencate in una delle prime decisioni[20] che si sono occupate della questione; in particolare si dice che: 1) l’esperimento di un tentativo di conciliazione stragiudiziale non sortirebbe l’effetto di chiudere il processo in corso; 2) si allungherebbero i tempi di definizione del giudizio (in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo consacrato dall’art. 111 Cost.); 3) il tentativo di mediazione non avrebbe mai modo di essere esperito in via preventiva; 4) l’art. 5 d.lgs. 28/2010 prevede che l’improcedibilità sia eccepita dal «convenuto», in tal modo evidenziando che la stessa si riferisce solo alle domande dell’attore; 5) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio (art. 24 Cost.), non possono essere interpretate in senso estensivo; 6) occorre evitare che la parte convenuta formuli domande riconvenzionali a scopo dilatorio; 7) l’interpretazione restrittiva è conforme alla normativa europea (in particolare alla direttiva 2008/52/CEE)[21].

Il secondo orientamento afferma invece che anche la domanda proposta in via riconvenzionale è soggetta alla condizione di procedibilità di cui all’ art. 5 d.lgs. 28/2010. Anche qui la soluzione è supportata da una serie di argomenti: 1) il tentativo di mediazione è analogo al tentativo di conciliazione in materia agraria, rispetto al quale è pacifica l’estensione anche alla riconvenzionale, b) l’argomento letterale, che fa leva sulla possibilità di sollevare l’eccezione di improcedibilità solo da parte del convenuto, è poco convincente poiché, da un lato, nella riconvenzionale è l’attore ad essere convenuto sostanziale e, dall’altro, la circostanza che l’improcedibilità possa essere eccepita sino alla prima udienza fa propendere per l’estensione della legittimazione a proporre la relativa eccezione anche all’attore, c) accogliere la tesi contraria determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra attore e convenuto d) una volta proposta domanda riconvenzionale, è verosimile che il nuovo assetto di interessi possa indurre le parti a riconsiderare l’ipotesi conciliativa[22]. All’obiezione per cui congelando il processo in attesa dello svolgimento del procedimento di mediazione si ritarderebbe la tutela giurisdizionale dell’attore, poi, si replica che il giudice potrebbe far sempre uso del potere di separazione ex art. 103, comma 2, c.p.c.[23]

L’analisi della giurisprudenza mostra come sia variegato il ventaglio delle vicende processuali che possono dare origine alla questione dell’assoggettabilità della domanda riconvenzionale proposta in corso di giudizio alla condizione di procedibilità prevista dall’art. 5, comma 1 bis (ora comma 1) d.lgs. 28/2010. In primo luogo tale questione può porsi nei casi in cui prima dell’avvio del processo non era stata svolta alcuna mediazione. Questa situazione può verificarsi a sua volta in ipotesi diverse: perché, ad esempio, nei primi mesi di applicazione dell’istituto, la domanda originaria era proposta prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 28/2010 e quella riconvenzionale dopo tale momento[24], oppure perché l’oggetto della controversia fatta valere in via originaria non rientra fra quelli menzionati dall’art. 5, comma 1 bis c.p.c.[25], o ancora perché ricorre una delle ipotesi di esclusione di cui all’art. 5 comma 6 d.lgs. 28/2010[26], o infine perché la parte che ha aperto il giudizio, illegittimamente, non ha attivato il previo tentativo obbligatorio di mediazione[27]. In secondo luogo il problema in esame può porsi – ed è il caso più problematico – anche nei casi in cui prima della proposizione della domanda riconvenzionale si era già sperimentato un procedimento di mediazione attivato dall’attore[28].

Anche la dottrina appare schierata su due diversi fronti, sebbene risulti di gran lunga più nutrita la cerchia di coloro che ritengono che l’obbligo del tentativo di mediazione non trovi applicazione rispetto alla domanda riconvenzionale[29]. Alcune delle ragioni a sostegno di tale tesi sono quelle già incontrate nell’analisi della giurisprudenza: in particolare, oltre all’argomento fondato sulla lettera dell’art. 5 d.lgs. 28/2010[30], molto si insiste sulla necessità di evitare una dilatazione irragionevole della durata del processo e di interpretare la norma che condiziona l’accesso alla tutela giurisdizionale in maniera restrittiva, in modo tale da renderla conforme al dettato costituzionale e in particolare all’art. 24. Si fa poi riferimento alla necessità di non creare disparità di trattamento fra l’attore – che sarebbe sempre soggetto al preventivo onere della mediazione – e il convenuto – che invece potrebbe proporre direttamente la domanda senza alcun passaggio preventivo. Non mancano poi considerazioni di carattere più pratico: si afferma la necessità di evitare che il convenuto faccia un uso strumentale della domanda riconvenzionale, al fine di dilatare il tempo di definizione del processo, lucrando sul rinvio disposto per consentire lo svolgimento del procedimento di mediazione, e si osserva che, sperimentata una volta la via della conciliazione stragiudiziale, è improbabile che le parti raggiungano un accordo al secondo tentativo[31].

È inoltre importante notare come in dottrina vi siano spinte a considerare un aspetto ulteriore, che ha fatto talvolta capolino anche nella giurisprudenza relativa alle controversie in tema di contratti agrari: per stabilire se disporre un nuovo invio in mediazione a seguito della proposizione della domanda riconvenzionale, il giudice dovrebbe valutare il legame che intercorre fra quest’ultima e la domanda originaria, perché la presenza di una connessione forte significa che le questioni poste alla base della domanda nuova sono già state o hanno già avuto modo di essere discusse nel processo di mediazione.

Questo profilo viene poi declinato in maniera diversa: vi è chi sostiene che sono esentate dal filtro della mediazione quelle domande riconvenzionali che presentano le forme di connessione menzionate dall’art. 36 c.p.c. (dipendenza dal titolo dedotto dall’attore o dal titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione)[32] e chi invece, sulla scorta di alcune suggestioni fornite da una parte della giurisprudenza nel settore agrario[33], ritiene che quando la vicenda su cui si fondano le due controversie («il teatro della controversia») è la stessa, non è necessario procedere ad un nuovo tentativo di mediazione[34].

Lo spunto offerto è di grande interesse e impone di considerare due profili: a) l’individuazione dell’oggetto della mediazione, che serve a chiarire qual è il perimetro delle questioni di cui le parti hanno discusso e b) le tipologie di legame che possono intercorrere fra la domanda riconvenzionale e quella originaria, che possono fornire utili indizi per valutare se la controversia portata in giudizio con la riconvenzionale era emersa o comunque era suscettibile di emergere già nel corso della mediazione svolta.

4. Oggetto e finalità della mediazione

Cominciamo esaminando il primo punto. Per capire su cosa si è svolta la mediazione occorre interrogarsi su quale sia il suo oggetto e come lo si individui.

In premessa è opportuno ricordare che la mediazione, anche quando costituisce condizione di procedibilità di una domanda giudiziale, non rappresenta una fase pre-processuale in cui comincia a gravare sull’istante l’onere di allegare i fatti costitutivi o le prove e sulla controparte l’onere di prendere posizione su tali fatti, sollevare eccezioni o proporre domande riconvenzionali. Il legislatore ha scelto di costruire un procedimento flessibile[35], il più possibile sganciato dagli oneri, dalle preclusioni e in generale dalle rigidità tipiche del processo che si svolge davanti all’autorità giudiziaria. Tale scelta risponde pienamente allo spirito e allo scopo della mediazione, che è la sede deputata non ad attribuire diritti soggettivi ai soggetti cui spettano, ma a comporre gli interessi retrostanti, di cui sono portatrici le parti[36].

In deroga alla regola generale espressa dall’art. 3, comma 3 d.lgs. 28/2010 per cui «gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità», ci sono delle situazioni in cui sono richieste invece forme determinate, ma questo avviene del tutto eccezionalmente, quando un atto del procedimento è deputato a produrre all’esterno degli effetti a) sostanziali o b) processuali (intesi come quelli destinati a incidere sul processo che le parti instaureranno una volta conclusasi senza successo la via stragiudiziale). In particolare, quanto al profilo sub a) si fa riferimento al fatto che la domanda di mediazione, a mente, oggi, dell’art. 8, comma 2 e, prima della riforma introdotta con il d.lgs 149/2022, dell’art. 5, comma 6, d.lgs. 28/2010 produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale e impedisce per una volta la decadenza. Dal momento che gli effetti sostanziali in parola conseguono ad atti che devono assicurare l’esatta individuazione del diritto, è evidente che in questo caso la redazione della domanda di mediazione deve tener conto di questa finalità[37]. Per quanto riguarda gli effetti processuali, invece, l’irrigidimento nel confezionare la domanda di mediazione – si dice comunemente – è funzionale, soprattutto, alla valutazione dell’assolvimento della condizione di procedibilità[38]. Ora, siccome l’art. 4, comma 2, d.lgs. 28/2010 afferma che l’istante deve indicare, oltre all’organismo, «le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa», viene spontaneo instaurare un parallelismo con i requisiti previsti dall’art. 163 c.p.c. per l’atto di citazione in giudizio.

L’estensione delle categorie processuali sul modo di confezionare l’atto introduttivo del procedimento di mediazione è sicuramente in grado di tranquillizzare l’interprete, che può contare su concetti e schemi familiari, e in particolare facilita il giudice nel controllo dell’assolvimento della condizione di procedibilità, poiché gli consente di verificare agevolmente la corrispondenza fra l’oggetto della mediazione e quello del giudizio instaurato davanti a lui. Non c’è dubbio che l’atto introduttivo della mediazione debba essere redatto in modo tale che l’altra parte e il mediatore siano messi nella condizione di sapere su cosa verte la controversia, tuttavia una sua «processualizzazione» non risponderebbe alla natura e alle finalità dell’istituto. Peraltro, anche se si ammettesse che questo procedimento prende avvio attraverso il rigido binario dell’atto introduttivo simil-citazione, resta il fatto che nel successivo svolgimento non sussiste alcuna limitazione oggettiva: non sono pensabili limiti o preclusioni alla modifica della domanda, all’allegazione di ulteriori fatti e nemmeno all’introduzione di domande del tutto nuove. Del resto è affermazione comune quella per cui nel procedimento di mediazione non trova applicazione il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato[39]. Pertanto, come si può arrivare ad un mancato accordo o ad un accordo parziale, senza avere omissione di pronuncia o infra-petizione, allo stesso modo le parti possono accordarsi su una controversia diversa rispetto a quella su cui avevano attivato la procedura o a concludere accordi su più controversie, senza che si possa invocare una qualche invalidità da extra- o ultra-petizione.

È evidente che se l’accordo si conclude, non si pongono problemi in punto di rispetto della condizione di procedibilità. Se invece non si conclude, il giudice dovrebbe del tutto disinteressarsi della circostanza che nel corso della mediazione, se si è svolta effettivamente, le parti hanno avuto modo di discutere di tutte le controversie che intercorrono fra loro? La risposta negativa è talvolta giustificata dall’affermazione per cui il giudice, nel valutare il rispetto della condizione, non dovrebbe tanto guardare all’atto introduttivo della mediazione, quanto ai verbali, che dovrebbero dar conto degli eventuali ampliamenti oggettivi che sono intercorsi[40]. Il problema sta nel fatto che nella prassi i verbali con cui il mediatore certifica il mancato raggiungimento dell’accordo sono estremamente sintetici e non contengono informazioni di questo tipo, vuoi perché in questo modo si pensa di rimanere più fedeli al dovere di riservatezza, vuoi perché si vuole evitare che le parti si irrigidiscano e si mettano a discutere sul contenuto delle attestazioni da inserire nel verbale negativo, che verrà utilizzato nel successivo processo.

In conclusione sul punto occorre osservare che il giudice, quando valuta il rispetto della condizione di procedibilità, deve svolgere un controllo tutt’altro che formale, senza andare alla ricerca di una perfetta sovrapposizione fra oggetto della domanda di mediazione e oggetto del processo[41].

Ciò che davvero serve perché un tentativo di conciliazione abbia modo di condurre ad un accordo è che le parti si siedano al tavolo informate e prendano sul serio l’opportunità di una composizione stragiudiziale della lite. È questo che il giudice deve verificare: in poche parole che il tentativo si sia volto in maniera effettiva[42]. La bontà di questo approccio è testimoniata dal fatto che il giudice nel corso del giudizio può sempre disporre l’invio delle parti in mediazione, traendo gli indici di conciliabilità della lite dalla natura della causa, dallo stato dell’istruzione, dal comportamento delle parti e, dopo il d.lgs. 149/2022, da ogni altra circostanza (art. 5 quater d.lgs. 28/2010). Da questa norma si ricava un’ulteriore conferma di quanto qui sostenuto: inviare di nuovo in mediazione è sensato semmai quando ricorre uno di tali indici, piuttosto che allo scopo di assicurare in maniera del tutto formalistica il rispetto della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, commi 1 e 2.

Si tratta ora di vedere come queste affermazioni di principio si calino nell’ipotesi della domanda riconvenzionale.

5. Tipi di collegamento fra domanda riconvenzionale e domanda originaria e rilevanza sul piano della disciplina processuale

L’art. 36 c.p.c., come noto, afferma che «il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione (…)». La norma, insomma, cita due tipologie di legame che possono correre fra le due cause. A fronte del dato testuale, dobbiamo chiederci in primo luogo cosa si intenda con tali locuzioni e, successivamente, se la domanda riconvenzionale sia proponibile anche in ipotesi ulteriori rispetto a quelle espressamente menzionate.

Quando l’art. 36 c.p.c. parla di domanda che dipende dal titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione fa riferimento a un nesso di connessione per pregiudizialità-dipendenza. Infatti – spiega la dottrina – il convenuto, anziché limitarsi a utilizzare un fatto-diritto[43] modificativo, estintivo o impeditivo come eccezione volta a paralizzare la pretesa avversaria, chiede al giudice di accertarne la sussistenza con autorità di cosa giudicata[44]; quando invece parla di domanda dipendente dal titolo già dedotto dall’attore fa riferimento, secondo l’interpretazione maggioritaria e facente capo a Chiovenda[45], a un’ipotesi di connessione più ampia di quella consistente nella identità di causa petendi, potendo trattarsi anche di un legame che corre non fra un unico rapporto bilaterale, ma fra rapporti o situazioni plurimi, che siano però implicati nell’esercizio delle azioni.

Passando al secondo punto, merita segnalare che la giurisprudenza, con orientamento ormai granitico, ritiene che il convenuto possa proporre una domanda riconvenzionale anche non connessa per uno dei motivi espressamente menzionati dall’art. 36 c.p.c., purché presenti un «collegamento oggettivo» con la domanda principale e non sia di competenza di altro ufficio giudiziario. In questo caso è riservato però al giudice il potere discrezionale di vagliare l’utilità del processo simultaneo, il quale lo deve esercitare tenendo conto dell’esigenza di ragionevole durata del giudizio da una parte e del principio di economia processuale dall’altra[46].

In sostanza, tralasciando ulteriori approfondimenti su tali operazioni interpretative, risulta che tramite la domanda riconvenzionale possono fare ingresso nel processo un’ampia gamma di situazioni giuridiche[47].

a) Il convenuto potrebbe dedurre un rapporto pregiudiziale a quello oggetto della domanda originaria[48]: si pensi al caso in cui, a fronte della richiesta di adempimento di un credito contrattuale, il convenuto proponga domanda di impugnativa del contratto da cui scaturisce tale credito, oppure a fronte di richiesta di risarcimento del danno cagionato a un bene, il convenuto chieda l’accertamento della sua proprietà sul bene danneggiato[49].

b) Nel caso opposto la domanda riconvenzionale potrebbe avere ad oggetto il diritto dipendente rispetto a quello dedotto in via originaria. Ad esempio, proposta dall’attore domanda di annullamento del contratto, il convenuto chieda, oltre al rigetto di questa, l’esecuzione del contratto[50].

c) Le due domande potrebbero poi avere in comune (magari anche parzialmente) la causa petendi non contestata: classico esempio è quello in cui ciascuna parte di un contratto sinallagmatico chiede, chi in via originaria, chi in via riconvenzionale, l’esecuzione dell’altrui prestazione[51].

d) Potrebbe inoltre avvenire che le due domande siano legate da connessione per identità di petitum, come nel caso in cui in cui sia l’attore che il convenuto chiedano l’accertamento del proprio diritto di proprietà su uno stesso bene[52].

e) Infine si danno ipotesi in cui le domande sono legate da nessi molto blandi, che non rappresentano fattispecie specifiche di connessione, ma che sono invece suscettibili di essere incasellate talvolta nella nozione ampia di titolo cui fa riferimento l’art. 36 c.p.c. secondo l’interpretazione corrente, talvolta nella generica nozione di collegamento obiettivo[53].

Stante l’eterogeneità dei legami che possono sussistere fra le due situazioni giuridiche è possibile che la domanda riconvenzionale si ponga in rapporto di incompatibilità o di compatibilità con quella originaria[54]. La seconda ricorre quando le domande sono entrambe suscettibili di essere accolte. La prima, invece, si ha quando l’accoglimento dell’una comporta necessariamente il rigetto dell’altra; è tipica del caso in cui le due domande esibiscano la connessione per identità di oggetto, e, solitamente, anche per pregiudizialità-dipendenza[55]. Ci sono però casi in cui il diritto dipendente entra nel processo tramite la proposizione di una domanda riconvenzionale c.d. consequenziale, proposta cioè, in via condizionata, proprio per il caso in cui quella originaria venga accolta[56].

La forza del legame ha, secondo la dottrina, delle conseguenze sulla disciplina processuale, nel senso che laddove le domande sono incompatibili o sono in rapporto di pregiudizialità-dipendenza, il giudice non può far uso del potere di separazione che gli è attribuito dagli artt. 103, comma 2, 104, comma 2 e 279, comma 2 n. 5 c.p.c. Lo stesso dovrebbe valere per il caso in cui siano state dedotte in giudizio le prestazioni dirimpettaie di un contratto sinallagmatico (nell’ipotesi di connessione per identità di causa petendi)[57]. Non solo: sempre secondo una parte della dottrina e secondo la giurisprudenza, la presenza di una forma di connessione più blanda rispetto a quelle prese espressamente in considerazione dall’art. 36 c.p.c. suggerisce al giudice di vagliare l’ammissibilità della domanda riconvenzionale soppesando l’esigenza di economia processuale, che spinge per la formazione del processo cumulativo, e quella di ragionevole durata del processo, che spinge invece per l’inammissibilità della proposizione della riconvenzionale all’interno del giudizio in corso[58].

In conclusione sul punto, ciò che interessa ribadire è che il tipo di legame che sussiste fra le due domande gioca un ruolo fondamentale nell’interpretazione delle regole del processo e questo vale, per i motivi e nei limiti che si vedranno, anche per quanto riguarda il problema della mediazione obbligatoria di cui ci si sta occupando.

6. Controllo sull’assolvimento della condizione di procedibilità e conseguenti provvedimenti del giudice

Poste queste premesse, è possibile tirare le fila del discorso.

Si è detto che quando il tentativo di risoluzione stragiudiziale della controversia è già stato esperito, il giudice, nel momento in cui verifica il rispetto della condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 del d.lgs. 28/2010, deve valutare se le parti hanno tentato in maniera seria di risolvere la loro controversia in via stragiudiziale, senza pretendere di vagliare la corrispondenza precisa fra le situazioni giuridiche discusse in mediazione e i diritti fatti valere in giudizio[59].

Con riferimento al caso in cui sia proposta domanda riconvenzionale nel giudizio, il giudice deve chiedersi se sulla relativa controversia le parti abbiano già avuto modo di discutere nel corso della mediazione attivata dall’attore prima dell’instaurazione del processo. La risposta deve tener conto del tipo di legame che intercorre fra la domanda principale e quella riconvenzionale[60]. Un legame intenso legittima a concludere che o la controversia oggetto della riconvenzionale sia emersa nel corso della mediazione o, se così non è stato, il convenuto abbia escluso consapevolmente che vi fosse margine per risolvere la contesa in via amichevole[61]. Ad esempio, non è ragionevole pensare che un tentativo di conciliazione sulla pretesa di corresponsione del prezzo di un contratto di compravendita sia condotto dimenticando la pretesa di consegna del bene nascente dal medesimo contratto. Allo stesso modo un tentativo di conciliazione relativo al pagamento dei canoni locatizi insoluti difficilmente lascia del tutto da parte il tema della invalidità del contratto di locazione. Ancora, un tentativo di conciliazione sulla richiesta di risarcimento per danneggiamento di un bene non può essere condotto escludendo o scordando il problema della titolarità di tale bene. Il fatto che in concreto le questioni menzionate possano non essere state effettivamente discusse nel corso della mediazione non ha rilevanza, considerato che sulle parti – come si è detto – non incombe alcun onere in questo senso. Ciò che rileva è che quella sede fosse idonea a far emergere tali questioni[62]. Dagli esempi risulta che la connessione per pregiudizialità-dipendenza o per reciproca interdipendenza esclude nettamente la plausibilità che una controversia sia risolta in giudizio e l’altra sia composta tramite un accordo stragiudiziale, dal momento che la soluzione di una ha delle dirette conseguenze anche sulla soluzione dell’altra[63].

Anche quando fra la domanda originaria e quella riconvenzionale sussiste un «collegamento oggettivo» diverso da quelli appena menzionati, è però altrettanto probabile che la mediazione già esperita abbia rappresentato la sede idonea per l’emersione e la discussione della controversia collegata. Si pensi al caso in cui l’attore chieda la regolazione dei confini del proprio fondo e il vicino convenuto chieda l’accertamento di un suo diritto di passaggio sulla proprietà dell’attore. È evidente che le parti, quando decidono di raggiungere un accordo stragiudiziale, compiono una valutazione globale sulla convenienza del medesimo e difficilmente intendono limitare il perimetro della composizione amichevole ad una sola delle questioni.

In entrambi i casi, dunque, il giudice non deve disporre un nuovo tentativo di mediazione, posto che quello già effettuato ha soddisfatto le esigenze cui era preposto.

Il giudice dovrebbe invece inviare le parti in mediazione nelle ipotesi in cui il legame fra le due domande risulta particolarmente labile. Ad esempio, per rimanere nell’ambito delle cause che presentano un «collegamento oggettivo», si potrebbe pensare all’ipotesi in cui in via originaria sia dedotto il diritto di un condomino di usare esclusivamente una parte condominiale e in via riconvenzionale sia chiesto il risarcimento del danno cagionato ad una proprietà esclusiva da infiltrazioni per mancata manutenzione di tale parte comune: qui è possibile ritenere che la mediazione svolta sulla prima domanda non rappresenti la sede per discutere di una controversia – quella sulla seconda – la cui soluzione non andrebbe in alcun modo a incidere sul contenuto del preteso diritto del convenuto. Ancora, se si ammettono domande riconvenzionali solo soggettivamente connesse con quella originaria[64], bisogna ritenere che la mediazione effettuata su quest’ultima può non essere la sede per discutere di controversie del tutto estranee.

Qui il problema diventa quello di stabilire se la nuova mediazione debba riguardare entrambe le controversie oppure solo quella oggetto della domanda riconvenzionale. La soluzione da preferire è la prima dal momento che una volta che quest’ultima è stata proposta, è difficile che le parti, nel valutare la convenienza di un accordo, possano prescindere da una valutazione globale, che tenga conto di tutte le controversie pendenti in giudizio. Il giudice deve quindi rinviare la prima udienza in modo tale da consentire lo svolgimento del procedimento[65]. La base normativa di questa soluzione è rappresentata dall’art. 5, comma 1, rispetto alla domanda riconvenzionale e dall’art. 5 quater (art. 5, comma 2 prima del d.lgs. 149/2022) d.lgs. 28/2010, che prevede la mediazione demandata, rispetto alla domanda originaria. Solo nel caso in cui la causa originaria sia già matura per la decisione, il giudice deve probabilmente disporre la separazione, decidere su quella e inviare le parti in mediazione unicamente sulla riconvenzionale, per rispettare il principio di ragionevole durata del processo, qui emergente in maniera particolarmente evidente rispetto alla causa pronta per la decisione.

Quello che si è esaminato sin qui è il caso più problematico, poiché un primo tentativo di mediazione effettivo si è già svolto. Occorre però prendere in considerazione altre ipotesi, la cui soluzione si ricava in base alle premesse poste e grazie al confronto con il caso appena illustrato.

La prima alternativa è quella in cui non si sia svolta alcuna mediazione prima della proposizione della domanda originaria e che venga proposta una domanda riconvenzionale rientrante in una delle materie previste dall’art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010. Qui, a) se il mancato esperimento del tentativo antecedente al processo è illegittimo, nel senso che anche la materia oggetto della domanda originaria rientra fra quelle previste dalla norma appena citata, è evidente che il giudice dovrà disporre l’invio in mediazione con riferimento a tutte le domande. L’onere di attivare la mediazione sarà a carico di ambedue le parti, ma per evitare inutili formalismi, occorre ritenere che il primo che dà avvio il procedimento, assolve la condizione per entrambi[66]. Non ha senso pretendere che ciascuno debba aprire un procedimento, da riunire poi con l’altro. b) Se il mancato esperimento del tentativo di mediazione prima dell’apertura del processo è legittimo, poiché quella controversia fuoriesce dall’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 1, oppure si rientra in un’ipotesi di temporanea esenzione  di cui art. 5, comma 6, d.lgs. 28/2010, il giudice, in prima udienza, dovrà comunque disporre l’invio in mediazione e lo dovrà fare, per i motivi esposti sopra e con le modalità individuate, su tutta quanta la controversia[67].

La seconda possibilità è quella in cui, prima dell’apertura del processo, l’attore aveva invitato davanti al mediatore il convenuto, ma quest’ultimo non si era presentato. Qui è evidente che salta il ragionamento svolto per l’ipotesi principale trattata in questo paragrafo: non si può affermare che la prima mediazione ha rappresentato la sede in cui discutere anche della controversia collegata, dal momento che mancava la parte che l’avrebbe potuta far valere[68]. L’istituto, insomma, non ha avuto modo di svolgere la propria funzione e per questo motivo il giudice deve disporre l’invio in mediazione e lo deve fare sia con riferimento alla controversia oggetto della domanda riconvenzionale che di quella oggetto della domanda originaria, per le ragioni e secondo le modalità già precisate.

Infine, l’ultima possibilità: nel momento in cui il giudice valuta il rispetto della condizione di procedibilità prevista dall’art. 5, comma 2 d.lgs. 28/2010 rispetto alla domanda riconvenzionale proposta, si rende conto che la fattispecie costitutiva di quest’ultima si è svolta (o si è svolta per la maggior parte[69]) successivamente al procedimento di mediazione. Per ragioni del tutto evidenti, anche in questo caso è impossibile affermare che la mediazione ha costituito l’occasione per discutere della relativa controversia e dunque è necessario che il giudice disponga l’invio in mediazione (anche qui su entrambe le liti per le ragioni e nei modi visti sopra e già richiamati per le altre alternative).

7.Conclusioni

Si è visto che il problema del rapporto fra filtri di accesso alla tutela giurisdizionale e domande proposte in corso di causa si è posto con riferimento a svariate ipotesi in cui il legislatore ha previsto condizioni di proponibilità o di procedibilità della domanda. Generalmente tale problema non viene sciolto in via normativa e non fa eccezione neppure il caso della mediazione obbligatoria.

Con riferimento a quest’ultima la conclusione a cui si è giunti è che la soluzione non può essere la medesima per tutti i casi, poiché variano le vicende processuali e le fattispecie sostanziali che danno origine alla problematica esaminata. In ogni caso, nella valutazione circa l’assolvimento della condizione di procedibilità di cui all’art. 5 d. lgs. 28/2010, il giudice deve contemporaneamente verificare che: a) sia stato esperito un tentativo effettivo di mediazione sulla materia oggetto della domanda originaria; b) sussista tra quest’ultima e la domanda riconvenzionale un nesso tale per cui la mediazione svolta abbia rappresentato la sede idonea a far discutere le parti su entrambe le controversie. Solo se questa verifica dà esito negativo, è necessario disporre l’esperimento di un (se del caso ulteriore) tentativo di conciliazione; altrimenti il processo può proseguire. Una simile soluzione pare quella che meglio riesce a bilanciare il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e il diritto di agire in giudizio per la tutela dei diritti (art. 24 Cost.) da una parte e l’incentivo all’uso di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie dall’altra.

[1] A questo riguardo, nell’ordinanza di rinvio, viene precisato che la questione è suscettibile di porsi in numerosi futuri processi perché l’art. 5 d.lgs. 28/2010, anche a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 149/2022, continua a prevedere lo svolgimento della mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità e persiste il medesimo regime di rilevazione dell’eccezione di mancato esperimento del tentativo.

[2] Cfr. Cass. Provvedimento della Prima Presidente, 5 luglio 2023, n. 13193.

[3] Su cui v. infra, § successivo.

[4] Cfr., da ultimo, Cass., 11 novembre 2022, n. 33379, la cui massima recita: «In materia di contratti agrari, la “domanda”, in relazione alla quale va esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deve essere intesa nel significato onnicomprensivo di istanza volta al riconoscimento di un diritto o comunque alla tutela di un bene della vita avente scaturigine in un contratto agrario, non assumendo alcuna rilevanza, a tali fini, la sequenza procedimentale attivata (ordinaria o semplificata) o la modalità di proposizione seguita (in via principale o riconvenzionale)» e in passato, ex multis, Cass. 18 gennaio 2006, n. 830. Scettico verso una simile soluzione, anche se il tema viene affrontato solo incidentalmente, C. Consolo, Su una discutibile e due esatte delimitazioni giurisprudenziali della sfera di rilevanza del tentativo obbligatorio di conciliazione: un fardello da ridimensionare, in Riv. dir. agr., 1987, 163.

[5] Cfr., in questo senso, Cass., 26 maggio 2014, n. 11644 e Cass. 14 novembre 2008, n. 27255; sul punto v. anche G. Buffone, Diritto processuale della mediazione, in Giur. merito, 2011, 2351 s.

[6] Cfr. in questo senso, fra le altre, Cass. 15 luglio 2008, n. 19436 che afferma che qualora il giudice rilevi che prima della proposizione della domanda giudiziale non sia stato esperito alcun tentativo di conciliazione, deve pronunciare l’improcedibilità della domanda. In dottrina, cfr. ancora C. Consolo, Su una discutibile e due esatte delimitazioni, cit., 159 ss. che, con diverse note critiche, parla appunto di tentativo obbligatorio di conciliazione «pre-processuale».

[7] Cfr. al riguardo F. Carpi, Aspetti processuali della legge sui contratti agrari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1983, 971 s.; A. Petta, La mediazione obbligatoria nel giudizio oggettivamente complesso, in Giur. merito, 2012, 345.

[8] Ricostruisce il tentativo di mediazione come presupposto processuale sanabile F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie10, Milano 2019, 82.

[9] Sulla falsariga dell’art. 22 l. 990/1969 era poi stato costruito anche il comma 5 dell’art. 3 l. 281/1998 («Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti»), oggi abrogata dal d.lgs. 206/2005 («Codice del consumo»). Dal comma 2 al comma 4 del medesimo articolo era prevista per le associazioni dei consumatori la facoltà di promuovere un tentativo stragiudiziale di conciliazione, mentre al comma 5 era previsto l’obbligo, sempre per i medesimi soggetti, di inviare tramite raccomandata a.r. una richiesta di cessazione del comportamento lesivo, prima di proporre in giudizio l’azione inibitoria collettiva. Anche in questo caso si riteneva si trattasse di una condizione di proponibilità della domanda (cfr. I. Pagni, Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), in Aa. Vv., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (l. 30 luglio 1998 n. 281), Napoli 2000, 162; al medesimo scritto si rinvia anche per una panoramica di altre condizioni di proponibilità o procedibilità della domanda introdotte dal legislatore nel tempo: cfr. pag. 156 ss., spec. 158 s. testo e nt. 69).

[10] Cfr. Cass., sez. un., 11 novembre 1991, n. 12006, in Foro it., 214 ss. e in Giur. it., 2234 ss., con nota di E. Dalmotto, Riconvenzionale del danneggiato dalla circolazione di veicoli o natanti e «favor» per l’assicurazione, dove sono raccolti gli orientamenti giurisprudenziali conformi e difformi alla pronuncia delle sezioni unite e le diverse opinioni espresse dalla dottrina.

[11] Cfr. F.P. Luiso, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, 378 s., spec. 379.

[12] Per una rapida panoramica della giurisprudenza pronunciatasi sulla questione v. D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale2, sub art. 5, in Commentario del codice di procedura civile fondato da S. Chiarloni, Bologna 2022, 315, nt. 310.

[13] Cfr. N. Rascio, Controversie di lavoro e domanda riconvenzionale: contro l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione stragiudiziale, in Giur. it., 2003, 79 ss.; G. Trisorio Liuzzi, La conciliazione obbligatoria e l’arbitrato nelle controversie di lavoro privato, in Riv. dir. proc., 2001, 989 ss., spec. 991; G. Della Pietra, Domande in corso di causa e tentativo obbligatorio di conciliazione stragiudiziale, in Dir. e giur., 2003, 410 ss.; R. Tiscini, Le domande in corso di causa nelle controversie di lavoro alla prova del tentativo obbligatorio di conciliazione, in Giust. civ., 2000, I, 910 ss.; Ead., Brevi ritorni sull’incompatibilità tra tentativo obbligatorio di conciliazione e domande proposte in corso di causa, in Giur. merito, 2003, 1396 ss.

[14] In questo senso F.P. Luiso, Il tentativo obbligatorio di conciliazione, cit., 386 s. Favorevole alla tesi estensiva era anche A. Tedoldi, Appunti sul processo del lavoro, in Giur. it., 2001, 1541.

[15] In dottrina auspicano che il problema sia sempre risolto a livello normativo G.P. Califano, Su due problemi in materia di mediazione obbligatoria (in relazione agli interventi di terzi e al procedimento monitorio; tra ciò che mi piacerebbe e ciò che invece mi appare), in Giust. civ., 2017, cit., 1008 s.; G. Balena, Mediazione obbligatoria e processo, in Giusto proc. civ., 2011, 340 s.

[16] § 15a, comma 2, EGZPO: «Absatz 1 findet keine Anwendung auf: 1) Klagen nach den §§ 323, 323a, 324, 328 der Zivilprozessordnung, Widerklagen und Klagen, die binnen einer gesetzlichen oder gerichtlich angeordneten Frist zu erheben sind» (corsivo aggiunto).

[17] Cfr. U.P. Gruber, sub EGZPO § 15 a, in Münchener Kommentar zur ZPO6, Monaco 2022, Rnn. 1, 3.

[18] Cfr. U.P. Gruber, op. cit., Rnn. 1, 4; I. Saenger, sub EGZPO § 15 a, in I. Saenger, Zivilprozessordnung9, Baden-Baden 2021, Rn. 2.

[19] Per una sintesi delle diverse posizioni emerse in giurisprudenza e in dottrina v. la sentenza del Bundesgerichtshof del 24 novembre 2004, VI-ZR, pubblicata in NJW, 2005, 437 ss. e reperibile anche in Beck-online.de.

[20] Si tratta di Trib. Palermo, sez. Bagheria, 11 luglio 2011, resa nell’ambito di un processo introdotto con domande dell’attore di accertamento della violazione da parte del convenuto di alcune norme di regolazione dei confini e di condanna all’abbattimento dei manufatti illegittimamente costruiti. Il convenuto aveva chiesto in via riconvenzionale l’accertamento del diritto di piena proprietà sul fondo fino ai confini e, insieme, di condanna alla rimozione di manufatti tirati su dall’attore; inoltre aveva domandato l’accertamento della titolarità di alcuni diritti reali minori sul fondo del vicino. Dopo aver sostenuto la tesi restrittiva, tuttavia, posto che il convenuto aveva già manifestato la disponibilità a tentare la risoluzione in mediazione della controversia, il Tribunale fissava in quel caso udienza per acquisire l’eventuale disponibilità anche dell’attore e permettere così l’espletamento di una mediazione su tutta la causa ai sensi dell’allora art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010 (che prevedeva la mediazione facoltativa su invito del giudice).

[21] Accolgono l’interpretazione restrittiva anche: Trib. Palermo, 6 maggio 2017, in cui era stata proposta domanda di risarcimento del danno in ambito sanitario, dopo che era stato esperito un tentativo di mediazione fra il paziente e la struttura. Il medico, terzo intervenuto su istanza di parte, aveva eccepito il mancato esperimento del tentativo di mediazione nei suoi confronti. La decisione si sofferma in particolare sull’esigenza di rispetto dell’equilibrio fra mediazione e processo; Trib. Alessandria, 22 agosto 2022, n. 769, resa all’esito di un processo litisconsortile, dove era stata proposta domanda originaria di risarcimento del danno per perdita di cose trasportate; in seguito vi era stata la chiamata in causa del terzo ritenuto reale responsabile e l’ulteriore chiamata dell’assicurazione di quest’ultimo. L’assicurazione aveva eccepito l’improcedibilità dell’azione di manleva proposta nei suoi confronti, per non essere stata coinvolta nel procedimento stragiudiziale obbligatorio. Il Tribunale riteneva di non disporre un nuovo invio in mediazione, soffermandosi in particolare sull’argomento per cui una pluralità di procedimenti di mediazione è incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo e con il divieto di abuso dello strumento processuale; Trib. Roma, 13 ottobre 2022, n. 14986 resa all’esito di un caso in cui era stata proposta domanda originaria di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare da parte del promissario acquirente nei confronti degli eredi del promissario venditore. Una delle convenute aveva domandato, in via riconvenzionale, l’annullamento del contratto ex art. 1425, comma 2 c.c., l’accertamento del diritto di prelazione a proprio favore e il riscatto dell’immobile.

[22] Aderiscono all’orientamento estensivo: Trib. Como, sez. Cantù, 2 novembre 2012, dove era stata proposta domanda originaria di accertamento negativo del diritto di uso a parcheggio di una corte comune. In via riconvenzionale i convenuti avevano chiesto l’accertamento del loro diritto di proprietà sulla medesima corte per intervenuta usucapione, domandando anche l’autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo asseritamente comproprietario; Trib. Monza, 23 febbraio 2015, resa all’esito della seguente vicenda processuale: in via principale era stata proposta domanda di ripetizione dell’indebito da parte di un cliente verso la propria banca per applicazione di interessi ultralegali, CMS superiori al tasso soglia e altre violazioni. L’istituto di credito in via riconvenzionale aveva chiesto il pagamento del saldo di conto corrente. Poiché non era stato svolto alcun tentativo di mediazione, il giudice aveva disposto l’invio. Parte attrice non aveva attivato il procedimento nel termine indicato (bensì tardivamente, più di venti giorni dopo) e parte convenuta non aveva mai proposto istanza. Per questo motivo, dichiarata l’improcedibilità della domanda originaria, il giudice si interrogava sulle sorti della riconvenzionale, chiedendosi se l’obbligo di mediazione valesse anche per questo tipo di domanda e offrendo infine risposta positiva; Trib. Verona, 12 maggio 2016 in un caso in cui una banca convenuta aveva proposto in via riconvenzionale domanda di pagamento di una somma di denaro a titolo di saldo di conto corrente. La pronuncia si sofferma in particolare sull’argomento letterale e sul parallelismo con la soluzione adottata in materia di contratti agrari; Trib. Brindisi, 21 gennaio 2021 che origina da una domanda del conduttore di un immobile volta a ottenere il risarcimento dei danni alla salute patiti a causa di infiltrazioni e umidità nell’abitazione. Il locatore, oltre a eccepire il mancato esperimento del tentativo di mediazione, aveva chiesto in via riconvenzionale il risarcimento del danno per risoluzione anticipata del contratto. Il giudice, rilevato che non si era svolto il previo tentativo di mediazione, aveva disposto l’invio. Nel provvedimento finale dichiarava improcedibile la domanda riconvenzionale, in quanto rispetto a questa non poteva ritenersi svolto il tentativo di mediazione; App. Palermo 14 luglio 2023, n. 1334 resa in un caso in cui una condomina aveva chiesto il risarcimento del danno derivante da infiltrazioni provenienti da una parte comune dell’edificio, il condominio aveva proposto in via riconvenzionale una domanda di risarcimento del danno per occupazione arbitraria di porzioni di spazi comuni e l’attrice in reconventio reconventionis aveva chiesto l’accertamento del proprio diritto di proprietà su tali spazi per intervenuta usucapione. Il giudice d’appello confermava la dichiarazione di improcedibilità pronunciata dal giudice di primo grado delle due domande riconvenzionali per mancato esperimento del procedimento di mediazione.

[23] Cfr. Trib. Como, sez. Cantù, 2 novembre 2012, cit. anche se poi, nel caso di specie, il Tribunale, riconoscendo che la separazione avrebbe potuto rappresentare un costo significativo per le parti e per l’Ufficio giudiziario, affermava che prima di disporla, era opportuno acquisire la disponibilità delle parti a sperimentare la via della mediazione su entrambe le controversie.

[24] Così in Trib. Palermo, sez. Bagheria, 11 luglio 2011, cit. e Trib. Como, sez. Cantù, 2 novembre 2012, cit.

[25] Così in Trib. Roma 13 ottobre 2022, n. 14986, cit.

[26] Così in Trib. Napoli Nord, 8 febbraio 2023, n. 547. In quel caso il locatore aveva avanzato domanda di convalida di licenza per finita locazione. In via riconvenzionale la conduttrice convenuta chiesto il pagamento dell’indennità da perdita dell’avviamento commerciale. Proposta opposizione da parte dell’intimata, il giudice non convalidava la licenza, ma ordinava il rilascio dell’immobile a partire dalla data di scadenza del contratto, disponeva il mutamento di rito e invitava le parti a esperire il procedimento di mediazione obbligatoria.

[27] Così in Trib. Monza, 23 febbraio 2015, cit., Trib. Brindisi, 21 gennaio 2021, cit.

[28] Così, ad esempio, in Trib. Palermo, 6 maggio 2017, cit.

Le diverse fattispecie descritte verranno riprese infra, nell’ultimo paragrafo, dove si cercherà di fornire le soluzioni più adeguate a ciascun caso.

[29] Per l’opinione maggioritaria cfr. L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, 585 s., secondo cui la diversa interpretazione per cui tutte le domande giudiziali (anche quelle introdotte in corso di causa) sono soggette al tentativo obbligatorio di mediazione ha conseguenze certamente incostituzionali e dunque è inaccettabile; F. Cuomo Ulloa, La mediazione nel processo civile riformato, Bologna 2011, 121 ss.; D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, cit., 316 s.; G. Balena, Mediazione obbligatoria, cit., 341, con alcune precisazioni che si vedranno nel prosieguo; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., 81 s.; A. Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, 145; G.P. Califano, Su due problemi in materia di mediazione obbligatoria, cit., 1003; M. Bove, Le ADR e la composizione stragiudiziale delle controversie: obblighi ed opportunità per il sistema della giustizia civile, in Giusto proc. civ., 2017, 58, nt. 49; G. Battaglia, La nuova mediazione obbligatoria e il processo oggettivamente e soggettivamente complesso, in Riv. dir. proc., 2011, 134 ss. sebbene anch’egli (come Balena) con le precisazioni che si vedranno nel prosieguo; A. Petta, La mediazione obbligatoria, cit., 355 ss. L’opinione contraria è invece sostenuta da G. Buffone, Diritto processuale della mediazione, cit., 2348 ss., il quale ritiene dirimente l’aspetto della parità delle armi: escludendo l’obbligo per il convenuto che agisce in riconvenzionale si andrebbe a creare una forte disparità di trattamento. Secondo l’Autore, il giudice, una volta deciso l’invio in mediazione della riconvenzionale inedita, potrebbe separare le cause ex art. 103, comma 2 c.p.c.; tuttavia ritiene consigliabile inviare entrambe le controversie in mediazione (anche quella su cui il tentativo è già stato esperito), in quanto difficilmente le parti potranno raggiungere un accordo stragiudiziale su una sola porzione della materia del contendere.

[30] Che tuttavia si presta a opposte letture. Infatti da una parte il riferimento al convenuto come titolare del potere di sollevare eccezione di improcedibilità sembrerebbe deporre a favore della tesi restrittiva (anche se i fautori della teoria opposta fanno notare che anche l’attore è convenuto rispetto alla domanda riconvenzionale), dall’altra il fatto che la legge preveda come termine per proporre tale eccezione la prima udienza lascia pensare che sia data la possibilità anche all’attore di sollevarla rispetto alla domanda riconvenzionale proposta nella comparsa di risposta dal convenuto. Per l’impossibilità di trarre dal dato letterale utili suggerimenti interpretativi v. F. Cuomo Ulloa, op. cit., 123 s., nt. 72; D. Dalfino, op. cit., 316.

[31] Cfr. gli scritti citati supra, alla nota 29.

[32] In questo senso v. G. Balena, Mediazione obbligatoria e processo, cit., 342, sebbene come soluzione secondaria, da adottare nel caso in cui non si voglia accogliere la teoria restrittiva pura; G. Battaglia, La nuova mediazione obbligatoria, cit., 136 s. Un accenno si trova anche in D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, cit., 317, il quale però utilizza la sussistenza di forti legami fra le due domande come ulteriore ragione a sostegno della tesi restrittiva e non come criterio per sceverare le ipotesi in cui la mediazione a seguito della proposizione della riconvenzionale deve svolgersi da quelle in cui non è necessaria.

[33] Cfr. le sentenze citate supra, alla nota 5.

[34] Cfr. G. Buffone, Diritto processuale della mediazione, cit., 2351 ss. È interessante notare che quest’ultimo Autore, come detto, è sostenitore della teoria estensiva. La sua posizione, in fin dei conti, finisce per avvicinarsi a quella di chi sostiene la teoria restrittiva, con la deroga delle domande che non presentano stretta connessione.

[35] A. Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, V, 144 s., in sede di primo commento della normativa, rilevava proprio la carenza di simili oneri, sebbene «il disegno di legge presentato nella scorsa legislatura sul processo del lavoro (v. Foro it., 2007, V, 189 ss.) e recenti proposte private (v. id., 2009, V, 1 ss. sub 6.1 ss.) avrebbe ben potuto indurre a prevedere che nel corso dell’eventuale successivo processo non potessero essere allegati fatti costitutivi, impeditivi, modificativi, estintivi e indicati mezzi di prova ulteriori a quelli allegati o indicati o che avrebbero potuto essere allegati o indicati nella fase preparatoria o negli incontri del procedimento di mediazione-conciliazione». Alla fine però così non è stato.

[36] In questo senso v. M. Fabiani, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, in Le Società, 2010, 1142 s., che afferma: «L’istanza di mediazione nasce sulla lesione di un diritto (disponibile) ma, per lo meno in tutte le occasioni in cui c’è una base volontaristica più o meno spinta, l’interesse che muove alla mediazione dovrebbe essere quello non tanto di ottenere una riparazione del diritto (asseritamente leso) quanto quello di ricevere qualcosa che colpisce nel profondo l’interesse del litigante e che potrebbe essere anche molto diverso dal diritto in contesa. Sulla base di questo convincimento credo che in linea di massima si dovrebbe essere molto prudenti nell’enfatizzare i rapporti col processo»; I. Pagni, Mediazione e processo nelle controversie civili e commerciali: risoluzione negoziale delle liti e tutela giudiziale dei diritti – introduzione, in Le Società, 2010, 620 s., la quale ribadisce che «sono gli interessi, del resto, l’elemento che le parti tengono in considerazione nel momento in cui si siedono al tavolo delle trattative per stipulare un qualsiasi contratto»; sulle finalità della mediazione v. anche P. Lucarelli, La nuova mediazione civile e commerciale, in Giust. cons., 2023, 339 ss. Più propenso invece a instaurare il confronto fra la mediazione e il processo è G. Impagnatiello, La domanda di mediazione: forma, contenuto, effetti, in www.judicium.it, § 1.

[37] Cfr., al riguardo, I. Pagni, op. cit., 623, che afferma: «Il che [la diversa finalità dell’atto di citazione rispetto alla domanda di mediazione] non toglie che la determinazione dell’oggetto della lite che si vuole evitare di introdurre, con la proposizione della “domanda” di mediazione, debba essere compiuta in corrispondenza con quel che sarebbe il petitum dell’atto introduttivo del giudizio da proporre, non già perché con ciò si intenda trasformare il procedimento di mediazione in un iter che si snodi sulla falsariga di un processo di tono minore, ma per l’ovvia constatazione della necessità di consentire alla parte il raggiungimento degli effetti previsti dall’art. 5, comma 6».

[38] Cfr., in questo senso, M. Fabiani, Profili critici, cit., 1145 ss. nell’ambito di una visione di netta separazione fra procedimento di mediazione e procedimento giudiziale, dove il punto di contatto è rappresentato proprio dalle conseguenze di certe attività e certi esiti della mediazione all’interno del processo; D. Dalfino, Mediazione civile e commerciale, cit., 143, 145, 159, il quale in generale valorizza il ruolo della domanda di mediazione e la accosta alla domanda giudiziale ogniqualvolta la prima è in grado di produrre effetti sul secondo; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, cit., 44 s.; G. Impagnatiello, La domanda di mediazione, cit., § 4, nell’ambito di una visione di più marcata assimilazione fra procedimento di mediazione e procedimento giurisdizionale.

[39] Cfr. in tal senso, I. Pagni, Mediazione e processo, cit., 623; M. Fabiani, op. cit., 1145 («Ciò che rileva è l’idoneità dell’istanza a rappresentare gli estremi della lite in modo che il mediatore possa valutare qual è l’interesse delle parti e come può essere composto; nella consapevolezza che non essendoci un vincolo da divieto di extrapetizione, l’esito della conciliazione può essere anche totalmente diverso dall’oggetto dell’istanza di mediazione. In tale contesto non si può pretendere che il modello dell’istanza corrisponda al modello della citazione»); F.P. Luiso, op. loc. ult. cit., quando puntualizza che la domanda giudiziale delimita l’oggetto della decisione mentre la domanda di mediazione non può delimitare l’oggetto dell’eventuale accordo; G. Arieta, La domanda di mediazione e le regole di instaurazione del procedimento, in Corr. giur., 2011, 567 («la domanda di mediazione non deve necessariamente contenere e tanto meno riprodurre le domande che saranno formulate davanti al giudice. Né deve indicare necessariamente tutte le domande che saranno in quella sede proposte»); P. Nappi, I primi dieci anni della mediazione delle controversie civili e commerciali in Italia: riflessioni e proposte, in Giusto proc. civ., 2020, 411 («a differenza di quanto accade in sede giurisdizionale le parti sono libere di portare nel procedimento posizioni diverse e ulteriori rispetto a quelle che hanno originato la lite, di modo che una valutazione degli interessi delle parti, più che delle loro pretese, potrà condurre più facilmente e con maggior soddisfazione le parti alla composizione»); G.P. Califano, Su due problemi in materia di mediazione obbligatoria, cit., 1003.

[40] Cfr. a tal riguardo G. Buffone, Diritto processuale della mediazione, cit., 2352, il quale arriva ad immaginare un onere per la parte che voglia valersi del tentativo già espletato all’interno di una mediazione avviata su un’altra pretesa (come avviene quando propone domanda riconvenzionale) di allegare e provare che i fatti sono stati portati in mediazione; prova che potrà dare tramite gli atti introduttivi e appunto tramite i verbali. La conclusione è poi ripresa più avanti (cfr. G. Buffone, op. cit., 2355), quando l’Autore ritorna sull’importanza della verbalizzazione dei mediatori ai fini della valutazione del rispetto della condizione di procedibilità in giudizio rispetto alle situazioni giuridiche emerse nel corso del procedimento di mediazione. Addirittura arriva ad immaginare una forma di responsabilità civile per il mediatore che non riporti nei verbali i fatti su cui le parti hanno discusso e che possono essere posti alla base di domande giudiziali, poiché tale omissione condurrebbe ad un nuovo tentativo che altrimenti non sarebbe stato necessario. Tale posizione, oltre a risultare fuori dalla realtà delle mediazioni, pare fondarsi su un ipotetico onere di allegazione che in realtà non esiste (cfr. al riguardo quanto detto in apertura di questo paragrafo, testo e nt. 35). È stato fra l’altro notato che l’onere di proporre una domanda riconvenzionale in corso di mediazione risulterebbe alquanto gravoso, in quanto, considerata la sede, richiederebbe una prontezza non facilmente esigibile (cfr. N. Rascio, Controversie di lavoro, cit., 80, sebbene in un contesto in cui non era prevista l’assistenza necessaria dell’avvocato, diversamente da quanto avviene oggi per le mediazioni su materia obbligatoria e quelle demandate dal giudice in base dall’art. 8, comma 5 , d.lgs. 28/2010, introdotto dal d.lgs. 149/2022, ma anche da quanto si riteneva avvenire in passato da parte della maggioranza degli interpreti, che propendevano per l’obbligatorietà della difesa tecnica).

[41] Cfr. G. Arieta, La domanda di mediazione, 2011, cit., 567 s., quando afferma che a differenza di quanto avviene con riferimento al tentativo obbligatorio di conciliazione in materia agraria, «l’art. 4 del d.lgs. n. 28 non richiama la domanda, ma “l’oggetto e le ragioni della pretesa”, con ciò volendo giustamente sottolineare non solo la flessibilità del procedimento di mediazione, ma soprattutto che non vi è un rigoroso “parallelismo” tra la domanda che viene proposta davanti al giudice e la domanda di mediazione»; G. Balena, Mediazione obbligatoria, cit., 342, quando afferma: «Non va trascurato, d’altronde, che l’assoluta informalità che caratterizza il procedimento di mediazione e le attività in esso svolte dalle parti, a cominciare dalla formulazione della relativa domanda, può rendere tutt’altro che agevole, per il giudice, verificare se le più domande eventualmente oggetto del giudizio erano state o no effettivamente introdotte in quel procedimento; il che rende quanto mai sconsigliabili ed inopportune soluzioni eccessivamente formalistiche»; nella dottrina tedesca U.P. Gruber, sub EGZPO § 15 a, cit., Rn. 4, per cui è vero che il tentativo di conciliazione deve riferirsi alla controversia giudiziale, tuttavia non si deve guardare alle stringenti regole di determinazione dell’oggetto della lite, ma occorre valutare se il procedimento stragiudiziale abbia offerto l’opportunità di raggiungere un accordo sulla res controversa.

[42] Cfr. P. Lucarelli, La nuova mediazione, cit., 345 ss.

[43] Cioè un fatto che è al contempo anche l’effetto giuridico di un’altra fattispecie.

[44] Cfr. E. Vullo, voce Riconvenzione, in Dig. it., sez. civ., XVII, Torino 1998, 551 ss.; S. Evangelista, voce Riconvenzionale (domanda), in Enc. giur., XXVII, Torino 1991, 6 s.; A. Proto Pisani; Appunti sulla connessione, in Dir. giur., 1993, 23 s.; R. Tiscini, Modificazioni della competenza per ragioni di connessione, sub art. 36, in Commentario del codice di procedura civile a cura di S. Chiarloni, Bologna 2016, 339 ss.

[45] G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile: le azioni, il processo di cognizione, rist. con prefazione di V. Andrioli, Napoli 1965, 1140 s.; riprendono l’opinione dell’Autore E. Vullo, op. cit., 549 s.; S. Evangelista, op. cit., 6; R. Tiscini, op. cit., 333 ss.; M. Dini, La domanda riconvenzionale nel diritto processuale civile3, Milano 1978, 158 ss., in cui si trova anche una panoramica delle diverse opinioni.

[46] Cfr., da ultimo, Cass. 15 gennaio 2020, n. 533. L’orientamento è registrato in particolare da E. Vullo, voce Riconvenzione, cit., 543 ss.; R. Tiscini, Modificazioni della competenza, cit., 342 ss., nonché Ead., Domanda riconvenzionale e simultaneus processus tra ragionevole durata del processo ed economia processuale, in Giusto proc. civ., 2016, 675 ss.

[47] Tanto che qualcuno, nel leggere il dato giurisprudenziale, conclude che di fatto in via riconvenzionale possono essere proposte domande che non sono altrimenti connesse con la domanda originaria che per l’identità dei soggetti (cfr. A. Proto Pisani, Appunti sulla connessione, cit., 22; una lettura simile è accennata anche in G. Tarzia – C.E. Balbi, voce Riconvenzione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XL, Milano 1989, 672 e in F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Principi generali12, Milano 2022, 290).

[48] È qui il caso di richiamare la considerazione per cui non vi è distinzione fra domanda di accertamento incidentale ex art. 34 c.p.c. proposta dal convenuto e domanda riconvenzionale di mero accertamento. Le domande di accertamento incidentale rappresentano infatti una species della domanda riconvenzionale (in questo senso v. E. Vullo, voce Riconvenzione, cit., 535 ss.; E. Odorisio, Riconvenzionale (domanda), Postilla di aggiornamento, in Enc. giur., XXVII, Torino 2007, 1; per una più ampia trattazione del tema che tiene conto anche delle possibili differenze di disciplina, cfr. R. Tiscini, Modificazioni della competenza, cit., 315 ss., spec. 323, la quale comunque conclude che l’individuazione in concreto delle singole figure dipende unicamente dal nomen che il convenuto attribuisce alla domanda).

[49] Esibiscono questo tipo di connessione: Trib. Roma, 13 ottobre 2022, n. 14986, cit. (v. supra, § 3); Trib. Taranto, 2 maggio 2019 (v. infra, § 6); Trib. Como, sez. Cantù, 2 dicembre 2012, cit. (v. supra, § 3).

[50] Esempi di questa ipotesi sono rappresentati da Trib. Roma, rinvio preg. 13 giugno 2023, 13193, cit. (v. supra, § 1); Trib. Pavia, 5 aprile 2022, n. 479 (cfr., supra, § 3).

[51] V., ad esempio, Trib. Roma 18 gennaio 2017, n. 828 (v. infra, § 6).

[52] Per questa elencazione v., in particolare, A. Proto Pisani, op. cit., 22 ss., che aggiunge l’ipotesi della connessione meramente soggettiva (v. supra, nt. 47).

[53] Come esempi v. Trib. Civitavecchia, 8 gennaio 2023, n. 8 (cfr. infra, § 6); Trib. Brindisi, 21 gennaio 2021, cit.; Trib. Monza, 23 febbraio 2015, cit. (per entrambe v. supra, § 3); Trib. Roma, 27 novembre 2014 (v. infra, § 6); Trib. Palermo, sez. Bagheria, 11 luglio 2011, cit. (v. supra, § 3).

[54] Cfr. in particolare A. Proto Pisani, Appunti sulla connessione, cit., 22 ss., spec. 25; A. Vullo, voce Riconvenzione, cit., 555 ss.

[55] Se poi in via riconvenzionale è dedotto il rapporto pregiudiziale, la relativa domanda è stata evidentemente proposta a scopo difensivo, in quanto tendente a paralizzare l’accoglimento della domanda avversaria.

[56] È la fattispecie, ad esempio, che si rintraccia nel caso che ha dato origine al rinvio pregiudiziale disposto dal Trib. Roma 13 giugno 2023, n. 13193, cit. per cui l’attore chiede la risoluzione del contratto di locazione e il convenuto domanda, in via subordinata, per l’ipotesi in cui la domanda principale venga accolta, la condanna alla restituzione del deposito cauzionale.

[57] Cfr. di nuovo A. Proto Pisani, op. loc. ult. cit.; E. Vullo, voce Riconvenzione, cit., 556 s., il quale ritiene che il divieto di separazione delle cause cumulate sussista, oltre che per le ipotesi di pregiudizialità-dipendenza e di incompatibilità, anche per il caso in cui ricorra la connessione per identità della causa petendi; osserva infatti che a disporre la separazione si porrebbe il rischio di giungere a un conflitto di giudicati che, sebbene non sia pratico, determina gravi iniquità nella disciplina dei rapporti sostanziali, come nel caso in cui, separata la domanda originaria di adempimento contrattuale di una delle prestazioni da quella riconvenzionale sulla prestazione dirimpettaia, si giungesse a una decisione di accoglimento della prima e a una di rigetto della seconda, fondate su un diverso accertamento circa l’esistenza e il modo d’essere del rapporto contrattuale. L’osservazione è del tutto condivisibile. Infatti, anche ammettendo che il giudicato formato sulla domanda relativa ad una prestazione precluda una pronuncia di senso contrario sulla controprestazione (cfr., fra gli altri, S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano 1987, 110 ss.; A. Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, cit., 396 s.), non è da escludere che tale rimedio concorra con quello, di natura preventiva, del cumulo di domande.

[58] Cfr. R. Tiscini, Domanda riconvenzionale, cit., 675 ss. e soprattutto 679 ss., L.P. Comoglio, Il principio di economia processuale, I, Padova 1980, 98 ss., spec. 102; E. Vullo, op. cit., 543 s.

[59] V. supra, § 4.

[60] Sul punto v. supra, § precedente.

[61] Questa soluzione (come già accennato) si è già affacciata in dottrina: cfr. supra, nt. 32. In questa sede si aggiunga quanto affermato da G.P. Califano, Su due problemi in materia di mediazione obbligatoria, cit., 1003, secondo cui, siccome sul tavolo del mediatore si possono concludere accordi con contenuto diverso rispetto a quello portato dall’istante, non è utile saggiare nuovamente – una volta proposta domanda riconvenzionale – una volontà conciliativa palesatasi impossibile.

[62] Al riguardo G. Battaglia, La nuova mediazione obbligatoria, cit., 136, nt. 21 afferma che il fatto che il convenuto proponga domanda riconvenzionale nel corso del processo va letto come rinuncia alla volontà di concludere un accordo, altrimenti avrebbe proposto la domanda nel procedimento di mediazione. Anche a non voler vedere nel comportamento del convenuto una simile rinuncia implicita, il punto fondamentale è che il legame tra le domande ha messo senz’altro il convenuto nella condizione di valutare la convenienza di portare la propria controversia nella sede della mediazione. Se non lo ha fatto significa che manca la volontà conciliativa.

[63] Esclude la plausibilità, ma non la configurabilità a livello teorico. In senso difforme parrebbe Trib. Alessandria, 22 agosto 2022, n. 769, cit., afferma che una conciliazione raggiunta sul solo rapporto di garanzia si rivelerebbe del tutto inutile, se venisse poi dichiarato inesistente in giudizio il rapporto principale, poiché verrebbe a mancare in tale eventualità un elemento costitutivo del rapporto dipendente. La conclusione raggiunta da quella sentenza non è però estendibile al caso che ci occupa, se non altro perché in quel caso ricorreva una fattispecie di pregiudizialità-dipendenza fra parti parzialmente diverse mentre invece il caso di cui ci si sta occupando è quello della pregiudizialità-dipendenza fra le medesime parti. Con riferimento a quest’ultimo, se è vero che è poco plausibile una composizione stragiudiziale sulla lite relativa al rapporto pregiudicato quando pende in giudizio la causa relativa al rapporto pregiudicante, in linea teorica non è vero che il sopraggiungere di un giudicato su quest’ultima travolgerebbe la prima (l’ordinamento tollera addirittura due giudicati in conflitto teorico, come dimostra l’art. 34 c.p.c.). Nel presente contributo, peraltro, è stato volutamente lasciato fuori il tema dell’ampliamento (anche solo) soggettivo del giudizio rispetto alla mediazione obbligatoria, in quanto meriterebbe l’approfondimento di profili diversi e ulteriori rispetto a quelli che si sono analizzati in questo scritto. Infatti, da un lato, bisogna considerare le conseguenze dell’allargamento della platea delle parti coinvolte e degli interessi di cui sono portatrici e, dall’altro, bisogna chiedersi se le differenti regole processuali relative ai processi litisconsortili sono destinate a riverberarsi anche sulle soluzioni in punto di valutazione dell’espletamento di un’effettiva mediazione che non si sia svolta alla presenza di tutti i soggetti coinvolti. Si segnala soltanto che in dottrina si trovano affermate teorie opposte: alcuni ritengono semplicemente estensibili le soluzioni restrittive proposte per la domanda riconvenzionale, altri sostengono che l’ingresso nel processo di soggetti portatori a loro volta di autonome posizioni di interesse imponga sempre lo svolgimento di una nuova mediazione, altri ancora affermano che si debba distinguere a seconda del tipo di disciplina processuale cui è soggetto il processo (litisconsorzio necessario o facoltativo). In giurisprudenza v. da ultimo, con riferimento alla chiamata in garanzia, Trib. Pavia, 5 aprile 2022, n. 479 e Trib. Pavia, 23 gennaio 2023, n. 88.

[64] V. supra, nt. 47.

[65] Si noti che per le cause soggette alla disciplina del rito ordinario previsto dalla riforma Cartabia, è possibile immaginare che il controllo dell’assolvimento della condizione di procedibilità e il conseguente eventuale rinvio della prima udienza disposto per consentire l’espletamento della mediazione potrebbe già avvenire in sede di svolgimento delle verifiche preliminari ex art. 171 bis c.p.c., subito dopo la costituzione del convenuto. Tale anticipazione rispetto alla prima udienza consentirebbe anche di risparmiare lo scambio di memorie ex art. 171 ter c.p.c.

[66] Occorre segnalare che invece la giurisprudenza ha affermato in alcuni casi che il mezzo attraverso cui il giudice valuta se il tentativo di mediazione si è effettivamente svolto anche con riferimento alla domanda riconvenzionale è rappresentato dalla circostanza che sia l’attore che il convenuto abbiano attivato un procedimento di mediazione, ovvero, se è stato uno solo ad attivarlo, che lo abbia fatto espressamente anche con riferimento alla domanda proposta dalla controparte. Così in Trib. Brindisi, 21 gennaio 2021, cit. (v. supra, § 2), dove il giudice dichiarava improcedibile la domanda di mediazione in quanto la procedura di mediazione non si era svolta sulla riconvenzionale, posto che il locatore si era soltanto limitato a partecipare al procedimento attivato dal conduttore e Trib. Roma, 27 novembre 2014, cit. In quest’ultimo caso era stata proposta dall’attore domanda di restituzione di somme versate per prestazioni professionali a tre avvocati; uno dei convenuti aveva chiesto, in via riconvenzionale, il pagamento del compenso per delle attività difensive svolte e mai retribuite. Il giudice aveva formulato proposta conciliativa e invitato le parti, in caso di mancata accettazione di tale proposta, a svolgere il procedimento di mediazione. L’avvocato convenuto aveva attivato la mediazione, mentre non l’aveva attivata l’attore. Nel provvedimento finale il Tribunale di Roma prospettava due opposte opzioni interpretative: ammettere che una volta aperto il procedimento di mediazione da una qualsiasi delle parti, la condizione può dirsi assolta, ovvero ritenere che ogni parte è tenuta ad attivare il procedimento di mediazione con riferimento alle proprie domande salvo poi riunire, a cura degli organismi di mediazione, i diversi procedimenti. Dopodiché prospettava una soluzione intermedia affermando che «al fine di soddisfare al tempo stesso l’ordine del giudice e la previsione di procedibilità condizionata all’adempimento a tale ordine, era necessario che le parti congiuntamente o singolarmente attivassero una procedura di mediazione su tutta la controversia in modo che tutte le questioni dedotte sia con le domande principali e sia con quella riconvenzionale potessero trovare ingresso, confronto e discussione davanti al mediatore». La conseguenza (poco ragionevole) è che il giudice dichiarava l’improcedibilità di tutte le domande (compresa quella dell’avvocato convenuto che aveva attivato il procedimento di mediazione con riferimento alla propria pretesa), in quanto era stata introdotta una mediazione «monca», pur in presenza di un invito del giudice sull’intera controversia.  Potrebbero iscriversi in questo stesso insieme anche altre due pronunce rispetto alle quali è più difficile ricostruire chiaramente, dal solo provvedimento finale del giudice (senza l’ausilio degli altri atti del processo), lo svolgimento della vicenda processuale. Si tratta in primo luogo della sentenza del Trib. Roma del 18 gennaio 2017, n. 828. Il giudizio si era aperto con domanda principale di risoluzione del contratto di affitto d’azienda per inadempimento dell’affittuaria che non aveva corrisposto regolarmente il canone e nel corso del processo era stata proposta dal convenuto domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto e risarcimento del danno per inadempimento dell’affittante che non aveva fornito l’azienda nelle condizioni adeguate. Il convenuto aveva eccepito il mancato esperimento del tentativo di mediazione e pertanto, nel corso del processo, era stato disposto che si svolgesse tale procedimento, il quale tuttavia aveva avuto esito infruttuoso. Nella sentenza il giudice continuava però a interrogarsi sulla necessità che la mediazione si svolgesse anche rispetto alla domanda riconvenzionale, optando per la risposta negativa e aggiungendo che l’onere del previo tentativo di mediazione dovrebbe riguardare, semmai, la sola domanda riconvenzionale c.d. «inedita». Dalla pronuncia, pertanto, non si comprende quale problema possa porsi se l’invio in mediazione è stato disposto dallo stesso giudice dopo la proposizione della domanda riconvenzionale. Simili dubbi si pongono anche in Trib. Taranto 2 maggio 2019, dove l’attore aveva proposto domanda di pagamento dei canoni non corrisposti e il convenuto domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento della locatrice e di risarcimento del danno. Dalla lettura del provvedimento si desume che il giudice istruttore avesse disposto l’invio in mediazione alla prima udienza. Anche in questo caso però il giudice rigettava l’eccezione preliminare di improcedibilità della domanda riconvenzionale in quanto non sussisteva l’obbligo di svolgere la mediazione rispetto a quest’ultima.  È possibile che in queste ipotesi sia stato solo l’attore ad attivare la mediazione e non anche il convenuto, con ciò facendo sorgere il dubbio dell’effettivo espletamento della mediazione anche sulla riconvenzionale

[67] Il problema è affrontato anche da F. Cuomo Ulloa, La mediazione demandata, cit., 125 s., la quale, dopo aver affermato che in questa ipotesi (mediazione obbligatoria solo sulla materia oggetto di domanda riconvenzionale) è opportuno che si svolga il tentativo di conciliazione stragiudiziale, prospetta l’opzione di disporre la separazione delle cause e dunque l’invio in mediazione solo della riconvenzionale, allo scopo di non esporre l’attore ad un ingiusto rinvio. Per D. Dalfino, Mediazione obbligatoria, cit., 317 s., invece, il fatto che la proposizione della domanda riconvenzionale possa in questo caso essere utilizzata come strumento per ritardare lo svolgimento del processo, fa propendere l’autore per la tesi che nega anche qui la necessità del tentativo di mediazione. Queste osservazioni impongono un paio di approfondimenti. La mediazione relativamente alla controversia oggetto di domanda riconvenzionale si inserisce necessariamente all’interno del processo, ma l’ordinamento conosce e accetta questa dinamica, dal momento in cui prevede la mediazione demandata obbligatoria. Il giudizio può qui effettivamente subire un rallentamento (a meno che non venga svolta in un tempo morto del processo e in particolare nel lasso di tempo che intercorre fra la proposizione della domanda e il deposito della comparsa di risposta. Il che, almeno per il rito ordinario è impossibile, se si vogliono rispettare i tempi previsti dall’art. 163 bis, 166 e 171 bis, comma 3, c.p.c.). Tuttavia il timore di un uso strumentale della domanda riconvenzionale da parte del convenuto, che intenda lucrare sulla dilatazione dei tempi del processo, non può condizionare la soluzione adottata nel testo e fondata su considerazioni di portata generale che prescindono dai problemi che possono verificarsi in singole ipotesi.

Le vicende processuali descritte nel testo sono quelle che hanno originato le seguenti decisioni: Trib. Napoli Nord, 8 febbraio 2023, n. 547, cit.: il locatore aveva avanzato domanda di convalida di licenza per finita locazione. In via riconvenzionale la conduttrice convenuta aveva proposto domanda di pagamento dell’indennità da perdita dell’avviamento commerciale. Proposta opposizione da parte dell’intimata, il giudice non convalidava la licenza, ma ordinava il rilascio dell’immobile a partire dalla data di scadenza del contratto, disponeva il mutamento di rito e invitava le parti a esperire il procedimento di mediazione obbligatoria. Dal verbale di mediazione depositato in atti, risultava che il resistente (conduttore) non aveva partecipato al procedimento di mediazione. Con la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado il giudice, oltre a dichiarare la cessazione del rapporto locatizio e condannare la parte convenuta al rilascio dell’immobile alla data di scadenza del contratto, per quanto qui interessa, dichiarava improcedibile la domanda riconvenzionale, poiché la relativa controversia non era stata discussa in mediazione, stante la mancata partecipazione della parte che l’aveva proposta in giudizio; Trib. Civitavecchia, 8 gennaio 2023, n. 8, cit. il cliente di una banca aveva chiesto il risarcimento dei danni derivanti da una indebita segnalazione del debitore da parte dell’istituto di credito alla centrale rischi; la banca in via riconvenzionale aveva chiesto il pagamento del saldo di numerosi conti correnti. Dalla sentenza si ricava che nessuna mediazione si era svolta prima del processo e che il giudice aveva disposto la mediazione, ma, poiché la banca non si presenta personalmente, la domanda riconvenzionale era dichiarata improcedibile. In queste ipotesi la dichiarazione di improcedibilità della domanda riconvenzionale è stata pronunciata dopo la disposizione di una mediazione su tutta la causa, cui aveva fatto seguito la mancata partecipazione del convenuto al procedimento stragiudiziale. È del tutto condivisibile la conclusione raggiunta da questa giurisprudenza, poiché nei casi trattati il procedimento di sanatoria era già stato attivato e una delle parti non vi aveva ottemperato, essendo così destinata a subirne le conseguenze rispetto alla propria pretesa (non partecipando al tentativo di mediazione – come detto nel testo – non ha permesso alla stessa di svolgersi effettivamente).

[68] In questo caso, il comportamento del convenuto che prima non si presenta alla mediazione e poi propone domanda riconvenzionale per ritardare la conclusione del processo risulta particolarmente odioso. È però il caso di ricordare che l’art. 12 bis d.lgs. 28/2010 (prima del d.lgs. 149/2022, l’art. 8, comma 4 bis) prevede una serie di sanzioni per la parte invitata che non si presenta in mediazione senza giustificato motivo.

[69] È infatti da ricondurre alla regola generale il caso in cui una situazione giuridica non sia ancora sorta perché magari nella progressiva formazione della fattispecie manca un elemento, ma le parti sanno già che il diritto è destinato a nascere, com’è l’ipotesi in cui un credito non sia ancora divenuto esigibile per mancata scadenza del termine iniziale.