Il manierismo consumerista nell’era digitale. L’identità digitale, la sua patrimonializzazione ed il possibile abbandono della figura del consumatore.

Di Cristiano Iurilli -

SOMMARIO: 1. L’evoluzione digitale dell’essere umano in una visione sociale e gius-economica del diritto. 2. Il manierismo consumerista, il ruolo dell’interprete e l’evoluzione dell’atto di consumo nell’era del digitale. 3. Evoluzione ed involuzione della figura giuridica del consumatore. Il prosumerismo digitale. 4. L’identità digitale oggetto di un contratto di scambio di beni e servizi nell’evoluzione della normativa consumeristica.  5. Oltre l’Ordo sacer consumerista.

1.L’evoluzione digitale dell’essere umano in una visione sociale e gius-economica del diritto.

L’era della digitalizzazione degli scambi, della socializzazione di interessi personali e patrimoniali, della nascita di comunità digitali, del metaverso e dell’infosfera, intesa quest’ultima  come globalità dello spazio delle informazioni, dell’insieme dei mezzi di comunicazione e delle informazioni che da tali mezzi vengono prodotte, ha calato l’essere umano in una visione on life, in un labirinto informazionale che include sia il cyberspazio (Internet e telecomunicazioni digitali) sia il mondo fisico.

L’essere umano si qualifica dunque anche per il tramite della sua identità digitale che diviene espressione anche della propria consistenza fisica, dei propri attegiamenti comportamentali, della moralità e delle propie tensioni all’interno di una società, la quale non può più rapprasentarsi come unica dimensione spazio-temporale bensì come interconnessione di spazi, luoghi e vite parallele che appunto riqualificano il concetto di identità personale e l’unicità dell’individuo stesso[1].

L’identità personale subisce dunque una trasformazione, in quanto da elemento statico diviene elemento dinamico, quasi fosse definibile come “…concetto liquido. E il diritto alla identità è un diritto connesso con una realtà fattuale fluttuante, dinamica, fluida, quasi inafferrabile. […] Di tale identità si è impossessata l’informatica[2].

È la stessa evoluzione tecnologica, quell’era dell’Internet che oggi diviene l’era della digital community, che ripropone oggi, in maniera sempre più attuale, quanto anni or sono veniva rilevato da Stefano Rodotà, il quale prospettava “una sorta di invincibile contrasto tra le potenzialità tecnologiche e i rischi dell’intervento legislativo, quasi che si trattasse di mondi non comunicanti[3], e per il quale sarebbe stato errato contrastare la sua evoluzione come “luogo di interessi economici, dovendosi tuttavia tener conto “della necessità di salvaguardare in rete i diritti e le dinamiche della libertà[4].

Già all’epoca, la visione gius-economica del diritto imponeva una rilettura delle operazioni di scambi di beni e servizi non solo come azioni contrattuali a valenza commerciale bensì anche come strumenti idonei alla trasmissione ed alla movimentazione di dati ed informazioni, in una visione in cui alle classiche tutela contrattuali già si collegavano le dinamiche afferenti alla tutela della privacy dei contraenti o, in generale, dei fruitori dei servizi nella digital o social community.

Questa evoluzione del modello di organizzazione sociale e la contestuale modifica ed adattamento darwiniano del comportamento (anche economico e commerciale) degli “abitanti” del nuovo ed interconnesso ordinamento digitale, ha profondamente mutato la società in cui l’essere è divenuto frammento moltiplicato all’interno di un mondo difficilmente limitabile a livello spazio temporale[5].

E se nell’attuale contesto normativo si pone in maniera ancora più stridente l’esigenza di ricercare adeguate forme di tutela della persona, ove la dimensione della privacy è solo un frammento del problema, essa non può ritenersi aliena da una considerazione di fondo: la modifica del ruolo dei protagonisti del nuovo e trasversale mondo, ove i produttori di servizi digitali sono sempre più interconnssi al ruolo dei consumatori.

Ma è altrttanto certo che “Se tutela della privacy significa nello stesso tempo dinamica economica e partecipazione politica, è chiaro che qui si gioca l’una e l’altra[6].

Si pone dunque il problema sia della qualificazione socio-giuridica attuale dei protagonisti della business community (e delle regole giuridiche sottese alla regolamentazione dei loro rapporti) sia delle motivazioni giuridiche sottostanti alla individuazione di eventuali tutele rafforzate, ad esempio sul tema della profilazione del soggetto titolare di una propria identità digitale da parte di algoritmi riconducibili all’intelligenza artificiale, dovendosi così sottoporre ad analisi se la protezione di diritti fondamentali connessi all’identità digitale possa essere ancora racchiusa entro le barriere dei confini del consumerismo e delle relative e specifiche forme di tutela.

 

2.Il manierismo consumerista, il ruolo dell’interprete e l’evoluzione dell’atto di consumo nell’era del digitale.

Nell’opera del noto sociologo francese Jean Baudrillard[7], si evidenzia la necessità di affermare a chiare lettere che il consumo è “una modalità attiva di rapporto non soltanto con gli oggetti ma con la collettività e con il mondo, una modalità di attività sistematica e di risposta globale su cui l’intero sistema culturale si fonda. Bisogna affermare a chiare lettere che non sono gli oggetti ed i prodotti materiali che sono oggetto di consumo: sono soltanto oggetto del bisogno e della soddisfazione […] Il consumo non è un’attività materiale e neanche una fenomenologia dell’abbondanza, … è un’attività di manipolazione sistematica dei segni. Per diventare oggetto di consumo [il bene] deve diventare segno in un rapporto astratto e sistematico con tutti gli altri oggetti-segno. A questo livello si ‘personalizza’ … è consumato non nella sua materialità ma nella sua differenziazione”.

Ebbene l’Autore, anticipando il contesto attuale in cui la persona digitale diviene segno esterno della persona umana che assume valenza in relzione al più ampio contesto digitale all’interno del quale si muove, già indirettamente poneva le basi del nuovo concetto di identità e personalità digitale, in un ambito in cui l’essere, da soggetto si trasforma in oggetto di consumo, da elemento identificativo di una parte dell’atto di consumo né diviene il suo oggetto, da parte contraente si trasforma in oggetto del contrarre.

È dunque necessario comprendere come nell’era del digitale e dell’intelligenza artificiale cambia il rapporto tra l’ordine socio-economico, il soggetto e la sua soggettività, che non è più uguale a se stessa ma che si trasfroma in relazione al contesto economico (digitale) in cui opera e si evolve: è la stessa intelligenza artificiale che, nelle proprie “decisioni” (il virgolettato è d’obbligo), non agisce in relazione ad un soggetto o ad un bene bensì in relazione al contesto all’interno del quale il bene o il soggetto si muovono. Il bene digitale non è cioè bene ex se rilevante ma lo diviene in relazione allo strumento utilizzato per muoverlo all’interno di un sistema digitalizzato di mercato.

In tale contesto inizia a risultare difficile distinguere l’atto di consumo lato consumatore dall’atto di consumo lato venditore, tra cessione di un dato digitale (a sua volta frammento di una identità digitale) inteso come bene giuridico da parte di un consumatore e cessione da parte di chi consumatore non è.

Ed ancora risulterebbe difficile distinguere tra diversi profili di consapevolezza del rischio di cessione di un dato rappresentativo di una identità digitale, differenziare tra gli scopi per i quali, utilizzando la buisness community, si ritiene di dover “mercificare” o “mercanteggiare” o “commercializzare”[8] un elemento idenitificativo del proprio essere e dunque diversificare un sistema di responsabilità in relazione alla figura del consumatore rispetto a chi non lo è.

Si dovrebbe allora iniziare a discutere di responsabilità e forme di tutela afferenti l’identità digitale nel contesto di riferimento, a fronte della difficile distinzione tra dato digitale consumerista e non, sebbene sia riferito sempre ad una persona fisica, in una visione in cui il consumatore diviene spesso co-produttore del bene e protagonista attivo e non solo passivo del mercato.

Potremmo allora ricondurre la soluzione di questo problema interpretativo ad una forma che vorremmo definire di “manierismo consumerista”, nel ricordo di quella corrente stilistica che, se al principio si caratterizzava come riproposizione degli stili dei grandi artisti rinascimentali, prosegue distanziandosene sempre di più.

Più precisamente deve evidenziarsi come il giurista e la sua attività interpretativa non possano oggi più chiudersi in un mondo statico ed assertivo bensì aprirsi all’evoluzione della società digitale, anche mettendo in discussione il risultato normativo di anni di evoluzione del diritto, specialmente se relativamente al diritto dei consumatori, così anche superando proprie personali e troppo spesso stratificate convinzioni.

Se cioè il giurista è anche scienziato sociale, ci si deve chiedere se oggi, nell’abito di nostro interesse, si possa ancora discorrere sul “contraggo in quanto sono” o invece sul “contraggo tout court”.

 

 

3.Evoluzione ed involuzione della figura giuridica del consumatore. Il prosumerismo digitale.

Sin dal secolo scorso si è assistito al fenomeno del c.d. “centralismo dell’atto di consumo” sia da un punto di vista economico-produttivo sia strettamente giuridico, mediante una serie di interventi normativi -a base comunitaria- tramite i quali l’atto negoziale viene in taluni casi regolamentato sulla base della qualificazione soggettiva delle parti contraenti, accogliendo così la figura del consumatore e superando la preesistente impostazione incentrata sulla protezione del c.d. “contraente debole: si passa dunque da una debolezza relazionale ad una debolezza soggettiva, ovvero dalla disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. alla figura del consumatore (di cui all’attuale Codice del consumo) da tutelare non tanto quale semplice parte e controparte di operazioni commerciali ma nella sua nuova qualificazione giuridica[9], inteso dunque come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta[10]. La disciplina a tutela del consumatore nel diritto contrattuale europeo e degli Stati membri ha trovato dunque il proprio presupposto nell’esistenza di contratti nel cui ambito sia ravvisabile una disparità qualificata di forza contrattuale appunto tra due parti definite consumatore e professionista.

L’introduzione dei nuovi criteri qualificatori della parte contrattuale ha come noto prodotto un vivace dibattito[11], mediante un’attività esegetica volta -in taluni casi- ad ampliare i limiti soggettivi della figura e dei relativi ambiti di tutela, sulla base di un approccio estensivo-soggettivo in funzione amplificativa del raggio di protezione della normativa, al fine di superare gli angusti limiti legati alla presenza del “vecchio” contraente debole, per abbracciare -in caso- più soggetti possibili, come le persone giuridiche e i soggetti imprenditoriali in posizione, questa volta, di oggettiva asimmetria informativa e/o contrattuale[12].

I medesimi dubbi interpretativi si sono peraltro evidenziati in relazione al secondo elemento caratterizzante la nozione di consumatore, che notoriamente ha ad oggetto lo scopo dell’azione, necessariamente estraneo ad una attività di natura professionale[13]: pur tuttavia la Corte Costituzionale ha sempre accolto una visione restrittiva della nozione di consumatore, considerato solo in quanto soggetto persona fisica[14] che agisca per scopi estranei alla propria attività professionale, con la limitata eccezione del campo delle pratiche commerciali scorrette[15] introduttiva, nel novero dei soggetti tutelati dalle previsioni di cui agli artt. 18 e ss. del Codice del consumo, anche della c.d. “microimpresa”[16], con il dichiarato intento (nella stessa Relazione illustrativa della norma), di estendere la tutela -appunto limitatamente alle pratiche commerciali scorrette- a quei soggetti che, diversamente avvezzi a finalità di natura personale, tuttavia operano sul mercato in una posizione di debolezza subendo gli effetti negativi delle pratiche commerciali scorrette poste in essere dagli altri operatori.

Solo in un caso dunque il legislatore ha dimostrato di volersi emancipare dalla oramai configurazione soggettiva dell’operazione contrattuale, riposizionandosi sul concetto di oggettivo squilibrio relazionale, andando in un certo senso a recuperare l’attenzione per la “qualità” della contrattazione indipendentemente dalla qualificazione della parte contraente.

Tuttavia l’evoluzione dei servizi digitali e, per essi, della “persona digitale”, influenzano inevitabilmente il pensiero giuridico e la cultura consumerista, comportando una inevitabile modifica dell’atteggiamento dell’interprete nei confronti di oramai classiche categorie giuridiche che oggi si ritiene debbano essere rielaborate, adattando appunto “la maniera” ad un nuovo contesto economico e digitale.

Ed infatti la trascendenza della fisicità umana nel mondo digitale non è solo foriera di trasformazioni nei comportamenti e nelle relazioni, ma anche e specialmente nella concezione dell’individuo, che da uomo diviene dato, che tramite il dato si relaziona nella società e che sempre per il tramite di quel dato -utilizzando la propria essenza digitale- diviene parte di negozi giuridici in cui egli non solo è parte ma oggetto stesso della transazione commerciale.

Si pone dunque il dilemma di poter ancora oggi applicare alla persona fisica-fruitore di servizi digitali, i classici criteri soggettivi ed oggettivi per definirlo consumatore.

L’individuo dunque, “agendo in uno spazio intenzionalmente costituito con finalità commerciali esplicite, (diviene) attore: autore e narratore della sua biografia e del suo epitaffio[17]: il c.d. prosumerismo, nozione antropologica ma oggi strettamente giuridica, formata dalla combinazione dei concetti di produzione e consumo, riteniamo porti con sé il superamento del consumerismo in ottica digitale.

Si mostra cioè di tutta evidenza l’ampliamento di un contesto in cui le nuove tecnologie sembrerebbero (il condizionale è d’obbligo) aumentare la pariteticità del rapporto produttore-consumatore con conseguente riduzione dell’asimmetria informativa tra i due soggetti, in un sistema economico che potremmo definire di co-creazione e produzione di beni e servizi che parrebbe realizzare un superamento della visione passiva del consumatore, già filosoficamente in passato definito come un produttore silenzioso, un produttore simbolico di secondo livello e viaggiatore nomade che percorre creativamente terreni altrui ed esce dalla clandestinità[18].

L’evoluzione digitale sembrerebbe dunque voler assegnare al consumatore un ruolo antropologicamente e commercialmente attivo, capace di impegnarsi a pieno in tutti gli aspetti del processo di prosumerismo e non semplicemente relegato al ruolo di mero selettore di beni o servizi[19].

Il c.d. prosumerismo[20] porterebbe così al superamento del consumerismo in ottica digitale, specialmente ove si inizi a parlare di contrattualizzazione di cessione di dati ed informazioni identificabili come frammento della propria identità digitale.

4. L’identità digitale oggetto di un contratto di scambio di beni e servizi nell’evoluzione della normativa consumeristica.

Quanto sin qui affermato non intende minimizzare la rilevanza delle profonde modifiche legislative che nel corso del recente passato hanno rappresentato, in un certo senso, la resilienza del diritto dei consumatori all’evoluzione della società digitale, bensì vuole sottolineare come tali disposizioni siano innanzitutto carenti nella loro sistematicità e collocazione, facendo emergere con chiarezza, a parere di chi scrive, quel difficile tentativo di salvataggio tout court della figura soggettiva del consumatre in determinati ambiti.

E qui le contestazioni a tale visione potrebbero essere numerose, a partire da quella secondo cui l’identità digitale di un soggetto rientri nella locuzione di identità personale e dunque nell’alveo normativo riferibile alle forme di tutela della persona nella sua unicità fisica e digitale: da ciò il passo sarebbe breve nell’evidenziare dunque la necessità di enucleare nuove e più ampie forme di tutela di un soggetto debole, in relazione allo specifico bene da tutelare, specialmente ove quest’ultimo sia spesso riferito al tema della riservatezza e della privacy.

Ma in risposta ad un immaginario interlocutore, sarebbe altrettanto incontestabile rilevare come nella tradizione civilistica italiana nonché nella impostazione normativa del G.D.P.R. (Regolamento U.E. 2016/679/UE) non si tutelino i diritti della personalità in quanto riconducibili al consumatore e nondimeno non si enucleino le nuove forme di tutela in tema di privacy sulla dato soggettivo che l’interessato al trattamento di un dato sia o meno un consumatore.

Non si deve cioè cadere nell’errore di sovrapporre l’ambito di regolamentazione di un particolare contratto con la tutela di un interesse personale, quasi in taluni casi volendo artatamente sovrapporre (e questa è una voluta aporia giuridica) la sottoscrizione di un contratto ai sensi e per gli effetti degli artt. 1341 e 1342 del codice civile con la sottoscrizione del consenso al trattamento di un proprio dato personale.

Ebbene molte sono le nuove disposizioni normative che dimostrano sia la resilienza sia la permeabilità del “classico” diritto dei consumatori all’esigenze derivanti dalla digitalizzazione della società.

Si pensi innanzitutto al recepimento della Direttiva 2019/770/CE ad opera del d.Lgs. n.173/21 e della Direttiva 2019/771/CE[21], avvenuto con il d.Lgs. 170/2021[22], frutto entrambe del primo intervento concreto della Commissione europea avvenuto nel 2015, nel quadro di una precisa strategia per il mercato unico digitale, quando si adottò per l’appunto una proposta di Direttiva riguardante determinati aspetti dei contratti per la fornitura di contenuto digitale e una proposta di direttiva relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni: norme attualmente confluite nel Codice del consumo ove viene introdotto, nel Titolo Terzo, il nuovo Capo I-bis rubricato “Dei contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali” con gli articoli da 135-octies all’art. 135-vicies ter[23].

La riforma comunitaria pone indiscutibilemnete l’accento sul valore economico dei dati personali utilizzati come elemento di scambio nei contratti a prestazioni corrispettive, in particolare in relazione ai servizi di natura digitale, evidenizandosi infatti -sia dalla lettura del Considerando 13) sia dell’art. 3 della direttiva di fornitura dei servizi digitali- come i contenuti digitali siano spesso forniti non a fronte di un corrispettivo in denaro ma di una controprestazione non pecuniaria ma economicamente valutabile, vale a dire consentendo l’accesso a dati personali o ad altri dati, frammento ed essenza dell’identità digitale, così estendendo espressamente la protezione al consumatore che accede ad un servizio fornendo, come controprestazione, i propri dati.

O ancora si pensi al d.Lgs. n. 26 del 7 marzo 2023, entrato in vigore il 2 aprile 2023, che ha dato attuazione alla direttiva (UE) 2019/2161 (che modifica la direttiva 93/13/CEE e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE) per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori (c.d. direttiva Omnibus), che ha modificato in più parti il Codice del consumo, sostituendo ad esempio la definizione di «prodotto» (art. 18, co. 1 lett. c)), con la seguente: “qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i servizi digitali e il contenuto digitale, nonché i diritti e gli obblighi”; inserendo la definizione di «mercato online» (art. 18, co. 1 lett. n-ter)) inteso come “un servizio che utilizza un software, compresi siti web, parte di siti web o un’applicazione, gestito da o per conto del professionista, che permette ai consumatori di concludere contratti a distanza con altri professionisti o consumatori”; sostituendo la definizione di «beni» (art. 45, lettera c)) con una nuova composta di tre categorie tra cui quella di “beni con elementi digitali” come : “[…] 2) qualsiasi bene mobile materiale che incorpora, o è interconnesso con, un contenuto digitale o un servizio digitale in modo tale che la mancanza di detto contenuto digitale o servizio digitale impedirebbe lo svolgimento delle funzioni proprie del bene, anche denominati ‘beni con elementi digitali’) […]”.

E da ultimo, sempre in relazione alla direttiva Omnibus, si pensi all’introduzione, nell’articolo 46 del codice del consumo, rubricato Ambito di applicazione, del comma 1-bis che riprende la definizione di contratto (di fornitura di contenuto digitale o di servizi digitali) nel quale il consumatore fornisce o si impegna a fornire suoi dati personali di cui alla direttiva (UE) 2019/770, la cui attuazione nel nostro ordinamento ad opera del d.Lgs. 173/2021 ha comportato appunto l’introduzione, dopo il Capo I del Titolo III della Parte IV c. cons., del nuovo Capo I-bis.

Orbene, se anche solo ci si limitasse ad analizzare i profili sistematici della riforma e la sua collocazione, l’art. 46 del codice del consumo intende rappresentare l’ambito di applicazione delle sezioni da I a IV del relativo Capo I del Titolo III, “a qualsiasi contratto concluso tra un professionista ed un consumatore di cui questultimo paga o  si  impegna  a  pagare  il prezzo”, precisando nel successivo comma 1 bis come le medesime disposizioni  delle sezioni da I a  IV  del  presente  capo  si  applicano  “anche  se  il professionista fornisce o si impegna a fornire un contenuto  digitale mediante  un  supporto  non  materiale  o  un  servizio  digitale  al consumatore e il consumatore fornisce o si  impegna  a  fornire  dati personali al professionista”: dati questi ultimi i quali sono indissolubilmnete frammenti di un’identità digitale riconducivile ad una persona fisica e non tanto e solo al consumatore.

Ed ancora si pensi all’art. 135 octies, peraltro collocato a nostro parere irragionevolmente[24] nel Titolo III “Garanzia legale di conformita’ e garanzie commerciali per i beni di consumo” (ove palesemente si disciplinano aspetti patologici di una relazione contrattuale e non invece la sua fisiologia, struttura e carattere), secondo cui “Il presente capo disciplina taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale o di servizi  digitali  conclusi  tra consumatore  e  professionista,  fra  i  quali  la  conformita’   del contenuto digitale o del servizio digitale al contratto, i rimedi  in caso di difetto di conformita’ al contratto o di  mancata  fornitura, le modalita’ di esercizio  degli  stessi,  nonche’  la  modifica  del contenuto digitale o del servizio digitale”, e che contiene talune defnizioni quali il prezzo, di cui alla lett. g) del comma 2, inteso come “la somma di denaro o una rappresentazione digitale  del valore dovuto  come  corrispettivo  per  la  fornitura  di  contenuto digitale o di servizio digitale”, riproponendosi poi, al comma 4, la medesima disposizione di cui all’art. 46 già citato.

5.Oltre l’Ordo sacer

Dall’analisi del dato testuale delle norme richiamate, sarebbe breve il passo nel concludere che il Codice del consumo abbia effettivamente tipizzato un nuovo contratto (ma così non è) di formitura di servizi digitali business to consumers, senza tuttavia descriverne gli elementi essenziali bensì meramente richiamandolo in una parte relativa alla gestione patologica della relazione di consumo, ed ove sembrerebbe che il frammento di identità o l’identità digitale stessa possano essere in taluni casi considerate come il prezzo di uno scambio di un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive[25], ove si attribuirebbe rilevanza alla circostanza che il dato sia riferibile ad un consumatore, ma tramite uno strumento contrattuale con cui si realizzano, indiscutibilmente, anche diritti fondamentali dell’individuo ed ove si rammostra una chiara partecipazione dell’interesse privato a contenuto economico all’interno dei social media e della rete.

A contrario, riteniamo che non si possa limitare la riflessione al diritto dei consumatori, bensì si debba andare alle fondamenta delle situazioni giuridiche soggettive che, nel settore che qui interessa, fluttuano tra il diritto di proprietà ed i diritti della personalità, ed ove il contratto di fornitura di servizi digitali ne diverrebbe il collante.

Ed utilizzando la sistematica del Codice del consumo (ed in generale delle attuali e vigenti specifiche discipline volte a regolamentare i rapporti business to consumer) si vogliono enucleare ulteriori e conclusive riflessioni che distinguano l’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo della problematica de qua.

Non si ritiene revocabile in dubbio che sia stata la stessa evoluzione digitale degli scambi e dei consumi ad aver elevato l’identità digitale a bene di consumo avente peraltro un valore, anche mediante la c.d. patrimonializzazione del dato personale[26] che, come detto, diviene frammento o parte dell’identità personale.

Ma bene di consumo per chi? Ovvero, chi può essere indicato come consumatore e chi come produttore?

E quale valore ha il dato espressione di una identità digitale?

Le richiamate disposizioni riteniamo che non colgano pienamente la natura di operazioni contrattuali ove è il “consumatore” che diviene produttore del dato e, dunque, “prosumer”, ed ove è il professionista (nella sua classica definizione) che “consuma il dato”, impiegandolo per vari scopi come, ad esempio, la profilazione degli in funzione di una successiva campagna commerciale in linea con le preferenze degli utenti.

L’identità digitale diviene dunque “prezzo” ad alta valenza economica[27].

Ma è dal punto divista soggettivo che l’Ordo sacer iconsumerista mostra le più grandi criticità: il futuro cioè mette in dubbio il passato.

Come in passato per altri settori riconducibili alla tutela del consumatore (si pensi al settore dell’erogazione del credito in tema di Morgage Credit Directive[28]), ancor oggi è opportuno rilevare come il legislatore italiano non abbia inteso cogliere la possibilità, concessa dalla direttiva comunitaria[29], di ampliare l’ambito soggettivo della disciplina, includendovi quei soggetti che non rientrando nella nozione di consumatore sarebbero del tutto privi di una regolamentazione riguardante la fornitura di contenuti e servizi digitali, dal momento che tale materia non è stata disciplinata da altre disposizioni al di fuori del Codice del consumo, non essendovi altresì ulteriori e diverse disposizioni contenute nel codice civile.

Quid iuris? O l’identità digitale (e le sue tutele) è disancorata dallo status soggettivo del consumatore, oppure la norma vuole tutelare il dato e l’identità digitale solo in quanto riferibili al consumatore?

Non riteniamo di poter concordare con tale ultima ed eventuale impostazione che non riesce ad intercettare le nuove modalità, prosumeriste, con cui un soggetto disponga della propria persona digitale e dunque dei propri dati.

È dunque innanzitutto la sistematica normativa con cui si è inteso disciplinare una sorta di datio in solutum consumerista nell’era digitale che mostra un confuso tentativo, da parte del legislatore (specialmente comunitario), nel rincorrere l’evoluzione della società digitale senza una rappresentazione organica dell’evoluzione economica e sociale del diritto che dovrebbe sottendere ad ogni riforma.

[1] In relazione all’approfondimento sulle tematiche inerenti la digitalizzazione, in dottrina cfr., PASCUZZI G., Il diritto nell’era digitale, Bologna, 2016, 269 ss.; RICCIUTO V., La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in Il Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, IV, 2018, 689 ss.; COGO A., Le regole del contratto tra social network e utente nell’uso della proprietà intellettuale del gestore, dell’utente e degli altri utenti – riflessioni a partire dall’individuazione del fenomeno, dei suoi soggetti e della funzione del contratto, in AIDA, Annali Italiani del Diritto D’autore, della Cultura e dello Spettacolo, XX, 2012, 305 ss.; DI CIOMMO F., La responsabilità civile in internet: prove di governo dell’anarchia tecnocratica, in Resp. Civ., 2006, 550 ss.; GRANIERI M., Le clausole ricorrenti nei contratti dei social network dal punto di vista della disciplina consumeristica dell’Unione europea, in AIDA, Annali Italiani del Diritto D’autore, della Cultura e dello Spettacolo, 2011, 125 ss.

[2] ALPA G., L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contratto e impresa, 2017, 723 ss.

[3] RODOTA’ S., Il convegnoInternet e privacy – quali regole?” La relazione introduttiva di Stefano Rodotà dell’8 maggio 1998, in interlex.it/675/rodotint.htm.

[4] RODOTA’ S., cit.

[5] Secondo IRTI C., Dato personale, dato anonomo e crisi del modello normativo dell’identità, in Jus civile, 2020, 2, 381, “L’orizzonte di tutela, nel suo enunciato letterale, torna a far riferimento ai soli dati personali riferibili alle persone fisiche, a quei frammenti in cui l’identità, disgregatasi nell’impatto con il mondo virtuale, si disperde e si moltiplica”.

[6] RODOTA’ S., cit.

[7] BAUDRILLARD J., Il sistema degli oggetti, Milano, 1968, passim.

[8] Recentemente in dottrina TRIPODI E. M., Consumi digitali e dati peronali, in I diritti dei consumatori digitali, a cura di Torino R., 2023, 267, ed in spec. 274, secondo cui “nella prassi, non confinata all’ambito dei mercati digitali, in cu iavviene un rilevante trattamento di dati personali, sono emerse alcune fattispecie, tra le quali, ad esempio: a) la vera e propria vendita dei dati personali, laddove dietro compenso, viene concessa la disponibilità dei propri dati personali per l’effettuazione…di oerzioni di marketing; la fornitura di servizi digitali…in termini apparentemente gratuiti, ma in realtà in cambio della disponibilità dei dati personali, per trattamenti ulteriori rispetto a quelli strettamente necessari alla fornitura del servizio.

[9] Cfr. GABRIELLI E., Sulla nozione di consumatore, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 1157 secondo cui“E’ difficile parlare dei consumatori come categoria composta da soggetti ugualmente deboli, atteso che «la definizione di consuma tore fatta propria dalla legislazione (comunitaria e, sulla sua scia, da quella) interna….. è di estensione tale da determinare l’applicazione della disciplina a soggetti (purché persone fisiche) caratterizzati dalle più diverse competenze ed esperienze professionali. A ciò si aggiunga che esistono altre categorie di soggetti (si pensi ai subfornitori specializzati) che, pur non rientrando nella definizione di consumatore e, quindi, non trovando protezione nella disciplina, sono caratterizzate da una situazione di debolezza … eguale se non maggiore rispetto a quella in cui si trovano i consumatori nei confronti dei professionisti”.

[10] Sebbene nella Carta Costituzionale non si rinvenga il termine “consumatore”, oggi la sua presenza  si è consolidata grazie al ricco corpus di norme che lo contemplano, tra cui l’art. 3 del Codice del Consumo che, ampliando la nozione di consumatore anche nella accezione di “utente”, e recependo interamente il dettato del citato art.1469-bis, conferma i due oramai noti elementi caratterizzanti il profilo di questo status, quali la fisicità del soggetto e l’estraneità dell’atto di consumo all’attività professionale o imprenditoriale.

[11] In dottrina, sul tema, cfr. ex multis, ZENO-ZENCOVICH V., Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra contratti commerciali e contratti dei consumatori), in Giur. it., 1993, IV, 72; ORESTANO A., I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria: prime note, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 468 e ss.; DI MARZIO F., Ancora sulla nozione di “consumatore” nei contratti, in Giust. civ., 2002, I, 685,

[12] Proprio con riferimento alle persone giuridiche, alcuni autori (SANNIA M., Commento sub art.1469-bis, comma 1, in Cesaro E. (a cura di), Clausole vessatorie e contratto del consumatore, Padova, 1998, 101) fanno notare come la loro esclusione dall’ambito di operatività della normativa dovuta alla interpretazione ristretta del significato di consumatore, crei intanto dubbi circa la legittimità costituzionale delle norme interessate, potendosi ravvisare una disparità di trattamento tra persone fisiche e giuridiche nella stessa posizione di debolezza che mal si concilia col dettato dell’art.3 della Costituzione; allo stesso tempo si sottolinea come una siffatta impostazione difetta di una reale corrispondenza con la realtà socio-economica, che in questo caso viene dal legislatore troppo semplificata a fronte invece di un contesto molto complesso, insuscettibile di essere tutelato in maniera completa con il solo riferimento alla persona fisica. Sul tema si vedano anche gli scritti di GATT L., sub art. 1469-bis, comma 2°, Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in Commentario al capo XIV-bis del cod. civ.: dei contratti del consumatore, a cura di BIANCA C.M. – BUSNELLI F.D., Padova, 1999, 153; BARENGHI A., Commento all’art. 1469-bis, in La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, a cura di A. BARENGHI, Napoli, 1996, 33 e ss.; ALPA G. –CHINÈ G., voce Consumatore (protezione del) nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XV, Appendice, Torino, 1997, 547 e ss.; CHINÈ G., Il Consumatore, in Tratt. di dir. priv. europeo, a cura di N. LIPARI, Vol. I, Padova, 2003, 443 e ss.

[13] L’interpretazione dei suddetti criteri qualificativi è stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali, spesso dal tenore opposto: i giudici della Corte di Cassazione, che avevano già nel lontano 1965 (Cass., sez. Civile, sentenza n.451 del 1965, in Foro It.,1965, XC, 1, col.614) per la prima volta definito giudizialmente la nozione di consumatore come “colui che fa della merce acquistata un uso, un consumo esclusivamente personale per soddisfare le limitate esigenze della propria vita familiare e individuale”, dalla fine degli anni novanta, con una serie di pronunce soprattutto in materia di clausole vessatorie, hanno dimostrato una tendenza all’ampliamento della nozione di consumatore (ZENO-ZENCOVICH V., (voce) “Consumatore (tutela del)”, in Enc. giur. Treccani, Roma, vol. III, 1988, 1 ss.; Id., Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra “contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”), in Giur. it., 1993, IV, 63 ss.), così considerando, ad esempio, consumatore un condominio  che abbia stipulato con una società di servizi un contratto di manutenzione degli ascensori nonché lo stesso professionista che concluda un contratto in occasione dell’attività professionale, purché stipulato al di fuori dell’attività normalmente svolta (Trib. Roma, 20.10.1999, in Giust. Civ, 2000, I, 2117).

[14] Cfr. Corte Cost. (Ord.), 16 luglio 2004, n. 235, in Foro It., 2005, 1, 991 per cui “È  manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1469 bis c.c., nella parte in cui non include nella nozione di consumatore anche il beneficiario non contraente della polizza cumulativa infortuni stipulata dal datore di lavoro, in riferimento all’art. 3 Cost.”.

[15] Legge 24 marzo 2012, n.27 di conversione del Decreto Legge n.1/2012.

[16] Stavolta l’esercizio di definizione non è di matrice nazionale poiché il testo della norma si avvale dell’art. 2 dell’allegato alla Raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003  che definisce quale microimprese “le entità, le società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro”.

[17]   DEGLI ESPOSTI P., Creatività automazione, la contraddizione dell’essere prosumer. Makers tra produzione e consumo, in sisec.it, secondo cui “Tipicamente si è soliti considerare il ruolo del consumatore secondo quelli che sono i quattro approcci tradizionali: razionale, passivo, consapevole e artigiano. Tutti contengono in sé, ad eccezione del secondo, il concetto di attività e tutti fanno riferimento ad un soggetto coinvolto in un processo di produzione di valore, tale da far convergere le figure del produttore e del consumatore in un unico soggetto. Il primo approccio legge il consumatore come un soggetto razionale, attivo e calcolatore, attento a destinare risorse scarse a sua disposizione nell’acquisto di beni e servizi e si fonda sui principi della teoria economica. Il secondo approccio, lo interpeta come un soggetto passivo e manipolato, sfruttato e asservito alle logiche del mercato, costretto dalle logiche dell’eroe e dello sciocco. Il terzo, fondato sull’impatto nella società dei consumi della filosofia post-moderna, considera il consumatore come un soggetto consapevole dei significati simbolici attribuiti ai prodotti – potremmo dire alfabetizzato alle logiche del marketing – capace di selezionare merci con una ratio precisa e che utilizza le merci per creare una rappresentazione del sé, una sua identità ed affermare uno stile di vita. Infine il consumatore artigianale, è colui che nel suo processo di consumo è spinto in primis dal desiderio di impegnarsi in atti creativi di autoaffermazione o libera espressione della sua personalità. Il consumatore artigianale non è alla ricerca attraverso il consumo di un’affermazione identitaria: si presuppone, infatti, che i consumatori abbiano già acquisito una loro affermazione in tal senso e che proprio questa legittimi tale approccio, che costituisce anche uno dei fondamenti teorico dello spostamento dal consumatore al prosumer”.

[18] DE CERTEAU M., L’invention du quotidien 1. Arts de faire, Paris, 1980, Union générale d’éditions, trad. it., L’invenzione del quotidiano, Roma, 2001.

[19] Così APPADURAI A., Modernità in polvere (trad. a cura di Pietro Vereni), Roma, 2001, 45, ove l’A. parla di “…nuova configurazione centrale delle dinamiche sociali, nelle quali la nuova economia culturale globale dev’essere vista come un ordine complesso, stratificato e disgiuntivo che non può più essere compreso nei termini dei modelli esistenti “centro-periferia”… né si piega ai semplici modelli “spingi e tira”… o del surplus e del deficit… o di consumatori e produttori”.

[20] Così TOFFLER A., The Third Way, William Morrow & Company, Inc., New York, 1980. L’A. sostiene che il prosumer fosse una figura predominante nelle società pre-industriali, che egli definiva della «prima ondata», seguita dall’epoca della commercializzazione – «seconda ondata», la quale ha spinto un cuneo invisibile nella società, separando queste due funzioni e generando quelli che oggi chiamiamo produttori e consumatori: secondo tale tesi, ai primordi dell’economia non vi sarebbe né la produzione né il consumo, quanto piuttosto il prosumerismo.

[21] Le due direttive si collocano all’interno della medesima strategia per il raggiungimento del mercato unico digitale. Pur differenziandosi per l’ambito di applicazione, esse condividono la finalità di «contribuire al corretto funzionamento del mercato interno garantendo nel contempo un livello elevato di protezione dei consumatori», che perseguono imponendo agli Stati membri un livello di massima armonizzazione (artt. 1 e 4 di entrambe le direttive).

[22] Sul tema, in dottrina cfr. CAMARDI C., Prime osservazioni sulla Direttiva (UE) 2019/770 sui contratti per la fornitura di contenuti e servizi digitali. Operazioni di consumo e circolazione di dati personali, in Giust. Civ. III, 2019, 499 ss.; CAPILLI G., Verso l’unificazione (salvo deroghe) della disciplina della vendita di beni e servizi digitali: le direttive 2019/770/UE e 2019/771/UE, in dirittodiinternet.it/verso-lunificazione-salvo-deroghe-della-disciplina-della-vendita-beniservizi-digitali-le direttive-2019770ue-2019771u/; DE FRANCESCHI A., La circolazione dei dati personali nella proposta di Direttiva UE sulla fornitura di contenuti digitali, in A. MANTELERO, D. POLETTI (a cura di), Regolare la tecnologia: il Reg. UE 2016/679 e la protezione dei dati personali. Un dialogo fra Italia e Spagna, Pisa, 2018.

[23] Sul tema in dotrina, recentemente GRISAFI R., Il dato personale come presunto corrispettivo economico, le nuove fonti di integrazione eteronome del contratto nella fornitura di contenuti e servizi digitali. Il caso della disciplina della garanzia di conformità, in Judicium, 2022.

[24] Così anche DE CRISTOFARO G., Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” dei (contratti dei) consumatori?, in Nuove leggi civili commentate, 1/2022, 1 e ss.

[25] Per taluna dottrina (GRANIERI M., op. cit., 125), specialmente in rrelazione al rapporto contrattuale tra utente e piattaforma digitale, ed abbracciando la tesi della natura corrispettiva di tale rapporto, si è inteso parlare di  tale fattispecie annoverabile fra i c.d. contratti di accesso alla rete Internet  (R. DUCATO, G. PASCUZZI (a cura di), Il diritto nell’era digitale, Bologna, 2016, 271), non distinguendosi così dai contratti che svolgono servizi inerenti all’apertura e gestione del servizio e-mail e, più in generale, da quelli che forniscono il servizio di connessione.

[26] Attenta dottrina (RICCIUTO V., op. cit., 690 e ss.) rileva “…a fronte della possibilità di costruire e definire il fenomeno “trattamento dati” anche in chiave economica e di mercato, la riflessione del giurista italiano si è appuntata pressoché esclusivamente sul tema della sfera morale del soggetto cui i dati si riferiscono, senza offrire una lettura ulteriore del fenomeno studiato, in termini patrimonialistici, senza voler considerare l’ipotesi che quel soggetto ben potrebbe disporre dei propri dati ricavandone profitto, secondo i modelli e gli schemi giuridici propri dello scambio; e senza considerare l’attività economica di impresa che è alla base, nella prospettiva di chi acquista e compie operazioni economicamente valutabili, del trattamento di quesgli stessi dati”.

[27] In tal senso in giurisprudenza, cfr. Consiglio di Stato, sent. 2631 del 29 marzo 2021, in giustizia-amministrativa.it, secondo cui (richiamando un passaggio della sentenza del TAR Lazio, Sez. I, 10 gennaio 2020 n. 260) “l fenomeno della “patrimonializzazione” del dato personale, tipico delle nuove economie dei mercati digitali, impone agli operatori di rispettare, nelle relative transazioni commerciali, quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore, che deve essere reso edotto dello scambio di prestazioni che è sotteso alla adesione ad un contratto per la fruizione di un servizio, quale è quello di utilizzo di un social network”, e che conclude affermando: “Orbene, seppure si volesse aderire alla tesi della odierna parte appellante secondo la quale il dato personale costituisce una res extra commercium, la patrimonializzazione del dato personale, che nel caso di specie avviene inconsapevolmente (ad avviso dell’Autorità nel momento in cui accusa una informazione ingannevole nell’esercizio della pratica in questione), costituisce il frutto dell’intervento delle società attraverso la messa a disposizione del dato – e della profilazione dell’utente – a fini commerciali”.

[28] Il riferimento chiaro è al d. Lgs. 21 aprile 2016, n. 72, recante “Attuazione della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali” (cd. Mortgage Credit Directive o M.C.D.), introduttivo di una disciplina specifica sul credito immobiliare ipotecario ai consumatori con la quale si è voluto, principalmente a livello comunitario, riempire un gap normativo a tutela dei consumatori i quali, sino all’entrata in vigore della c.d. M.C.D., risultavano essere appunto destinatari di specifica tutela solo in regazione al credito ai consumatori e non in relazione a quel classico contratto che, civilisticamente viene identificato nel mutuo (seppur ai consumatori). Sotto il profilo soggettivo dunque, la nuova disciplina si applica ai rapporti con i consumatori. Rtiteniamo utili, ai nostri fini, ed in particolare in relazione all’ambito di applicazione soggettivo della citata normativa, richiamare quanto previsto dal considerando n. 12 della Direttiva 2014/17/UE secondo cui “La definizione di consumatore dovrebbe includere le persone fisiche che agiscono al di fuori della loro attività commerciale o professionale. Tuttavia, nel caso di contratti con duplice scopo, qualora il contratto sia concluso per fini che parzialmente rientrano nell’ambito delle attività commerciali o professionali della persona e parzialmente ne restino al di fuori e lo scopo commerciale o professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto, la persona in questione dovrebbe altresì essere considerata un consumatore”.

Tale possibile ampliamento soggettivo non è stato oggetto di recepimento da pèarte del nostro legislatore nazionale.

[29] La direttiva 770/2019/UE prevede, al considerando 16, la possibilità per gli Stati membri di estendere la disciplina in essa contenuta anche alle persone fisiche o giuridiche che non sono qualificabili come consumatori ai sensi della direttiva stessa.